Nel primo periodo dell’età imperiale, una delle tendenze culturali fu il tentativo di sistemare il sapere umano in modo enciclopedico. Tra le varie opere che ambirono all’impresa, spicca la Naturalis Historia (77-78 d.C.) di Plinio il Vecchio. Plinio, uomo estremamente curioso e instancabile raccoglitore di informazioni, ha cercato di organizzare tutti i diversi aspetti della realtà in un’opera pensata per la consultazione. Egli cataloga indistintamente notizie scientifiche e parascientifiche, fatti strani e informazioni che sconfinano nel favoloso.
Un esempio abbastanza famoso e antologizzato è un passo del libro VIII (i libri VIII-XI sono dedicati alla zoologia), che tratta nello specifico del lupo.
Plinio dimostra di non essere così interessato all’animale in sé, ma piuttosto a tutte le dicerie che ruotano attorno ad esso; accosta dati reali al gusto per i mirabilia, gli aneddoti e le superstizioni.
Tra le varie dicerie, racconta che la testa seccata del lupo sarebbe in grado di porre resistenza alle maledizioni (per questo motivo verrebbe affissa davanti alle porte di casa); lo stesso effetto avrebbero le pelli del collo portate come manicotto. Si riteneva che i lupi avessero un potere narcotico o paralizzante sugli altri animali; il suo dente o la sua pelle avrebbe il potere di scacciare gli incubi dal sonno dei bambini e di evitare i problemi legati alla dentizione. Sarebbe di buon auspicio se un lupo tagliasse la strada da destra con la bocca piena. Inoltre, si credeva che avesse un talismano amoroso nella coda, ma che quando veniva catturato lo gettasse via. Tuttavia, lo sguardo del lupo sarebbe in grado di ammutolire le persone, nel caso queste lo avvistino per prime. Questa credenza è l’origine del detto “lupus in fabula”, espressione giunta fino ai giorni nostri che indica quando si sta parlando di qualcuno in sua assenza, ma che compare all’improvviso causando silenzio e imbarazzo.
Plinio inoltre esclude l’esistenza dei lupi mannari, ma racconta ugualmente le leggende ad essi legate citando diligentemente le fonti.
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Vittoria Barolo
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