Paola Peruffo (FI) – A scuola con i cibi da casa: il “no” della maggioranza ignora problemi reali
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Da: LR Comunicazione
Nel corso dell’ultimo Consiglio il Movimento 5 Stelle, appoggiato da altre forze di opposizione, ha presentato una mozione per chiedere la modifica al regolamento dell’Istituzione dei Servizi Educativi e Scolastici, consentendo di fatto alle famiglie la libertà di portare il pasto da casa per i propri figli, anziché affidarsi alle mense scolastiche, con conseguente risparmio (significativo, aggiungo io) di costi soprattutto per le famiglie con più figli.
La risposta della maggioranza è stato un ‘no’, con il quale la mozione è stata respinta.
I motivi? Quelli addotti in alcuni altri comuni dove la questione è stata sollevata: organizzativi, igienici e concettuali. In pratica si è detto che le strutture non sono predisposte a questo tipo di soluzione, che si rischiano “discriminazioni” tra bambini che consumano il cibo della mensa, rispetto a quelli che si portano quello preparato a casa e infine per motivazione igieniche relative all’ impossibilità di controllare la qualità e la conservazione delle vivande cucinate al di fuori delle mense.
Quello che il Pd non ha inteso appieno è che alla base di questa richiesta c’è una sentenza (quella della Corte d’Appello di Torino) che dà ragione alle famiglie.
Senza tener conto di ulteriori aspetti: innanzitutto il fatto che la diversità delle pietanze servite tra un bambino e l’altro esiste già all’interno delle mense comunali, a fronte delle allergie di cui possono soffrire certi alunni, oppure per motivi religiosi (alunni arabi non ricevono carne di suino).
Per quanto riguarda l’aspetto igienico-sanitario credo debba valere, come sottolineato dagli stessi giudici, il discorso delle responsabilità: sia la mensa che i genitori sono chiamati a rispondere dei cibi che vengono somministrati, naturalmente tutelando il fatto che non ci siano discriminazioni logistiche tra chi mangia i prodotti casalinghi da chi riceve i piatti della mensa.
Nella maggioranza dei paesi occidentali questo processo avviene già da anni, in alcuni casi da sempre, senza provocare disagi sociali.
Alla base c’è una valutazione generale che quel “no” ha cercato di ignorare: è il fondamento dell’intera vicenda. Se tante famiglie – non solo a Torino ovviamente – hanno chiesto con forza la possibilità di portare il cibo da casa per i propri figli, il motivo non risiede tanto nella bassa qualità delle mense (un’indagine sulle modalità di scelta dei soggetti erogatori, magari privilegiando la “filiera corta”, è materia da approfondire in altra sede) quanto nei costi. Sempre più spesso i genitori, anche lavorando in due, non riescono a sostenere le spese: tutti noi sappiamo le condizioni e gli stipendi della maggioranza degli impieghi in Italia, senza contare che sono sempre più in aumento le famiglie monogenitoriali, oltre a quelle in cui uno dei due genitori (quasi sempre la donna) ha perso il proprio posto di lavoro a seguito della crisi.
Il problema è quindi soprattutto organizzativo, in quanto è logico e più che comprensivo che, a oggi, il servizio di refezione scolastica comunale non sia attrezzato per queste nuove disposizioni. Per questo mi sarei aspettata, anziché una mera e brutale bocciatura, l’invio della questione alla Commissione di competenza perché venisse analizzata e si individuasse un iter da seguire per arrivare alla soluzione auspicata da molte famiglie.
Diversamente, i genitori hanno la possibilità di tutelare i propri diritti davanti a un giudice. E la sentenza è già scritta.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
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PAESE REALE
di Piermaria Romani