Sofia Sita, giovane artista ferrarese di cui abbiamo già scritto qualche mese fa [vedi], continua a partecipare a progetti estremamente interessanti e innovativi. Questa volta è stata selezionata insieme ad altri sei street artist italiani – uno di loro è un altro ferrarese, Alessio Bolognesi, che abbiamo intervistato per il nostro Quotidiano [vedi] – per realizzare un murales insieme ad alcuni detenuti del carcere di Bollate. Le opere saranno realizzate su una serie di teli di plastica che verranno affissi alle mura esterne del carcere stesso per tutta la durata dell’Expo, e potranno essere visti da tutti perché il complesso dista solo un centinaio di metri dalla casa circondariale.
Il progetto nasce dalla collaborazione tra il carcere di Bollate, l’Accademia di belle arti di Brera e Fabbrica Borroni, la realizzazione prevede l’intervento dei giovani street artist coadiuvati dai detenuti del carcere stesso e dai docenti dell’Accademia, con la supervisione di Annalisa Bergo, curatrice artistica della Collezione Borroni, in un’ottica di condivisione e collaborazione tra le parti. L’inaugurazione è prevista per il prossimo 8 maggio.
Abbiamo intervistato Sofia Sita, che attualmente vive e lavora tra Italia e Scozia, e Eugenio Borroni, industriale da generazioni e grande collezionista di giovane arte italiana, per farci raccontare com’è nata l’idea, come si è sviluppata e quale l’esito, sia in termini artistici che umani.
Sofia, come avete lavorato al progetto e com’è stato l’approccio con i detenuti?
Per questo progetto abbiamo impiegato cinque giorni, il primo incontro è stato il 13 marzo, l’ultimo il 24. Il tema era libero, lo spunto poteva essere semplicemente seguire le suggestioni dell’Expo. Prima di incontrare le detenute (a me è stato affidato il reparto femminile), mi ero preparata alcuni schizzi che partivano dall’idea della donna che nutre il pianeta, visto che l’opera sarebbe stata tutta al femminile e immaginando le detenute temporaneamente prive del contatto con i propri figli e della possibilità di averne. Fin dal primo incontro però le sei donne hanno ribaltato ogni mia convinzione e tirato fuori con forza le proprie idee, decidendo per temi più positivi e vissuti e spiegandomi che, in realtà, vedono i figli e i familiari con regolarità e che questi fanno parte della loro vita.
Dai primi incontri alla realizzazione del telo, com’è andata e cosa ti ha dato quest’esperienza?
I primi incontri sono serviti a conoscerci e a capire cosa volevamo rappresentare nel telo, discutere gli schizzi e la tematica. Deciso lo schizzo definitivo, siamo passati al disegno sul telo e successivamente al colore. Gli incontri sono stati importantissimi per definire il tema, sono venuta a conoscenza di molte cose che non avrei mai saputo stando “al di là del muro”, come ad esempio il fatto che hanno una squadra di pallavolo, le Tigri di Bollate, o che fanno molte attività ricreative come l’uncinetto o il cucito, mi sembrava importante far conoscere tutto questo anche alle persone che stanno al di fuori.
Da qui è nata l’idea di realizzare un puzzle in cui ogni pezzo rappresenta l’identità di ognuna delle detenute, ciò che le sta più a cuore in questo momento o una delle attività che svolge durante la permanenza in carcere. Sono tutte attività, queste, che le rendono unite e che fanno anche capire l’importanza del portare a termine un lavoro, di avere costanza e buona volontà. Mi è piaciuto molto come progetto e credo sia stato istruttivo da entrambe le parti, sia per me che per le detenute, anche se non è stato tutto così semplice: alcune sono state difficili da coinvolgere, altre si imponevano e non volevano scendere a compromessi, ma alla fine sono riuscita a fare sintesi e a proporre un’idea condivisa da tutte, e ce l’abbiamo fatta.
Nel telo che avete realizzato appaiono 9 riquadri, ce li spieghi?
Cominciando da in alto a sinistra, abbiamo la Maternità perché la cosa che una di loro desidera di più, una volta uscita dal carcere, è avere un figlio; la seconda è Donna con inserti all’uncinetto perché la detenuta segue regolarmente il laboratorio di uncinetto; la terza figura rappresenta la Pallavolo, anche questa attività rientra tra le proposte; il quarto quadro è la Parrucchiera, per via della professione che una delle detenute esercitava; il quinto è l’Estetica, la cura dell’aspetto, perché anche se recluse amano tenersi in ordine; l’ultimo è la Lettura, perché una di loro ama molto leggere.
Ce n’è poi un settimo sulla Cucina (nella striscia in fondo, al centro) realizzato da una detenuta che ama cucinare e che si è inserita un po’ dopo, prendendo il posto della parrucchiera che è uscita dal progetto perché faticava ad integrarsi. Infine ci sono altri due tasselli, uno con le orme dei piedi e l’altro con le rondini che rappresentano rispettivamente la voglia di libertà e la voglia di uscire migliori e spiccare il volo. Orme e rondini sono realizzate a stencil.
Quale il senso ultimo dell’opera che ne è venuta fuori?
Il puzzle è il simbolo dell’unione e dell’incastro di sette storie di donne che, anche se momentaneamente private della libertà, hanno la propria identità, coltivano degli interessi, delle passioni, e che hanno progetti di vita per il futuro. Le linguette del puzzle cambiano colore in base allo sfondo del riquadro, a sottolineare che l’incontro tra identità diverse produce unione e integrazione. E poi ci sono le firme di tutte coloro che hanno partecipato alla realizzazione del telo: le loro, la mia e quella di Annalisa Bergo, curatrice del progetto per Fabbrica Borroni, che ha partecipato attivamente alla realizzazione dell’opera.
A Eugenio Borroni, fondatore di Fabbrica Borroni (collezione che raccoglie oltre 500 opere della giovane arte italiana), abbiamo chiesto come è nata la collaborazione con il carcere di Bollate.
La collaborazione con il Carcere di Bollate è nata dall’interesse personale per la nostra Collezione da parte di alcune persone della dirigenza. Da lì l’invito a visitare il carcere e, poco dopo, la visita di 15 detenuti in Fabbrica Borroni. Da allora le collaborazioni si sono intensificate, nel 2014 abbiamo anche ospitato una cinquantina di grafiche di un detenuto in semilibertà con buone valenze artistiche (la mostra ha ottenuto un buon successo, all’inaugurazione erano presenti 200 persone tra stampa e pubblico).
Il carcere di Bollate eccelle per realizzare opportunità di lavoro per i detenuti, e centrale è l’impegno per offrire loro attività di tipo rieducativo, sviluppato anche grazie all’apporto di associazioni del privato sociale e del volontariato…
Esatto, il Carcere di Bollate ha un carattere fortemente riformativo, tantissime le attività ricreativo/culturali proposte ai detenuti, dal maneggio al calcio, dal teatro alla musica, dal giornalismo (Carte Bollate è una testata registrata) alla radio; in particolare, per quanto riguarda la sezione culturale, volontari e volontarie sono seguiti dal prof. di Pittura Renato Galbusera dell’Accademia di Brera. E’ stata questa forte valenza artistica che ci ha attratto e coinvolto come partner insieme all’Accademia di Brera e ad altri soggetti del settore.
Torniamo al progetto dei murales per Expo, come nasce?
Il progetto dei murales per Expo è nato nell’ambito della serie di “Percorsi artisti e mostre” ideati dal Carcere per mostrare le capacità artistiche generate durante i progetti trattamentali [vedi] e noi siamo stati coinvolti dalla vice direttrice dr.ssa Buccoliero negli incontri preliminari di riflessione e ideazione dei percorsi, insieme al prof. Galbusera. L’idea principale è stata sfruttare un evento internazionale come Expo per mostrare alcune delle attività riabilitative che i detenuti praticano e coinvolgerli in una situazione complessa che sta sorgendo a pochi metri da loro. Il progetto ArteBollate, questo il suo nome, si inserisce infatti in una serie di eventi a 360° che da maggio a ottobre permetterà al pubblico di visitare il carcere, partecipando a mostre, mercatini, visite didattiche, sfilate e concerti. Concretamente, i detenuti hanno dipinto dei murales da esporre sulle mura esterne del carcere che è prospicente il complesso fieristico; ma siccome non si poteva dipingere direttamente sui muri della casa circondariale, abbiamo pensato di realizzare le opere su teli di plastica. La seconda idea è stata convocare alcuni giovani street artist (esperti di murales e arte pubblica) a titolo gratuito, per sviscerare i temi e realizzare le opere insieme ai detenuti. La fase operativa di ricerca dei giovani street artist e di accompagnamento durante il percorso, è stata poi seguita dalla nostra curatrice Annalisa Bergo; i materiali (acrilici, teli e pennelli) sono stati forniti dall’Accademia di Brera e da Fabbrica Borroni.
I giovani artisti hanno poi fatto il resto, sviluppando il progetto in modo eccellente sia dal punto di vista artistico che umano, c’è stato infatti un importante scambio tra gli artisti e i detenuti, che è poi il grande valore aggiunto del progetto.
Due parole su Sofia Sita, da parte di un collezionista appassionato e di un esperto ricercatore di giovani talenti?
Sofia collabora con noi da qualche anno e ci ha subito colpito per la determinazione e le intuizioni intelligenti e originali. E’ una bravissima ragazza, convinta e dignitosa, noi facciamo molto conto su questa giovane artista, lo dimostra il fatto che abbiamo già acquisito 5 sue opere facenti parte della serie “Gli ultimi saranno i primi” che ha avuto una menzione speciale al concorso di idee “Up_nea’14: lo stato dell’arte ai tempi della crisi” a ottobre scorso [vedi]. Sofia farà molta strada.
Fotografie di Annalisa Bergo.
Per saperne d più su Fabbrica Borroni [vedi].
Per saperne di più sul Carcere di Bollate [vedi].
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Sara Cambioli
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