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SIEPI E RECINZIONI VERDI (seconda parte)
Alzare un muro o una siepe per dividere una proprietà e separare uno spazio privato da quello pubblico, è un gesto talmente abituale che nel farlo non ci poniamo troppe domande. Per prima cosa ci preoccupiamo dei costi, di certo non pensiamo che l’atto stesso di recintare sia all’origine della storia del giardino, un fatto che trova riscontro nell’etimologia comune del termine che in tutte le lingue, antiche e moderne, parlate in Occidente e nel Medio oriente, significa sempre: luogo protetto, recinto, chiuso, quindi il giardino non è altro che il luogo delimitato per eccellenza. Nel passato, l’uomo è riuscito a sopravvivere nel deserto e nelle foreste isolando uno spazio in cui era presente l’acqua e dove era possibile coltivare piante commestibili, poi, nei secoli, il recinto ci ha protetto dai pericoli, ci ha separati dal caos, dall’inciviltà e dalle cose brutte. Da cosa dobbiamo difenderci oggi? Quando penso alla fatica e alle cure necessarie per tenere in ordine una siepe di arbusti sempreverdi, mi chiedo sempre perché ci impuntiamo su una pratica che alla fine dei conti non ci difende nemmeno dai ladri e che, nel migliore dei casi, impedisce al nostro vicino di vederci in mutande. Il desiderio di un avere uno spazio a tutti costi privato, mi sembra ancora più assurdo quando penso che, nel tanto sudato isolamento del nostro giardinetto, ci mettiamo davanti a un computer e non ci facciamo nessun tipo di scrupoli nel metterci a nudo di fronte al mondo, spellandoci vivi nell’arena dei social network.
La bellezza di una siepe ben curata è sicuramente un ottimo motivo per desiderarla. Muri verdi di tasso e di carpino, barriere profumate di alloro, lecci potati ad arte, hanno lasciato un bel corredino di immagini dure a morire nel nostro immaginario collettivo, peccato che la bacchetta magica che le ha rese possibili, siano tempo, mezzi e braccia. Guardiamoci attorno, le siepi che circondano i nostri giardini non sono nemmeno lontane parenti di quelle meraviglie che gli eserciti di giardinieri del passato, riuscivano a coltivare e mantenere. Ci siamo illusi di poter sostituire la nobiltà del tasso, con cipressi leylandi e simili, magari con un bel fogliame argentato e a rapida crescita, ma con quali risultati? Siamo sicuri che quelle cose che abbiamo in giardino, rosicchiate da potature incostanti, piene di ciuffi che scappano da tutte le parti, secche alla base, siano proprio quelle che avevamo sognato? Potrei fare un elenco di tutte le nefandezze che si possono osservare camminando in città, le prime che mi vengono in mente sono le siepi con le foglie larghe tranciate dai tagliasiepi a motore, ma quelle che mi mettono tristezza sono quelle potate fino al legno perché, dopo anni di crescita libera, sono diventate troppo invadenti, in particolare quelle segate in sezione con tanta malagrazia da mostrare il loro interno nudo circondato da una corona di vegetazione. Se abbiamo lo spazio per una recinzione larga mezzo metro, perché ci ostiniamo a piantare siepi che in pochi anni si allargheranno per metri? Continuo a farmi delle domande, ma quali potrebbero essere le risposte alternative al tormentone “perché si fa così”? Innanzitutto, provare a ragionare con senso critico: una siepe può stare in campagna o in città, quindi guardare per un attimo che cosa ci circonda e magari pensare che il nostro microcosmo diventerà parte del paesaggio, sarebbe già una buona partenza. La prima analisi la facciamo con gli occhi, è un esercizio facile: cosa vediamo? Vediamo case, palazzi nuovi o vecchi, condomini, cortili, altri giardini, altre recinzioni, oppure ci sono campi, frutteti, ecc. E poi cominciamo a chiederci che effetto farà la nostra siepe in quel contesto. Non è difficile, ma per la nostra mentalità, quando si parla di giardino, è quasi impossibile uscire dalla logica dei desideri personali e ragionare in termini di immagine collettiva del paesaggio. Ogni caso ha la sua storia e il suo sviluppo, ma osservare il contesto e avere la consapevolezza del fatto che una siepe è una cosa viva, di sicuro, ci guiderà verso scelte meno banali della solita barriera di sempreverdi, per lo meno ci indicherà che se stiamo in città non potrà avere una forma libera come una siepe di campagna ma dovrà essere potata e in ordine, per non occupare la strada o i marciapiedi; quindi, se non abbiamo il tempo per farlo o i mezzi economici per garantirne una potatura ottimale, frequente e regolare, cerchiamo alternative. Un muro o una recinzione artificiale possono diventare un sostegno per rampicanti, ci sono tipologie per tutti i gusti, la cosa importante è non fare di un muro una siepe, coprendolo completamente di vegetazione. Avere mano leggera quando si pianta è sempre una buona partenza, usare la testa e non smettere di ragionare, è la cosa migliore.

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Giovanna Mattioli

È un architetto ferrarese che ama i giardini in tutte le loro forme e materiali: li progetta, li racconta, li insegna, e soprattutto, ne coltiva uno da vent’anni. Coltiva anche altre passioni: la sua famiglia, la cucina, i gatti, l’origami e tutto quello che si può fare con la carta. Da un anno condivide, con Chiara Sgarbi e Roberto Manuzzi, l’avventurosa fondazione dell’associazione culturale “Rose Sélavy”.


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