Quando cedere il posto era un atto dovuto
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da: Claudio Riccadonna
“Alzati in piedi e lascia il posto!” risultava una sorta di imperativo categorico, innescava un automatismo naturale, quando, trent’anni fa, sugli autobus, s’ incrociava una persona anziana, anche se non presentava evidenti problemi di deambulazione; era un atto dovuto e basta, dettato dal buon senso civico, che apparteneva a quella vasta gamma di comportamenti virtuosi e convenienti, inculcati dalla famiglia, sin dalla più tenera età.
Non si badava al peso dello zaino spesso “degriffato” o al restante tragitto da percorrere. Ci si alzava senza fare tante storie, indipendentemente dal trovarsi di fronte a pensionati indisponenti e pretenziosi; cedere il posto rientrava nelle azioni consuetudinarie, costituiva una garbata abitudine suggerita dal sano rispetto generazionale nonché da un “pizzico“ di sensato timore reverenziale.
Oggi , ragazzini, forse incolpevolmente maleducati, talvolta “figli del nulla e del vuoto valoriale”, si aggirano sugli autobus con fare da bulli, in preda ad un esaltato delirio di onnipotenza; imbrattano la tappezzeria, fanno risuonare i telefonini come radio, spingono, strattonano, esibiscono un linguaggio frequentemente osceno, talora scatologico nonchè blasfemo a fruizione collettiva; si stendono placidamente e scompostamente sui sedili, si stravaccano con assoluta nonchalance, con ostentato menefreghismo, ingombrano ogni angolo con zaini e pacchi. Soprattutto non cedono il loro “scranno”, su cui tronfiamente spadroneggiano, a persone di età avanzata, o a donne in gravidanza.
A volte arrivano ad usare un tono canzonatorio e denigratorio nei confronti di persone che palesano difficoltà motorie, così da guadagnarsi un’indecente visibilità, la vile deferenza e la mortificante solidarietà dello squallido gruppo di riferimento, che più o meno consapevolmente si rende complice. Alcuni arrivano ad occupare il posto riservato ai disabili e, se ci azzarda a qualche “diplomatico” rimprovero o più severamente a stigmatizzare alcuni atteggiament , sono abilissimi a zittirti o più correttamente “a mandarti a quel paese” (per usare un gentile eufemismo).
Comunque a scuola, a fronte del susseguirsi di episodi incresciosi in tal senso, un’ulteriore riflessione congiunta che investa famiglie, insegnanti -educatori e giovani studenti potrebbe risultare, ancora una volta, una pragmatica ma necessaria ed utile lezione di educazione civica. E’ vero siamo alle solite, ma d’altra parte REPETITA IUVANT!

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Riceviamo e pubblichiamo
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani