PRESTO DI MATTINA
Il sogno e la leggenda del monaco Epifanio
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Aveva aperto il Chronicon, il diario della parrocchia, e restava indeciso se scrivere di quello strano sogno, spuntato la mattina presto, poco prima del suono della sveglia.
Era il giorno dell’Epifania e la sera prima si era riletto il vangelo del giorno della festa che finiva dicendo dei magi che, avvisati in sogno da un angelo delle intenzioni di Erode, fecero ritorno al loro paese per un’altra strada. Come sementi durante la notte quelle parole avevano germogliato dentro di lui e si erano impastate con quelle scambiate nel quotidiano, tra la gente e l’altare, fuori e dentro la sua chiesa. Un ‘prete della soglia’, dicevano del suo vecchio parroco: perché lo si vedeva la domenica, all’ingresso della chiesa, accogliere e ascoltare le persone. Così, anche per lui, come per il suo vecchio parroco, egli sperava che all’omelia tutte quelle parole sparpagliate, mescolate insieme, si sarebbero raccolte in un pensiero, che forse avrebbe profumato e luccicato di vangelo l’assemblea. Sapeva che sognare un angelo significava ricevere un messaggio, e che tutto ciò aveva lo scopo di sostenere nelle prove, consolare nelle afflizioni o consigliare quando vi era necessità di venire a capo di una crisi e prendere una decisione. Questo lo convinse a scrivere.
Era un periodo in cui in parrocchia venivano in molti, per diverse necessità. Di recente aveva anche ospitato per un po’ di tempo un senzatetto di passaggio. Tanti incontri che, di questi tempi, venivano spesso introdotti da un ammonimento rivolto a coloro che gli si avvicinavano con la mascherina a mezz’asta, o si accostavano senza accorgersene a meno di un metro di distanza. Allora egli diceva con una certa decisione, alzando la voce e con il gesto delle mani: «fermo lì, manteniamo le distanze!». L’altro intimorito, e talvolta mortificato, faceva qualche passo indietro. Il parroco sentiva che non era contento di quelle parole: ma erano più forti di lui. Anzi, si sentiva quasi in dovere di dirle per proteggere le molte altre persone, spesso anziane e ammalate, che incontrava ogni giorno. Così quella notte sognò di essere in cammino con i Magi verso Betlemme alla luce della stella. Ma ad un certo punto, improvvisamente, si ritrovò da solo e nell’oscurità. Si guardò attorno, non c’era proprio nessuno. Continuò comunque nella direzione indicata, e quando giunse in prossimità della grotta vide che non c’erano più né Maria né Giuseppe. E neppure l’asino e il bue. Solo una culla vuota. Si mise allora a cercare lì attorno; finché trovò un pastore che dormiva vicino al suo gregge. Ma avvicinatosi per svegliarlo, si accorse dalla luce che filtrava da sotto il mantello, era invece un angelo del Signore, che gli disse: «Non è più qui, ma va e lo incontrerai sulla strada da cui sei venuto».
La strada portava verso Oriente, inoltrandosi nel deserto. La percorse a lungo, fino a quando, verso sera, all’imbrunire, scorse in lontananza una carovana. “Sono i magi” disse tra sé. “Ma no ‒ si corresse subito ‒ non vedo i cammelli”. Avvicinandosi, vide che questa gente gli veniva incontro salutandolo: uno precedeva di poco un gruppetto, che a contarli così da lontano sembravano dodici; e c’erano pure delle donne con loro. Affrettò allora il passò, augurandosi che questa volta fosse proprio Lui con i suoi discepoli, che gli veniva incontro. E al pensare che finalmente lo avrebbe visto per la prima volta, senti l’emozione attraversarlo tutto, la stessa gioia di quando sognava i propri cari che gli sorridevano contenti. Non riuscì a trattenersi dal corrergli incontro, allargando le braccia, come non aveva mai fatto prima; ma dovette rallentare quasi subito non appena si avvicinò al Signore, il quale a pochi passi da lui teneva bensì distese le braccia, ma anziché allagarle, le allungava davanti a sé con il palmo delle mani aperto verso di lui, come per respingerlo e farlo arretrare: «fermo lì ‒ gli disse‒ manteniamo le distanze». A quelle parole fu tutto sottosopra, rivoltato da capo a piedi come un calzetto. Un istante di dolore, un istante solo, poi lo sguardo di Gesù incrociò il suo con la stessa intensità di quello che Egli rivolse al giovane ricco nel vangelo, che gli chiedeva cosa gli mancasse per vivere in pienezza, e subito in quello sguardo di amore il maestro aggiunse: «seguimi».
Mise la data del giorno in cima alla pagina e richiuse il Chronicon. Restò pensieroso. Si sforzava di ricordare quel volto, che sembrava però evaporato con il sogno. La memoria indovinava solo un volto velato. Eppure lo aveva avuto lì davanti: lo sguardo dei suoi occhi fissi su di lui lo avevano liberato dal dolore; e quella voce gli aveva tolto la paura dell’esclusione infondendogli la forza di camminare. Allora pregò un poco, più volte, con quel bel salmo che dice: «il tuo volto Signore io cerco, non nascondermi il tuo volto» e raccogliendosi interiormente si commosse nel profondo.
Suonarono alla porta di strada, che era rimasta ancora chiusa. Ma non guardò come di solito dalla finestra per sapere chi fosse. Scese anzi le scale di corsa come se sentisse, ancora in preda al sogno, che era Lui a ritornare. Aprì allora il portone tutto eccitato, ma … si trovò di fronte uno sconosciuto. In realtà, anche se il volto era ben coperto dalla mascherina, sapeva bene chi fosse. Chiedeva indicazioni per la mensa della Caritas e qualche soldo. Glieli diede entrambi, ma prima di salutarlo gli chiese quale fosse il suo nome: e lui ripose Epifanio, continuando distrattamente per la sua strada.
Non poteva essere un caso, pensava tra sé, risalendo le scale. E rientrando in camera ripercorse con la mente la storia del monaco Epifanio, che conosceva bene avendola raccontata diverse volte in parrocchia ai ragazzini del catechismo.
«Epifanio voleva dipingere un’icona, raffigurante il Cristo, che dicesse con i colori tutto di Lui: la divinità e l’umanità, il mistero e la sua manifestazione; appunto la sua Epifania. A volte il santo monaco si esaltava a fantasticare come sarebbe stata la sua tavola. Ne vedeva i colori, immaginava i lineamenti del volto di Cristo, maestosi ma anche dolci, da amico. Altre volte, invece, cadeva in profondi scoramenti, perché giudicava presuntuoso quel suo sogno e perché pensava che mai avrebbe potuto trovare un modello per il Cristo. Allora il suo Abba gli disse: “Mettiti in viaggio e va a cercare un modello del volto di Cristo tra la gente”.
Cominciò dunque Epifanio il lungo pellegrinaggio, del quale non conosceva la meta, ma solo lo scopo: doveva trovare un modello per dipingere il Cristo.
Passarono così mesi, anni, senza che Epifanio riuscisse a trovare quello che cercava. Qualche volta gli era sembrato di intravvedere un volto adatto, che subito iniziava a dipingere. Ma si accorgeva dopo poco che mancava sempre qualcosa. Un giorno Epifanio rifletté sul fatto che spesso gli accadeva di scorgere in un volto qualcosa, magari solo un particolare, che assomigliasse a quello che cercava, ma tutto il resto non era adatto a completare il dipinto. Fu allora che ebbe l’illuminazione. Avrebbe potuto condurre a termine l’impresa, cercando in tanti volti diversi le parti che avrebbero composto il suo Cristo. Da quel giorno mutò il modo di guardare la gente; perché andava cercando soltanto i particolari, ma per farlo doveva fermarsi ad ascoltarli, scrutando i loro volti.
A poco a poco Epifanio riprese coraggio e cominciò a tracciare i primi segni sulla tavola. Così incontrò la gioia in una fanciulla che cantava; poi la forza di un contadino che trasportava pesanti sacchi di grano. Scopri la solennità nel volto di un diacono che cantava il vangelo alla messa. Ritrasse la malinconia degli occhi rassegnati di una prostituta. Contemplò il segno della presenza di Dio sulla faccia implorante di un mendicante. La bontà gli si rivelò nell’atteggiamento di un prete che assisteva un ammalato; e sofferenza in questi. Poi scopri la severità mite di un monaco e la giustizia di un padre che divideva in parti uguali il pane tra i figli e al più piccolo, rimasto senza, donava il suo. Una donna che allattava la creatura gli ispirò la tenerezza; un ladro inseguito dalle guardie, la paura. Lesse nel pianto di una madre vedova un dolore smisurato. Mentre l’allegria sprigionava dal canto di un giullare e la misericordia dalla mano benedicente di un vecchio confessore. Epifanio raccolse tanti altri particolari che mescolava, sovrapponeva, contemplava l’uno con l’altro e infine traduceva in segni e colori, cercando in ognuno anche la forma esteriore degli occhi, delle labbra e del naso, dei capelli, del collo, delle mani. Il volto del Cristo andava prendendo sempre più consistenza, ma il monaco non ne era ancora contento. Gli sembrava che mancasse qualcosa.
Un giorno stava riposando, seduto ai margini di un prato; quando senti il suono di un campanello che gli annunciava, come era prescritto, l’avvicinarsi di un lebbroso. Sentì un brivido attraverso tutto il corpo, ma non si mosse, sia perché era molto stanco, sia perché non gli sembrava caritatevole fuggire davanti a un fratello sventurato. Il lebbroso si fermò appena lo vide e gli parlò: “Non avresti un pezzo di pane, anche duro, giacché non mangio da diversi giorni, fratello?” Aveva il volto coperto da bende e da un velo, e la sua voce si diffondeva come se giungesse da un luogo invisibile. “Certo che te lo posso dare. Te lo lascerò qui accanto, perché tu lo possa raccogliere. Ma dimmi, chi sei tu, che mi sembri parlare con una voce nobile e dolce?”. “Che importa dirti il mio nome? Vedo che hai dipinto un’immagine di Cristo. Dovresti sapere, fratello, che Lui ha detto di essere in ciascuno di noi che soffriamo. Dunque questo io sono: il Cristo che tu disegni”. Epifanio fu molto turbato dalle parole del lebbroso e, dopo aver deposto il pezzo di pane, raccolse la bisaccia, la tavola e il bordone, salutò lo sconosciuto e riprese il cammino. Poco lontano si fermò e diede alcuni tocchi di pennello sulla tavola dipinta. Ecco che cosa mancava a quel volto: il mistero del Cristo velato anche dopo la sua manifestazione».
Il suono dell’organo in chiesa gli annunciava ormai imminente l’inizio della messa solenne. Scese di corsa, salendo poi i gradini dell’altare maggiore per prendere l’evangeliario e recarsi all’ambone per proclamare il vangelo. Sentendo però ancora forte il desiderio di scoprire quel volto velato, mormorò a fior di labbra le parole della benedizione di Dio sul suo popolo in cammino nel deserto e presente anche davanti ai suoi occhi: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace».
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Andrea Zerbini
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