REPORTAGE
Una visita alla scuola in lamiera
Il materiale è di riciclo, ma i sogni d’oro
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Pensiamo alla scuola di quando eravamo bambini o, meglio, alle scuole dei nostri bambini.
Luoghi dedicati, non senza pecche, all’istruzione scolastica collocata in una realtà di diritto e di dovere.
Entriamoci: vediamo le classi dedicate per sezioni, ad un certo numero di bambini, la bacheca, le attività, l’arredamento dedicato, le ‘dade’, le insegnanti, il personale di servizio, la zona mensa, i bagni, i giochi, i libri, i disegni, i colori. Vediamo anche i muri, le pareti, il pavimento, i sanitari, i rubinetti, le finestre: guardiamo bene tutto quello che abbiamo.
Ora andiamo in una grande periferia, nella sua discarica.
No fognature. No elettricità. No bagni. No rubinetti. No muri. No porte. No Luci. Solo terra, pali di legno, lamiere e chiodi. Basta: non c’è niente altro da vedere.
Qui nulla è un diritto e un dovere. Già è qualcosa se il sistema sa che esisti.
Andate in una di queste scuole: lo Stato passa solo i moduli scolastici per l’ammissione agli esami, a pagamento, alcune volte qualche libro che deve bastare per l’intera scuola.
Questo perché le scuole non sono statali, ma private. E non è la ‘scuola privata‘ che abbiamo in mente tutti noi.
Qui la scuola privata è frutto di una persona, spesso legata al culto religioso, con un riconoscimento statale di insegnante, che prende un pezzo di terra, costruisce con legno-lamiera-chiodi una struttura e chiama a se delle famiglie con i bambini per strada, cerca gli insegnanti e il sostegno economico per tutta la struttura.
Gli insegnanti hanno spesso più classi e alternano le lezioni di un gruppo con l’altro accanto nell’arco della giornata che inizia alle 6 di mattina.
Le classi sono divise tra loro da sacchi di plastica raccolti in discarica: la lamiera costa e si utilizza solo per ripararsi dalle condizioni meteo.
I bagni sono una buca a cielo aperto scavata poco più lontana.
L’acqua è un rubinetto nel cortile.
La mensa è gestita da un genitore che scambia il suo lavoro con il cibo stesso e la possibilità di tenere i bambini all’interno della struttura. Niente corrente, niente luce.
In tutto questo c’è chi è inquieto: ha avuto la possibilità di studiare, ha una propria idea del mondo fuori dalla discarica e cerca e attende il suo momento e nel frattempo, con la camicia pulita e i pantaloni in ordine, attraversa ogni giorno quell’inferno per dare una possibilità e una speranza a quei ragazzi dopo di lui.
(Tutte le foto sono di Diego Stellino)
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Diego Stellino
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