Sono cose collegate! Il vero risposo viene proprio dal lavoro! Tu ti puoi riposare quando sei sicuro di avere un lavoro sicuro, che ti dà dignità, a te e alla tua famiglia. E tu ti puoi riposare quando nella vecchiaia sei sicuro di avere la pensione che è un diritto. Sono collegati, tutt’e due: il vero riposo e il lavoro. (Papa Francesco al personale dell’Inps, 2015)
Flessibilità in uscita e anticipo pensionistico (Ape); part-time agevolato per i lavoratori cui mancano tre anni alla pensione, voluto dal ministro Poletti; contributo di solidarietà sulle pensioni più alte, proposta del Presidente dell’Inps Tito Boeri; le manifestazioni e le richieste dei sindacati, come per esempio l’estensione del bonus di 80 euro alle pensioni più basse: sono solo le questioni più calde sul tema pensioni. Si potrebbero poi aggiungere anche la riforma Fornero e gli esodati; la tenuta e la sostenibilità del sistema pensionistico, la difficoltà della ricongiunzione dei contributi versati nelle diverse casse dietro esborso di somme a volte molto consistenti. E, dulcis in fundo, l’ammontare degli assegni pensionistici: oggi secondo l’Inps il 63% degli assegni è fermo sotto i 750 euro al mese. Fin qui i problemi e le sempre minori certezze di coloro per i quali la pensione è un incubo, poi ci sono i più giovani, per i quali la pensione è ormai solo un miraggio. Sempre il Presidente Tito Boeri ha affermato che da uno studio dell’Inps sulla generazione 1980 è emerso che in tanti rischiano di dover andare in pensione a 75 anni, a causa della discontinuità contributiva legata ai periodi di disoccupazione.
Di tutto questo si è parlato durante “Pensione Miraggio, l’incubo degli italiani”, l’ultimo incontro del ciclo 2015-16 di “Chiavi di lettura” organizzato da Ferraraitalia e Biblioteca Ariostea. Ospiti: Alessandro Somma della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Ferrara, Lucio Poma, della facoltà di Economia di Unife e l’esperto di tematiche pensionistiche Ennio Santolini di Cgil Ferrara.
Epocale e “devastante”, così Santolini ha definito l’ultima riforma, che “ha rivoluzionato i criteri di accesso alla pensione”. Il suo non facile compito, come direttore del patronato Inca-Cgil di Ferrara, è stato ipotizzare differenti profili di potenziali pensionati: i risultati non sono per nulla incoraggianti.
Oggi un lavoratore dipendente di 62 anni, con 41 anni di contributi e una retribuzione annua di circa 49.000 euro, va in pensione con circa 3.000 euro al mese e un tasso di sostituzione fra questa e l’ultimo stipendio del 79,6%; se la retribuzione annua è di 21.000 euro, la pensione diventa di 1.384 euro, con un tasso di sostituzione dell’85,6%. Un lavoratore artigiano con un reddito annuo di 20.000 euro avrà una pensione mensile di 1.382 euro e un tasso di sostituzione del 90%.
Se, invece, prendiamo per esempio un lavoratore tessile nato nel 1991, con uno stipendio di 1.250 euro, che abbia una contribuzione piena e continuativa, al momento del pensionamento nel 2056, con 43 anni di contributi, il suo tasso di sostituzione fra ultimo stipendio e pensione sarà “a 66 anni di 61-62%”, ma solo “con il pil all’1%, con la crescita a zero la percentuale calerebbe di dieci punti”. Un impiegato nato nel 1981, con uno stipendio medio mensile di 1.725 euro, al momento del pensionamento nel 2045, di nuovo con contribuzione piena e continuativa e pil all’1%, avrebbe “un tasso di sostituzione del 65%”, che arriverebbe all’82% solo se andasse in pensione a 70 anni.
Secondo il professor Poma cittadini e governo hanno di fronte quattro possibili strade per cercare di rendere sostenibili la spesa pensionistica e il patto intergenerazionale: “l’abbassamento della soglia dei consumi”, ma “è difficile tornare indietro una volta raggiunta una certa soglia di ricchezza”; oppure l’accorciamento del percorso scolastico, per far entrar prima i ragazzi nel mondo del lavoro. Poi ci sono quella più difficile, ma per Poma anche la migliore, e la soluzione “più facile, ma anche la peggiore”, che è purtroppo proprio quella intrapresa dall’Italia con la Riforma Fornero. “La strada più virtuosa – spiega l’economista – sarebbe l’innalzamento del pil”, ma “non si può fare con un decreto, sono necessarie politiche strutturali”, che necessitano di almeno una decina di anni per dare risultati, come per esempio una seria e lungimirante politica industriale. Il fatto è che “i governi democratici hanno una vita media di cinque anni”, perciò non possono permettersi di aspettare ed è “più facile fare politiche congiunturali”. L’innalzamento dell’età pensionabile e il taglio delle pensioni per ammortizzare l’innalzamento dell’aspettativa di vita è la soluzione peggiore perché ritarda ulteriormente l’entrata delle generazioni più giovani nel mondo del lavoro, allontanando ancora di più la pensione per loro, e perché viviamo ormai “un paradigma tecnologico in cui diventiamo ‘obsoleti’ molto più rapidamente e quindi, per esempio, il sapere di un lavoratore di 65 anni non è detto che sia un patrimonio inestimabile come accadeva in passato”.
Non si può quindi che dare ragione al professor Somma, che in apertura aveva affermato: “la verità è che stiamo vivendo una fase di insicurezza sociale, anche se la retorica dominante ci parla continuamente di insicurezza di ordine pubblico”. Una situazione non inevitabile, risultato della crisi economica degli ultimi anni, ma “frutto di scelte politiche” che nel tempo hanno fatto saltare il “patto di cittadinanza” fondato sul lavoro come strumento di emancipazione e diritto-dovere, inscritto nella nostra Costituzione. La soluzione, secondo il giurista di Unife, è riportare a “scelta partecipata ciò che ci viene ormai sempre più presentato come inevitabile” e riconquistare “gli spazi che l’economia ha rubato alla politica”.
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Federica Pezzoli
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