Pepito Sbazzeguti, politico impunito, fa ‘outing’ su ferraraitalia
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Giovedì trenta gennaio Sergio Gessi, inventore di ferraraitalia, ha fatto incontrare i collaboratori del nuovo quotidiano, on line dalla fine di novembre scorso, nella sala Agnelli in biblioteca Ariostea, presentando al pubblico l’iniziativa editoriale.
Primo merito del direttore responsabile.
Grazie a questa occasione, infatti, mi sono reso conto maggiormente dello spessore della pensata, della qualità dei collaboratori e delle idee che vi sono espresse e messe in circolo.
Secondo merito del direttore responsabile.
Nella circostanza mi sono chiesto se avesse senso ancora la presenza di Pepito Sbazzeguti in quel novero di talenti e intelligenze, perché non vorrei che mi vestisse a pennello la frase di Flaiano: “L’insuccesso gli ha dato alla testa”.
La risposta che mi do è sì.
Quel nome nasce qualche tempo fa dall’anagramma dietro il quale si nasconde il sindaco di Brescello nel film “Don Camillo monsignore ma non troppo” (1963), nell’ambito della celebre saga cinematografica tratta dai racconti di Giovannino Guareschi.
Giuseppe Bottazzi, alias Gino Cervi, sceglie quel nome scritto sul retro della schedina, per nascondere non solo che ha osato giocare al totocalcio, ma che ha pure vinto. E tanto.
Il rossore di cui è preda non ha più niente a che fare con il fervore ideologico, essendo invece un tuttuno con la vergogna.
Vergogna per uno che ha legato il suo destino politico ed esistenziale all’emancipazione del popolo nel nome della giustizia e che ora si trova scandalosamente borghese, cioè individualista, nel desiderio di utilizzare per sé quel denaro.
Pepito Sbazzeguti, dunque, continua ad essere valida chiave di lettura di una politica (e forse di un tempo) smarrita in una deriva di orizzonti e interessi personali che pare inarrestabile. E così facendo finisce tragicamente per contraddire la propria stessa radice semantica: Polis. Oppure, se si preferisce, per segare il ramo sul quale siede.
Ferraraitalia dà la possibilità a Pepito Sbazzeguti di continuare ad essere, purtroppo, attuale e di continuare ad esserlo, come scrive Fiorenzo Baratelli, unendo ragione e passioni. La lezione che Pepito fa sua è in fondo quella di Edmondo Berselli e dell’irresistibile ironia con la quale scriveva di politica. Un modo apparentemente leggero, non razionale appunto, che però era capace di girare al largo dalla noia di una politica ridotta, e spesso descritta, come un vuoto e mortale bla bla.
Così, forse, più persone potrebbero riprendere interesse, e magari pure divertirsi leggendo. Il che in una democrazia che va pericolosamente e progressivamente vuotandosi di contenuti, senso, interesse e partecipazione, non sarebbe male. E non sarebbe male che in tanti, da semplici cittadini continuassero ad esserlo riprendendo in mano la matita elettorale e ad usarla con meno fretta, perché nel frattempo si è diventati più esigenti, critici e liberi, in fatto di idee e opinioni. E non ci si accontenta più dei quattro salti in padella preparati durante campagne elettorali sempre più nelle mani dei pubblicitari – poche cose perché la gente non capisce – o precotti altrove.
C’era della pedagogia nella leggerezza di Berselli e la sua è stata una lezione seria.
E così siamo giunti al terzo merito del direttore responsabile.
Infine la linea editoriale di Ferraraitalia. O forse sarebbe meglio dire la non linea, visto che Sergio non credo abbia mai chiesto ad alcuno di scrivere o non scrivere certe cose.
Eppure, proprio ciò che sembra essere un’assenza si rivolta in una presenza solida e radicata.
Ferraraitalia è la sola redazione che conosca che come linea editoriale non ha una posizione o un principio organizzativo, ma un valore: la libertà di opinione ed il suo massimo rispetto in un incontro libero e civile fra idee e persone.
Quarto merito di Sergio Gessi, cui dico ancora grazie.
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Francesco Lavezzi
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