Primo maggio: se anche il consumo è flessibile
L’apertura di alcuni negozi il Primo maggio ha sollevato una quantità di discussioni che hanno posto al centro, spesso, la difficoltà del personale – per lo più giovani donne – di conciliare lavoro e famiglia. Nessuno, ovviamente, ha trovato disdicevole che il Primo maggio circolassero treni e autobus, ci fossero ristoranti aperti, si trovassero farmacie aperte, medici di guardia e personale efficiente negli ospedali (anche lì in grande parte si tratta di giovanissime donne).
Ma il consumo continua ad essere vissuto come questione che attiene al mercato, non alla vita, come luogo dello sfruttamento perpetuato ai danni di vittime inconsapevoli (tutti noi) dalle infernali tecniche del marketing. Dovrebbe essere ormai chiaro che il consumo non è solo un volano della crescita, ma è parte della vita quotidiana, espressione di identità, veicolo di relazioni e, da sempre, una componente del processo di inclusione sociale.
Siamo, da tempo, oltre la società di massa, in cui tutti facevamo le stesse cose allo stesso momento. Le nostre vite sono diventate flessibili, i nostri tempi di lavoro e di svago sono sempre meno standardizzati, i ritmi delle nostre giornate sono diversi per ognuno e assecondano esigenze sempre più individuali. Non da ultimo, in una società multietnica è davvero impossibile decidere per tutti quali giorni obbligano al riposo e quali Feste devono essere santificate.
Gli orari della distribuzione assecondano progressivamente questa diversificazione dei ritmi della vita. In sostanza, il consumo diventa un servizio, come lo sono gli autobus, i treni, i taxi, i presidi sanitari, le farmacie e così via. Quindi, non possiamo contrastare tendenze inesorabili e, peraltro, legittime. Non abbiamo il diritto di definire in astratto quali consumi siano importanti e quali non lo siano.
I discorsi sulla difesa degli spazi di vita delle persone che lavorano nella distribuzione, posti in una logica vincolistica, sono inesorabilmente destinati al fallimento. Sarebbe piuttosto utile cercare soluzioni organizzative, ad esempio, praticando turni di apertura dei punti vendita. Una pianificazione sull’arco annuo, all’interno di un’area urbana, penalizzerebbe meno il personale: i consumatori sarebbero garantiti e i dipendenti avrebbero minore disagio. Ma questo comporta capacità di collaborazione da parte dei privati e capacità di coordinamento da parte degli attori istituzionali e sociali. L’organizzazione della società cambia più lentamente delle tecnologie, l’intelligenza sociale è più lenta e non vede soluzioni che invece potrebbero essere praticabili.
Ma anche le ipotesi accennate potranno apparire anacronistiche a breve. La tecnologia consente già ora meccanismi distributivi flessibili: l’e-commerce è in rapidissimo sviluppo. Faremo la spesa con il nostro smartphone, quindi la questione della distribuzione si porrà in modi diversi. Anche in questo caso, ci sarà qualcuno che ci consegnerà a casa la spesa che abbiamo ordinato, magari a Natale o a Ferragosto. Nel complesso si verificherà una forte riduzione dell’occupazione.
In ogni caso non si può tornare alla società del passato. Il punto è, piuttosto, un altro e riguarda il senso che ognuno dà al proprio lavoro. Mio padre era capostazione e quando capitava che lavorasse a Natale, il Primo maggio, a Ferragosto o in altre festività, si sentiva un eroe nazionale, perché sapeva di svolgere un servizio indispensabile!
Maura Franchi (Sociologa, Università di Parma) è laureata in Sociologia e in Scienze dell’educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Marketing del prodotto tipico, Social Media Marketing e Web Storytelling. I principali temi di ricerca riguardano i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, le scelte e i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.
maura.franchi@gmail.com

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Maura Franchi
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)