Da tempo non ce ne occupavamo al punto che ci era venuta nostalgia. Ma il mite vescovo Negri non manca mai di deliziarci con le sue inesauribili perle di amore e carità. E quelle di oggi sono pregiatissime. Intervistato da Stefano Lorenzetto per Panorama, riconosce (“con vergogna”) la sua ammirazione per Putin, spiegando, con muscolare espressione non propriamente acconcia né evangelica, che per affrontare la situazione internazionale serve gente con “testa e palle” e il premier russo è l’unico che dimostra di avere “gli attributi”. Aggiunge poi una serie di gustose amenità. Si autoproclama “implacabile propugnatore dell’ortodossia”, parla di Ferrara, “disperata” ma non “sazia” (come fu la Bologna del cardinal Biffi) “perché ha finito i soldi”. Aggiunge, in tema di sacramenti ai divorziati, che “a Ferrara resta tutto come prima”.
In (indiretta ma evidente) polemica col papa rivendica alla Chiesa il “diritto di giudicare il mondo” e considera “offensivo e oltraggioso” affermare che “alcuni vescovi hanno ‘l’odore delle pecore’ mentre altri stanno rinchiusi nei loro palazzi”. A qualcuno in Vaticano, dalle parti del collegio Santa Marta, saranno fischiate le orecchie.. Al tema dei palazzi, peraltro, monsignor Negri si conferma particolarmente sensibile: quando papa Francesco invitò diocesi e parrocchie a offrire ospitalità ai migranti, il vescovo s’affrettò a chiarire che nei palazzi della curia estense non v’era alcuno spazio disponibile perché tutte le stanze erano già occupate. A proposito dello Ior, ci rassicura sul fatto che “della riforma della banca vaticana non m’importa un accidenti”.
E confida che, se non si fosse fatto prete (come avvenne “anche per reazione al Sessantotto”), gli “sarebbe piaciuto diventare generale dei carabinieri”: quindi una carriera nell’Arma, non propriamente all’ombra del famoso ramoscello d’ulivo… E, calandosi nel ruolo di capo battaglione, ai crociati riconosce il merito di avere fermato “per almeno sei secoli” il traffico di esseri umani. Ed è a nuovi crociati che idealmente s’appella per contrastare i nuovi barbari e scongiurare il compiersi della sua nefasta profezia: “ci schiacceranno sotto i piedi”. Ma poi, si noti la cesellatura dell’ambizioso presule: non il carabiniere, ma “il generale dei carabinieri” avrebbe voluto fare: più che una missione, dunque, una carica aveva in animo per sé. Così stando le cose, l’interrogativo è lecito e conseguente: quando ha deciso di rinunciare alle stellette e alla divisa e di abbracciare (virilmente) la Chiesa, che immaginasse per il suo avvenire un umile futuro da parroco?
Nel fotomontaggio, Luigi Negri in versione… generale dei carabinieri
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Sergio Gessi
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