Palazzo Bellini non si tocca
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da: Il Faro
Negli anni ’70 si pensò di realizzare a Comacchio un centro culturale di eccellenza che elevasse la città a polo di riferimento di tutto il basso ferrarese. Con questo spirito, per la prima, volta si manifestò una perfetta sintonia tra le principali forze politiche rappresentate in Consiglio Comunale che permise di superare i numerosi ostacoli che inevitabilmente si presentarono: per l’acquisto dell’immobile di Palazzo Bellini, la progettazione degli interventi di recupero, ed infine la loro realizzazione.
Sul fronte politico provinciale erano quelli momenti molto particolari e delicati per il futuro di Comacchio. Era stato istituito il “comprensorio del basso ferrarese”, organismo del quale facevano parte tutti i Comuni del Delta del Po estense, con uguali diritti e “pari dignità”.
All’Istituzione furono affidate, tra l’altro, competenze nella programmazione e pianificazione del territorio, prerogative queste sottratte, di fatto, ai singoli Comuni. Oggi la storia si ripete, con “l’Unione dei Comuni”, nulla è cambiato.
Il risultato fu che Comacchio rimaneva sistematicamente isolato, data la sintonia di interessi che univa gli altri Comuni nel rivendicare uguali diritti.
Fu in quei momenti che affiorarono rivendicazioni e pretese tanto fantasiose quanto al limite della decenza politica.
Codigoro rivendicava, in forza di una presunta centralità geografica, la rappresentanza dell’intero basso ferrarese e non nascondeva le ambizioni di accorpare al proprio territorio comunale la parte del Lido di Volano in territorio comacchiese. Lagosanto rappresentava velleità circa un proprio sbocco al mare e pensava a qualcosa che avesse riguardato il Lido delle Nazioni. Goro metteva in risalto l’importanza, forse anche strategica, dell’industria della vongola. Gli altri Comuni non erano esenti da altre rivendicazioni e desideri.
Tutte queste manovre avevano naturalmente lo scopo di ridurre il ruolo culturale, politico ed economico che Comacchio, da sempre, ha esercitato nella vasta area del Basso Ferrarese.
Giova richiamare alla memoria queste vicende perché aiutano a comprendere l’ambiente o il momento nel quale maturavano le diverse scelte strategiche.
Così come serve, forse, ricordare che i lavori di ristrutturazione di Palazzo Bellini non furono esenti da gravi problemi e difficoltà.
I lavori erano stati affidati alla solita Cooperativa in voga in quel momento, la quale aveva prontamente dato avvio alle opere di ristrutturazione.
E’ facilmente immaginabile la sorpresa ed il disappunto col quale, a distanza di alcuni mesi, si dovette constatare che i materiali e le tecniche usati nell’esecuzione delle opere erano state pressoché simili a quelle impiegate nella costruzione delle seconde case che, in quei momenti, come funghi, sorgevano sul litorale.
Come per incanto fu prontamente ritrovata l’unità di intenti tra le forze politiche e fù affidato l’incarico della direzione dei lavori all’Arch. Guido Zarattini. Mai scelta si rivelò più felice.
La brutta copia di Palazzo Bellini scomparve e lasciò il posto alla mirabile opera di architettura e di armonia che oggi contraddistingue il cuore culturale di Comacchio.
Nel nuovo edificio furono collocati l’Assessorato alla Istituzioni Culturali, il Nucleo della biblioteca storico comunale, la biblioteca aperta al pubblico e gli spazi espositivi della Galleria d’Arte.
Negli anni successivi si aggiunse la Sala Polivalente ed il Museo del carico della nave romana, interventi pure questi progettati dall’Arch. Zarattini.
Il ruolo che ebbe questa realizzazione nei successivi eventi politici, culturali e storici di Comacchio è facilmente intuibile.
Per il vero, divenne anche da parte di molti, oggetto di invidia, spesso mal celata. Ma soprattutto entrò spontaneamente nel cuore dei Comacchiesi, i quali ne avevano ben compresa l’importanza e la valenza.
L’offerta culturale della città di Comacchio si sarebbe dovuta completare con il museo archeologico etrusco; il museo della nave romana e con la costruzione di un importante Teatro Comunale.
Il progetto quindi era ben definito ed in buona parte realizzato.
Si pensava che parte dell’ex complesso di Sant’Agostino potesse essere destinato, ad esempio, alla realizzazione del teatro.
Un progetto quindi in itinere, avviato verso una più completa realizzazione.
Cosa avviene invece oggi ?
Il vero rischio che si sta correndo non è tanto e solo il trasferimento di parte degli Uffici Comunali, ma il progettato smantellamento dell’intero progetto, rendendo vani, tra l’altro, i colossali investimenti che la collettività comacchiese ha sostenuto sottoponendosi a gravi sacrifici.
Palazzo Bellini diverrà, quindi, un ulteriore spazio totalmente destinato alla burocrazia. Vi saranno uffici di diverso ordine e genere. Se ne andrà anche la galleria d’arte posta al piano terra, per essere trasferita probabilmente nel vecchio Ospedale degli Infermi, oppure spostata, di volta in volta, in altri locali comunali.
Non suoni azzardata questa previsione perché è già stata di fatto comunicata o espressa dai nostri amministratori comunali. Che senso avrebbe infatti allestire nel prossimo autunno l’annunciata mostra di pittura dell’amato e compianto sindaco Giglio Zarattini presso l’ospedale, sottraendola dal luogo preposto e dal salotto nobile della città ? E’ semplicemente un primo passo per la scomparsa totale delle sale espositive.
La biblioteca pubblica verrà trasferita dove oggi è esposto il carico della nave romana. Per rendere possibile questo trasferimento i reperti verranno a loro volta, trasferiti nel nascendo museo del vecchio ospedale.
Non si riesce ad immaginare se e dove verrà ricollocato il nucleo storico della biblioteca.
In funzione di tutto ciò il tanto desiderato e aspirato Museo Archeologico etrusco finirà per ospitare le esposizioni d’arte (tra l’altro in questi ultimi due anni pressoché scomparse), i reperti del carico della nave romana e la rimanente parte degli spazi dovrà accogliere il museo delle culture umane del Delta del Po (torneremo in modo specifico su questo argomento per spiegare esattamente ai comacchiesi di cosa si tratta) e da ultimo, forse, uno spazio sicuramente ridotto ed inadeguato potrà rimanere per esporre i reperti archeologici di Spina; in un museo che era stato immaginato e voluto solo per accogliere i reperti rinvenuti sul nostro territorio comunale e che rappresentano la parte più lontana della storia dalla quale discendiamo.
FI – il coordinatore comunale Oscar Menegale
Il Faro – Antonio Di Munno

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Riceviamo e pubblichiamo
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani