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Tony Judt nel suo appassionato libro diventato il suo testamento, “Guasto è il mondo” (Laterza), scrive: “Per convincere gli altri che qualcosa è giusto o sbagliato ci serve un linguaggio dei fini, non un linguaggio dei mezzi”. E’ un invito alla sinistra del nostro tempo a riattivare l’immaginazione politica e morale ferma da troppo tempo. In Italia questa impresa è inimmaginabile senza un nuovo Pd.
Scrive Robert Musil ne “L’uomo senza qualità” (Mondadori): “Chi voglia varcare senza inconvenienti una porta aperta deve tener presente il fatto che gli stipiti sono duri (…) Ma se il senso della realtà esiste, e nessuno può mettere in dubbio che la sua esistenza sia giustificata, allora ci dev’essere anche qualcosa che chiameremo senso della possibilità”. Le destre stanno vincendo perché il loro estremismo demagogico ha dilagato nella totale assenza di un’alternativa possibile e radicale. E’ un invito a diventare estremisti? No, è fare nostra la definizione di Karl Marx: “Essere radicale, vuol dire prendere le cose alla radice; ma la radice per l’uomo, è l’uomo stesso”. Vasto programma, non c’è dubbio. Ma questo è l’orizzonte ideale in cui dobbiamo attestarci. Primo passaggio è uscire da uno stato di ipnosi ideologica in cui la sinistra italiana ed europea è caduta nel finire asservita alla dittatura del presente. Nei decenni, a cominciare dagli anni Ottanta del secolo scorso, è risultata vincente nel comune sentire la massima della grande conservatrice Margaret Thatcher: “There is no Alternative”. Il dogma dell’assenza di alternative ha dato il via alla crescita degli imprenditori della paura, della sfiducia e ai teorici della necessità inevitabile. E così sono morte la speranza e un’idea nuova di futuro. Quando le menti sono state ben lavorate dalla certezza della fine di ogni utopia possibile si sono fatti avanti una schiera di demagoghi alla testa di movimenti pericolosi per la tenuta delle democrazie del nostro tempo. Questa è la situazione, in estrema sintesi, che spiega l’egemonia culturale di una destra estremista. E, come scrive Massimo Cacciari, l’estremismo dei Salvini rappresenta l’inevitabile prodotto dell’assenza di un riformismo radicale.
Se dovessi indicare il campo in cui lavorare per ricostruire una sinistra liberaldemocratica radicale lo rappresenterei con una immagine che riattivi un rapporto fecondo tra storia, presente e futuro. Al suo meglio, la sinistra è nata nello spazio di tensione e di contraddizione fra l’affermazione dell’uguale cittadinanza e le disuguaglianze reali. Oggi, in un quadro mondiale nuovissimo e complesso, il tema resta il medesimo che si trovarono di fronte i pionieri del socialismo umanistico e libertario: la realtà di feroci e profonde disuguaglianze sociali che rende nullo il valore universale della pari dignità di ogni persona. In fondo stiamo parlando dei primi due commi dell’articolo 3 della nostra lungimirante Costituzione: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale. E’ compito delle Istituzioni e della politica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono nei fatti la concretizzazione del primo comma. Concordo con chi ha scritto e detto che questi punti dovrebbero funzionare come stella polare per l’agenda politica della sinistra. Per questa impresa grandiosa il Pd è necessario, ma non sufficiente. Ecco perché è urgente che si rimetta in movimento tutto ciò che nella società civile (associazioni, liste civiche, sindacati, cultura, persone singole) è interessato a costruire una figura nuova di sinistra plurale: intransigente e radicale sui principi fondamentali, aperta e innovativa nei metodi e nelle proposte sociali, intelligente e flessibile nella costruzione delle alleanze necessarie. La missione morale e culturale di una nuova sinistra è incarnare un’idea complessa, colta ed efficace di politica che leghi in un nodo stretto progetto, programma, organizzazione, comunicazione, analisi differenziata, mediazione. Un nuovo volontariato politico a sinistra ci sarà se sarà persuaso di servire una buona causa per cui valga la pena impegnarsi. Per ora mi fermo a questi brevi cenni generali e di cornice. Nei prossimi interventi ci sarà occasione per entrare nel merito sul che fare. Lo scopo di queste note è stimolare una discussione che si proponga di dare gambe e testa ad un nuovo operare politico. I lutti delle disfatte si elaborano con nuove idee e nuove passioni. La coazione a ripetere il negativo – di risse, divisioni e personalismi – si vince guardando avanti.

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Fiorenzo Baratelli

È direttore dell’Istituto Gramsci di Ferrara. Passioni: filosofia, letteratura, storia e… la ‘bella politica’!


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it