Procedure fallimentari: immobili in uso ai Comuni per evitare il degrado
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Case, palazzi, edifici (spesso nuovi) che restano inutilizzati, si degradano e vanno in malora. Succede regolarmente quando ci sono di mezzo proprietà dissestate e invischiate in iter giudiziari. Quando si avvia una procedura fallimentare, infatti, i tempi sono talmente lunghi che, nel corso dei dibattimenti e dei complessi procedimenti, i beni immobiliari si deteriorano al punto da pregiudicare sovente il loro valore e talvolta persino il loro impiego. La media, secondo i dati forniti dal ministero della Giustizia e riferiti al 2016, è di 56 mesi per la conclusione del procedimento, quasi cinque anni. Ma se si tratta di grandi complessi si va ben oltre e la tempistica si dilata notevolmente.
A Ferrara è successo per esempio con il Palazzo degli Specchi, sta succedendo ora per la procedura Cir di Roberto Mascellani con il Darsena city: la torre direzionale e lo studentato sono vuoti, inutilizzati e inutilizzabili [leggi la vicenda giudiziaria con le polemiche sul liquidatore e il nostro reportage]. E intanto vanno in malora: uno squallido spettacolo, un danno per i creditori, uno spreco per tutti. Lo stesso dicasi per l’Astra casinò di Navarra in piazzetta Cacciaguida… Recentemente la questione si è riproposta con il caso del Palasilver, la struttura di pattinaggio su ghiaccio che sta accanto al Palasport.
Ma, al di là di ogni altra considerazione, è o non è un’assurdità che questi immobili, come pure altri che hanno avuto simile sorte (parliamo di edifici a volte da completare, più spesso già ultimati e mai utilizzati) restino in stato di abbandono chissà per quanto, con il rischio per non dire la certezza che si degradino, compromettendone il futuro utilizzo? Certo, una soluzione semplice non c’è, se no presumibilmente sarebbe già stata adottata, però il problema sussiste ed è tale da meritare attenzione.
La questione, ovviamente, ha una portata nazionale, situazioni analoghe si ritrovano ovunque. E alla soluzione dunque dovrebbe provvedere il Parlamento. Un’idea da considerare attentamente potrebbe essere quella di un affido temporaneo alle municipalità (o ad altri soggetti pubblici) degli immobili sottoposti a vincolo giudiziario, in maniera da prevenire il rischio del degrado dei beni, a vantaggio dei creditori e della comunità tutta, poiché ferito è il tessuto urbano. Ma anche associazioni no profit certificate potrebbero eventualmente essere chiamate a impegnarsi per la loro temporanea tutela e per una messa a realizzo del patrimonio in maniera da ripagare, con i proventi, i costi di conservazione.
Non si tratta solo di una suggestione, esperti di diritto conoscitori della materia confermano che questa strada e praticabile.
Diego Carrara, direttore dell’Acer, riconosce che “potrebbe essere una buona soluzione, ma ovviamente servirebbero normative che consentano di percorrere questa strada”. L’avvocato Gisella Rossi, esperta di diritto amministrativo, dal canto suo considera “plausibile l’ipotesi” ma al contempo mette in avviso sulla “difficoltà di intervenire in caso di immobili che non abbiano già piena agibilità, perché questa condizione comporterebbe oneri a carico del conservatore”. E’ una considerazione pertinente che potrebbe indurre quindi a circoscrivere l’applicabilità di una eventuale normativa (perlomeno in un’ipotetica fase sperimentale) solo a quei casi che non implichino interventi, cioè a quegli immobili già terminati e pronti per il mercato.
Perché, allora, non prevedere a livello legislativo proprio la possibilità di temporanee assegnazioni dei beni sottoposti a procedura fallimentare a soggetti preposti a salvaguardarne l’integrità che, per corrispettivo dell’onere assunto, incassino i proventi derivanti dal temporaneo utilizzo a ripiano dei costi sostenuti per la gestione pro tempore, destinando poi gli eventuali ulteriori introiti a vantaggio della collettività? Si potrebbe prevedere la duplice strada dell’utilizzo diretto da parte del soggetto gestore o della temporanea locazione a terzi, secondo i casi e le necessità. Forse, così operando, vedremmo meno palazzi resi fatiscenti a causa del forzato abbandono, che rappresentano comunque un insulto, specie in tempi di crisi, al di là del fatto che le risorse sprecate siano pubbliche o private. E magari si eviterebbero anche le frequenti beffe di cui ora sono vittime i creditori che, dopo anni di attesa, al riconoscimento del danno subito spesso si ritrovano con una sentenza favorevole e l’assegnazione di un ammasso di pietre.
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Sergio Gessi
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