Justine Triet, dopo aver conseguito il diploma presso l’Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts di Parigi, ha realizzato due opere sul ruolo dell’individuo all’interno di un gruppo: Sur Place (2007), girato durante le proteste studentesche, e Solférino (2008), realizzato durante le elezioni presidenziali. Nel 2009, ha girato Des Ombres dans la maison a San Paolo. Successivamente, il suo primo cortometraggio di finzione, Two Ships, ha vinto numerosi premi in festival francesi e internazionali, tra cui l’European Film Award alla Berlinale nel 2012, il Gran Premio al Festival Premiers Plans D’Angers e al Festival di Belfort, e riceve la candidatura al César nel 2013. Il secondo lungometraggio, Tutti gli uomini di Victoria (2016), esce nelle sale parigine nel settembre 2016. Nel 2019 ha diretto Sibyl – Labirinti di donna.
La regista, al momento del ritiro del premio, si è scagliata contro la riforma dellepensioni del governo francese, una contestazione in atto importante che riguarda anche il mondo del cinema, e la “mercificazione della cultura difesa dal governo neoliberista, in procinto di rompere l’eccezione culturale francese. Questa stessa eccezione culturale – ha aggiunto – che mi ha cresciuta e formata e senza la quale oggi non sarei qui, davanti a voi”.
Scatenando, con le sue affermazioni, la dura reazione del Ministro della cultura Rima Abdul Malak, felice della vittoria ma “disgustata dal suo discorso così ingiusto. Quel film non avrebbe mai visto la luce senza il nostro modello di finanziamento francese al cinema che permette una diversità unica al mondo. Non dimentichiamolo”.
Secondo premio per importanza, il Gran Premio della Giuria è andato all’inglese Jonathan Glazer per il suo drammatico The Zone of Interest, storia di una famiglia nazista che vive accanto al muro di Auschwitz, tratto dall’omonimo romanzo di Martin Amis scomparso pochi giorni fa. Entrambi i film vincitori dei riconoscimenti più prestigiosi hanno la stessa attrice protagonista, la tedesca Sandra Huller.
Justine Triet e Sandra Huller a Cannes 2023 foto Victor Boyko, GETTY IMAGES
Miglior attrice è invece è la turca Merve Dizdar, per Kuru Otlar Ustune(Dried Herbs) di Nuri Bilge Ceylan, nel ruolo di una donna che si innamora di un insegnante in una remota provincia turca. “Vorrei dedicare questo premio a tutte le donne che lottano per superare le difficoltà di esistere in questo mondo e per mantenere viva la speranza”, ha detto, aggiungendosi alle artiste che hanno posto al centro della Croisette il tema della donna.
La tedesca Gunnur Martinsdóttir Schlüter è infine la vincitrice della menzione speciale per i cortometraggi con Far & Flóra mentre Flóra Anna Buda ottiene la Palma d’Oro per i cortometraggi per 27 anni.
Tante le dichiarazioni a favore della parità di genere, dunque. Finché, per dirla con Jane Fonda, non diventerà la normalità.
Immagini copyright Festival di Cannes
Trailer del film vincitore della Palma d’Oro, Anatomie d’une chute
Si può scrivere qualcosa di speciale, di unico, di mai detto e mai scritto, di una persona speciale che ci ha lasciato?
Appena ho saputo che il nostro Daniele se n’era andato, improvvisamente, senza malattia e senza dolore spero, ho cercato dentro e fuori di me “parole nuove” per ricordarlo e per raccontarlo a chi non ha avuto la fortuna di conoscerlo e di stargli accanto. Perché Daniele Lugli, la sua gentilezza, la sua intelligenza, la sua infallibile memoria, la sua cultura che spaziava oltre ogni siepe e sembrava non finire mai, e soprattutto Daniele e le sue mille (e 1.000 questa volta è una stima per difetto) “battaglie disarmate” avrebbero davvero bisogno di parole nuove, diverse da quelle così logore che si usano nei necrologi e nei coccodrilli.
Parole speciali per un uomo speciale? Forse è una impresa impossibile: gira e rigira, cambia una lettera, leva un avverbio, ribalta una frase, ma alla fine le parole son sempre quelle, uguali per tutti. Ma ora, almeno ora che la commozione e il dolore prevalgono sul ragionamento e perfino sulla memoria, non voglio raccontare tutto quello che Daniele è stato, tutto quello che ha fatto, ideato, tentato e promosso durante la sua lunga vita operosa. Ci sarà tempo per farlo, anche su questo giornale a cui collaborava con affetto, come ad altre riviste, grandi e piccole, famose e oscure: la sua Azione nonviolenta prima di tutto, ma anche il trimestrale Madrugada e tante altre.
Ora, quello che vorrei spiegare – ma è solo il mio parere, il mio sentire personale – è il perché Daniele fosse cosi diverso da tutti noi e da tutti gli altri. Perché era unico e non sostituibile? Così unico che, se riferita a lui, l’abusata frase “non nascerà più uno che gli assomiglia”, suona invece come semplice verità. Perché allora?
Perché Daniele, cambiando lavori, incarichi, impegni, visitando tanti luoghi, ambienti, gruppi, attraversando decenni e decenni di storia locale e nazionale, è rimasto caparbiamente fedele al suo credo e alla sua passione;la Nonviolenza, la via del dialogo, il pacifismo, la grande lezione di Aldo Capitini e di Silvano Balboni. Era cosi il giovanissimo Daniele già in campo nei primi anni 50 del secolo scorso. Ed era cosi Daniele, la barba bianca e lo stesso sorriso, che interveniva la settimana scorsa durante un incontro con l’autore alla Biblioteca Popolare Giardino.
Dunque la sua coerenza, che non sarebbe gran cosa se non fosse merce rarissima in un presente scandito dal conformismo e in una politica ridotta a immagine e malata di trasformismo. Ma anche la “coerenza” di Daniele era “speciale”, non diventava mai monotonia, non era un disco rotto che ripropone una vecchia canzone dimenticata. Ogni suo gesto, ogni sua iniziativa, ogni suo intervento era assolutamente radicato nel presente, informato dei pensieri dei giovani, articolato sempre in forme nuove.
Lo ascoltavi, e Daniele ti apriva sempre vie nuove. E pensavi: “Ah, a questo non avevo mai pensato!”. Parlava a bassa voce, ti spiegava e ti convinceva che solo seguendo la stella polare della pace e la nonviolenza potevi costruire un pezzetto di Mondo Nuovo. Deponendo ogni arma, eliminando la violenza, fuori di te e dentro di te.
Daniele Lugli Daniele Lugli (Suzzara 1941 – Ferrara 2023), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà presidente nazionale dal 1996 al 2010, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali – argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni – e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948.
“Ma lo sapete, o fate finta di non saperlo, che il biometano non è rinnovabile, non è verde e non è sano? Che nella nostra provincia gli impianti a biogas sono già troppi? Che la Terra, la nostra terra, deve servire ad altro che a foraggiare le centrali? Che abitare accanto ad un impianto biogas è una condanna per la salute e il bene stare di una comunità? Insomma: come ve lo dobbiamo dire che una Mega Centrale a Biogas a Villanova non la vogliamo?” Potrebbe essere questo un fedele riassunto della protesta, sempre più esasperata di tanti cittadini.
Poco più di 2 mesi fa, il 18 marzo, La Rete Giustizia climatica di Ferrara, che riunisce tutte le persone, le associazioni e i gruppi che hanno cura dell’ambiente e della salute degli umani e degli animali, ha organizzato un incontro con medici, scienziati ed esperti che hanno messo in fila tutte le ragioni contro le centrali a biometano. Sotto trovate qualche estratto dell’articolo di Gangaetano Pinnavaia e il link per leggere per intero quanto è emerso da quel importante momento di conoscenza e di confronto. Sabato 3 giugno alle 10 è indetta una Assemblea Pubblica proprio a Villanova. Un appuntamento da non mancare.
… Per molti decenni in Italia la produzione di biogas si è realizzata prevalentemente in ambito agricolo per ricavare energia, da utilizzare prevalentemente all’interno delle stesse aziende, utilizzando gli scarti della attività di questo comparto, sostanzialmente biomassa vegetale e deiezioni animali. Oggi questa tecnologia, nel nostro paese e non solo, sta assumendo una rilevanza che senza dubbio si può considerare preoccupante per l’impatto ambientale complessivo che comporta. Secondo i dati del Consorzio Italiano Biogas (CIB), all’inizio del 2020 erano operativi più di 1.500 impianti di biogas, di cui 1.200 in ambito agricolo. …
… Attualmente l’Italia, nel settore biogas, si colloca al quarto posto al mondo dopo Germania, Cina e Stati Uniti, con circa 2200 impianti operativi, di cui circa 1.730 nel settore agricolo e circa 470 nel settore rifiuti e fanghi di depurazione, per un totale di circa 1.450 MWe (megawatt elettrici) installati. Di questi, secondo il Gestore Servizi Energetici, circa 1000 sono nel settore agricolo. …
… Dai biodigestori, in funzione del materiale trattato, si ottiene una miscela costituita da metano (CH4) mediamente per il 60-70%, anidride carbonica (CO2), ossido di carbonio (CO), acqua, idrogeno solforato (H2S), ossigeno, azoto, ammoniaca (NH3) e altre sostanze. Per arricchire in metano questa miscela si applicano tecniche dette di upgrading che hanno appunto lo scopo di rendere massima la percentuale di questo gas fino a valori del 95/99%. …
… Il potenziale di sviluppo della filiera biogas/biometano nel breve/medio termine è consistente: stime del CIB-Consorzio Italiano Biogas identificano un potenziale produttivo al 2030 di 8-10 miliardi di m3 di biometano, pari a circa il 11-13% del consumo attuale di gas naturale in Italia e superiore all’attuale produzione nazionale. …
… Dall’intervento di Gianni Tamino, biologo, membro della Associazione italiana Medici per l’Ambiente:Si può infatti parlare di fonti rinnovabili, continua no, “solo se nel territorio di origine e nel tempo di utilizzo quanto consumato si ripristina. Ciò vale per l’energia solare e quelle derivate come il vento e l’energia idrica, ma non si applica totalmente alle biomasse intese come materiale prodotto da piante e destinato alla combustione. Se viene distrutto un bosco per bruciarne la legna, il bosco non si rigenera nel tempo di utilizzo per la combustione della legna. E’ possibile usare solo il «surplus» dell’attività forestale. Ancora più complesso il discorso se le biomasse provengono da colture agricole dedicate”. In questo caso un impianto alimentato da coltivazioni dedicate ha un bilancio energetico molto basso in quanto occorre da un lato calcolare l’energia necessaria per la produzione agricola (fertilizzanti, fitofarmaci, irrigazione, trasformazione, trasporti, ecc), dall’altro quella necessaria per far funzionare l’impianto. Oltre a ciò, afferma Tamino, “alimentare un impianto a biomasse con prodotti agricoli (mais, triticale, ecc.), che consumano terreno utile per produrre cibo, è un problema anche di ordine «etico»: mentre in varie parti del pianeta vi sono difficoltà di approvvigionamento e il nostro paese ne importa dall’estero, si preferisce utilizzarli come materiali nei biodigestori”. Va poi tenuto presente che “se si dovesse coprire il 10% del fabbisogno energetico italiano utilizzando biomasse, occorrerebbe una superficie di coltivazione grande 3 volte l’Italia”.
… La fermentazione anaerobica infatti favorisce la produzione di batteri sporigeni anaerobi come il clostridiumbotulinumche, attraverso il digestato successivamente sparso sui campi come concime, può determinare problemi anche mortali negli animali d’allevamento, specie volatili, ma anche per le persone. Alla luce di queste considerazioni va tenuto ancor maggiormente presente il “Principio di precauzione” ratificato nel 1992 dalla Convenzione di Rio de Janeiro e inserito nel 1994 nel Trattato dell’Unione Europea “in base al qualeun prodotto o un processo produttivo non vanno considerati – come si è fattofinora – pericolosi soltanto dopo che è stato determinato quanti danniambientali, malattie e morti producono, ma al contrario, possono essereconsiderati sicuri solo se siamo in grado, al di là di ogni ragionevole dubbio, diescludere che possa presentare rischi rilevanti e irreversibili per l’ambiente eper la salute”. …
… La mancanza di attenzione e di comunicazione da parte delle amministrazioni competenti nei confronti dei cittadini dei territori interessati. Queste, più volte sollecitate a dare risposte alle tante domande della cittadinanza, mai hanno mostrato interesse ad affrontare pubblicamente e a dibattere queste tematiche che tanta importanza hanno per la vita quotidiana delle aree coinvolte. …
Maggio mese nefasto per l’Emilia Romagna? Nel 2012, il 20 e il 29 maggio ci furono due forti scosse di terremoto che colpirono diverse province dell’Emilia Romagna con diversi lutti, molti danni sociali, economici, crolli (con lavori di ripristino e ricostruzione ancora non ultimati). Nel mese appena finito, oltre ad alcune esondazioni e diverse frane nel bolognese, gran parte della Romagna è andata sott’acqua. Di nuovo ancora tanti lutti! Forlì, Cervia, Lugo, Bagnacavallo, Conselice, Faenza, Modigliana, Rimini, sono alcuni dei nomi di paesi e città balzati nelle prime pagine dei giornali, dei media, dei social. Video drammatici che hanno documentato questa immane tragedia. Il 19 maggio, nella serata conclusiva dell’evento “Parole oltre lo sguardo” organizzato al circolo Arci “Bolognesi” dall’Associazione Culturale “Ultimo Rosso”, in collaborazione col gruppo fotografico “Norsisti”, sono state lette diverse poesie. Alcune hanno toccato con forza il tema dell’alluvione. Abbiamo pensato di riproporle come piccolo gesto di solidarietà, come momento di riflessione, come volontà di riscatto. (Pier Luigi Guerrini)
(TIN BOTA) TIENI BOTTA!
La fatica
la morte
non spaventano
ma l’acqua…
“Avevamo appena finito di pagare i debiti…”
“Sono rimasta qui con i miei gatti…”
“L’ho fatta con le mie mani, questa casa.
Ho perso tutto!”
Poi l’acqua…
Tieni botta!
Forse imprechi
ma alzi la fronte…
Via! Ce la faremo
siamo gente forte
noi!
Il raccolto non c’è più
la terra, la casa…
solo acqua…
Tieni botta!
L’ho sempre visto
il fiume
sono cresciuta qui
gli voglio bene
ma ora…
ora si è preso tutto
il campo, la strada,…
solo fango
non c’è luce
sento la sua voce.
Tieni botta!
Grazie a voi…
Domani
ricostruiremo il suo argine. (di Cecilia Bolzani)
Danni collaterali
Danni collaterali
Per nostra incuria
E cieco andare
Vacilla un equilibrio
Ch’è arduo mantenere
Vento più caldo
Incatenato al gelo
Turbina l’aria
Oscura il cielo
Acqua che è vita
Sfonda le porte,
Perde i confini
Fango di morte.
Ma voi non dite
Che questa è vendetta,
Alla Natura non imputate
Lo sfacelo
La disdetta
per volontà di ritorsione
o misura colma
di sopportazione.
Colmo sarebbe
Lanciarle colpa
per nostro danno,
Pensarla umana.
(di Anna Rita Boccafogli)
Per l’Emilia Romagna (e per l’Italia)
Il mio spirito
È in lutto
Non mi va
E basta
penso
Che siamo nei guai
Più ancora
Le generazioni future
Il mio cuore
È in lutto
Povera terra mia
tra appennini e mare
Nostra Italia
tanto Bella
Quanto fragile
da scialare
(di Roberto Dall’Olio)
Cecilia Bolzani, insegnante di italiano in un Istituto Superiore e poetessa. Ogni suo verso nasce da emozioni provocate da luoghi, oggetti, eventi che le permettono di mettere a nudo la propria interiorità, evocare situazioni, impressioni che superano la dimensione personale e toccano il cuore per divenire linguaggio universale. In “Parole a capo” sono state pubblicate sue poesie in diverse occasioni: il 9 dicembre 2021; il 9 marzo 2022 e il 13 ottobre del 2022; il 16 febbraio 2023.
Anna Rita Boccafogli, ex docente, laureata in Pedagogia, fondatrice dell’ Associazione Synesis con la quale, insieme a diversi soci, diffonde pratiche per il benessere e l’autoeducazione attraverso iniziative inerenti la consapevolezza corporea e le relazioni interpersonali. A tale proposito ha prodotto un manuale interno dal titolo Dinamiche della Comunicazione, poetessa. Appassionata di culture tradizionali, ha approfondito la conoscenza della cosmovisione andina con esperienze pluriennali dirette a contatto con comunità locali, nel corso di viaggi dedicati, con la mediazione di esperti e maestri andini. Ha raccolto il senso di tali esperienze nel libro Nel grembo delle Ande, Edizioni Infinito, 2013. In “Parole a capo” sono state pubblicate sue poesie il 23 dicembre 2021 e il 9 marzo 2022.
Roberto Dall’Olio (1965), bolognese, docente di filosofia e storia al Liceo Classico Ariosto di Ferrara. Ha pubblicato diversi volumi di poesia. E’ del 2015 il poema “Tutto brucia tranne i fiori” Moretti e Vitali editore- nota di Giancarlo Pontiggia postfazione di Edoardo Penoncini – con il quale ha vinto il premio Va’ Pensiero 2015. Con l’editore L’Arcolaio ha pubblicato il poema Irma con note di Merola, Muzic, Sciolino, Barbera e la raccolta di poesie “Se tu fossi una città” con nota di Romano Prodi. Nel 2021 ha pubblicato Monet cieco e I ragazzi dei Giardini (per le Ed. Pendragon), nel 2022, sempre per le Edizioni Pendragon, ha pubblicato la sua ultima fatica “La ballata di Jan e versi boemi”. Sul giornale online Periscopio, tiene la rubrica settimanale “Per certi versi”.
La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio. Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.
In Emilia-Romagna, nonostante il propagandato Patto per il lavoro e il clima promosso dalla Giunta regionale più di 2 anni fa, continua ad essere prevalente una logica economicista e produttivista, per cui prima di tutto si guarda all’obiettivo della crescita del PIL, subordinando a ciò le scelte in materia ambientale. Si è andati avanti con uno scriteriato consumo di suolo, con un’idea che la costruzione di nuove autostrade e grandi opere produce sviluppo, con la privatizzazione di beni comuni fondamentali, come l’acqua e i rifiuti, con un’impostazione sulle politiche energetiche che asseconda la ripresa dell’ economia del fossile ( vedi la vicenda del rigassificatore a Ravenna), anziché puntare con forza verso le fonti rinnovabili.
Ho già avuto modo di occuparmi delle 4 proposte di legge di iniziativa popolare regionale promosse da RECA (Rete Emergenza e Climatica Emilia-Romagna) e da Legambiente Emilia-Romagna, sottoscritte da più di 7000 cittadini, al momento della loro presentazione in Regione, nel settembre scorso [Vedi qui]. Le 4 proposte di legge intervengono sui temi dell’acqua, dei rifiuti, dell’energia e dello stop al consumo di suolo e hanno l’ambizione di riscrivere l’insieme delle politiche ambientali finora avanzate in Regione, modificando nel profondo le priorità a cui finora ci si è ispirati.
Ebbene, ora siamo arrivati ad un punto decisamente importante rispetto alla discussione delle proposte di legge.
La regolamentazione regionale in materia di proposte di legge di iniziativa popolare prevede che esse, una volta assegnate alle Commissioni consiliari competenti, vengano esaminate in quella sede nei successivi 6 mesi e che, in mancanza di quest’esame, esse arrivino direttamente all’Assemblea regionale, che le deve iscrivere all’ordine del giorno e decidere entro un ulteriore anno su di esse.I 6 mesi per la discussione nelle Commissioni consiliari sono scadute il 18 maggio scorso e lì la discussione non è nemmeno iniziata.
Un fatto grave, indice di una sottovalutazione molto forte, ma, ancor più, un vero e proprio “vulnus” democratico, visto che la normativa sulla trattazione delle leggi di iniziativa popolare indica esplicitamente tale passaggio. Peraltro, il passaggio diretto all’Assemblea regionale potrebbe anche determinare il fatto che si arrivi al voto sulle stesse, senza neanche discuterne il merito, e magari ad una loro bocciatura “in toto”.
Un esito che sarebbe non solo deprecabile, ma che, inevitabilmente, renderebbe palese che anche in questa regione ( come se non ne avessimo abbastanza di quanto sta facendo il governo nazionale) si aprirerebbe una vera e propria “ questione democratica”. Questo scenario, di una possibile bocciatura delle proposte di legge, senza neanche discuterle di fatto, equivarrebbe a sancire l’abolizione della possibilità di avanzare proposte di legge di iniziativa popolare, affermare che esiste solo la democrazia rappresentativa e che quella partecipativa rappresenta solo un disturbo, lanciare un segnale devastante sull’inutilità della partecipazione dei cittadini, in un contesto in cui, tralaltro, sempre meno persone si recano alle urne per esprimere il proprio voto. Per questo, RECA e Legambiente chiedono con forza che l’Assemblea legislativa si pronunci per far tornare le proposte di legge nelle Commissioni consiliari e che da lì riprenda la discussione di merito, e stanno organizzando varie iniziative di informazione e mobilitazione per sostenere tale richiesta, a partire dal flash mob previsto per il prossimo 9 giugno alle 17 in piazza Nettuno a Bologna.
Non prendere in considerazione le proposte di legge di iniziativa popolare, poi, nella drammatica situazione seguita alle vicende dell’alluvione in Romagna e in altri territori della regione, acquisirebbe un significato decisamente inquietante.
Possiamo tralasciare la facile polemica nei confronti di chi mette sul banco degli imputati i cosiddetti ‘ambientalisti del NO” ( anche se fa specie trovare in quella compagnia anche il sindaco di Ravenna), facendo rilevare che sarebbe singolare che, proprio nel momento in cui realtà ambientaliste significative avanzano proposte precise – addirittura sotto forma di testi di legge-, la risposta che proviene è quella di ignorarle e passare oltre.
Ciò che francamente sarebbe inaccettabile è che, ora che tanti si interrogano sulle cause dei disastri dei giorni passati e che c’è un’analisi molto diffusa e condivisa che essi, al di là dell’eccezionalità del fenomeno, traggono origine dal cambiamento climatico, dall’eccessivo consumo di suolo e dai mancati interventi in tema di riassetto idrogeologico, il governo regionale si rifiuti di confrontarsi con proposte che hanno proprio l’intenzione di affrontare alla radici quelle questioni.
Contrastare il cambiamento climatico, primo dato responsabile della ‘nuova normalità’ fatta dall’alternarsi sempre più frequente tra periodi siccitosi e fenomeni alluvionali estremi, comporta, in primo luogo, uscire dall’economia del fossile e spingere per il ricorso alle fonti rinnovabili ( altro che pensare all’Italia come hub del gas e a Ravenna come una delle sue capitali, come pensano il governo nazionale e quello regionale).
Per quanto riguarda il consumo di suolo, non c’è alternativa a fermarlo da subito, in una regione che è al 3° posto in Italia sotto quest’aspetto e addirittura la 1° per consumo di suolo nelle aree alluvionali. Decidere che occorre mettere mano al dissesto idrogeologico significa rinaturalizzare fiumi, laghi, boschi, avere uno sguardo volto al risparmio e al corretto utilizzo ( e riutilizzo) dell’acqua, oltre che, a livello nazionale, destinare a ciò ingenti risorse, riscrivendo anche il PNRR. Tutti temi presenti nelle proposte di legge e che, se ignorati o non affrontati, non possono che farci trarre la conclusione che – per inconsapevolezza o subordinazione agli interessi e ai poteri forti, o per un mix di entrambi- non si avrebbe alcuna intenzione di modificare nel profondo il modello produttivo e sociale attuale, che è condizione essenziale per andare nella direzione indicata anche nelle proposte di legge.
Già il governo nazionale ha scelto dove collocarsi: solo per esemplificare, da ultimo, esso è riuscito ad inserire nel decreto per gli aiuti alle popolazioni alluvionate una norma per “ semplificare” la messa in funzione dei rigassificatori. O, nel recente decreto contro la siccità, ci è toccato constatare come esso sia figlia di una logica vecchia, incapace di dare risposte alle problematiche esistenti, sostanzialmente piegata agli interessi delle aziende di costruzione, incentrato com’è su una visione tutta emergenziale, basata sulle grandi opere e sull’artificializzazione delle soluzioni ( vedi il ricorso agli impianti di desalinizzazione).
Sarebbe decisamente “sconsolante” vedere il governo della Regione Emilia-Romagna incamminarsi su questa medesima strada e lasciare sostanzialmente solo ai movimenti, alle Associazioni, ai cittadini il compito di accollarsi il fatto di indicare e prospettare un’alternativa reale a queste impostazioni. Comunque, non c’è dubbio che l’esito della vicenda legata alle 4 proposte di legge di iniziativa popolare regionale promosse da RECA e da Legambiente rappresenterà certamente una cartina al tornasole importante. E che, per questo, andrà seguita con attenzione e con passione, soprattutto con la mobilitazione sociale e politica che essa merita.
Kickin’ Up A Fuss è un pop sofisticato e bislacco che si poggia su un’ipotetica telefonata con la reception di un hotel scalcinato. L’ospite fa un po’ i capricci – sì, come Bruno Barbieri in 4 Hotel – ed è alle prese con i suoi demoni. La frase “I don’t want to be somebody else, but I don’t want to be myself” è emblematica: Brian Christinzio, in arte BC Camplight, riassume così i problemi personali che l’hanno accompagnato nell’ultimo periodo e che l’hanno condotto a Manchester, città dalla quale pare aver assorbito il mood umido e disincantato.
Il pezzo fa parte dell’ultimo album del cantautore del New Jersey, The Last Rotation Of Earth, uscito il 12 maggio. Un album che non parla di redenzione, di cure miracolose o del farsi una nuova vita, bensì dell’immutabile condizione umana. È come se Christinzio elaborasse tutto ciò che gli è accaduto nell’ultimo biennio – la morte del padre, la separazione con la fidanzata dopo nove anni di convivenza e un esaurimento nervoso – mettendosi a nudo, senza alcun filtro.
Ne esce fuori un disco pregiatissimo, che sa cullare e spiazzare l’ascoltatore. Basti pensare alle linee vocali della già citata Kickin’ Up A Fuss: si passa dal rassicurante tono baritonale di Jim Kerr ai guizzi stralunati di Brian Wilson, e in mezzo ci sono addirittura degli intermezzi parlati che stanno in bilico tra lo sproloquio e la psicanalisi.
Insomma, come suggerisce il titolo, BC Camplight fa sì il diavolo a quattro, ma lo fa mettendo in fila pensieri, parole e melodie con una lucidità e una saggezza disarmanti.
La fiera del bebè e la biodiversità cancellata a Milano
Il 20 e il 21 maggio a Milano si è tenuta la fiera del Bebè ” Wish for a baby.” All’interno una ventina di stand con hostess ben vestite e sorridenti che promettono di garantire a chiunque lo desideri un figlio su misura!
Il concepimento di un figlio trasformato in un processo industriale, staccato completamente dalla relazione e dall’amore. Scrivono nero su bianco gli organizzatori: “Se sei alla ricerca di opzioni di trattamento a livello locale e/o in tutto il mondo, di terapie complementari, dei più recenti prodotti e tecnologie in ambito di fertilità, di consulenza legale, di una rete sociale o di un’assicurazione, li potrai trovare qui.”
‘Wish for a baby’ è organizzata in collaborazione con cliniche per la fertilità che dichiaratamente si occupano di “surrogacy”, cioè di utero in affitto (IVF Babble). Che ti assicurano gravidanze e parti garantiti, nonché banche del seme e di ovuli (disponibilità, sicurezza, varietà e costi inferiori).
Fuori dalla fiera, ben distanziati, alle porte dei due ingressi, i presidi di protesta. Da un lato le forze politiche della Destra ,FDL e Lega. Dall’altro le associazioni femministe e organizzazioni di Resistenza al nanomondo , FINAARGIT- rete internazionale Femminista contro la riproduzione artificiale, l’ideologia gender e transumanesimo- a cui si sono uniti l’Assemblea di resistenza al Transumanesimo di Bergamo,uniche realtà che hanno compreso veramente la posta in gioco di tutta questa narrazione edulcorata della “maternità per tutti”.
Si perché questa fiera non bypassa solo la legge 40 con la propaganda dell’utero in affitto (vietata espressamente all’articolo 12 ), ma si spinge sulla vitrificazione degli ovociti, sull’adozione degli embrioni, sulla compravendita di corpi e di pezzi di corpo e su informazioni pratiche per spostare da un paese all’altro materiale biologico. Insomma, una fiera indecente di cui pochi hanno parlato, e pochi continuano a parlarne perché, se davvero divenisse dibattito pubblico, forse il risveglio dell’umanità sarebbe vicino.
Da circa una decina di anni mi occupo di maternità surrogata e ho visto come questo tema sia stato sempre tenuto ai margini del dibattito pubblico o solo lievemente accennato grazie a una neo lingua che cancella la schiavitù e il disegno transumanista aberrante che si cela dietro a questa pratica.
Ma c’è di più, una volta disvelato l’orrore di una pratica fondata sulla separazione del cucciolo d’uomo dal ventre della madre, l’ambiente dove è cresciuto per nove mesi, bisogna avere il coraggio di andare a monte e parlare di PMA e di riproduzione artificiale, perché l’obiettivo non è mai stata la cura (sono tutte tecniche che non curano l’infertilità) ma, semmai, quella di spostare il concepimento e la riproduzione fuori dai corpi viventi e immetterli nel laboratorio.
Dovremmo avere imparato con la storia dei semi di Monsanto, che l’espropriazione della capacità riproduttiva prima dalla terra e oggi dai corpi, è finalizzata a renderli sterili per sempre e a cancellare la biodiversità a vantaggio esclusivo di certe élite che hanno un disegno preciso sul mondo.
La biodiversità è a rischio! E’ un dato di fatto. Tutti oggi si riempiono la bocca di green e di salvaguardia della biodiversità, però poi, se si va alla radice del problema, se si tenta di aprire gli occhi sulla direzione politica e finanziaria intrapresa, che è tutto tranne che green e a tutela della biodiversità, nessuno la vuole affrontare.
Doppiamente indecente che questa fiera si sia svolta a Milano nel silenzio generale da parte del Sindaco Beppe Sala e dell’ assessore alla cultura Tommaso Sacchi, che si fregiano però di avere inaugurato la più grande mostra italiana di Salgado dedicata all’”Amazonia” . Una mostra tutta dedicata alla importanza della salvaguardia della biodiversità della natura ma anche di quella umana. Una celebrazione delle popolazioni indigene che sono giunte al 2023 in maniera culturalmente diversa ma non meno importante.
Fa infuriare dunque vedere questi politici onorare a parole la politica e la cultura green, sperticarsi in difesa della biodiversità senza poi attivare il seppur minimo pensiero critico riguardo a quanto, a poca distanza dalla mostra, si stava propagandando. La leggerezza e la superficialità con la quale affrontano temi di vitale importanza per il nostro pianeta e per le nostre comunità, lascia basiti. A sorprendere è anche l’incompetenza con cui si occupano di aree del verde nella città .
Lea Garofalo (Petilia Policastro, 24,,04.1974 – Monza, 24.09.2009) è stata una testimone di giustizia italiana, vittima della ‘ndrangheta.
Al ritorno dal presidio mi sono imbattuta nel gruppo di ambientaliste che difendono “il giardino di Lea Garofalo” in piazza Baiamonti, contiguo a un fazzoletto di terra con alberi centenari e un glicine maestoso che verrà tagliato perfar posto a un edificio di 6 piani: il nuovo Museo della Resistenza, deciso dall’intraprendente e contraddittorio sindaco Sala.
Un angolo di verde storico, frequentato da bambini e anziani, in una zona urbana molto densa viene sradicato e cancellato in nome delle solite ipocrite belle parole sulla memoria!
Le motivazioni delle Resistenti di Baiamonti sono suonate assolutamente di buon senso anche a una ‘foresta’ come me. Non sono contro il museo ma il progetto di cementificazione non ha nessuna logica urbanistica in quel quartiere.
Seabbiamo da restituire qualcosa ai nostri figli questo qualcosa non è la ricetta di come costruire il loro futuro, o fornirgli “modelli replicabili”, i famigerati protocolli che sono proprio alla base della cancellazione della biodiversità, ma i principi etici e sacri verso la terra e verso i nostri corpi ( dove per corpi, terra e suolo intendiamo anche e soprattutto l’invisibile che si muove dentro e fuori di noi), che da secoli ci tramandiamo e che in una generazione abbiamo falciato in nome di un falso “ progresso” che porterà, di questo ne sono certa, alla distruzione del senso stesso di umanità.
In copertina: Milano, lo striscione appeso dai “Resistenti di Baiamonti” nel “Giardino di Lea Garofalo”, un angolo di biodiversità minacciato da 6 piani di cemento armato del progetto di un nuovo Museo della Resistenza.
“Praticate gentilezza a casaccio e atti di bellezza privi di senso”. Girava tempo fa sui social, anonimo. In un albo l’importanza di essere gentili
Colori tenui dalla tonalità marrone e immagini delicate per questo albo di Anthony Martinez, “Qualcosa di gentile”, Babalibri edizioni.
La donnola Nic è triste, molto triste: la sua adorata compagna, Mira, provetta pescatrice di rane, è partita. Non è uscita a fare la spesa, se ne è andata lontano come il deserto e forse non tornerà più. O almeno Nic così crede. Era arrabbiata per colpa di una volpe.
Forse Mira è partita con quella volpe molto brutta e sciocca come una rapa. O almeno Nic così crede. Se il cuore non si dà pace serve un amico.
Così, quando Nic incontra l’anatra Sam, gli confida il suo grande rammarico. Mira gli manca tanto, tantissimo, era davvero gentile e aveva un profumo così buono, come quello di un salsicciotto.
“Non la dimenticare, se ha un profumo così buono”. … “Tutto si sistemerà” lo rassicura Sam.
E, allora, proveranno a scrivere una lettera a Mira. Mentre Sam regala a Nic un salsicciotto. La generosità di un amico.
E se Nic avesse solamente bisogno del conforto di un amico? Un amico con cui camminare, fianco a fianco, che basta a sentirsi meglio? Sam ne è sicuro, e noi con lui.
“Mira, hai detto che non tornerai mai più, ma Sam pensa che forse ritornerai. È un’anatra, e sa il fatto suo. Non essere arrabbiata. Sarò sempre qui per te, perché tu sei molto gentile, e profumi di buono (come un salsicciotto). Nic”.
Anthony Martinez
Francese, dopo una laurea in arti grafiche, ha lavorato in un’agenzia di comunicazione prima di co-fondare uno studio grafico nel 2010. Nel 2018, ha iniziato a illustrare. Qualcosa di gentile è il suo primo albo illustrato.
Anthony Martinez, Qualcosa di gentile, Babalibri, 2023, 40 p.
“Per quanto piccolo, nessun atto di gentilezza è sprecato”. Esopo
“Tenerezza e gentilezza non sono sintomo di disperazione e debolezza, ma espressione di forza e di determinazione”. Khalil Gibran
Libri per bambini, per crescere e per restare bambini, anche da adulti. Rubrica a cura di Simonetta Sandri in collaborazione con la libreriaTestaperaria di Ferrara.
LE VOCI DA DENTRO : A volte, il vento è uguale per tutti
Chi ha scritto questo testo, di solito, non scrive molto. Lo ha fatto su mio invito perché in un suo racconto mi aveva colpito un particolare: quello di tenere la finestra della cella sempre aperta in ogni stagione, con qualsiasi temperatura, per continuare a sentire aria di libertà.
(Mauro Presini)
A volte, il vento è uguale per tutti
di A.P.
Oggi sono andato al giornale Astrolabio; ho sentito parlare ragazzi detenuti come me sulle dinamiche carcerarie reali di tutti i giorni.
Mi ha fatto capire che anch’io posso scrivere un testo sul giornale dove, secondo me, non sarei mai riuscito ad esprimere i miei pensieri. Grazie al gruppo del giornale che mi sta aiutando a mettermi in gioco, ci sto provando.
Questa carcerazione, che mi ha tolto di nuovo la libertà dopo 12 anni che non entravo in questo inferno di rabbia, odio e sofferenza; mi sta pesando tanto.
Le giornate in galera sono lunghe, non passano mai dentro queste quattro mura e dietro queste sbarre.
In cella la noia e la sofferenza si sentono tanto.
Dove si soffre, si aspetta la sera e poi la notte per buttarsi in branda con i pensieri.
Io provo ad evadere dalla mia cella tenendo sempre la finestra aperta, sia d’estate che d’inverno.
Mi dà la sensazione di libertà sentire quel venticello e quella frescura; mi sembra di non essere chiuso come dentro una scatola che mi comprime.
Spero che il sistema carcerario cambi in meglio per i detenuti e le detenute in modo che non si venga trattati come numeri ma che venga riconosciuta la dignità della persona.
Si chiama Astrolabio il giornale della Casa Circondariale di Ferrara. Ed è un progetto editoriale che, da qualche anno, coinvolge una redazione interna di persone detenute insieme a persone ed enti che esprimono solidarietà verso la realtà dei detenuti. Il bimestrale realizza il suo primo numero nel 2009 e nasce dall’idea di creare un’opportunità di comunicazione tra l’interno e l’esterno del carcere. Uno strumento che dia voce ai reclusi e a chi opera nel e per il carcere, che raccolga storie, iniziative, dati statistici, offrendo un’immagine della realtà “dietro le sbarre” diversa da quella percepita e filtrata dai media tradizionali.
Per leggere le altre uscite di Le Voci da Dentro clicca sul nome della rubrica.
In copertina : opera realizzata da un detenuto del Carcere di Ferrara.
I danni arrecati al Parco Bassani, all’Addizione Verde di Ferrara, dal concerto di Bruce Springsteen sono stati molto più gravi del temuto, anche a causa delle abbondanti precipitazioni atmosferiche che hanno preceduto l’evento. L’arrogante incoscienza di chi ha voluto a tutti i costi che il concertone per oltre 50.000 spettatori si svolgesse nell’area verde più bella e delicata della città, nonostante gli appelli accorati di associazioni culturali e ambientaliste e del comitato “Save the park” a cercare possibili soluzioni alternative, ha avuto effetti catastrofici.
Il Parco Urbano, gioiello urbanistico di Ferrara, è in ginocchio, letteralmente devastato. Le immagini parlano chiaro e inchiodano i responsabili. Inoltre il Parco rimane negato alla fruizione pubblica nel periodo più bello dell’anno, il periodo della fioritura e della nidificazione degli uccelli, e lo rimarrà, in tutto o in parte, ancora a lungo.
Con la melma del Parco sono stati infangati i nomi di chi quel Parco ha inventato e voluto: Giorgio Bassani, Antonio Cederna, Paolo Ravenna, Ippolito Pizzetti, nomi probabilmente sconosciuti all’illustre manager italiano del Boss che fino a pochi giorni prima del concerto ha preteso, strombazzando sulla stampa locale, di insegnare ai ferraresi come si utilizza un parco per “valorizzarlo”.
Ma se è comprensibile la interessata leggerezza di chi su un evento deve lucrare, risulta invece inaccettabile e imperdonabile la leggerezza di chi, preposto istituzionalmente a curare e difendere la qualità dei luoghi pubblici di questa città, ne sacrifica l’integrità per assecondare interessi privati.
Gli argomenti propagandati in questi giorni per sostenere l’interesse collettivo dell’iniziativa sono facilmente confutabili:
– grande successo dell’iniziativa: il successo, garantito dal protagonista, sarebbe stato uguale con qualsiasi altra ubicazione del concerto, ma con minori problemi organizzativi, problemi che hanno quasi paralizzato la normale vita della città in concomitanza con l’evento;
– grande ritorno economico per la città: tralasciando considerazioni su fenomeni speculativi assolutamente negativi, anche il ritorno economico sarebbe stato comunque garantito nelle voci attive, ma sarebbe stato assai minore in quelle passive se ubicato in altro luogo. La riparazione dei danni inflitti al parco (quelli riparabili) annullano in buona parte le voci positive con l’aggravante che si tenterà di accollarne i costi alla collettività (ma su questo sarà la Corte dei Conti a decidere);
– finalmente Ferrara ha una visibilità internazionale: puerile anche solo pensare che una città storica riconosciuta dall’Unesco “Patrimonio dell’Umanità”, in cui tra l’altro è in corso una importante mostra su pittori del Rinascimento universalmente conosciuti, diventi nota a livello internazionale per un concerto di Springsteen.
Dal 1975 molti errori sono stati fatti nell’uso del Parco, ma nessuno finora era riuscito a provocare danni tanto devastanti.
La gravità di quanto accaduto pare però non sia bastata a far riflettere i responsabili. Gli ingenti investimenti effettuati nel Parco prima del concerto e quelli preannunciati come già programmati (in realtà determinati dai danni subiti dal Parco stesso) fanno temere che quanto accaduto non sia che l’inizio e che ci sia un disegno preciso dell’Amministrazione di trasformare in modo permanente un parco ricco di valori ambientali e
naturali in una grande arena per spettacoli all’aperto. Italia Nostrarivolge un appello alla cultura nazionale ed internazionale perché questo rischio venga sventato e perché siano fermati quelli che, pensando a Cederna, non possono che essere definiti i Nuovi Vandali.
Il Consiglio Direttivo della sezione di Italia Nostra di Ferrara
PNRR: L’Italia nel 2023 crescerà dell’1,2% come PIL, ma in realtà ci stiamo impoverendo
La Commissione Europea ci informa che il nostro Pil crescerà nel 2023 dell’1,2%, più degli altri paesi europei! Ma si tratta di un bluff.
Intanto dovremmo finirla di usare il PIL come indicatore di benessere.
Infatti lo stesso OCSE ci informa che nel 2022 l’Italia, pur avendo avuto un +3,7% di Pil (fonte Istat), ha visto un calo del reddito reale delle famiglie di -3,5%. Ma a parte il reddito, abbiamo un welfare in via di disfacimento e tutte le variabili legate alla modernità sono in peggioramento: inquinamento, criminalità, immigrazione, povertà, litigiosità, natalità, disoccupazione, giovani NEET, suicidi, solitudine, relazioni umane.
Ma stiamo anche solo all’economia. Keynes consigliò una terapia in tempi di recessione che violava il principio di pareggio di bilancio allora in voga tra gli economisti: se si immette liquidità aggiuntiva, attraverso la spesa pubblica, aumenta il reddito nazionale. Attraverso il “moltiplicatore keynesiano” il Pil aumenterà di “x volte” il surplus di spesa pubblica, in base alla propensione marginale al consumo (che è massima per poveri e disoccupati e minima per i ricchi).
A seconda delle modalità di aumento della spesa pubblica la crescita economica sarà quindi più o meno sostenuta in base all’aumento della domanda di beni di consumo e di investimento. Se la spesa pubblica aggiuntiva va ai lavoratori a basso reddito o ai disoccupati (come Keynes proponeva), l’incremento dei consumi sarà molto rilevante e avrà un effetto significativo sulla domanda aggregata (consumi + investimenti). Se invece la spesa pubblica aggiuntiva finisce ai ceti ad alto reddito potrebbe trasferirsi in parte nella finanza, o in beni di consumo di lusso, e avere scarso impatto sull’economia reale.
I circa 60 miliardiche quest’anno incasseremo dalla Ue per il Pnrr andranno direttamente agli investimenti e ai consumi.
In base ad una stima realistica (e prudenziale) possiamo dire che l’effetto del moltiplicatore della spesa pubblica aggiuntiva sarà per quest’anno di circa 1,5%, che si traduce in una spesa complessiva di 90 miliardi di euro.
Poiché il nostro Pil nel 2022 è stato pari a 1.909 miliardidi euro, questo incremento stimato dovrebbe far crescere il Pil del 4,7%. Se mettiamo a confronto questa stima di incremento del Pil con quella della UE (+1,2%), si deduce che siamo in netta recessione e che senza questa iniezione di euro dalla Ue avremmo avuto, secondo queste stime, una recessione del 3,5%, fermo restando le altre variabili del mercato (interno e internazionale).
Inoltre, almeno un terzo di questi 60 miliardi li dovremo restituire e questo significa che ci stiamo ulteriormente indebitando e stiamo scaricando sul futuro un peso finanziario insopportabile.
Quello che viene sbandierato come un successoè di fatto un grande bluff.
Un ampia coalizione sociale, da ATTAC al Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, dall’Arci alle Acli e altri ancora, hanno lanciato la campagna “Riprendiamoci il Comune”, basata su 2 proposte di legge di iniziativa popolare, su cui raccogliere almeno 50.000 firme a livello nazionale entro il mese di luglio.
Le 2 proposte di legge intendono, da una parte, ridare autonomia economica e finanziaria ai Comuni e, dall’altra, rendere Cassa Depositi e Prestiti una Banca pubblica con la vocazione di sostenere gli investimenti degli Enti locali, in particolare quelli relativi ai Beni Comuni.
Ancora più in specifico, la prima proposta intende costruire un ruolo centrale per i Comuni nel poter affermare diritti fondamentali dei cittadini, facendoli ridiventare soggetti attivi nel promuovere la gestione pubblica e le politiche sociali (ed economiche), in particolare in campi quali il patrimonio pubblico e i servizi pubblici, dall’acqua al ciclo dei rifiuti, da quelle riferite all’abitare alla conversione ecologica, dai trasporti pubblici alla cultura e altro ancora.
La proposta di legge relativa alla socializzazione diCassa Depositi e Prestiti ha la finalità di mettere a disposizione l’ingente patrimonio che essa raccoglie con il risparmio postale dei cittadini (circa 280 miliardi di €) per finanziare, a tassi agevolati, gli investimenti dei Comuni nei settori sopra elencati e consentire alle comunità locali di intervenire efficacemente sulle priorità che esse individuano.
Il valore delle 2 proposte di legge di iniziativa popolare – oltre all’idea di costruire meccanismi di democrazia partecipativa nel definire le scelte sia dei Comuni sia della stessa Cassa Depositi e Prestiti- sta nel delineare un percorso di modifica radicale del ruolo e del sistema delle autonomie locali, in grado di affermare i diritti fondamentali delle comunità territoriali e di dotarli delle risorse che rendono possibile quest’obiettivo.
Per una trattazione più completa puoi leggere il mio articolo uscit0 a febbraio su Periscopio [Vedi qui].
Guarda il video con tutte le informazioni sulle 2 proposte di legge di iniziativa popolare: Video informativo
Parco Urbano: patrimonio ambientale da salvaguardare, non da consumare
Il Parco Urbano di Ferrara, “l’Addizione Verde” di Paolo Ravenna, assieme al parco delle Mura, è unanimemente considerato un gioiello dalla miglior cultura urbanistica del Paese. Italia Nostra se ne occupa dal suo nascere, negli anni Settanta del Novecento, cercando di incalzare le amministrazioni che si sono succedute sia per renderne più efficace la tutela che per difenderlo da usi impropri più volte proposti nel tempo.
Nel febbraio 2020 Italia Nostra, assieme ad altre tre associazioni ambientaliste, dopo le prime avvisaglie di programmazione di concerti nel Parco, chiedeva pubblicamente cautela nella scelta di iniziative da svolgersi nel Parco Urbano, luogo di particolare importanza ecologica per la città. La risposta del Sindaco fu, dopo poco tempo, l’annuncio del concerto di Bruce Springsteen, negando che su quell’area esistessero vincoli ambientali e rifiutando di prendere in considerazione luoghi alternativi già utilizzati in passato per eventi con grande afflusso concentrato di pubblico.
L’importanza dell’area dal punto di vista ambientale è stata anche di recente, ancora una volta, negata sulla stampa dall’Assessore alla cultura Marco Gulinelli. La risposta della Provincia al quesito posto da Italia Nostra sui livelli di protezione del Parco Urbano smentisce quanto finora asserito dagli amministratori comunali affermando con chiarezza che nella vigente pianificazione il Parco Urbano, nella sua interezza, è “zona di particolare interesse paesaggistico ambientale”, “nodo ecologico di progetto della Rete Ecologica Provinciale” ed “area di vulnerabilità idrogeologica e di particolare tutela per la pianificazione Comunale”.
La Provincia ricorda inoltre che l’area risulta inclusa nel perimetro del Sito Unesco “Ferrara città del Rinascimento e il suo Delta del Po”.
La Provincia afferma che, pur non ravvisando nel concerto elementi di incompatibilità con la normativa vigente, trattandosi di evento temporaneo, “rimane in capo all’Amministrazione Comunale la corretta applicazione della norma che, seppur non disciplini specificamente gli usi temporanei, qualora questi possano determinare eventuali significativi impatti sull’ambiente” (tipo 60.000 persone contemporaneamente nel Parco! n.d.r.) “devono essere accuratamente valutati … anche in ragione della presenza di un nodo della rete ecologica (individuato dal Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale) per il quale la pianificazione comunale ha il compito di dettagliare e specificare gli usi … garantendo una gestione ambientalmente corretta e una fruizione sostenibile”.
In altre parole occorreva preventivamente una seria valutazione di impatto ambientale, affidata a specialisti competenti, su cui basare la scelta di ubicazione del concerto, valutazione di cui non esiste traccia concreta e consultabile. Occorreva anche, e occorre ora più che mai, un serio piano di gestione del Parco per definire le attività e gli usi con esso compatibili al fine di evitare in futuro altre iniziative e manifestazioni potenzialmente devastanti.
Di tutte queste leggerezze e inadempienze, e delle eventuali conseguenze, Italia Nostra chiederà conto agli Amministratori a nome di quella parte degli abitanti di Ferrara che ha voluto e realizzato questo miracolo urbanistico ed ambientale e che, a tutti i costi, intende difenderlo da chi pensa di poterlo snaturare.
Il Consiglio Direttivo della sezione di Italia Nostra di Ferrara
Intervento di Flavio Lotti, coordinatore della Perugia Assisi, all’apertura della Marcia di Barbiana del 27 maggio 2023, a 100 anni dalla nascita di don Lorenzo Milani
Care amiche e amici, buongiorno.
Oggi siamo qui per celebrare la nascita di un uomo che qualcuno voleva punire e isolare, senza acqua né luce né strada, a Barbiana e che ha finito col fare di quella piccola località fuori dal mondo, una luce sul monte visibile da ogni parte del mondo.
Tra poco ci metteremo in cammino per salire a Barbiana.
Ci dice niente questa cosa? Per andare a Barbiana bisogna salire.
Salire, cioè muovere dei passi, uno dopo l’altro, verso l’alto.
Salire vuol dire elevarsi, muoversi verso una maggiore altezza. Barbiana è elevata e se noi dobbiamo andare a Barbiana dobbiamo elevarci. Muoverci, non rimanere fermi, immobili… e salire verso un punto più alto.
Se oggi vogliamo davvero “celebrare don Milani” senza retorica e manipolazioni di comodo, dobbiamo salire ed elevarci. Ci dice niente questa cosa? Elevare è stato anche l’obiettivo di don Milani. Elevare i ragazzi esclusi, i poveri ad un livello superiore. “Non dico a un livello pari a quello dell’attuale classe dirigente”, diceva. “Ma superiore. Più da uomo, più spirituale, più cristiano, più tutto”.
Anche noi, se davvero vogliamo muoverci sui passi di don Milani, dobbiamo salire, elevarci, e puntare a divenire migliori, superiori dell’attuale classe dirigente.
Elevarci ed elevare i nostri piccoli, i nostri ragazzi e ragazze, i nostri giovani cioè dare a loro la cultura, la parola e il coraggio per riacquistare quella dignità e quei diritti che hanno ricevuto in dono dal momento della nascita ma che altri gli hanno subito rubato.
Don Milani, che è stato un “maestro della pace”, pretendeva molto dai suoi studenti ma non per farli competere e combattere gli uni contro gli altri nella giungla del mercato globale dove i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
Don Milani pretendeva molto dai suoi studenti non perché voleva formare delle eccellenze ma perché nessuno fosse schiavo.
Se davvero vogliamo fare come Milani, oggi dobbiamo scegliere di “essere” come don Milani e investire sui giovani, credere nei giovani, fare spazio ai giovani e dare la parola ai giovani.
Anzi, dobbiamo lasciare che se la prendano la parola, come stanno facendo i giovani che lottano con i loro corpi contro il cambiamento e le devastazioni climatiche, come stanno facendo gli studenti che piantano le tende davanti all’Università, come fanno quelli che a Palermo manifestano contro le mafie.
Oggi, come ai tempi di don Milani, alcuni vorrebbero giovani obbedienti e arruolabili nelle anguste schiere della competizione selvaggia o negli eserciti della terza guerra mondiale che, anche se facciamo finta di non vedere, continua la sua terribile escalation.
Con il nostro semplice gesto di camminare e di salire a Barbiana, oggi come abbiamo fatto domenica scorsa con la Marcia Perugia Assisi, noi li invitiamo a ribellarsi ad un presente insopportabile e insostenibile e ci impegniamo a camminare assieme a loro nel tentativo di salvare il genere umano dalla catastrofe e, se possibile, costruire una vita e un mondo più umano.
Di fronte alle guerre, alle violenze e alle sofferenze dilaganti, a quelle visibili e invisibili, noi rinnoviamo la nostra “obiezione di coscienza” e insieme dichiariamo la nostra fiducia e il nostro amore per le giovani generazioni e gli diciamo che non sono sole, che vogliamo farci carico delle loro fatiche e ferite, che “l’obbedienza non è più una virtù”, che rifuggiamo l’egoismo e scegliamo di prenderci cura gli uni degli altri e della nostra madre terra per trasformare il futuro.
Flavio Lotti, coordinatore della Marcia Perugia Assisi
Certi individui
Maestri del nulla
Sofisti dell’inezia
Tuttologi totali
Sono dei veri
Paladini del vuoto
Acustico
Camaleonti
Per i quali
Il trasformismo
È antiquato
Erano radicali
Poi
Diventati
Integrali
Integratori
Integralisti
Negano
Il clima sconvolto
Negano
Il diritto
All’aborto
I diritti universali
Famiglie
Omogenitoriali
NeganoHanno
Il tono
Sempre
Alto
Sopra tutti
Aggressivi
Rabbiosi
Loro così
Diffusi
In ogni angolo
Della ciancia
Quotidiana
Predatori
Voltagabbana
Ogni domenica Periscopio ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche di Roberto Dall’Olio.
Per leggere tutte le altre poesie dell’autore, clicca[Qui]
Ecco una carrellata di scatti che documentano senza ombra di dubbio quanto sia grande l’area del Parco Urbano G. Bassani trasformata in fango o terra arata. Quanto ci vorrà per tornare come prima? E quanto costerà il ripristino alle tasche del Comune (cioè a quelle dei ferraresi). Senza contare che, dopo le trionfalistiche e bislacche dichiarazioni del Sindaco Fabbri la mattina dopo l’evento (“Ferrara è diventata una capitale della musica internazionale”) nello stesso Parco Bassani è in programma il 2 luglio il Confort Festival.
Chi ama il grande polmone verde del Parco – credo siano la totalità dei cittadini di Ferrara, quale sia il loro credo politico – sarà sorpreso nel vedere le proporzioni di un “disastro annunciato” e che l’Amministrazione Comunale ha finora nascosto alla cittadinanza. Ma la sorpresa lascerà posto al dolore davanti a cosi tante ferite,
Esistono malattie rare che non si possono riscontrare prima della nascita, tra queste la sclerosi tuberosa. Questa malattia genetica può colpire in maniera lieve oppure contagiare gli organi interni compreso il cervello. In questo caso oltre a problemi organici ci sono conseguenze a livello cognitivo e comportamentale.
Ho conosciuto N. su richiesta della madreche nei suoi imperterriti tentativi di non arrendersi ha chiesto il mio aiuto. Ma, dopo poco, sono io che ho dovuto cedere al principio di realtà: non si possono guarire tutti. Alle volte conviene non intervenire perché la consapevolezza che deriva da una psicoterapia può smantellare quelle difese che servono per salvarsi. Non sempre sapere aiuta.
Certo ho dato un nome alle difese del mio paziente, un giovane uomo bambino, con le istanze e le emozioni di entrambe queste fasi evolutive. Ho dato un significato alla loro funzione, ho fatto collegamenti con la sua storia reale. Alla fine, però, ho dovuto rassegnarmi all’inelutabillità della malatttia. Per rispetto e per salvaguardarlo, dovevo allearmi con il non cambiamento. La comunità terapeutica in cui viveva faceva già un lavoro di contenimento e riabilitativo.
Lasciarlo andare: il male minore.
La mia speranza è che anche la sua mamma, l’apparizione di un angelo quando l’ho vista la prima volta, sia riuscita a vivere senza illusioni e ad accettare la fatica dell’ambivalenza con questo amato e odiato figlio, desiderato e misconosciuto.
In una seduta N., come la vedesse per la prima volta, guarda esterrefatto una scultura dell’istituto in cui lo incontravo. Gli sta davanti. Non parla. Gli spiego il deterioramento che le intemperie hanno fatto subire al gesso di cui è fatta quella dolce testa di bambina.
È ammaliato. Qualcosa si è palesato nella sua mente e poi per fortuna sparito.
N. si risveglia ed è lo stesso di sempre.
Come in un flash mi pare che abbia visto se stesso in questa scultura, piccoli tubercoli che hanno minato la bellezza dell’opera. Decido che non continuerò la psicoterapia e che le fantasie/ossessioni di essere come Spiderman e che solo le Forze dell’ordine (tutte, ognuna con la sua funzione) potessero proteggerlo, mi sono sembrate non solo un rifugio sicuro, ma la spiegazione migliore per procedere con la sua vita.
Un figlio raro
Gustav Klimt, Maternità
Ti ho sognato prima ancora che tu nascessi. Ti ho amato nell’istante che ho saputo che esistevi. Ho preparato un posto speciale nel mio cuore e nella nostra casa, per te.
Poi sei arrivato. Bellissimo.
Ti allattavo e tu stavi bene, e anch’io, tenendoti nel mio abbraccio e nel mio sguardo stavo bene.
Stavi bene solo quando eri attaccato, per il resto piangevi sempre.
“Qualcosa non va” diceva tuo padre irritato. “Fa’ qualcosa! Quel bambino non è normale”. E ci lasciava soli sempre più a lungo.
Meglio il silenzio che le grida, pensavo, e ti appoggiavo al mio seno anche se diventava sempre più vuoto ed io con lui.
Poi quella paura tremenda: il tuo corpicino che trema, convulso, la febbre altissima. Non ti fermi, una, due, tre, dieci crisi, non si contano più. Siamo in ospedale, hai solo tre mesi, ci rimaniamo per quaranta giorni, un tempo eterno in cui il tuo piccolo corpo viene bucato, tastato, dissacrato da mani estranee, di lattice, che odorano di freddo e disinfettanti.
Sclerosi tuberosa, mi dicono. E io ti vedrò crescere e diventare grande insieme alla tua malattia.
Tuo padre se ne è andato ed anche gli altri uomini che ho avuto.
La mia giovinezza e la mia bellezza non erano sufficienti a costruire in loro un varco in cui tu potessi entrare. E tornavamo ad essere solo noi: io e te. Il tempo che passava era scandito da quei piccoli tubercoli che crescevano dentro e fuori dal tuo corpo, come piccoli fiori rosa in un prato, come piccole stelle nel cielo. La speranza che, come granelli di sabbia nella clessidra, non si esaurissero.
Il sogno
Sono con un uomo in un’atmosfera un po’ grigia. Volgendo lo sguardo verso il mio orizzonte, vedo un mucchio di gatti. “Guarda che belli” gli dico. Sono di diversa età. Grandi e cuccioli, e con manti tutti diversi. “ Mi piacciono tanto i gatti! ”
Uno mi viene in braccio e lui dice: “Hanno la rogna!”. Mi accorgo che il musino del gatto ha una sorta di macchia, di escrescenza gommosa rosa intenso come i bubble gum.
Rimango un attimo perplessa, poi lo scrollo via dal mio grembo, con un misto di colpa e di disgusto.
Guardo i gatti e tutti hanno queste macchie, ho paura di essere aggredita, di essere contagiata.
Non so da dove sbuca, ma, alla mia destra, c’è un ragazzo, un uomo giovane che, in viso, ha le stesse macchie rosa.
Mi dice qualcosa, io sento il disgusto crescente e ho sempre più paura. Mi giro verso l’uomo che mi accompagnava, ma non c’è più.
Mi sveglio e non riesco a guardarti. Piango.
Mi piace disegnare. Guardo i cartoni animati. La mamma mi compra tanti video.
La mia mamma è bellissima. È bella come un angelo. Ha gli occhi azzurri. Anch’io ho gli occhi azzurri. Però mi ha comprato quel gioco di merda. Brutta! Perché mi fa fare le cose che non capisco? Mi fa arrabbiare!
Sono molto arrabbiato. Rompo tutto. La picchio.
La mamma piange. Anche il papà la faceva piangere. Il papà la picchiava e dopo picchiava anche me.
Meglio che se ne è andato.
Aspetta! Un attimo: mi, mi mi chiamano dalla centrale. È urgente. Vedi ho la radiotrasmittente. Non posso più venire da te, c’è, c’è un’emergenza.
Ecco ti disegno la macchina dei pompieri. Domani faccio quella dei Carabinieri. Tu li chiami, vengono subito e, e ti salvano.
dav
dav
dav
Lo sai che un mio amico è finito in prigione perché ha usato delle interferenze con le linee della polizia? Senti, ma perché non si può fare?
Oggi mi sono dato la crema per essere più bello, così la dottoressa non mi prende per il culo.
Per fortuna che c’è la mamma che mi vuole bene. Sono stato nella casa nuova ma è troppo piccola per starci anch’io. Ma io voglio stare lì, è una bella famiglia.
Va bene, sarò buono così non ci vado all’SPDC vero? No, no. Non ho fatto niente.
Senti, ma, ma come nascono i bambini?
Lo sai che ho il vestito di Spiderman? …Io, io sono come Spiderman.
Spiderman non ha il papà e neanche la mamma. Nessuno lo vede, ha la maschera. Lo sai? Un ragno gli ha messo dentro un veleno ma lui, adesso, ha i super poteri.
Nota importante: tutti gli articoli della rubrica sono tratti da casi clinici reali, romanzati ed adattati per rispettare la privacy. Le immagini dei pazienti sono autorizzate dalla liberatoria che mi è stata concessa solo a scopo di pubblicazioni a mio nome. Ne è vietata la riproduzione per altri usi.
Per leggere gli altri interventi della rubricaL’Arte che CuradiGiovanna Tonioli, clicca sul nome della rubrica o su quello dell’autrice.
Cover: Scultura nella sede di Therapy Italiana di Bologna – foro Giovanna Tonioli
C’è un fiume, qui, che pende su di noi come una spada liquida: quando si gonfia fa paura. Tremiamo ad ogni pioggia. La gente ne parla a voce bassa, come di un dio terribile che può colpire in ogni momento. I vecchi ricordano piene rovinose, scuotono il capo e allargano le braccia. È così dovunque, l’Italia affonda, ed è un lento morire, una disfatta.
(Da “Tre sguardi in uno”, Pendragon, Bologna, 2015)
Quando sento commentare la tragedia dell’alluvione in Romagna con le solite, trite frasi“Servono le vasche di laminazione” (per frenare le portate dei fiumi ingrossati dalla pioggia), oppure “Sono necessari gli invasi” (per conservare l’acqua piovana nei periodi di siccità), o ancora “Il nostro territorio è fragile” per via delle frane, eccetera, mi dico che questi discorsi li ho sentiti dieci, venti anni fa. Anche quando non si parlava ancora estesamente di cambiamento climatico.
A proposito di territorio fragile, viene in mente quello che nel 1904 Giustino Fortunato, autorevole meridionalista, scriveva a proposito della Calabria definendola “uno sfasciume pendulo sul mare”.
Cosa è mutato da allora? Poco, pochissimo.
E allora, VERGOGNA.
Vergogna imperitura per chi avrebbe dovuto provvedere e non l’ha fatto.
Vergogna per chi, ancor oggi, fa finta di non accorgersi del consumo di suolo o di chi permette di costruire case negli alvei dei fiumi; per chi non recupera, almeno in parte, l’immenso patrimonio edilizio esistente e disponibile e edifica con nuovo cemento.
Per chi non fa niente, o quasi, per mantenere il territorio in condizioni di sicurezza.
Per chi va in televisione a impancare giudizi negativi sull’avversario politico di turno, solo per farsi un po’ di propaganda.
Perché in Italia si succedono terremoti, inondazioni e frane, seguono grandi discorsi, si piangono le vittime, e poi tutto resta come prima, l’ambiente rimane una voce residuale nelle politiche di investimento pubblico.
Sapete come fu soprannominato dai suoi detrattori Giustino Fortunato, autore di studi e proposte rigorose anche sulla gestione del territorio meridionale? “L’apostolo del nulla”.
Nel giugno del 2022, esattamente un anno fa, scrissi il testo di una mail per un’azione condivisa di mailbombing nei confronti di sindaco e assessori in cui si chiedeva, con garbo, pacatezza e senza alcuna obiezione nei confronti dell’evento in sé, di spostare il concerto di Springsteen in altra sede, argomentando tutti i possibili rischi che avrebbe corso il Parco Bassani.
La mail fu inviata, sicuramente centinaia di volte e a quella seguirono molte altre comunicazioni ufficiali, con testi analoghi. Fu l’inizio della battaglia Save the Park che nessuno in città può dire di non aver conosciuto, d’accordo o meno. Ecco un paio di passaggi di quella mail:
“Negli anni si è creato un equilibrio biologico unico e prezioso, un ecosistema complesso che ora, nel pieno della sua maturità, costituisce un unico grande organismo vivente; non si tratta semplicemente di un prato con qualche albero di contorno, ma di una vasta area in cui le relazioni tra suolo-coperture vegetali di più livelli, acqua e mondo animale si sono consolidate con la lentezza e la pazienza che la Vita richiede, attraverso l’interconnessione tra ambienti diversi “
Poi, nello specifico:
“In un simile contesto l’impatto sul prato di decine di tir dell’organizzazione del concerto e di decine di migliaia di persone sarà pesantissimo ( numerosi i precedenti in altri contesti); la distruzione del cotico erboso in situazione di grave siccità, destinata a perdurare e peggiorare, compromette la sostanza organica, fonte inestimabile di vita del suolo, con conseguente sterilizzazione dello stesso. Se poi il terreno dovesse essere bagnato da piogge cadute nei giorni precedenti, l’effetto calpestamento e compattazione ne comprometterebbe la struttura e di conseguenza ancora una volta la fertilità fisica e biologica”.
Quindi li avevamo avvertiti, avevamo spiegato cosa sarebbe successo, cioè esattamente ciò che ora è e sarà sotto gli occhi di tutti, non appena verrà riaperta l’area centrale, ancora interdetta ai cittadini forse, oltre che per i lavori, anche un pò per vergogna.
Qualsiasi scenario meteorologico avrebbe dovuto essere messo in conto, soprattutto in tempi di grandi squilibri climatici.
L’organizzazione del concerto e la scelta della location abbiamo appreso che risale a 2 anni fa, un tempo più che sufficiente per preparare uno spazio idoneo e dedicato ai grandi eventi nell’ area sud, come più volte suggerito dai cittadini e da diverse forze politiche, M5S in primis.
A una settimana di distanza lo scenario del dopo concerto, in parte già documentato da foto e testimonianze, è quello di un vero e proprio scempio annunciato.
Il terreno è putrido e il pensiero va al dramma della Romagna, nei confronti del quale, pur non essendo nemmeno paragonabile per livello di gravità e al netto delle polemiche sul mancato rinvio per solidarietà, porta con sé la vergogna di una sorta di dolo in un territorio che aveva avuto la fortuna di essere stato graziato da quell’apocalisse.
Ancora rabbrividisco al pensiero dei tanti che hanno sostenuto per mesi che il Parco Bassani è uno spazio “artificiale”, alcuni purtroppo e inspiegabilmente anche all’interno della variopinta galassia dell’ambientalismo ferrarese. Quel suolo ritornerà come prima, con il suo cotico erboso, ma certo non in piena estate nè in uno o due mesi. Dovrà essere ben lavorato, riseminato, irrigato e lasciato a riposo senza alcun calpestamento, il che mi pare inconciliabile con il programma di altri concerti estivi fra un mese.
Inoltre, vogliamo aprire il capitolo costi anche economici, oltre che ambientali e sociali?
In questi giorni e nei prossimi siamo pure di fronte a sottrazione di spazio pubblico alla cittadinanza. Tutto questo disastro per una colpevole sottovalutazione e quel solito “pizzico” di arroganza che contagia chi arriva nella stanza dei bottoni. Direi che ora potrebbe diventare materia per avvocati.
Cover: Ferrara, 19 maggio 2023: il Parco Urbano Giorgio Bassani la mattina dopo il mega concerto di Bruce Springsteen
La presenza del lupo in pianura può essere oggi considerata il simbolo di una natura che ancora resiste alle azioni dell’uomo e occasione per affrontare con maggior consapevolezza la non semplice strada verso un “nuovo” equilibrio tra uomo, attività antropiche e natura.
Il lupo è infatti tornato da qualche anno nel territorio ferrarese dopo più di un secolo dalla sua scomparsa a causa della caccia indiscriminata e dal completo stravolgimento degli habitat naturali. Attualmente non è di particolare impatto, anzi, in molte zone si nutre di nutrie e ungulati, riducendone la presenza ritenuta da molti dannosa.
Ma tanti cominciano a ritenere pericolosa la sua presenza. Si tratta, quindi, di decidere come si vuole convivere con questa ma anche con tante altre specie che negli ultimi anni sono presenti nel nostro territorio o se si intende tornare alle modalità antropocentriche che hanno caratterizzato i decenni della fine del secolo scorso e i primi di quello attuale.
Tutto ciò in un territorio tra terra e acqua, completamente antropizzato a seguito delle bonifiche, con la presenza di un Parco ricchissimo di biodiversità nell’area del Delta e di una importante attività ed economia di tipo agricolo.
Se ne parlerà Lunedì 29 maggio 2023 dalle 17,00 alle 19,30 presso la Sala Convitto Factory Grisù in Via Poledrelli 21 a Ferrara in un incontro organizzato nell’ambito del Festival 2023 dello Sviluppo Sostenibile di ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) da C.D.S. Cultura OdV in collaborazione con il WOLF GROUP Fe-Ra-Bo, il GRUPPO GAD di Lettura Espressiva, i CASCHI BLU DELLA CULTURA di Ferrara e con il patrocinio del Parco del Delta del Po Emilia-Romagna.
Altro importante tema che verrà affrontato quello della rinaturalizzazione del territorio, in particolare in ambito regionale e della provincia di Ferrara, attraverso le opere di afforestazione/ri-forestazione che risultano di notevole importanza per tutta una serie di motivi a cominciare dalle azioni per la riduzione delle emissioni climalteranti, ma anche per lo sviluppo di attività volte al riequilibrio tra ambiente antropizzato e ambiente naturale.
Interessante a questo proposito la pagina della regione Biodiversità in Emilia Romagna, ricca di informazioni e di temi di approfondimento oltre che di rimandi alle numerose normative che riguardano questo tema.
L’incontro si articolerà secondo gli interventi di Gian Gaetano Pinnavaia di CDS, di Maria Teresa Pistocchi imprenditrice agricola, di Elena Cavalieri per il Parco del Delta del Po e infine di Riccardo Gennari del Wolf Group Fe-Ra-Bo, mentre Il GRUPPO GAD di Lettura Espressiva leggerà brani tratti da libri sul lupo.
Ferrara, lettera aperta agli elettori di centro sinistra
I firmatari di questa lettera aperta, rivolta alle cittadine e ai cittadini ferraresi, intendono richiamare l’attenzione di tutti sulla necessità di mettere a disposizione le proprie esperienze e le proprie energie perché, in vista delle prossime elezioni comunali, si costituisca un’alternativa di centro sinistra all’attuale maggioranza politica che governa la nostra città.
Non vogliamo riaprire facili polemiche giornaliere: i tempi sono complessi per tutti e non ci interessa la propaganda. Ci sentiamo però in obbligo di richiamare quali sono oggi le esigenze prioritarie della popolazione ferrarese che non vengono intercettate dalle politiche dell’attuale Amministrazione. Spetterà poi ai partiti, alle liste e alle coalizioni di centro sinistra che si presenteranno alle prossime elezioni definire compiutamente un programma di mandato. Noi auspichiamo che ai nomi delle candidate e dei candidati corrisponda un progetto amministrativo pluriennale piuttosto che non solamente un simbolo di partito.
“La prima città moderna d’Europa”, la città Patrimonio Unesco, negli ultimi anni ha perso la propria capacità espressiva e attrattiva. Non siamo più quel luogo magico, pieno di ricchezze urbanistiche, artistiche, letterarie, cinematografiche, culturali, storiche che appartengono alla migliore identità dei ferraresi e avevano inserito Ferrara in una rete europea di città d’arte. La Ferrara del futuro non può essere un semplice palcoscenico di attività ed eventi importati: deve trovare una sua nuova identità. Non rivendichiamo un’idea nostalgica, legata al passato della città, ma l’orgoglio di appartenere a una comunità che sappia creare nuovo benessere ambientale, sociale ed economico per i cittadini: tutti i cittadini, riducendo disagi e diseguaglianze e avviando visibili politiche di sostenibilità.
Le dinamiche di invecchiamento della popolazione ferrarese generano nuovi bisogni cui è necessario corrispondere garantendo nuovi servizi efficienti e diffusi: l’assistenza sociale, la presa in carico sanitaria di prossimità, la sicurezza personale e del territorio, la cittadinanza attiva, la mobilità pubblica efficiente, l’arricchimento culturale, le relazioni, la partecipazione civica.
Il tessuto produttivo e industriale, che negli ultimi anni è diventato più fragile (sia nelle piccole imprese che in quelle di grandi dimensioni, a partire dal petrolchimico), deve essere consolidato da una domanda pubblica che non privilegi solo la distribuzione.
Accrescere il benessere dei cittadini e far rinascere un sistema di servizi sociali diffuso è anche un’occasione strategica per creare nuove imprese e un lavoro nuovo e stabile per i giovani e le donne di cui oggi vengono trascurate le competenze.
Ai bambini e ai giovani deve essere garantito un percorso di istruzione completo e aggiornato (dal nido all’università) che aumenti le competenze e riduca i Neet e gli esodi verso altri paesi europei alla ricerca di un lavoro degno.
Si deve essere intolleranti con chi delinque (italiano o straniero che sia) ma, allo stesso tempo, è necessario garantire una casa dignitosa, un percorso formativo, un lavoro vero a chi vuol assumere una piena cittadinanza fondata su diritti e doveri certi (italiano o straniero che sia).
Per la Ferrara del futuro va definito un programma di riqualificazione e rigenerazione urbana che valorizzi la città anche dal punto di vista della qualità dell’abitare, che porti benefici prima di tutto a chi vive a Ferrara e che aumenti una attrattività più stabile e consapevole dei giovani non residenti che vengono nella nostra città per studio o lavoro.
Le linee di rigenerazione urbana non devono essere applicate e misurabili solo nel centro storico ma in tutti i quartieri cittadini e nelle aree extraurbane. In ogni quartiere devono esserci giardini, aree pedonali e aree verdi riservate alle relazioni tra persone adulte e ai giochi per bambini. In ogni quartiere devono essere sperimentate le comunità energetiche e migliorato il ciclo e il riciclo dei rifiuti. In ogni quartiere devono esserci zone in cui la velocità dei mezzi di trasporto sia limitata ai 30Km l’ora. In ogni quartiere deve tornare a esserci un luogo in cui si interloquisce direttamente con l’Amministrazione comunale. In ogni quartiere devono essere garantiti i servizi e utilities necessari al benessere dei cittadini.
La “città delle biciclette” non può diventare la città delle automobili (o dei furgoni e dei pullman che parcheggiano ovunque gli faccia comodo, o delle moto che sfrecciano rombando ad alta velocità per le strade urbane di giorno e di notte). Occorre sviluppare e rendere più sicura la mobilità sostenibile e potenziare i trasporti pubblici ecologici. Ferrara può diventare davvero una “città dei 15 minuti” come le più moderne capitali europee.
L’Università di Ferrara non può essere una presenza separata e “neutra” rispetto alla vita e alla rigenerazione della città. Essa va potenziata nella frequenza e nell’accoglienza e coinvolta (professori e studenti) nel definire gli indirizzi di innovazione di Ferrara e del suo territorio. La dimensione della nostra Università è ormai tale da richiedere la creazione di una “città universitaria” in grado di offrire un soggiorno dignitoso e non speculativo (a professori e studenti), sul modello dei “campus universitari” già sperimentati da anni in altre città europee. Non è accettabile che in Italia le tasse universitarie siano più alte della media europea con servizi aleatori se paragonati a quelli della Spagna, della Francia, della Germania.
Su questi ed altri temi prioritari è necessario avviare al più presto momenti di partecipazione dei cittadini alla definizione di un programma quinquennale di governo della città: un percorso condiviso dall’inizio, non la passiva ratifica di un manifesto elettorale già scritto e concordato fra pochi.
I firmatari della presente lettera aperta intendono portare nei prossimi mesi il proprio contributo di esperienze e competenze alla discussione ed elaborazione di un programma di governo di Ferrara basato sui nuovi bisogni reali dei cittadini e del territorio. Auspicando che le forze politiche di centro sinistra che si riconoscono nella necessità di cambiamento (anche del proprio modo di essere e di far politica) diano vita, da subito, a una coalizione elettorale davvero larga, fondata su un progetto condiviso e pubblico; e che, accanto al nome del/la candidato/a sindaco/a sia resa nota da prima del voto la composizione di una Giunta di alta competenza, adatta alla realizzazione di un programma pluriennale di governo e di innovazione.
Cosa sono, cosa fanno, a cosa servono Il CSV e la Casa del Volontariato di Ferrara. Il racconto corale degli operatori di una istituzione vivace, attiva e operosa, il punto di riferimento e la sede di decine di gruppi di volontariato sociale. Ora però il futuro sembra incerto.
“La nostra sede è al primo piano di una ex scuola, in via Ravenna 52, nello storico quartiere ed ex isola di San Giorgio. I locali sono stati concessi in comodato ad uso gratuito dal Comune di Ferrara nel 2013. Il 31 dicembre scorso il comodato è scaduto e Il Comune di Ferrara (ora a guida Lega – Fratelli di Italia n,d.r.) non l’ha ancora rinnovatoe l’assessore competente ha espresso la volontà di adibire i nostri uffici ad altro uso. Questo ci crea incertezza ed apprensione: il volontariato senza luoghi in cui riunirsi è come un’automobile senza carburante.”
I 400 metri quadri a disposizione in via Ravenna ospitano gli uffici del CSV ma anche una sessantina di associazioni con sede legale e/o operativa. Per questo il primo piano di Via Ravenna 52 non è solo la sede del CSV ma la Casa del Volontariato. Questa struttura per noi è estremamente funzionale, accogliente, su misura dei bisogni del volontariato. La spaziosa sala riunioni attrezzata con videoproiettore, wi fi, lavagna a fogli mobili è utilizzata tutti i giorni dell’anno e quattro sale sono a disposizione delle associazioni della Casa per riunirsi, progettare, condividere spazi e ridurre le spese di gestione.
La condivisione che è alla base del volontariato la si esprime anche così.
Quello delle realtà che abitano la Casa è un mondo vivo 7 giorni su 7, ricchissimo, che abbiamo voluto raccontare in un dossier pubblicato proprio in questi giorni.
Ma il Centro Servizi per il Volontariato cos’è esattamente?
Molti ci conoscono ancora come Agire Sociale, che era il nome del CSV di Ferrara prima della fusione nel 2020 con ASVM di Modena. Ora siamo il Centro Servizi per il VolontariatoTerre Estensi delle province di Ferrara e Modena. Abbiamo punti di accesso in tutti i distretti modenesi e a Ferrara, Argenta, Cento e Portomaggiore. Siamo una organizzazione di volontariato di secondo livello, ovvero una associazione di associazioni. I nostri soci non sono persone fisiche ma enti di terzo settore: 237 (120 della provincia di FE e 117 di MO), ma come per tutte le organizzazioni di volontariato, i nostri servizi sono offerti anche alle organizzazioni non socie.
Vediamo in particolare chi lavora in via Ravenna 52, ovvero la componente ferrarese del centro. Parliamo di 11 persone tra dipendenti e collaboratrici.
Inizio io raccontando un aneddoto. Quando ho iniziato a lavorare al CSV, ormai più di 20 anni fa, la prima difficoltà che ho incontrato, è stato spiegare ai miei genitori che lavoro facessi esattamente. Lavoro di comunità, servizi al volontariato, progetti di rete, dicevo.
Loro mi guardavano perplessi e mi chiedevano, un po’ preoccupati Ma ti pagano?
Ho avviato le prime collaborazioni con il CSV nel 1999 occupandomi inizialmente di formazione. Oggi, dopo tanti anni, coordiniamo l’Università del Volontariato, che forma più di un migliaio di volontari l’anno. Spesso mi sono chiesta cosa mi abbia tenuta qui così a lungo, proprio io che sono così amante dei cambiamenti. Ecco credo sia stato proprio questo: al CSV si lavora sempre con creatività e passione a nuovi progetti. Difficile annoiarsi. Vediamo nascere i progetti, anzi spesso facciamo un po’ come le ostetriche, li aiutiamo a nascere. E durante le emergenzesupportiamo il volontariato e le Istituzioni in prima linea, come per il terremoto, la pandemia, l’emergenza Ucraina e in questi giorni, ahimè, l’alluvione.
“Se devo usare una immagine per descrivere chi siamo – esordisce Enrico Ribon, corresponsabile amministrativo e al CSV dal primo giorno di apertura – ne userei una che racconta un po’ il nostro stile. La nostra prima piccola sede era situata all’uscita del parcheggio di piazzale Kennedy. Essendo alla base di due discese, era soggetta ad allagamenti praticamente ad ogni temporale, e non era quindi raro che il giorno successivo portassimo tutto quanto si era bagnato nel piazzalino antistante, al sole, nel tentativo di asciugare attrezzature e documenti. Ma nonostante tutto l’attività non si fermava, e ci trovavamo quindi con l’ufficio “en plein air” a fornire informazioni, consulenze, formazione a volontari e cittadini. Uno stile “naïf” dicevano i responsabili del Comitato di Gestione regionale che all’epoca finanziava e controllava i CSV.Uno stile che cerca sempre di mettere la sostanza davanti alla forma per raggiungere lo scopo, diremmo noi. E’ forse questo, in estrema sintesi, lo spirito dell’agire volontario?”
Entrando al CSV di via Ravenna, la prima persona che si incontra al front office è Federica Celati:“Quando ho iniziato a lavorare per il CSV venivo da un precedente lavoro analogo di segreteria. Nonostante le mansioni fossero similari al mio lavoro precedente, nel contesto del volontariato sono diventate attività che hanno arricchito la mia esperienza non solo lavorativa ma anche personale. La cosa che mi piace di più del mio lavoro è stare a contatto con i volontari, ascoltare i loro bisogni, essere d’aiuto, aiutare le associazioni nella loro attività di promozione al servizio della società ferrarese. Poter orientare i cittadini nella ricerca delle attività di volontariato, prendermi cura nel mio piccolo della mia comunità, della mia città, tramite il mio lavoro”.
Francesca Gallini, giornalista, coordina l’ufficio stampa, curando la newsletter settimanale che dàvoce alle associazioni e al terzo settore, pubblicando articoli e supportandole nella comunicazione. “La mia avventura al CSV è iniziata nel 1999 al Centro Documentazione Santa Francesca Romana a Ferrara, dove avevamo organizzato una biblioteca sul volontariato. Tirando un bilancio a distanza di più vent’anni, credo che il CSV sia stato un luogo di crescita personale dove ho maturato competenze di giornalista in ambito sociale. Mi considero fortunata a lavorare a favore di volontari e associazioni, persone a cui ho dato e da cui ho ricevuto tanto e che, negli anni, sono state uniche, capaci di valorizzarmi e di motivarmi a non mollare, pur nella precarietà di fondo di questo lavoro legata all’andamento dei fondi finanziari e alle conseguenti riorganizzazioni aziendali”.
Stefania Carati si occupa del punto di animazione territoriale di Argenta e Portomaggiore e a Ferrara coordina lo sportello Volontariato Volentieri, rivolto a cittadine e cittadini interessati a fare un’esperienza di volontariato. Qui, previo appuntamento, si può svolgere, senza impegno, un colloquio di orientamento. Stefania spesso incontra giovani cittadini e collabora con le scuole per progetti alternativi alla sospensione scolastica: “Faccio il lavoro più bello del mondo, me lo ripeto ogni giorno!! Entro in contatto con i volontari che per la maggior parte delle volte sono persone generose e disponibili, e vengo a contatto con i cittadini che vogliono mettere a disposizione il proprio tempo libero per gli altri, cosa non scontata ma che accade tutti i giorni: molte volte queste persone sono state toccate da dolori talmente grandi che il loro cuore si è aperto anche al dolore degli altri e il loro sentire diventa anche il tuo”.
Dobbiamo dire che il mondo del volontariato è stato messo alla prova negli ultimi anni dalla riforma del terzo settore. Le associazioni ne sono state, possiamo dire senza temere di esagerare, travolte. La nuova normativa esige adempimenti sempre più stringenti, come la revisione degli statuti, i nuovi schemi di bilancio e tanto altro. Rita Gallerani per molte associazioni è un angelo custode. Con la sua attività di consulenza, ha supportato centinaia di associazioni nella nostra provincia, nel complicatissimo processo di trasmigrazione al RUNTS, Registro Unico Nazionale del Terzo Settore. “Lavoro al Csv da quasi 26 anni ed è stata la mia prima esperienza lavorativa. Inizialmente avevo accettato l’incarico con l’idea che sarebbe stato un lavoro temporaneo, pur con un contratto a tempo indeterminato, e che di lì a poco avrei certamente trovato qualcosa di più appagante e gratificante. Qui al Csv ho conosciuto il mondo delle associazioni e del volontariato, un mondo fatto di persone, basato su volontà e dedizione, ma anche grande fatica e a volte disillusione. Sembrerà assurdo ma, proprio in quei momenti in cui la fatica si fa sentire e mi chiedo chi me lo fa fare, mi ritrovo a confrontarmi con qualche volontario che sta pensando la stessa cosa e mi ritrovo a ricordargli che lo fa per amore, che il tempo che dedica all’associazione è un bene prezioso perché prima di tutto è relazione; così la risposta arriva da sé anche per me. Questo è per me il Csv: luogo di confronto, di amore e di reciprocità“.
Aracely Fernandez viene dal Messico dove già lavorava nell’ambito dell’associazionismo e dei progetti di comunità. Arrivata a Ferrara nel 2007, ha conosciuto il CSV ed iniziato le prime collaborazioni. “All’inizio sono rimasta stupita dal trovare un ente così organizzato nel supporto al mondo associativo. Ho un po’ alla volta conosciuto un ventaglio di realtà che davano sostegno a tante situazioni sociali e che potevano usufruire di una serie di servizi offerti dal CSV. Oggi, dopo 13 anni, continuo a collaborare in diversi progetti di utilità sociale e ad occuparmi di grafica. Questo lavoro che amo profondamente ha contribuito alla mia crescita personale oltre che professionale. L’opportunità di poter fare un lavoro che conoscevo già nel mio paese di origine insieme ad un gruppo di persone che pensano come me, ovvero che la comunità può diventare migliore con le azioni quotidiane, è veramente straordinario”.
Esiste poi un team che, a vari livelli, lavora nell’ambito della animazione territoriale e progettazione sociale.
Silvia Peretto da più di 20 anni se ne occupa con tanto entusiasmo ed impegno, facilitando reti di associazioni, progetti e team di lavoro composti da volontari, istituzioni e soggetti che a vario titolo sono portatori di interesse. “In questi vent’anni sono stati centinaia i progetti attivati nella nostra comunità. Favorire la possibilità di incontrarsi, confrontarsi e riflettere insieme, tra organizzazioni, enti diversi è la cosa che mi piace di più di questo lavoro. Il fatto che noi siamo enti terzi, che entriamo più sul metodo che sul contenuto, attraverso la facilitazione e strumenti di lavoro capaci di favorire questo dialogo, confronto. E’ una sorta di accompagnamento ai processi e alla tenuta delle reti, al supportarle nel fare sistema“.
Del team fanno parte alcune collaboratrici. Silvia Dambrosio, si occupa in particolare di progetti nelle scuole.“Al CSV c’è passione in ciò che si fa! Ci interessa quello che facciamo e lavoriamo mettendocela tutta per fare cose di senso per la comunità. Si pone attenzione “veramente” alle persone: non solo a colleghi e collaboratori, facendo caso non solo al rendimento e ai risultati, ma attivandoci reciprocamente con tutte le competenze che abbiamo, facendo squadra tra di noi per obiettivi condivisi onestamente e con autenticità. Questo lavoro è un seme di speranza nella capacità di ciascuno di poter contribuire a migliorare le cose”.
Giulia Fiore ritiene di particolare interesse questo tipo di lavoro perchè permette di approcciare e sperimentare tante metodologie del lavoro sociale, ma partendo sempre dalla valorizzazione di ciò che si è, più che di ciò che si fa. “Questo anteporre la sostanza alla forma è piuttosto in controtendenza con il resto della società. Non condividiamo solo valori nella teoria ma li incarniamo nella prassi. E’ una libera manifestazione del proprio essere, a servizio della comunità… si crea una magia nei rapporti umani che si stringono con chi si incontra. E questo è bello perché i legami umani sono alla base della società. Scusami, sono la solita romantica, ma è quello che sento. Se è troppo sdolcinato dimmelo che scrivo cose più professionali”. “No no Giulia, adoriamo il romanticismo!”
“Mi piace, attraverso il mio lavoro, poter accompagnare i processi di cambiamento, essere a mia volta anello di una trasformazione più grande, vedere le organizzazioni crescere e, insieme ad esse, le persone, che sono la grande risorsa delle nostre comunità” dice Barbara Arcari.“Mi piace, con il mio lavoro, contribuire alla costruzione di nuove competenze, di sistemi di volontariato formali e informali del nostro territorio; contribuire a generare nuova forza per rispondere, insieme, alle crescenti emergenze sociali; poter aiutare le organizzazioni a riconoscere e cogliere opportunità spesso silenti o nascoste, metterle a fattor comune perché diventino progetti, azioni concrete che creano valore sociale. Mi piace il mio lavoro al CSV perché mi permette di sognare un mondo migliore e di lavorare concretamente alla sua realizzazione”.
Ecco un piccolo spaccato del nostro mondo. Ci sentiamo fortunati. Siamo sognatori concreti e possiamo testimoniare che ce ne sono tanti altri. Persone capaci di sognare e trasformare le utopie in realtà.
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Ferrara, mercoledì 24 maggio, ore 18.oo in piazza Municipale
insieme alle Associazioni della Casa del Volontariato di Ferrara, i Gruppi di Auto Mutuo Aiuto, ARCI Ferrara, CPS La Resistenza e altre realtà del territorio che vogliono partecipare desideriamo portare il nostro contributo di festa e di conoscenza... per un evento di piazza gioioso, con i tanti volti delle associazioni e dei cittadini attivi che si impegnano ogni giorno per il bene di tutti.
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I Centri Servizi per il Volontariato sono stati istituiti in Italia con la Legge quadro sul volontariato n. 266 del 1991, (oggi abrogata) e attualmente sono regolamentati dal Codice del Terzo Settore, emanato in seguito alla riforma del 2016. Per approfondire:[Vedi Qui]
Premio Estense 2023. Dal 1965, l’eccellenza del giornalismo italiano. Presentata la quartina finalista
Il 28 aprile, è stato il termine ultimo per candidare un libro alla 59^ edizione del Premio Estense. Moltissime le candidature pervenute e oggi, presso Palazzo Calcagnini, sede di Confindustria Emilia Area Centro, è stata presentata, dalla Giuria Tecnica, la quartina finalista che concorrerà all’assegnazione del Premio da decretarsi, il 23 settembre, insieme alla giuria dei lettori.
Alberto Faustini, direttore del quotidiano Alto Adige, è il nuovo Presidente della giuria, il suo primo anno da Presidente, non da giurato, lo è dal 2009. Un successo. “Mai visti così tanti candidati in un’edizione del Premio, ben 69”, commenta Gian Luigi Zaina, Presidente della Fondazione Premio Estense.
“La discussione è stata accesa e vivace, ma è stata ed è una grande soddisfazione. Sono presenti quasi tutte le case editrici, molti giornalisti italiani, il Premio è cresciuto, non solo per numero di libri ma anche per le collaborazioni con Ansa e Radio Rai delle scorse edizioni; quest’anno entra anche Rai Cultura. E poi ci sono le relazioni con le terze pagine dei giornali per la parte cultura, oltre a una nuova collaborazione con il gruppo Azimut, multinazionale presente in 18 paesi”, continua.
Obiettivo ultimo è quello di rimettere al centro la cultura del dialogo, valorizzare la memoria e la storia, le nostre radici e le esperienze vissute.
“Questa edizione”, conclude, “sintetizza il vero significato del mestiere di giornalista che analizza questioni italiane ed estere, quelle legate al ricordo e all’immaginazione. Con questo racconto emerge lo stato di salute del mondo. E i quattro finalisti scelti rappresentano esattamente questa storia e questo filo”. Eccoli allora.
Ezio Mauro, L’anno del fascismo. 1922. Cronache della marcia su Roma, Feltrinelli. Mauro tratteggia gli inizi fascismo, ne racconta la genesi, da vero cronista storico. Il cronista: l’essenza del mestiere di giornalista, un mestiere reinventato in chiave storica, l’abilità di raccontare vicende lontane ricostruendole con dettagli.
E qui Mauro ha un punto in comune con l’altro giornalista in quartina, Marcello Sorgi, che ha inventato un ruolo, quello di retroscenista.
Il libro con cui concorre, Mura. La scrittrice che sfidò Mussolini, Marsilio Specchi, è un ritorno al passato che, allo stesso tempo, insegna ai giovani come fare giornalismo.
Mura racconta la storia di una donna sconosciuta che seppe litigare con il fascismo, una popolare scrittrice di romanzi sentimentali ed erotici, rivale di Liala, che consegnava alle sue lettrici storie licenziose e smaliziate. Presa di mira da Mussolini in persona, su di lei si abbatte la censura fascista, consegnandola a un oblio che dura tutt’oggi.
Si tratta di una fetta di storia laterale alla grande storia del fascismo, un libro facile da leggere, utile anche per i giovani. Quasi una favola, in un certo senso.
C’è poi Gaia Tortora, con Testa alta, e avanti, Mondadori Strade Blu, il racconto di una vicenda personale che è anche racconto di una vicenda italiana, quella di un grande errore giudiziario che trasforma uno dei più noti personaggi della tv italiana in un “bersaglio”. “E’ la storia di un’Italia divisa in due”, commenta Tiziana Ferrario. “Una storia che racconta il dolore di una famiglia, ma anche di un caso di malagiustizia, un racconto del nostro paese e di un certo tipo di giornalismo, che, in certi momenti, non è cambiato.” È il 17 giugno 1983, quando Gaia, quattordici anni, esce di casa di primo mattino con lo zaino in spalla, il giorno del suo esame di terza media. Procede spedita verso la scuola e non sa che, poche ore prima, le forze dell’ordine hanno fatto irruzione in una camera dell’Hotel Plaza e arrestato suo padre per associazione camorristica e traffico di droga. Un padre che finisce su tutte le tv con le manette e quell’aria incredula e stupita che molti ricordano.
Paolo Borrometi, infine, con Traditori. Come fango e depistaggio hanno segnato la storia italiana, Solferino, ci accompagna in un viaggio nella storia d’Italia in cui denuncia i traditori, i criminali che mirano a creare confusione nel Paese per raggiungere i propri interessi illegittimi. A discapito della verità. Il giornalista, 40 anni, giovane generazione, oggi condirettore dell’Agenzia Giornalistica Italia (AGI), racconta l’Italia dei grandi misteri, delle grandi trame, da uomo oggi sotto scorta per quanto ha scritto sulla mafia siciliana.
Sono libri di scrittura di grande livello, con un filo conduttore: disegnare un racconto della storia degli ultimi anni (ma anche di cent’anni fa come nel libro di Ezio Mauro), far conoscere i misteri italiani. Perché il Premio arriva nelle case dei giurati e delle redazioni ma anche nelle aule delle scuole.
È stato anche assegnato il trentanovesimo “Riconoscimento Gianni Granzotto. Uno stile nell’informazione” al giornalista che nel corso dell’anno si è distinto per correttezza, impegno e professionalità. Va a Federico Rampini. Un professionista che parla di geopolitica, di cosa accadrà, nella fame d’informazione che ci circonda, un Premio alla carriera e allo stile. Ci ricordiamo della sua scrittura ma anche del suo stile inconfondibile.
In attesa del 23 settembre, dunque, quando la Giuria di 40 lettori, accenderà il dibattito. La forza del pubblico, concludono i commentatori. E noi ci saremo, come lo scorso anno.Fra quei 40 fortunati e curiosi.
Tutti noi abbiamo dei miti, che sia un film che ha rappresentato un momento particolare della nostra vita, oppure un libro od, anche, un brano musicale o, meglio ancora, un musicista che ha percorso, al nostro fianco, parte delle nostre vite. Chi, come il sottoscritto, si è abbeverato dentro le fontane del rock’n roll, è cresciuto, si è accresciuto moralmente, con le note degli artisti preferiti, ne ha studiato attentamente i testi e si è riconosciuto in essi e nei protagonisti di quei brani.
Bruce Springsteen, questo ragazzotto nato nel settembre del 1949 in una piccola località balneare del New Jersey, da Douglas, di origine irlandese, e da Adele Ann di origine italiana, cresciuto in un ambiente della tipica working class americana, ha saputo, con le sue canzoni, rappresentare e dare voce a quella parte di società che è sempre rimasta ai margini, ha raccontato, in quello che, personalmente, ritengo il migliore album, “Nebraska“, le tribolazioni ed i sogni dei giovani americani cresciuti in un sogno di finzione e spediti a combattere guerre senza senso e al servizio di un capitale a loro lontano e sconosciuto.
In questo contesto, un giovane irrequieto che si credeva un rivoluzionario, non poteva non rimanere folgorato dai suoi brani, attardandosi per ore a consumare la puntina del giradischi assaporando la forza dei pezzi più rock ed emozionandosi dalla forza ed intensità morale delle sue ballate.
Molte generazioni sono cresciute e si sono formate musicalmente, ascoltando i dischi di quello che tutti chiamano “the boss”, pertanto l’occasione di poter assistere ad un concerto dell’amato proprio nella nostra Ferrara è sembrata un’occasione irripetibile, anche nell’ottica che, vista l’età di Bruce, avrebbe potuto rappresentare l’ultimo momento di poterlo vedere e sentire in Italia.
Come tanti, mi sono domandato il perché del parco urbano, non cedendo ai malinformati che parlavano di zona di nidificazione, ma, sopratutto, pensando ad un area che, per sua definizione, è alluvionale e, pertanto, in caso di pioggia avrebbe regalato ai partecipanti una sorta di acquitrino.
Come tanti mi sono domandato il fine di talune polemiche che poco avevano a che fare con l’area e con la musica del boss.
Poi è accaduto ciò che nessuno, nemmeno i più previdenti, avrebbe mai immaginato, ovverosia un mese di maggio con una quantità di precipitazioni tipiche di un anno, non di un mese, e, sopratutto, poco lontano da Ferrara, i notiziari ci informavano di una completa distruzione, di intere aree alluvionate, di città coperte dal fango, di tutta la Romagna che piangeva morti, distruzione e disperazione.
Allora mi sono domandato se il famoso concerto si sarebbe dovuto celebrare ugualmente, e mi sono risposto che, forse, era davvero molto difficile interrompere una macchina al lavoro da più di un anno, e ho concluso, con un semplice “ok vado al concerto, mi doterò di stivali ma, dopo anni tribolati, tra pandemia e la natura che si rivolta alla nostra arroganza di sapiens poco sapiens, si poteva passare una sera di musica in compagnia di uno dei miei miti e al fianco di tanti, che, come me, potevano condividere i suoi brani” tanto – mi sono ripetuto – con la sua sensibilità, Bruce” , noi appassionati lo chiamiamo come fossimo amici da sempre, “ sicuramente aprirà il concerto esprimendo cordoglio per le vittime, vicinanza per la popolazione colpita e, magari, dichiarerà che una parte del suo cachet verrà devoluta ai romagnoli”.
Ed allora, attorno alle 19,30, regolare come un orologio svizzero, dopo un paio di band gradevoli, eccolo che appare…………ed ecco la mia prima sorpresa, esordisce con un, banale e retorico “ciao Ferrara” ed inizia a con “No surrender”, che, al di là del testo che avrebbe potuto ricordare il popolo romagnolo, purtroppo è da tempo il brano con cui inizia i suoi concerti.
Ho continuato ad attendermi un pensiero, un brano dedicato, due parole, ma tutto invano, il concerto ha proseguito come sempre, con grande professionalità, evidenziando l’affiatamento della band, e di un Bruce, che, nonostante l’età e la voce a volte un po’ cadente, in grande forma.
Come detto, grande professionalità e tanto mestiere, ma non ho sentito il cuore battere tra le note dei brani, come non mi sono sentito nato per correre dentro l’anima.
L’Ente Delta Padano ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo dei nostri territori. A parlarcene è Denis Guerrini che del tenerne viva la memoria ne ha fatto una missione.
Ci sono zone della memoria collettiva che vanno preservate, custodite come un bene di grande valore, come perle color avorio. Ci sono campagne del nostro paese e della nostra regione che vanno raccontate, ancora e poi ancora, consegnate ai nostri ragazzi con le loro tradizioni e le loro storie di vite di sacrificio che hanno contribuito alla costruzione della nostra realtà. Allora come ora. Tassello di un complicato e delicatissimo puzzle.
Le generazioni degli anni del dopoguerra hanno ricostruito un paese distrutto, hanno ridato la speranza e gettato semi che oggi rischiano di essere spazzati via dal vento. Un vento putrido e malsano, che, con il suo progresso che tale non è, illude che tutto vada bene.
Gli antenati, questi magnifici e umili sconosciuti. Eredi cercasi, avevamo scritto con Maupal, e oggi siamo qui anche per questo. Curiosamente pronti, siamo approdati a un angolo di un tempo che fu, insieme ad amici di tempi passati, non certo per la loro età, ma per i valori che ancora custodiscono nelle loro belle anime, aperte, disponibili, generose.
Un sabato mattina di sole, una pausa di buon auspicio in questi giorni di piove-a-catinelle, campagna rigogliosa, e orgogliosa, di Copparo. Passiamo per campi sterminati di grano, verde e ancora verde, in lontananza il maestoso e imponente viale alberato della tenuta di Zenzalino, oggi sito Unesco, che ospita anche un prestigioso allevamento di cavalli, quello di Varenne per intenderci. Filari e filari, siamo in zona quiete.
In auto, Valerio, Stefano ed io chiacchieriamo, di cinema, di arte, di fotografia, di passato. Con noi zainetti, una macchina fotografica e tanta curiosità. E ovviamente un taccuino.
Arriviamo a destinazione: la casa di Denis e Margherita Guerrini, a Brazzolo, nel Comune di Formignana. Non li conoscevo. Ma pochi minuti e mi parrà di conoscerli da sempre. E sarà per sempre, lo percepisco subito. L’empatia è una strana cosa, un’amica sfacciata che arriva improvvisamente senza neanche accorgersene o bussare e che resta senza chiedere il permesso, compagna del presente e del futuro.
Denis Guerrini
Intorno al tavolo del salotto iniziamo a parlare, tanta roba, direbbero i più giovani. Intorno a noi tantissimi oggetti curiosi, degni di un set (in effetti qui, e nella zona, sono state girate molte scene del corto in uscita, diretto da Mattia Bricalli, “Madre Terra”, che avevamo incontrato).
Denis ha una grande passione per le roulotte: le comprava, le sistemava e le vendeva alla fine degli anni 2000 quando al Lido di Spina nasceva e si sviluppava il campeggio che, un giorno, sarebbe stato frequentato da tanti turisti. Quelle roulotte che ha messo a disposizione, con grande cuore e generosità, durante i terremoti dell’Emilia nel 2012 e dell’Umbria nel 2015. Viaggi avanti e indietro, tanti chilometri, per compagni l’amore per il prossimo e qualche conoscenza che, anche grazie a Facebook, si univa nell’aiuto.
“Se allora quegli abitanti sfortunati avevano bisogno di qualcuno”, ci dice, “oggi ad avere bisogno sono la storia e la memoria dell’Ente Delta Padano, il bisogno di avere qualcuno che faccia riconoscere, o quantomeno ricordare, il peso che ha avuto negli anni Cinquanta”. L’intento dei suoi racconti, lasciati anche nel suo libro “Racconti. Il vitellino, i capponi di nonna Giuseppa e altre storie” – reperibile contattando Denis sulla sua pagina Facebook– è quello di lasciare un ricordo a figli e nipoti. Ma non solo. Frammenti di vita che raccolgono sentimenti, stagioni, ricordi e speranze, un quotidiano fatto di cose semplici, umili e comuni, si legge in prefazione. Odori che portano alla mente teneri ricordi.
In Italia, a inizi del Novecento,l’attività bonificatrice dei terreni paludosi fu una forma d’intervento dello Stato imposta dalle necessità della difesa igienica. Solamente in seguito, l’opera di bonifica, oltre alla regolarizzazione degli scoli nei terreni palustri, cominciò a comprendere altre varianti. Le varie provvidenze per la bonifica integrale, armonizzanti con la politica demografica e rurale, vennero coordinate nella “legge Mussolini” del 24 dicembre 1928, n. 3134 e affidate per l’applicazione al Sottosegretariato del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste.
Così scriveva, nel 1934, Arrigo Serpieri, Sottosegretario nel Ministero dell’Agricoltura nell’illustrare l’essenza della bonifica integrale: “… Non più solamente, come nella vecchia legislazione, opere di prosciugamento di terreni paludosi (bonifica idraulica), al fine essenzialmente igienico della difesa contro la malaria; ma ogni opera di ingegneria e di tecnica agraria e forestale, riconosciuta necessaria per instaurare una nuova economia agricola, a più densa popolazione rurale. Quindi opere di difesa igienica, formazione di nuovi centri di popolazione, costruzioni rurali, viabilità, difesa dalle acque e loro utilizzazione agricola, rimboschimento, sistemazioni agrarie del suolo, riordinamento dei fondi polverizzati o smembrati”. (…). “Bonifica integrale significa realizzare il rapporto fra l’uomo e la terra più adatto ai fini della migliore convivenza sociale; significa meglio dislocare gli uomini sulla terra, da regioni oggi congestionate ad altre spopolate, in forme sane di colonizzazioni. Ai valori economici si affiancano così i più alti valori spirituali. Si tratta non solo di una maggiore produzione, ma della sede della vita umana e dei suoi rapporti sociali; dei mezzi di comunicazione e di scambio non solo dei beni economici, ma anche spirituali”.
Zona bonificata e spianata
Se il regime fascista tentò di attuare, all’interno della battaglia del grano, una riforma detta “sbracciantizzazione”, avente come obiettivo la diminuzione del numero di braccianti giornalieri a favore di mezzadri, affittuari e coloni per sviluppare le piccole e medie proprietà terriere il cui fine ultimo era l’autosufficienza nazionale nella produzione di frumento, una prima vera e propria riforma agraria venne attuata con la Repubblica.
Nel 1951 venne, infatti, istituito l’Ente per la Colonizzazione del Delta Padano con D.P.R. 7 febbraio 1951, n. 69 “Norme per l’applicazione della legge 841/1950 ai territori dell’Emilia e del Veneto e istituzione dell’Ente per la colonizzazione del Delta Padano”. La zona aveva ancora bisogno di interventi.
Anche Florestano Vancini, nel 1951, aveva ritratto personaggi e luoghi della bassa ferrarese e del Polesine nel suo documentario “Delta Padano”, restaurato nel 1998 presso gli stabilimenti di Cinecittà con il contributo della Camera del Lavoro di Ferrara e dei comuni del delta padano.
Con la consueta maestria, Vancini, aveva osservato questa zona sia da un punto di vista paesaggistico che umano, con un occhio di riguardo alla vita dei suoi abitanti. Il film inizia con il racconto della giornata di una famiglia, che si tramuta nella storia di un intero paese che vive di inazione forzata, nell’impossibilità di sfruttare la propria terra. È la storia di 300.000 italiani ai margini delle terre più fertili del nostro paese. La vicenda si apre con l’immagine di un bimbo che rientra con la madre, dalla quale ha appena imparato a raccogliere la legna. Nella povera casa, gli altri componenti della famiglia si svegliano: non hanno fretta perché non hanno nulla da fare. Le immagini riprendono le case grigie in fondo alla valle del Po, che reca acqua, ma non alle genti del delta; bambini che muoiono di tubercolosi, analfabetismo, la scuola come stanza comune dove è difficile andare, anche per gli insegnanti. Sembra un’altra era, ma parliamo solo di settant’anni fa. Non possiamo dimenticarcene.
Florestano Vancini, Delta Padano, 1951
Ecco allora arrivare la riforma del 1951, che proponeva, tramite l’esproprio coatto, la distribuzione delle terre ai braccianti agricoli, rendendoli così piccoli imprenditori e non più sottomessi al grande latifondista. Pur riducendo la dimensione delle aziende agricole, la riforma ebbe il merito di far sorgere varie cooperative agricole che, programmando le produzioni e centralizzando la vendita dei prodotti, riuscirono a conferire all’agricoltura quel carattere imprenditoriale che era venuto meno con la divisione delle terre. Si ebbero una migliore resa delle colture e un miglior sfruttamento delle superfici utilizzate, anche attraverso la diffusione della meccanizzazione. Vennero, infatti, istituiti numerosi organismi cooperativi: cooperative di assistenza e servizi, di trasformazione dei prodotti e commercializzazione: cantine, caseifici sociali, centrali del latte, mattatoi, zuccherifici, conservifici. Ricordiamo, tra le realtà cooperative della nostra zona, lo zuccherificio gestito dalla Cooperativa Produttori Agricoli di Ostellato, costruito nel 1960 e dismesso nel 2005; lo stabilimento Colombani per la trasformazione della frutta in succhi e marmellate, fondato nel 1924 a Portomaggiore e in seguito trasferito a Pomposa; la Cantina sociale Bosco Eliceo di Volania, nel comune di Comacchio, la cooperativa Lattestense di Chiesuol del Fosso. Arrivava, finalmente, un poco di benessere.
Grazie all’attività dell’Ente Delta Padano, si conclude la distribuzione delle terre ai contadini; la consegna dei certificati di proprietà viene fatta dal ministro Fanfani
“Le assegnazioni iniziali”, ci spiega Denis, “avvenivano con piccoli appezzamenti. Per le difficoltà della zona, la scarsità di lavoro e le ristrettezze economiche di allora, tuttavia, molti se ne sono andati in cerca di fortuna nelle grandi città. Milano o Torino, ad esempio, dove la Fiat prometteva un futuro diverso. In zona era invece la Berco a proporre il grande risveglio e il miracolo economico”, ci dice. Una società fondata a inizio secolo e che negli anni Cinquanta diventa società per azioni.
“Negli anni Sessanta”, continua, “saranno gli stabilimenti del Latte Ala di Copparo, ai quali era diretto gran parte del latte prodotto dalle nostre mucche, a completare un quadro di benessere minimo raggiunto da quelle campagne rigogliose. Berco e Ala si sono aiutate a vicenda. In questo contesto, era nato l’Ente Delta Padano. Terra e case per tutti.
Podere San Callisto costruito dall’Ente Delta Padano, 1953
“Le case assegnate dall’ente erano diverse”, ci spiega Denis: “due, tre o quattro/cinque stanze a seconda della composizione del nucleo familiare. Per la stalla annessa e il numero di animali si seguivano gli stessi criteri”. “Pensa” e qui sorride, “che in famiglia si scherzava ricordando alla donna che voleva magari prendere parte a una decisione di casa, che il suo peso nel punteggio per l’assegnazione era 0,75, mentre l’uomo capo famiglia valeva 1, quindi non aveva che fa starmene zitta…. Erano gli stessi criteri del tempo del fascismo”. Ma l’idea di quel villaggio non era di Mussolini. Il nonno Ettore, dal nome di grande condottiero ma per tutti Secondo, glielo ricordava sempre.
“Mio nonno, la mia guida e continua fonte di ispirazione”, mi dice con orgoglio, “era alto, biondo e con gli occhi azzurri, probabilmente grazie all’insediamento degli Arimanni di Massafiscaglia. Aveva fatto il granatiere. Non era colto, ma mi diceva sempre che quell’idea non era stata del Duce, ma di un altro signore francese, un tale Le Corbusier”.
E il nonno aveva ragione. Le ricerche, infatti, portano subito alla “fattoria radiosa”, agli studi su “La Ferme radieuse et le Centre coopératif” che l’architetto svizzero, naturalizzato francese, aveva elaborato per il terzo Congresso Internazionale di Architettura Moderna(CIAM) del 1930 e riuniti nel 1940.
Si può dire che la Fattoria Radiosa è la sorella minore della più celebre Città Radiosa, probabilmente la precondizione realizzativa. Se infatti la Ville Radieuse rappresentava la città moderna, con la sua geometrizzazione funzionale di grattacieli e gli ampi spazi verdi, essa tuttavia non era autosufficiente: non nasceva per vivere in un mondo solitario, ma per essere parte di un più ampio organismo in cui erano centrali i luoghi della produzione, e in particolare quelli del cibo e dei beni primari, ovvero quelle campagne che i giovani, invece di coltivare, sempre più abbandonavano. Essere felici in campagna, e tornarci, sarebbe stato allettante per i giovani solo se essa fosse divenuta efficiente, ordinata e pulita.
L’ispirazione programmatica era il “programma di ricostruzione agraria” che Norbert Bézard, osservatore del mondo contadino, aveva proposto a quello stesso CIAM del 1930: un programma teso a trasformare le fattorie in moderni “strumenti di civiltà”. Bézard fondava su basi corporativiste e antistataliste un nuovo ordine sociale che aboliva la proprietà terriera, unendo gli sforzi dei singoli in un sistema cooperativo il cui simbolo era il silo comune. E questi principi si traducevano nelle idee di Le Corbusier che disegnava villaggi e fattorie distribuiti razionalmente sul territorio e collegati da un sistema di moderne autostrade. Ogni unità era compiuta nelle sue parti, e integrava il silo, la cooperativa, la scuola, la piscina, un ufficio postale, le abitazioni con servizi e spazi comuni, l’orto e il club: tutti costruiti sfruttando i sistemi di produzione standardizzata. Pur centro moderno, restava, tuttavia, il modello di piccola comunità tradizionale, legata a valori antichi, alla solidarietà perduta dopo la rivoluzione industriale, al valore dato ai piccoli piaceri della vita, al mettere radici per la propria “stirpe”. Se cioè la visione architettonica proposta era figlia del mondo macchinista, la vita ch’essa ospitava restava, in qualche modo, intrisa di quel romanticismo che tanto era avversato, dove la natura era espressione di poesia e i figli naturali prosecutori del lavoro dei padri. Una forma dell’abitare legata all’organizzazione della società. Un futuro visto con gli occhi del presente.
Il modello di Le Corbusier è stato molto analizzato e criticato. A noi qui basti ricordare, per coerenza storica, che in fondo, un po’ il fascismo c’entra. Contraddicendo, con il dovuto rispetto, un pochino Secondo. Se non altro per le vicinanze e i reciproci apprezzamenti tra Le Corbusier e una serie di personaggi vicini al partito francese di ispirazione mussoliniana, da PierreWinter, a Philippe Lamour, a Hubert Lagardelle. Legami che si concretizzano anche nelle pubblicazioni di Bézard e Le Corbusier sulle riviste “Plans” e “Prélude”. Volendo però vedere nella sua ammirazione per le grandi bonifiche italiane l’apprezzamento di una grande opera di ingegneria più che del regime che l’ha resa possibile; allo stesso modo, in quelle riviste dove i piani per la Fattoria Radiosa vengono accolti con entusiasmo, potremmo vedere solo il plauso politico di un progetto che valorizzava l’opportunità per gli individui di contribuire alla grandezza e alla concordia nazionale. Come in un alveare operoso, le persone saranno libere di fare, essere e avere tutto ciò che servirà a un bene superiore, quello della comunità e poi dello Stato. Ne prenderemo gli aspetti positivi, avulsi da ogni ideologia.
Lavori di bonifica
Torniamo a noi, dunque. Denis continua il racconto: “mio nonno mi raccontava sempre di come un bel giorno il cavalier Bovolenta, funzionario del nascituro Ente Delta Padano, era venuto a cercarlo per proporgli un’assegnazione”. “Lei, signor Guerrini, potrebbe essere interessato, dato che ha una famiglia numerosa?”, si legge nel libro. “Si tratta di un sito di 7,30 ettari costituito da una casa con quattro stanze da letto e una stalla adiacente per otto mucche, contando anche fienile, pollaio e porcile. Tutto è ancora da costruire, ma è compresa anche l’acqua corrente, sia in cucina che in bagno, e pure l’impianto della luce, che sarà a suo tempo disponibile. La cucina ha un impianto che permette di scaldare l’acqua per ogni uso”. E il nonno decise.
Appoderamenti nel basso ferrarese, 1954
“Molti assegnatari chiederanno il riscatto delle proprietà già dopo i primi dieci anni, anziché dopo i trenta originari, e che con le somme incassate l’Ente Delta ha provveduto ad asfaltare le strade che da vicinali sono così diventate comunali (anche se formalmente ancora oggi restano alcune criticità su questo). Si è poi creato un grande pasticcio. La coesistenza di due sistemi paralleli, la proprietà privata e quella collettiva per la gestione del riso come quella di Jolanda di Savoia, ha creato contrasti e disparità. L’ente sarebbe stato disciolto. Ma noi siamo qui”, conclude.
Nel libro che raccoglie i suoi racconti, ci perdiamo fra gli allagamenti delle campagne, i capponi della nonna, le abbuffate, le mietiture, la pariglia e gli stivali, i cappotti e le sciarpe indossati per far fronte al freddo gelido di febbraio durante il tragitto fangoso che portava la famiglia al bar dove si poteva vedere, tutti insieme, il festival di Sanremo.
Con Denis, ci avventuriamo per le stradine illuminate da un sole che da tiepido diventa presto cocente. Ecco la via Zaffo (dal nome del tappo delle damigiane).
Inizialmente non c’era un criterio per denominare quelle nuove vie per cui molte presero il nome dell’ingegnere che aveva dato via al progetto, Bruno Rossi. Poi il nonno di Denis propose di chiamare le vie con il loro nome originario del podere. Così il podere Zaffo dava il nome alla via mentre il podere Mulinetto dava il nome ad un’altra trasversale. Ad ogni nuovo podere venne assegnato un numero e un nome: così nasceva, ad esempio, il podere n.71, S. Ettore, scritta color marrone. Sotto ad ogni finestra, al piano superiore, lo spazio per un portabandiera per le feste solenni.
Fra campi, trattori e stalle, arriviamo alla casetta, oggi disabitata, del custode della chiusa. Un sistema idraulico che rende orgogliosa la nostra regione, da sempre. Un canale artificiale che serviva sia allo scolo che all’irrigazione, composto anche di una diga che poteva fungere da chiusa per lasciar passare i barconi che trasportavano le barbabietole dirette allo zuccherificio di Codigoro (trasporti presso effettuati su gomma). Lì fianco, da ragazzini, si faceva anche il bagno.
Ma è ora di pranzo. Ci attendono piadina, focaccia, salame e lasagne. E il calore della spontaneità e dell’amicizia. Oggi sono felice.
Archivio fotografico dell’Ente Delta Padano La Fototeca dell’Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna conserva, tra le altre raccolte, l’archivio fotografico dell’Ente regionale di Sviluppo Agricolo, istituito con il nome di Ente per la Colonizzazione del Delta Padano nel 1951, ente statale dipendente dal Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, divenuto ente regionale nel 1977 e infine soppresso nel 1993 con trasmissione di funzioni residue, personale e patrimonio all’Assessorato regionale Agricoltura. L’archivio fotografico, ordinato, catalogato e digitalizzato dall’Istituto Beni Culturali, consiste in oltre 32.000 positivi in bianco e nero e a colori, circa 20.000 negativi, quasi 4.000 diapositive, pellicole cinematografiche e audionastri.