Premio Nobel tra applausi e proteste
Dylan tace e il mondo si divide
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A vent’anni esatti dalla sua prima candidatura al Premio Nobel per la Letteratura, lo storico cantautore Bob Dylan ha ricevuto la scorsa settimana l’importante riconoscimento per “aver creato una nuova espressione poetica nell’ambito della tradizione della grande canzone americana”. L’annuncio dell’assegnazione è stato accolto da un boato in sala, un fragore che per poco tempo sarebbe riuscito a tenere nascosto il malessere dei tanti “letterati vecchio stile” che hanno storto il naso in maniera più o meno garbata.
“Se Bob Dylan può vincere il Premio Nobel per la Letteratura, Stephen King deve entrare a far parte della Rock and Roll Hall of Fame”, così lo scrittore di thriller Jason Pinter si è espresso in un tweet “pseudo spiritoso”. Un sasso nello stagno? No, una goccia nell’oceano: negli ultimi tre giorni intellettuali, musicisti e parlatori da bar si sono divisi in due fronti del SÌ e del NO compatti ed agguerriti da far sembrare il dibattito sul referendum costituzionale roba da principianti.
È giusto che Bob Dylan abbia ottenuto il Premio Nobel per la Letteratura?
I testi delle canzoni di Dylan sono zeppi di significati politici e sociali al punto da poter essere considerati qualcosa di più di semplici canzoni popolari. Nei decenni, Dylan ha saputo dar voce a quell’America che di voce non ne aveva, l’America dei sobborghi dei profughi e dei diseredati, dei disertori e dei martiri sconosciuti; raccontandola per come viveva e per come pensava, riuscendo a raccogliere e ad elevare a poesia il pensiero di quegli Stati Uniti che non si riconoscevano nel perbenismo dell’epoca e che avevano vissuto su se stessi il fallimento del sogno americano. Anche se la grande maggioranza, se non la totalità – la motivazione non lo lascia trasparire -, dei brani determinanti all’assegnazione del Nobel risalgono a circa mezzo secolo fa, non bisogna cedere alla tentazione di giudicare tale assegnazione come ha fatto Irvine Welsh, esponente della “fazione per il NO”, “la scelta di un consesso di anziani hippies che convergono sul premio nostalgia della loro adolescenza”.
La polemica comunque non accenna a diminuire e quello che dovrebbe essere il tributo ad un autore che ha segnato ben quattro generazioni rischia di essere trasformato in una scusa come tante per riempire pagine di giornali prive di contenuti interessanti o per sfidare la noia di tutti i giorni con status e cinguettii sui social spesso fini a se stessi.
L’unico dubbio a mio avviso possibile sulla giustezza di tale riconoscimento a Dylan sta nel perché proprio a Dylan e non ad altri poeti della musica popolare come John Lennon o Bruce Springsteen, non dissimili da Dylan per contenuti di alcuni dei rispettivi capolavori, per fare un esempio “Working Class Hero” e “Born In The USA”. La verità è che si assegna solo un Nobel all’anno e che sarebbe impossibile rendere giustizia a tutte le menti straordinarie che hanno popolato e popolano quella zona in cui musica e cultura letteraria coincidono. Forse sarebbe stato il caso di istituire un Premio Nobel per la Musica, chissà… Secondo me il dilemma sarebbe rimasto: sarebbe stato meglio premiare Dylan per la sua valenza musicale o per quella letteraria? Vista la semplicità delle musiche e la profondità dei testi sarei per quella letteraria, e direi lo stesso anche per gli altri artisti già citati; ma poi chi sentirebbe più i “letterati vecchio stile”?
In tutto questo trambusto, chi non si è ancora espresso è proprio lui: Bob Dylan. Lui che con la sua musica, la sua voce e la sua poesia ha attraversato sei decenni in cui il mondo si è politicamente e musicalmente rovesciato prosegue il suo Never Ending Tour come se nulla fosse accaduto, probabilmente disinteressato, quasi compiaciuto di alimentare silenziosamente la polemica. Da sempre persona poco espansiva, Dylan, come al solito, sale sul palco, non saluta, suona, non parla fra le diverse canzoni e, quando ha finito, come è arrivato se ne va. Non ha ritirato il Premio, né ha mandato qualcuno a ritirarlo per conto suo. Alcuni cominciano ad avanzare l’ipotesi che Dylan il Nobel potrebbe addirittura rifiutarlo spiazzando tutti ancora una volta o che, rimanendo fedele al suo stile, potrebbe andarlo a ritirare e non dire nulla, alzare le spalle ed andarsene. Chissà cosa ne pensa Dylan di tutto questo ora che, a 75 anni suonati, è tornato alla ribalta con un aumento dei passaggi radio in America superiore al 500%, ora che il mondo intero parla di lui e che, pur avendo vinto ed essendo universalmente riconosciuto e amato per le sue doti artistiche è riuscito ancora una volta a fare arrabbiare.
“The answer my friend(s) is blowing in the wind”.
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Fulvio Gandini
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