Chiacchierando con Daniele Lugli mi era venuta l’idea di chiedergli per i lettori di Ferraraitalia un breviario dall’A alla Z della Nonviolenza, di cui lui è oggi un testimone prezioso e un cocciuto attivista. Daniele ha nicchiato, forse perché è proprio la nonviolenza che non sopporta di essere inscatolata dentro un sistema rigido. Si vede però che quell’idea gli ha continuato a frullare in testa e dopo qualche settimana ha pensato che il modo più giusto e più “nuovo” di raccontare la non violenza era raccogliere e ordinare alfabeticamente le parole da uno scritto di Aldo Capitini. Buona lettura.
(F.M)
Caro Checco tu mi chiedi un breviario della nonviolenza. Non ne sono capace. Non sono neppure nonviolento e non solo perché Capitini ci diffidava dal dirci tali. “Vi troveranno tutti i difetti! Al più ditevi amici della nonviolenza”.
Io sono, come riesco, un amico delle amiche e degli amici della nonviolenza. Tra loro Aldo Capitini. “Libero religioso e rivoluzionario nonviolento / pensò e attivamente promosse l’avvento / di una società senza oppressi / e l’apertura di una realtà liberata”, secondo l’iscrizione sulla sua tomba dettata da Walter Binni.
La definizione di nonviolenza, appresa da lui, è apertura all’esistenza, alla libertà, allo sviluppo degli esseri. Quindi converrà partire da apertura e, cominciato con la A, proseguire con la B e con la C. Ti propongo allora un ABC della nonviolenza, composto con piccole citazioni dal breve scritto autobiografico di Capitini diventato testamentario, Attraverso due terzi del secolo. Porta la data del 19 agosto 1968. Aldo è morto esattamente due mesi dopo. Quell’agosto, amici e famiglie con figli piccoli, eravamo al Centro Educativo Italo Svizzero, per un breve soggiorno comune a parlare di nonviolenza e a progettare iniziative. Piero Pinna telefonava per sentire se Capitini ci sarebbe venuto a trovare. Non venne. Non stava bene. Si preparava a un’operazione alla quale non sopravvisse. Ecco l’ABC che ricavo da quel breve scritto.
A come apertura
Nell’antifascismo: “ho sempre meglio chiarito per me e per gli altri che cosa significasse la piú profonda apertura a tutti (sono stato colui che piú ha usato nel periodo fascista il termine di ‘apertura’, anche nei libri allora pubblicati) … La mia provenienza era diversa, con un’apertura alle singole individualità e alla loro finitezza, con una severa considerazione dei mezzi rispetto ai fini, con la tendenza a vedere il rapporto intersoggettivo e la comunità di tutti anche oltre la realtà della vita e della morte… un’apertura, alla molteplicità del tu-tutti, della teogonia dell’atto gentiliano. Se i miei Elementi del ’37 potevano appartenere ad una letteratura esistenzialistica, per altro verso il richiamo al singolo era inquadrato, appunto in nome dell’’apertura’ e di una escatologia. Il libretto degli Atti della presenza aperta espresse, nella forma letteraria di salmi molto sintetici, questa posizione costruttiva di apertura. Dal 1931 al 1944 ha costituito il nucleo di una riforma, di limitata diffusione anche per le condizioni della dittatura, ispirata da una libera circolazione del gandhismo, in sintesi con elementi occidentali, da uno sviluppo dell’apertura anche nel campo di una nuova società.”
Dopo la Liberazione “indicai il lavoro religioso come consistente nella ripresa, nell’etica contemporanea, dei temi della mitezza, del perdono, della nonviolenza, e nell’apertura massima alla realtà di tutti, alla compresenza di tutti gli esseri… Le ragioni della critica storica neotestamentaria, l’utilizzazione di apertura anche nelle religioni istituzionali, il nesso della religione da un lato con la nonviolenza, dall’altro con la riforma della società, l’esigenza costante della libertà anche nella vita religiosa… Dal 1944 al 1968 ha fatto il piú che ha potuto per creare strumenti di collaborazione sulla base dell’interesse religioso (Movimento di religione, Movimento per una riforma religiosa in Italia, religione aperta, Centro di orientamento religioso); ha delineato meglio gli aspetti teorici, dal tema dell’apertura al tema della compresenza, in libri, articoli e lettere di religione; ha diffuso anche opere di polemica religiosa (con Pio XII, sul battesimo, sul Concordato)”.
Con gli Atti della presenza aperta ricorda pure gli scritti Religione aperta ed Educazione aperta.
B come basso (dal basso)
“La mia spinta alla politica, viva fin dalla fanciullezza (e dico prima dei dieci anni), finalmente si veniva concretando, anche per opposizione alla dittatura, in una sintesi di libertà e di socialismo, criticando nel liberalismo la difesa dell’iniziativa privata capitalistica e nel socialismo vittorioso la trasformazione in statalismo non aperto al controllo dal basso e alla libertà di informazione e di critica per ogni cittadino, anche proletario”.
Dalla vittoria del fascismo una lezione per il futuro “La lezione era che bisogna preparare la strategia e i legami nonviolenti da prima, per metterla in atto quando occorre; e nessuno può negare che in Italia nel 1924, al tempo del delitto Matteotti, e in Germania nel 1933, una vasta e complessa azione dal basso di non collaborazione nonviolenta sarebbe stata occasione di inceppamento e di caduta per i governi”.
Negli anni sessanta “Quando vedo lo sviluppo che hanno preso oggi tre temi a me cari e congiunti in unità: il rifiuto di ogni guerra, la democrazia diretta con il controllo dal basso, la proprietà resa pubblica e aperta a tutti; e vedo le crescenti discussioni circa i temi cattolici, penso che avessi ragione ad aspettare da un periodo post-fascista la piena utilizzazione del mio contributo… la democrazia diretta (o omnicrazia, come la chiamo), il controllo dal basso in ogni località e in ogni ente, i consigli di quartiere e i centri sociali, i comitati e le assemblee, la libertà di informazione e di critica, permanente e per tutti.
La rivoluzione nonviolenta e l’esempio di Dolci “ho fatto conoscere a Danilo tutti i miei amici laici da Calamandrei a Bobbio, e tanti altri (egli era in partenza cattolico), l’articolazione dell’apertura religiosa e della non violenza, i miei articoli sul piano sociale e sul lavoro dal basso, mediante centri di educazione degli adulti e di sviluppo sociale… la cosa non era cosí semplice come pareva ad alcuni stalinisti nel primo decennio dopo la Liberazione; oggi, vista la rivoluzione violenta inattuabile e cresciuta l’esigenza di un’articolazione democratica in cui il ‘basso’ conti effettivamente, ferventi comunisti arrivano a scrivere la formula ‘socialismo e libertà’”.
C come centro
Sempre Capitini ci invitava a farci centro di proposta e di azione “Con gli Elementi era apparsa la fiducia nella costituzione di attivi ‘centri’ per una riforma religiosa, e ne era indicato, in fondo, già sorto uno, di una ricerca che da allora non si sarebbe interrotta, legato alla mia attività… Fino al 1944 io non avevo formato, per la mia riforma, nulla di veramente istituzionale, ed ero isolato, fors’anche piú di quanto alcuni pensassero. Se fossi morto, non ci sarebbe stato che ciò che avevo detto e scritto, e alcuni atti e decisioni; cioè il centro era stato una persona… Ricominciavo veramente da una posizione di centro individuale, e mai, forse, parola è stata piú adatta alle mie iniziative… la costituzione a Perugia, in Via dei Filosofi, di un Centro di orientamento religioso (C.O.R.) per periodiche conversazioni e di un Centro per la nonviolenza aveva a poco a poco sostituito la convocazione di convegni romani con la sollecitazione a costituire centri, come a Perugia, il che poi nessuno ha fatto in modo continuato e aperto come a Perugia”.
Non solo ci invitava a farci centro ma a costituirne, rinnovando l’esperienza dei Centri di Orientamento Sociale, i C.O.S. Dopo quello di Perugia il C.O.S. di Ferrara, animato da Silvano Balboni è stato il più rilevante. “Subito dopo la liberazione di Perugia, nel luglio 1944, costituii il Centro di orientamento sociale (C.O.S.) per periodiche discussioni aperte a tutti, su tutti i problemi amministrativi e sociali. Fu un’iniziativa felice che convocava molta gente e le autorità (tra cui il prefetto e il sindaco), molto desiderata da tutti per l’interesse ai temi e per la possibilità di «ascoltare e parlare»; e si diffuse nei rioni della città, in piccole città dell’Umbria, e in città come Firenze e Ferrara. Nessuna istituzione la diffuse e la moltiplicò, e il mio sogno che sorgesse un C.O.S. per ogni parrocchia era molto in contrasto con il disinteresse e l’avversione che, dopo pochi anni, sorse in molti contro un’istituzione cosí indipendente, aperta, critica; né si poteva dire che l’organizzazione ne fosse difficile; ci sarebbe voluta tuttavia una virtú: la costanza… Non lo Stato antifascista, ma molto meno quello che seguí al 1948, erano in grado di valersi dei C.O.S. ed inserirli nella struttura pubblica italiana, ad integrazione della limitata democrazia rappresentativa del parlamento e dei consigli comunali e provinciali”.
C come compresenza
C’è un nocciolo religioso che sfocia nella compresenza, nel tutti che è plurale di tu e che neppure la morte può annullare “nella prigione e durante l’esplicazione della rivolta partigiana (a cui non partecipai) mi si concretò l’idea dello stretto rapporto intersoggettivo che si esprimeva nella nonviolenza, e, nascosto in campagna mentre si sentivano i tedeschi passare nella notte lungo le strade, scrissi quel libretto La realtà di tutti (nella primavera del 1944), che completa la mia tetralogia antifascista, con un supremo appello alla compresenza di tutti… la religione, per me, è piú della compresenza che di Dio; e perciò la compresenza di tutti (religiosamente dei viventi e dei morti) deve continuamente realizzarsi, come ho già detto, nell’omnicrazia, e chi è centro della compresenza è centro anche di omnicrazia… in quanto pone il tema della ‘discesa’ degli elementi ideali nell’umanità e in una tensione escatologica, il marxismo può essere un passo verso una concezione religiosa della compresenza… È da rilevare anche come si presenta l’apertura religiosa alla compresenza: fuori di ogni pretesa ontologica di tipo vecchio, autoritario e sistematico, che ‘costringa’ gli altri, ma come libera aggiunta alla base di ogni realtà, vedendo ogni essere nascere nella compresenza per sempre, oltreché nella natura che lo consuma…Questa unità o parte interna di tutti, la loro possibilità infinita, la loro novità pura, il loro ‘puro dopo’ la finitezza e tante angustie, l’ho chiamata la compresenza”.
C come comunità aperta
Se la compresenza esprime il massimo dell’apertura, perché accanto ai vivi pensa i morti collaboranti nascostamente al valore, la rivoluzione nonviolenta dal basso mira alla Comunità aperta “ Ci vorrà una profonda concezione religiosa che abbia arricchito l’uomo, e fors’anche una grande semplificazione nella vita, che non impedirà ai piú alti valori di avere il primato, perché diventi conseguente un modo di trattare tutti, nel modo piú aperto, con crescenti uguaglianze, con la gioia di portare gli ultimi tra i primi. Questa comunità nella società sarà la premessa di una vittoria sulla stessa natura, diventata al servizio di tutti come singoli”.
A me piace ricordare che la parola d’ordine della Comunità aperta è uscita dal miglior convegno capitiniano, nel maggio del ’48, organizzato a Ferrara da Silvano Balboni. Quel convegno fu decisivo nella scelta di obiezione di coscienza di Piero Pinna.
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Daniele Lugli
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