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Quale futuro per le vetrate istoriate di Notre Dame de Paris

L’incendio che ha devastato nelle scorse settimane la cattedrale di Notre Dame a Parigi ha messo in luce quanto fallace sia la prevenzione, pur certosina, verso gli incidenti posta in essere a difesa dei beni culturali di inestimabile valore.

I francesi, ai quali siamo molto vicini in questa drammatica circostanza, hanno sempre enfatizzato la loro puntigliosità e, spesso, un primato nella gestione della sicurezza sui cantieri che invece, dalle prime risultanze dell’indagine, parrebbe essere naufragata a causa di una banale serie di maldestre saldature.
Come sia possibile che questo disastro sia accaduto in uno dei siti storico-culturali fra i più visitati in Francia insieme alla Sainte Chapelle, con la sua ciclopica presenza di vetrate istoriate, o al centro museale del Louvre ancora non ha risposte certe, mentre sono certi i danni che il fuoco ha causato non solo alla struttura, ma soprattutto ai tesori contenuti all’interno o ancora all’involucro esterno composto da centinaia di vetrate istoriate legate al piombo.
Le vetrate di Notre Dame, non tutte originali risalenti alla costruzione della cattedrale nel Duecento, che avevano resistito a rivoluzioni epocali e a guerre mondiali si sono arrese alla disattenzione o alla superficialità (almeno dalle risultanze ad oggi) di qualche singolo umano.
Certo gli errori possono accadere ma questo ha un peso rilevante.
Sappiamo, anche se sommariamente, che i tesori trasportabili sono stati trasferiti al Louvre o in altri siti, ma la preoccupazione maggiore riguarda le strutture lapidee e le vetrate istoriate, in quanto fissate per loro natura alle murature.
Proprio le vetrate istoriate medievali nel loro significato storico-politico, ed anche propagandistico, e nei soggetti rappresentati prendono corpo in Francia a Saint-Denis nei primi anni del 1100 presso una abbazia ubicata a pochi chilometri a nord di Parigi, sede delle tombe reali francesi per una intuizione dell’Abate Suger.
Siamo a metà del XII secolo quando il monachesimo in forte ascesa condiziona l’iniziativa politica da un lato della monarchia francese e dall’altro si mette a disposizione del volere del Papato nell’organizzare le prime due crociate. Sono le prove generali delle prime e sofferte alleanze europee contro l’avanzata islamica che aveva occupato i luoghi santi della cristianità a Gerusalemme e tutta l’area mediorientale.

Le vetrate istoriate a quel tempo cosi come vuole la tradizione venivano prodotte ritagliando lastre piane di vetro trasparente o colorato in piccole lastrine sagomate sulle quali veniva riportata con pennelli sulla superficie e poi fissata a circa 600° una mistura liquida di ossidi di ferro e vetro, le grisaglie, per riprodurre il disegno voluto, quindi linee, sfumature, panneggi. I singoli pezzi in vetro venivano poi ricomposti e assiemati con listelli di piombo creando un preciso reticolo secondo un disegno definito e precedentemente approvato dal committente.
Tutti siamo rimasti sorpresi con gli occhi sbarrati dallo stupore quando per la prima volta abbiamo visto sulle pareti di una cattedrale in stile generalmente gotico quei meravigliosi rosoni che trasmettono luce multicolore (visti dall’interno) o quelle teorie di monofore o bifore con rappresentazioni agiografiche a figura intera o istoriate con scene religiose del vecchio e nuovo Testamento o talvolta sequenze di episodi di narrazioni che erano il “vero libro aperto del tempo” divulgabile e comprensibile ai pellegrini o ai fedeli del tempo per la maggior parte analfabeti.
Considerato che la temperatura della semplice fiamma raggiunge rapidamente i 1000°C possiamo comprendere come le temperature più alte raggiunte durante l’incendio insieme ai fumi bollenti da esso sprigionati abbiano sfregiato le vetrate fondendo il vetro, le tramature in piombo e per quelle lontane dalle temperature più alte compromesso i disegni a grisaglie.

Come ricordato, non tutte le vetrate istoriate di Notre Dame sono duecentesche, anzi sono un’esigua parte di quelle oggi istallate, residuale frutto di rifacimenti, ripensamenti sull’utilizzo degli spazi all’interno come avvenne a metà Settecento e a metà Ottocento: vi fu allora l’avvio della grande campagna di restauri che interessò molte chiese francesi a opera dell’architetto Eugène Viollet-le-Duc.
L’incendio della Cattedrale di Notre-Dame a Parigi ha fatto riscoprire a tanti europei, se pur con un vago sentimento di unità, un’Europa costituita da cittadini che partecipano agli eventi drammatici che richiamano la loro storia, ma che le Istituzioni europee hanno certamente reso incerta con scelte divisive sulle proprie radici cristiane.

Da questo grave colpo alla cultura di un’Europa che proprio in quei secoli del Medioevo stava acquisendo forma, nel mondo storico-artistico si è attivato immediatamente il dibattito fra celebri architetti di tutto il mondo – come il belga Wim Delvoye, Massimiliano e Doriana Fuksas Norman, Norman Foster e tanti altri – sul come ricostruire, con progetti anche bizzarri e restauratori, sul concetto di restauro da applicare per recuperare la funzionalità della Cattedrale, ma che al momento viene limitato alla guglia e al tetto: si rifarà in vetro, in acciaio, in legno? La riconoscibilità dell’offesa portata dal fuoco nel terzo millennio dovrà essere evidenziata per i pellegrini dei prossimi secoli oppure sarà un falso restauro stilistico contemporaneo, ripristinando esattamente ciò che è andato perduto?
La cattedrale parigina non è nuova al confronto critico verso “l’autenticità” negli interventi di recupero. Come si diceva, nella metà dell’Ottocento l’Architetto Eugène Viollet-le-Duc intervenne radicalmente in cattedrale: chiamò insieme ad altri artisti/artigiani i più importanti vetraisti francesi come Lusson e Maillot per riprodurre alla maniera duecentesca le vetrate istoriate legate al piombo, mancanti o degradate dal tempo con un contrastato risultato.
Quindi dopo questo drammatico incendio si andrà verso il concetto della reversibilità e della riconoscibilità dell’intervento di recupero sulle vetrate o verso un restauro stilistico-storico?
Le fiamme che uscivano con violenza alcuni giorni fa dai grandi rosoni istoriati e dalle ampie finestrature lanceolate, con quel carico di tesori dipinti su vetro che quasi novecento anni fa furono installate sulle grandi bucature in parete, sono un monito, non senza preoccupazione, affinchè questo confronto oggi aperto non dia luogo ad un ‘falso d’autore’ che accontenta i turisti ma che svilisce le opere d’arte.

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Marco Bonora

Nato sul confine fra le province di Bologna e Ferrara, dove ancora vive e risiede . Si occupa di marketing e di progettazione nel settore Architettura per una industria vetraria, lavora in una multinazionale euroamericana. E’ laureato in Tecnologie dei beni culturali e in Scienze e tecnologie della comunicazione presso l`Università di Ferrara. Scrive articoli su riviste del settore e ha pubblicato due volumi tematici sul vetro contemporaneo innovativo e sul vetro artistico delle vetrate istoriate del `900 presenti nelle chiese del nostro territorio. Grande passione da sempre per i viaggi a corto e lungo raggio e il mare.


PAESE REALE
di Piermaria Romani

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)