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Buongiorno. Anche in questo sabato di silenzio che conclude una settimana di silenzi. Silenzi vivi però. Quasi a voler anticipare il Sabato Santo: il grande silenzio che avvolge tutta la terra nel giorno in cui il Signore riposa dopo la lotta vittoriosa contro il dragone.

Ho una cosa da chiedervi, anche se so già che molti già la fanno. Pregare penserete voi. Sì anche pregare, perché è importante, importantissimo farlo in questi giorni.  E ricevo numerosi messaggi di persone che m’invitano a ricordare nella preghiera le persone ammalate, quelle sole, i medici, gli infermieri, gli agenti e tutti coloro che lavorano per noi. Ed io rispondo che lo faccio sempre; e alla sera prima di entrare in parrocchia, vado fin sulla porta e sotto le finestre della comunità La luna, vi giro attorno e mentre dico il Pater tocco le pietre del muro una ad una come fossero persone.

Ho sentito anche al telefono il mio medico, che mi ha raccontato che fa il possibile, assieme ad altri suoi colleghi del gruppo medicina, per essere di aiuto a chi chiede loro assistenza. Ma ha aggiunto che i veri eroi sono i medici ospedalieri direttamente a contatto con i malati di Covid. Salutandolo gli ho detto che pregavo per loro e lui di rimando mi ha detto: “Grazie di cuore. Ne abbiamo assoluto bisogno.”.

Ma vi è un’altra cosa di cui c’è bisogno, e non è meno importante del pregare, vale  a dire mettere in pratica la Parola. Sostiene Michel de Certeau che vi è un credere originario, insito nell’umano, nella forma esistenziale: e questo credere è “praticare l’alterità, l’altro”. Quindi vi chiedo – lo chiederei anche i ragazzi del lunedì – di avviare questo esercizio spirituale, per così dire, perché in realtà l’esercizio che vi chiedo coinvolge anche il corpo: ovvero passa dal cuore, arriva allo spirito e solo alla fine affiora sulle labbra, come una risposta a chi hai di fronte.

Ricorderete che nella ricerca del santo Graal, l’unico che lo trova è Parsifal. E questo perché, in ragione della sua ‘trasparenza d’animo’, egli vede con gli occhi del cuore, sa porre la domanda giusta al guardiano che non lascia passare nessuno: e la password che gli permette l’accesso di fronte al guardino anziano e soffrente è “Che cosa ti affligge, qual è la tua sofferenza?”.

Mi ha telefonato anche il papà di Marco, per aggiornarmi sulla situazione in via Assiderato. E – sorpresa! – mi ha riferito che hanno creato una chat per quelli della via, in modo da aiutarsi l’un l’altro tra vicini; si passano le notizie e uno provvede a fare la spesa per tutti. Ecco gli esercizi, le buone pratiche di solidarietà verso coloro che sapete essere soli in casa, scoraggiati o in difficoltà, perché hanno perso il ritmo di prima, anche i giovani ne risentono. Ecco l’opportunità. Pensate a un amico. Pensate ad un vicino. Attivate l’inventiva del quotidiano; e se le strade non sono agibili, escogitate percorsi alternativi nel rispetto del bene comune che è la vita di tutti.

Vi voglio raccontare un’esperienza di tanti, tanti anni fa. Un’esperienza per me così forte che la scrissi nel mio taccuino nel lontano 2000 e poi non dissi a nessuno. Era il primo dicembre, ed ebbi un sogno suscitato da un incontro reale: un sogno che operò in me come un ‘accrescimento di coscienza e di responsabilità’.

Ve lo racconto così come l’ho appuntato.

L’altra notte – scrivevo – ho sognato di essere in un luogo indefinito, un camerone con tanta gente seduta a tavoli piccoli, che non potevi evitare di urtare mentre vi passavi in mezzo, e voltandomi mi accorsi che ad uno di essi era seduto Papa Wojtyła. Con il dito mi fece segno di fermarmi. Quindi mi mostrò un biglietto natalizio con dei lustrini luccicanti, chiedendomi cosa fosse. “Che strana domanda mi fa?”, pensai. “Perché non comprende che è un biglietto natalizio?”. Tenni tuttavia quel pensiero per me e mi fermai per spiegargli cosa fosse. Passò un attimo lunghissimo, e poi sentii come di dovergli chiedere qualcosa: una domanda che porto sempre dentro di me, anche quando dormo o non affiora alla coscienza. Ma diviene martellante, ogni volta che incontro persone imprigionate e scosse dal dolore, dalla malattia, quando ascolto il telegiornale, quando cammino in ospedale o faccio mentalmente l’elenco degli ammalati e delle persone sofferenti della parrocchia. E così chiesi al Papa con un profondo slancio interiore, quasi a voler esigere a tutti i costi una risposta, sicuro che mi sarebbe stata data, come a volermi alleggerire un poco da quella domanda, che a volte è pesante come un macigno, e chiesi – ripetendolo però più volte – “perché tanta sofferenza nel mondo? perché? perché?”. Mi veniva da piangere. Lui però non rispose. Mi alzò in piedi, prese la mia testa tra le mani e l’avvicinò alla sua in modo che le nostre fronti si toccassero. Restammo così un poco, senza guardarci, con gli occhi chini, fronte a fronte. E infine mi svegliai.

Per tutta la giornata pensai al sogno, chiedendomi cosa potesse averlo fatto nascere. Ma niente; non mi veniva una spiegazione. Anche quella sera andando a trovare la nonna di Maria Grazia, lo facevo spesso, che non parlava più a causa di una malattia che l’aveva lentamente paralizzata – tanto che rischiava ogni momento di soffocare, per via della saliva che si fermava nell’esofago oramai immobile e non andava né su né giù – le raccontai il sogno, e dopo avere riferito anche altre cose, ritornai a casa. Il giorno dopo, mentre ero sovrappensiero, ricordai però un gesto a cui non avevo fatto caso la sera prima, né le volte precedenti. E allora compresi. Quando quella signora stava male, fino a soffocare, la figlia o la nuora la sollevavano dalla poltrona mettendola in piedi: poi l’avvicinavano a loro, e fronte a fronte con la mano l’aiutavano a calmarsi e a riprendere il respiro. Ecco da dove veniva il mio sogno. Allora mi sembrò di risentire la domanda: “quanta sofferenza?” e la risposta non c’era, o meglio non era in parole, ma in un gesto piccolo piccolo, che univa due persone nella solidarietà dell’amore: fronte contro fronte, gli occhi chini finché il respiro non ritornava.

Quando morì Giovanni Paolo II, il 2 aprile 2005, mi ritornò vagamente alla memoria del sogno. A farmelo ricordare fu la grande fotografia posta sul sagrato della cattedrale. La foto che lo ritrae con la fronte appoggiata al crocifisso del suo pastorale. Fronte a fronte con il Signore.

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Andrea Zerbini

Andrea Zerbini cura dal 2020 la rubrica ‘Presto di mattina’ su queste pagine. Parroco dal 1983 di Santa Francesca Romana, nel centro storico di Ferrara, è moderatore dell’Unità Pastorale Borgovado che riunisce le realtà parrocchiali ferraresi della Madonnina, Santa Francesca Romana, San Gregorio e Santa Maria in Vado. Responsabile del Centro di Documentazione Santa Francesca Romana, cura i quaderni Cedoc SFR, consultabili anche online, dedicati alla storia della Diocesi e di personaggi che hanno fatto la storia della chiesa ferrarese. È autore della raccolta di racconti “Come alberi piantati lungo corsi d’acqua”. Ha concluso il suo dottorato all’Università Gregoriana di Roma con una tesi sul gesuita, filosofo e paleontologo francese Pierre Teilhard de Chardin.


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