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Lettera aperta all’ex canoista, ora Vicesindaco di Ferrara
(con delega alla mobilità e all’urbanistica)

Il sig. Rodolfo Baraldini ha inviato alla redazione una lettera aperta al Vicesindaco di Ferrara, firmata (presumiamo con amara ironia) dal “Comitato ferraresi allagati”. Di seguito ne potete leggere il contenuto.
Che strade e quartieri di Ferrara si allaghino in occasione di piogge intense non è certo colpa di questa giunta. É un problema della città, della sua urbanizzazione con conseguente consumo di suolo e del sistema idrogeologico in cui è inserita. Ma è responsabilità di chi governa oggi la città adottare tutte le misure perché questi allagamenti non si ripetano. Ricordiamo alcuni video postati nel 2018, prima delle elezioni, in cui Lei lamentava la cattiva gestione della precedente giunta e consigliava l’utilizzo della canoa a Ferrara. Ci dispiace dirglielo, la situazione negli ultimi anni, sembrava impossibile, ma è addirittura peggiorata.
Nei giorni dal 10 al 18 maggio molte aree di Ferrara sono state allagate. Molte abitazioni prospicienti le strade dove scorrevano veri e propri fiumi d’acqua hanno subìto allagamenti nei cortili, nelle cantine, nelle autorimesse, nei seminterrati o all’interno delle abitazioni. In molti casi si è dovuto far ricorso a pompe per liberarsi dell’acqua o a sacchi di sabbia, procurati dalla protezione civile, per arginarla; riscontrando comunque ingenti danni.

Non sappiamo se tutto questo sia dovuto a differenziali di altitudine e avvallamenti del terreno, alla impermeabilizzazione superficiale, alla natura del sottosuolo (la sua permeabilità e soggiacenza della falda), all’inadeguato calcolo delle fogne e pompe di sollevamento o al loro cattivo funzionamento e manutenzione, ai prodotti di sfalcio che vanno ad intasare le caditoie, al bilancio idraulico della rete dei canali di scolo e delle aree di laminazione.

Con i cambiamenti climatici in corso, queste piogge abbondanti con conseguenti allagamenti si ripetono praticamente ogni anno e non hanno il carattere di eccezionalità che viene spesso richiamato come scusante. Già nel recente temporale della notte tra il 3 e il 4 luglio l’acqua usciva da alcuni tombini per allagare le autorimesse. Non dimentichiamoci poi dei gravi allagamenti di agosto 2022. Eppure l’amministrazione locale e/o gli enti responsabili della gestione della rete fognaria e del corpo idrico recettore non ci sembra agiscano per rimediare a questi problemi. Non crediamo sia necessario un nuovo Cavo Napoleonico. Con le conoscenze e risorse tecnologiche attuali pensiamo si possa e debba, senza esitazione, mettere in sicurezza idraulica l’abitato della città di Ferrara.

Un gruppo di residenti della zona est di Ferrara Le ha chiesto un incontro perché venga illustrato che provvedimenti sono stati presi o si è programmato di prendere per impedire il ripetersi di tali allagamenti. L’incontro finora non c’è stato. Non sappiamo perché: restiamo in speranzosa attesa.

Ma la questione sicurezza idraulica di Ferrara va affrontata seriamente e non può essere solo argomento per qualche spot elettorale.

COMITATO FERRARESI ALLAGATI

Parole a capo
Sostiene Szymborska

“Mi preoccupo molto se qualcuno non capisce qualcosa di ciò che scrivo”. Così diceva di sé Wisława Szymborska (1923 – 2012) preoccupata, quasi assillata di mantenere un costante, diretto rapporto verticale con chi la leggeva. La ricerca di una costante empatia fatta di profondi stati d’animo “mescolati” a vissuti di vita quotidiana, è la cifra della sua poetica. Il 2 luglio del 1923 nasceva a Kòrnik. Oltre alla Polonia, sua nazione natale, il centenario della nascita della poetessa (premiata col Nobel per la Letteratura nel 1996) verrà ricordato in tutto il mondo con eventi, mostre, reading, pubblicazioni. Un esempio, che può essere socializzato con chi ci legge, è la mostra Wisława Szymborska. La gioia di scrivere,  inaugurata il 16 giugno scorso a Genova, al Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce e che sarà visitabile fino al prossimo 3 settembre. L’esposizione raccoglie, tra l’altro, 85 collage eseguiti dalla poetessa, massime e versi estratti (e videoproiettati sulle pareti) dai suoi componimenti e tanto altro. Nel 2021, al primo Reading ferrarese, organizzato dall’allora Collettivo Poetico Ultimo Rosso, decidemmo all’unanimità e senz’alcuna esitazione d’iniziare le mini-performance poetiche sparse per la città con la lettura della poesia “Ad alcuni piace la poesia”.
Ho pensato di regalarmi/ci una “pausa” poetica riportando queste tre poesie tratte da “La gioia di scrivere”, Ed. Adelphi, 2009.

Scrivere il Curriculum

Cos’è necessario?
E’ necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.

A prescindere da quanto si è vissuto
il curriculum dovrebbe essere breve.

E’ d’obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e ricordi incerti in date fisse.

Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.

Conta di più chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all’estero.
L’appartenenza a un che, ma senza perché.
Onorificenze senza motivazione.

Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
e ti evitassi.

Sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.

Meglio il prezzo che il valore
e il titolo che il contenuto.
Meglio il numero di scarpa, che non dove va
colui per cui ti scambiano.
Aggiungi una foto con l’orecchio scoperto.
E’ la sua forma che conta, non ciò che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che tritano la carta.

 

 La cipolla è un’altra cosa.

Interiora non ne ha.
Completamente cipolla
Fino alla cipollità.
Cipolluta di fuori,
cipollosa fino al cuore,
potrebbe guardarsi dentro
senza provare timore.

In noi ignoto e selve
di pelle appena coperti,
interni d’inferno,
violenta anatomia,
ma nella cipolla – cipolla,
non visceri ritorti.
Lei più e più volte nuda,
fin nel fondo e così via.

Coerente è la cipolla,
riuscita è la cipolla.
Nell’una ecco sta l’altra,
nella maggiore la minore,
nella seguente la successiva,
cioè la terza e la quarta.
Una centripeta fuga.
Un’eco in coro composta.

La cipolla, d’accordo:
il più bel ventre del mondo.
A propria lode di aureole
da sé si avvolge in tondo.

In noi – grasso, nervi, vene,
muchi e secrezione.
E a noi resta negata
l’idiozia della perfezione.

 

Pi greco

È degno di ammirazione il Pi greco
tre virgola uno quattro uno.
Anche tutte le sue cifre successive sono iniziali, cinque nove due, poiché non finisce mai.
Non si lascia abbracciare sei cinque tre cinque dallo sguardo,
otto nove, dal calcolo, sette nove dall’immaginazione,
e nemmeno tre due tre otto dallo scherzo,
ossia dal paragone quattro sei con qualsiasi cosa due sei quattro tre al mondo.
Il serpente più lungo della terra dopo vari metri si interrompe.
Lo stesso, anche se un po’ dopo, fanno i serpenti delle fiabe.
Il corteo di cifre che compongono il Pi greco non si ferma sul bordo della pagina,
È capace di srotolarsi sul tavolo, nell’aria, attraverso il muro, la foglia, il nido, le nuvole,
diritto fino al cielo, per quanto è gonfio e senza fondo il cielo.
Quanto è corta la treccia della cometa, proprio un codino!
Com’è tenue il raggio della stella, che si curva a ogni spazio!
E invece qui due tre quindici trecentodiciannove il mio numero di telefono
il tuo numero di collo l’anno millenovecentosettantatré sesto piano
il numero degli inquilini sessantacinque centesimi la misura dei fianchi due dita
sciarada e cifra in cui vola e canta usignolo mio oppure si prega di mantenere la calma,
e anche la terra e il cielo passeranno,
ma non il Pi greco,
oh no, niente da fare,
esso sta lì con il suo cinque ancora passabile,
un otto niente male, un sette non ultimo,
incitando, ah, incitando
l’indolente eternità a durare.

LO SCAFFALE POETICO
Dalla scorsa settimana inseriamo nella rubrica alcune segnalazioni editoriali interne al mondo della poesia. Buona ricerca
poetica.

  • Rita Bonetti, D’amore e di altre storie, Bertoni Editore, 2021
  • Moka, Vuoti d’aria, Le Mezzelane Casa Editrice, 2021
  • Sergio Gnudi, E infine la fineEridanea Project Edizioni, 2023

Cover: Wislawa Szymborska su licenza Wikimedia Commons

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio.
Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.

Per leggere il Bando e partecipare al Premio Internazionale Senza Premi “Le nostre parole per l’Alluvione” [Vedi qui]

 
 

Diario in pubblico /
Dalla padella alle braci: andare in vacanza nella nostra riviera

Dalla padella alle braci: andare in vacanza nella nostra riviera

 Le lunghissime giornate di un giugno anomalo si trascinano in quel di “Ferara” scandite dal cupo rimbombo dei martelli pneumatici, che stanno creando lussuose abitazioni per macchine che verranno ospitate a prezzi incredibili nella stretta via Ghisiglieri, tra proteste di tutto il vicinato, tra cadute di un quadro, mio, per le vibrazioni provocate dal martello che, come cantava Rita Pavone, disperatamente avrei voluto come arma d’offesa per darlo in testa a chi penso io! Ovvero la cosiddetta ‘proprietà’ che cautamente tace e non ha fatto nemmeno la prevista telefonata per registrare il danno. E nonostante che la nostra abitazione sia monumento protetto dalla Soprintendenza per i beni artistici e monumentali. Complimenti!

Comunque, dopo aver installato una sedia mobile e avere provveduto a tutte le necessità del caso, affrontiamo la trasferta al luogo marino dove teniamo casa: ovvero al Laido degli Estensi. La battutaccia ormai è quasi secolare eppure ancora valida.

Così affrontiamo il percorzo conosciuto, ma tutto sembra ed è cambiato. Un grande spazio vuoto ha preso il posto del vetusto hotel e qui enormi cartelli annunciano la costruzione di un palazzo di 13 piani. Rifletto che nemmeno nelle più affollate città a vocazione marina si pensa così in grande. Corrucciato rimane il palazzo di fronte di pochi piani inferiore e che accoglie il supermercato d’eccellenza.

Dall’altra parte della nostra stradina, una grande gru impedisce il passaggio. Anch’essa è addetta alla costruzione di altri posti macchine. E, come nei più famosi film di Totò, io pago io pago con il sonante rumore dei trapani in azione. Sghignazzano i gabbiani che mi guardano irridenti dalle case di fronte e mollano enormi cacche sui terrazzi, quasi a sfidare l’ingenuità pervicace dell’intraprendenza umana.

Allora dolce s’affaccia il ricordo dei mari percorsi: Sicilia, le Eolie, le Maldive, l’Africa, il Brasile e m’abbatto avvilito sul letto appena fatto, che ovviamente odora di chiuso e di umidità. Poi faticosamente m’appresto a telefonare a chissà quale polizia per denunciare il rumore invivibile, ma tutto risulta vano.

Che fare? Nun lo saccio! direbbe qualche meridionale scafato e allora, tra un colombaccio petulante, un urlante gabbiano, in un luogo infernale quale è questo, m’appresto a passare le mie vacanze laidesche.

P.S.: E mentre la domenica afosa s’accinge alla notte ancor più calda urla e rumor di lotta scuote la mia via. E un piccolo bassotto strilla all’impazzata due case oltre. Una dama transitante chiama i carabinieri e si scopre che a un rimprovero sul cagnolino abbaiante due ‘forsennati’ si mettono a picchiarsi e a frustarsi con il guinzaglio ovviamente di vera pelle del pelosetto.

Sale l’arma al piano dove sta l’incriminato poi…..mistero. I vicini partono, la strada torna silenziosa. Racconto l’accaduto a Benny, alla Terry e alla Frida, legittimi pelosi che accompagnano i miei nipoti. Scuotono sconsolati le orecchie e commentano che alla demenza umana non c’è mai fine.

Per leggere gli altri articoli di Diario in pubblico la rubrica di Gianni Venturi clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

WIDE, Art based spots, residenze artistiche romane

Torna dal 23 giugno al 15 ottobre WIDE, il programma di residenze artistiche delle Industrie Fluviali. Quattro progetti indagano il tema della città come ecosistema e un calendario di eventi tra vernissage, dj-set e laboratori didattici.

Torna WIDE – Art based spots, il programma di residenze artistiche delle Industrie Fluviali che ospita artisti e artiste per realizzare opere site specific pensate per gli spazi dell’hub culturale di Roma Ostiense.

Dopo una prima edizione che ha visto come protagonisti Geometric Bang, Alleg e Carla Rak e la realizzazione di tre opere, per questa seconda edizione, WIDE porta negli spazi di via del Porto Fluviale quattro artisti – Andrea Casciu, Eloise Gillow, Madame e Officinadïdue – che da giugno a ottobre realizzeranno quattro opere ‘site specific ‘per trasformare gli ambienti delle Industrie Fluviali.

I quattro progetti saranno svelati al pubblico in occasione di WIDE SunSet, i vernissage che celebrano l’arte e l’estate con speciali dj-set al tramonto. Le sonorità di quest’anno si compongono di suoni provenienti da ogni parte del mondo, grazie a dj e collettivi la cui ricerca musicale si addentra in territori inconsueti: Elvis Delmar from Yalla, Club Casbah, Tropico Disco Safari, Dj Solko.

Per realizzare le loro opere i quattro artisti coinvolti sono stati invitati a pensare alla città come ecosistema. Non un vero e proprio tema, ma un presupposto, una premessa che caratterizza la direzione artistica e che costituisce la base di partenza di ogni intervento artistico e laboratorio in programma. L’idea di città come ecosistema deriva dal concetto deep ecology codificato da Arne Næss negli anni ‘70, così come alle conseguenti teorie di Paul Shepard attorno al Paradigma Pleistocene, che afferma che il mondo naturale è un complesso di relazioni nel quale l’esistenza di ciascun organismo dipende dall’esistenza degli altri all’interno dello stesso ecosistema. Un assunto che può essere esteso a qualsiasi sistema. Ecco, dunque, che la città è un ecosistema dall’intelligenza collettiva che, al pari di una foresta, deve la sua esistenza alla diversità e varietà degli organismi che la abitano.

WIDE si inserisce in questo sistema di relazioni con un programma di attività laboratoriali destinate a partecipanti giovani e giovanissimi per attivare processi interiori di rispetto, solidarietà e comunicazione positiva nei confronti dell’altro come diverso da me, con le sue caratteristiche e specificità, e realizzando le opere attraverso un lavoro di confronto con il territorio, di narrazione condivisa e partecipata.

Officinadidue

Si è iniziato il 23 giugno con WIDE opening party e il primo incontro del laboratorio di co-creazione di un’opera site-specific aperto alla cittadinanza a cura di Officinadïdue (Vera Bonaventura e Roberto Mainardi). In questa occasione il duo, insieme ai partecipanti del laboratorio, daranno inizio ai lavori di un’opera site-specific che indaga il territorio e che una volta realizzata attraverserà l’intera struttura delle Industrie Fluviali, dai sotterranei alla terrazza. Il risultato finale sarà visibile il 14 ottobre in occasione del closing party. Per celebrare la nuova edizione di WIDE, le Industrie Fluviali ospiteranno una serata di festeggiamenti affidata al collettivo Club Casbah (RDSNT e Lorenzo BITW), le cui sonorità omaggiano le persone e le culture dei paesi del mediterraneo.

Madame

WIDE prosegue con l’artista francese Madame che a luglio realizzerà sul roof garden uno dei suoi collage di grande formato. Scenografa di formazione, Madame realizza opere pubbliche, oggi diffuse in decine di città e cinque continenti, che mescolano testo e immagine ricreando nello spazio pubblico la medesima dimensione scenica del teatro.

Il risultato del suo lavoro sarà svelato il 20 luglio accompagnato dalla musica di Tropico Disco Safari, progetto di Marco Buscema che propone, con dj da tutto il mondo, selezioni musicali composte di rarità che raccontano una varietà musicale profonda e, al contempo, un filo conduttore culturale che va dall’Africa ai Caraibi. In occasione della serata sarà presentato al pubblico il primo gruppo delle opere selezionate nell’ambito di WIDE visions, la call rivolta alle artiste e agli artisti under 35 che si servono dei codici per elaborare le proprie opere video.

Il secondo gruppo di opere sarà presentato in agosto in occasione di WIDE community (3 agosto): uniti dal buon cibo, gli abitanti del quartiere sono chiamati a partecipare a uno speciale tour di WIDE che ripercorre le opere realizzate dall’edizione 2022. Un’occasione per confrontarsi con il territorio sulle possibili direzioni future della manifestazione e un momento di condivisione in vista della ripresa delle attività a settembre. In questa giornata saranno annunciati i vincitori della call WIDE visions.

Nelle settimane più calde, proseguiranno i lavori del workshop di Officinadïdue, mentre gli eventi aperti al pubblico torneranno il 28 settembre con un appuntamento di WIDE SunSet che ospiterà gli ultimi due artisti in residenza: Andrea Casciu e Eloise Gillow. 

Andrea Casciu
Eloise Gillow

Ospite musicale per questa occasione sarà Elvis Delmar, sull’onda della stagione che lo ha visto protagonista delle serate romane con il duo Yalla.

Casciu, artista nativo di Sassari, classe 1983, trasformerà l’ingresso delle Industrie Fluviali con le sue figure ibride, mutevoli, ricche di elementi naturali e di stilizzazioni derivanti dall’arte classica, grazie alle quali si sta affermando come uno degli street-artist più originali e riconoscibili d’Italia.

Eloise Gillow, giovane artista inglese con base a Barcellona, che sul roof garden delle Industrie Fluviali realizzerà la sua prima opera in Italia. Nelle sue opere combina un realismo pittorico eccelso con la capacità di realizzare opere pubbliche di grandi dimensioni creando connessioni tra l’opera d’arte e le comunità che la ospita. L’appuntamento di settembre è l’occasione per vedere l’ultimo gruppo delle opere selezionate di WIDE Visions in vista dell’annuncio del progetto vincitore a ottobre.

L’ultimo appuntamento con WIDE SunSet è in programma il 14 ottobre con un closing party affidato a Dj Solko, curatore del programma di SunSet di questa edizione dedicato ai suoni di culture di varie parti del mondo che interagiscono quotidianamente con Roma. Occasione per celebrare la fine del programma di residenze artistiche e per svelare al pubblico il risultato del laboratorio condotto da Officinadïdue che trae ispirazione dal mondo naturale e reinterpreta i linguaggi estetici della land art, dell’arte povera e del minimalismo, sviluppando progetti artistici legati all’ambiente, al clima, all’ecologia e alle istanze sociali.

WIDE 2023 si chiude con una due giorni interamente dedicata ai bambini, il 14 e il 15 ottobre, infatti, insieme alle associazioni Libelà e TUtt’ALTRO si indagherà il tema dei quattro elementi all’interno della cornice della biodiversità. L’obiettivo sarà quello di creare nei più piccoli una “cittadinanza terrestre” ovvero quel rapporto che ci lega al pianeta in cui viviamo e in cui le nostre identità sono in relazione e strettamente collegate. In questo evento confluiranno la presentazione dell’albo illustrato Racconti Elementari, una esposizione foto e video realizzata con bambini e ragazzi da Federica di Giovanni e quattro atelier in cui bambini e famiglie potranno vivere esperienze immersive a contatto con i quattro elementi.

La partecipazione agli eventi è gratuita previa registrazione su: https://www.industriefluviali.it/wide

WIDE è alle Industrie Fluviali, Via del Porto Fluviale, 35, Roma, Ostiense.

Le Industrie Fluviali sono un ecosistema culturale, un hub per l’innovazione che progetta, promuove e produce iniziative dal carattere ibrido, aperto, inclusivo. La loro sede, nel cuore del quartiere Ostiense, è il frutto della rigenerazione di una fabbrica dismessa, che con le Industrie Fluviali è diventata uno spazio polifunzionale nonché una piattaforma per ideare e allestire progetti con importanti ricadute sociali, e per innescare sinergie con le realtà presenti sul territorio.

Il progetto, promosso da Roma Capitale – Assessorato alla Cultura, è vincitore dell’Avviso Pubblico “Estate Romana 2023 – 2024” curato dal Dipartimento Attività Culturali ed è realizzato in collaborazione con SIAE.

WIDE Art Based Spots è un progetto ideato e realizzato da PINGO SCSI.

 

Parole e figure / Inseguire un gelato si può, ed è divertente

Una bellissima e divertente novità di Babalibri, in uscita il 20 luglio: “All’inseguimento del gelato” di Katja Gehrmann e Constanze Spengler

Tempo di estate, di spiaggia affollata, di colori, di desiderio di divertimento, di caldo torrido che fa venir voglia di cercarsi un gelato fresco e gustoso.

Ecco allora, per grandi e piccini, una storia illustrata che trattiene tutti i colori dell’estate e che ci riporta a quei momenti, piccoli ma grandi, capaci di schiudere ricordi dolci come una Madelaine, senza mancare l’appuntamento con l’avventura e l’umorismo.

In uscita il 20 luglio con Babalibri, Katja Gehrmann e Constanze Spengler in “All’inseguimento del gelato” ci portano a seguire Nico e il papà in vacanza al mare su una piccola isola: sistemano l’ombrellone a strisce bianche e rosse – degli stessi colori del faro lontano – , nuotano e giocano con pallone e racchette. Il papà è un fervente e convinto lettore, adora i libri, Nico un bambino curioso che ama correre e divertirsi.

Quando all’orizzonte compare il magico furgoncino dei gelati, oggi un po’ in ritardo, Nico chiede al papà il permesso per andare a comprare un gustosissimo cono per entrambi (il lettore accanito, che vuole il gelato alla stracciatella, non può davvero spostarsi ora, è in un punto talmente avvincente del libro…).

Il papà acconsente, con la raccomandazione di non allontanarsi e di tornare subito. Quante volte ce lo siamo sentiti dire… non accettare nulla dagli sconosciuti, non correre, non ti allontanare (alla nostra epoca, la medaglietta al collo dello stabilimento balneare tranquillizzava i genitori un po’ di più…).

Nico scattante e felice corre verso il furgoncino, ma questo, inizialmente parcheggiato fra il venditore di palloncini colorati e il noleggio degli sci d’acqua su cui pare di volare, si è già spostato fulmineo verso un’altra destinazione… Fermati, fermati… pare dire Nico…

Inizia così un mirabolante inseguimento sulla strada costiera e per ripide salite che coinvolgerà un asinello nano con un cappello di paglia giallo che pare un sombrero, una postina, una fruttivendola, un autista di autobus, un operatore di sci nautico e un pilota.

In groppa dell’asinello che si trasforma in veloce destriero e sulla bicicletta della postina, Nico percorre piazze e colline, fiancheggia il molo da cui parte il traghetto affollato.

Spiaggia uno, spiaggia due, spiaggia tre, è sempre quella sbagliata. Ci sono pure i paracadutisti ad aiutare. Eccolo, finalmente, al tanto rincorso furgoncino dei gelati: uno al mirtillo per l’asinello, uno alla stracciatella per papà e uno alla fragola per lui, il coraggioso e temerario Nico. “Non ti sei allontanato troppo, vero Nico?”, dice il papà. Meno male che lui ama tanto leggere libri lunghi lunghi…

Katja Gehrmann, Constanze Spengler, All’inseguimento del gelato, Babalibri, 2023

Libri per bambini, per crescere e per restare bambini, anche da adulti.
Rubrica a cura di Simonetta Sandri in collaborazione con la libreria Testaperaria di Ferrara

Per certi versi /
Il bacio e le cicale

Il bacio e le cicale

Con le cicale
L’estate
Di mille anni
Fa
Il primo bacio
A una ragazza
Era pieno
Di cicale
Si chiuse
La porta
Del tempo
Di scatto
Le labbra
Divennero anguille
Il fico
Reggeva la musica
Nell’olio della notte
Attorno alla luna
Più interessata
Che mai
A questo bacio
Da Rialto
Non finiva
Non si voleva
Finisse
Insieme alle cicale
Che verve
Che smalto

Ogni domenica Periscopio ospita Per certi versi, angolo di poesia che presenta le liriche di Roberto Dall’Olio.
Per leggere tutte le altre poesie dell’autore, clicca [Qui]

Le storie di Costanza /
Luglio 2062 – Una fotografia

Le storie di Costanza. Luglio 2062 – Una fotografia

La zia Costanza ha avuto un incidente. È caduta dalle scale della vecchia casa di via Santoni e si è rotta il metatarso del piede sinistro. Per fortuna la frattura era composta e, per curare il trauma, è bastata l’ingessatura senza bisogno di ricorrere all’intervento chirurgico. Ora ha il piede ingessato e per un mese può camminare solo in casa, usando le stampelle.

A volte basta proprio poco per farsi del male e la vita cambia velocemente in peggio. Un minuto prima cammini normalmente e un minuto dopo non lo puoi più fare. Non serve a niente maledire la sfortunata coincidenza, indietro non si torna e comunque il piede resta rotto.

Nello scendere dalla soffitta, dove ogni tanto si rifugia per far rivivere avvenimenti del suo passato e pensare ai fatti suoi senza interferenze, la zia ha appoggiato male il tallone ed è caduta in avanti. Per fortuna non si è fatta altro che la frattura del metatarso.

Con lo stesso piede Costanza aveva già avuto problemi in passato, un legamento se l’era lesionato da giovane in una gara sportiva e l’alluce aveva subito una brutta botta durante un tuffo in piscina. Questa volta un osso si è spezzato e, grazie al gesso, il piede è diventato gigante e bianco. Da lontano sembra un cucciolo di orso delle nevi appeso a una gamba.

Si accompagna all’altro piede che è lungo e magro, una strana coppia davvero, poco sincronizzata. I piedi umani mi hanno sempre affascinato, sono eleganti, flessuosi dotati di una capacità di movimento e di abilità articolari davvero sorprendenti. Sono arte viva in mutamento. Rendono i movimenti del corpo umano armonici. Per poter danzare la salute di mani e piedi è essenziale e i ballerini dedicano loro molto tempo e cura.

Cosmo-111, Canali-111, Galassia-111, Maya-111 e Orsino-121 sempre molto pragmatici, hanno chiesto cosa dovessero fare per pulire il gesso e una volta saputo che non lo potevano né lavare né lucidare, si sono molto dispiaciuti. Hanno fatto delle ricerche nei loro sistemi informativi e hanno scoperto che una delle abitudini dei ragazzi degli anni 2.000 era quella di riempire il gesso di scritte, fatte con un pennarello nero indelebile.

Così i nostri Robot si sono procurati un pantone nero. Cosmo-111 ha scritto sul gesso della zia “An bacaa (un bacio)”, Canali-111 “Guarisci presto”, Galassia-111 “I love white”, Maya-111 “Evviva Costanza” e Orsino-121 ha disegnato un teschio con tanto di ossa incrociate sotto.

Quando la zia gli ha chiesto per quale motivo le avesse disegnate, lui ha risposto: “Ho visto che, quando eri giovane, i tuoi coetanei facevano così”. Deve essere vero, perché Costanza ha sorriso e Orsino-121 ha fatto un fischio di soddisfazione “eureka” ha poi detto.

Sabato sera siamo andati tutti (io, mio marito, Axilla e Gianblu) a trovare la zia. Nel vecchio soggiorno di Costanza c’erano anche mia madre e mio padre e una vicina di casa che si chiama Giuliana. Abbiamo portato il gelato, perché piace sia ai robot che agli umani e, con questo caldo, è particolarmente adatto per chiudere la giornata.

La zia era seduta su una delle poltrone gialle del soggiorno e teneva il piede ammalato appoggiato su un pouf dello stesso colore. Era tutta vestita di nero e i suoi capelli d’argento erano legati dietro la nuca con un elastico rosso. I miei genitori erano seduti sul divanetto d’Adelina e Giuliana sull’altra poltrona.

Quei vecchi mobili gialli erano della nonna Anna e, prima ancora, della bisnonna. Sono sempre rimasti in casa della zia nonostante il passare degli anni e hanno subito col tempo il rifacimento di diverse fodere, sempre sulle tonalità del giallo, a volte più dorate e a volte più color polenta.

La vecchia casa di via Santoni ha un po’ il fascino del museo, è piena di ricordi che vengono tramandati e sopravvivono alle singole vite. Quando entri in casa cambia un po’ il senso del tempo, se guardi i mobili è tutto stranamente uguale da decenni, mentre se guardi il viso delle persone che vi abitano è tutto diverso.

Quando siamo entrati, Giuliana stava dicendo ai presenti che Costanza non è l’unica infortunata di Via Santoni Rosa, anche la mamma del notaio è caduta e si è rotta un braccio. Quella signora dagli occhi color acciaio ha quasi novantotto anni ed è il punto di riferimento della zia per decidere quanti anni potrà ancora vivere.

Dice sempre: “la mamma del notaio ha novantotto anni e sta ancora bene, quindi io, se faccio come lei, ne ho ancora almeno otto da vivere in buone salute”. Questa considerazione le fa bene al cuore, allontana i tristi pensieri legati alla dipartita da questo mondo. Meglio così, speriamo che la mamma del notaio stia bene ancora a lungo.

Adesso però ha un braccio rotto, è caduta anche lei ma non dalle scale, è scivolata in lavanderia in mezzo a un mucchio di capi pronti per essere caricati in lavatrice e lavati. Suo figlio l’ha trovata in terra dolorante ricoperta di calze, asciugamani e pigiami puzzolenti. Ridiamo tutti, nonostante il dispiacere, per il braccio della signora Nora.

La zia aziona col telecomando il suo flight-t e subito arriva volando un piccolo robot dalla forma simile a quella di una libellula. I flight-t hanno una lunghezza che varia dai venti ai settanta centimetri e, a differenza dei -111 e dei -121, volano. Possiedono tutte le funzionalità dei droni e molto altro ancora.

Sono molto servizievoli, estraggono dalla cassetta della posta le lettere e te le portano, oppure fanno il caffè, lo mettono nelle tazzine sopra un vassoio, volano dove vuoi e depositano il vassoio dove indichi loro. Sanno spruzzare acqua e antiparassitario sui fiori e anche andare a fare la spesa dal fruttivendolo.

La cosa che li contraddistingue maggiormente è che sanno superare tutti gli ostacoli che un normale cammino impone, semplicemente azionando le loro ali meccatroniche e alzandosi da terra fino a cinquanta metri. Quelli di casa si alzano solo di qualche metro e ciò è sufficiente per renderli molto efficienti e utili.

Il flight-t della zia è verde e le sue ali sono argentate. Molto bello davvero. Lo ha scelto lei a Robomecca, il centro commerciale di Trescia-111. Costava tanti soldi ma la zia ha detto:

“Ormai ho novant’anni, le cose per cui vale la pena spendere un po’ dei miei risparmi sono quelle che mi aiutano a gestire la casa senza ammazzarmi di lavoro. Sono troppo vecchia per poter pensare di tenere in perfetto ordine una casa di dieci stanze, un cortile, un giardino, un orto, una rimessa e una soffitta.

Mi serve un aiuto efficiente e se tale aiuto arriva da un robot è anche meglio, il mezzano fa quello che gli dico io senza protestare e senza opporre motivazioni confliggenti con le mie priorità. Questo fligh-t oltre che ricchissimo di funzionalità è anche bello. Le ali argentate lo rendono un po’ fiabesco. Sembra il robot di Cenerentola. Io lo voglio, è adatto alla casa di via Santoni, ha un’eleganza senza tempo che mi piace molto.”

Così il fligh-t è stato acquistato e ha cominciato subito a lavorare. La zia gli ha anche dato un nome, si chiama Zeus-t. Mentre chiacchieravamo, seduti sui divani gialli, è arrivato Zeus-t e ha posato sul tavolo basso posizionato di fronte a uno dei due divani, le ciotole e le palettine per il gelato. Una scena familiare molto tranquilla e normale, nonostante il gesso della zia.

A volte mentre osservo i miei parenti che conversano, mi succede uno strano evento intra-psichico, mi allontano da me stessa. È come se riuscissi a guardare tutti, me compresa, da lontano.

Come se diventassi un osservatore distaccato dell’interazione che si sta svolgendo, invece che un membro attivo. Come se una parte di me continuasse a chiacchierare e a mangiare il gelato e un’altra parte si allontanasse di qualche metro, lo spazio sufficiente per diventare contemporaneamente un osservatore e un osservato.

Questo strano modo di distaccarmi dagli eventi è curioso, stupisce anche me. Mi permette di visualizzare e ricordare le situazioni con una lucidità e una dovizia di particolari che non potrei avere se fossi troppo immersa nel momento. È uno stare sulla porta, né dentro né fuori dalla stanza, né dentro né fuori dal tempo, né dentro né fuori dalle circostanze.

E così, insieme ai miei parenti, riesco a guardare la parte di me stessa che è rimasta seduta sul divano e a descriverla come descriverei tutti gli altri protagonisti della storia. Questo strano meccanismo, che mette in relazione il dentro con il fuori, mi è stato molto utile per tutta la vita. Una specie di doppia visione da-dentro e da-fuori, che mi ha permesso un aumento delle informazioni sugli eventi e una completezza di visione importante.

Anche adesso mi allontano dal divano e mi fermo sulla porta. Vedo un bel quadretto familiare, una signora anziana con un piede rotto, un bel soggiorno dal sapore un po’ antico, un bellissimo robot dalle ali argentate che mi ricorda che siamo nel 2062. Il mio stare sulla porta riesce a cogliere un momento di serenità che sospende il tempo e si eleva sopra la stanza per diventare una stella.

Lo stare sulla porta arricchisce la capacità di riflettere sulla situazione, la cristallizza in un’immagine, la fa diventare un ricordo. Attraverso questo guardare un po’ da lontano so che il momento che sto vivendo durerà per sempre, che il ricordo sta già abbracciando quell’incontro serale per farlo diventare una pietra miliare, una roccia che segna il cammino, una lapide. L’immagine si ferma e diventa una fotografia.

Le persone sorridono mentre stanno mangiando il gelato. Ci sono anche due ragazzini, un maschio con gli occhi verdi come le foglie d’autunno e una femmina mora con una felpa con scritto: “Non buttare la plastica. Gli aironi la potrebbero mangiare.

Nell’immagine si vede anche il padre dei ragazzi, alto e atletico con gli occhiali dalla montatura sottile. Si vede una signora anziana che sorride e una seconda signora anziana con un piede ingessato. Ci sono anche altre due persone di circa ottant’anni, marito e moglie.

Stanno tutti là seduti in soggiorno, è quasi sera e si stanno raccontando qualche episodio curioso, che li sta divertendo. La luce del tramonto filtra attraverso le tapparelle semi abbassate, il robot dalle ali d’argento sta assicurando, con la sua presenza, l’efficienza del servizio e dell’ospitalità.

Ho di nuovo colto l’attimo, ho fermato un’immagine, l’ho resa eterna. Ora mi muovo dalla porta, torno dentro me stessa. Ricompongo il dentro e fuori, mi siedo sul divanetto d’Adelina, prendo in mano il gelato alla vaniglia che Zeus-t mi sta porgendo e mi metto a ridere perché la zia Costanza ha appena detto “Tutto sommato potrei anche diventare immortale. Mi sto esercitando molto in questo senso”.

N.d.A.
I protagonisti dei racconti hanno nomi di pura fantasia che non corrispondono a quelli delle persone che li hanno in parte ispirati. Anche i nomi dei luoghi sono il frutto della fantasia dell’autrice.

Per leggere gli altri articoli di Le storie di Costanza la rubrica di Costanza Del Re clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

Il rock è morto. Viva il rock! Ma dove e come ascoltarlo oggi?

Un concerto dovrebbe essere e basta, ma in realtà le cose devono essere pianificate nei minimi dettagli.  Devi provare con altri musicisti in modo da ridurre la possibilità di improvvisare e queste cose impediscono che un concerto sia veramente spontaneo”.
Parola di Vangelis, il grande compositore greco, già tastierista dei mitici Aphrodite’s child.

Vorrei partire da questa semplice affermazione e provare a riflettere sui megaconcerti rock. La musica dell’ultimo, quello di Springsteen a Ferrara, volteggia ancora tra le foglie degli alberi del parco Bassani, con la sua lunga coda di polemiche.

Dal primo grande raduno rock a Monterey in California nel 1967 di note ne sono passate nell’aria. Dai tentativi di dare corpo alla controcultura giovanile, con il movimento hippy, alla globalizzazione musicale senza più anima, dove tutti i luoghi d’intrattenimento risultano alla fin fine uguali e quello che conta veramente è non fermare mai la macchina tritatutto dello spettacolo. Una logica perversa, ma stringente, che vola inesorabilmente sulle nostre teste, stringe ancora i nostri stomaci e continua a regalarci emozioni più o meno forti, alla faccia di ogni orpello moralistico. 

Non mi scandalizzo dunque, dei tanti paradossi che i megaconcerti propongono ogni volta, finendo ogni volta per essere bellamente accantonati, perché ritenuti, a torto o a ragione, demagogici. La legge del mercato è inesorabile.

Quindi non c’è storia. Se un musicista ha un cachet che per un’esibizione può arrivare e anche superare il compenso mensile di un’intera comunità di 2000-2500 persone, il problema non esiste: basta fare sold out e avere un indotto sufficientemente largo. Ci guadagnano tutti: promoter, maestranze, albergatori e ristoratori. Ricordiamoci di quello che è accaduto con i lockdown: decine di migliaia di persone ridotte quasi alla fame.
L’immenso circo che accompagna l’esibizione dal vivo di un big della canzone con la sua band è ormai organica alla legge del consumo e se i prezzi dei biglietti, soprattutto dopo la pausa forzata imposta dalla pandemia, risultano spesso proibitivi per molte persone, peggio per loro. [vedi dal sito di RollingStone: i prezzi dei biglietti per i concerti sono diventati folli]. 

Anche in questo caso, la storia degli anni settanta ci ha insegnato molte cose, mettendo per anni il nostro Paese ai margini delle esibizioni live dei giganti del rock, impauriti dalle violente contestazioni sui prezzi.
Inutile ritornare sull’argomento, anche se, questa volta, pure dall’ estero stanno arrivando proteste contro il caro biglietti, rivolte non solo ai promoter, ma anche ai musicisti. Questi, in generale, non sembrano porsi alcun problema di responsabilità “sociale” nelle loro scelte produttive. Quei pochi che ci hanno e/o ci stanno provando, si sono trovati davanti a difficoltà enormi. A solo titolo di esempio i mitici Pearl Jam. [Vedi qui]

Mai come in questi anni il consumo di musica è diventato  tanto largo e diffuso. Schiacci un link e puoi ascoltare qualsiasi musicista, spesso gratuitamente, bypassando con i cookies e la pubblicità,  i costi che qualsiasi produzione musicale deve sostenere per garantirsi un futuro. Le piattaforme ed i concerti dal vivo, lo sappiamo, hanno sostituito la vendita dei supporti fissi. Anche se la fedeltà della riproduzione è ai minimi, la gran massa degli ascolti si accontenta della quantità, al grido di “gratis  è bello”.

qualità audio e frequenza di campionamento
Audio in alta risoluzione: come ascoltare la musica alla massima qualità [Vedi qui]

Non avendo forse mai sperimentato la magica alchimia che, quando ero giovane, derivava dal rumore della puntina sul long playing appena acquistato, spesso a costo di parecchie rinunce. E quel disco lo si ascoltava fino a consumarlo. 

I concerti live restano dunque una delle poche isole “felici” nella nostra esperienza musicale?
Un evento si vive innanzitutto con il cervello:  il primo, collocato nella testa. Il secondo, altrettanto importante, collocato nello stomaco. Se il concerto lo seguite su di un maxischermo che inquadra, come un’icona, il vostro beniamino, allora secondo me avete sbagliato tutto. A parte il “Ciao Ferrara !!!”, che diventerà “Ciao Roma o Ciao Milano !!!” lo spettacolo sarà perfettamente riproducibile a se stesso, come in un disco, con l’unica, non banale differenza, di una riproduzione sonora sicuramente al top.
È come andare ad ammirare la Gioconda al Louvre invece che in una riproduzione cartacea di alta qualità. Vuoi mettere? Modestamente, sì.

Quando arriverò a trentatré anni smetterò. Quella è l’età in cui uno dovrebbe fare qualcos’altro. Non voglio fare la rockstar per tutta la vita. Non potrei sopportare di finire come Elvis a cantare a Las Vegas con le casalinghe e le vecchiette che arrivano con la busta della spesa.
Chissà se Mick Jagger si ricorda di questa sua istruttiva affermazione giovanile. Perché il megaconcerto rock è un fatto culturale ben preciso e circostanziato. Come il mito dell‘autenticità nel rock.  Ecco la voce “
Autenticità e artisticità rock” nella Storia della Civiltà Europea Treccani [Vedi qui].

Riproporlo come un rito senza tempo è ancora una volta un miracolo del capitalismo e della sua capacità di trasformare tutto in merce.
A mio avviso, l’unica dimensione ancora percorribile é quella del teatro, dove la finzione scenica e musicale è palese, ma il contatto con il pubblico, “umana” e dunque sostenibile. So che questa mia provocazione non sarà digerita dai più. Anche per questo la lancio, sperando di ricevere qualche indicazione utile a farmi cambiare idea. In fondo è questa la mia segreta aspirazione.
Ragazzi, il megaconcerto mi manca.

Il Parco Bassani:
Addizione verde o Luna Park?

Riceviamo e Pubblichiamo

Comunicato stampa del Comitato “Save The Park”

Il sindaco di Ferrara (da oggi “Alan l’Asfaltatore”) ha cambiato per sempre la natura del Parco urbano Giorgio Bassani, desiderato e voluto per primo da Paolo Ravenna, senza uno straccio di delibera, impegno di spesa, fattura, scontrino che sia accessibile e controllabile.
l’Asfaltatore, come il Sommo Giove, ha fatto uscire la sua nuova creatura come Minerva, da un vistoso foruncolo sul cranio.
Si ricordi solo, l’Asfaltatore di comunicare l’accaduto al Controllo Nazionale del Traffico Aereo, vedi mai che qualche pilota di linea scambiasse i viali ciclabili del Luna Park ex Bassani per il Marconi o il Marco Polo.
E i ferraresi? Sono contenti, contentissimi, come recitano le veline municipali, e già aspettano impazienti l’atterraggio del prossimo superdivo direttamente ai bordi del palco.
Ma infine, ci sorge un dubbio: che densità politica ha la pubblicazione di alcuni giorni fa della “scoperta” che l’area demaniale a sud della città potrebbe essere attrezzata per grossi eventi (come Save the Park ha sempre sostenuto)?
E allora, vedi mai che Alan l’Asfaltatore (e il suo vice?) non abbia precorso i tempi per accontentare tutti i compagni della merenda municipale: “Se gli eventi si faranno a sud, allora l’aeroporto lo spostiamo a nord!”.
Comitato Save The Park

PREMIO LETTERARIO INTERNAZIONALE SENZA PREMI
“Le nostre Parole per l’Alluvione”.
Scadenza per invio testi: 22 luglio, ore 24.00

“Le nostre Parole per l’Alluvione”. 

Può esistere un “premio senza premi”? Secondo l’Associazione Culturale Ultimo Rosso sì.
Mentre rullano i tamburi dei media per l’arrivo imminente del Premio Strega, cui ne seguiranno una dozzina di grande e media taglia, più alcune migliaia sparsi in tutta la penisola, è molto consolante (per me e per questo giornale) sapere che c’è qualcuno che pensa che la letteratura, e in particolar modo la poesia, non c’entri nulla con le gare, le classifiche, i premi, gli allori. Si scrive una poesia, o un racconto, o un romanzo, per “il bisogno di farlo”. Lo si mette in circolazione per condividerlo con altri. Si apre un libro per il solo piacere di leggerlo. Poi, è vero, esiste una Grande Letteratura e una letteratura usa e getta, ci sono poeti eterni e artigiani o semplici copisti, ma la scrittura e la lettura sono un meraviglioso gesto individuale e universale, sono l’output creativo che irrompe nel quotidiano. E merita di essere ascoltato.
Ecco, quindi, un Premio Internazionale senza Premi. Dove non si vince nulla,  a cui si partecipa con un proprio libero gesto creativo, in prosa o in poesia, con il pensiero rivolto alla tragedia che ha colpito l’Emilia-Romagna.  Una tragedia di cui non è responsabile una “natura cattiva” ma l’incuria, il cemento e la corsa al profitto. “Le nostre Parole per l’Alluvione” vogliono essere un piccolo segno riparatore.
Buona scrittura a tutte e a tutti.

Francesco Monini
direttore responsabile di Periscopio

ECCO IL BANDO:

Premio Internazionale

 CONCORSO SENZA PREMI
“Le nostre Parole per l’Alluvione”

BANDO

L’Associazione Culturale “Ultimo Rosso”, in collaborazione con “Periscopio” quotidiano online bandiscono la prima edizione del

PREMIO LETTERARIO INTERNAZIONALE  SENZA PREMI
“Le nostre Parole per l’Alluvione

Al Premio si partecipa con opere edite o inedite, in lingua italiana, in vernacolo o lingua straniera (purché corredate da traduzione in italiano a cura dell’Autore candidato), a tema libero (non è quindi necessario un qualsiasi riferimento alla tragedia dell’alluvione).

Il Concorso è rivolto ai soli Autori maggiorenni.

La partecipazione al Concorso prevede un contributo di adesione libero di almeno 5 Euro, da versare autonomamente alla Protezione Civile dell’Emilia Romagna per aiuti alle persone delle aree alluvionate.

Ogni Autore può partecipare a più di una Sezione, con un massimo di un’opera per ciascuna di esse.

Il Concorso è suddiviso nelle seguenti Sezioni:

Sezione A _Poesia singola edita o inedita a tema libero, lunghezza massima 40 versi, carattere Times New Roman 14, interlinea 1,5.

Sezione B_ Racconto edito o inedito a tema libero, lunghezza massima 20.000 battute (spazi inclusi), carattere Times New Roman 14, interlinea 1,5.

Le opere dovranno pervenire entro il 21 luglio 2023, esclusivamente in formato elettronico Word all’indirizzo email: lultimorosso.ferrara@gmail.com, indicando nel testo della email nome e cognome del concorrente, email, recapito telefonico e titolo dell’opera candidata. In allegato sarà inviato il testo dell’opera  e la ricevuta di avvenuto versamento della quota libera di adesione.

La quota di adesione sopracitata dovrà essere corrisposta alle seguenti coordinate:
Agenzia regionale Sic.T. Protezione civile Emilia Romagna – IBAN: IT69 G020 0802 4350 0010 4428 964  – Causale: “ALLUVIONE EMILIA-ROMAGNA”

Ogni Autore, per il fatto stesso di partecipare al Concorso, dichiara la propria esclusiva paternità e originalità delle opere inviate e del loro contenuto. Dichiara inoltre di avere il pieno possesso dei diritti di utilizzo delle opere e che le stesse sono libere da ogni eventuale vincolo editoriale sia in caso di opera inedita sia in caso di opera edita, manlevando pertanto l’Organizzazione del Concorso dalle eventuali pretese o azioni di terzi.

La Giuria si riserverà, d’intesa con l’Organizzazione, il diritto di escludere dal Concorso le opere che, a proprio insindacabile giudizio, riterrà offensive, di cattivo gusto o comunque non in linea con lo spirito sociale e culturale del Concorso.

Le liriche partecipanti che supereranno la selezione operata dalla Giuria, saranno pubblicate all’interno della rubrica “Parole a Capo” del quotidiano online Periscopio. Inoltre, dopo un ulteriore selezione, una cinquantina di opere (di poesie e racconti) verranno inserite in una antologia dal titolo: “Le nostre Parole per l’Alluvione”. (Il prezzo di copertina sarà indicato successivamente, non potendolo definire prima di conoscere il n. complessivo delle pagine. Pagate le spese, gli introiti della vendita del volume saranno devoluti alla Protezione Civile dell’Emilia Romagna)

Informativa ex art. 13 del D.L. 196/2003, GDPR n. 2016/679, sulla tutela dei dati personali: i partecipanti al Concorso autorizzano l’Associazione organizzatrice al trattamento dei dati personali al solo fine di permettere il corretto svolgimento delle diverse fasi del Concorso stesso.

GIURIA DEL PREMIO

  1. Pier Luigi Guerrini – Presidente di Giuria – poeta e critico letterario (Ferrara)
  2. Roberta Barbieri – poetessa, giornalista pubblicista – Poggio Renatico (FE)
  3. Moka – Monica Zanon – poetessa, scrittrice- Associazione Licenza Poetica (Solcio di Lesa – NO))
  4. Maria Calabrese – docente di letteratura italiana – Biblioteca Popolare Giardino (Ferrara)
  5. Francesco Monini – scrittore, giornalista – quotidiano online Periscopio (Ferrara)

 

Il giudizio della Giuria si intende come insindacabile e inappellabile.

Storie in pellicola / Grazie ragazzi, per questa magnifica pièce di teatro in carcere

Riccardo Milani torna a occuparsi di sociale con la consueta ironia, in “Grazie ragazzi”, con un convincente Antonio Albanese e un sorprendente gruppo di attori

Il teatro in carcere, la voglia di riscatto, l’attesa. Studenti-allievi molto singolari.

Una storia ispirata a fatti accaduti, quella dello svedese Jan Jönson che, nel 1985, aveva tenuto lezioni di teatro nel carcere di massima sicurezza di Kumla e si era impegnato a far recitare a cinque detenuti Aspettando Godot di Samuel Beckett, torna oggi nel film Grazie ragazzi di Riccardo Milani.

Si tratta anche di un remake del francese Un triomphe, del 2020, diretto da Emmanuel Courcol, che aveva scoperto la storia di Jönson dal documentario del 2005 Les Prisonniers de Beckett, mostratogli dal suo produttore Marc Bordure.

Nel film di Milani, Antonio Cerami (Antonio Albanese) è un attore di teatro che da anni non calca il palcoscenico, vive da solo in un appartamento a Ciampino dove sente il passaggio di ogni aereo e doppia film porno per sbarcare il lunario. Un disoccupato un po’ disadattato (non osa confessare alla figlia lontana che lavoro fa) ma sempre curioso.

Il suo amico di vecchia data Michele (Fabrizio Bentivoglio), che ha un lavoro stabile presso un piccolo teatro romano, gli trova un incarico insolito ma sfidante: sei giorni di lezioni di recitazione presso un carcere di Velletri allo scopo di far mettere in scena ai detenuti una serie di favole. È un progetto finanziato dal Ministero cui la direttrice del carcere, Laura (Sonia Bergamasco), ha acconsentito senza troppo entusiasmo, ma ad entusiasmarsi sarà Antonio, che deciderà di mettere in scena presso il teatro di Michele un progetto più grande: “Aspettando Godot” di Samuel Beckett, perché i detenuti “sanno cosa vuol dire aspettare: non fanno altro”.

Vinicio Marchioni, Giacomo Ferrara, foto Claudio Iannone
Fabrizio Bentivoglio, foto Claudio Iannone

Così Mignolo (Giorgio Montanini) dalla moglie focosa, Aziz (Giacomo Ferrara) nato a Tripoli e arrivato in Italia su un gommone, Damiano il balbuziente (Andrea Lattanzi), Diego il boss (Vinicio Marchioni) e Radu (Bogdan Iordachioiu) l’addetto alle pulizie rumeno lavoreranno per interpretare un testo complesso e impegnativo, con risultati da scoprire. In un tour teatrale che porterà i ‘magnifici cinque’ fino all’elegante e scintillante ‘tempio’, il Teatro Argentina di Roma.

Un film pieno di umanità, oltre che di ironia, di bellezza che tocca anche chi non la frequenta o non vi è abituato, di simpatia e, soprattutto, di tanto bel teatro che, in carcere (ma non solo), può fare miracoli. In un laboratorio vitale che è un turbinio di emozioni.

Le musiche di Andrea Guerra (e la canzone di Vasco “I soliti”) accompagnano una pellicola che ha il dono di raccontare gente semplice, spesso non per scelta, con disarmante e magnifica semplicità. Perché tutti possono avere un talento nascosto.

Grazie ragazzi, di Riccardo Milani, Antonio Albanese, Fabrizio Bentivoglio, Sonia Bergamasco, Vinicio Marchioni, Giacomo Ferrara, Giorgio Montanini, Andrea Lattanzi, Bogdan Iordachioiu, Italia, 2023, 117 minuti

Foto in evidenza Claudio Iannone

Guerra di tasse e guerra di classe
Chi vince e chi perde

“E’ una guerra di classe, e la mia classe sta vincendo” 

(Warren Buffett)

Il periodo storico che stiamo vivendo indurrebbe a un utilizzo parsimonioso del sostantivo “guerra”, specialmente in contesti non propriamente geopolitici.
Leggendo il libro di Vincenzo Visco e Giovanna Faggionato “La guerra delle tasse”, edito da Laterza, tale considerazione lascia però il posto ad una sincera condivisione dell’utilizzo di tale termine.
L’ analisi del Professor Visco, ampiamente suffragata dall’essere stato egli stesso testimone diretto ed anche interprete, nelle sue vesti di ministro, dei fatti riportati, attraversa la storia del fisco italiano e delle sue riforme dal dopoguerra ad oggi.

 

LA GUERRA DELLE TASSE

Partendo dall’art.53 della Costituzione e dai principi cardine in esso riportati, riferiti alla progressività della capacità contributiva del contribuente e al rispetto dell’equità orizzontale e verticale nell’applicazione dell’imposizione, si dà conto del “patto sociale” che i Padri Costituenti delle diverse espressioni politiche dell’epoca, in particolare quelle con maggior base popolare come la Democrazia Cristiana, il Partito Comunista Italiano e il Partito Socialista Italiano, hanno voluto sottendere a questa tematica nella sua formulazione.

Sono questi gli obiettivi che, scorrendo il libro, non si sono riusciti a raggiungere nel disegno e implementazione di una seria riforma fiscale nel contesto italiano, partendo dalla Commissione Cosciani degli anni ’60 e dalla riforma Visentini negli anni ’70, fino ad arrivare ai giorni nostri. Il tentativo di disegnare un imposta omnicomprensiva in grado di incontrare e mettere a sistema le diverse espressioni di reddito, da quello personale a quello di impresa e di capitale, ha lasciato spazio a interventi disorganici e “sartoriali”: solo per citare un esempio, si arriva a situazioni in cui “i redditi da capitale sono tassati al 26%, un’aliquota inferiore rispetto a quella che si paga sulla parte di reddito che eccede i 28.000 € annui”.

Complementare all’analisi delle imposte è quella sull’evasione fiscale italiana, a partire da quella riguardante l’IVA, e la constatazione, nocciolo fondamentale della questione attuale, che “i profitti delle aziende sono sempre più slegati dai redditi da lavoro e anche dall’occupazione” e questo ci dice che “l’evoluzione del mercato ha reso vetusti alcuni pilastri su cui erano stati costruiti i sistemi fiscali delle democrazie occidentali del secondo dopoguerra”.

Gli autori si soffermano quindi sull’attuale proposta del Governo italiano relativa alla flat tax (imposta piatta) in relazione ai redditi autonomi e successivamente ai redditi dipendenti, lasciando insoluta la questione del gettito fiscale e di come esso potrà essere rimodulato in quanto, allo stato attuale, la sua composizione è rappresentata per la grande maggioranza da redditi da lavoro e da pensione. Proprio su questo punto si può intendere l’utilizzo del sostantivo “guerra” nel titolo del libro, poiché, “da un punto di vista politico-sociologico si può anche osservare che le imposte piatte con pochi scaglioni – garantendo o aumentando la salvaguardia dei redditi bassi, assicurando gli sgravi ai ceti abbienti, e penalizzando implicitamente il ceto medio – corrispondono anche al perseguimento di una particolare alleanza politica: quella tra “ricchi” e poveri , un’alleanza “populista” rispetto a quella socialdemocratica-keynesiana tra poveri e ceto medio, che era stata prevalente fino agli anni Ottanta del secolo scorso”.

Parole a capo
Annalisa Mercurio: “Poesie”

La vita reale è soltanto il riverbero dei sogni dei poeti. La vista di tutto ciò che è bello in arte o in natura, richiama con la rapidità del fulmine il ricordo di chi si ama.
(Stendhal)

Avrei dovuto portarti
dal mio albero parlante
dove stride il tempo lento.
Far ridere le iridi
anche un momento soltanto
toccarti in petto col verde
firmamento campestre che
sbriciola tutti i miei nodi
dove la civetta dal ramo basso
benedice dei folli i piedi scalzi
mentre danzano su un inno alla gioia.
Saresti forse a lungo rifiorito.

(inedito)

S’è alzato dal letto
il peso molle della notte
il compressore d’anime
ha terminato ore e minuti
e il terreno di gioco
a disposizione.
Lo schiacciamento allo sterno
evapora, arrotola lingue oniriche
riposte in rimesse

dove è stata rimossa la luce.
Si riallineano in verticale
stelle alle mie ossa.

(inedito)

Le foglie lo sai,
cadono anche in primavera e noi
– distratti dal tempo dei fiori –
lasciamo entri dalle pupille
una fragilità che ci riempie
la bocca.

(inedito)

Seguono tre poesie tratte dalla sillogeMuovimi il fiatoChiPiùNeArt Edizioni

Mi si è spaccato il cielo stanotte.
Tra sterno e costole, stanotte.
Precipitano preghiere e macigni
e la voce, tra tonfi di silenzi
non si muove.
La leggerezza della neve
dev’essere caduta altrove.

––––––––––––––––––––––––––––––––––––––-

Vorrei sbocciarti dentro.
In quell’ans(i)a
al riparo dello sterno;
ed estratto estremo di sensi,
tagliarti il fiato.
Sognarti dentro.

––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

E non c’è niente d’intero,
niente di puro o d’impuro
in queste sfere di tempo,
di carta e stracci;
non c’è niente di più né di meno
nell’attimo in cui
parla la coscienza allo specchio
e racconta che il tuo miele e il tuo fiele
sono figli della stessa madre.

Annalisa Mercurio (Rimini, 1969). Nel 2000 si trasferisce in Puglia, dove tutt’ora vive con il marito i due figli e un cane.
Questa terra segna il suo verso, così come lo segnano gesto e corpo. Danzatrice classica e contemporanea, sente la scrittura come estensione della propria fisicità.
A Gennaio 2023 entra a far parte della redazione del lit blog Le Parole di Fedro dove cura la rubrica mensile “figuracce retoriche”.

Pubblicazioni:
Lit-blog “Le parole di Fedro” (Dicembre 2020, Novembre 2021, Marzo 2022, Aprile 2022, Luglio). Compare tra gli autori della silloge “Tra un fiore colto e l’altro donatoAletti editore (2021)
Il Lucano Magazine” rubrica Poeti e versi (Luglio 2021)
Poetarum Silva” (Novembre 2021, Dicembre 2021); “Franco Genzale” rubrica Dentro l’anima della poesia di Emanuela Sica, (Aprile 2022) Premio speciale del Direttore artistico al Premio internazionale di poesia Culture del Mediterraneo 2022. Partecipa all’antologia “L’isola di Gary – paesaggi di guerra e paceed. Opera Indomita (Ottobre 2022). Nel 2023 pubblica la raccolta poetica “Muovimi il fiatoChiPiùNeArt edizioni.

LO SCAFFALE POETICO
Da questa settimana inseriamo nella rubrica alcune segnalazioni editoriali interne al mondo della poesia. Buona ricerca poetica.

  • Roberta Lipparini, Nei titoli di coda, Il Leggio Libreria Editrice, 2022
  • Sara Ferraglia, Voglio una danza, Giuliano Ladolfi Editore, 2023
  • Maria Mancino, Bacio di carta, Babbomorto Editore, 2022

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio.
Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.

Per leggere il Bando e partecipare al Premio Internazionale Senza Premi “Le nostre parole per l’Alluvione” [Vedi qui]

L’ARTE CHE CURA /
Voglio dirlo a tutta la città. La forma inconfondibile del cuore

Oggi, vi invito ad avvicinarvi all’arte per vedere come possa essere uno strumento per giocare insieme e guardare con occhio curioso le cose. Così vi racconto di “una caccia al tesoro” con due amici fotografi, Corrado Pavani e Paolo Squerzanti. Un gioco che nella ovvietà dell’immagine cercata, un cuore disegnato, ha provato a superare la banalità e ha trovato creatività e bellezza.

D.W. Winnicot un illustre psicoanalista ha scritto un intero libro sull’importanza del gioco per conoscere la realtà e coltivare nel tempo la creatività. Afferma Winnicott: “l’esperienza culturale comincia con il vivere in modo creativo ciò che in primo luogo si manifesta nel gioco”.

VOGLIO DIRLO A TUTTA LA CITTÀ (*). La forma inconfondibile del cuore

L’amore è un sentimento senza tempo. I modi per dimostrare l’amore rispecchiano la storia … oggi ad esempio, la velocità del lessico dei social : “TVB”. C’è però una cosa che resta indelebile, nonostante tutto: le scritte sui muri. Le stesse frasi ricorrenti, espresse, se non in maniera completamente artistica, sicuramente in maniera plateale.

Esiste da sempre, tra gli innamorati, la necessità di fare outing, di uscire allo scoperto e dichiarare il proprio sentimento al prescelto. Anzi di più: la volontà di dirlo a tutta la città.

L’innamorato di turno rappresenta con un simbolo, il cuore, ed un predicato verbale, ti amo, il suo stare di fronte all’oggetto amato, e lo presenta allo sguardo di tutti perché il suo gesto appartiene allo stesso ordine del manifestarsi nel mondo.

L’autore produce un’immagine che è “fenomeno”, “presentificandola” egli attualizza la propria realtà interna. La sua è una testimonianza concreta e visibile, la sua voglia di stupire la persona amata lo porta ad esporsi. Un gesto romantico, sentimentale, stupido, gratuito, che non ha la certezza della risposta sperata e lo induce al rischio del rifiuto e del dileggio.

“Ti amo” è urlato di fronte a tutti, in esso c’è solo l’urgenza emotiva che lo evoca. Il discorso d’amore appare unilaterale, ma non è un soliloquio, non rimane tra sé e sé, non è sussurrato all’amato, ma è detto con forza a chiunque transiti vicino al luogo in cui quel grido è emesso.

Si può notare, come scrive Barthes analizzando i topoi fondanti del linguaggio amoroso, che in essi i gradi di libertà e la creatività individuale risultano piuttosto ridotti. “Io ti amo” è quasi un motivo sintattico, un refrain, che, però, serve a plasmare quell’unica frase che può esprimere l’immediato emotivo.

Ma la dichiarazione d’amore non è delegata solo alle parole scritte. Più spesso ciò che si vuole rivelare è sintetizzato, tradotto o accompagnato da una immagine simbolica. Il simbolo contiene, infatti, di per sé, quello che vuole significare; è qualcosa di più concreto, statico, assoluto e il contesto (basta un muro scalcinato, una corteccia, una panchina, una vetrata) non è basilare nell’interpretazione.

Il legame tra oggetto significato e immagine significante è sempre decodificato in maniera intuitiva e immediata, non necessita di un’elaborazione intellettuale e trova la sua forza non nella originalità del segno, ma in virtù della sua ovvietà convenzionale. Il cuore simbolo possiede un significato immediato, il sentimento d’amore contenuto al suo interno che si riveste di una valenza metafisica nascosta, espressa dall’intimo rapporto tra la raffigurazione sensibile del simbolo e la sua valenza ideale.

[Traduzione: Secondo alla sua Prima.”Ovunque tu sia, buongiorno. Ti prego Signora , amami”] Epigrafi a Pompei
Appare fin dall’antichità e lo si trova già in alcuni geroglifici come triangolo rovesciato, che indicava la sede dell’anima, forma che conserva tuttora anche se tondeggiante. Ma era molto di moda anche tra gli antichi greci, tanto che è stato ritrovato su monete risalenti a 3000 anni fa. Il disegno riproduceva la forma del seme del Silfio, una pianta che, per le sue proprietà come contraccettivo, era strettamente associata all’amore.

Nel corso della storia, a seconda delle idee dominanti, il cuore è stato usato alternativamente, in queste due accezioni, come luogo di tutte le emozioni o come sede privilegiata della passione amorosa.

Anche la religione ha usato questo simbolo: nell’Islam il cuore è il trono di Dio, nella devozione cristiana è simbolo della passione di Gesù o dell’amore materno della Madonna. Nell’arte e nella letteratura è stato riproposto sia nell’accezione di amore terreno sia dell’amore mistico.

Tutto molto lontano dalla realtà biologica di quest’organo vitale che, anzi, quando è riprodotto nella sua tangibilità corporea, non ci provoca moti dell’animo o turbamenti emozionali, ma più sensazioni angoscianti di disgusto e di morte. Il simbolo, riportato all’oggetto concreto, perde tutta la sua valenza sentimentale, riportandoci in un mondo materiale, prosaico, mortale, finito.

Anche l’arte contemporanea si serve di questa icona inconfondibile.
Mart ad esempio è un artista che disegna il mondo a forma di cuore per esprimere “l’amore che ho per l’arte” e poi lo attacca su carta in giro per la città. E poi Harring, Freda Kahlo, ChagallScrivere sui muri è un facebook ante litteram, è voler essere sotto gli occhi di tutti, il più possibile, di tutta la città almeno.

Ma il disegno di un cuore non è in assoluto un’opera d’arte. Non è street art, perché non è un gesto che mira all’arredo urbano, non è un’opera sito specifico, perché non è pensato come intervento estetico da inserire in un dato luogo, se non per una intenzionale strategia legata all’attraversamento del destinatario. Non è neanche una provocazione da writer, che attraverso il suo tag è se stesso che vuole mostrare.

Il cuore invece insegue finalità romantiche, la voglia di stupire una sola persona, quella amata, mentre tutti gli altri rivestono solo il ruolo di testimoni. Eppure c’è arte. C’è nella misura in cui è un gesto espressivo, c’è quando rende visibile un affetto interno, c’è quando il risultato della comunicazione risente dello strumento utilizzato (penna, vernice, intaglio), e interagisce con il supporto (muro, corteccia, sabbia).

Siamo nel campo dell’estetica quando l’artista innamorato deve fare i conti con la probabilità di essere visto, o le difficoltà materiali d’esecuzione per imprimere quel segno: tecnica, sperimentazione, progetto.

L’icona grafica del cuore è ormai quello che viene definito un glifo, sfruttata per la sua facile intelligibilità e adottata da numerosi marchi. Da uno stereotipo scontato sono sorte interpretazioni o commistioni inesauribili che hanno originato un’iconografia nuova e al tempo stesso familiare.

Ma, all’artefice che noi stiamo osservando non interessa colpire il vasto pubblico, l’offerta è solo per un unico sperato acquirente, l’uso del cuore è solo quel cuore e l’io ti amo non è una riproposta popolare, non è mai, assolutamente, scontato.

Percorro questa strada, la SS 16 in direzione di Ferrara, quotidianamente da oltre 20 anni e, alla casa cantoniera di Gaibanella, leggo questo messaggio d’amore da altrettanto tempo. La scritta, probabilmente, è anche più vecchia.

È una scritta rossa sull’intonaco sgretolato bianco e ricorre più volte sui diversi lati della casa. Orietta, il fortunato oggetto d’amore di un uomo che dichiara il suo sentimento ma non il suo nome.

L’apparire di quella scritta ogni giorno ha un effetto rassicurante. Indipendentemente dall’esito reale di questa storia d’amore, quando leggo: “Orietta, ti amo” permetto a quell’amore di resistere nel tempo e di essere continuamente confermato.

“Orietta ti amo” lo leggo oggi ed è oggi che è vivo; non è come una foto ingiallita, una lettera ritrovata che ti ancora al passato. Non evoca nostalgia, non provoca l’annoiato senso di un cliché ripetuto e stanco. “Orietta ti amo” ti illude che l’amore sia immortale, immutabile nel tempo anche se, forse, con il tempo non è più stato pronunciato. “Ciao amore mio” è ribadito nell’eterno incontrarsi del mattino e nell’accomiatarsi della giornata.

Paolo, Corrado ed io ci siamo divertiti a collezionare fotografie di cuori e scritte amorose. Ma non siamo gli unici: c’è un blog che si intitola Amoregridatosuimuri; il sito di Repubblica riporta un articolo: Scritte sui muri: l’amore sgrammaticato.

Ci sono altri che si offrono di scrivere biglietti d’amore per S. Valentino e messaggi amorosi. Noi abbiamo cominciato per dare risposta ad una curiosità romanticamente antropologica: “Cosa spinge un innamorato a cercare di mettere sotto gli occhi di tutti il proprio sentimento, e tutti gli innamorati in modo analogo?”

Ma, avvicinandoci a queste parole urlate, che non riuscivano a stare contenute nell’intimità e nella riservatezza, ci siamo accorti che, man mano, il nostro sguardo cambiava. Le stesse parole, lo stesso simbolo ma nessuna scritta, nessun disegno uguale all’altro. E, acuendo lo sguardo, oltre la tenerezza o la poesia abbiamo scorto la bellezza.

Una scritta veloce che lascia trasparire il gesto, come nella painting art di Pollok, e che noi riusciamo a percepire in quelle gocce di vernice, non previste, ma che rendono quella scritta più pregnante.

La cura nel definire il contorno, in modo che le iniziali rimangano racchiuse e protette. Un accostamento cromatico gradevole, forse involontario, accessorio, ma che dona più eleganza al tratto. La scritta avventurosa, in un luogo eroico da conquistare. Quella pensata, preparata, realizzata con cura e intenzionalità.

In tutto questo noi abbiamo cominciato a vedere bellezza. Le nostre macchine fotografiche hanno messo a fuoco quei particolari che andavano oltre la contingenza della dichiarazione.

Diventavano davvero metafore universali, per cui le iniziali, la frase specifica, diventavano un pretesto per inneggiare all’Amore e agli Innamorati. Dal contenuto all’estetica.

E, laddove i veri protagonisti cercavano di dare voce al loro sentimento privato, gli scatti dei fotografi astraevano quel momento soggettivo a testimonianza di un sentimento universale.

Un segmento di vita veniva visto nella sua portata immortale. Ed è in ciò per noi la bellezza.

Disegna il tuo cuore. Cartellone disegnato dai visitatori della mostra

La ricerca della forma inconfondibile del cuore era diventata una piccola ossessione non so quanti scatti abbiamo fatto!

Il gioco è diventato un progetto che ha dato luogo ad una mostra e ad un libro. Ma se vi piace giocare potete continuare la caccia al tesoro.

 

(* )“Voglio dirlo a tutta la città. La forma inconfondibile del cuore” è il titolo della mostra che si è tenuta tra il 5 marzo e il 10 aprile 2016, presso la sala esposizioni del Mercato Centro Culturale di Argenta, e del libro/catalogo di Corrado Pavani, Paolo Squerzanti e Giovanna Tonioli, pubblicato per l’occasione.

Per leggere gli  altri interventi  della rubrica L’Arte che Cura di Giovanna Tonioliclicca sul nome della rubrica o su quello dell’autrice.

Vite di carta /
È “Oro puro” il nuovo libro di Fabio Genovesi

Vite di carta. È Oro puro il nuovo libro di Fabio Genovesi.

Oro puro lo stavamo aspettando: le copie prenotate in libreria per il 6 giugno, secondo le indicazioni dell’autore.

Fabio Genovesi aveva già incontrato i ragazzi del Liceo Ariosto il 17 marzo 2022, poco più di un anno fa. Ho ricordato il giorno e il mese perché in questa vicenda di lettura e di empatia le date sono importanti, tanto che è stata fissata già la prossima.

Il 9 marzo 2024 Genovesi ha promesso di venire in gruppo con noi al Teatro Nuovo, ad assistere allo spettacolo teatrale Il calamaro gigante, tratto dal suo romanzo omonimo uscito nel 2021 e interpretato da Angela Finocchiaro e Bruno Stori.

Il Calamaro è il libro che ha fatto incontrare per la prima volta l’autore e noi di Ferrara, intendo i ragazzi e le colleghe del progetto Galeotto fu il libro, più noi due “pensionateee” come ci ha chiamate da subito lui con tante “e” cariche di stupore. Volendo stigmatizzare non la nostra età ma la forza della passione che ancora ci porta a stare nel gruppo di lettura dentro la scuola in cui abbiamo insegnato a lungo.

Nel primo incontro sono stati i reciproci stupori a incontrarsi, e credo che piacerebbe a Calvino questa mia definizione. A lui, Calvino, che ne Il cavaliere inesistente attraverso gli occhi del giovane e inesperto Rambaldo ci fa vedere la battaglia come un cozzo tra due polveroni (gli eserciti opposti di Carlo Magno e dei Saraceni) e tra opposti colpi di tosse.il cavaliere inesistente

Fabio sul palco, stupefatto dalla intensità con cui gli studenti hanno preparato le domande sul libro e i loro contributi creativi fatti di immagini e di un booktrailer. Noi basiti dal suo silenzio: ha guardato e ascoltato ma ora che tocca a lui non parla. Ci guarda. Guarda tutti all’intorno e poi con voce roca dice “Voi siete pazzi”.

Nei mesi seguenti a questi pazzi ha mandato messaggi, tenendoli al corrente del lavoro di scrittura che stava completando. Il messaggio di aprile diceva che Oro puro sarebbe uscito nei primi giorni di giugno e che sarebbe stato bello parlarne insieme durante il tour delle presentazioni in giro per l’Italia.

Arrivo al dunque: i ragazzi del Galeotto dicono sì al lavoro di preparazione da fare per la sera del 22, anche se la scuola è finita, e noi docenti fissiamo con loro le mattine in cui vederci e divertirci  alla caccia di nuovo stupore.

Il libro supera le 400 pagine, ma è un incanto. Si fa a gara a finirlo e guai a chi svela il finale. Si prepara di tutto: brevi drammatizzazioni e spin off, cartelloni e locandine, origami che ricreano pappagalli e granchietti di carta, e soprattutto un video, la cui animazione è a dir poco poetica. Ed è costata alla ragazza che l’ha ideata e realizzata qualcosa come trentacinque ore di lavoro.

La festa, questo è per noi, comincia alle 21 nel giardino del liceo, ma siamo tutti lì almeno tre ore prima per le prove generali e per allestire il buffet che precede la conversazione. Sono state preparate una trentina di domande che permettano al pubblico l’incontro con un libro pieno della bellezza e della meraviglia del viaggio di Colombo verso l’ignoto.

La data dell’approdo è il 12 ottobre 1492. Se ne parla il 22 giugno 2023 davanti a un pubblico numeroso da grandi occasioni (sono trascorsi esattamente venti anni dalla nascita del nostro progetto Galeotto), ma il tempo che è passato sembra non contare. Stasera tutto è presente.

Tutti i ragazzi che dialogano con l’autore potrebbero essere Nuno, il mozzo che viaggia sulla Santa Maria ed è partito per caso senza conoscere nulla della navigazione. “Non sapere niente” è il suo stigma, è una mancanza ma anche una inestimabile risorsa, quella che gli permette di vedere mondi nuovi, i mondi degli altri marinai e il mondo dell’oceano e delle nuove terre, con lo stupore della prima volta. Nuno, però, sa scrivere.

Nelle ore che passa nella cabina del Capitano, “quel signore alto, col naso a punta e i capelli già bianchi”, ne scrive le note di viaggio sotto dettatura e piano piano si rende conto che Colombo ha la forza del sogno a sostenerlo nel viaggio, anche quando c’è bonaccia e la nave resta ferma nella vastità dell’oceano. Anche quando è squassata dalla tempesta.

Ha il sogno e possiede le parole per trasmetterlo ai marinai impauriti e stanchi. “Siamo chiamati a questa impresa, trovare una nuova via verso le terre favolose d’Oriente, che porti nuovi regni e nuove anime al Signore, nuova gloria, nuova ricchezza, nuovi trionfi.”

Colombo agisce in nome dei sovrani di Castiglia e quando sbarca sulla prima isola del nuovo mondo, pur avendo davanti agli occhi un vero paradiso fatto secondo Nuno di una “immensa, travolgente meraviglia”, qual è la prima cosa che fa? Insieme a un drappello di “signori eleganti, formali e scrupolosi” si mette a “compilare un atto notarile” .

Gli occhi stranianti di Nuno vedono due mondi incontrarsi per la prima volta e, dirà in una veloce anticipazione del dopo, sarà l’unica volta in cui occidentali e indigeni si sorridono e si capiscono pur senza avere una lingua comune. Per questi ultimi gli Spagnoli sono e rimarranno una sorta di dei venuti dal cielo. Per gli Spagnoli e per Colombo la ospitalità degli indigeni è un ottimo preludio agli schiavi mansueti che dovranno diventare.

Mi fermo qui. La storia di Colombo è nota e ne sono noti gli errori, come quel non comprendere mai di non essere approdato in Asia dalle parti del regno del Gran Khan, ma in un continente diverso, che noi chiamiamo America Centrale.

Quello che mi preme sottolineare è la potenza narrativa di un libro come questo, in cui sono riprodotte le condizioni vere del viaggio e insieme c’è tanto posto lasciato alla bellezza del cuore di Nuno. I ragazzi l’hanno compresa bene la visione della vita che Genovesi ha delegato al suo giovane mozzo.

Per questi ragazzi è stata portata a compimento la storia del viaggio di Colombo, a cui l’autore stava lavorando da quasi quindici anni e nel marzo dello scorso anno, quando è venuto da noi la prima volta, languiva. Per loro ha ripreso la scrittura, dice, per avere ritrovato in questi “pazzi” la spinta verso la bellezza del mondo.

Con questo riconoscimento è cominciato l’incontro del 22 giugno scorso. E con queste parole dette in coro dai Galeotti al pubblico presente si è concluso: “Cercate l’oro. Cercatelo anche voi.

Non l’oro delle miniere, quello che la Terra gelosamente custodisce tra le sue viscere e che noi tutti cerchiamo di rubare. Cercatelo invece nelle anime e fondetevi con esse: diventerete così voi stessi oro, oro vero, oro puro

Ascoltate i vostri cuori vivi, il silenzio, la natura, l’amore, le storie. Ascoltate la musica del mondo e della vita senza paura, perché la paura rovina tutto e non serve a nulla”.

Nota bibliografica:

  • Fabio Genovesi, Il calamaro gigante, Feltrinelli, 2021
  • Fabio Genovesi, Oro puro, Mondadori, 2023
  • Italo Calvino, Il cavaliere inesistente, Einaudi, 1959

Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

Parole e figure / Cuccioli di animali: indovina chi sono …

Conoscere gli animali nel loro ambiente e con le loro peculiarità. Per amarli e rispettarli. Due albi illustrati appena uscito dell’editore Kalandraka ci portano alla scoperte dei cuccioli che vivono in Asia e nelle zone polari.

Educare i bambini al rispetto dell’ambiente e alla sua profonda e attenta conoscenza e consapevolezza dovrebbe essere una delle preoccupazioni principali di tutti i genitori, di ogni nonno e perché no anche di ogni zio o, semplicemente, di tutti coloro che accompagnano la crescita dei nostri giovani, amici compresi. Sicuramente lo dovrebbe essere di ogni insegnante. Fanno eccezione i capi scout che per loro stessa natura e missione hanno nelle loro corde il grande rispetto per la Natura e la Madre Terra.

Ecco allora che Kalandraka, casa editrice molto sensibile e attenta  ai temi ambientali – vi abbiamo già parlato del bellissimo libro In continua evoluzione – ci regala due volumi appena usciti dedicati ai cuccioli di animali di Asia e zone polari. Parte di una collana per bimbi che amano la natura, alla scoperta dei segreti degli animali. Libri divulgativi che vediamo bene sui banchi di scuola elementare (anche se l’età di lettura è dai 3 anni) ma anche delle biblioteche e dei campi scout.

Eccoci allora in Asia, il continente più grande del mondo, dove si trovano le montagne più alte, i deserti più aridi e le foreste impenetrabili. L’Asia è anche il luogo in cui vive la maggior parte degli esseri umani. Un continente meravigliosamente variopinto e ricco di storia e di storie. Inquinamento, disboscamento e caccia illegale mettono in pericolo la meravigliosa fauna che abita questi territori. Per questo dobbiamo proteggerla e collaborare, perché splendidi e unici animali come la volpe volante, il cacatua delle Filippine o il macaco giapponese non vengano cacciati, messi in gabbia e venduti nei negozi di animali. Senza scrupolo e rispetto. Come ogni essere vivente, anche loro, importanti amici e compagni di strada, hanno il diritto di vivere nel loro habitat naturale.

Oggi qui incrociamo la tigre dal potente ruggito, il panda che nasce cieco e mangia bambù tutto il giorno, l’intelligente macaco giapponese che gioca sempre, il dromedario che vive in branchi, l’orango (“la persona della foresta”) che non scende quasi mai dagli alberi e non ama camminare, il cacatua delle Filippine che vola in stormi alla ricerca di semi e fiori, la volpe volante (il pipistrello più grande al mondo) che dorme di giorno …

Sette cuccioli delle specie più e meno note si raccontano in prima persona. Con simpatia e tante curiosità, con belle, delicate e colorate illustrazioni realistiche che completano armonicamente il testo, costruito intorno a un indovinello, la cui risposta arricchisce le informazioni sui cuccioli e le loro famiglie. Da sfogliare.

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Stesso percorso per i cuccioli delle zone polari. Sette animali che vivono nelle terre vicine al Polo Nord, tranne uno (il pinguino imperatore) che vive in Antartide. Per giocare anche un po’ con la geografia, comprendere le difficoltà della vita quotidiana in territori aridi e con temperature molto basse. Ecco perché lì tutti sembrano volersi proteggere dal freddo con uno strato di grasso sotto la pelle o con un mantello spesso di piume o pelliccia.

Qui gli animali, come l’orso polare che nasce piccolo come un criceto, il cicciottello e baffuto tricheco che nasce sulla banchisa, la renna che nasce nella tundra quando la neve si scioglie, la foca della Groenlandia che nasce bianca e starà sempre all’erta, il gufo delle nevi che caccia appollaiato su un ramo, la volpe artica dalla coda lunga e folta o il pinguino imperatore che nasce da un uovo covato a turno dai genitori, lottano ogni giorno per sopravvivere, in un ambiente ostile. Anche per questo meritano rispetto.

Ognuno faccia la sua parte per proteggere quegli animali minacciati dalla crisi climatica. E se, fin da piccoli, avremo questa consapevolezza, saremo già a metà dell’opera.

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Tándem Seceda, Ester García, Chi sono? Cuccioli di animali – Asia, e Chi sono? Cuccioli di animali – Zone polari, Kalandraka, giugno 2023, 40 p.

Libri per bambini, per crescere e per restare bambini, anche da adulti.
Rubrica a cura di 
Simonetta Sandri in collaborazione con la libreria Testaperaria di Ferrara

LE VOCI DA DENTRO /
Tossicodipendenza: il disastro peggiore

Le voci da dentro. Tossicodipendenza: il disastro peggiore

Una riflessione preziosa, una testimonianza emozionante ed un contributo interessante su un tema difficile come quello della tossicodipendenza di cui spesso i politici parlano a sproposito. (Mauro Presini)

Tossicodipendenza: il disastro peggiore
di J. W.

L’ONU, nel 1984, dichiarò il fenomeno della tossicodipendenza peggiore dei disastri atomici di Hiroshima e Nagasaki. Questo porta a comprendere oggi quante possono essere le morti dovute alla tossicodipendenza a quasi 40 anni di distanza.

Ci sono molte scuole di pensiero: su un argomento delicato come questo si sono messi al lavoro menti geniali, ma forse solo per avere i propri 5 minuti di fama. Il problema è che non esiste una ricetta, una cura esatta, essendo ogni persona diversa dall’altra.

Nei primi anni ottanta aprirono in Italia le prime comunità di recupero e venne studiato un farmaco sostitutivo per l’astinenza fisica chiamato eptadoneil metadone di oggi.

Le comunità si fondavano ognuna su un proprio preciso percorso; non importava che entrasse il ragazzino che si era fatto due schizzi o il vecchio tossico consumato con 20 anni, il percorso è uguale per tutti.

Negli ultimi 15 anni abbiamo visto una trasformazione nelle comunità; questo perché le varie generazioni di tossici erano diverse dalle precedenti e questo ha portato un percorso personalizzato per andare incontro alle esigenze di ognuno.

A oggi, nonostante alcune comunità esistono da più di 40 anni, la percentuale di riuscita (parliamo di stare bene in vita) è relativamente bassa: il 34 per cento. Sono le comunità che non funzionano o altro?

La tossicodipendenza è in continua evoluzione e ogni 2-3 anni esce qualche nuova droga sintetica che io non userei mai, essendo un tossico classico da eroina e cocaina, ma molti giovani cominciano proprio con queste droghe e ciò porta problemi nelle cure perché non si sanno ancora bene gli effetti collaterali che possono provocare.

Il percorso in comunità è con altri ragazzi ma in realtà sei solo, nel senso che è una gara da fare strettamente dentro di te.

Il primo passo da fare è ammettere a se stessi quello che si è; per quanto schifo e vergogna possa farci, lo dobbiamo fare, perché quando metteremo a posto questo, il primo passo sarà fatto. Io ho un problema di tossicodipendenza e ho sacrificato tutto, anche gli affetti più cari, e ho scelto altro.

Il secondo passo è fidarsi degli operatori, o anche solo del tuo operatore; se non c’è fiducia non ci si potrà mai mettere in gioco e quindi non si potrà mai fare niente di più.

Molte persone si costruiscono un finto personaggio per andare avanti più spediti e uscire prima dalla comunità; queste persone sono già fottute, non hanno nessuna speranza. Impara a capire dove sono le trappole, ricorda che quel che vedi non è, impara a riconoscere i campanelli d’allarme e ascoltali.

Abbi paura e molta rispetto della droga: non sei più forte di lei, nessuno lo è. Puoi stare tranquillo un mese, sei mesi, anche anni, ma se non hai fatto un lavoro serio su di te, tornerà a prenderti.

Non ti serve una scusa per farti, ti fai perché ti piace, ti fai perché non reggi la vita, la realtà e i problemi, per i traumi che hai avuto ma ciò non ti giustifica. I problemi nascono da te stesso, te li porti dentro quindi non puntare il dito al di fuori di te per giustificare tutto. Lavora su di te. Sempre. Se non ami te stesso, come puoi amare qualcun altro?

Hai perso molte persone nella tua vita ma non ti rendi conto che, in primis, hai perso te stesso.
Vivi la tua vita a 100 all’ora quando il mondo va 30 volte più veloce; allora andrai meno forte e quello sarà il tempo per stare con le persone che ami, perché brucerà il tragitto prima di loro o loro non riusciranno a starti dietro. Vale di più la velocità e la solitudine, o vivere ogni attimo assaporandolo con chi ti è vicino?

L’uomo più fortunato che calpesta questa terra è chi trova il vero amore, perché l’amore porta responsabilità invece la droga non te ne chiede.

L’amore è sacrificio, la droga non te ne fa sentire.

L’amore è una droga che ti porta a fare sempre lo stesso gesto.
Solo tu puoi, solo tu non puoi. Qualsiasi sia la scelta, sappi che hai trovato un amico.

 


Si chiama Astrolabio il giornale della Casa Circondariale di Ferrara. Ed è un progetto editoriale che, da qualche anno, coinvolge una redazione interna di persone detenute insieme a persone ed enti che esprimono solidarietà verso la realtà dei detenuti. Il bimestrale realizza il suo primo numero nel 2009 e nasce dall’idea di creare un’opportunità di comunicazione tra l’interno e l’esterno del carcere. Uno strumento che dia voce ai reclusi e a chi opera nel e per il carcere, che raccolga storie, iniziative, dati statistici, offrendo un’immagine della realtà “dietro le sbarre” diversa da quella percepita e filtrata dai media tradizionali.

Per leggere le altre uscite di Le Voci da Dentro clicca sul nome della rubrica.

Manifestazione per la sanità pubblica: prova di resistenza e nuove possibilità di opposizione, per mettere in discussione il predominio del Governo Meloni

Sabato 24 giugno a Roma si è tenuta un’importante e molto partecipata manifestazione nazionale per la sanità pubblica, contro i tentativi ormai più che evidenti che guardano al suo definanziamento e alla sua privatizzazione.

Una manifestazione, promossa congiuntamente dalla CGIL e da più di 70 Associazioni e movimenti sociali, dall’Arci a Medicina democratica, dal Forum Disuguaglianze e Diversità al Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua e a tanti altri ancora, che segnala un possibile punto di novità significativo nel quadro sociale e politico in cui ci troviamo.

Infatti, a me pare che dovremmo ragionare con un po’ di più di approfondimento sul contesto che stiamo attraversando, partendo dalla consapevolezza che, allo stato attuale, il governo di destra mostra una certa solidità e che la semplice esaltazione delle sue contraddizioni interne, che pure ci sono, in particolare derivanti dai diversi approcci tra Fratelli d’Italia e la Lega, non mi sembra una chiave di lettura utile per pensare che si possa produrre uno scenario diverso, anzi.

Detto in altri termini, il ragionamento per cui la destra vince perché alla fine riesce sempre ad unirsi, mentre, dall’altra parte, si fatica a mettere insieme un campo largo e quindi si perde a me sembra decisamente politicista e superficiale e non coglie la sostanza delle questioni.

In realtà, dovremmo partire dal fatto che il governo, e la sua componente predominante rappresentata da Fratelli d’Italia, ha una lettura e un progetto di società e di Stato sufficientemente chiari e capace di costruire un certo consenso. In grande sintesi, esso può essere riassunto nella formula che mette insieme nuova collocazione europea e internazionale, ripresa della crescita economica e battaglia ideologica per costruire una nuova egemonia culturale.

Rispetto alla collocazione internazionale, la grande cesura rappresentata dalla guerra in Ucraina ha già spostato il baricentro della Europa verso l’Est, per cui il modello polacco – crescita economica e repressione della stampa, della magistratura e dei diritti civili – nonostante alcuni rilievi provenienti dall’Unione Europea, è sempre più in auge, anche grazie alla benedizione della Nato e degli Stati Uniti, e ad esso ci si può ispirare, continuando ad interloquire con l’insieme degli Stati europei.

Sulla situazione economico-sociale del nostro Paese, anche qui occorre rifuggire da valutazioni preconcette e incapaci di cogliere i processi reali in corso.
Non va sopravvalutato, ma non si può non riflettere sul fatto che la crescita economica prevista per il nostro Paese per il 2023, attorno all’1,2-1,3 % del PIL, è superiore alla media europea e anche a quella dei maggiori Paesi ( la stima per la Francia è di +0,7 %, mentre la Germania si ferma ad un modesto +0,2%), così come va registrato che siamo in presenza di una crescita occupazionale nell’ultimo anno non esaltante, ma comunque reale.

Questi risultati, peraltro, sono, in primo luogo, prodotti dai settori del turismo e del commercio, ben di più del settore manifatturiero, che fa registrare un buon andamento delle esportazioni, ma anche difficoltà legate al rallentamento dell’economia tedesca.

Il traino del settore dei servizi è poi caratterizzato dal fatto che suoi componenti essenziali sono costituiti da salari bassi, maggiore precarietà e minori tutele del lavoro e da una diffusione seria dell’economia sommersa e anche illegale.

Questa sembra essere la cifra di un vero e proprio modello di sviluppo, che si alimenta di quei fattori, e che, non casualmente, è stata sorretta da provvedimenti e messaggi volti a dare legittimazione a comportamenti che si collocano in un’area contigua, se non all’illegalità, ad un’incentivazione dell’economia sommersa e all’italica capacità dell’ “arte dell’arrangiarsi”.

Abbiamo assistito all’innalzamento dell’utilizzo del contante, al venir meno dei vincoli nell’utilizzo dei contratti a termine, all’estensione dell’affidamento diretto della gran parte degli appalti di lavori pubblici, all’abolizione del reato di abuso di ufficio, da ultimo persino alle dichiarazioni della Presidente del Consiglio, per cui la tassazione equivale ad una sorta di “pizzo di Stato”.

Un modello che ha una sua intrinseca fragilità, ma che, almeno nel breve periodo, può costruire una base di consenso abbastanza larga, e anche “popolare”. Infine, per quanto riguarda il tema della battaglia ideologica, penso sia sotto gli occhi di tutti che essa è decisamente in campo.

Da una parte, abbiamo il tentativo di costruire una nuova narrazione basata sul ruolo fondamentale del capo, sull’idea di nazione e sulla famiglia naturale, con tutto ciò che di regressivo si porta dietro, dall’altra siamo in presenza dell’occupazione dei media o perlomeno del loro condizionamento, del fatto di mettere fuori gioco gli organismi di controllo, dall’ANAC alla Corte dei Conti, di un attacco progressivo al ruolo autonomo della magistratura, con un approccio che mette insieme l’ambizione di una nuova egemonia culturale con quella del comando e dell’esercizio del potere.

Insomma, ci troviamo di fronte ad un’operazione condotta da una nuova destra che non può essere sottovalutata e presa sotto gamba, che pone chi intende opporsi alla deriva in corso una sfida per certi versi inedita.

Certo, gli stessi elementi che ho evidenziato prima non sono così forti e lineari, né tantomeno esenti da difficoltà e contraddizioni. Solo per esemplificare, il quadro economico e sociale potrebbe decisamente peggiorare e farsi irto di difficoltà a partire dall’autunno e, ancor più, con il prossimo anno.

Mi riferisco non tanto alle questioni che sembrano campeggiare anche in questi giorni nella cronaca giornalistica, peraltro sempre più misera e incapace di produrre uno sguardo un po’ lungo, dalle vicende del MES a quelle del PNRR, su cui un compromesso con l’Unione Europea non appare impraticabile.

In realtà, l’insidia più significativa per la navigazione del governo può derivare dal futuro Patto di stabilità e crescita che dovrebbe entrare in vigore nel 2024 nell’Unione Europea. Anche se lo stesso non è ancora stato definito compiutamente e probabilmente sarà ancora più stringente rispetto alla versione attuale, visto che la Germania e altri spingono in questa direzione, non c’è però dubbio che produrrà una nuova fase di austerità e taglio alla spesa sociale.

Secondo l’Ufficio parlamentare di Bilancio, il nuovo Patto di stabilità produrrebbe uno sforzo aggiuntivo per cui l’avanzo primario di bilancio, cioè la differenza fra spesa pubblica ed entrate al netto del costo degli interessi sul debito pubblico, dovrebbe collocarsi tra il 2,8 e il 3,2% del PIL, pari ad una restrizione tra i 18 e i 27 mld di € all’anno, colpendo in particolare la spesa pensionistica, quella sanitaria e per i contratti del pubblico impiego.

In ogni caso, il punto di fondo è che provare a fermare la destra lo si può fare solo se si riprende a stare e a ripartire dalla società, ridando centralità ai diritti sociali, oltre a quelli civili. Per questo è stata importante la manifestazione del 24 giugno e quella annunciata per il 30 settembre, sempre dalla CGIL e da un nucleo consistente di Associazioni e movimenti sociali, contro l’elezione diretta del capo dell’esecutivo, contro l’autonomia differenziata, per il lavoro e i diritti.

Solo una mobilitazione sociale e una ripresa di insediamento nei territori sui temi che riguardano la vita concreta delle persone può costituire un antidoto valido contro questa destra autoritaria e plebiscitaria, in questo senso neofascista, non certamente l’illusione che essa si ingarbugli da sola o l’idea che una semplice ripresa di alleanze politiche a sinistra sia in grado di invertire questa situazione.

Su questa prospettiva occorre impegnarsi, sapendo che essa non è da sola risolutiva – ci serve anche un pensiero e la costruzione di un’alternativa solida di contenuti, a partire dalla lotta per la pace e il disarmo – ma che, intanto, è una premessa necessaria da cui ripartire.

Per leggere gli altri articoli di Corrado Oddi clicca sul nome dell’autore

Profondo Porpora
Tra gli sbirri e l’entrata

Profondo Porpora

Sì, hai ragione tu Ian, forse non siamo più bambini, ma il nostro tempo è ancora lì. Ci siamo incontrati che eravamo pischelli – beh, voi eravate già da tanto profondamente porpora, nel mare dell’hard rock, che avete contribuito a riempire.

Gli anni settanta avevano appena lasciato il posto agli ottanta. La casa del centro dove vi conobbi aveva un lungo porticato comune, con colonne tra l’antico e il vecchio sulla sinistra, a piano terra c’era l’entrata, l’odore di sugo e polpette era costante. Di fronte a noi, io e Chiaro, si stagliava una cassettiera da cui Guido, all’insaputa del fratello maggiore Gaetano, faceva comparire il profumo Paco Rabanne e ce ne offriva generose spruzzate.

Stavamo camminando a passi spediti verso l’adolescenza e lì in una stanza attigua ci incontrammo.

Made in Japan, una BASF C90, dalla copertina rovesciata, dove a penna scrivevamo la sequenza delle canzoni.

Play, rec e silenzio assoluto.

A dire il vero assieme a voi Gaeta ci registrò pure l’appena uscito For thouse about to Rock, dei canguri elettrici, un’altra botta da cui non ci siamo più ripresi.

Lì, in quei giorni di fine inverno, iniziò tutto: la nostra musica, le chitarre laceranti, la batteria che soffre sotto mazzate che distruggerebbero un tempio, poi la voce, profonda e acuta, alti e bassi, una follia che ci prende collettivamente.

Qualche anno dopo quel live giapponese doppio me lo comprai da Pistelli & Bartolucci per la folle cifra di diecimila lire, una doppia cassetta che portai a fine vita per le migliaia di volte che mi fece compagnia, in macchina, in campeggio, prima delle partite.

Poi in un lampo passano quarantatre anni. Come è possibile? Dove sono andati quei pischelli, cosa c’è stato nel mezzo?

La vita, la strada, il percorso di ognuno di noi.

Da una cena poi nasce il resto, una battuta, uno scherzo e ci ritroviamo con i biglietti del concerto, io, Chiaro, Pavo e Davide.

E siamo là tra gli sbirri e l’entrata (cit.).

Il questore, i graduati, installano transenne, ci passano davanti e ci ritroviamo tra i cancelli del Parco Ducale e il pubblico, credo ci abbiano considerato dello staff. Ci beviamo un birrone e un ottimo panino con la bresaola di tacchino offerti da Pavo, il nostro guru della musica rock.

Affluenza tranquilla, pausa cessi come da prassi, maglietta per certificare l’evento.

Alle 20.30 una band italiana scalda l’attesa. Sono bravi, ci sanno fare. E’ un concerto quasi intimista, nessuna folla oceanica per i creatori dell’hard rock, coloro che assieme agli Zeppelin e ad Ozzy, dalla creta hanno plasmato una chitarra cattiva, aggressiva, mordente e da lì è nato un mondo. Il nostro.

Entra la storia, primo accordo e la Highway Star si apre al flusso delle ruvide note dei Deep Purple.

Ian, mi è sembrato che i tuoi settantasette anni tu li stia portando alla grande. Le canzoni le hai scelte tu, o bene o niente, inutile cercare di arrivare dove non si arriva, inutile gracchiare dove prima le tue corde vocali combattevano con quelle della chitarra di Blackmore.

La batteria non è più il mulo del passato ma tiene il tempo, e col basso tiene tutti sulla barca. Poi le tastiere, nel ricordo di Lord, nessun rimpianto, poca o nulla la differenza. La sontuosa chitarra, che ricorda i Pink Floyd, più che i vecchi Deep Purple.

E così in un amen è volata una bella serata tra musica, amicizia e birra.

L’elisir dell’eterna giovinezza? Forse non esiste, ma questo non impedisce di cercarlo tra il suono di un amplificatore, il fruscio dei ricordi e il gusto amaro di una birra.

Fredda.

Per certi versi /
Il Frumentone

Il Frumentone
(granoturco)

Me ne vado
A torso nudo
Per la Bassa
In Cavedagne
Di luce
Campi
Di malgoni
Vibrati dal sole
Come archi
Mi attraversa
Gli occhi
Una distesa
Di frumentone
Misteriosa
In mezzo
Ai fusti
Delle piante
I cuori
Palpitano
In gola
Il granoturco è alto
Alto come le torri
Di Bologna
Ci sono entrato
La lieve
Carezza
Della sera
Portava con sé
Il fruscio
Della libertà

Ogni domenica Periscopio ospita Per certi versi, angolo di poesia che presenta le liriche di Roberto Dall’Olio.
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Presto di mattina /
L’angolo bello

Presto di mattina. L’angolo bello

Magnolia: fragranza orante

Spunta imponente, da dietro ai tetti della casa di fronte alla parrocchia su XX Settembre, una gigantesca magnolia. Affianca, nel bel giardino dei vicini, il ginko biloba, anche se ne resta più scostata e in avanti. Quest’anno è prodiga di fiori, forse per le abbondanti piogge. Così ogni mattina aprendo la finestra…

Guardo il cielo
che si fa per intero
fiori di magnolia»
(Natsume Sōseki)

Ne trae giovamento anche il cielo interiore, ancora avvolto nella penombra della notte e risvegliato dai fiori di magnolia: un mattutino invitatorio quotidiano.

All’alba, si vedono
le dita luminose
dello spirito
che sciolgono tanti
fiori di magnolia.
(Makiko Kasuga)

E quando arriva finalmente il vento non manca la sua parte:
ecco l’ospite secco
del vento,
che fa battibecco
tra le foglie della magnolia;
e suona la sua
serena
melodia, sulla prua
d’ogni foglia, e va via
e la foglia non stacca,
e lascia
l’albero verde, ma spacca
il cuore dell’aria.
(Carlo Bertocchi)

Irresistibile si fa allora la preghiera, tirata fuori a far battibecco nel vento, prende il largo sulla prua di ogni foglia; le foglie come nacchere risonanti l’una incontro all’altra e il canto ancora incerto degli uccelli sono così trascinante richiamo già nell’ora antelucana.

Pure la preghiera si affida alle mani del vento come alle mani del Padre il Figlio amato; passa nel rovescio rugginoso delle foglie, scorre poi sul loro dorso divenuto di un verde scuro lucente, che riflette il biancore vellutato dei petali.

E, come i petali di magnolia, la preghiera dapprima sale, bianca fiamma, mostrandosi nel suo profumo splendida allo sguardo dell’Altissimo, ma poi, quasi impaziente, si abbrunisce sotto i raggi del sole, cambiando d’abito, e riveste i colori della terra, si abbandona ad essa, perché è lì che la preghiera va a compiersi per la parola udita nel cielo.

Come le foglie scricchiolanti e i petali vellutati della magnolia caduti a terra, così sono le nostre preghiere; anche quelle che ci sembrano inascoltate vanno in realtà a porsi sotto i nostri piedi terrosi, nutrendo e irrobustendo il terreno, affinché sostenga e rialzi ogni nostro passo, uno avanti all’altro.

Lo stesso mi accade di pensare, in occasione di ogni celebrazione al Carmelo, con la preghiera delle nostre sorelle carmelitane nella chiesa del monastero di via Borgovado. In pedi nel coro con il loro lungo mantello bianco sopra la tunica, a ricordare l’incontro misterioso del profeta Elia sull’Oreb alla presenza di Dio, mi sembrano dapprima un boschetto di betulle nella brezza mattutina.

Del resto, nel racconto, Dio non era nel fuoco, né nella tempesta, né in un vento travolgente, ma passò nel bisbiglio di un vento leggero. Ed Elia al suo passaggio si coprì il volto con il mantello. Così come allora ad Elia, il Signore domanda anche alle nostre preghiere: “che cosa fate qui ancora? Andate, sparpagliatevi sulla terra a sostenere il cammino del mio popolo, mettetevi sotto i loro piedi per sostenere, alleggerire e portare a loro la mia vita”.

Finita la celebrazione le carmelitane depongono il mantello candido e, come petali di magnolia, cambiano colore per tutto il giorno, infatti, fino al mattino successivo esse rivestono una tunica marrone scuro, uno scapolare brunito e una cintura di pelle scura.

Questo il segno che la loro preghiera è destinata a mescolarsi ora alla polvere ora al fango della terra per farsi carico di ogni vita. La loro preghiera assomiglia così al fiore di magnolia: dapprima fatta di cielo, divenuta poi terrosa e si sparpaglia tra la gente proprio sotto i loro piedi profumandoli, sostenendoli e avvolgendoli quasi a volerli fare camminare sul velluto.

Presto di mattina

Scrive Herman Hesse: «Il fiore, dai boccioli pallidi, sfumati di verdognolo, si apre nella maggior parte dei casi al mattino presto, ondeggia bianchissimo e magicamente irreale, riflettendo la luce come l’Atlante innevato, con le rigide foglie sempreverdi e una cupa lucentezza; ondeggia per un giorno, giovane e splendido, quindi comincia delicatamente a trascolorare, a ingiallirsi ai bordi, a perdere la forma, a invecchiare con una commovente espressione di stanchezza e di rassegnazione, e anche la sua vecchiaia dura solo un giorno.

Poi il fiore candido è già scolorito, è diventato color cannella e i petali, ieri come l’Atlante innevato, sono oggi al tatto come morbida pelle scamosciata: un velluto di sogno, tenero come un alito e tuttavia compatto, anzi ruvido. E così, giorno dopo giorno, la mia grossa magnolia porta i suoi fiori immacolati, che sembrano sempre gli stessi. Un profumo delicato, eccitante, squisito, che ricorda quello dei limoni freschi, ma più dolce, giunge dai fiori fin quassù nel mio studio» (Il canto degli alberi, ed. digit. Guanda, Parma 2016, 44)».

Gli alberi sono eremiti e combattenti per la vita, ma mi viene da dire, allora, anche oranti, tanto da risvegliare in me l’intuitus fidei, nonché – come scrive Herman Hesse – riverenza e timore per il loro “osare oltre” resistendo insieme agli altri come la fede che prega per tutti.

«La vista degli alberi mi toccava molto più profondamente. Vedevo ognuno di loro vivere la sua vita isolata, formare la sua corona caratteristica e gettare la sua ombra particolare. Mi sembravano eremiti e combattenti, più affini alle montagne, poiché ognuno di loro, soprattutto chi stava più in alto, doveva condurre la sua lotta silenziosa e tenace per sopravvivere e crescere, contro il vento, il tempo e la roccia.

Ognuno doveva portare il suo fardello e avvinghiarsi al terreno, e per questo ognuno aveva la sua forma caratteristica e le sue ferite particolari. C’erano pini, ai quali la bufera permetteva di avere rami solo da un lato, e alcuni, i cui tronchi rossastri erano attorcigliati come serpenti intorno a rocce sporgenti, cosicché albero e roccia si stringevano e sostenevano l’un l’altro. Mi guardavano come guerrieri e risvegliavano nel mio cuore riverenza e timore» (ivi, 25).

L’angolo bello

Il Krasnyj ugol nelle abitazioni russe è «l’angolo bello» della casa, quello riservato alla preghiera domestica, il luogo in cui si custodiscono le icone, la Bibbia, una croce non vuota, e un lume.

Me ne ricordai quando, diventato parroco, ricevetti in dono un’icona della Madre di Dio di Kazan detta Kazanskaya, e così la collocai nell’angolo bello dello studio verso oriente, verso il sorgere del sole, perché anche la luce di Cristo che viene di là irradiasse e illuminasse lo studio e la preghiera.

Da tempo si è consumato il grosso cero, regalatomi da mia madre, che accendevo solo le mattine d’inverno quando era ancora buio. Ma in questa stagione, al suo posto, sta un fiore di magnolia, come una lampada che continua a profumare in preghiera, anche quando i petali sono divenuti rossicci e bruniti. Una fragranza che invade tutto, riempie ogni stanza e, uscendo fuori dalla finestra aperta, sembra volersi spingere a profumare il sole.

Nell’angolo bello della canonica ho posto anche una terracotta antica di presepe, uno dei Re Magi che sosta sotto l’icona del crocifisso nel gesto di offrire la mirra: il dolore della gente; lui silenzioso e inseparabile compagno nella preghiera.

Dopo essersi recato a Betlemme, non ha seguito la stella per ritornare a casa, ma ha voluto accompagnare nel viaggio quel bambino, farsi poi discepolo nascosto, anonimo, come tanti, dietro a Gesù per cercare di capire il senso del dono che egli recò a quel bambino: la mirra, segno profetico dell’Uomo deposto dalla croce, intercapedine profumata tra il dolore della morte e l’attesa della risurrezione.

Così in questi giorni la mirra del re magio, unguento che preserva dalla corruzione e disfacimento della morte, ha il profumo intessessimo del fiore di magnolia. Metafora odorosa della nostra preghiera che sa della compassione e promessa del cielo ma ci è data ora per consolare e rialzare il nostro cammino sulla terra.

La Regola di san Romualdo

Seguo da anni per la preghiera dei salmi la piccola Regola di San Romualdo eremita (951-1027) che fondò i monasteri di Camaldoli e di Fonte Avellana, ma fu anche con cinque frati nell’Isola del Pereo vicino a Comacchio. Essa fa attenti a come disporsi nell’angolo bello della preghiera, con l’attenzione ai pensieri, come lo è il pescatore ai pesci:

«Siedi nella tua cella come nel paradiso. Scordati del mondo e gettatelo dietro le spalle. Fa’ attenzione ai tuoi pensieri come un buon pescatore ai pesci.

L’unica via per te si trova nei Salmi non lasciarla mai.

Se da poco sei venuto e malgrado il tuo primo fervore non riesci a pregare come vorresti, cerca, ora qua ora là, di cantare i Salmi nel cuore e di capirli con la mente.

Quando ti viene qualche distrazione, non smettere di leggere; torna in fretta al testo e applica di nuovo l’intelligenza.

Anzitutto mettiti alla presenza di Dio con l’atteggiamento umile di chi sta davanti all’imperatore. Svuotati di te stesso e siedi come una piccola creatura, contenta della grazia di Dio; se come una madre Dio non te la donerà, non gusterai nulla, non avrai nulla da mangiare».

Essere come un pescatore attento ai pesci è immagine usata anche dallo scrittore russo Nicolaj Gogol che dedicò molto tempo alla lettura e meditazione dei Padri della chiesa. Leggere come lo scrivere richiedono lo stesso impegno e attenzione del pregare; richiedono cuore e mente, una costante applicazione dell’intelligenza e la resistenza dell’attesa anche quando sembra vana.

Gogol fu nel corso della sua vita insieme scrittore e asceta, in ricerca e lettura tra i testi patristici. In una lettera del giugno 1843 all’amico poeta Jazykov Gogol scrive: «Impegnati nella lettura dei libri spirituali. Questa lettura ti si mostrerà dura e faticosa, accostati a essa come un pescatore, con la matita in mano, leggi velocemente e di corsa e fermati solo là dove ti colpisce una parola, oppure una frase solenne, inaspettata. Annotale e segnatele nei tuoi materiali di lavoro. Ti giuro che questa sarà la porta di quella grande strada che farai» (PSS 9,776).

Il Padre nostro, vincolante dialogo tra cielo e terra

Ferdinand Ebner che, insieme a Martin Buber e a Franz Rosenzweig, è tra i più significativi rappresentanti del pensiero dialogico scrive: «Chi pronuncia nel senso giusto la prima parola del Padre nostro, questi si innalza spiritualmente al di sopra della vincolazione terrena della sua vita, che appartiene alla preghiera.

Ma già la seconda parola lo rimanda a essa. Egli non può infatti dimenticarla e in ogni momento della preghiera deve pensare a essa, poiché il senso della preghiera è di guardare al cielo sentendosi vincolati alla terra. E così ogni altra parola di tale preghiera, fino all’ultima invocazione per la liberazione dalla potenza del male, corrisponde alla situazione spirituale dell’esistenza umana nel mondo» (Frammenti pneumatologici, San Paolo, Cinisello Balsamo [MI] 1998 307).

Magnolia, segreta segretaria dell’aurora

La preghiera come l’aurora sopra la selva oscura dei sogni, in certi momenti anche nell’albero della mia anima è, per grazia, splendente, aperta, abbagliante.

Una magnolia
pura,
rotonda come un circolo
di neve
salì fino alla mia finestra
e mi riconciliò con la bellezza.
Tra le lisce foglie
– ocra e verde –
racchiusa
era perfetta

Oh bianchezza
fra
tutte le bianchezze,
magnolia immacolata,
amore splendente,
odore di neve bianca
con limoni,
segreta segretaria
dell’aurora,
cupola
dei cigni,
apparizione raggiante!
Come
cantarti senza
toccare
la tua
pelle purissima,
amarti
solamente
al piede
della tua bellezza,
e portarti
addormentata
nell’albero della mia anima,
splendente, aperta,
abbagliante.
Sopra la selva oscura
dei sogni!
(Pablo Neruda, Ode alla magnolia. Terzo libro delle odi in Poesie, Sansoni, Firenze 1962, 581-582).

Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica quindicinale di Andrea Zerbini, clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

Bonsai festival: “Le Volpi” arriva a Ferrara, al Teatro Off

Domani primo luglio, dopo il Festival Nessuno Resti Fuori – IAC di Matera, sbarca a Ferrara, al Bonsai Festival, lo spettacolo di Lucia Franchi e Luca Ricci, “Le Volpi”

Dopo la prima tappa della tournée estiva a Matera, nell’ambito del Festival Nessuno Resti Fuori – IAC e la tappa di Trieste al Litorale Festival, arriva domani a Ferrara, al BONSAI Festival ideato e organizzato da Ferrara Off, il nuovo spettacolo della compagnia CapoTrave, “Le volpi”, scritto da Lucia Franchi e Luca Ricci, che ne cura anche le scene e la regia, e interpretato da Antonella Attili, Giorgio Colangeli e Luisa Merloni.

Nell’ombra di una sala da pranzo, all’ora del caffè, in un’assolata domenica di agosto, si incontrano due piccoli notabili della politica locale e la figlia di una di loro. Tutto intorno i pensieri volano già al mare e alle vacanze, eppure restano da mettere in ordine alcune faccende che interessano i protagonisti della storia. Davanti a un vassoio di biscotti vegani, si confessano legittimi appetiti e interessi naturali, si stringono e si sciolgono accordi, si regola la maniera migliore di distribuire favori e concessioni, incarichi di servizio e supposti vantaggi. La provincia italiana è la vera protagonista della vicenda, quale microcosmo in cui osservare le dinamiche di potere, che hanno sempre a che fare con i desideri e le ossessioni degli individui. Morbidamente, si scivola dentro un meccanismo autoassolutorio per cui è legittimo riservarsi qualche esiguo tornaconto personale, dopo essersi tanto impegnati nella gestione della cosa pubblica. La corruzione consiste in questo concedere a sé stessi lo spazio di una impercettibile eccezione.   

Lo spettacolo avrà una serie di anteprime, fino al debutto nazionale il 9 settembre, a Rimini, a Città Visibili Festival.

In scena due attrici e un attore di chiara fama. Antonella Attili, attrice per Giuseppe Tornatore, Pupi Avati, Ettore Scola, Francesca Archibugi, lavora in teatro con Giancarlo Sepe e Serena Dandini e raggiunge la popolarità con il ruolo di Agnese Amato ne “Il paradiso delle signore” e una serie di monologhi a “Propaganda Live” di Diego Bianchi, su LA7.

Antonella Attili foto Azzurra Primavera

Giorgio Colangeli, Nastro d’Argento 1999 per “La cena” di Ettore Scola e David di Donatello 2007 per “L’aria salata” di Alessandro Angelini, è stato Salvo Lima ne “Il divo” di Paolo Sorrentino e ha lavorato con Rubini, Muccino, Luchetti, Genovese. In teatro ha recentemente interpretato Papa Ratzinger ne “I due papi” di Anthony McCarten. Luisa Merloni ha fondato, insieme a Manuela Cherubini, la compagnia Psicopompo Teatro, con la quale hanno portato in Italia i testi degli autori di lingua spagnola Juan Mayorga, Daniel Veronese e Rafael Spregelburg, vincendo due Premi Ubu per il miglior testo straniero (2008, 2010). Autrice di monologhi e testi teatrali, con “Farsi fuori”, da lei interpretato insieme a Marco Quaglia è finalista di In-Box 2019.

Giorgio Colangeli foto Ellen Rizzoni

CapoTrave, compagnia di produzione teatrale fondata nel 2003, a Sansepolcro (Ar), da Lucia Franchi e Luca Ricci, supportata da Regione Toscana e MiC, produce drammaturgie originali, scritte da Franchi e Ricci, che indagano i temi dell’attualità sociale dal punto di osservazione della provincia italiana. Gli spettacoli di CapoTrave sono stati rappresentati in oltre 400 teatri italiani – Teatro della Pergola di Firenze, il Piccolo Teatro di Milano, il Teatro India di Roma, il Teatro della Tosse di Genova, il teatro Rasi a Ravenna, il Teatro Kismet a Bari, Teatri di Vita a Bologna – e festival – Contemporanea Prato, Short Theatre Roma, Teatri di Vetro Roma, In Equilibrio / Armunia Castiglioncello, Asti Teatro, Il Giardino delle Esperidi Brianza, Wonderland Brescia. La compagnia ha vinto il Premio ETI – Il debutto di Amleto, il Premio Giovani Realtà del Teatro del Teatro Libero di Palermo e il Premio I Teatri del Sacro.

Le volpi, uno spettacolo di Lucia Franchi, Luca Ricci, con Antonella Attili, Giorgio Colangeli, Luisa Merloni,costumi Marina Schindler, suono Michele Boreggi, Lorenzo Danesin, luci Stefan Schweitzer, tecnico Piero Ercolani, amministrazione Riccardo Rossi, foto Elisa Nocentini, Luca Del Pia, scena e regia Luca Ricci, produzione Infinito, con il supporto di Regione Toscana, Ministero della Cultura, Argot Studio Roma, Centro di Residenza della Toscana

 Prossime date

  • 1° luglio, Ferrara Off – Bonsai Festival
  • 7 luglio, Maglie (Le), Villa Tamborino, Chiari di luna Festival
  • 4 agosto, Casalgrande (Re), Aria Aperta Teatro Festival
  • 2 settembre, Todi Teatro Festival
  • 9 settembre, Rimini, Città Visibili Festival, debutto
  • 22 settembre, Firenze, Festival Avamposti – Teatro Goldoni
  • 30 settembre, Bagnoli di Sopra (Pd), Teatro Goldoni, Rassegna Musiké

 

Storie in pellicola / La luce nella masseria

Terminate a Matera le riprese del nuovo tv movie che celebra i 70 anni di trasmissioni della Rai, “La luce nella masseria”

È il 3 gennaio 1954. Negli studi Rai di Torino si accende il piccolo schermo: un evento epocale e una rivoluzione delle abitudini degli italiani. Un periodo rievocato da “La luce nella masseria”, film tv prodotto da Luca Barbareschi per Èliseo Entertainment con la collaborazione di Rai Fiction, celebra i settant’anni dall’inizio delle trasmissioni del servizio pubblico radiotelevisivo. Una tv intelligente e leggera, in bianco e nero, in grado di formare e, allo stesso tempo, far sognare gli spettatori attraverso programmi che sono strumento di educazione, informazione e intrattenimento. “Non è mai troppo tardi” del Maestro Alberto Manzi (programma andato in onda dal 1960 al 1968 e riconosciuto dall’Unesco e adottato quale esempio di alfabetizzazione di massa), “Lascia o raddoppia di Mike Bongiorno, Il musichiere condotto da Mario Riva, il ventennale Carosello”,Studio Uno” di Antonello Falqui, Canzonissima sono solo alcuni dei titoli che hanno fatto la storia della Tv italiana.

“La luce nella masseria” – scritto da Salvatore Basile, Saverio D’Ercole e Roberto Moliterni – torna a quegli anni e fa rivivere quei momenti insieme ai protagonisti, Domenico Diele, Aurora Ruffino, Renato Carpentieri, Carlo De Ruggieri, Giusy Frallonardo e il piccolo Giovanni Limite diretti da Riccardo Donna e Tiziana Aristarco.

Il film tv è ambientato a Matera, nei primi anni Sessanta. Il narratore della storia, che racconta il delicato passaggio da quella che è stata definita la civiltà contadina all’industrializzazione del territorio materano, è Pinuccio, un bimbo con la passione per la televisione. I suoi occhi diventano testimoni dei tempi che cambiano e che coincidono con l’arrivo del televisore nelle case benestanti prima, poi nei negozi e infine nelle case della gente comune. È lui che gioca a fare la televisione, fingendosi speaker dentro quel che resta di un apparecchio rotto.

Oggetto di aggregazione sociale e familiare, la tv diventa il deus ex machina della nostra storia. Nello specifico, è “Canzonissima” a coinvolgere e avvicinare gli abitanti della cittadina, in un rituale collettivo di grande valenza sociale. Ed è sempre la passione per la tv, lo strumento che consente ai membri della famiglia Rondinone (divisi dalle scelte individuali dettate dai cambiamenti sociali) di ritrovarsi ricordando loro che la relazione umana è un dono prezioso.

D’altronde, questo potente oggetto di aggregazione che era la televisione lo abbiamo anche ricordato nel racconto sull’Ente Delta Padano, con “i cappotti e le sciarpe indossati per far fronte al freddo gelido di febbraio durante il tragitto fangoso che portava la famiglia al bar dove si poteva vedere, tutti insieme, il festival di Sanremo”. Anche mia madre me lo raccontava, tutti intorno a quel magico apparecchio, per osservare e discutere.

Quattro settimane di riprese a Matera e dintorni per raccontare una storia commovente che rincorre i personaggi tra la magia dei Sassi, Patrimonio Mondiale dell’Unesco, le chiese rupestri e le grotte naturali, a metà tra l’altopiano calcareo e le splendide masserie delle aziende agricole nelle campagne.

 

Foto in evidenza di Federica Di Benedetto. Da sinistra: Antonio Trucco, Aldo Mastrillo, Giovanni Limite (nel televisore), Adele Conte.

Parole a capo
Floriana Porta: Haiku tra il sogno e l’infinito

“L’haiku è una breve forma poetica che nacque in Giappone nel XVII secolo. Segue lo schema sillabico 5/7/5, per un totale di diciassette sillabe, e deriva dal tanka, componimento poetico di trentuno sillabe. Matsuo Bashō (1644- 1694) è considerato il sommo poeta giapponese del genere haiku. Tra gli altri maestri si ricordano Yosa Buson (1715-1783), Kobayashi Issa (1763-1828) e Masaoka Shiki (1867-1902). Quest’ultimo introdusse elementi di vita quotidiana nei suoi versi e diede origine all’haiku moderno che conosciamo oggi.
È una poesia che cerca l’infinito, la brevità e la semplicità. Come scrisse Roland Barthes, l’haiku “racchiude ciò che vedete, ciò che sentite, in un minimo orizzonte di parole”.
Si tratta di una poetica del linguaggio puro e mai artificioso, inteso come l’espressività immediata e diretta della realtà. Non a caso uno dei principi essenziali dello Zen – da cui prende vita la poesia haiku – è la naturalezza, cioè la visione diretta della natura autentica. I brevi componimenti sono permeati dai principali stati d’animo dominanti della poetica giapponese: wabi (l’inatteso), sabi (il silenzio), yugen (il mistero), aware (la transitorietà), hosomi (la delicatezza) e karumi (la leggerezza), registrati con vividezza e disincanto.” (dall’introduzione alla raccolta “Il Giappone in controluce”, a cura dell’autrice).

battito d’ali –
dalla più alta vetta
abbandonarsi

 

cuore ferito –
lacrime agli occhi
nella risaia

 

ombre di luna
ancora da scoprire
porto dentro me

 

e poi fuggire –
l’azzurro infinito
è colmo di te

 

acque stagnanti –
la geisha la ninfea
sole nel buio

 

stelle caduche –
bianchi come la luna
i miei fantasmi

 

con tocco lieve
mi servo della luce
all’orizzonte

 

amo le stelle –
e l’anima racconta
ciò che ho dentro

 

stende le ali
all’ombra del tempio
il grande drago

 

nuovo fiorire –
si chiama poesia
nei nostri sogni

(Questi haiku che pubblichiamo, su autorizzazione dell’autrice, fanno parte della raccolta “Il Giappone in controluce”, AG Book Publishing Editore, 2020.)
Floriana Porta è nata a Torino nel 1975, vive a Vinovo e fin da piccola ho avuto la necessità di scrivere, comporre e disegnare. Si presenta con forme espressive di rara intensità e la sua opera – poetica e figurativa – si dispiega fra la natura e la bellezza, l’introspezione e il sogno, elementi imprescindibili della sua riflessione esistenziale. Uno stile, il suo, caratterizzato da raffinatezza, contemplazione e armonia. Ha esposto nel Torinese e nell’Astigiano le sue opere ad acquerello; attualmente collabora con diversi siti culturali e artistici. Titoli delle sue principali pubblicazioni: Verso altri cieli (Edizioni REI, 2013), Quando sorride il mare (AG Book Publishing, 2014), Dove si posa il bianco (Sillabe di Sale Editore, 2014), L’acqua non parla (Libreria Editrice Urso, 2015) Fin dentro il mattino (Fondazione Mario Luzi Editore, 2014), La mia non è poesia (Aljon Editrice, 2017), I nomi delle cose (Edizioni L’Arca Felice, 2017), In un batter d’ali (AG Book Publishing Editore, 2018), Offro respiro ai versi (La Ruota Edizioni, 2018), Il Giappone in controluce (AG Book Publishing Editore, 2020), L’infinito è in me (AG Book Publishing Editore, 2021). Nella rubrica “Parole a capo” sono state pubblicate altre poesie dell’autrice il 15 dicembre 2022.
La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio.
Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.

Per leggere il Bando e partecipare al Premio Internazionale Senza Premi “Le nostre parole per l’Alluvione” [Vedi qui]

LE VOCI DA DENTRO /
La partita con mamma e papà

Le voci da dentro. La partità con mamma e papà

Sabato 24 giugno scorso, presso la Casa Circondariale di Ferrara, si è svolta La partita con mamma e papà, una bella iniziativa organizzata da BambiniSenzaSbarre, in collaborazione con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia.

In sintesi, La Partita con mamma e papà, oltre ad essere una possibilità per i figli di persone detenute di giocare a calcio con il proprio genitore ristretto in carcere, è l’opportunità di condividere un momento ludico normale per tutti gli altri bambini e rappresenta un’occasione eccezionale per queste famiglie. Infatti, per i bambini non è facile vivere la realtà di un genitore in carcere e molti di loro lo fanno in silenzio, per non essere stigmatizzati ed esclusi.

L’associazione BambiniSenzaSbarre si occupa proprio della cura delle relazioni familiari durante la detenzione di uno o entrambi i genitori ed è impegnata nella tutela dei diritti dei bambini alla continuità del legame affettivo e nella sensibilizzazione della rete istituzionale e della società civile.

BambiniSenzaSbarre ha lanciato la partita con mamma e papà nel 2015. L’iniziativa è partita con l’adesione di 12 istituti, 500 bambini e 250 papà detenuti e si è tenuta tutti gli anni fino al 2019. Dopo due anni di interruzione a causa della pandemia, è stata nuovamente riproposta nel giugno 2022 quando sono state giocate 82 partite negli istituti penitenziari italiani, coinvolgendo gli agenti della polizia penitenziaria, gli educatori, 4100 bambini e 1900 genitori detenuti.

BambiniSenzaSbarre è anche l’associazione ispiratrice della Carta nazionale dei diritti dei figli di genitori detenuti, firmata nel 2014 dal Ministero della Giustizia e dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza.
La Carta riconosce formalmente i diritti di questi bambini, in particolare il diritto alla non discriminazione e alla continuità del legame affettivo con il proprio genitore, in attuazione degli artt. 3 e 9 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Sabato 24 giugno scorso, nel campo della Casa Circondariale di Ferrara, ho visto sorrisi genuini, ho sentito applausi orgogliosi, ho provato sensazioni intense; ho visto bambine vantarsi di aver fatto gol, bambini dare indicazioni calcistiche ai papà, mani grandi che accompagnavano mani piccole, abbracci da lasciare senza respiro.

Ho visto occhi stanchi di chi aveva fatto 10 ore di pullman per poter accompagnare i figli ad una partita speciale, occhi commossi di chi aspettava quel momento da tanto tempo, occhi tristi di chi si rendeva conto del luogo in cui era ed occhi pieni di speranza per un’affettività senza sbarre.

Ho sentito figli sottolineare l’importanza di questa iniziativa con i loro padri e chiedere che ci siano tante altre occasioni simili; ho sentito padri non chiamare invano il nome del proprio figlio e chiedere che ci siano tante altre occasioni simili.

Sabato 24 giugno scorso, nel campo della Casa Circondariale di Ferrara, ho avuto l’ennesima conferma del fatto che l’aumento ed il miglioramento della qualità degli incontri familiari in carcere è funzionale alla rieducazione e fa bene non solo ai componenti della famiglia stessa, ma anche alla comunità e, di rimando, alla società intera.

 


Si chiama Astrolabio il giornale della Casa Circondariale di Ferrara. Ed è un progetto editoriale che, da qualche anno, coinvolge una redazione interna di persone detenute insieme a persone ed enti che esprimono solidarietà verso la realtà dei detenuti. Il bimestrale realizza il suo primo numero nel 2009 e nasce dall’idea di creare un’opportunità di comunicazione tra l’interno e l’esterno del carcere. Uno strumento che dia voce ai reclusi e a chi opera nel e per il carcere, che raccolga storie, iniziative, dati statistici, offrendo un’immagine della realtà “dietro le sbarre” diversa da quella percepita e filtrata dai media tradizionali.

Per leggere le altre uscite di Le Voci da Dentro clicca sul nome della rubrica.

In copertina e nel testo: Immagini della partita organizzata da BambiniSenza Sbarre, Casa circondariale di Ferrara 24 giugno 2023

Parole e figure / Se una strega cade dal cielo…

Un’avventura dell’intraprendente gruppo di amici in soccorso di una strega caduta dal cielo

In questa estate calda e afosa, una rapida segnalazione, in uscita a luglio, cari lettori.

Con la sua matita prodigiosa, Olivio disegna una foresta e Petula, Cocuzza, Mixo, Pamela e Raul decidono di andare a fare una passeggiata in mezzo agli alberi rigogliosi. Ma ecco che, sorpresa delle sorprese, all’improvviso una strega cade dal cielo e così iniziano le peripezie dell’intraprendente gruppetto di amici. La strega ha perso la sua scopa e deve ritrovarla per andare al corso di formule magiche. Non sarà così semplice: nella foresta si aggirano tante presenze inquietanti e la strega, un po’ (molto) pasticciona, proverà a contrastarle con incantesimi non proprio perfetti. Per fortuna, il coraggio della banda è pari alla loro immaginazione e da questa avventura i nostri amici usciranno indenni… o quasi.

Una storia stravagante con buffi personaggi dalla battuta pronta e senza peli sulla lingua e illustrazioni sobrie e colorate che lasciano spazio all’immaginazione dei piccoli lettori.

Aspettando l’uscita sugli scaffali, sfogliamo l’anteprima…

Laurent Rivelaygue 

È nato in Francia nel 1970. Ha studiato all’Ecole Estienne di Parigi e, dopo il diploma, ha lavorato prima come art director e poi come direttore creativo per un’agenzia di design parigina. Dopo quindici anni, ha lasciato l’agenzia per diventare grafico freelance e ha iniziato a lavorare nell’editoria per ragazzi come autore e illustratore. Nel 2007 ha pubblicato il suo primo libro, Poisson-chien, una raccolta di brevi racconti costruiti su giochi grafici e tipografici, e nel 2010 ha visto la luce il suo primo fumetto, Les Grands Soldats. Lavora anche con le materie plastiche e crea tele vicine alla pop art.

Olivier Tallec 

È nato a Morlaic nel 1970 e vive a Parigi. Ha studiato alla scuola di Arti applicate Duperré e, dopo il diploma, ha viaggiato in Asia, Brasile, Madagascar e Cile per poi iniziare a lavorare come grafico pubblicitario. Nel 1997 ha esordito nell’editoria per ragazzi e da allora ha illustrato un centinaio di albi, in particolare la serie Rita et Machin, con testi di Jean-Philippe Arrou-Vignod, adattata come cartone animato per il canale giapponese NHK. Ha realizzato illustrazioni per la stampa (LibérationElleLes Inrockuptibles) e fumetti. Nel 2013 ha creato quattro francobolli per la Posta francese. Ha ricevuto il premio Landernau Jeunesse per Louis Ier, Roi des moutons nel 2014 e il Prix jeunesse des libraires du Québec per Moi devant (2016), scritto da Nadine Brun-Cosme.

Laurent Rivelaygue, Icosachi e la strana strega caduta dal cielo, Illustrazioni di Olivier Tallec, Logos Edizioni, Collana I fumetti della Ciopi, 2023, 32 p.

Carwyn James e Doro Quaglio:
Rovigo provincia del Galles nel rugby

Carwyn James e Doro Quaglio: Rovigo provincia del Galles nel rugby

Il rugby in Italia è molto sentito e praticato solo in alcune enclaves, circondate per il resto dalla ossessione nazionale per il gioco del calcio. Una di queste enclaves è la provincia di Rovigo. Il 24 giugno scorso, all’interno della Club House della società Frassinelle Rugby (il cui settore giovanile, che attira allievi da tutto il Polesine e da parte dell’Emilia, sta mietendo successi nelle manifestazioni di mezza Italia, e parliamo di un paese di 1.300 abitanti), l’ex giornalista della Gazzetta dello Sport ed ex rugbista Marco Pastonesi ha presentato il suo libro “Il leone e il corazziere”, dedicato a due figure carismatiche del rugby negli anni settanta: il gallese Carwyn James e il rodigino Isidoro Quaglio, detto Doro.

Introdotti dal Presidente del Frassinelle Rugby Raffaele Mora, Pastonesi e Angelo Morello, storico dirigente del Rovigo Rugby e amico di Carwyn James (del quale traduceva gli articoli dall’inglese: James scrisse di rugby per il Guardian e, in Italia, per il Carlino e il Gazzettino), hanno restituito in maniera palpabile l’atmosfera rugbistica polesana di quegli anni, in bilico tra pionierismo e professionismo.

Come è stato possibile che Carwyn James, rugbista ma soprattutto allenatore di grido, l’unico capace di battere con le sue selezioni gallesi – prima i British&Irish Lions, poi i Barbarians – i leggendari All Blacks in tournée in Europa, secondo molti addetti ai lavori “il miglior allenatore di rugby al mondo”, colui che declinò le avances della Federazione gallese perchè si rifiutava di farsi dare la formazione dal Comitato dei Selezionatori (i Big Five), abbia trascorso tre anni della sua carriera a Rovigo, con tutto il rispetto non esattamente il centro nevralgico del rugby mondiale?

Pastonesi prosaicamente lo dice: vicino a Rovigo c’erano Venezia, Padova. C’era l’arte. Per un letterato quale era James, venire in Italia voleva dire frequentare l’arte. Poi c’era anche il rugby, che però probabilmente non era stata la molla decisiva. Era qualcosa in più, il gancio che gli avrebbe permesso di vivere per qualche anno a stretto contatto con l’arte di cui il nostro paese abbonda. A Rovigo da coach (dove rimane dal 1977 al 1979) incrocia la strada della vita con Doro Quaglio (passato anche da Frassinelle), ancora giocatore, indigeno di ritorno dall’esperienza in Francia: una quercia coi baffi, una fisiognomica che incarna l’eroe classico del rugby.  Due tipi quasi opposti: intellettuale e delicato il primo, un gigante nodoso e ruvido il secondo. Entrambi dotati di un carisma superiore.

Mi resta impresso tra i tanti il racconto di un episodio: Carwyn James, che si tiene su a furia di gin tonic, a casa di Quaglio, che si tiene su a “ombre”. Stanno guardando in tv Francia – All Blacks. La Francia sta vincendo a pochi minuti dalla fine, e Carwyn consiglia prudenza, perchè negli ultimi minuti i neozelandesi possono ribaltare il risultato. Lo dice con una certa noncuranza, tanto è vero che poi se ne va in bagno (a scaricare i gin tonic, presumiamo) e torna a partita appena conclusa. Gli All Blacks hanno ribaltato il risultato negli ultimi minuti e hanno vinto la partita. “Visto, cosa ti avevo detto?” è la chiosa di James. Il resto lo racconta il libro.

 

 

 

 

DONNE E MOBILITA’
Sono le donne che portano i bambini a scuola

DONNE E MOBILITA’. Sono le donne che portano i bambini a scuola

Donne e uomini non usano gli stessi mezzi di trasporto, gli stessi orari di partenza, le stesse finalità di spostamento. Anzi, è proprio questo uno dei settori in cui le differenze tra i sessi sono molto evidenti.

È ormai chiaro come i diversi ruoli di genere ricoperti da uomini e donne nel sistema socioeconomico nazionale e sovranazionale si traducono in diversi bisogni e comportamenti anche per quanto riguarda la mobilità. Ma la situazione può cambiare? Quali sono le traiettorie che permettono di individuare piste di miglioramento?

Interessante è analizzare i dati dellEurobarometro, strumento di sondaggio ufficiale utilizzato dalla Commissione europea e da altre istituzioni e agenzie dell’UE, per monitorare regolarmente lo stato dell’opinione pubblica in Europa, anche su questo tema.

Secondo l’Eurobarometro le donne preferiscono camminare, utilizzare i mezzi pubblici urbani e i treni extraurbani, mentre gli uomini dell’UE scelgono più spesso mezzi di trasporto individuali, tra cui auto, biciclette, motorini e scooter.

Un concetto interessante, elaborato dagli studiosi, è quello di mobilità di cura che permette di individuare le differenze di genere nell’uso dei mezzi di trasporto dovuto alle attività di cura (accudimento di bambini e anziani), che fanno ancora capo prevalentemente alle donne.

I dati dell’Eurobarometro confermano le differenze di genere nel tipo di viaggi giornalieri effettuati. Gli uomini viaggiano più spesso per motivi personali, compreso il tempo libero, mentre le donne viaggiano più spesso per attività di assistenza.

Un secondo tema importante legato alla mobilità è il legame tra l’uso dei trasporti e la povertà. Dalla combinazione di queste due variabili è nato il tema della povertà dei trasporti.

Sempre l’Eurobarometro indica un aumento della quota di spesa per i servizi di trasporto a livello familiare nei paesi che sono stati maggiormente colpiti dalla crisi economica (ad esempio Grecia e Irlanda) e in paesi in cui sono stati compiuti maggiori sforzi per passare dalla mobilità privata a quella pubblica per ridurre le emissioni di CO2 (ad esempio la Svezia).

Inoltre, si evidenzia come le persone con un rischio più elevato di povertà ed esclusione sociale hanno anche un rischio più elevato di povertà nei trasporti, cioè non possiedono mezzi propri e non hanno le risorse economiche per accedere ai migliori trasporti pubblici (ad esempio sono costrette a viaggiare sempre su treni locali e non possono permettersi l’alta velocità).

Le donne in stato di povertà spesso subiscono un plurimo svantaggio dovuto alla compenetrazione tra genere e altre condizioni di vulnerabilità, tra cui quella legata all’uso dei trasporti.

Un terzo tema evidenziato dall’eurobarometro è la questione della sicurezza delle donne che utilizzano i mezzi di trasporto, compreso l’elevato rischio di molestie sessuali sui mezzi pubblici, nonché la scarsa attenzione alla fisiologia femminile nella progettazione dell’ergonomia dei veicoli e dei loro sistemi di sicurezza. L’attenzione ai bisogni delle donne è ancora limitata e ciò è dovuto alla scarsa presenza di donne come esperte nel settore dei trasporti.

Si registra inoltre una bassa presenza di donne occupate nel settore. I dati esistenti confermano la bassa presenza di donne nel settore dei trasporti negli Stati membri dell’UE. Questo fenomeno solleva problemi di efficienza del mercato del lavoro, in quanto segnala un’allocazione distorta e non ottimale delle risorse umane in tale mercato.

Ci sono diversi motivi per cui il settore dei trasporti non è attraente per le donne. In primo luogo, è percepito come un settore tipicamente maschile e quindi le donne temono forme di discriminazione.

Mancano:
– l’attenzione alle misure di conciliazione vita-lavoro e alla flessibilità dell’orario di lavoro;
attrezzature e servizi a misura di donna;
– attenzione ai temi della sicurezza delle donne;
formazione, apprendimento permanente e opportunità di carriera;
– miglioramento della qualità del lavoro (compresi i contratti di lavoro) a beneficio di tutti i lavoratori.

Un’altra questione importante è la competenza tecnica, poiché le donne sono tradizionalmente sottorappresentate nel gruppo di discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) fondamentali per il settore. Anche gli stereotipi di genere e la loro influenza sulle scelte educative delle ragazze possono contribuire a limitare le loro opportunità di carriera.

Quello dei trasporti è quindi un settore in cui la discriminazione delle donne è particolarmente evidente. Cercando analizzare gli strumenti di programmazione che vengono attuati anche in Italia, quali ad esempio i fondi strutturali e lo stesso PNNR, si evince come la possibilità di utilizzare risorse per migliorare la situazione, esistono.

Per fare alcuni esempi:

– Il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) ha tra i suoi obiettivi lo sviluppo delle infrastrutture di trasporto e l’innovazione per le piccole e medie imprese. Nell’attuazione del fondo si può quindi perseguire una particolare attenzione alla mobilità e all’occupazione femminile nel settore. Si può inoltre sviluppare un’attenzione specifica alle esigenze di mobilità delle donne e all’occupazione femminile, anche attraverso l’adozione di strumenti di pianificazione partecipativa (ad es. “Living Labs“).

– Il Fondo sociale europeo (FSE+) e ilFondo sociale per il clima sono strumenti che possono contribuire a porre rimedio alla povertà dei trasporti e quindi sostenere efficacemente l’inclusione sociale dei gruppi vulnerabili.

– Il Fondo di coesione può essere utilizzato per garantire l’uguaglianza attraverso investimenti nell’ambiente e nelle infrastrutture. Analogamente, il meccanismo per collegare l’Europa (CEF) con i trasporti può sostenere le infrastrutture di spostamento che facilitano l’inclusione femminile.

– il PNNR nella Missione 3 dispone di una serie di investimenti finalizzati allo sviluppo di una rete di infrastrutture di trasporto moderna, digitale, sostenibile e interconnessa, che può aumentare l’elettrificazione dei trasporti e la digitalizzazione, e migliorare la competitività complessiva del Paese, in particolare al Sud.

Lo spazio normativo per migliorare la situazione evidentemente esiste, ma va applicato rendendo gli interventi adatti e cogenti, efficaci ed efficienti. Per fare questo occorre che, chi lavora in ambito attuativo, sia attento ai bisogni delle donne, privo di pregiudizi e con una bassa interiorizzazione degli stereotipi di genere esistenti.

In caso contrario la situazione cambierà di poco e gli interventi finanziati saranno di nuovo a favore del mantenimento dello status quo (ad esempio aiutando solo le donne a lavorare da casa per accudire i bambini, oppure dando solo a loro sconti sui mezzi pubblici per recarsi all’ospedale a trovare i parenti ammalati).

I ruoli di genere sono costruzioni sociali che possono cambiare nel tempo e, cambiando i comportamenti, cambieranno anche le dinamiche della mobilità. Ci si augura che le differenze di genere nella mobilità non siano destinate a durare per sempre. In futuro, l’incremento di modalità di lavoro flessibili adottate durante l’epidemia da Covid-19 e poi istituzionalizzate, dovrebbero rendere la mobilità di uomini e donne più simile.

Una maggiore condivisione del lavoro domestico e di cura dovrebbe semplificare gli spostamenti delle donne. Infine, al di là dell’appartenenza di genere, fattori come l’età, la classe sociale, il livello di istruzione e l’area geografica di residenza, che attualmente esercitano un’influenza importante sulla mobilità delle persone, dovrebbero anch’essi attenuarsi in quanto variabili intervenienti in un processo in rapido mutamento.

Sempre relativamente alle differenze di genere nell’uso dei trasporti e al modo di mitigarle, Sheila Watson, durante la COP26 – Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, ha dichiarato:

Nel campo dei trasporti, tutto è settato sugli uomini. Se si continuano a ignorare i bisogni femminili l’effetto è che le donne continueranno a non usare le nuove forme di mobilità e si baseranno ancora sui vecchi mezzi inquinanti, che è quello che non vogliamo. I dati e i processi decisionali non prendono in dovuta considerazione i bisogni femminili, serve invece che si inizi a farlo, anche perché si tratta di un elemento decisivo nella lotta ai cambiamenti climatici.

Si tratta quindi di coinvolgere le donne nei processi decisionali relativi ai trasporti, per garantire che i loro bisogni vengano ascoltati, e che l’impatto sull’ambiente sia minimo. Un monitoraggio più attento delle questioni di genere nelle politiche dei trasporti dovrebbe essere attuato da tutte le istituzioni europee nell’ambito dei loro ruoli specifici in materia di progettazione, attuazione e valutazione di tali politiche.

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