La centrale a biogas di Goro fa paura, si profila una marcia indietro
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Non vogliono la centrale biogas ad alghe nella Sacca di Goro, “è troppo pericolosa”, dicono: incerti ambientali, rischi d’incidente e incognite sulla salute pubblica. Troppe ombre sul futuro dei loro figli e dell’economia costiera giocata sull’industria delle vongole e, da qualche tempo, anche sul turismo naturalistico.
Parola del neonato Comitato antibiogas, presieduto da Angelo Morinelli e radunato in assemblea ieri sera per ribadire il “no” all’impianto industriale. Per il Comitato il d-day più importante sarà il 9 aprile, quando i dissidenti raggiungeranno in bus la Provincia di Ferrara per fare una pacifica pressione sulla conferenza dei servizi, perché rinunci all’idea di dare il via libera all’impianto.
La centrale, curata fin dal progetto da alcune società della holding forlivese Cclg spa, il cui business contempla tra gli altri la sfera delle energie rinnovabili, ha perso fascino strada facendo. La valorizzazione energetica delle alghe si è afflosciata, per eliminarle dalla Sacca si cercheranno soluzioni alternative.
Salvo colpi di scena, il Consiglio comunale, a febbraio favorevole all’impianto tanto da piegare un terreno agricolo alle esigenze della sua costruzione, farà marcia indietro revocando la propria delibera. “Sono venuti meno i requisiti di interesse pubblico con cui è stata giustificata la posizione dell’Amministrazione – spiega Cristina Fabbri, vice presidente del Comitato – Il passo indietro del Comune ci fa molto piacere”. Parole diplomatiche, utili alla causa, ma dalle retrovie le voci sono altre: il ripensamento comunale era inevitabile, i presidenti delle cooperative hanno ritirato l’adesione all’accordo raggiunto con la società costruttrice della centrale e, di conseguenza, è decaduta la voce “interesse pubblico” su cui si reggeva il progetto.
L’assenza del sindaco e della maggior parte degli amministratori non smentisce il pensiero che serpeggia in sala ed esprime lo strappo tra la politica, le sue scelte e la società civile. A gettare acqua sul fuoco è il presidente Morinelli, che giudica gli amministratori colpevoli di superficialità per non aver approfondito i pro e i contro della produzione di biogas e compost dalle alghe. “In realtà l’apporto delle alghe è pari al 30 per cento di quanto si dovrebbe bruciare, sono solo un pretesto per creare l’impianto. Sarebbe meglio usarle per fare compostaggio senza le emissioni di tre motori sempre accesi e la presenza di serbatoi con liquidi inquinanti”, precisa il ruralista Michele Corti, docente universitario di zootecnia di montagna all’Università di Milano e ospite della serata organizzata dal Comitato. “Gli impianti sono forzature spinte dagli incentivi – dice – Si parla di usare scarti di legno, ma chi garantisce non siano trattati con sostanze nocive?”. Cosa si manda in fumo? Liquami zootecnici, fanghi industriali, cascami di animali macellati? Quali rifiuti? E, soprattutto, quali sostanze gassose si mescolano all’aria? Gli interrogativi di Corti sono quelli di tutti i presenti, tanto più che la visura camerale relativa alla ditta di costruzione della centrale, riferisce della presenza nella cordata di un’azienda di smaltimento di rifiuti industriali, urbani e tossici. Il che è motivo di grande preoccupazione per i goresi. “Se siamo qui non è certo per la politica, ma per il nostro futuro e quello dei nostri figli”, ribadisce Cristina Fabbri.
“La ditta dice che sosterrà i costi di costruzione dell’impianto, in realtà li paghiamo in bolletta, sono soldi che rientrano nei generosi incentivi dell’Italia – continua il professore – C’è poi molto da dire sulla posizione della centrale, in una zona confinante con il Parco del Delta del Po, nella Sacca, dove la profondità dell’acqua non supera i 60 centimetri. Basta un incidente, anche il più piccolo, per compromettere un ambiente tanto fragile”. La lista delle controindicazioni è senza fine: dal rischio di esondazione, che vedrebbe sommerso l’impianto e versati gli inquinanti in un mare stagnante, a quello di una perdita che potrebbe infilarsi nell’idrovora di Bonello con un conseguente disastro per gli allevamenti di vongole. “E’ una centrale complessa, l’unica in riva al mare, dove la salsedine con la sua potenza corrosiva, potrebbe favorire il deteriorarsi prematuro dell’impianto e dare vita a problemi seri per la salute e l’ambiente – continua – Faccio un esempio, se si versa per sbaglio il compost prima che sia stabilizzato ci si può trovare a fronteggiare batteri pericolosi”. Salmonella, eutero cocchi coliformi e molti altri bacilli pericolosi per l’uomo e anche per l’habitat marino. Lo sanno bene in Germania, dove le biogas sono responsabili della metà delle emergenze ambientali da incidente. L’Italia è sulla buona strada. Un esempio per tutti: il divieto di balneazione sul Garda tra Padenghe e Lonato durante la passata stagione estiva. C’è poco da scherzare.
Arrivato al capitolo economia, Marchi ricorda come sia impensabile sposare la ciclabile panoramica, pensata per il turismo naturalista, con la presenza di un impianto industriale circondato dal filo spinato, con silos alti 10 metri mimetizzati da una siepe di cipressi dalla quale emergono quattro metri di serbatoi d’acciaio verde sulla cui cima, di tanto in tanto, brilla una torcia alta sette metri. Cose da Blade Runner. Ce n’è quanto basta per smorzare l’entusiasmo turistico che si cerca di accendere intorno al Parco del Delta del Po in ogni fiera internazionale dedicata alle vacanze verdi. Insomma, bisogna decidere cosa si vuole essere. Parco o ricettacolo di strutture industriali? Qual è la scelta politica definitiva di fronte a convivenze impossibili? La tutela dell’ambiente non può conciliarsi con la sua industrializzazione, che nulla c’entra con lo sviluppo. “Il Parco del Delta del Po ha consegnato le proprie osservazioni alla Provincia durante la Conferenza di Servizi del 27 febbraio, contenevano diversi interrogativi e richiami alle prescrizioni previste dall’ente di tutela. E’ stupefacente come il Comune non abbia tenuto conto degli strumenti sovraordinati prima di esprimersi positivamente sulla realizzazione della centrale – spiega Marino Rizzati presidente del circolo Delta Po Legambiente – Sono stati ignorati vincoli che impediscono la costruzione di questo tipo di impianti. E’ noto come nelle zone pre-parco i rifiuti, perché di questo si tratta, non possano essere lavorati. Speriamo che il passo indietro dell’Amministrazione sia di buon auspicio, in caso contrario il Comitato dovrà denunciare le violazioni di legge”.
L’augurio, insiste Rizzati, è quello di una soluzione dettata dal buonsenso e dalla legalità. Una soluzione ispirata dalla consapevolezza di dover arginare i rischi elencati da Luigi Gasparini di Medici per l’Ambiente. “Le emissioni delle biogas sono considerate falsamente frutto di energia rinnovabile – dice – le quantità di biossido di azoto per le biogas sono dalle 5 alle 10 volte superiori a quelle consentite per le centrali turbogas”. Anche sull’aria non ci siamo. Troppi inquinanti e parametri, dice Gasparini, tarati sugli adulti piuttosto che sui bambini. Va da sé l’aumento dei rischi per la salute.
“I sindaci possono fare molto per impedire la costruzione di una biogas purché intervengano per tempo”, spiega in una video intervista l’avvocato Maria Calzoni. “In sede di Conferenza di Servizi il soggetto più importante è il primo cittadino, che ben conosce il suo territorio e quindi dovrà verificare se è idoneo ad accogliere una centrale”. E ancora: “Il Comune di Goro per difendere la salute e la sicurezza può insistere sul fatto che l’impianto stravolge la programmazione del territorio. Nella provincia di Padova un sindaco ha bloccato sette centrali e quando un primo cittadino si unisce a un comitato le cose cambiano”, conclude.
Non è il caso di Lendinara da dove proviene Antonella Marzara di Intercom Ambiente, un impegno per l’habitat nato dalla malattia, la leucemia, che l’ha colpita. “Vivo circondata da centrali biogas e spero che qui non si faccia – esordisce – Intorno a casa ce ne sono quattro, bruciano di tutto. Ogni 12 minuti passano 30 camion, di notte e di giorno, sono carichi di scarti puzzolenti tanto da non stendere nemmeno più i panni all’aperto, sto con le finestre chiuse per il cattivo odore”. Da sentinella dell’ambiente ha controllato l’attività degli impianti, fotografato, catturato immagini proibite di una poltiglia scura, il digestato, sparpagliato sui campi alla chetichella. Ha denunciato ed è stata minacciata. “Ho ricevuto dei proiettili, a quel punto è intervenuta la magistratura – racconta – Il problema è che di fronte agli incidenti, le domande su effetti e responsabilità restano senza risposta. E’ il modo di operare di finti agricoltori a caccia di incentivi statali facili”. E ancora: “La Bagnolo Power è a 300 metri dall’ospedale di Trecenta, lavora come un inceneritore, brucia 5 mila chili di legno l’anno – spiega – E’ come se 22 mila camini urbani fossero sempre accesi. Vogliamo parlare di chi brucia rifiuti ospedalieri e poi si regala il compost. Il 25 aprile alla Bio Power c’è stata un’implosione, i gas sono comunque fuoriusciti, quanti e quali non è dato sapere. Mancava persino la centralina prevista dalla legge per fare i rilevamenti. Tutto questo per dire che il fenomeno non può essere ignorato”. Non si può sopportare, come le è successo, di sentirsi dire che la malattia è un danno collaterale accettabile a fronte dei vantaggi offerti dal progresso. Molto meglio un passo indietro.
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Monica Forti
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