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“Buoni o cattivi non è la fine, prima c’è il giusto o sbagliato da sopportare…”
(Vasco Rossi)

Ci sono certe materie che non si possono insegnare solo in teoria: una di queste è la democrazia.
Non ho la competenza per insegnare ad altri cosa voglia dire. Nel mio piccolo, da maestro elementare, tutti i giorni provo a metterci impegno e fatica per cercare di farla vivere nella comunità della classe di cui faccio parte.
So che non è facile, so che si sbaglia molto spesso, ma so anche che è necessario provare e riprovare per ricercare un modo che si avvicini sempre di più a una forma democratica condivisa.
Ho imparato a scuola, osservando i bambini, che la via del confronto a volte è attraversata da quella dello scontro e che il dialogo può iniziare anche dalle grida.
Dialogare con l’altro però non è un dovere: o si sente che l’altro può aiutarti a crescere o si può farne a meno.
Confrontarsi con l’altro non è un obbligo: o si sente il bisogno di una visione diversa o non si può dare per scontato.
In tutto questo l’insegnante gioca un ruolo fondamentale perché ha interesse che la comunità di cui fa parte, sperimentando il dialogo e il confronto, capisca sperimentandola l’importanza di visioni diverse per il miglioramento e la crescita comuni.
Quando non si dialoga e non ci si confronta si è distanti e quando si è lontani ciascuno, sia esso bambino o adulto, spesso ha interesse a partecipare al gioco dei “buoni e cattivi”.
Ma chi sono “i buoni e i cattivi”?
Di solito quelli che dicono: NOI, pensano di essere i “buoni” e alludono a LORO come ai “cattivi”.
Di conseguenza, per capire chi siano i “buoni” e i “cattivi” occorre partire dalle motivazioni di ciascuno, dalle aspettative, ma anche dalla considerazione che si ha di sé, degli altri e del contesto.
Provo a fare qualche esempio concreto riferendomi alla serata di contestazioni al ministro dell’istruzione del 17 settembre scorso a Ferrara.
Se i “buoni” sono quelli che dicono che bisognava lasciar parlare Stefania Giannini, io sono “cattivo” perché sostengo che, dopo averla ascoltata, anche altri avrebbero dovuto intervenire pubblicamente per farle delle domande.
Se i “buoni” sono quelli che hanno dato dei fascisti, delle merde, degli stronzi e dei “sindaci di Venezia”(1) a chi ha contestato il ministro e ha criticato l’impossibilità di intervenire in un dibattito pubblico, io sono un “cattivo” perché ho gridato al ministro: “Dimissioni” e “Vergogna“.
Se i “buoni” sono quelli che non affiderebbero i loro figli agli educatori che mostravano cartelli critici verso il ministro, io sono un “cattivo” perché non vorrei che il futuro dei miei figli fosse affidato a politici volgari.
Se i “buoni” sono coloro che pretendevano un comportamento civile ed educato, io sono un “cattivo” perché quella sera ho rivolto al ministro un cartello con sopra scritto: “La cosiddetta buona scuola non è di sana e robusta Costituzione“.
Se i “buoni” sono quelli che pensano che protestare contro il ministro dell’istruzione di un governo che non cerca il confronto sia “democrazia al contrario“, io sono un “cattivo” perché credo sia giusto far sentire anche le “voci fuori dal coro“.
Se i “buoni” sono quelli che dicono che “l’unico modo civile di manifestare il proprio malumore è il voto”, io sono un “cattivo” perché penso che si possa esprimere il proprio dissenso anche protestando in maniera non violenta.
Se i “buoni” sono tali perché pretendono, con autorità, il dialogo e il confronto nel rispetto delle proprie regole, io sono un “cattivo” perché credo che il dialogo e il confronto si favoriscano con autorevolezza nel rispetto delle regole democratiche condivise.
Se i “buoni” sono LORO che si fanno chiamare “democratici”, NOI che crediamo esista nel nostro paese un importante problema di democrazia siamo i “cattivi”.
La parola “cattivo” deriva da “captivus” cioè prigioniero.
Per questo motivo, quando vedo che sulla lavagna predisposta dalla cosiddetta “buona scuola” sono state cancellate le parole “dialogo e confronto” per scrivere con suono stridulo: “buoni” da una parte e “cattivi” dall’altra, spiego e rispiego, mi indigno e mi arrabbio, contesto e protesto perché, da “buon cattivo” insieme a molti altri, penso che ci sia un gran bisogno di rompere le sbarre di questa gabbia per liberare idee e proposte diverse.

(1)Caterina Ferri, Assessore all’Ambiente del Comune di Ferrara: “Grazie a un gruppo di fascisti urlatori che si spacciano per sinistra la ministra Giannini ha dovuto rinunciare al dibattito. Questo è il livello”.
Luigi Vitellio, responsabile provinciale PD:  “Sono amareggiato, vecchi metodi, fascisti, hanno impedito al Ministro di parlare questa sera alla festa del circolo centro.”.
Davide Bertolasi, consigliere comunale: “Fascisti. Chi non fa parlare la gente si merita solo l’appellativo di fascista”.
Giulia Bertelli, responsabile per il welfare nella segreteria PD: “Oggi ho realizzato cos’è la merda. La merda è tutto ciò che impedisce la discussione, il confronto. Merda è chi urla in faccia alle persone e non ascolta la risposta. Merda è chi contesta senza nemmeno accettare un contraddittorio. Merda è chi vuol essere ascoltato ma non accetta altra voce oltre alla sua”.
Ilaria Baraldi, consigliere comunale: “Contestare a oltranza la ministra Giannini impedendole di pronunciare una sillaba non è diverso da mettere all’indice libri per bambini nelle scuole pubbliche”.
Stefano Versari, direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia Romagna: “Chi genera ansia in maniera negativa, cioè senza motivo è uno stronzo”.
(Fonte: “Contestazioni alla Giannini, dal PD “merde” e “fascisti” e “Assunzioni e classi di concorso” da Estense.Com)

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Mauro Presini

È maestro elementare; dalla metà degli anni settanta si occupa di integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Dal 1992 coordina il giornalino dei bambini “La Gazzetta del Cocomero“. È impegnato nella difesa della scuola pubblica. Dal 2016 cura “Astrolabio”, il giornale del carcere di Ferrara.


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it