Incarichi, rimborsi, scandali, propaganda, consenso, clientele. Sono termini che ricorrono (troppo) spesso quando si parla di politica. Non da oggi, anche se l’impressione è che le cose peggiorino progressivamente, si degradino di continuo. Ma forse questa è solo una sensazione, figlia di un atteggiamento che ci induce al rimpianto di un presunto ‘bel tempo andato’, che tale in genere è solo nel ricordo. Perché il rimpianto vero che nutriamo è semplicemente quello della nostra giovinezza, di quando ancora avevamo tutta la strada dinanzi, colma di incertezza ma gravida anche di possibilità.
Di certo, però, la politica dovrebbe essere ben altro dal raccapricciante spettacolo al quale quotidianamente siamo costretti ad assistere. A contrassegnarla dovrebbero essere espressioni valoriali, perché non sulla base di appetiti individuali ma di una meta condivisa e di uno scopo degno d’essere pubblicamente dichiarato andrebbero orientati il camino e condizionate le scelte collettive da compiere.
Invece la politica è in molti suoi anfratti il regno regno dell’indicibile, del sommerso, delle tenebre che celano il malaffare. Ci sono, però, uomini e donne che con la loro vita e il loro impegno testimoniano che questa non è l’unica via e che un modello alternativo e virtuoso non solo è auspicabile ma è davvero possibile e praticabile.
Abbiamo recentemente celebrato il compleanno di due grandi protagonisti della storia politica italiana, due giganti del Novecento, due emblemi della sinistra: intelligenza, passione, pulizia morale hanno contrassegnato il loro impegno per il progresso e il riscatto delle classi subalterne. Pietro Ingrao ha festeggiato il secolo di vita, Rossana Rossanda ha fatto 91 anni: entrambi si mantengono ancora straordinariamente lucidi a dispetto dell’età e forse ancora oggi molto più giovani di chi, dalla sua, ha l’anagrafe ma non la visione.
Di recente è ricorso anche un altro – in questo caso triste – anniversario, particolarmente significativo per la nostra città e per la sua recente vicenda politica: il terzo anniversario della scomparsa di Stefano Tassinari, stroncato l’8 maggio 2012 da un male contro il quale ha tenacemente lottato per otto lunghi anni a dispetto delle previsioni dei medici che in prima diagnosi gli pronosticarono pochi mesi di vita, a conferma che la forza della volontà molto può.
Stefano è stato un intellettuale a tutto tondo, la cui reale statura a Ferrara non è mai stata compresa per intero. Ma chi lo ha conosciuto sa che l’accostamento a giganti quali Ingrao e Rossanda non è fuori luogo, perché davvero il suo intelletto spiccava. E’ stato scrittore, giornalista, poeta, critico letterario, musicista, autore teatrale, operatore culturale e “militante politico”, come amava definirsi non avendo smanie di carriera. Tracciare santini di solito genera il rischio di un effetto boomerang, perché chi non sa tende a irridere. Si può dire con certezza che è stato un politico atipico, in particolare se raffrontato a quello che è il modello oggi prevalente. Già a Ferrara e poi – a partire dagli anni Novanta – a Bologna, dove è stato compreso e apprezzato più che nella sua città natale, Tassinari è stato emblema di una nobile interpretazione dell’impegno civile e politico.
Il profilo che ne traccia Stefano Massari, regista del docufilm “Tass, storia di Stefano Tassinari” è quello di “un inesauribile motore di ‘cultura’. Un uomo governato da una coerenza radicale, ma capace di orizzonti culturali capillari e vastissimi. Un uomo di grande rigore e di generosità autentica, senza compromessi, diventato nel corso degli anni un punto di riferimento, un interlocutore cruciale per tantissimi protagonisti del mondo culturale e politico non solo bolognese. Un’eredità culturale unica, penetrata profondamente in chi ha avuto il privilegio di attraversare accanto a lui la storia culturale di Bologna nell’Italia degli ultimi vent’anni”.
Il lungometraggio, presentato la scorsa estate al Biografilm festival, raccoglie il racconto corale di artisti, intellettuali, scrittori, uomini politici che gli sono stati accanto in tantissime vicende culturali: Pino Cacucci, Mauro Pagani, Mario Dondero, Marcello Fois, Alberto Bertoni, Carlo Lucarelli, Bruno Arpaia, Marco Baliani, Claudio Lolli, Fausto Bertinotti, Filippo Vendemmiati, Luca Gavagna, Andrea Satta, Pier Damiano Ori, Concetto Pozzati e molti molti altri… Il suo spessore etico, intellettuale e politico è da tutti riconosciuto.
Va detto che quella di Stefano Tassinari non era solo un’altra stagione, ma era proprio un’altra maniera di concepire la politica: perché gli arrivismi, le scaltrezza, gli opportunismi, la corruzione c’erano allora come ora. A far la differenza erano e sono gli uomini e le loro qualità morali e intellettuali: l’onestà, l’intelligenza, la volontà di operare nell’interesse collettivo e non in funzione di un personale tornaconto, la lungimiranza, la capacità e l’avvedutezza di orientare le scelte in coerenza con un progetto e non in funzione di un risultato immediato da poter spendere subito al banco del consenso…
Stefano Tassinari non rappresenta semplicemente l’emblema di un tipo politico del quale oggi si hanno rari esempi, era un’eccezione già 30 anni fa. Che cosa lo rendeva tanto speciale? Non semplicemente la concezione della “politica come servizio”, come su usa dire ora (e per quel che si osserva in giro in termini di miserie e meschinerie già sarebbe un bel passo avanti): lui era ben oltre questo primo livello, aveva visione e agiva secondo una prospettiva e un disegno organico, consapevolmente elaborato.
A renderlo speciale e diverso erano poi alcune qualità e una serie di valori che non si limitava a predicare, ma che praticava con coerenza e tenacia. Ho avuto modo, nei giorni scorsi, di parlarne agli studenti del liceo scientifico di Argenta in occasione delle premiazioni di un concorso artistico-letterario nato lo scorso anno su impulso della professoressa Francesca Boari. La sua opera è stata il punto di riferimento per un serio lavoro di ricerca svolto dagli studenti (del liceo nel quale Tassinari concluse gli studi superiori), coordinati e stimolati da un gruppo di motivati insegnanti fra i quali Silvia Sansonetti, sostenuti da un preside, Francesco Borciani, pieno di entusiasmo e di energia, il cui desiderio di poter intitolare a Tassinari la scuola si spera possa trovar compimento.
I ragazzi hanno letto e utilizzato i testi narrativi di Tassinari come base per la realizzazione di loro elaborati realizzati in forma scritta e audiovisiva. Il tutto è culminato con una premiazione che si è tenuta sabato scorso alla presenza del sindaco Fiorentini. L’eccellente testo del racconto vincitore è pubblicato da Ferraraitalia [leggi qua].
A quei ragazzi ho voluto indicare alcuni dei valori che hanno orientato l’impegno di Stefano Tassinari, perché potessero apprezzarne la cifra e comprendere che a far la differenza contribuiscono sempre impegno e dedizione. Li ho ricondotti a quelli che, a mio avviso, meglio fotografavano la sua personalità: coerenza, passione, condivisione, conoscenza e, primo fra tutti, il rigore, di contrappunto alla superficialità. In ogni sua intrapresa pretendeva da sé e da tutti precisione, accuratezza, verifica puntuale e sistematica delle informazioni e delle fonti. A tutti riservava rispettosa attenzione e un ascolto autentico.
Era coerente con i suoi valori: lo è stato nella sua vicenda politica pur passando da Avanguardia operaia a Democrazia proletaria, di cui fu a Ferrara segretario provinciale, poi ai Verdi Arcobaleno (nati da un manifesto lanciato da Mario Capanna, Dario Fo e dall’ambientalista Virginio Bettini), quindi a Rifondazione comunista, godendo di grande considerazione da parte di Fausto Bertinotti. Ma fu un percorso idealmente lineare. E non fece ‘carriera’ pur avendo le qualità e la possibilità, semplicemente perché non gli interessava, perché non mirava alla propria affermazione ma lavorava attorno a un progetto il cui valore stava nell’approdo collettivo.
Odiava l’opportunismo. E’ stato sempre attivo e pacatamente battagliero nell’arcipelago della sinistra, con spirito libertario, ambientalista, pacifista, anticapitalista; significativamente e orgogliosamente trotzkista. Le sue scelte valoriali si riflettevano nel coerente perseguimento di una stella polare nella quale rifulgevano il senso di responsabilità e la lealtà.
Ha sempre messo in campo la passione contro l’indifferenza degli ignavi e dei qualunquisti: coinvolto e coinvolgente, metteva in gioco entusiasmo, impegno e non teneva in conto il sacrificio. Era idealmente partigiano, pur senza averlo potuto essere per ragioni anagrafiche. Il disincanto era lontano da lui anni luce, lo spirito di Gramsci invece gli era affine così come il celebre anatema contro gli indifferenti.
Concepiva l’impegno unicamente nella sua dimensione collettiva, corale, contro l’imperante individualismo: nel giornalismo (Luci della città, Rete 7, Letteraria) era lo spirito di redazione a prevalere, nel partito quello gruppo; persino da scrittore ruppe l’isolamento tipico del ruolo e si prodigò per la nascita dell’associazione (degli scrittori bolognesi) che ha preso vita grazie al suo impegno. Era consapevole che la responsabilità delle scelte è sempre individuale, ma convinto con Marx che sono le masse a cambiare il corso degli eventi perché la storia è storia di lotta di classi. Mostrava rispetto, cercava la condivisione, si esprimeva non con l’io ma col noi.
E infine, ha sempre attribuito valore centrale alla cultura e alla conoscenza. Sosteneva il dovere di studiare, di coltivare i talenti di cui si è dotati, l’inderogabile obbligo di informarsi e di leggere. Era insofferente alle cialtronate, detestava l’ignoranza, un vizio per il quale poteva mostrarsi sprezzante se frutto di incuria e disinteresse e non invece di una condizione di svantaggio culturale.
Che c’entra tutto questo con la politica? C’entra, c’entra eccome perché la politica è anche e soprattutto questo: favorire la crescita e lo sviluppo civile e culturale di una comunità. Stare seduti sui banchi di un consiglio comunale o di una giunta, del Senato o della Camera è semplicemente un’esigenza funzionale. E’ una necessità tecnica, non un obiettivo. Così la pensava e di conseguenza si è sempre regolato, anche quando ha rinunciato a incarichi prestigiosi. E non è un caso se di lui, anche chi ne ha avversato il giudizio serba il ricordo di un uomo intellettualmente onesto e politicamente corretto. Convinto delle proprie idee, ma non integralista e sempre pronto al dialogo, era rispettato e benvoluto. E su di lui davvero si faticava ad alimentare cattivi pensieri.
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Sergio Gessi
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