Skip to main content

Vertice NATO di Vilnius del 11-12 luglio l’Unione Europea accetta il ricatto di Erdogan.
Il Sultano vuole la pelle del popolo Curdo e l’avrà. 

Al vertice NATO di Vilnius del 11-12 luglio l’Unione Europea accetta il ricatto di Erdogan. Il ‘Sultano’ ha chiesto la pelle del popolo Curdo e l’avrà. 

Tratto da Volere la luna

La persecuzione del popolo kurdo è tra le più annose, sanguinose e dimenticate al mondo. Si esercita quotidianamente nei diversi paesi e territori in cui, in base al Trattato di Losanna del 1923, è stato suddiviso il Kurdistan (Siria, Iraq, Iran, Turchia), sottraendo così al suo popolo il diritto di vivere in uno Stato libero e indipendente.

La politica di strisciante genocidio portata avanti da Recep Tayyip Erdoğan è ancor più evidente e determinata, oltre che impunita, grazie all’indifferenza, ma anche alla complicità, dei governi occidentali. Il “sultano” turco è cinicamente abile nell’utilizzare ogni pretesto per dispiegare la più feroce repressione interna contro qualsiasi dissidenza e ogni spazio di libertà democratica. Lo ha fatto in modo massiccio e ancor più sistematico dopo il “tentato golpe” del 2016: da allora almeno 134.000 dipendenti pubblici sono stati licenziati, tra cui oltre quattromila magistrati e giudici; centinaia di persone condannate a pesanti pene, compreso l’ergastolo; interi partiti rappresentati in Parlamento messi fuorilegge. Come, appunto, l’HDP, il Partito democratico dei popoli, che unisce forze filo-curde e forze di sinistra della Turchia. Il suo co-presidente, Selahattin Demirtas, condannato a 142 anni di carcere, dal 2016 continua a rimanere imprigionato nonostante la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo abbia ripetutamente giudicato illegittima la condanna e chiesto la sua scarcerazione. In sei anni oltre 10.000 membri di HDP sono stati arrestati, comprese decine di deputati e di amministratori locali. Il pretesto, in questi casi, è la comoda coperta del “terrorismo”. Accusa che consente, tra l’altro, al regime turco di tenere segregato da oltre 24 anni il leader del popolo curdo e fondatore del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) Abdullah Öcalan, dopo averlo illegalmente sequestrato. Prigioniero nella prigione-isola di Imrali nell’isolamento più totale, nel 2007 ha subito un tentativo di avvelenamento; più recentemente, nell’estate 2023, ha ricevuto nuove minacce di morte, mentre sono circa due anni e mezzo che i suoi avvocati e famigliari non hanno più potuto visitarlo né averne notizie.

Quello di Erdogan è un regime finanziato da anni con diversi miliardi dalla Commissione Europea affinché impedisca ai profughi in fuga dalla guerra in Siria di arrivare nei paesi dell’Unione. È il regime con il quale, negli ultimi mesi, la NATO e i governi occidentali hanno trattato per ottenerne il placet all’ingresso nell’Alleanza atlantica di Svezia e Finlandia in funzione anti-russa. Consenso che, alla fine, Erdogan ha elargito: al solito, in cambio di complicità attiva nella persecuzione dei kurdi, con l’estradizione e la consegna da parte del governo svedese degli attivisti rifugiati da anni in quel paese.

Ma la strategia ricattatoria di Erdogan, mirata anche all’ingresso nell’Unione Europea, nonostante la Turchia non risponda agli standard richiesti in materia di diritti umani e di Stato di diritto, ha obiettivi geopolitici ancor più ambiziosi. Come dimostra il ruolo di protagonista internazionale che si è ritagliata a margine del conflitto russo-ucraino e, prima, il suo espansionismo bellico, con gli interventi in Siria, in Libia, nel Nagorno-Karabakh, e quello politico in diversi paesi africani.

Da un quarto di secolo è in atto una progressiva espansione e una mutazione strategica della NATO, nel silenzio e indifferenza internazionale, sino al ruolo offensivo avuto con i bombardamenti sulla Serbia nel 1999 – con l’uccisione di centinaia di civili, la distruzione di scuole e ospedali, l’utilizzo di armi all’uranio impoverito – in violazione dello stesso proprio statuto e nel disprezzo del diritto internazionale, non avendo avuto l’approvazione all’intervento militare da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Nel vertice dell’Alleanza di Vilnius (11-12 luglio 2023) si è ufficializzato l’ingresso della Svezia e deciso l’aumento delle spese militari. Dopo il decennale allargamento a Est, che ha costituito una delle premesse e delle cause scatenanti della guerra in Ucraina, con l’invito al summit di Vilnius di Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda si è ora delineato e accelerato il nuovo e ancor più pericoloso scenario del prossimo futuro: la trasformazione della NATO in un’alleanza globale in funzione anti-cinese. Una prospettiva che, come già le scelte riguardo l’Ucraina, evidenzia la centralità degli interessi statunitensi e il rischio di una “vassallizzazione” dell’Europa, per usare una definizione al riguardo del presidente francese, l’unico leader dell’Unione a mostrarsi recalcitrante.

Intanto, nel nuovo quadro sancito dall’accettazione delle richieste di Erdogan, secondo Duran Kalkan, membro del Consiglio esecutivo del PKK, l’Alleanza atlantica è fortemente a rischio di divenire a tutti gli effetti anche complice della politica di negazione dei diritti e di sterminio del popolo kurdo: «il Trattato di Losanna, che ha fornito la base giuridica e il potere politico del primo genocidio curdo, trasferirà la sua funzione alla NATO. Essa svolgerà quindi il medesimo compito: diventerà il sistema di negazione e sterminio dei curdi». In questo modo, un secolo dopo Losanna, «la Turchia completerà il massacro dei curdi usando la NATO». Se questa preoccupazione si rivelasse esatta, sarebbe un’ulteriore ed ennesima riprova che, come tutte le guerre, anche quella in Ucraina produce crimini e violazioni non solo nei confronti delle popolazioni direttamente coinvolte nel conflitto, ma riverbera ad ampio raggio e con estensione globale.

Si può, in definitiva, osservare come ogni scelta internazionale che alimenti il conflitto, come ad esempio le massicce forniture di armi, non produca giustizia per gli aggrediti ma piuttosto favorisca nuove e maggiori violazioni contro i diritti dei popoli in generale. Quello kurdo è da un secolo tra i più soli, abbandonati, violentati. La Federazione Internazionale dei Giornalisti ha definito la Turchia «il più grande carceriere di giornalisti nel mondo». Anche perciò bisognerebbe che i media si occupassero con maggior attenzione, continuità ed efficacia del genocidio in corso, che vede ora un salto di qualità e una ulteriore drammatizzazione.

In copertina: Attivisti si sdraiano sulla spiaggia accanto a fiori con la scritta “Aylan Baby” in turco, dove è morto Kurdi, a Muğla, nel sud-ovest della Turchia, il 2 settembre 2022. (FOTO AA)
Sono passati sette anni da quando il corpo senza vita del bambino siriano Alan Kurdi è stato portato a riva sulle spiagge del Mar Egeo in Turchia, ma la crisi prevale mentre i migranti continuano a salpare in cerca di una vita migliore in Europa.

 

Le storie di Costanza /
La Cipolla d’oro

Le storie di Costanza. La Cipolla d’oro

Stamattina sono andata in edicola e ho comprato Sommergibile una rivista di racconti. Poi col giornale in mano ho camminato fino alla piazza principale di Pontalba e mi sono seduta su una panchina di cemento posizionata sotto un tiglio, così le larghe foglie dell’albero riparano la vista dalla luce forte e posso leggere tranquillamente.

Leggere mi piace molto. Non sempre compro libri e riviste perché, se li ho nella borsa, non resisto alla voglia di mettermi subito a sfogliarli, col rischio di dimenticarmi che ora sia e quanto tempo libero avevo preventivato.

L’uso del tempo ha una componente di essenzialità che coinvolge tutti i rapporti che una persona intrattiene. Ciò che è essenziale ha un perimetro definitorio molto forte, ognuno ritiene essenziale qualcosa di diverso e se una persona ha, come me, una grande famiglia, l’essenzialità si moltiplica tanto quanto si moltiplicano i cuori e i cervelli.

A mia madre non piace molto questa mia passione per la lettura, la considera una perdita di tempo che non può giustificare lo slittamento in avanti del giorno in cui si deve stirare, o il giorno in cui si spolvera il soggiorno.

Mentre mi accingo ad aprire la prima pagina di Sommergibile passa Camilla con la sua bici elettrica e mi saluta da lontano: – Ciao Carla, buona giornata! – Altrettanto! – urlo io di risposta. Camilla è un’amica mia e di Costanza, abbiamo fatto lo stesso liceo molti anni fa. Poi le nostre strade si sono separate dal punto di vista professionale, ma non da quello umano.

Le amicizie più vere sono quelle che durano da sempre, che sono cresciute con te sui banchi di scuola. Solo di persone che conosci da molto tempo e con te hanno condiviso l’infanzia e l’adolescenza ti puoi fidare davvero, di fatto non hanno nulla da nasconderti, ciò che potrebbe essere nascosto lo sai già. Questo rende trasparenti i rapporti e limpida l’amicizia.

Se poi si aggiunge che Pontalba ha 2.500 abitanti e che ci conosciamo tutti, questo spiega definitivamente come alcune amicizie si siano sedimentate e poi cementate in questo paese di pianura dove il Lungone è uno spione silente.

Il Lungone è il fiume che attraversa questo paese e che piace molto a Costanza. Quando scrive i racconti di Alba Orvietani descrive spesso il fiume e la gente che qui vive. Trova questo spazio geografico un piccolo esperimento antropologico, uno spaccato di storia contemporanea affascinante, dice che nel piccolo ci sta il grande, e che quello che succede qui è come quello che succede in tutto il cosmo.

Quando mi sono accorta che i racconti di Alba Orvietani sono in realtà di Costanza Del Re mi è quasi venuto un infarto. Lei non ha mai detto a nessuno che i racconti della Orvietani sono i suoi e sono ispirati a questo paese dove l’acqua e l’arcobaleno incarnano la bellezza e “dove il tempo dondola invece che proseguire deciso il suo cammino” (cito lei).

Ma io, che la conosco da sempre, me ne sono accorta e, un po’ alla volta, ho maturato la convinzione che non può che essere così. Quell’incredibile scrittrice che molti cercano e che ha già vinto diversi premi importanti, tra cui la Cipolla d’oro, è la mia amica Costanza.

Una volta ho provato a parlargliene, ma lei ha fatto finta di nulla. Mi ha guardato come se stessi dicendo qualche assurdità e mi ha detto: Ma cosa stai dicendo? Hai preso una cantonata. Io scrivo su diverse riviste, ma uso sempre il mio nome. È buona cosa che uno si prenda la responsabilità di tutto quello che pensa e che firmi ciò che scrive. Ci mancherebbe.

Bel depistaggio, devo dire, degno di lei. Anche per questo non le credo. Così adesso siamo finite in una situazione strana. Io so che lei è Alba Orvietani e lei sa che io lo so, ma nessuno dice nulla sull’argomento, siamo ingessate nelle nostre convinzioni e nelle rispettive idee di ciò che è e che non è, di ciò che dovrebbe essere.

Una volta o l’altra si inventerà un personaggio che assomiglia un po’ a me, è solo una questione di tempo. Ovviamente non lo chiamerà Carla, troverà un nome diverso. Le sono sempre piaciuti i nomi che ricordano la natura, quindi mi potrei chiamare Silvana, o Aurora o Gaia. Tra questi preferisco Aurora, ma è inutile che glielo dica, sarebbe capace di rispondermi: – Peccato che non hai avuto una figlia, le avresti messo un bel nome.

Anche Giada, la compagna di Guido, che conosce Costanza perché è da sempre amica di Guido, ha scoperto che la scrittrice di racconti è proprio lei. Entrambi conoscono bene la velocità e competenza con cui Costanza scrive e sanno che il suo cervello ogni tanto produce delle vere bizzarrie capaci di generare storie interessanti e originali.

Alcuni mesi fa sono andata da Giacinto a mangiare la pizza con Donatella, Domenico e Fernando, i miei fratelli, e ho incontrato Giada che stava rientrando da uno dei suoi giri in bicicletta. Sempre bella quella ragazza quasi cinquantenne, con i capelli lunghi e biondi legati a coda di cavallo e un fisico da atleta. Bella anche con i pantaloncini da bici e una maglietta di cotone bianco che ha visto tempi migliori.

Ci siamo salutate e lei mi ha detto: Ciao Carla, sono in preda a un tormento …quasi mi schianto con la bicicletta contro un muro della pizzeria.
– Ma cosa ti sta succedendo? – le chiedo.

– Alcuni giorni fa ero seduta su una poltrona di vimini del mio balcone, stavo aspettando Guido di ritorno da Trescia e, per ingannare il tempo, mi sono messa a leggere un racconto di Alba Orvietani sull’ultimo Sommergibile.  Sono rimasta di stucco.

Il racconto inizia con la descrizione di un viale sterrato che costeggia un fiume e passa davanti a una villa. Lo sterrato descritto assomiglia molto al Viale dei Castagni di Pontalba! quello che scende dopo il cimitero, costeggia il Lungone e passa davanti ai cancelli di Villa Cenaroli. È uguale, i sassi, la discesa, gli argini del fiume, gli alberi i cancelli della villa. È incredibile, ho pensato, la Orvietani è stata qui! Per scrivere questo racconto ha descritto un pezzo di Pontalba.

Poi ho continuato a leggere il racconto e quasi mi viene un colpo. Il racconto parla di una persona che assomiglia vagamente a me! Ha i capelli biondi, va in bicicletta ed è la compagna di un professore di storia. Ho letto il racconto una volta, poi l’ho riletto e poi riletto ancora.

Più lo leggevo e più quel modo di scrivere mi sembrava familiare, come se sentissi parlare qualcuno che conoscevo, uno strano modo di fraseggiare un po’ cantilenante e vagamente surreale che non mi suonava nuovo. Una strana sensazione di familiarità.

A un certo punto ho realizzato … Costanza Del Re! È Costanza che ha un modo di parlare molto simile a come è scritto quel racconto! Anche certe sospensioni, anche la sua predilezione per l’acqua, il silenzio, le tartarughe. Mi ricordo che una volta era venuta a trovarci a casa ed era tutta entusiasta perché davanti alla pizzeria aveva visto una tartaruga.

Sono sconvolta, ma tutto torna … la descrizione del Viale dei Castagni è molto simili alla realtà perché quello che viene descritto è proprio lo sterrato dei castagni! Mamma mia che storia … non sembra vero ma secondo me è così. Noi conosciamo Alba Orvietani.

Ho annuito con la testa senza proferire parola e ho visto Giada cambiare colore. È diventata bianca come il latte. È stata ferma un attimo come attonita e poi, quando si è ripresa, mi ha detto:
– Ma te l’ha detto lei?
– No, – le ho risposto – Lei mi ha detto che non è vero che Alba Orvietani è il suo pseudonimo e che io sono pazza. Ma secondo me è proprio lei.

– Oddio, oddio, oddio…
– Su su – le dico – mica è poi così grave. Lo sappiamo tutti che Costanza scrive bene. A un certo punto, e solo i santi sanno il perché, si è inventata Alba Orvietani e tutti i suoi racconti.

– Non ci posso credere, … in questo angolo di mondo abita una scrittrice molto brava e noi la conosciamo. Però, però … già la vita…, ogni tanto sa stupire di brutto. Per fortuna che per fare gli scrittori bisogna avere fatto tanto esperienze e aver girato il mondo. È tutto il contrario. Alba Orvietani ha sempre abitato qui!

Mi guarda con gli occhi sbarrati, come se non sapesse cosa altro dire, ferma in piedi appoggiata alla sua biciletta e con la maglietta bianca un po’ attaccata alla pelle perché fa caldo.

Poi ricomincia a parlare. Non riesco bene a riprendermi, penso al mio lavoro e dopo qualche minuto mi viene in mente Costanza con tutte le sue idee, le sue preferenze, l’amore per il fiume e per i gatti. Ma è lei, non ci sono dubbi. Vero?

Annuisco di nuovo con la testa e poi le dico: – È meglio lasciar perdere, non ne vuole parlare, credo che sia un segreto che vuole tenere solo per sé, che non è disposta e condividere con nessuno, nemmeno con le sue amiche più care.

Giada mi guarda di nuove perplessa. È meglio che me ne vada così avrà il tempo di assimilare la notizia e di capire che, tutto sommato, non è una gran notizia. Noi abbiamo la fortuna di essere amiche di Costanza, di vederla sempre, di aver già condiviso con lei un lungo periodo della nostra vita. Che poi lei scriva racconti con lo pseudonimo di Alba Orvietani e non voglia che nessuno sappia che è lei, che cosa cambia?

Niente, alla fine non cambia proprio niente. L’amicizia è una cosa seria, i racconti di Alba Orvietani lo sono molto meno. Devo lasciare il tempo a Giada di assimilare tutto questo e di arrivare alla stessa conclusione a cui sono arrivata io.

Abbasso gli occhi, guardo il praticello davanti alla pizzeria e, non so esattamente da dove, vedo arrivare con il suo passo lento e indolente, una tartaruga.

Per leggere gli altri articoli di Le storie di Costanza la rubrica di Costanza Del Re clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

Per certi versi /
Bagno

Bagno

Ho fatto
un bagno
Lungo
Nel mare
Vuoto
Apparente
Tra i pesci
E le cicale
Ancore
Di vento
I pesci
Cadono
Nel tuffo
Olimpionico
Dei predatori
La bellezza
Nasconde
La morte
Dando vita

Ogni domenica Periscopio ospita Per certi versi, angolo di poesia che presenta le liriche di Roberto Dall’Olio.
Per leggere tutte le altre poesie dell’autore, clicca [Qui]

La Ocean Viking nuovamente libera di salvare vite umane: revocato il fermo amministrativo.,: 5 dieci giorni dopo un discutibile fermo amministrativo

La Ocean Viking è di nuovo libera di salvare vite umane. Dieci giorni dopo il fermo a Civitavecchia, le autorità italiane hanno riconosciuto che la nave gestita da SOS MEDITERRANEE era effettivamente conforme a tutte le normative vigenti, come hanno confermato le autorità dello Stato di bandiera norvegese e la società di classificazione della nave. Il fermo è stato quindi revocato senza alcuna modifica sostanziale alla certificazione, all’equipaggio o alle dotazioni di emergenza.   

Pur essendo sollevati dal fatto di poter riprendere le operazioni con la Ocean Viking, la conferma della conformità della nave solleva dubbi sulla giustificazione del fermo. Da quando SOS MEDITERRANEE ha iniziato a noleggiare la Ocean Viking nell’estate del 2019, la nave è stata sottoposta a un numero insolitamente elevato di ispezioni di controllo dello Stato di approdo, la più recente delle quali è stata la settima in meno di quattro anni. Non solo, ma ci siamo anche trovati di fronte a interpretazioni discutibili delle regole e degli standard esistenti, così come anche altre ONG di ricerca e soccorso. Questa applicazione spesso pretestuosa delle norme ha portato a una falsa reputazione delle navi delle ONG come generalmente non conformi e non all’altezza degli standard dell’industria marittima.

L’ultimo fermo della Ocean Viking ha bloccato la nave per un totale di dieci giorni. Questa misura l’ha allontanata dal Mediterraneo centrale, dove è urgentemente necessaria per salvare le vite delle persone che cercano di fuggire dall’escalation di xenofobia e dagli scontri in Tunisia – nonché dai gravi abusi in Libia – a bordo di imbarcazioni non sicure, mentre i mezzi di soccorso sono sempre meno. Quest’anno nel Mediterraneo sono già morte e disperse più di 1.900 persone. Una crisi umanitaria in cui le esigenze di soccorso non sono coperte e sono dunque necessari tutti i mezzi a disposizione.

SOS MEDITERRANEE

Gruppo e comunità (4) /
Ti senti più sciacallo o giraffa?

Ti senti più sciacallo o giraffa?

Secondo la Comunicazione Non Violenta (CNV) provare gioia nel dare e nel ricevere con empatia fa parte della nostra stessa natura. Tuttavia, abbiamo imparato presto molte forme di comunicazione che bloccano questa tendenza naturale e che ci portano a pensare, parlare e a comportarci in modi che feriscono gli altri e noi stessi.

Ti senti più sciacallo o giraffa? Un giorno un insegnante di Comunicazione Non Violenta (CNV) fece questa domanda a bruciapelo, durante una lezione dell’Università del Volontariato a cui stavo partecipando.
Tra me e me, ho pensato che lo sciacallo, poveretto, di solito non è ben visto. Vuoi perchè assomiglia al lupo cattivo delle fiabe e spesso è ritratto mentre digrigna i denti correndo verso la preda, vuoi perchè si ciba anche di carogne… Al contempo, mi sono immaginata la giraffa, con quel lungo collo e le zampe altissime che le permettono di brucare indisturbata soprattutto le foglie di acacia e con quelle belle orecchie che sembrano fatte apposta per ascoltare. La giraffa è erbivora, pacata, silenziosa.

Ma cosa si intende in CNV per linguaggio sciacallo e linguaggio giraffa?
Fu Marshall Beltram Rosenberg, il pioniere della CNV, ad ideare questo linguaggio. A sua volta, fu allievo del grande psicologo umanista Carl Rogers, fondatore della Psicoterapia Centrata sulla Persona, che pone le sue radici nel valutare positivamente le risorse e le potenzialità presenti in ogni individuo

In CNV il linguaggio sciacallo è il linguaggio dei giudizi moralistici, di quando pensiamo in termini di giusto/sbagliato, bene/male, normale/non normale. E’ un linguaggio istintivo, di solito non basato sulla consapevolezza delle proprie emozioni e bisogni e tende a generare delle “contro reazioni” che orientano la comunicazione su piani non empatici e quindi non positivi per la comunicazione stessa.

“Se non si inizia a fare le cose fatte bene in questo gruppo, non mi vedono più”Minaccia
“Che branco di incapaci”Giudizio, etichetta
“Con tutto quello che ho fatto per te, sei proprio un ingrato”Incolpare
“Secondo me faresti bene a reagire e a farti valere in questo mondo”Dare consigli non richiesti
“Dai, datti una mossa e datti da fare. Basta perdere tempo. Reagisci”Comandare, ordinare, sentenziare
“Alla tua età dovresti avere ormai imparato a fare di meglio”Fare la predica
“Confronto a Rita, Cristina non vale una cicca”Fare paragoni
“No, guarda io non sono proprio d’accordo con quello che stai dicendo”Interrompere prima che uno finisca di parlare
“Mi sembra proprio una cazzata questa proposta”Ridicolizzare, sminuire
“Secondo me tu non hai capito la situazione” Interpretare
“Dai, non te la prendere, succede a tutti, cosa vuoi che sia, sai quante volte è capitato a me” – Sminuire
“Se tu mi volessi davvero bene non ti comporteresti così” Pretendere

Le conseguenze sul ricevente di questi tipi di comunicazione, saranno, molto verosimilmente: vissuti legati al mettersi sulla difensiva, sentirsi incompresi ed inadeguati, rabbia, risentimento, colpa, vergogna, senso di disapprovazione e disistima. Possiamo dire che il linguaggio sciacallo blocca l’empatia. Questa comunicazione sottende sempre ad  una negazione di responsabilità che viene sistematicamente scaricata sull’altra persona o su parte del gruppo.

Di solito questo linguaggio è appreso fin da piccoli ed è inconsapevole, come sono inconsapevoli le reazioni che suscita.
Un semplice esercizio per aumentare la consapevolezza del linguaggio sciacallo? Provate ad osservare dei genitori (anche noi stessi) mentre parlano ai figli, soprattutto quando i figli non hanno nessuna idea di dar retta. Provare per credere…
Osserverete quanto spesso verso i figli si usi l’imperativo.
E con il partner? Fate una prova di osservazione anche qui. Un buon modo per approcciarsi alla CNV è senz’altro osservare il proprio ed altrui linguaggio.

Rosemberg suggerisce che il linguaggio sciacallo è comunque una tragica espressione di nostri valori e bisogni.
In altre parole, possiamo dire che è una strada non efficace per esprimerli, ma, spesso, l’unica che conosciamo.
Il linguaggio sciacallo lo abbiamo acquisito fin da piccoli ed è per questo che è così difficile imparare il linguaggio giraffa, che inizialmente viene vissuto come una forzatura, qualcosa di innaturale e non spontaneo. E’ come imparare una nuova lingua, dismettendo progressivamente la lingua madre.
Questo richiede molta motivazione, applicazione, studio, pratica e tanta pazienza.

Il linguaggio giraffa della CNV è un linguaggio che scoraggia le generalizzazioni e che comporta un processo che possiamo suddividere schematicamente in fasi:
Osservare una situazione che stiamo vivendo
Riconoscere ed esprimere i propri sentimenti (connessione con se stessi).
Individuare i bisogni che sono sottesi ai nostri sentimenti (auto empatia)
(Eventualmente) formulare delle richieste. 

La CNV aiuta a riconoscere che la causa del nostro sentimento è un nostro bisogno, e non le azioni di un’altra persona.
Questo ci restituisce tutta la responsabilità di quello che proviamo.
Prova ne è che una stessa azione può venire vissuta con sentimenti diversi, a seconda della persona che la vive. Un complimento a qualcuno può generare gioia e autostima, a qualcun’ altro imbarazzo e disagio.  Ciò che gli altri dicono o fanno può essere lo stimolo, ma non la causa dei nostri sentimenti.

A proposito del riconoscimento dei bisogni, mi fa piacere condividere una mia esperienza personale. La definirei per me importante, dal momento che mi ha permesso di diventare consapevole di una modalità che stavo esercitando nella vita, senza accorgermene.
Durante gli esercizi di CNV, ho scoperto di sentirmi confusa nel riconoscere i bisogni sottesi ai miei sentimenti. Ricordo che le prime volte che tenevo in mano un foglio con l’elenco dei principali bisogni umani, sostavo a lungo chiedendomi Di cosa sento il bisogno? Questo sentimento che sto provando, quale bisogno tocca, vivo in me? Rimasi molto stupita, soprattutto perchè il mestiere di psicologa dovrebbe facilitare, o no? Per tanti anni diverse ore al giorno ho dedicato il mio ascolto e il mio desiderio di aiutare il prossimo all’accoglienza dei sentimenti delle persone che si rivolgevano a me, delle loro storie e dei loro bisogni… Come mai facevo così fatica a riconoscere i miei bisogni? E così, pian pianino, ho constatato che molte persone sistematicamente impegnate in relazioni di aiuto o in funzioni di care giver sono talmente abituate a portare la loro attenzione sugli altri, che hanno via via atrofizzato la propria capacità di auto empatia.

Permettere a noi stessi di mostraci vulnerabili, descrivendo i nostri sentimenti e bisogni con chiarezza e specificità, permette più facilmente di connetterci gli uni agli altri e di nutrire relazioni soddisfacenti. In un mondo in cui tutti hanno fretta, dove anche le relazioni sono diventate sempre più fugaci, in cui si fa fatica ad entrare in profondità, esprimere i propri sentimenti e bisogni può fare paura, soprattutto alle donne a cui è stato insegnato ad ignorare i propri bisogni, per avere cura di quelli altrui.

Immaginiamoci come potrebbero diventare le nostre organizzazioni, le campagne elettorali, i consigli comunali, le assemblee, le nostre famiglie, i rapporti di coppia, con i figli e noi stessi se utilizzassimo con fluidità il linguaggio giraffa, un linguaggio capace di connetterci con i nostri ed altrui sentimenti e bisogni, piuttosto che con le nostre idee e convinzioni sugli altri e sul mondo. Una vera rivoluzione!

E infine, concedetemi due parole sulla possibilità di formulare richieste. Quando le formuliamo, riusciamo a lasciare la possibilità all’altra persona di dirci un no? Ovvero, siamo davvero liberi quando facciamo richieste?
Anche qui un po’ di auto osservazione può renderci consapevoli di quante aspettative e pretese nutriamo nei confronti degli altri e di noi stessi.

Perchè ho scelto di parlare di CNV a proposito delle dinamiche dei gruppi? Perchè quando chiedo ai gruppi che incontro: Qual è l’aspetto più difficile della vostra vita associativa? Al primo posto mi rispondono: La relazione con gli altri del gruppo.
Insomma, porsi il tema di cosa permette ai gruppi umani di funzionare in maniera soddisfacente, viva, autentica ed onesta, implica mettersi in discussione a tantissimi livelli.

Vuoi saperne di più sulla CNV? Una bibliografia essenziale sul tema la trovi [Qui] 

Ti è piaciuto questo articolo e gli altri 3 pubblicati finora sulle dinamiche di gruppo?  Per leggerli tutti, vai in ricerca e digita: Gruppo e comunità

Ti piacerebbe approfondire un tema in particolare ? Vorresti comunque continuare a palarne? Dammi qualche feedback con un tuo commento sotto il testo dell’articolo.

Grazie comunque del tuo ascolto. (Anna Zonari)

Diario in pubblico /
Dalla nostra riviera (parte seconda)

Diario in pubblico. Dalla nostra riviera (parte seconda)

Lo spirito investigativo mi perseguita e quindi, novello Sherlock Holmes, continuo la mia ricerca sul rumore, secondo le indicazioni di Raffaella Carrà.

Telefono alla polizia locale, dove mi risponde una gentilissima, a cui espongo il mio problema, cioè, possono le imprese costruttrici avere orari e limiti al rumore di trapani e quant’altro?  e se ci sono leggi al proposito.

Un sospiro doloroso mi coinvolge e la voce mi risponde che, anche se il cantiere apre alle 7, il rumore trapanante non può che cominciare alle 8. Trionfante rispondo che quel mattino la ballata dei trapani è cominciata alle 7 e 31 e che mai si è arrestata fino a sera.

Mi suggerisce di telefonare subito alla polizia, tenendo però conto del tratto di strada e che quindi potrebbero arrivare più tardi. Sarebbe più facile controllare la ripresa che impedisce dalle 12 alle 15 di usare l’arma letale.

Comunico la ricerca ai vicini di strada e all’edicola, dove voci sempre più singhiozzanti denunciano il sopruso. Ma, dico io, perché non si muovono? Esiste un minaccioso veto della ditta costruttrice che non si rivela ma il mondo intero sa chi è? Misteri, misteri laideschi.

Eppure, non demordo. Saluto dalla strada i pets di famiglia e mi sistemo al bar di riferimento. Qui le petulanti abbondano e con gran dispendio di esibizione di cellulari commentano con spirito soddisfatto ma, sarà una mia visuale distorta, il procedere del rumore.

Così tra una brioche appena sfornata, e un caffè macchiato decido di trattarmi alla grande e di comprare il pranzo al bagno di riferimento. Un coro di “ciao, ciao” mi accoglie, poi esce trionfante la cuoca e m’illustra la meraviglia del progetto.

Singhiozzante (quasi) le espongo il tormento, ma lei, sempre più gioiosa, risponde che anche loro i trapanatori prenderanno le ferie in agosto.

A questo punto capisco che non c’è scampo. Progetto di telefonare al Sindaco di Comacchio, ma so già che nulla otterrò, perciò m’imbottisco di cioccolata accompagnata da un sonno malsano.

È forse il destino che ha posto sulla mia strada il Laido?
Helas! Mi sto convertendo a ciò a cui non avevo mai creduto: la maledizione del destino.

Vedo l’occhio triste dei pelosi di casa e del mio Sapientino che non capisce perché non lo porto in libreria o in edicola a rifornirsi di fumetti e libri.

Con la voce rotta dall’affanno gli dico: “Aspetta! Aspetta! Arriverà la stagione del silenzio e nell’orrido Laido calerà il silenzio che indurrà alla lettura“.

 

Per leggere gli altri articoli di Diario in pubblico la rubrica di Gianni Venturi clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

Storie in pellicola /
In arrivo “Manodopera” di Alain Ughetto

Quando i migranti eravamo noi. Il 31 agosto uscirà in Italia “Manodopera” (“Interdit aux chiens et aux Italiens” – “Vietato ai cani e agli italiani”) del regista Alain Ughetto

Lucky Red ha annunciato la distribuzione in Italia dell’atteso film d’animazione in stop motion Manodopera (titolo originale Interdit aux chiens et aux Italiens / Vietato ai cani e agli italiani) del regista francese Alain Ughetto, con musiche originali di Nicola Piovani.

Il poetico lungometraggio ha debuttato al Festival internazionale del film d’animazione di Annecy 2022 e ha vinto il premio per il Miglior film d’animazione agli European Film Awards 2022. Pupazzi, broccoli, carbone e zollette di zucchero. E tanto altro.

Ambientato all’inizio del Novecento in Piemonte, ai piedi del Monviso, Manodopera pesca nei ricordi e si ispira al passato della famiglia di Ughetto per raccontare la vera storia di Cesira e Luigi, una coppia di migranti italiani, trasformati in marionette “dai grandi occhi meravigliati“, che fuggono la miseria delle vallate alpine italiane per cercare fortuna e crescere una famiglia in Francia (per un’interessante intervista su Le Monde), dopo il sogno, andato in frantumi, de “La Merica”.

Nonna Cesira (la mémé vestita di nero con le mani sempre nella polenta che Ughetto ha conosciuto fino all’età di 12 anni), con il suo racconto fresco e poetico della vita sofferta e romanzesca degli emigranti di ogni tempo, avvolge e conduce lontano lo spettatore.

Un racconto che ci farà riflettere su un tempo in cui eravamo noi quelli a cui era vietato l’ingresso. L’incredibile cartello “Vietato ai cani e agli italiani” è il segno di un’epoca, ma ovviamente ha un’eco nell’attuale questione dei migranti. Il titolo forte e incisivo del cartone animato fa riferimento a un’espressione realmente esistita negli anni ’20, incisa su un cartello appeso sulle facciate di alcuni negozi o bistrot in Belgio, in Francia e in Svizzera. Italiani maltrattati e derisi sui giornali dell’epoca: “Quel che caratterizza l’operaio italiano è l’accondiscendenza: sopporta di tutto (…), piega la testa e obbedisce”. Quei Ritals”, come venivano chiamati gli italiani dai supervisori francesi, che, silenziosi e umili, lavoravano e si preoccupavano della famiglia rimasta in Italia.

“Mio padre raccontava sempre che in Italia, in Piemonte, c’era un paese chiamato Ughettera, dove tutti gli abitanti si chiamavano Ughetto, come noi. Quando mio padre morì, decisi di andare a controllare. Era vero: UGHETTERA, la terra degli Ughetto! La mia ricerca iniziò quel giorno di nove anni fa e, con essa, ebbe inizio anche la storia di questo film. Dietro al mio nome ho trovato una storia: la cronaca di una famiglia originaria del Piemonte. Ho sviluppato questa storia ispirandomi alla realtà, cercando nei miei ricordi, poi in quelli delle mie cugine e cugini, dei miei fratelli e sorelle. Guerre e migrazioni, nascite e morti… e il racconto ha preso vita” (via Film Commission Torino Piemonte).

Grazie alle testimonianze di contadini piemontesi nati alla fine del XIX secolo, il regista rievoca il percorso del nonno, nato nello stesso luogo e periodo, ed emigrato in Francia, nella prima metà del XX secolo, come migliaia d’altri italiani, raccontandone i timori (legati anche all’ascesa del fascismo), le lunghe marce, le ambizioni di una vita più dignitosa e i desideri che dettarono la scelta di fuggire da un Paese senza futuro.

Con un nobile obiettivo: ridare vita a un mondo scomparso, quella civiltà contadina dei nonni, il “mondo dei vinti”, come lo chiama lo scrittore-partigiano Nuto Revelli che ne ha raccolto le ultime parole. La storia di una famiglia unita che affronta miseria e razzismo ordinario.

Un film, costruito in nove anni, dove il regista vuole parlare del lavoro, il racconto di chi, straniero e rimasto invisibile, ha costruito le infrastrutture della Francia: ponti, tunnel, strade, dighe.

Un racconto universale carico di dolore, di solidarietà e fratellanza. Da non perdere.

Incontro con Alain Ughetto, Arras Film Festival 2022

Per una bella intervista ad Alain Ughetto di Cineuropa

Pagina Facebook di Alain Ughetto

Manodopera (Interdit aux chiens et aux Italiens), di Alain Ughetto – Italia, Francia, Svizzera, Belgio, Portogallo, 2022, 70 mn.

L’Arte che Cura /
Toni (Antonina)

Toni (Antonina)

Ho scritto questa pagina tanto tempo fa quando ancora non sapevo che l’arte sarebbe diventata la mia alleata di cura. Un dialogo profondo e rispettoso dove la mia estetica incontra l’estetica dei pazienti e produce trasformazioni e cambiamento.

Racconta una storia di tossicodipendenza in un periodo, i primi anni 80 quando i drogati, l’eroina (ma qualsiasi droga indistintamente), l’Aids erano una vergogna una “piaga sociale” cui si rispondeva con il controllo, la repressione, il carcere o la comunità a vita. Ma erano anche gli anni di quei temerari che cercavano di illuminare l’ignoranza, i pregiudizi, sostituire la paura con la scienza, servizi sanitari competenti.

Ferrara è stata per oltre un decennio una eccellenza, l’unica USL nazionale che aveva realizzato una comunità terapeutica pubblica e, all’ostracismo e/o al buon cuore, sostituiva trattamenti via via sempre più specializzati.

Per coincidenza, ma Jung dice che “il caso non è mai per caso”, in questi giorni ho letto LA TRAVERSATA DEL DESERTO -Quattordicesimo Libro Bianco sulle droghe, un rapporto sulle tossicodipendenze scritto a più mani che riflette con dati e riflessioni critiche questo fenomeno aggiornato al 2022.

Ed è così che si sono risvegliati tanti ricordi di persone, di storie, di battaglie sociali e sanitarie. Politiche!

Tra questi l’incontro con Toni.

L’arte era il suo talento da sempre e ritrovarla è stata la chiave per la sua emancipazione.

Leon Spilliaert, Bevitrice di assenzio,1907

Ho un nome da uomo, ma sono una femmina. E’ un diminutivo, così, un po’ provocatorio. Ma mi piace.

Io non sono quella che si dice un bel pezzo di figa, ma sono intelligente, creativa, estrosa, anticonformista.

E non mi frega niente dei soliti commenti di merda degli uomini e degli stereotipi insulsi nelle rosse bocche a cuore delle donne.

Sono piatta come un asse da bucato. E allora?

Non mi trucco, porto i capelli corti, porto solo le braghe, vado in moto. E con ciò?

Sono una donna libera. Cari maschi non per forza lesbica come voi, quasi fosse una offesa mi liquidate. Autonoma. “Io sono mia” per davvero.

Ho militato nei collettivi femministi, ho vissuto a Londra con i Punk, non mi sono fatta abbindolare da una rassicurante vita “borghese”. Come quella di merda dei miei, magari!

Mi sono diplomata: sono maestra d’arte. Amo studiare, le cose belle, la vita, il mondo e voglio una vita “esagerata”.

tut-to e su bi to”, “il corpo è mio e me lo gestisco io” ,“la fantasia al potere” “maschio repressoo…..

Gaetano Previati, Le Fumatrici_di_Haschish, 1887

Ce l’ho avuta una vita esagerata.

E adesso sono qui.

Comunità di recupero la chiamano. Sì perché mi sono fatta fregare. Idiota!

Libertà di fare. Già. Libertà di farmi.

Niente regole, niente precauzioni.

E adesso sono qui. Tossicodipendente da eroina e sieropositiva.

Libertà un cazzo. L’ho data via per della roba di merda, per una sigaretta, per un posto dove dormire.

L’ho data a chiunque poteva pagarmi e anche a chi diceva che mi dava di più senza guanto. Magari è lui che si fotteva senza il guanto.

Però adesso sono qui. “Per riabilitarmi”. Giusto?

Stronzate.

Robert De Niro in C’era una volta in America di Sergio Leone

Sono qui perché ho deciso che non voglio crepare e non voglio avere sulla coscienza i miei vecchi.

Ho un nome da uomo, non sono quella che si dice una bellezza ma sono intelligente, spiritosa, fantasiosa.

Qui in comunità non so cosa è successo, ma gli operatori mi trattano con rispetto e mi stimano.

Ho trovato anche un fidanzato che mi dice che sono bellissima e che mi fa tanto ridere.

Forse mi assumono come grafico.

Tornerò presto a casa dai miei vecchi che, poveri, sembrano rinati.

Carlo Carrà, La donna e l’assenzio,1911

Non è una vita esagerata, ma mi sento bene.

Non sono più tossicodipendente. Credo!

Sono ancora sieropositiva. Di certo!

Il mio nome è Antonina. Una volta mi facevo chiamare Toni, così per provocare.

Non sono mai stata bella, “un asse da bucato” dicevano.

Adesso sono qui, in una stanza di ospedale. Sono sieropositiva e non è il primo ricovero.

Se non fosse che ho grandi occhi, adesso ancora più grandi, e per i sussulti della tosse, si potrebbe pensare che sotto le lenzuola non c’è niente.

Volevo una vita esagerata e l’ho avuta.

Non ho fatto bene i conti però, ho avuto troppa fretta e ho svenduto le cose importanti, la libertà, il mio corpo, la fantasia.

Mi viene da ridere: quante cazzate!

Bacco di Caravaggio 1596                                                        

Mi viene da piangere.

Perché, lo confesso, adesso, ogni tanto, ho paura.

Nota:
Invece delle solite immagini retoriche, splatter e morbose di solito riesumate quando si scrive di tossicodipendenze, ho scelto di illustrare questo ‘racconto’ con alcune opere di grandi artisti, anche come dedica a Toni/Antonina

Immagine di copertina: Edgar Degas, L’Assenzio, 1875-76

Per leggere gli  altri interventi  della rubrica L’Arte che Cura di Giovanna Tonioliclicca sul nome della rubrica o su quello dell’autrice.

Malamovida, si salvi chi può

#Malamovida e città italiane, si salvi chi può. Ma i Tribunali (a volte) ascoltano…

È ormai un fenomeno planetario e di quelli brutti e cattivi. Non risparmia nessuno, non ci sono arte, bellezza, monumenti e piazze che tengano. La noncuranza e il disprezzo del bene comune imperano. L’indifferenza e il laissez-faire dominano. Troppo di tutto.

La #malamovida comanda, ovunque, ma soprattutto nei centri storici delle città. Proprio in quei luoghi che meriterebbero maggior rispetto, cura e attenzione. Un ‘movimento’ fatto di schiamazzi, musica a palla, ubriacature, sporcizia, orinatoi e tanta maleducazione.

L’esodo dai centri storici, privatizzati da locali ed eventi chiassosi, è ormai inarrestabile.

Torino, foto di archivio Torinoggi.it

Si scappa, si fugge, disperati, dopo aver magari risparmiato una vita per comprarsi una casa che sia centrale e permetta, magari a chi non è più così tanto giovane, di poter fare una passeggiata senza troppi sforzi. Ma ormai, nella giungla urbana che ci circonda, questo non pare più possibile. Un miraggio, mentre si fa la gimcana fra bottiglie e bicchieri.

Ricordo questo fenomeno già nel centro di Bruxelles a inizi duemila. I belgi scappavano verso le periferie più verdi e salutari, lasciavano in centro dominato da delinquenza, un far west che oggi conosciamo anche noi. Un esodo verso quartieri più silenziosi, alla ricerca del silenzio, quello che oggi è un lusso da pagarsi a caro prezzo.

Abbiamo già parlato del silenzio, quello che ormai costa, e di quanto i cittadini soffrano dei disturbi sonori. Non solo economicamente ma anche in termini di sacrifici che si è obbligati a fare soprattutto in termini di chilometri e traffico. Perché se stai fuori città spesso i mezzi pubblici non funzionano, quando non mancano del tutto. Al danno la beffa.

Dopo il silenzio forzato del Covid, oggi i centri della città brulicano di turisti mordi e fuggi e di cittadini ser(i)ali confusionari che sembrano aver perso ogni controllo. Peggio di prima, pare, non abbiamo imparato nulla.

A Roma sono soprattutto Trastevere (e la povera piazza Trilussa) e il martoriato Campo de’ fiori in una città in preda al degrado (ne avevamo scritto nel 2017, nulla è cambiato), a Napoli via Chiaia, a Milano corso Como, a Ferrara tutto il centro. Per citarne alcune. In nome dell’economia. Ma quale? Quella dello spritz o del gin tonic?

Comitati di cittadini esasperati e imbufaliti (mi perdoni il bufalo) scalpitano e fanno appello alle loro amministrazioni comunali o ad altre entità di rilievo.

Ferrara, Piazza Verdi, foto Sky TG24

A Ferrara, ad esempio, sono nate varie petizioni (ad esempio Ferrara chiama Unesco) e varie pagine Facebook (fra queste, stop rumore!). Qualcuno li ascolterà?

Il Tribunale pare di sì, almeno inizia a farlo e bene. Quello di Brescia è stato un interessante apripista. A giugno 2023, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di quel Tribunale che, nel 2012, aveva condannato il Comune a versare 50 mila euro a due residenti esasperati. Il giudice riconobbe l’esistenza di danni biologici e patrimoniali per la movida “a causa del rumore antropico per gli schiamazzi di avventori di alcuni locali che stazionano nei pressi dei plateatici o dei locali su suolo pubblico”. Il Comune fece ricorso e il caso finì, appunto, in Cassazione.

Oggi la Suprema Corte conferma quella condanna (anche se ci sono voluti, punto dolente, oltre dieci anni…), con la seguente motivazione: “La movida per le strade di un quartiere crea un danno alla salute per “immissione di rumore” ai suoi residenti, i quali pertanto possono chiedere un risarcimento ai Comuni “che non garantiscono il rispetto delle norme di quiete pubblica e di conseguenza non tutelano la salute dei cittadini”. Per i giudici, “la pubblica amministrazione è tenuta ad osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni e, quindi, può essere condannata sia al risarcimento del danno patito dal privato in conseguenza delle immissioni nocive che abbiano comportato la lesione” del diritto alla salute, “ma anche del diritto alla vita familiare e della stessa proprietà”. A Torino si moltiplicano le class action peraltro vincenti. Per tutte ricordiamo quella di San Salvario.

Non è questione di bandiera, credetemi, di amministrazione di destra o di sinistra. La mia ormai pace dei sensi politica mi fa vedere questo crescente fenomeno, allarmante e inquietante, come un problema senza colore.

La maleducazione e la mancanza di rispetto degli altri è neutra, non è né rossa né nera. Spaventa il vuoto di valori, la mancanza di rispetto per l’altro (la tua libertà è più importante della mia?), il ruolo centrale del divertimento a tutti i costi, dello sballo senza limiti e confini che pervade anche la cronaca e la narrativa (soprattutto social) quotidiane.

Mi spaventano quei commenti aggressivi sui social che criticano chi vuole dormire sonni tranquilli e lo apostrofano come un vecchio rompi…c…che non sa(prebbe) godersi la vita. O che magari lo invitano, senza mezze parole, a ritirarsi in un eremo.

Continuo a chiedermi perché abitare in centro non siamo compatibile con un sano silenzio notturno o con una musica che non rompe i timpani e che magari termini all’ora giusta.

E perché, poi, gli schiamazzi notturni alla chiusura dei locali e il lancio di bottiglie? Perché nessuno controlla? Perché tanta indifferenza da parte delle amministrazioni locali?

Qualcuna agisce, svegliatasi dal torpore quasi di soprassalto: oggi ci sono i fiorentini steward della notte o quelli di Vigevano, ma in molte città italiane i cittadini organizzano ronde (o almeno ci hanno provato). Vi pare normale?

A Roma molti sono scappati, disperati, dal centro, sarà necessario anche a Ferrara?

Foto in evidenza Corriere Web

Parole a capo
Maria Cristina Sferra: “Le mani bambine” e altre poesie

La fantasia è un posto dove ci piove dentro.
(Italo Calvino)

Le mani bambine

Le mani bambine
distese sul tempo
rincorrono libellule
dalle ali d’argento.
Le mani bambine
carezzano piano
il sogno piccino
di un gioco leggero.
Le mani bambine
disegnano mute
la forma del giorno
nel giro del mondo.
Le mani bambine
dividono lente
le piccole gioie
dalle grandi sofferenze.

 

In fine

Tagliatemi le unghie,
che io non graffi la carne agli angeli
mentre arrampico sul declivio
verso l’assoluzione dalle pene.
Tagliatemi le unghie,
che non vi si infili sotto la terra,
l’aria, la tristezza. E la paura
di aver vissuto invano.

 

Ricordi

Ho messo ordine
tra i fogli sparsi
di capitoli infiniti.
Risme di parole
risuonano dal fondo
di un tempo smarrito.
Crepita la carta il suono
bianco del suo fuoco.
Ghirigori d’amore
e lacrime di fanciulla.
Lontani palpiti
di sospiri incompiuti.
In un luogo perduto
gemono piano i ricordi.

 

Fa che io sia la strada

Calpesta il mio sentiero
con passi di vento selvaggio.
Affonda le tue mani
nella mia terra fertile e greve.
Respira l’orizzonte
oltre le colline dei miei fianchi.
Fa che io sia la strada
su cui camminare verso il mondo.

 

Tu danzi

Sul bordo tra la luce e l’ombra,
sul filo aspro della lama,
sopra il margine del tempo,
sul filo lieve della vita,
tu danzi.

(Queste poesie sono tratte dalla raccolta “Attraverso il tempo”, Independently published 2021, su gentile autorizzazione dell’autrice)

Maria Cristina Sferra, nata a Novara nel 1965, vive a Milano.
Giornalista professionista e graphic designer, scrive per lavoro e per passione. Sul sito personale cristinasferra.wordpress.com, condivide narrativa e poesia.
Collabora con l’associazione culturale Cultura al Femminile e il relativo portale web, dove recensisce libri e cura la rubrica Lettere al Femminile. Suoi racconti e poesie sono inclusi in antologie collettive pubblicate da case editrici varie. Dell’antologia Storie sbagliate (Golem Edizioni, 2020), a cui ha partecipato con diverse poesie, è anche co-curatrice e firma il progetto di copertina.
Autrice indipendente, nel 2014 pubblica il romanzo A mezzogiorno del mondo (una storia d’amore), nel 2016 la silloge poetica Il soffio delle stagioni e la raccolta di racconti L’amore è una sorpresa, nel 2017 la silloge poetica Ombra di luna, nel 2019 il diario esperienziale Il corpo morbido (per)corso di teatro, nel 2021 la raccolta di pensieri e immagini White (pagine bianche) e la silloge poetica Attraverso il tempo, nel 2022 la silloge poetica Anima liquida.

LO SCAFFALE POETICO
Da alcune settimane inseriamo nella rubrica alcune segnalazioni editoriali interne (o contigue) al mondo della poesia. Questa settimana diamo spazio anche ad alcune recenti uscite editoriali che “parlano” di Italo Calvino, nel centenario della sua nascita. Buona lettura e ricerca
 poetica.

Italo. Una biografia, ricordi e sei articoli”, di Bernardo Valli, Edizioni Ventanas, 2023.
“Guardare. Disegno, cinema, fotografia, arte, paesaggio, visioni e collezioni”. (a cura di Marco Belpoliti), Ed. Mondadori, 2023

  • Miriam Bruni, Concentrati sul cromosoma celeste, Ed. Il Seme Bianco, 2022
  • Roberto Dall’Olio, La ballata di Jan e versi boemi, Pendragon, 2022
  • Franco Stefani, Istanti, Genesi Editrice, 2019

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio.
Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.

Per leggere il Bando e partecipare al Premio Internazionale Senza Premi “Le nostre parole per l’Alluvione” [Vedi qui]

Crollano i salari, L’Italia è maglia nera.

Tratto da Collettiva del 14.07.23

L’Ocse certifica il calo delle retribuzioni: giù del 7,5%, nessuno ha fatto peggio di noi. Le soluzioni? Salario minimo e contrattazione collettiva

L’Italia è il Paese che ha registrato il calo dei salari reali più forte tra le principali economie Ocse. Alla fine del 2022, erano crollati del 7% rispetto al periodo precedente la pandemia. Una discesa continuata nel primo trimestre di quest’anno, con una diminuzione su base annua del 7,5%.

L’Outlook 2023 dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (che riunisce 38 Paesi con Pil pro-capite medio-alto) non porta buone notizie. L’aggressione russa contro l’Ucraina ha contribuito a un’impennata dell’inflazione, che non è stata accompagnata da una corrispondente crescita dei salari nominali. Di conseguenza, i salari reali sono diminuiti praticamente ovunque.

Italia, maglia nera

Ma qui emerge il record negativo del nostro Paese. In media, nel primo trimestre 2023 i salari reali sono diminuiti del 3,8% rispetto all’anno precedente (i dati disponibili sono su 34 Paesi Ocse). Ma noi abbiamo fatto peggio degli altri: il 7.5%, praticamente il doppio.

Anche le previsioni non sono buone. Da un lato, nei prossimi due anni il mercato del lavoro rimarrà sostanzialmente stabile, con una crescita dell’occupazione totale inferiore all’1% sia nel 2023 sia nel 2024 (a maggio il tasso di disoccupazione in Italia era al 7,6%, la media Ocse è 4,8%). Dall’altro, i salari nominali aumenteranno del 3,7% nel 2023 e del 3,5% nel 2024, ma l’inflazione si attesterà al 6,4% nel 2023 e al 3% nel 2024.

Le soluzioni dell’Ocse

Alla conclusione della sua analisi, l’Ocse offre anche soluzioni per mitigare la perdita di potere d’acquisto dei lavoratori e garantire una più equa distribuzione dei costi dell’inflazione tra imprese e lavoratori. “Il mezzo più diretto per aiutare questi ultimi – si legge nel report – è quello di aumentare i loro salari, compreso il salario minimo legale, che è fissato dallo Stato”.

Sull’Italia pesa “l’assenza di un salario minimo” (presente in 30 Paesi Ocse su 38), ha precisato il direttore per l’Impiego e il lavoro Stefano Scarpetta. L’economista ha rimarcato “l’importanza di avere in momenti come questo un salario minimo, accompagnato da una commissione tripartita per valutarne il livello”. Secondo l’esponente Ocse il nostro Paese dovrebbe fare come la Germania, che nel 2015 ha introdotto il salario minimo pur avendo (come l’Italia) una “forte contrattazione collettiva”.

La seconda soluzione, appunto, è la contrattazione collettiva. Ma c’è un “però”: in Italia i salari fissati dai contratti collettivi sono diminuiti in termini reali di oltre il 6% nel 2022. L’Ocse, infatti, sottolinea che “i significativi ritardi nel rinnovo dei contratti collettivi (oltre il 50% dei lavoratori è coperto da un contratto scaduto da oltre due anni) rischiano di prolungare la perdita di potere d’acquisto per molti lavoratori”.

Nello stesso tempo In generale, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ritiene che ci sia “spazio per i profitti per assorbire aumenti salariali, almeno per i lavoratori a bassa retribuzione” e che i governi “dovrebbero riorientare i sostegni in maniera più mirata sulle famiglie a basso reddito”.

Vite di carta /
Se “Come d’aria” vince il Premio Strega 2023…

Vite di carta. Se Come d’aria vince il Premio Strega 2023

Se “Come d’aria” di Ada D’Adamo vince il Premio Strega 2023 e se come mi hanno detto alcuni lettori esperti è un libro di valore, in una notte torrida di queste apro il tablet e subito dopo il pdf che ne contiene il testo.

So che l’autrice non c’è più, che ha saputo di essere nella dozzina dei libri finalisti nel suo ultimo giorno di vita. Penso che una coincidenza come questa  deve aver rafforzato l’onda emotiva che il libro suscita di per sé con la storia che ha dentro.

vite di carta come d'aria ada d'adamo premio strega 2023Daria è la figlia che Ada ha avuto sulla soglia dei quarant’anni: è una bambina minuscola il cui destino è segnato da una grave patologia cerebrale e dalla diagnosi mancata nei mesi della sua gestazione.

Dopo poco più di dieci anni Ada scopre di essersi ammalata di tumore e questa scoperta terribile le dà l’occasione di raccontare alla figlia la loro storia insieme.

Le parla dei mesi dell’attesa, del parto e del tunnel di disperazione in cui è caduta durante i suoi primi mesi di vita, vedendola soffrire e apprendendo la diagnosi della malformazione da cui è affetta. Non le nasconde che il suo arrivo ha portato uno tsunami nella vita sua e del suo compagno.

Si muove avanti e indietro  nella vita di madre che ha condotto con immensa  difficoltà avendo a fianco il babbo col suo amore incondizionato per Daria, e intanto riproduce i gradi della consapevolezza guadagnata giorno dopo giorno di  avere trovato  in questa figlia speciale la bellezza che ha sempre inseguito. Cercandola nella danza, nella scrittura.

Descrive i gesti, i canali sensoriali con cui ha comunicato con la figlia, la loro simbiosi.

Nella fase avanzata della malattia si esprime così: “La riduzione della vista, della mobilità, la rachicentesi che mi impone svariati giorni di stare sdraiata… La tua badante diventa anche la mia. La domenica il babbo ci solleva entrambe dal letto. È così che, ancora e ancora, continuo a identificarmi con te. Il mio corpo sperimenta, seppur in misura ridotta, i limiti del tuo. Prima li conoscevo, li sentivo, li toccavo attraverso te; poi ho cominciato via via a incorporarli”.

Non si fa peccato a  svelare le ultime parole del libro. Sembrano così leggere, così legate al titolo da formarci un gioco di parole, uno scioglilingua, in cui ogni lettera è iniziale dei nomi dei protagonisti. Ada lo scrive per Daria e le dice “Senti se ti piace: d’adamo – d’ada – d’a(di)a – d’a(ri)a – d’aria”.

A è l’iniziale del nome Ada e Alfredo, il babbo, suo compagno e poi marito. Per loro AdA è l’acronimo che significa “Ada di Alfredo” e inversamente “Alfredo di Ada”; quando è nata la loro bambina la “di” che indicava il reciproco possesso è divenuta D. Al centro esatto del loro amore, “un amore d’aria“, ecco il nome della loro piccola, l’omofono senza apostrofo che suona Daria.

La veglia indomabile di questa notte mi rende gradevole la luce lunare che esce dallo schermo del tablet. Mi domando cosa sia meglio fare di un libro come questo, che ho letto fino all’ultima parola senza potermene staccare. L’onda emotiva ha raggiunto sicuramente anche me. Trovo tuttavia inconfutabile che si tratti di una altissima testimonianza di ciò che può la sensibilità umana.

Investita dal cono di luce verdognola, cerco di dargli un destino diverso da quello che ha già conseguito vincendo un premio letterario: lo metto idealmente in una piccola capsula, che possa salire tra gli spazi siderali, una moderna bottiglia che non lancio nell’oceano, ma più su.

Lo troveranno gli altri di altri mondi?  È un divertissement fatto tante volte con gli studenti: “guardati allo specchio e descriviti con gli occhi di un extraterrestre piccolo piccolo che ti vede per la prima volta.”

Un cartiglio fatto di poche frasi spiegherebbe agli altri di altri mondi che questo libro rivela di cosa sia capace l’interiorità di una donna, vissuta nella parte occidentale del mondo agli inizi del terzo millennio.

Di come la sua cultura e la educazione alle arti le abbiano affinato la capacità di guardare lucidamente la società malata, quella sì, in cui vive. Di tollerare i più poveri di spirito, di accogliere la diversità e di trovare la bellezza, anche dove il caso maligno è andato a nasconderla di più.

Nota bibliografica:

  • Ada D’Adamo, Come d’aria, Elliot,2023

Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

Salari poveri e profitti ricchi.
L’ingiustizia “dedicata a te”

L’ingiustizia “dedicata a te”

I salari reali nel 2022, quelli cioè calcolati dopo l’inflazione, sono in calo in 30 paesi su 34 tra quelli che formano l’OCSE, l’organizzazione dei paesi occidentali. La fonte è la stessa Ocse che certifica il disastro sociale in atto che colpisce la grande maggioranza dei lavoratori (quelli meno pagati perdono ancora più della media). Solo i dipendenti di Belgio, Costa Rica, Olanda e Israele vedono aumentati i loro salari reali. In Usa calano dello 0,7%, per arrivare fino alla massima flessione dell’Ungheria (-15%). All’interno dei singoli paesi solo una piccola percentuale di dipendenti (ad alto salario, quadri e tecnici) e i grandi manager vedono crescere il loro potere d’acquisto. Così aumenta ancora la disuguaglianza.

La strategia delle banche centrali è quella di aumentare ancora i tassi di interesse per combattere una inflazione che però non cala (o cala troppo poco) in quanto è determinata da un aumento dei profitti e dei prezzi delle imprese. Essendo venute meno tutte le forme di controllo sociale e contrattuale sui prezzi, a pagare sono in ultima istanza i lavoratori.

I salari degli italiani hanno perso in media il 7,5%, una delle maggiori flessioni (siamo al 28° posto su 34). Per i salari più bassi la perdita è ancora maggiore e sale a -10,3% anche nel 1° trimestre del 2023, avendo l’Italia una delle inflazioni più alte al mondo, a causa della mancanza di controlli sia sui prezzi delle imprese che dei negozi. Com’è noto la causa principale dell’inflazione non sono più le materie prime, ma la mancanza di controllo sui prezzi delle imprese che stanno approfittando del clima di guerra, nonchè dei passati aumenti dei costi dell’energia e delle materie prime (ora però in forte calo).

Anche per il 2023 le previsioni sono pessime. Nella media dei paesi si prevede un aumento dei salari del 3,7% ma una inflazione del 6,4% (6% per l’Italia); questo significa che la previsione è di una ulteriore perdita di potere d’acquisto del 3-4% almeno per 8 italiani su 10.

L’Istat ha comunicato al Parlamento, in una specifica audizione, che l’introduzione del salario minimo a 9 euro all’ora, porterebbe ad aumentare i salari di 3,6 milioni di italiani per una media di circa 804 euro all’anno (inclusi 500mila apprendisti), con un aumento del monte salari di 2,8 miliardi. I beneficiari sarebbero coloro che guadagnano meno di 9 euro all’ora, giovani e donne che lavorano nei servizi, in agricoltura e al Sud.

Ma al momento il Governo è contrario. Nel frattempo vara una misura-carta che prevede un impegno di 1,3 miliardi denominata “Dedicata a te”, che darà a circa 1,3 milioni di famiglie individuate dall’Inps (non dai Comuni) 382,5 euro di bonus alimentare (76 euro al mese da agosto a dicembre 2023). Bisogna avere un Isee fino a 15mila euro (il doppio di quello che serviva per ottenere il Reddito di Cittadinanza). In Italia sono 15 milioni le persone sotto quella soglia. La misura è chiaramente limitata a un piccolo gruppo di famiglie, è di modesta entità (un’elemosina) e serve ad oscurare il fatto che da agosto perderanno il RdC 350mila persone (altre 265mila da gennaio prossimo). Non va a chi ha già il RdC e non è mirata ai “veri” poveri (che conoscono solo le anagrafi comunali), ma alle famiglie con 3 componenti che non sono né povere né benestanti. Un primo criterio è la differenza tra reddito medio locale e nazionale, per cui ci saranno famiglie con Isee a 15mila euro con il bonus e altre con Isee molto più basso senza bonus, a seconda se vivono in un posto più o meno ricco e popoloso. Un altro criterio è la numerosità della famiglia e la presenza di figli. Viene così stilata una classifica dall’Inps e si procede “in ordine di priorità decrescente”. Una misura limitata, palliativa e senza alcun principio universale: l’ennesimo bonus elettorale ad un gruppo di famiglie, nonostante si sappia bene che in Italia ci sono 5,6 milioni di poveri assoluti.

Il Governo vuole dimostrare che pensa agli ultimi, ma in realtà toglie a tutti quelli che lavorano attraverso la riduzione del potere d’acquisto del salario reale, non introducendo il salario minimo e riducendo il Reddito di Cittadinanza da 8 a 5 miliardi. Si procede “in ordine di priorità decrescente”: prima le famiglie con tre componenti, poi, se avanzassero risorse (che non ci sono), andrebbero anche agli altri: sono questi i nuovi “poveri” del governo Meloni.

LETTERA APERTA di SAVE THE PARK:
E’ consapevole la Regione Emilia Romagna di stare contribuendo finanziariamente allo scempio del Parco Giorgio Bassani?

LETTERA APERTA

Lo studio di Unife sull’indotto economico del concerto del 18 maggio, o meglio il resoconto che ne ha dato il Sindaco, ci ha consegnato un bilancio, che appare lusinghiero fondamentalmente per due settori, quelli ricettivo e della ristorazione. Molto meno per i lavoratori coinvolti, assunti con contratti precari e salari bassi: i numerosi operatori della vigilanza messi in campo per impedire prima e dopo il concerto l’accesso all’area, e ancora all’opera, hanno un contratto che prevede poco più di 6 (sei) euro all’ora.

Nulla dice dei danni ambientali: devastanti quelli al manto erboso, non ancora quantificabili quelli alla fauna e all’ecosistema nel suo complesso, dato il perdurante divieto di accesso all’area e i tempi comunque lunghi per la loro valutazione

Viene fornita inoltre per la prima volta una cifra relativa all’investimento, a carico questo di tutta la comunità, visto che si tratta di soldi pubblici. Il dato indicato, un milione di euro secondo quanto dichiarato, fornito comunque in maniera non analitica, è relativo sia all’organizzazione del concerto, sia al “ripristino” del parco. Poiché di un ripristino molto particolare si tratta, in quanto il parco sta subendo profonde modifiche rispetto allo stato precedente, la più eclatante delle quali è il rifacimento dei percorsi interni che vengono asfaltati e portati a 6 m di larghezza (dimensione oltre il minimo previsto per le strade provinciali), alcune domande sono ineludibili.

Con quale strumento di pianificazione si è deciso di trasformare il Parco Giorgio Bassani in area dedicata ai grandi eventi, snaturandone il progetto originario?

Esiste un progetto di trasformazione e quali atti sono stati compiuti per approvarlo e per affidare i lavori relativi?

Fino ad ora le richieste di informazione per rispondere a questi interrogativi hanno avuto esito negativo per la totale chiusura del Comune, anche nei confronti degli stessi Consiglieri comunali.

Ma soprattutto sarebbe interessante sapere, poiché tutti gli interventi, sia di preparazione del concerto sia di “ripristino” appaiono parte di un unico incarico affidato alla fondazione Teatro Comunale, sono consapevoli i finanziatori, e in particolare la Regione Emilia Romagna (100.000 euro tramite APT), che con le loro risorse si sta operando lo scempio al quale, con grande dolore, stiamo assistendo giorno dopo giorno? Nonostante la Regione stessa nel suo Piano Territoriale Paesistico Regionale classifichi l’area “di interesse naturalistico e paesaggistico” e come “ambito in cui definire progetti di tutela, recupero e valorizzazione”.

Comitato Save the Park
Ferrara, 14 luglio 2023

In copertina: Illuminazione-percorso-ciclopedonale-Parco-Urbano-Bassani

 

The soul of Porretta, Memphis Tennessee .
20 / 23 luglio 2023: un festival imperdibile

The soul of Porretta, Memphis Tennessee : 20 / 23 luglio 2023 Porretta Soul Festival

Dal punto di vista geografico, Porretta Terme è una frazione situata nell’Appennino Tosco-Emiliano, nella valle del fiume Reno, ed è la sede comunale del comune di Alto Reno Terme, nella città metropolitana di Bologna, in Emilia-Romagna.

Dal punto di vista etimologico, il toponimo Porretta deriverebbe dal latino porrectus da porrigere nel significato di “esteso”, “lungo”. Dal punto di vista termale, le acque delle terme di Porretta utilizzano le proprietà salutari di diverse fonti e i preziosi attributi di sorgenti benefiche: sulfuree, ricche d’idrogeno solforato, salsobromoiodiche, copiose di oligoelementi, sale e iodio.

Dal punto di vista musicale, Porretta è sede da 35 anni del Porretta Soul Festival – Tribute to Otis Redding  The sweet sound of rhythm & blues.

Infatti, il festival è diventato nel tempo il più prestigioso appuntamento europeo dedicato interamente alla musica soul e rhythm & blues, con un riferimento particolare alla musica di Memphis, il Memphis Sound, la scuola musicale del grande Otis Redding, al quale il festival è dedicato.

Il festival nacque il 10 dicembre 1987 per iniziativa di Graziano Uliani, appassionato di musica soul, il quale, dopo aver partecipato alle celebrazioni per il ventesimo anniversario della morte di Otis Redding a Macon, in Georgia, decise di organizzare un festival in suo onore.

Bobby Rush & Latimore. ph Mauro Presini
Otis Clay. ph Mauro Presini

In oltre trent’anni da Porretta sono passati i più bei nomi del soul, molti di questi giunti appositamente per la prima volta in Europa, altri, autentiche leggende, scovati in sperdute località del deep south, il profondo sud degli States e riproposti al pubblico e alla stampa internazionale, che ha parlato del ‘miracolo di Porretta’ come dell’evento musicale degli ultimi anni.

Qualche nome mitico tanto per fare qualche esempio: Rufus Thomas, Sam Moore, Wilson Pickett, Carla Thomas, Mavis Staples, Otis Clay, The Bar-Kays, Shirley Brown, Solomon Burke, Isaac Hayes, The Neville Brothers, Joe Simon, Ann Peebles, Percy Sledge, William Bell, The Blues Brothers, Syl Johnson,. The Memphis Horns, James Carr, Spencer Wiggins, Bobby Rush e l’elenco può continuare a lungo.

Rufus Thomas, ph Mauro Presini

Gli addetti ai lavori hanno dovuto anche rivedere la geografia della musica nera, inserendo Porretta nel percorso dei grandi avvenimenti musicali. Porretta è così entrata di diritto nelle enciclopedie e nelle biografie ufficiali dei grandi interpreti del soul, tanto che si è guadagnata un posto nel prestigioso Stax Museum of American Soul Music a Memphis.

Ho partecipato a moltissime edizioni del festival come appassionato e come fotografo e, oltre alla qualità musicale incredibile, è doveroso sottolineare l’accoglienza calorosa, l’atmosfera unica ma soprattutto l’anima sincera di Porretta che, nei giorni del Festival, diventa un meraviglioso luogo interculturale dove “pace, amore e musica” non è solo uno slogan di altri tempi, ma un modo di essere e di vivere insieme fraternamente: pubblico e musicisti.

Solomon Burke. ph Mauro Presini

A Porretta ci sono il parco Rufus Thomas, via Otis Redding, il Solomon Burke Bridge, un vicolo dedicato a Sam Cooke e splendidi murales, che rendono le montagne dell’appennino orgogliose di creare uno splendida cornice a questo quadro capolavoro rappresentato dal Soul Festival.

In pratica, dal punto di vista della salute psicofisica, Porretta è un luogo corroborante dove andare a farsi del bene.

Wilson Pickett. ph Mauro Presini
Syl Johnson. ph Mauro Presini

Quindi il mio invito a visitare Porretta (partecipando alla trentacinquesima edizione del festival che si svolgerà nei giorni 20, 21, 22 e 23 luglio prossimi) è rivolto non solo a tutti gli appassionati di questo fantastico genere musicale, ma a tutti coloro che credono in una fratellanza universale, dove la musica aiuta ad immaginare un mondo migliore.

Comunque la pensiate buon viaggio musicale a Porretta Terme, ormai diventata a buon titolo provincia di Memphis, Tennessee.

In copertina: Alvon Johnson in concerto al Porretta Soul Festival. Cover e foto nel testo sono di Mauro Presini

Per leggere gli articoli di Mauro Presini su Periscopio clicca sul nome dell’autore

Parole e figure /
Notiziario (triste). Niente da dichiarare!

È appena uscito in libreria “Notiziario”, di Armin Greder, con Orecchio Acerbo editore: uno sguardo che non lascia mai nell’indifferenza. Lo shock è servito!

Informazioni che sono prese da fonti ufficiali, agenzie di stampa, pubblicità alla portata di tutti nel web o video su Facebook e Youtube. L’acqua pura ottenuta dallo scioglimento del ghiaccio delle Svalbard, venduta a 100 euro la bottiglietta; le 160.000 visualizzazioni di Autumn Fry, bambina di otto anni in Pennsylvania, filmata dal padre mentre impugna un lanciafiamme, un astuccio di tela da 8 orologi che dispone di un cassettino estraibile per nascondere altri oggetti di valore al prezzo di 7.200 dollari.

Accanto a notizie del genere Armin Greder si limita – senza aggiungere nemmeno una parola di commento – a giustapporre queste altre informazioni: bambini che fanno ore di cammino sotto il sole per due taniche d’acqua, ragazze reclutate e poi violentate dai gruppi armati nel nord-est della Nigeria. Spa, ristoranti, crociere.

Accanto a fame, povertà, fuga. Benvenuti nel nostro meraviglioso mondo. L’incredibilità del reale che supera ogni più fervida immaginazione.

Un autore che tace perché sa che il giudizio è già negli stessi fatti. Basta leggere le notizie per avere la misura della folle e cieca corsa che l’umanità ha intrapreso.

Un j’accuse che si riempie di senso nel solo susseguirsi delle notizie quotidiane.

Powered by Issuu
Publish for Free

Armin Greder è fumettista, graphic designer e illustratore. È emigrato in Australia nel 1971, dove ha insegnato design e illustrazione al Queensland College of Art. Al suo lavoro sono state dedicate numerose mostre personali e collettive dalla Germania fino al Giappone.

Nel 1996, ha ricevuto il Bologna Ragazzi Award e l’IBBY Honour List con “The Great Bear” di Libby Gleeson (Scholastic Press). Con Libby Gleeson ha pubblicato anche: “Big dog” (1991), “Sleep time” (1993), “The princess and the perfect dish” (1995) e “An ordinary day” (2001). “Die Insel” (“L’isola” orecchio acerbo, 2008) pubblicato da Sauerlander nel 2002, è il libro di cui per la prima volta è anche autore dei testi. È tradotto in moltissime lingue e ha ricevuto premi in tutto il mondo, fra cui il Goldener Apfel/Golden alla Biennale di Illustrazione di Bratislava del 2003.

Armin Greder, Notiziario, Orecchio Acerbo editore, 36 p., luglio 2023

Libri per bambini, per crescere e per restare bambini, anche da adulti.
Rubrica a cura di Simonetta Sandri in collaborazione con la libreria Testaperaria di Ferrara

Daniele che combatteva senza armi contro le rotture della Sinistra

Diversi scritti  e anche discorsi  nel consesso cittadino hanno ricordato una persone meritevole di riconoscimento come lo è stato Daniele Lugli. Mi sento anch’io  in dovere di ricordarlo come persona che ho conosciuto e ho potuto apprezzarne le sue qualità, particolarmente quelle politiche e professionali. Daniele purtroppo ha cessato di vivere, di recente mentre faceva il bagno nel mare Adriatico davanti al lido di Spina. Lo conoscevo da tempo. La prima volta era venuto a Filo d’Argenta  negli anni sessanta, ancora giovanissimo per  un confronto  pubblico tra esponenti politici. Non aderivamo alla stessa forza politica, ma le sue scelte di sostenitore della non violenza e di pacifista, ci hanno comunque accumunati su un punto, quello inerente la comune contrarietà alle rotture a sinistra. Quelle che hanno tormentato anche le vicende della sinistra ferrarese nello stesso secondo dopoguerra, quando sono state effettuate le formazioni dei governi del paese compiute e operate con scelte di rottura prodotte da errati condizionamenti. Vi sono state rotture che sarebbero state ancora più dolorose e profonde se alcuni non vi si fossero contrapposti compiendo scelte contrarie alle divisioni, come Daniele fece assieme ad altri compagni. Impendendo conseguenze di rotture più dolorose nei comuni, anche nel capoluogo e nelle stessa Amministrazione provinciale. Questo lo ha fatto sul piano della sua autonoma collocazione politica, che è bene  ricordare e anche per questo merita di essere apprezzato.

Immagine tratta da Azione Nonviolenta

 

Aggiungo vicende personalmente vissute. In una delegazione formatasi ed ospitata per il gemellaggio con la Contea inglese Swansea di cui eravamo  entrambi componenti, siamo stati tra l’altro  a visitare l’ambiente lavorativo in  una miniera, le cui gallerie erano profonde oltre i 500 metri, vietate alle donne e l’abbiamo percorsa con l’acqua che superava in alcuni punti anche i 50 cm. Ci interessava capire in quali condizioni di lavoro si poteva essere indotti. Un lavoro disumano e da schiavi anche nella civiltà industriale.

Rammento anche del ruolo svolto da funzionario delle segretaria della amministrazione provinciale per suggerirci e stimolarci nell’acquisto di palazzo “Giulio D’Este” ove è attualmente alloggiata la Prefettura di Ferrara. La stava acquistando negli anni 80’ del secolo scorso una ditta privata, ma compiendo l’acquisto da parte della provincia, per lo stesso prezzo già concordato, abbiamo potuto, dopo adeguato restauro, liberare il castello Estense di Ferrara dall’abitazione del Prefetto e dagli uffici della prefettura e metterlo a disposizione di funzioni ben più adeguate e consone a mostre, convegni e esposizioni. Adesso lo si può fare e si fa. Non è un merito trascurabile.

Nella  sua dedizione al proprio lavoro di pubblico dipendente, è  riuscito a rintracciarmi telefonicamente in Alto Adige, nel mese di agosto quando le comunicazioni non erano facilitate dall’uso dei cellulari, per comunicarmi le osservazioni pervenute dalla Sovraintendenza alle belle arti relative ad un importante progetto di restauro in città di una importante istituzione scolastica.

Infine trovo particolarmente idoneo al ricordo personale di una sua passione, meno nota e naturale. Quella della raccolta dei funghi. Con una delegazione di amministratori e tecnici della provincia di Ferrara eravamo partecipi di un convegno nazionale a Fiuggi promosso dall’Unione delle Province .  Il presidente che sapeva della nostra comune “passione” è arrivato dentro la sala del convegno portandosi un sacchetto pieno di funghi porcini lasciandoci intendere che li aveva trovati casualmente nel bosco lungo la strada, che da Roma raggiunge quella località termale. Li aveva acquistati da raccoglitori, ma noi abbiamo abboccato e in ogni caso erano veramente germinati. Con Daniele, non avendo abiti idonei per entrare nel bosco di primo mattino, che era il momento che potevamo utilizzare per tentare la fortuna, acquistati stivaletti di gomma , calzoni e camicia, e all’alba del giorno dopo, senza disturbare l’autista, ne ridurre la nostra partecipazione al convegno, ci siamo inoltrati  nel bosco che partiva al termine dell’abitato.. Non abbiamo trovato molto, poche russole, ma ci abbiamo provato e infine l’esortazione: Daniele Lugli persona meritevole di riconoscimento, uomo dei diritti, da ammirare per coerenza e bontà, per il grande impegno per la pace e l’impegno unitario della sinistra e un saluto come ho sempre  fatto quando l’ho incontrato in bici  per strada,  per le scelte e gli atti compiuti. Quando ci incontravamo, uno scambio di saluti, con frequenza degli incontri,  sempre in calare col crescere degli anni e ora purtroppo non è  più possibile, e con tanto  dispiacere, …… semplicemente …   ciao Daniele.   

Giorgio Bottoni

Donne vittime di violenza economica. Quale aiuto dalla legge?

Divorzio e donne sull’orlo di una crisi di nervi, vittime di violenza economica. La legge 3/2012 corre in loro aiuto

Due storie emblematiche di come un divorzio possa penalizzare il gentil sesso. 37 su 100 ricorrono ai Centri antiviolenza proprio per questo tipo di pressione, psicologica e non. Il Codice della Crisi ha permesso di cancellare situazioni al limite e far ritrovare la serenità perduta. 

I numeri parlano chiaro. In Italia, ancora oggi, il 40% delle donne non dispone di un proprio conto corrente e il 37,8% di quelle che si rivolgono a un centro antiviolenza lo fa anche per casi di violenza economica, un retaggio culturale e un tabù sociale alquanto duri da spezzare.

Proprio per questo già a partire dal 2021 Banca d’Italia, il Consiglio Nazionale del Notariato insieme a circa 250 associazioni locali per la parità di genere hanno promosso un progetto di educazione finanziaria. “Purtroppo le scarse conoscenze economico finanziaria – spiega l’avvocato Letterio Stracuzzi, presidente di Protezione sociale italiana – espongono il gentil sesso a altro tipo di violenza, esercitata dai loro mariti, compagni o ex mariti. Parliamo della violenza economica. Capita molto spesso che le donne che hanno proprietà immobiliari o un rapporto di lavoro fisso, sono quasi costrette a prestare garanzie personali per le attività del marito, sia in attività artigiane, quindi piccoli imprenditori, sia in società commerciali. Poi, quando l’impresa del marito cessa o fallisce, il marito comunque scappa via, e la donna si trova a sopportare le spese”.  

Quella di Angela, ad esempio, è la storia di una madre che si è trovata in una situazione di indebitamento per le garanzie prestate in favore dell’impresa, fallita nel 2016, dell’ex marito: “Garanzie -prosegue l’avvocato Stracuzzi - per mutui di liquidità e finanziamenti. A seguito del fallimento i coniugi hanno deciso di divorziare e, nel 2019, l’ex marito si trasferisce all’estero e lascia la donna e le due figlie senza alcun tipo di sostegno, con banche e finanziarie alle calcagna. Per questo, Angela si rivolge a noi e, in particolare all’Organismo di Composizione della Crisi di Pavia, competente per territorio, per poter beneficiare della legge 3/2012, la cosiddetta legge anti-suicidi, oggi Codice della Crisi, e risolvere la propria situazione“.    

Angela, grazie all’Organismo di Composizione della Crisi (Occ) di Protezione sociale italiana, ha proposto di risolvere la propria situazione di indebitamento -pari a 938.000 euro- offrendo ai creditori la somma di 48.000 mila euro in 6 anni. La cifra offerta risulta superiore a quella che i creditori potrebbero incassare dalla vendita all’asta dell’unico immobile di proprietà. L’istituto della legge 3/2012 che l’Organismo ha deciso di applicare, in favore di Angela, è quello del Piano del Consumatore. L’applicazione dell’istituto non richiede che la proposta del debitore ottenga il consenso dei creditori: “Una storia a lieto fine – commenta Stracuzzi – che ha permesso ad Angela e alle sue figlie di ritrovare la serenità perduta”. 

La storia di Maria è, invece, la storia di una madre divorziata che, anche in questo caso, per il fallimento dell’impresa dell’ex marito si è trovata in una situazione di indebitamento con le banche per le garanzie prestate in favore dell’ex coniuge: “Maria – spiega l’avvocato Stracuzzi – era in una situazione di indebitamento con le banche importante. Si rivolge cosi a Protezione sociale italiana e al suo Occ di Milano, competente per territorio, per ricevere i benefici previsti dalla legge 3/2012: Maria ha proposto di risolvere la propria situazione di indebitamento, pari a 194.600 euro, offrendo ai creditori la somma mensile di euro 200 per 36 mesi. L’istituto della legge 3 che l’Occ ha deciso di applicare in favore di Maria è quello della Liquidazione controllata. L’applicazione dell’istituto non richiede che la proposta del debitore ottenga il consenso dei creditori”.  

Con sentenza del 15.12.2022, il Tribunale di Milano -giudice dott.ssa Rosa Grippo- nel procedimento NRG 358/2022 ha accolto la proposta di Liquidazione controllata di Maria e la ha ammessa a ottenere il beneficio dell’esdebitazione: “E anche in questo caso – afferma Stracuzzi – la famiglia di Maria ha ritrovato un pizzico di serenità”. 

Dal 2012 ad oggi – conclude Stracuzzi – sono oltre 3.000 i suicidi per motivi economici. Una cifra preoccupante che poteva essere decisamente più alta, forse anche del doppio, se non avessimo avuto la possibilità di ricorrere a questa normativa. In poco più di 5 anni, per fortuna, siamo riusciti a stralciare oltre 130 milioni di euro di debiti. Soldi che, attraverso sentenze dei Tribunali, abbiamo tolto dalle spalle di molte famiglie e imprese che versano in crescente difficoltà”.  

 

Diario in pubblico /
Non sono una signora (per nostra disgrazia)

Diario in pubblico. Non sono una signora (per nostra disgrazia)

Tra l’aria che tira dal mare e il calor che ci confonde in un momento di delusione cosmica decidiamo di seguire in tv un programma condotto da Alba Parietti, un tempo musa ispiratrice di filosofi e critici impegnati. Il titolo sembrava invitante: Non sono una signora.

Detto fatto programmiamo ed ecco apparire il volto ben noto, appena scalfito dall’età. Vicino a lei imponenti drag queen osservano con evidente disprezzo i/le candidati/e. Cerco la definizione del termine che così definisce questo tipo di attore:

“Artista, generalmente omosessuale o transessuale, che si esibisce in spettacoli di varietà travestito da donna, sfoggiando un trucco e un abbigliamento volutamente appariscenti, improntati a un’idea di femminilità eccessiva e talvolta parodica”.

Diligentemente vado alla ricerca del soggetto dello spettacolo che così viene esposto:

“In ciascuna puntata, cinque celebrità del mondo dello spettacolo, sport e cultura – rese irriconoscibili da un team di esperti in make-up e styling- si mettono in gioco nei panni di splendide Drag Queen e si sfidano in una gara a eliminazione nelle discipline più iconiche del mondo Drag.[..].

A giudicare, invece, le performance dei concorrenti, e a stabilire “chi” per ogni sfida deve abbandonare il programma, è una giuria di Drag professioniste. A loro il compito di valutare abbigliamento, performance e attitudine di ciascun concorrente e mostrare al pubblico che una Drag non è semplicemente un uomo con vestiti da donna, ma molto di più…”.

Nel nome, dunque, della parità dei sessi e di quanto nel mondo produca vado rinfrescare la memoria su questa definizione

“LGBTQIA. Cosa significano tutte queste lettere? La comunità LGBT è una comunità molto variegata, che rappresenta molte identità sessuali e di genere. L’acronimo significa lesbica, gay, bisessuale e transgender. Comunque si tratta solo della punta dell’iceberg.

Un altro acronimo è LGTBQQIAA, che aggiunge queer, questioning (indeciso), intersessuale, asessuale e ally (simpatizzante). Altri acronimi possono includere un asterisco (*) a significare ogni altra lettera omessa. Per semplificare le cose, molte persone, invece di un acronimo usano “queer” come termine-ombrello più inclusivo.”

E a questo punto ci accingiamo alla visione, che risulta tra le più orribili, orrende, potrei dire ‘schifose’ manifestazioni di ogni tipo che mi sia capitato di vedere! E questo con la compiaciuta compartecipazione della conduttrice, che arriva a coinvolgere lo stesso figlio che, da bel ragazzo, viene trasformato in una inguardabile drag.

Non sono uso a scandalizzarmi in quanto la mia gioventù è stata segnata dalla cosiddetta rivoluzione sessuale attentamente compartecipata, ma inscenare uno spettacolo che ricorre ai più infami trucchi per esaltare non il sesso, ma ciò che una ormai miserabile moda diffonde tra i giovani, ma soprattutto tra i vecchi, questa sì è una colpa, che offende le legittime istanze di chi crede in questo movimento.

Vergogna! Se questa è la televisione che sostituisce la vecchia rinuncio e volentieri a seguirla.

Per leggere gli altri articoli di Diario in pubblico la rubrica di Gianni Venturi clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

The Hollywood Strike:
attori e sceneggiatori lottano anche per noi

 

The Hollywood Strike

Alzi la mano chi si sarebbe aspettato che una “tata” – anzi, La Tata per eccellenza, Francesca Cacace nella versione italiana della sit-com –  si mettesse alla testa di uno sciopero contro le corporation dell’immaginario di Hollywood. Parliamo di giganti del calibro di Disney, Netflix, Paramount, Warner Bros…

La “tata” in questione è Fran Drescher, attrice che ha impersonato il carattere di Nanny in una serie televisiva di notevole successo di fine anni ’90. In una protesta partita dagli sceneggiatori già a maggio, la Drescher (portavoce del SAG-AFTRA, il sindacato attori di Hollywood) è riuscita nell’impresa di saldare la loro lotta con quella degli attori, e dal 13 luglio scorso le produzioni e i set sono bloccati. Ha pronunciato frasi molto nette, dai contenuti radicali. Ne riporto alcune particolarmente significative:

“Ciò che sta accadendo qui è importante perché accade in ogni ambiente lavorativo, dopo che i datori di lavoro hanno come priorità Wall Street e la cupidigia e si dimenticano di chi alla base fa muovere la macchina“; “Un’entità avida si sta accanendo su di noi. Sono scioccata dal modo in cui le persone con cui abbiamo sempre lavorato ci stanno trattando”; “Non posso credere al modo in cui gli studios piangano miseria, che stanno perdendo soldi a destra e a manca quando danno centinaia di milioni ai loro CEO. È disgustoso, devono vergognarsi, quando la maggior parte degli americani non ha neanche 500 dollari da parte per le emergenze”.

Ti evocano qualcosa queste affermazioni? Beh, a me sì. Mi evocano quello che succede in una marea di aziende – non solo grandi multinazionali – che strapagano i loro amministratori delegati e contemporaneamente giustificano la tirchieria nel pagare gli stipendi appellandosi alle difficoltà del mercato. Infatti l’anno scorso i dirigenti di Netflix, Amazon, Disney, Apple, Paramount e Comcast hanno percepito 280 milioni di dollari e le loro società hanno realizzato utili per 115 miliardi di dollari. Ma non è solo questo il problema.

Il grande tema sullo sfondo è la possibile sostituzione delle prestazioni umane con quelle di entità artificiali. Sceneggiatori ed attori hanno posto al centro delle loro rivendicazioni la questione dell’intelligenza artificiale e dell’effetto potenzialmente devastante che potrebbe avere sul loro lavoro. Nella sceneggiatura, la tecnologia spesso già sostituisce per lo “scheletro” della storia l’uomo, cui è lasciata la parte dei dettagli (con una conseguente riduzione del suo compenso). Quanto agli attori, chi ha maggiore potere contrattuale già fa inserire nei contratti una clausola che vieta di ritoccare artificialmente le scene (Keanu Reeves, ad esempio, si è lamentato di una lacrima “digitale” aggiunta a sua insaputa in post produzione per drammatizzare una sequenza). Ma se le star possono negoziare alcune condizioni ad personam, non altrettanto può fare la massa degli attori, pagati mediamente 25.000 dollari, che hanno già orecchiato l’intenzione di alcuni studios di far girare loro una sola scena – e di retribuirli solo per quella –  utilizzando per il resto una scansione digitale del loro volto (c’è un Harrison Ford giovane e “finto” che recita accanto al vero, ormai ottantenne, anche nell’ultimo Indiana Jones).

Questa lotta dei lavoratori dell’entertainment più famoso del pianeta è particolarmente significativa, per diversi motivi. Anzitutto appare evidente che i fabbricanti di storie – gli sceneggiatori – abbiano spesso una acuta sensibilità predittiva dei trend sociali, per averli messi al centro di molti dei loro script più avant-garde: pensiamo a serie come The Office, Black Mirror, Breaking Bad, Handmaid’s Tale, Stranger Things. Chi fa della capacità di visione, anche la più cupa, il proprio mestiere, ha le antenne per captare in anticipo quando le proprie fantasie distopiche iniziano ad entrare dentro la sua vita reale. C’è una “notizia” fulminante di Lercio.it – il più famoso sito italiano di fake news satiriche – che può rendere l’idea del clima: “Elon Musk crea una nuova intelligenza artificiale che, per prima cosa, lo licenzia”. Questa battuta fa ridere e rabbrividire al tempo stesso non per la sua assurdità, ma per la sua verosimiglianza: se il potente e visionario tycoon può essere avvicendato ad opera di una macchina sua creatura, figuriamoci cosa può succedere a montatori, cameramen, costumisti, inservienti, comparse, scrittori – molti di essi accomunati, tra l’altro, anche dalla precarietà dei loro contratti di lavoro con relative coperture, a partire da quella sanitaria.

Un altro particolare molto importante è la saldatura nella lotta di maestranze che non sempre sono solidali. Sceneggiatori e attori, ad esempio. Un attore potrebbe anche “fregarsene” del destino di chi scrive le storie, se c’è qualcuno o qualcosa che continuerà a farlo. Il fatto è che la percezione di chi lavora per gli studios è: oggi tocca a loro, domani tocca a me. La solidarietà non è mai gratuita e unilaterale, come la carità: chi è solidale è intimamente convinto che quella battaglia va combattuta insieme ad altri perchè condivide con essi un infausto destino, e cerca di sventarlo unendo le forze.

Ti sembra un concetto banale? Beh. Prova a pensare al tuo ambiente di lavoro, al tuo settore. Prova a pensare se la Meryl Streep o la Jennifer Lawrence del tuo organigramma (quelli da un milione di euro l’anno in su) o anche un Gaten Matarazzo (corrispondente ad un giovane rampante da centomila euro a salire) parteciperebbero a cuor leggero ad un picchetto, o semplicemente accetterebbero di firmare una lettera di fuoco contro il tuo Consiglio di Amministrazione. Certo, ci sono anche le Kim Kardashian che il picchetto lo forzano per andare sul set, ma in questo momento il crumiraggio è praticato da una minoranza. La vera incognita è verificare quanta di questa solidarietà resisterà al trascorrere del tempo, soprattutto se il braccio di ferro  dovesse durare diverse settimane. Alcuni attori e attrici sono infatti anche produttori o coproduttori delle serie in cui recitano, e credo di essere facile profeta nel pronosticare un tentativo degli Studios di dividere il fronte, staccando gli anonimi manovali dello spettacolo dalle celebrità.

E’ anche per questa ragione che osservare come evolve la mobilitazione di attori e scrittori – la prima unitaria in sessant’anni – è importante per tutti i settori lavorativi e per tutti i rapporti di forza che implicano una dialettica conflittuale. Come afferma Fran Drescher, infatti, “ciò che sta accadendo qui è importante perché accade in ogni ambiente lavorativo”. Almeno una cosa è certa: a prescindere da come andrà, Hollywood non si lascerà sfuggire l’occasione di utilizzare questa vicenda per costruirci sopra una nuova storia. Sarà interessante vedere da quale punto di vista sarà raccontata.

 

Mediterranea SavingHumans aderisce a Stop tortura

Stop Border Violence, al via la raccolta firmeMediterranea SavingHumans aderisce all’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) denominata “Art.4 Stop tortura e trattamenti disumani alle frontiere d’Europa”.

Molte realtà della società civile europea si sono unite nell’associazione Stop Border Violence per portare l’iniziativa di fronte alla Commissione Europea.

Con questa ICE si chiede alle Istituzioni Europee di adottare strumenti normativi adeguati affinché sia applicato in via effettiva quanto sancito nell’art. 4 della Carta dei Diritti Fondamentali della UE, che recita testualmente “Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o a trattamenti inumani o degradanti”.

Chiediamo dunque che sia bandito l’uso di ogni forma di violenza nella gestione dei flussi migratori e nel controllo delle frontiere UE, nonché all’interno dei paesi terzi (ad esempio Libia e Turchia) con i quali le Istituzioni Europee o gli Stati membri hanno stretto accordi, prevedendo sanzioni in caso di inottemperanza agli obblighi stabiliti.Ci sarà un anno di tempo per raccogliere un milione di firme in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, con l’obbligo di raggiungere una quota minima in almeno sette Paesi.Firma anche tu al link 👇

Il calcio è moribondo
Ma a morire saranno sempre gli stessi

 

Il calcio è moribondo. Ma a morire saranno sempre gli stessi.

Il calcio è in coma da alcuni decenni, perché al suo interno aveva i semi della propria autodistruzione, citando Carlo Marx – ma potrebbe essere anche Carlo Petrini. In effetti l’ex sport più bello del mondo è davvero una rappresentazione della nostra società malata, che parte come commedia, si tramuta in farsa, per divenire tragedia (citazione rovesciata). Ormai la serie A, la Liga, Ligue 1, la Premier, sono proto spettacoli per appassionati e appassiti da divano. Gli stadi di proprietà? Non più popolari nemmeno nei popolari, in curve con prezzi spesso inaccessibili. Un mondo patinato, dove forse anche io, a vent’anni e un buon procuratore, sarei costato una milionata, perché chi è quello sfigato che guadagna meno di un numero a sei cifre. Certo esistono le serie minori, dove i poveri se la giocano tra loro, anche se magari un qualche “americano” lo abbiamo pure in serie C.

Adesso arrivano i petrol-dollari Gli arabi, stanchi di acquistare squadre nel vecchio continente, portano il vecchio continente nei loro deserti, comprando campioni al crepuscolo e facendoli esibire in stadi con l’aria refrigerata.

E in Italia, provincia dell’impero calcistico (al tramonto) vecchio continente, come va? Scuole calcio con bimbi di dieci anni che hanno il procuratore, ragazzini quindicenni che ambiscono alla serie A, diciottenni che esigono il posto in squadra. Un mondo di pazzi.

Nessuno di questi ragazzi ha mai giocato in strada, tra le macchine, nei cortili chiusi su tre lati, in parchetti affollati tra i palazzoni, dove si imparava la legge della sopravvivenza, dove il calcio era operaio, classista all’incontrario e violento. Non c’erano palestre, mister patentati, accompagnatori e genitori che pretendevano la maglia per il loro pupillo.

Oggi, bambini con la maglia numero dieci diventano genitori dei loro genitori.

Il capitalismo sfrenato, feroce, compulsivo, distruttivo, fagocita ogni passione: il business, il target, plus valore, plus valenze, si nutre di quella sfera che ci ha stregati fin da bambini.

Un mondo di deroghe e contro deroghe, dove il valore ed il prezzo non coincidono più, dove ragazzi in braghini corti fatturano come una s.p.a. metalmeccanica che dà lavoro a centinaia di persone, sport? Ma quale sport? Fondamentalmente, un enorme giro di carta.

Società storiche del calcio mondiale con debiti inenarrabili, miliardi di profondo rosso, che in qualche modo se la cavano sempre, mentre ad un artigiano o ad un commerciante in difficoltà lo Stato stesso da il colpo di grazia.

Sacrifici, allenamenti, macchinari che gestiscono ogni fibra muscolare, culturisti che giocano al calcio. Dei mostri.

Schemi, tattiche, tattici, computer, analisti. Il calcio di oggi non è paragonabile a quello di quaranta anni fa, certo che no, allora esisteva la fantasia, esistevano atleti magri con lo zucchero nelle scarpette.

Che valore avrebbero oggi, i ragazzi di ieri? Edson Arantes Do Nascimento, Maradona, Eusebio, Artur Antunes de Coimbra, Crujiff, Puskas, Platini, Falcao, Rivera, Mazzola (padre e figlio), Baggio, Van Basten, Gullit, Totti, Del Piero e mille altri, quanto sarebbero monetizzati con il metro odierno? Come il P.I.L. del Belgio?

Nauseante, ma questo paradigma della società odierna esploderà, così come il capitale. Forse. A terra rimarranno però sempre gli stessi, quelli morti in guerra, quelli morti in fabbrica, i morti di fame, i morti ammazzati dai padroni del vapore, uguali tra loro nella conta dei dollari. Loro, i soliti, moriranno di sicuro, come sempre. Il puzzo dell’avidità ha ammorbato tutto, compreso il mio gioco, quello dove bastava una maglia bianca e un numero scritto col pennarello nero sulla schiena, per essere un giocatore.

Forza, vecchio cuore biancoazzurro.

Nasce #BookRave, un progetto condiviso

Lanciato sui social il progetto Bookrave. Tanta curiosità per un festival diffuso che connette storie e persone

È appena stato lanciato via social il progetto condiviso di otto case editrici (effequ, Iperborea, minimum fax, NN Editore, Nottetempo, Quinto Quarto, il Saggiatore, Sur).

Da subito, tante le adesioni: si tratta di BookRave.

Non si hanno ancora troppi dettagli sulle modalità dell’evento/iniziativa, ragion per cui sarà da seguire con attenzione. Si sa solo che dal 15 settembre al 15 dicembre 2023, nelle librerie aderenti al progetto, si parlerà di libri in un modo nuovo!
Qualche indiscrezione però trapela… Le librerie che aderiscono al progetto riceveranno dalle otto case editrici un titolo legato al tema del trimestre. Prima ancora dei libri, infatti, ci sono i temi.

Il primo tema è CORPI: perché il corpo attraversa le narrazioni e le storie, è elemento preponderante di riflessione sia in narrativa che in saggistica, attorno ad esso ruota gran parte della discussione contemporanea su rappresentazione e visibilità.

BookRave presenterà otto storie (i cui titoli saranno rivelati a fine mese sui social delle case editrici), tra saggi, romanzi e graphic novel, per attraversare il tema centrale della contemporaneità, comprenderlo meglio e in qualche modo celebrarlo.Starà poi alla libreria e ai suoi lettori determinare un percorso assieme, trovare i collegamenti, giocare coi libri, stimolare le discussioni: è una sfida comune, che sarà sostenuta da iniziative da parte delle case editrici, incontri dal vivo, contenuti multimediali. L’obiettivo di BookRave è molteplice e ambizioso: creare un festival diffuso, collaborativo, mostrare come case editrici anche molto diverse tra loro possano riflettere su uno stesso tema, e come libri anche molto diversi, se messi in dialogo, possano aprire nuove prospettive. E per (di)mostrare che le storie, come le persone, prendono davvero vita solo quando ne incontrano altre.

Ma soprattutto a BookRave piace l’idea di pensare che le cose si possano fare insieme, mettendo le proprie forze in condivisione, aprendo un percorso di dialogo e mutuo sostegno con le librerie e con chi i libri li acquista e li legge e ne parla.

L’iniziativa nasce da un progetto condiviso che per la prima volta riunisce insieme case editrici, librerie, lettrici, lettori e gruppi di lettura, autori e autrici: un festival diffuso che sia anche divertente, informale, anarchico, originale, qualcosa di inedito, una specie di rave con i libri. In pratica… un #bookrave!

P.S. Avete una libreria e volete partecipare a Bookrave? Scrivete a info.bookrave@gmail.com

Per certi versi /
Poesia per un’amica

Poesia per un’amica

La bellezza
si stanca facilmente
Poi sei bianca
Anemica
Come le nostre terre
Chiare
Dei monti pallidi
Delle golene
Ponenti
Dubiterei
Dei tuoi occhi
Se non fossero
Così ardenti
Ogni domenica Periscopio ospita Per certi versi, angolo di poesia che presenta le liriche di Roberto Dall’Olio.
Per leggere tutte le altre poesie dell’autore, clicca [Qui]

Festival SiciliAmbiente a San Vito Lo Capo dal 17 al 22 luglio

Saranno sei i lungometraggi in concorso alla 15ª edizione di SiciliAmbiente, con due anteprime siciliane: “Le ragazze non piangono” di Andrea Zuliani e “I sogni abitano gli alberi” di Marco Della Fonte

Annunciati i lungometraggi in concorso alla quindicesima edizione di SiciliAmbiente che si svolgerà dal 17 al 22 luglio San Vito Lo Capo. Il festival è da sempre un importante punto di riferimento a livello nazionale e internazionale per il cinema legato alle tematiche ambientali, ai diritti umani, allo sviluppo sostenibile e alla biodiversità.

Saranno sei i lungometraggi in concorso, che affrontano una pluralità di temi di grande attualità.

Primo titolo in concorso, lunedì 17 luglioLe ragazze non piangono, opera prima di Andrea Zuliani, regista e sceneggiatore di un road movie che è anche il percorso di conoscenza di due ragazze in cerca della propria identità. Il film arriva in anteprima siciliana alla presenza del regista.

La diciannovenne Ele si è trasferita in Basilicata perché il nuovo compagno della madre ha trovato lavoro da quelle parti. Nel nuovo liceo incontra Mia, una ragazza rumena che fa temporaneamente la bidella. Le due stringono un’amicizia ed Ele rivela a Mia il suo progetto di salvare dalla rottamazione il vecchio camper del padre, morto anni prima, e farci un giro per l’Europa. Quando la madre decide invece di liberarsi di quel “pezzo da museo”, Ele fugge e intraprende un viaggio per portare il camper dal migliore amico del padre, Lele, e Mia decide di imbarcarsi anche lei in questa avventura. Quel che Ele non sa è che Mia è parecchio intraprendente ed ha una missione pericolosa, ma è anche una presenza vitale che la aiuterà a crescere.

Martedì 18 verrà proiettato Evelyne tra le nuvole di Anna Di Francisca. Protagonista una donna alle prese con una possibile convivenza fra la natura incontaminata e le nuove tecnologie. Sofia vive in un antico casale ai piedi di Pietra di Bismantova, sull’Appennino Reggiano. Qui, dove non prende internet, completamente “disconnessa”, gestisce un agriturismo noto ai turisti che cercano relax e social detox. Nella zona è però in arrivo un ripetitore telefonico che potrebbe distruggere l’identità fuori dal tempo che contraddistingue il luogo.

Mercoledì 19 luglio sarà proiettato il film Le otto montagne di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, tratto dall’omonimo romanzo di Paolo Cognetti, vincitore del Premio Strega 2017. Il film dei due registi belgi, già vincitore del Premio della Critica al 75° Festival di Cannes e di quattro David di Donatello, racconta l’amicizia tra Pietro e Bruno, interpretati da Luca Marinelli e Alessandro Borghi. I due si conoscono fin da bambini quando passavano le giornate tra le montagne. Vent’anni dopo, Pietro ormai uomo, torna in alta quota per ritrovare sé stesso e fare pace con il suo passato.

Giovedì 20 luglio sarà la volta de Il signore delle formiche di Gianni Amelio. Alla fine degli anni ‘60 si celebrò a Roma un processo che fece scalpore. Il drammaturgo e poeta Aldo Braibanti fu processato con l’accusa di plagio, cioè di aver sottomesso alla sua volontà, in senso fisico e psicologico, un suo studente e amico da poco maggiorenne. Il film è un racconto a più voci, in cui, accanto all’imputato, prendono corpo i familiari e gli amici, gli accusatori e i sostenitori, e un’opinione pubblica per lo più distratta o indifferente. Un capitolo vergognoso della storia italiana.

Durante la stessa serata sarà proiettato alla presenza del regista, in premiere siciliana, I sogni abitano gli alberi di Marco Della Fonte. Due anime affini che si incontrano, una comunità che le respinge. Una storia struggente sul diritto all’amore. È il 1978 e l’Italia è il primo Paese al mondo ad abolire i manicomi, grazie alla legge Basaglia. Anja torna a casa affidata alle cure del fratello Ettore e di sua moglie Lisa. Con l’aiuto del nuovo psichiatra, Anja inizia lentamente a adattarsi alla nuova vita fuori dal manicomio. Incontra Libero, un uomo che va in giro consegnando le verdure del suo orto alla gente del paese. Anche Libero, come Anja, soffre di disturbi mentali. Anja e Libero si innamorano e trovano rifugio in una baracca segreta in mezzo alla foresta circondata da alberi colorati, che diventa il simbolo del loro amore. Affronteranno i pregiudizi della famiglia di Anja e del paese. Quando Anja rimane incinta, la sua famiglia farà di tutto per separarla da Libero e impedire la nascita di una famiglia “inaccettabile”.

Venerdì 21 luglio chiude la sezione lungometraggi in concorso, Siccità di Paolo Virzì, che abbiamo recensito

Il Festival, diretto da Antonio Bellia, con la direzione organizzativa di Sheila Melosu, vuole promuovere e diffondere il cinema d’autore e il cinema documentario, favorendo il confronto tra i registi attraverso incontri e tavole rotonde. Annovera 4 sezioni competitive: un Concorso internazionale documentari; un Concorso internazionale lungometraggi di finzione, un Concorso internazionale cortometraggi (di finzione e documentari) e un Concorso internazionale dedicato all’animazione. Oltre ai premi in denaro di ogni sezione competitiva, attribuiti da una giuria di esperti e di personalità del cinema e della cultura, saranno assegnati il Premio AAMOD (Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico), il Premio “Diritti Umani” conferito da Amnesty International Italia, il Premio “Ambiente” conferito da Greenpeace Italia, il Premio Speciale TTPIXEL. A questi si aggiunge il Premio del Pubblico per la sezione Lungometraggi.

Il Festival è promosso da Associazione culturale Cantiere 7 e da  Demetra Produzioni con il contributo del Comune di San Vito Lo Capo e di ARPA Sicilia. Il progetto è sostenuto con i fondi “Otto per Mille della Chiesa Valdese” e realizzato grazie al contributo della Regione Siciliana – Sicilia Film Commission e della Direzione Generale Cinema del Ministero delle Cultura realizzato in collaborazione con Amnesty International ItaliaGreenpeace Italia e AAMOD.

Programma completo

Fonte: Ufficio stampa Storyfinders

Ortigia Film Festival, al via il 15 luglio

La proiezione di “Stranizza d’amuri” di Giuseppe Fiorello aprirà la XV edizione dell’Ortigia Film Festival il 15 luglio, a Siracusa. L’appuntamento con il cinema durerà fino al 22 luglio

Sabato 15 luglio, apre la XV edizione di Ortigia Film Festival, con l’attrice e imprenditrice Cristina Marino come madrina. Prima serata di proiezioni di OFF15, il festival internazionale di cinema della città di Siracusa, diretto da Lisa Romano e Paola Poli.

In apertura, la proiezione speciale di Stranizza d’Amuri, esordio alla regia di Giuseppe Fiorelloalle ore 21:30 in Arena Minerva. Fiorello, insieme agli attori Samuele Segreto Anita Pomario, sarà l’ospite d’onore della prima serata. Il film è un’opera dal profondo valore civile e politico, che mette a fuoco un Mezzogiorno tormentato in cui diritti civili e diritti sociali si intrecciano. Il film è dedicato a Giorgio e Antonio, le vittime del delitto di Giarre avvenuto nel 1980 in provincia di Catania.

In occasione della serata inaugurale, Nicola Tarantino, responsabile di Sicilia Film Commission, consegnerà a Giuseppe Fiorello il Premio Speciale OFF XV di Ortigia Film Festival per aver saputo unire la passione per il suo territorio, l’amore per i diritti civili e l’ammirazione per Franco Battiato con un film al tempo stesso semplice, delicato e capace di fa pensare e riflettere. Al termine della proiezione il Q&A con Giuseppe Fiorello moderato dal critico Steve Della Casa.

A inaugurare il Concorso Internazionale Cortometraggi, “Cicatrici” di Paolo Civati. Il corto, in anteprima regionale, racconta la storia di una donna che lavora da remoto, sdraiata sul letto. A mediare i rapporti con il mondo esterno il suo avatar.

A Seguire, per il Concorso Internazionale Documentari, l’anteprima mondiale di “Grain – portrait of Fabio D’Emilio” di Simone Valentini.

Il film racconta l’inaspettata vita di Fabio D’Emilio che negli anni ’60 e ’70, mosso da due passioni, quella per la fotografia e quella per la musica, si trovò a fotografare prima i palchi della sua città, Roma, per la rivista Sound Flash, e poi i palcoscenici internazionali per la EMI, da Zurigo con i Pink Floyd a Melbourne con Patty Smith, immortalando concerti iconici e grandi artisti, tra i quali Peter Gabriel, Queen, Frank Zappa e molti altri, durante le loro esibizioni dal vivo. Al termine della proiezione Simone Valentini e Fabio D’Emilio incontreranno il pubblico.

Ortigia Film Festival, si svolge nelle piazze del centro storico della città di Siracusa (Unesco World Heritage) ed è annoverato nel calendario dei festival cinematografici più importanti del bacino del Mediterraneo. Il Festival ha sviluppato una forte identità legata al cinema italiano, ma allo stesso tempo, ha rinnovato e ampliato la propria offerta, esplorando nuove realtà nel campo dell’audiovisivo e conquistando spazio a livello nazionale e internazionale. La visibilità e il consenso, ottenuto negli anni da parte delle istituzioni, hanno permesso al festival, fondato da Lisa Romano con l’associazione culturale Sa.Li.Ro’, di ricevere la prestigiosa medaglia del Presidente della Repubblica e, negli anni, il sostegno di: Mic, Regione Siciliana, Assessorato al Turismo, Sport e Spettacolo, Dipartimento Turismo Sport e Spettacolo – Sicilia Film Commission, nell’ambito del progetto Sensi Contemporanei, Ars e Comune di Siracusa, Siae, Unesco, Rai, Rai Cinema Channel. Media Partner della XV edizione del festival, Ciak, Cinecittà News, Cinematographe e Taxidrivers.

Tutti i dettagli sul sito ufficiale 

Programma completo

 

Presto di mattina /
Padre nostro che in terra stai

Presto di mattina. Padre nostro che in terra stai

Quel che fu senza luce è rischiarato

Eternità del grido
Dell’infante che sembra
Nascere nel dolore
tramutato in luce

Eternità discende
Nella nuda terra
E come una marra
Ne solleva il senso
(Yves Bonnefoy, L’opera poetica, i Meridiani Mondadori, Milano 2010, 364-365).

L’eterno nascosto nel grido nascente, risonanza in ogni cosa del giorno che viene, attraversando il dolore lo cambia in luce. L’eterno si abbrevia nel tempo e come vanga apre la terra illuminandone il senso, suo tesoro nascosto. L’eterno tutto nel tempo, l’infinita presenza presente in ogni frammento finito:

Le parole come cielo
Infinito
Ma tutto all’improvviso
Nella pozzanghera breve

Così prende forma dal grido che nasce un altro cielo, riflessi di luce nel dolore sommerso, incandescenza sotto la cenere:

E ha senso la parola gioia
Malgrado la morte
Qui dove scava il vento
Queste chiare braci
Sufficienza dei giorni
Che vanno verso l’alba
Attraverso abbagli
Nel cielo notturno
(ivi, 481)

L’anima è, illuminata,
Come un nuotatore
Che si tuffa, d’un tratto
Sotto la luce
(ivi, 483).

Io presente e in ascolto

Dapprima la poetica di Yves Bonnefoy (1923-2016), di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita, è invito ad avvertire una presenza e a mettersi in ascolto dell’esperienza stessa del mondo; porre attenzione alle cose, alla natura, alle relazioni, a un sentire con gli alberi, pietre, fiumi, voci e volti. Il tutto nella convinzione profonda che, senza l’universo che ci circonda, non è possibile accedere al logos, sollevare il senso del tutto illimitato affiorante in ogni cosa.

Come un passante di valico è allora la sua poetica che porta oltre, in profondità. Se il concetto astrae, porta fuori dall’esperienza, isolandone un aspetto, la parola poetica per contro porta dentro, immerge nel reale cogliendo il tutto nel frammento, l’assoluto nel limitato, nell’abbreviato l’infinito.

Possono sembrare solo sensazioni, percezioni minime, ma non sono affatto vacue, perché lasciano intravedere come un lampo e presentire come un’eco la pienezza, risonanza divina che abita la realtà e la forma degli esseri animati o inanimati: come un profumo invisibile e impalpabile eppure presenza presente, viva.

Così scrive Bonnefoy: «l’intera realtà appare sotto un’altra luce, perché allora costatiamo che in ogni minima cosa c’è un numero infinito di aspetti, ma soprattutto vi sono insieme aggrovigliati e in primo luogo attirano lo sguardo e non il pensiero. La cosa è qui sotto i nostri occhi nel suo qui e nel suo ora; nulla può prenderne il posto. Essa ha il carattere di un assoluto ed è un assoluto che ricade su di noi, che in questo istante la guardiamo» (ivi, 1348).

Per Bonnefoy la poesia ha così la capacità di dar voce all’assoluto congenito nella misteriosa evidenza di ogni presenza. È suono delle cose, risonanza affiorante «della profondità del mondo, frammento che al tempo stesso rappresenta il tutto, infinito silenzioso annodato su di sé ma che irradia la propria luce…

La poesia, questa forma che accompagna il suono, è ciò che indebolisce il controllo del concetto sulla parola, ciò che denuncia il pericolo cui ci sottopone il concetto. Anzi fa di meglio, ce ne libera. O per meglio dire aiuta a criticarlo, a relativizzarlo, poiché è certo impossibile stabilire con il pensiero concettuale – assolutamente necessario, lo ripeto – una relazione diversa da quella di cautela, all’interno della quale esso continua a esprimersi». (ivi 137)

Io acconsento

La poesia di Bonnefoy si arrischia così in una relazione, gioca tutto per tutto l’impossibile, pur di andare oltre la parola stessa ed esprimere l’inesprimibile incontrato in un balenante attimo.

Come la parola così anch’essa, la poesia, pone la relazione io-tu-noi, diviene respiro e pensiero, dialogico un parlare bocca a bocca con la realtà incontrata, come Mosè con il suo Tu. Lui balbuziente al cospetto della Parola originante tutte le parole.

Così, se dapprima era sufficiente avvertire una presenza e mettersi in ascolto, ora la poetica di Bonnefoy richiede di necessità per essere tale il consenso, l’acconsentire all’altro, l’uscire allo scoperto. La sua poesia è un dire “Sì” attraverso tutte le cose.

Sì, io, pietre della sera, illuminate,
Io, sì, acconsento.
Io, sì, la pozzanghera
Vasta più del cielo, l’infante
Che ne smuove la melma, l’iride
Dai riflessi senza posa cangianti, senza ricordi,
Dell’acqua, io, acconsento.
E io fuoco, io
La pupilla del fuoco, nel fumo
Dell’erbe e dei secoli, acconsento.
Io, nube,
Acconsento.
Io, stella della sera,
Acconsento.
Io, grappoli dei mondi maturi,
Io, l’avviarsi
Dei muratori, sul tardi, al villaggio,
Io, il rumore del furgoncino che si allontana,
Io, acconsento.
Io, pastore,
Sospingo la stanchezza e la speranza
Sotto l’arca della stella
Verso l’ovile. Io, notte d’agosto,
Preparo la lettiera delle bestie nella stalla.
Io, sonno,
Accolgo il sogno nelle mie barche,
Io acconsento.

Io, la voce
Che tanto avrà desiderato. Io, il mazzuolo
Che urtò a colpi sordi contro
Il cielo, la terra nera. Io, il passatore
Io la barca del tutto
Attraverso tutto.
Io, sole,
Mi fermo sulla vetta del mondo,
Tra le pietre.
(367; 369)

Il “Sì” rende visibile l’invisibile, ciò che è sparso ricongiunto, l’altro nascosto dietro le quinte. Il “Sì” dell’incontro del mondo, che riunisce tutto ciò che vediamo, perfino la notte e il giorno, cielo e terra sugli orizzonti, diaframmi delle loro diversità riconciliata, il loro sponsale “sì”.

Sì, per la notte
Quando il bisogno di senso preme a lungo

Sì, per il dio che va errando
Sotto l’aspetto di agnello
Accanto al furgoncino,
Sotto la lampadina accesa ardente
Tutta la notte.
Mi fermo, si ferma,
Avanzo, e quel viso
Si dissolve, schiarando…

Sì, per la cima in luce
Ancor un’ora.
Sì, per i rovi
Delle cime tra le pietre. Per quest’ albero, ritto
Contro il cielo.
Per le fiamme, in ogni luogo,
E, ogni sera, le voci dello sposalizio
Di cielo e terra

Sì, per il nascere che destò la fiamma
Dal niente,
E placati riunisce
I nostri visi.

Sì, per le parole,
Per qualche parola.

Sì, per la morte,
Sì, per senza fine la vita.
(ivi, 402-403; 405; 415; 419).

Scrive Bonnefoy: «Vorrei riunire, vorrei quasi identificare la poesia e la speranza» (ivi, 1185), perché la poesia coglie in ogni cosa reale un frammento di assoluto, così in ogni cosa c’è speranza in tutti, come un varco una speranza di assoluto: «Occorre, in altre parole, reinventare una speranza. Nello spazio segreto del nostro avvicinarci all’essere, io credo che non vi sia oggigiorno poesia vera che non cerchi e non intenda cercare, fino all’ultimo respiro, di fondare una nuova speranza» (ivi, 1199).

La poesia ci aiuta a non disperare del futuro, a fare fronte all’oblio della speranza. Muove la brace sotto la cenere e la spiga consunta; con l’ultimo respiro rilascia nuovo seme alla terra.

E più tardi agito ceneri, in un focolare
Della casa cui giungo ogni notte,
Ma è già grano, come se l’anima
Delle cose consunte, al loro ultimo respiro,
Si staccasse dalla spiga della materia
Per farsi granello di una nuova speranza, (ivi, 503).

Anche la preghiera come la poesia è innesto nell’invisibile e allo stesso tempo sua eco dialogica dell’eterno nel tempo, un atto di ospitalità alla parola originaria che risveglia, risposta al silenzio del mondo che attende il senso. Questa ospitalità porta alla luce una grammatica dell’assenso, come dire sì all’altro, giorno dopo giorno.

Ricordando la poetica di Bonnefoy il critico letterario e francesista Antonio Prete scrive: «Mentre ospita un albero, una pietra, uno spicchio di cielo, un colore scrostato di pittura, si spinge sulla soglia dell’invisibile, leggendo le sue ombre. Mentre ascolta un passo nella sera, un rumore di vento o d’acqua, mentre accoglie figure provenienti da un sogno, cerca un radicamento nel qui, nella opacità della terra. E allo stesso tempo libera l’ala dell’altrove, il pensiero dell’impossibile. E tutto questo accade nel ritmo aperto, da adagio meraviglioso, del verso.» (in Doppiozero, 2 luglio 2016)

Padre nostro che in terra stai

Padre nostro che “per più amore in terra” stai in ogni cosa, senza essere “circoscritto dalle cose e dal tempo. Sei l’eterno dei giorni, cammino e meta; su ogni strada e sentiero sei, e in ogni pensiero nostro pensi a noi. Eppure le tue vie non sono le nostre vie e i tuoi pensieri non sono i nostri pensieri.

In silenzio, al principio era la tua parola ma poi si fece umanità, carne nostra, pane terroso, pure nostro quotidiano e da quella umanità ospitale, il regno che viene, in cui ci fu sempre il “sì”, sono giunte a noi le parole per continuare a dire “io acconsento”, sì acconsento e trovo il coraggio di un altro “sì”, come un altro passo.

“Sì” all’unisono con quello del tuo figlio, insieme alla pietre, alla pozzanghera, al fuoco, io acconsento; con la nube, il sole con l’acqua, con gli alberi le erbe e i secoli acconsento, non senza i grappoli dei mondi e degli universi.

Acconsento con il pastore a sospingere stanchezza e speranza verso l’ovile e con il passatore a sognare il sogno della mia barca e a guardare avanti, acconsento alla barca del tutto verso il tutto. Sì, per il dio che va errando sotto l’aspetto di agnello mansueto e muto davanti ai suoi tosatori e cerco quel volto che, svanendo, schiarisce il mio volto.

Aveva visto bene allora Ferdinand Ebner nel Padre nostro la preghiera del “tu” e del “noi”, quella parola-preghiera originaria, sorgiva, determinante lo sviluppo del suo pensiero dialogico dove il senso del Padre nostro è quello di «guardare al cielo sentendosi vincolati alla terra» (Frammenti pneumatologici, San Paolo, Cinisello Balsamo [MI] 1998 307).

Preghiera dialogica: da Dio per l’uomo e dall’uomo per Dio: «Nella preghiera, dunque, la parola ritorna là donde era venuta». E «se l’uomo prega nel giusto senso anche solo la prima parola del Padre nostro, allora l’“ineffabile mistero di Dio” è divenuto parola – muovendo dall’uomo» (ivi, 101).

Quale il tempo della preghiera? Quale quello del Pater? Pensando all’opera poetica di Yves Bonnefoy, ma non solo, mi viene da dire che sia lo stesso tempo dove viene alla luce e principia a balbettare la poesia e la speranza: è il tempo “presente”, inteso non in senso cronologico ma esistenziale, quello delle relazioni, della decisione della libertà ad esserci qui e ora di fronte all’appello dell’altro; tempo del sì, ora, l’adesso che non è solo presenza, ma una presenza presente quella che dice “io acconsento” a te, a voi.

La preghiera di Gesù implica una molteplice e pluriforme ospitalità: «Perché il regno di Dio – scrive ancora Ebner – non è nell’uomo nell’intima solitudine della sua esistenza, nella solitudine del suo Io, bensì nel fatto che l’Io si sia aperto al Tu nella parola e nell’amore e nella parola e nella prassi dell’amore – e allora è “in mezzo a noi”, come la comunione della nostra vita spirituale.

Sebbene proprio nel suo rapporto con Dio l’uomo stia di fronte a Dio come il “singolo”, non può tuttavia pregare se non in comunione spirituale con tutti gli uomini. Quando preghiamo, dobbiamo farlo come ci ha insegnato Gesù e non altrimenti. Non è solo per sé che l’uomo prega e parla con Dio, bensì per tutti gli uomini», (ivi, 325-326).

Padre-Nuestro, rezo de la vida sencilla

Anche Pablo Neruda sembra voler declinare, come Bonnefoy, poesia con speranza quando scrive:

Ah vastità di pini, rumore d’onde che si frangono,
lento gioco di luci, campana solitaria,
crepuscolo che cade nei tuoi occhi, bambola,
chiocciola terrestre, in te la terra canta!
In te i fiumi cantano e in essi l’anima mia fugge
come tu desideri e verso dove tu vorrai.
Segnami la mia strada nel tuo arco di speranza.
(Crepuscolario, L’abitante e la sua speranza, et al. Edizioni Accademia, Milano 1977, 115).

Ed è sempre Pablo Neruda che chiama il Padre nostro ‘preghiera della vita semplice’, perché della vita quotidiana ha i sapori e da tutti si fa comprendere e dire, perché in tutti tremante si immerge/ y todo estremecido se sumerge nel mare notturno di ciascuno.

Questa chiesa non ha lampade votive,
non ha candelieri né cere gialle,
l’anima non abbisogna di ogive vetrate
per baciare le ostie e pregare in ginocchio.

Il sermone senza incensi è come un seme
di carne e di luce che cade tremando nel solco vivo:
il Padre-Nostro, preghiera della vita semplice,
ha un sapore di pane fruttifero e primitivo…

Ha un sapore di pane. Odoroso pane scuro
che nella bianca infanzia confidò il suo segreto
a ogni anima fragrante che lo volle udire…

E il Padre-Nostro in mezzo alla notte si perde,
corre nudo sopra i poderi verdi
e tutto tremante si immerge nel mare…
(Crepuscolario, L’abitante e la sua speranza, et al. Edizioni Accademia, Milano 1977, 30-31).

Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica quindicinale di Andrea Zerbini, clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

Storie in pellicola / In uscita “Il sapore della felicità”, con Gérard Depardieu

“Il sapore della felicità” (titolo originale Umami) esce in anteprima nelle arene estive e dal 31 agosto lo vedremo nei cinema italiani.

Prodotto in Francia, diretto da Slony Sow (Grenouille d’Hiver, 2011) e interpretato da Gérard Depardieu, Kyozo Nagatsuka, Sandrine Bonnaire, Pierre Richard Bastien Bouillon (recentemente vincitore del César come miglior esordiente per il noir La Nuit du 12), dopo aver aperto il Festival internazionale del film di Friburgo 2023, Il sapore della felicità sarà disponibile da luglio in anteprima nelle arene estive (il 17 sarà al cinema Farnese di Roma, per la stampa) e dal 31 agosto nei cinema italiani, con Wanted Cinema.

Kikunae Ikeda

Umami (lett. “saporito” o “sapido”), oltre a essere il titolo originale del film è un termine giapponese usato per denominare il quinto elemento del gusto: dolce, salato, aspro, amaro e, infine, umami. L’umami è stato identificato come un gusto fondamentale nel 1908 da Kikunae Ikeda, professore di chimica all’Università imperiale di Tokyo, mentre compiva ricerche sul sapore forte del brodo di alghe. Ikeda isolò il glutammato monosodico come responsabile del sapore. L’umami si può percepire anche, in valori più o meno concentrati, in alcuni alimenti già a crudo come il Parmigiano Reggiano, specie se lungamente stagionato, il pomodoro maturo, i funghi porcini secchi, la colatura d’alici e l’aglio nero.

Gérard Depardieu
Pierre Richard e Gerard Depardieu

Un sapore buono, dunque. Ed è proprio in Giappone, alla ricerca di questo insolito elemento che ci porterà il protagonista di questo viaggio culinario, un grande chef stellato francese, Gabriel Carvin (Gérard Depardieu). Quando la sua salute e la sua vita familiare iniziano a sgretolarsi, dopo aver sfiorato la morte, il noto chef di fama mondiale decide di recarsi in Giappone alla ricerca dell’uomo che 40 anni prima lo aveva battuto in una gara di cucina.

Pierre Richard e Gerard Depardieu

Il viaggio culturale e culinario tra i sapori del Paese del Sol Levante, lo costringerà a riflettere su sé stesso e a fare un bilancio della sua vita. Un’avventura – che ci ricorda un poco quella, recensita, di Stephane in #IoSonoQui – tutta da seguire.

Il sapore della felicità (Umami), di Slony Sow, con Gérard Depardieu, Kyozo Nagatsuka, Pierre Richard, Rod Paradot, Sandrine Bonnaire, Eriko Takeda, Akira Emoto, Bastien Bouillon, Francia, Giappone, 2022, 105 mn

Foto ufficio stampa Echogroup