Occhetto: “La maggioranza di Renzi è bacata. Una situazione figlia delle scommesse perse da Napolitano”
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di Alessandro Porcari
“Renzi ha fatto un discorso per dare impressione di grande capacità di decisione e volto a parlare all’opinione pubblica in generale, con elementi informali rispetto ai metodi consueti. Mi ha colpito negativamente la mancata capacità di inquadrare gli obiettivi dentro un tentativo almeno parziale di analisi critica di motivi per cui siamo arrivati a questo momento di crisi e la mancata indicazione delle coperture; non parlo di numeri da ragionieri, ma di scelte di fondo che spingono a togliere risorse da una parte e metterle dall’altra, quindi scelte politiche”.
Via Tibaldi 17, la Bolognina. Qui, una quindicina d’anni fa, il 12 novembre del 1989, Achille Occhetto, segretario del Partito comunista italiano annunciò ufficialmente ‘la svolta’.
«Di fronte agli sconvolgimenti dell’Est», disse allora Occhetto a un gruppo di militanti ed ex partigiani, «è necessario lo stesso coraggio che fu dimostrato durante la Resistenza. È necessario creare strade nuove e unificare le forze di progresso». Un discorso che annunciò un processo di trasformazione culminato nel cambio del nome e nella trasformazione dell’identità del partito fondato da Gramsci e Bordiga. Dal Pci al Pd, passando per Pds e Ds. Da principale partito di opposizione a principale partito di governo.
Ma oggi, segno dei tempi, al posto della sede del Pci, in via Tibaldi 17, troviamo un parrucchiere cinese, avanguardia della chinatown delle Due Torri…
Lei che è stato l’uomo della svolta, come giudica la svolta di Renzi?
Ho guardato con interesse alle primarie e alla volontà espressa da Renzi di cambiare la vecchia classe dirigente del Pd, responsabile delle sconfitte della sinistra. Cambiare una classe dirigente che ha fallito e cambiare la politica delle grandi intese sono le ragioni per cui milioni di persone sono state ai gazebo. Non mi è chiara tuttavia la prospettiva politica, sul terreno sociale ed economico e aspetto di vederla finalmente materializzata nel programma di governo. Intanto però il modo in cui si è formato questo governo già contraddice l’attesa fondamentale di superare il prima possibile queste maggioranze anomale.
Vede dunque elementi di precarietà in questo governo?
Non è possibile fare rivoluzioni con questa maggioranza. Vedo un gap tra l’annuncio della grande svolta che è nelle intenzioni e spirito di Renzi e la maggioranza con cui è stato costretto a fare il governo.
Il mondo che gira attorno ad Alfano non è sicuramente tra i più adatti a cambiare il rapporto tra sistema politico e opinione pubblica, a rendere credibili, a voltare pagina rispetto ai mali della politica italiana. Qualora si volessero fare scelte vere sulla allocazione delle risorse per favorire i più poveri, non credo che Alfano possa essere un alfiere.
Come è possibile che si sia già inciampati nelle dimissioni di un sottosegretario?
E’ possibile perché Renzi non ha scelto questa maggioranza, ma l’ha trovata. Era una maggioranza bacata alle radici. Si era già inciampati. Non si è cambiata maggioranza, questa è la critica fondamentale che io faccio e su questo condivido la posizione di Civati.
Dunque non condivide l’alleanza con Alfano e il Ncd?
Le coalizioni si possono fare con i diversi, ma non con i contrari. Alfano e il suo gruppo rappresentano rispetto alle esigenze di rinnovamento reale della società italiana una posizione contraria non solo alla sinistra, ma anche ai moderati del centro sinistra. Per me è motivo di grande interesse sapere come Renzi potrà far quadrare il cerchio.
Letta c’era riuscito, ma è caduto per una crisi interna al Pd…
Il governo Letta è caduto su se stesso. Letta era fermo, non è riuscito a risolvere nessuno dei problemi fondamentali che abbiamo innanzi. Era destinato a finire rapidamente. Non aveva più il sostegno dei sindacati, della Confindustria, di grandissima parte della cooperazione italiana. Nessuno dei temi di fondo (lo sviluppo, l’occupazione) era stato risolto, questi sono dati oggettivi. Era un governo morente. Possiamo discutere il modo in cui è stato ammazzato, come gli è stato dato il colpo di grazia, ma sicuramente non era un governo in grado di affrontare la situazione.
Il Partito democratico è l’erede della politica che lei ha immaginato all’epoca della svolta della Bolognina?
Non ritengo che il Partito democratico, così come è sorto, sia la continuazione degli obiettivi della svolta; anche perché con la Bolognina si posero già allora due possibili vie di uscita dalla crisi e dal crollo del comunismo. La svolta a sinistra, la mia; e la svolta moderata per entrare nei salotto buono e impostare una politica che puntasse tutto sul governo. Mi sembra che i miei successori si siano mossi in questa ultima direzione.
In parte il Pd è figlio della svolta, perché dissi che con il muro di pietra di Berlino crollava anche il muro ideologico che aveva diviso quei partigiani che avevo conosciuto nella casa della sinistra cristiana clandestina. Finalmente potevano unirsi nel progetto di formazione di una nuova sinistra con i partigiani socialisti e comunisti. Ma il modo in cui il Partito democratico è nato tradisce l’idea della svolta, ossia della costituente di una nuova formazione democratica. Il Pd è piuttosto la fusione a freddo tra due apparati che ha portato nel corso degli anni a molteplici inconvenienti e alla mancanza di un progetto politico di trasformazione della società italiana.
Cosa non le piace del Pd?
Non è chiaro il progetto politico-culturale. Ancora adesso non si capisce la linea del partito rispetto all’Europa, per superare la dittatura del pensiero unico monetarista, che ha come agenti fondamentali le grandi potenze finanziarie, e la politica di austerità dell’Unione che richiederebbe un programma sociale ed economico effettivamente alternativo.
Crede dunque che la sudditanza verso i diktat della finanza abbia offuscato il ruolo della sinistra italiana?
Sicuramente, ma non solo quella italiana. Anche la famiglia del socialismo europeo, che ho contribuito a fondare, è stata silente e succube rispetto alle politiche di austerità
Nonostante le incertezze dalla sinistra, il centrodestra ha perso le ultime elezioni amministrative…
Il centrodestra è fallito nel 2011. Il centrosinistra avrebbe vinto a man bassa quelle elezioni. Il grande torto del Presidente della Repubblica è stato ostacolare in quel momento le elezioni, facendosi mallevadore e poi sostenitore accanito della politica delle grandi intese. Ha fatto due scommesse: Monti e Letta. Le ha perse entrambe.
I governi delle grandi intese hanno rilanciato in parte Berlusconi, come è avvenuto dopo il governo Monti, e alimentato la protesta grillina, mettendo in difficoltà il Partito democratico.
Avrebbe preferito un’alleanza con il M5s?
Avrei visto una campagna elettorale quando ci fu l’uscita di Fini e i sondaggi davano Berlusconi al 10%. Allora invece gli si diede tempo. E Berlusconi comprò deputati e senatori. Poi, per tre anni, gli si è fatta la respirazione bocca a bocca, mettendolo nella condizione di risollevarsi.
Per concludere con un’allegoria, il fatto che nel luogo dove il 12 novembre 1989 tenne il famoso discorso, oggi ci sia un parrucchiere cinese che considerazioni le suggerisce?
Sono state date molte colpe alla Bolognina, non vorrei che la si accusasse anche di aver rafforzato la Cina (ride, ndr). Ma siccome mi sollecita anche un giudizio su questa emergente potenza mondiale glielo formulo con una frase lapidaria: la Cina è la sintesi mostruosa in cui convivono il peggio del capitalismo e il peggio del comunismo. E’ un modello da non seguire.
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