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È di qualche settimana fa la pubblicazione di un articolo scientifico che apre la strada a nuove possibilità sulla previsione degli eventi sismici. La scoperta mira a far luce su un sistema di ‘comunicazione’ che ci sarebbe tra la litosfera, la parte “solida” più esterna della Terra, e la ionosfera, una regione dell’atmosfera che si trova tra i 60 e i 1000 km di altitudine. A spiegarci il perché dell’importanza di questa scoperta, e come si è arrivati, il professor Angelo De Santis, dirigente di ricerca dell’Ingv e primo firmatario dell’articolo apparso sulla rivista Nature, e Andrea Moccia, geologo e divulgatore scientifico, creatore della pagina socialGeologiaPop”.
Partiamo proprio da quest’ultimo, il quale ha dedicato proprio un video a questa scoperta (per vederlo cliccate qui), per avere un’infarinatura generale sui fenomeni sismici e sul perché in Italia ci sono tanti terremoti.

Puoi spiegarci cos’è, in parole semplici, un terremoto?
Ti rispondo in maniera “Pop”, cioè poco tecnica, così anche i non esperti potranno capire. Il terremoto è l’effetto, la conseguenza della rottura delle rocce. Sicuramente tutti hanno sentito parlare di faglie: bene, le faglie sono proprio quelle “rotture”. Perché avvengono? Beh, la risposta sarebbe complessa, ma riducendo ai minimi termini potremmo rispondere: “Perché le placche tettoniche si scontrano e si separano; lì dove si scontrano e separano avvengono rotture”. Quando avviene una rottura, cioè quando si muove una faglia, c’è liberazione di onde sismiche, che arrivano fino in superficie.

Perché è così difficile poterli prevedere?
Perché in realtà conosciamo ancora poco il sistema terrestre nel suo interno. Voglio dire che l’interno della terra e le sue dinamiche sono ancora per lo più sconosciute. Abbiamo fatto passi da gigante in poco più di un secolo, abbiamo teorie (vedi la deriva dei continenti), che in realtà spiegano tante cose, ma abbiamo ancora tanta strada da fare.
Spesso il pensiero comune tende a credere che conosciamo tutto, che abbiamo il controllo su tutto, anche sui fenomeni naturali. In realtà non è cosi e dovremmo ogni tanto mettere da parte il nostro egocentrismo.

Come mai in Italia ce ne sono così tanti?
Ho fatto un video a tal proposito, è piaciuto tanto. L’Italia si trova nel bel mezzo di un’area geologicamente complessa, fatta di tante placche e placchette tettoniche che si scontrano e si allontanano. Come vi ho detto nel filmato, dove ci sono placche che si allontanano e si avvicinano, ci sono faglie che si attivano. Dove ci sono faglie attive, ci sono terremoti.

Ci sono zone non sismiche?
Ci sono sicuramente zone con bassissimo rischio sismico. Un esempio è la nostra Sardegna. Guarda caso proprio in questi giorni ho pubblicato un video sul perché in Sardegna ci sono così pochi terremoti. La risposta è semplice: non ci sono scontri tettonici. La Sardegna non fa parte dell’Italia dal punto di vista geologico. Un tempo, infatti, era letteralmente attaccata alla penisola Iberica, per intenderci, alla Francia e alla Spagna. Questa differente origine fa sì che oggi la Sardegna non sia interessata dall’attivazione di faglie. In termini più generici, più siamo lontani dai cosiddetti “margini di placca”, meno terremoti avremo. Ovviamente ci sono eccezioni. Sappiate che esistono delle carte che mostrano dove sono situati i margini di placca. Per i più interessati, ho proposto un video anche su questo tema. Basta cercare su youtube.

A parere tuo, qual è la portata di questa recente scoperta?
Più grande di quel che si è percepito. È sicuramente un grande passo in avanti che ci permette di spingere i nostri orizzonti. Però si faccia ben attenzione a non credere che oggi i terremoti siano prevedibili. Abbiamo appena scoperto una relazione tra i terremoti e la ionosfera. Serviranno decenni per capirci qualcosa in più, e non è detto che potremo prevedere i terremoti cosi come prevediamo il meteo nell’arco di 48 ore.

Un giorno saremo in grado di poter prevedere un terremoto a parere tuo?
Personalmente sono fiducioso e sono sicuro che ce la faremo. Poco più di un secolo fa se avessimo detto a qualcuno che avremmo potuto telefonare in ogni punto della terra, avrebbe riso per ore. Oppure, se gli avessimo detto che avremmo creato un mondo digitale (internet) non avrebbe avuto neanche gli strumenti per capirci.
Sono dell’idea che le capacità umane hanno enormi potenzialità. Dobbiamo solo cercare di utilizzarle al meglio, cercando di distaccarci ogni tanto dai meccanismi e dalle dinamiche economiche.

Il professor De Santis ci ha, invece, spiegato più nel dettaglio come si è arrivati a questa scoperta, i suoi significati e quali sono le prospettive future.

Cosa significa questa scoperta e quali prospettive apre professore?
In poche parole abbiamo confermato che nella fase di preparazione di forti terremoti, con una magnitudo di 5.5 o superiore, la litosfera, attraverso dei fenomeni specifici, in qualche modo “comunica” attraverso l’atmosfera fino alla ionosfera, dove abbiamo analizzato i dati magnetici e di plasma ionosferico dai tre satelliti della missione “Swarm” dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa).

Come ha operato questa missione?
Sono stati lanciati dall’Esa tre satelliti gemelli, dotati di magnetometro e un misuratore di particelle di densità elettronica nella ionosfera. Questi satelliti volano a 500 km circa di quota, effettuando delle misure proprio all’interno di questa fascia. Quindi, con un approccio molto rigoroso, analizzando questi dati da satellite, abbiamo confermato, facendo una correlazione statistica, che c’è appunto corrispondenza tra anomalie ionosferiche e successivi terremoti. In pratica qualche mese prima del sisma ci sono delle concentrazioni di anomalie nella ionosfera che precedono i terremoti. E queste concentrazioni sono fortemente significative, in pratica non possono essere dovute ad un andamento casuale.

Può chiarire cosa sia la ionosfera?
La ionosfera è uno strato ionizzato dell’alta atmosfera, siamo oltre i 50 km. Ionizzato vuol dire che non abbiamo soltanto atomi neutri ma ci sono anche atomi ionizzati, cioè con ioni positivi ed elettroni.

Le “concentrazioni” di cui parla, cosa sarebbero?
Generalmente le chiamiamo “anomalie”. Si analizzano il segnale magnetico e di densità elettronica: quando i segnali sono molto diversi da quelli tipici di fondo, allora li consideriamo anomali.
Per essere precisi: analizzando i dati pervenuti durante la semi-orbita dei satelliti (un’orbita completa è di circa un’ora e mezza), questi dati possono subire delle variazioni, quando queste superano due volte e mezzo la variazione tipica nella ionosfera, possiamo dire che si tratta di un’anomalia ed analizziamo questa piccola “finestra” nel tempo e nello spazio. Quello che rileviamo è che c’è una concentrazione di queste anomalie prima dei terremoti, come detto.

Come avviene l’analisi?
L’analisi è rigorosa perché la andiamo a confrontare con diverse centinaia di simulazioni analoghe, in cui confrontiamo sempre lo stesso ‘set’ di terremoti. Abbiamo analizzato 5 anni di dati satellitari su quasi tutta la superficie terrestre, considerando 1500 terremoti di magnitudo di 5.5 o superiori, eseguite le correlazioni e quindi confrontati i risultati dell’analisi di correlazione con quelli ottenuti andando a ridistribuire casualmente le anomalie negli stessi intervalli di spazio e tempo: si trova nettamente che gli indici di concentrazioni di anomalie reali sono una volta e mezza o due volte superiori alla norma. Non possono, perciò, essere una casualità.

Quindi questo apre la possibilità e la speranza nel prossimo futuro di poter prevedere e in qualche modo avvisare la popolazione di un possibile terremoto di forte intensità?
La cosa non è così semplice. Per fare ciò dobbiamo passare da un approccio statistico, che è quello che abbiamo applicato noi, ad un approccio deterministico. Si tenga conto che l’approccio statistico ci ha permesso di affermare con sicurezza che la litosfera comunica, in caso di forti terremoti, con la ionosfera. Ma non in tutti i casi, solo in gran parte di questi i due strati sono in comunicazione. Il passaggio dall’analisi statistica a quella deterministica è, però, molto complicato. Una cosa è dire che in media le anomalie sono legate ai terremoti, ma un’altra cosa riconoscere quali singole anomalie sono attribuibili ad un certo terremoto.

Quanto tempo ci vorrà per passare da un approccio statistico ad uno deterministico?
Questo è un passaggio che richiede molto tempo, non escludo che possa essere molto difficile o quasi impossibile da fare. Sicuramente il primo passo per fare delle conclusioni attendibili era quello di assicurarsi che, in occasione di forti terremoti, ci sia comunicazione tra la litosfera e la ionosfera, cosa che abbiamo fatto. Questo è quello che ha messo la parola fine a una serie di studi che duravano da almeno 20 anni, iniziati da diversi colleghi di team internazionali. Averlo fatto ci permette di avere le speranze, ma serve ancora molto lavoro.

Quindi un giorno avremmo la possibilità di fare delle previsioni sui terremoti?
Non ci sarà mai la possibilità di affermare con certezza dell’arrivo di un terremoto, ma comunque per avere dei dati sempre più attendibili penso che ci vorranno almeno altri 30 o 40 anni, sicuramente più di un’altra generazione di ricercatori, perché il problema è davvero molto complesso. Quello che posso prevedere è che si arriverà ad una soluzione simile a quella delle previsioni meteorologiche, dove si dà una probabilità che piova o che ci sia il sole, ad esempio. In questi termini credo che nel giro di una o due generazioni, gli scienziati potranno dire: “Tra una settimana o, al massimo tra un mese, potrà esserci in quella certa regione un terremoto forte (ad es. di magnitudo uguale o superiore a 6), con una probabilità dell’80-90% che realmente accada”. Probabilmente, tale previsione migliorerà tanto più ci si avvicinerà al momento dell’evento, proprio come per le previsioni meteo.

Da cosa è nata l’idea di guardare verso il cielo per studiare i terremoti?
In realtà quello che stiamo facendo ci fa capire che prima di un forte terremoto anche la ionosfera è perturbata, ma questo non vuol dire che sarà l’unica a fornire segnali precursori, ma invece che è una delle tante sentinelle possibili di un terremoto imminente. La sentinella più famosa, però, rimane il sismografo, che può indicare già l’inizio di una certa sismicità dopo un periodo di calma in una certa regione. Questo può essere un utile strumento per mettere in allerta la Protezione Civile e le popolazioni che vivono in zone a rischio. In tal senso ci sono già, negli Usa e in Giappone, delle procedure di “allerta precoce”, le quali si basano sull’arrivo di “onde P”, che sono le prime ad arrivare dall’ipocentro, dove avviene la “rottura” della faglia che causa i terremoti. A seconda poi della distanza dall’ipocentro, si può avere qualche decina di secondi di tempo, che non è molto, ma può far interrompere tutta una serie di attività a rischio, come far rallentare i treni super-veloci, o bloccarne il passaggio sui ponti.
Tornando alla ionosfera, questa zona si è fatta conoscere ancora prima di essere scoperta, poiché la sua esistenza ci permette di trasmettere da un punto all’altro della superficie terrestre senza perdere il segnale nello spazio, il principio che ha sfruttato Guglielmo Marconi nel 1901 con la prima trasmissione radio transcontinentale, anche se quest’ultimo non sapeva di cosa si trattasse, ma che lo portò al premio Nobel nel 1909. In tutto questo soltanto negli ultimi 10-15 anni si è appreso che la Terra non è affatto un pianeta fatto di tanti strati che non comunicano tra loro, in realtà è un sistema in cui, non solo la parte solida, ma anche le sue parti fluide, come l’atmosfera e la ionosfera, hanno un ruolo importante nella dinamica e nella sua evoluzione.
Quindi quando qualcosa di estremamente energetico, come un terremoto, avviene nella parte solida, la litosfera, in qualche modo, innesca meccanismi di comunicazione anche con i vari strati sovrastanti.

L’Italia è stata in prima fila in questo studio?
L’Ingv (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) è uno dei migliori istituti di ricerca a livello europeo. Abbiamo dato sempre priorità allo studio dei fenomeni fisici terrestri, non solo ai terremoti, ma anche alle eruzioni vulcaniche.
Abbiamo acquisito molta esperienza nello studio del campo magnetico terrestre, con esperti che hanno approfondito lo studio anche delle parti alte dell’atmosfera, il che ci ha permesso di arrivare a questo risultato.
È un lavoro che si è venuto a creare dagli investimenti che sono stati fatti sia a livello nazionale che internazionale. Devo dire che fondamentale è stato anche l’apporto dell’Agenzia Spaziale Europea, la quale ha messo a disposizione i dati dei satelliti ed ha anche finanziato il progetto, ma anche l’Agenzia Spaziale Cinese ha dato un contributo rilevante al nostro team di ricerca, coinvolgendoci nelle attività legate al primo satellite cinese (Cses, Chinese Seismo-Electromagnetic Satellite) per lo studio dei terremoti dallo spazio.

Per concludere possiamo dire che la parte più rilevante resta la prevenzione?
Certo! Proprio come nella vita, dove si deve essere pronti ad affrontare ogni problema possibile. La prevenzione è sicuramente la prima cosa che ci preoccupa, e in questo il nostro ente è sicuramente all’avanguardia perché prepara, per le istituzioni, la carta della pericolosità sismica. Prima di tutto bisogna conoscere quali siano le zone pericolose e quindi prepararci ad affrontare il problema nelle regioni riconosciute come sismiche. Dopo la conoscenza delle regioni dove ci possiamo aspettare maggiore sismicità, allora possiamo intraprendere lo studio della previsione. I modelli fisici che tentano di spiegare la fenomenologia che avviene in occasione di un terremoto, non potrebbero essere costruiti senza una dettagliata ed approfondita conoscenza dei terremoti.
La prevenzione resta la parte più importante.

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Jonatas Di Sabato

Giornalista, Anarchico, Essere Umano


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