Gli operai GKN in piazza per “rompere l’assedio”
(tutte le puntate di una lunga storia di lotta)
di Silvia Giagnoni
Articolo originale su Valigia blu del 24 marzo 2023
“Noi siamo qui a parlare di mutualismo e micro-credito, di come il denaro sia un mezzo e non un fine, e quello ci prende per fame?”. Quello è Francesco Borgomeo, proprietario di Qf, l’azienda che nel dicembre 2021 ha rilevato la GKN Driveline di Campi Bisenzio, dopo che il fondo Melrose aveva provato a licenziare i 422 lavoratori con un’email il 9 luglio 2021. Chi parla è uno degli operai in assemblea permanente da oltre 20 mesi, e parte attiva di un movimento che ha portato l’intero paese a mobilitarsi per e con i lavoratori GKN in nome della convergenza.
Negli ultimi tempi, quell’operaio ha imparato tante cose—se ci riflette, si commuove, cosa che non vuole fare, in pubblico. Ha anche imparato cosa vuol dire far parte di una cooperativa finanziaria mutualistica e autogestita, quale la MAG di Firenze, che consente un accesso al credito in assenza di garanzie patrimoniali. Perché, appunto, è importante restituire il giusto posto al denaro. Quel posto centrale che un fondo finanziario ha preso di prepotenza nelle vite delle persone.
“Se potessero chiudere due volte lo rifarebbero, e così noi se potessimo insorgere due volte insorgeremmo di nuovo”, dice parafrasando Bartolomeo Vanzetti nell’interpretazione di Gian Maria Volontè. L’operaio ha una compagna che lavora, non ha figliə o familiari da accudire, per ora tiene botta. Non è così per altri lavoratori che nelle ultime settimane hanno dato le dimissioni. Chi per bisogno di certezze, chi, appunto, per fame. Sei mesi senza stipendio. Chi potrebbe resistere così a lungo?
L’avventura toscana di Francesco Borgomeo, salutata con tappeti rossi e gran pacche sulle spalle da politici e amministratori locali, è finita. L’industriale romano, campione dell’economia circolare made in Italy, ha messo in liquidazione Qf. Ha fatto sapere che “non intende procedere alla mera cessazione dell’attività perché si vuole cercare una soluzione al fine di garantire il pagamento delle retribuzioni dei lavoratori”. Ma di fatto, Borgomeo ha ottenuto la cassa integrazione straordinaria da gennaio a ottobre 2022. Le RSU, già prima che fosse ufficializzata la notizia, avevano dichiarato: “Quello stesso Stato di cui invochiamo ‘l’intervento da un anno e mezzo ha socializzato sulle casse pubbliche i costi dell’operazione Borgomeo”. D’altra parte, Il Tribunale ha appena respinto il ricorso presentato dall’imprenditore contro il primo decreto ingiuntivo. “In assenza di un atto di accoglimento della domanda di CIG il datore di lavoro continua a essere obbligato al pagamento della retribuzione”, si legge nella sentenza. Il Collettivo commenta: “Ad oggi Qf continua a trattenere illegittimamente le nostre retribuzioni, e anche le buste paga, il nostro Cud, per impedire di fare valere le nostre ragioni con altri ricorsi per ingiunzione. Da ottobre ad oggi Qf deve pagare interamente tutte le spettanze contrattuali e di legge”. Anche per questo, Firenze è chiamata a insorgere di nuovo il 25 marzo. E a rompere l’assedio.
L’assedio’ di Borgomeo al Collettivo di Fabbrica
Ma come si arriva a quello che il Collettivo ha chiamato “un assedio composto di calunnie, di logoramento psicologico ed anche economico”?
Scaduti i termini definiti tra le parti con un nulla di fatto, il 9 ottobre GKN si dichiara “fabbrica pubblica e socialmente integrata” e apre una nuova fase della lotta. Il 2 novembre si tiene un estenuante incontro-fiume del Comitato di Proposta e Verifica (istituito con l’accordo quadro del gennaio 2022): la proprietà incontra al presidio Comune, Regione, sindacati e RSU. Quest’ultime chiedono di poter fare entrare in fabbrica altri soggetti privati e pubblici, ma Borgomeo rifiuta: vuole la cassa integrazione, e l’INPS gliela sta negando. I sindacati e le RSU si oppongono a una cig retroattiva senza piano di reindustrializzazione. Il proprietario di Qf insiste nel chiedere la rimozione di quelli che chiama “rifiuti.” “‘Non esci di qui se non firmi’. Firmare ciò che in pratica era un’espropriazione”, dichiara in un’intervista Borgomeo. Non secondo la Regione che ha preparato il documento congiunto assieme a RSU e sindacati.“Non sono solito stilare documenti che violino i principi della Costituzione”, ribatte Valerio Fabiani, che segue dall’inizio la vertenza GKN in qualità di consigliere regionale speciale per il Lavoro e le Crisi Industriali. L’incontro si conclude con un nulla di fatto dopo ben dodici ore. Stanchi ed esasperati dall’ostinazione dell’imprenditore, i lavoratori restano fino a notte fonda a buttare in strada i semiassi e le culle. Che se li vengano a prendere questi “rifiuti”, il loro commento. E infatti, il pomeriggio del 4 novembre, arriva il comunicato ufficiale di Qf che annuncia: “Per circa tre settimane inizieranno i lavori di sistemazione e smobilizzo di tutto il materiale”. Si parla di “prodotti finiti (da rendere inutilizzabili), semilavorati, materie prime (componenti di fornitura).” La sera di sabato 5, mentre il Collettivo di Fabbrica è con oltre diecimila persone a manifestare contro il carovita a Napoli accanto al Movimento di Lotta Disoccupati – 7 novembre, ha inizio l’assedio.
Borgomeo, infatti, sbotta. Quella che per Fiom, RSU e solidalə è legittima difesa del posto di lavoro, cioè tutela dello stabilimento e dei materiali in esso, che non possono uscire, senza in cambio delle garanzie, per Borgomeo è un presidio illegale. La polemica sui rifiuti? “Pretestuosa e senza senso”. Lunedì 7 novembre, un migliaio di solidalə si presentano davanti alla Fabbrica rispondendo alla chiamata del Collettivo “Giù le Mani da GKN.”
Il proprietario di Qf comincia dunque ad attaccare l’assemblea permanente. E soprattutto, smette di pagare gli stipendi. Per evitare forse ulteriori ingiunzioni di pagamento, a dicembre smette anche di mandare i cedolini ai lavoratori. L’inevitabile conclusione dopo “il boicottaggio sistematico a cui ogni tentativo di rilancio è stato sottoposto,” scriverà Qf in una nota ai lavoratori.
Borgomeo, dunque, fa proprio quello che, secondo una comunicazione interna alle RSU risalente al 21 giugno 2022, aveva scritto che non avrebbe mai fatto: dare la colpa della mancata re-industrializzazione ai lavoratori. A inizio mese, la proprietà aveva infatti agitato con una lettera ai dipendenti Qf lo spettro della presunta inagibilità dello stabilimento, ostativo ai piani di reindustrializzazione. Le RSU avevano risposto con un testo approvato dall’assemblea permanente in cui chiedevano “chiarezza sul reale stato finanziario di Qf e sulla reale solidità finanziaria del progetto”. Da lì, le conseguenti rassicurazioni di Borgomeo.
Da parte sua, l’imprenditore deve in qualche modo salvarsi la reputazione. Quando ha fondato Qf—che sta per Fiducia nella Fabbrica di Firenze—ci ha messo la faccia, è vero, e adesso deve cambiare la storia, perché qualcosa è andato storto. La riconversione che doveva portare avanti con Qf non si è mai tramutata in un piano industriale. “Lo stabilimento non era agibile, l’occupazione illegale.” Eppure, Qf ha pagato per mesi 21 dipendenti (operai di produzione) al giorno in rotazione per mansioni di guardiania e sorveglianza, 8 manutentori e il direttore di stabilimento. Hanno lavorato tutti dentro una fabbrica occupata? Borgomeo incalza. La colpa è di un gruppetto di lavoratori (alcuni membri del Collettivo) che, a suo avviso, tengono in ostaggio tutti gli altri.
A partire da novembre, Borgomeo ha dato addosso più volte al “movimento politico Insorgiamo”. Per Dario Salvetti, Collettivo di Fabbrica GKN, questo significa attaccare ciò che quel movimento rappresenta: le sue radici, che affondano nella Resistenza di una città che si libera da sola, l’11 agosto 1944, invece di attendere il Liberatore, metafora di ciò che stanno facendo i lavoratori GKN assieme al territorio.
È così che si arriva all’articolo di Libero del 7 marzo 2023. Il titolo, “In piazza con la Schlein: hanno occupato la fabbrica e la stanno facendo fallire”. Si legge nell’articolo: “Il patto è: io trovo gli investitori, voi (Stato) mi date la cassa integrazione, i lavoratori interrompono l’occupazione” (…) “La cassa integrazione non arriva’”. Il messaggio che l’articolo fa passare è che il lavoro manca perché c’è la lotta dei lavoratori, in una sorta di capovolgimento di fatti, considerato che la lotta è iniziata quando ci fu il tentativo di licenziamento via mail nel 2021. Si invertono la causa con l’effetto, dichiara Salvetti durante l’assemblea del 23 febbraio. “C’è la lotta perché ci hanno tolto il lavoro. Ma invece, la proprietà vuol far passare il messaggio opposto: ‘Il lavoro manca perché c’è la lotta”.
Dall’inizio dell’assedio, il Collettivo di Fabbrica non si ferma. I lavoratori rispondono con una vertenzialità legale: dal 9 novembre, 278 lavoratori mettono in mora gli stipendi e diffidano l’azienda dal “continuare una condotta lesiva della propria professionalità e della propria salute psicologica.” Cominciano a partire le ingiunzioni di pagamento. Soprattutto, si mobilitano di nuovo, anche con blitz all’aeroporto e in centro a Firenze; con un’occupazione storica di ben trenta ore della Salone de’ Dugento, sede del Comune, a Palazzo Vecchio (14-15 novembre 2022); e una consultazione popolare autogestita (1-11 dicembre), a sostegno della Fabbrica pubblica e socialmente integrata, arrivata a raccogliere quasi 17 mila firme.
Secondo Borgomeo, Il Collettivo di Fabbrica è una “minoranza eversiva” e sta creando una corrente all’interno della Fiom. La cosiddetta sinistra sindacale, però, in CGIL esiste da anni, e si rifà a esperienze di cui il Collettivo di Fabbrica è certo l’espressione contemporanea più riuscita, ma che risalgono al biennio rosso e ai consigli di fabbrica, fulcro stesso della democrazia, secondo Antonio Gramsci, e poi alle lotte operaie che portarono allo Statuto dei Lavoratori nel 1970. E la CGIL, organizzazione che mantiene una vocazione e una struttura democratica, dà la possibilità di presentare un documento alternativo che sia sostenuto dal 3% del direttivo nazionale. Così è avvenuto al Congresso appena conclusosi a Rimini, con il documento #2, Le radici del sindacato, presentato da Eliana Como il 30 giugno scorso a Livorno e poi in giro per l’Italia per avanzare la necessità di un sindacato più conflittuale.
“Hanno portato dentro i centri sociali,” dichiara ancora Borgomeo, criminalizzando così anche pratiche alternative e luoghi dove da anni si fa cultura in questo paese. Quella che spesso non trova posto nei salotti televisivi, ma nemmeno sulle pagine di quotidiani che un tempo si sarebbero detti di sinistra. E a proposito di spazi ritagliati, i lavoratori GKN e le/i solidali si sono persino inventati un Festival Internazionale della Letteratura Working Class che si terrà proprio nella Fabbrica dal 31 marzo al 2 aprile. Organizzato dal Collettivo assieme a Edizioni Alegre e in collaborazione con Arci Firenze, e grazie al contributo di oltre 300 militantə, l’evento prevede anche un innovativo Spazio Prole nella nuova area bimb@liberatutt@ in GKN, ideato proprio per rispondere alle esigenze di cura e partecipazione di lavoratori, lavoratrici e solidalə.
Il Collettivo di Fabbrica non si ferma: la prima assemblea della società di mutuo soccorso e la ricerca di ipotesi alternative di reindustrializzazione
Sotto assedio, dunque, il Collettivo di Fabbrica va avanti, non può fare altrimenti. Fermarsi vorrebbe dire cedere alla rassegnazione, gettare la spugna. Ancora c’è la forza per lottare, almeno un altro po’. C’è tutto un territorio che spinge.
Il 21 gennaio si tiene la prima assemblea della SOMS Insorgiamo, la società di mutuo soccorso creata ad ottobre per dare un’alternativa alla mancata reindustrializzazione del sito di Campi Bisenzio da parte di Qf. Fissata proprio nel giorno dell’anniversario della fondazione del Partito Comunista Italiano con la famosa scissione di Livorno, perché anche per questo movimento si tratta di un nuovo inizio: non nasce un partito e non c’è nessuna rottura, ma il passaggio è tutt’altro che indolore. È cominciata “la fase delle grandi possibilità e del grande scoramento,” come dichiara Salvetti.
Il momento è difficile. Ci sono sempre più lavoratori che se ne vanno, in lacrime. Cresce la tensione, sono all’ordine del giorno le recriminazioni tra chi è “sempre al presidio,” e “ha fatto il giro dell’Italia per far riaprire la Fabbrica”, nei confronti di chi, invece, è stato “tutto il tempo sul divano”. Nel momento del bisogno, però, alcuni lavoratori si son fatti vedere, e sono stati aiutati: una decisione non condivisa da tuttə coloro che hanno portato avanti la lotta in questi mesi. (In mezzo alle polemiche sulla linea tenuta, le RSU a febbraio chiedono ai lavoratori una conferma al mandato—che viene data a stragrande maggioranza dall’assemblea permanente)
Auto-organizzarsi è faticoso: ci sono lavoratori che sono scettici circa il nuovo corso. D’altronde, il passaggio alla Fabbrica pubblica è quasi un cambiamento di specie, da anfibio a rettile, non serve più l’acqua (“il padrone”)—è la proverbiale rana che salta fuori dalla pentola e diventa qualcos’altro. Gli operai sono chiamati a camminare con le loro gambe. Ma i rischi ci sono e sono tanti e le bollette da pagare si stanno accumulando. Come la stanchezza, del resto. Una stanchezza indicibile.
Intanto, sempre a gennaio è la volta dello stabilimento GKN di Mosel in Germania: 800 persone a casa. Dopo Birmingham in Inghilterra (519 posti di lavoro nella sola fabbrica di Erdington) e Kaiserslautern in Germania, chiude anche un’altra fabbrica tedesca dove si producono pezzi per Audi e Volkswagen. D’altra parte, Melrose, ha annunciato a settembre 2022 di voler ritenere solo GKN Aerospace e scorporare GKN automotive. Chris Carr, professore di economia dell’Università di Edimburgo, che ha aiutato GKN a internazionalizzare l’azienda, si chiede sul Financial Times se Melrose non si prepari a un’ulteriore vendita, visto che non è riuscita ad ottenere i guadagni desiderati e visto che il suo impegno con il governo britannico di mantenere brevetti e tecnologia scade a breve.
A Campi Bisenzio, per settimane sono al vaglio ipotesi alternative di reindustrializzazione del sito. Non c’è nessun idealismo in questo, dice Salvetti in assemblea; e ammette: “Non siamo sconfitti ma non siamo nemmeno riusciti a vincere”.
Non ci sarà una fabbrica nazionalizzata a controllo operaio, come avrebbe voluto il Collettivo. Non esistono i rapporti di forza per averla. Arriva però una start-up che propone di entrare con brevetti e quota in una fabbrica autogestita almeno al 51% dai lavoratori. L’idea è di produrre batterie e componenti per pannelli fotovoltaici di nuova generazione. In questo processo, la SOMS serve tecnicamente come soggetto giuridico in grado di richiedere finanziamenti per la re-industrializzazione. “La nostra proposta è chiara”, continua Salvetti. “La Regione fa il consorzio industriale, prende in mano lo stabilimento, accompagna Borgomeo fuori in un’uscita composta dove rimetta a posto, faccia un APEA (un’area produttiva ecologicamente attrezzata) in base alla loro legge, la politica energetica in base alla loro legge e noi possiamo diventare un pezzo di una sorta di ‘condominio industriale’”.
La situazione si complica
La situazione però si complica ulteriormente a febbraio. Il 22 Borgomeo mette in liquidazione l’azienda. Di fatto, la procedura viene depositata il 9, quando RSU, sindacato e Regione credono ancora di stare a discutere della cassa integrazione per riorganizzazione, la cui procedura è stata aperta appunto dalla proprietà a gennaio. Il 10 febbraio, un gruppo di operai ex GKN fa incursione a Cassino: c’è assemblea di Unindustria, di cui Francesco Borgomeo è presidente. Ma l’arrivo dei lavoratori da Campi Bisenzio è il segreto di Pulcinella: fuori dall’edificio, ci sono già le forze dell’ordine ad aspettarli. Un poliziotto comunica loro che l’assemblea, appunto, “si tiene in remoto”. Gli operai si spostano ad Anagni dove ha sede la Saxa Gres di Borgomeo, ma non lo trovano nemmeno lì. Nel frattempo, le RSU ricevono un’email dall’azienda in cui comunica che è disposta a discutere della riorganizzazione industriale proprio a partire dal 21 febbraio… Dopo le proteste dei lavoratori ex GKN nel Lazio, Dario Nardella invita a recuperare un clima di serenità; il Collettivo ribatte seccamente al sindaco di Firenze: “Si privi degli ultimi quattro stipendi”.
Per San Valentino, arriva il pignoramento di due macchinari della 4.0—uno automatico per il controllo qualità denominato “Vision” e un robot motoman, e salgono a 98 le ingiunzioni di pagamento da cinque giudici diversi. “L’azione legale dei lavoratori arriva a fare chiarezza dove un intero sistema istituzionale fallisce,” scrive il Collettivo. Il 24 febbraio al tavolo del Ministero delle Imprese e del Made in Italy (ex MISE) al posto di Borgomeo arriva il commissario liquidatore, Salvatore Sarcone, nominato dall’azienda qualche giorno prima; dichiara la carenza di liquidità e che “all’azienda sarebbe utile potersi avvalere della cassa integrazione”. Soprattutto, dice di non aver avuto il tempo di studiare le carte; il tavolo viene aggiornato. Dopo due settimane, Sarcone si dimette e arriverà un nuovo liquidatore, Gianluca Franchi, consigliere della Saxa Gres.
“Perché diserta i tavoli? Non sarà perché non ha nulla da offrire?”, si chiede Matteo Moretti, RSU-Fiom ex GKN. In altre parole, rimane senza risposta la domanda che potrebbe portare a fare chiarezza su tutta la vicenda: cos’è di proprietà di Borgomeo?
Da advisor di Melrose/GKN (novembre 2021), poi “salvatore” con il passaggio di proprietà (23 dicembre 2021), quindi coordinatore di un consorzio, Iris Lab, “non a scopo di lucro” (29 luglio 2022) e re-industrializzatore unico (31 agosto 2022) fino a mettere in liquidazione Qf (febbraio 2023), come aveva fatto la multinazionale, fa notare Moretti, incluso l’invito a licenziarsi. Tramite una comunicazione aziendale, Qf (a firma del nuovo liquidatore Franchi) fa sapere che è stato attivato un canale di ricollocamento “dopo accordi con società di outplacement”. Proprio quello che aveva provato a fare Melrose/GKN con la mitigation nell’agosto 2021, dichiara Moretti.
Ufficializzata quindi la messa in liquidazione volontaria dell’azienda, Borgomeo scompare (appunto) dai tavoli ministeriali. Non si presenta nemmeno all’audizione alla Camera delle Commissioni Attività Produttive e Lavoro. Nel frattempo, nell’ultimo incontro ristretto al Mimit a cui è presente, Borgomeo definisce la liquidazione come necessaria: è aperta al liquidatore solo la vendita per cespiti, quindi non ad un solo acquirente. La Regione Toscana, rappresentata dal consigliere con delega al lavoro, Fabiani, che ha condotto lo scouting in queste settimane, e secondo cui ci sarebbero sei soggetti interessati al sito, chiede il ritiro della procedura di liquidazione, per consentire il commissariamento. Concordano sindacati e RSU. Borgomeo però dichiara: “Qf non ha i requisiti per l’amministrazione straordinaria, a cominciare dalla continuità produttiva, vista anche l’assenza conclamata di un piano industriale”.
Il 2 marzo si tiene altra riunione-fiume di oltre dieci ore al Mimit con Rsu e sindacati, il proprietario di Qf (assente) fa sapere che subordina il ritiro della liquidazione allo smantellamento dei macchinari. Secondo Luca Annibaletti, coordinatore della Struttura per le Crisi d’Impresa al Mimit, e la sottosegretaria Fausta Bergamotto, l’amministrazione straordinaria è invece possibile, ma deve essere revocata la procedura di liquidazione (il Tribunale competente deve dichiarare lo stato di insolvenza).
Poi, però, di nuovo tutto fermo. Gli operai ancora senza stipendio. Il Ministero tace, Borgomeo dichiara che non è più affar suo, che tutto è in mano al liquidatore. Il 20 marzo arriva la conferma alle voci che correvano da giorni: con decreto la cassa integrazione è stata applicata retroattivamente per il periodo da gennaio a ottobre 2022. Certo, una boccata di ossigeno per l’industriale, ma le 140 ingiunzioni di pagamento non decadono, data la sentenza del Tribunale contro il ricorso di Borgomeo. Resta il fatto che i lavoratori potrebbero aspettare dei mesi prima di vedere le mensilità dovute.
Di nuovo al punto di partenza, meno sei mensilità
E allora? Dopo 20 mesi di lotta, gli operai sono al punto di partenza. Meno sei mensilità.
Avanti, dunque. Avanti con l’azione legale, la mobilitazione, la convergenza. E la richiesta avanzata dal Collettivo all’audizione alla Camera del 21 marzo di aprire una Commissione parlamentare d’inchiesta. “Esiste un modus operandi con cui si portano avanti le delocalizzazioni e le deindustrializzazioni?”, si chiede Salvetti nell’Aula delle Commissioni Attività Produttive della Camera. “Da ottobre, siamo controllati da una società, la Pvar, che ha come oggetto sociale la vendita di immobili e non la reindustrializzazione del sito,” continua. E ancora: “È questo dunque un modus operandi delle multinazionali nel condurre delocalizzazioni senza dichiarare licenziamenti trasformando le strutture societarie in scatole vuote dove i contratti a tempo indeterminato non vengono distrutti formalmente ma (i lavoratori) sono costretti a licenziarsi e vengono quindi distrutti posti di lavoro?” Sarebbe importante “per la politica capire se gli strumenti giuridici e politici esistenti sono all’altezza delle azioni delle multinazionali e dei grandi capitali sui nostri territori”.
Le RSU chiedono l’amministrazione straordinaria e il commissariamento di Qf, di ripristinare il rispetto della contrattazione nazionale e interna, l’apertura di una cassa per riorganizzazione integrata e anticipata al soggetto privato o pubblico che consenta la reindustrializzazione con i progetti che stanno arrivando alla Regione Toscana. E prosegue Salvetti: “Vogliamo valutare assieme a Mimit, Invitalia e CFI l’entrata di capitale pubblico in Qf e l’ipotesi di copertura pubblica dei piani industriali da noi proposti anche in forma di garanzie sul credito e/o l’analisi di fattibilità del nostro piano industriale, in particolare quella legata ai pannelli fotovoltaici, un’ipotesi di Workers’ Buyout, anche sostenute da intervento pubblico.
Avanti, quindi, anche con la possibile reindustrializzazione “dal basso”. A questo proposito, Il 16 marzo il Collettivo di Fabbrica lancia anche la campagna di crowdfunding “GKN for Future”, sostenuta da Banca Etica, ARCI e Fridays for Future Italia e elaborata assieme a ricercatrici e ricercatori solidali da tutta Italia, attivistə di Co.Mu.net-Officine Corsare, Autogestione in Movimento – Fuori Mercato, Rete Italiana Imprese Recuperate, MAG Firenze. Il crowdfunding si compone di tre fasi: la prima (il cosiddetto reward crowdfunding) , che durerà fino al 2 maggio 2023, raccoglierà le donazioni di voglia contribuire ad avviare il piano di reindustrializzazione, fornendo il budget minimo di 75 mila euro necessarie “per coprire le spese per la fondazione del nuovo soggetto industriale e per l’avvio dell’attività produttiva”; la seconda fase sarà quella dedicata all’equity crowdfunding dopo l’estate e “si avvarrà dei piccoli, medi e grandi investimenti di chiunque vorrà scommettere sul piano di reindustrializzazione. La terza fase, una volta avviata la produzione dei pannelli, vedrà infine un product crowdfunding, con le prime commesse, che puntano a coinvolgere imprese recuperate e cooperative di produzione già esistenti, alleate nel processo di sviluppo di un’autentica transizione ecologica.
Il piano, in linea con gli obiettivi del PNRR e l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, si snoda nella produzione di pannelli fotovoltaici, batterie e cargo bike a ridotto impatto ecologico. A Campi Bisenzio, si potrebbero produrre rinnovabili che si pongono fuori dalla filiera del litio e del silicio (e quindi fuori da logiche estrattiviste), si potrebbe dare un impulso alla mobilità sostenibile con una prima cargo bike targata Insorgiamo, che i lavoratori hanno presentato in Fabbrica l’11 febbraio. Si potrebbe, infine, trasformare lo stabilimento di Campi Bisenzio in una comunità energetica. Si tratta del progetto per “una fabbrica recuperata dai lavoratori e dalle lavoratrici e socialmente integrata grazie al protagonismo delle persone e delle associazioni che hanno solidarizzato con la nostra lotta,” hanno dichiarato le RSU ex GKN nel lanciare l’iniziativa.
Sebbene il fenomeno delle imprese recuperate esista anche nel nostro paese, coinvolge in genere fabbriche più piccole. Questo sarebbe il primo esperimento del genere in Italia. Il modello è quello dell’Argentina, dove dopo trent’anni di politiche economiche e sociali neoliberiste che hanno portato il 60% del paese sotto la soglia di povertà, sono emerse centinaia di fabbriche recuperate (empresas y fabricas recuperadas).
“Avanti, adesso, insorgiamo”
Nell’assedio, i lavoratori GKN si sono ritrovati dentro a un nuovo calcolo, a cui, per loro stessa ammissione, non erano preparati. Non erano preparati perché credevano che bastassero il CCNL, il contratto aziendale, le 29 PEC, e ancora, la mobilitazione popolare, le quasi 17 mila firme raccolte, lo sforzo continuo (e riuscito, almeno a livello locale) di tenere i riflettori accesi sulla vertenza, la convergenza con le altre lotte anticapitaliste. Che essere (stati?) una delle realtà più sindacalizzate d’Italia potesse bastare.
E invece, ancora non basta. “Se osano comportarsi così, in una vertenza nazionale e alla luce del sole, cosa succede quotidianamente nelle piccole aziende, nei capannoni, nei magazzini, nei campi, nel turismo stagionale?”, si chiede il Collettivo sui social il 9 marzo, dopo 20 mesi di assemblea permanente.
220 posti di lavoro bruciati, 90 persi da quando è arrivata la nuova proprietà, scrive il Collettivo nel lanciare l’appello “a difendere GKN, ora, tentare il futuro, creare un precedente a favore di tutte/i,” sottoscritto da centinaia realtà della società civile e da personalità del mondo della politica, della cultura e dello spettacolo.
E invece, ancora non basta. “Non fa scandalo nemmeno il fatto che non pagano”, aveva ammesso Salvetti nell’assemblea del 23 febbraio. Anche perché, “un conto è capire il calcolo, un conto è riuscire a sventarlo”.
Forse perché quasi 3 milioni di famiglie vivono in condizioni di povertà relativa, secondo i dati pubblicati dall’Istat a giugno 2022. Forse perché ormai assistiamo da anni a processi di normalizzazione del lavoro precario che toccano la vita di ognunə di noi. Forse perché manca “un’organizzazione politica del conflitto sociale in questo paese”, come dichiara Natalia Piombino durante il suo intervento in assemblea.
Il fatto è che il capitalismo nella sua forma avanzata non ammette di non poter essere inserito in un calcolo: cioè, deve poter esser in grado di calcolare tutto. Secondo economistə liberalə francesə in voga qualche anno fa, quali Olivier Blachard (dal 2008 al 2015 all’IMF) e Jean Tyrol (Premio Nobel per l’Economia nel 2014), è proprio qui che risiede “il problema del diritto del lavoro continentale,”come ha spiegato bene Federico Martelloni a Wikiradio. Lo smantellamento in Italia dell’architrave di tutte le tutele–l’art.18 dello Statuto dei Lavoratori–è servito proprio a questo. Dopo la L.108/1990 si è assistito a una monetizzazione del posto di lavoro e ampia discrezione è stata data aə giudici del lavoro, I lunghi tempi processuali, inoltre, esponevano i datori di lavoro che avessero indebitamente licenziato un dipendente a risarcimenti dei danni anche notevoli. E invece, non ci possono essere elementi di disturbo del “calcolo di anticipazione razionale degli agenti economici”. A partire dalla Monti-Fornero (L.92/2012) si spacchettano i regimi di tutela dell’art.18 per venire incontro alle imprese, in quanto esse devono poter calcolare i costi delle proprie operazioni, il che significa, anche, predire il costo di un eventuale licenziamento.
Il calcolo in GKN, secondo Salvetti, è sulla “materialità della vita delle persone”. Se perderanno, visto che ci vorranno forse anni per ottenere ciò che legalmente è dovuto loro, quantə avranno la forza e la voglia di portare avanti una vertenzialità legale? “Tanti non ne vorranno più sentir parlare”, conclude amaro.
Per uscire dal nuovo calcolo, per saltare fuori dall’acqua bollente del pentolone, la rana deve fare un gesto che è quasi impossibile, perché regole ferree come quelle della fisica riducono le possibilità fino a farle diventare mere improbabilità.
E siccome, ancora non basta, GKN scende di nuovo in piazza. Sabato 25 marzo sarà dunque una “mobilitazione d’orgoglio”, in difesa di GKN,” ma anche un corteo “fortemente sindacale, perché il precedente che si è creato va chiuso”, dichiarano le RSU in conferenza stampa. Occorre far notare che, al 23 marzo, RSU o direttivi locali CGIL, sindacati di base e Fiom locali, CGIL Toscana, e minoranza CGIL (Riconquistiamo Tutto) hanno aderito alla manifestazione. I sindacati nazionali tacciono. Aderire, d’altra parte, non significa contribuire all’organizzazione e alla riuscita della manifestazione, specie ai tempi del carovita, visto che spostarsi per raggiungere Firenze ha un costo. Anche in questo senso, la comunità solidale che si è stretta attorno alla Fabbrica di Campi Bisenzio, ha dato prova di esserci nel momento in cui altrə (soggetti politici e sindacali) non erano attivə.
Il corteo partirà da Novoli, viale Guidoni angolo via Forlanini. Un luogo simbolico perché fino al 1994 qui c’era la Fiat e proprio da questo slargo partivano le manifestazioni. Un modo per connettersi alla storia industriale della città e pretendere di continuare ad esserlo, scrive il Collettivo. Girerà per le periferie perché sono i luoghi dove abitano e vivono le lavoratrici e i lavoratori della città. Sebbene sia in atto un tentativo di far diventare gli operai GKN “un problema di ordine pubblico”, il corteo vuole essere “colorato e pacifico come sempre”. Sfilerà accanto a vetrine, teatri, uffici a vetrata, passerà sopra ponti, attraverserà soprattutto diversi sottopassaggi, perché non c’è cosa che il Collettivo di Fabbrica adori di più—che entrare nel buio del futuro, fare tanto rumore e uscirne nuovə e vivə, alla luce del sole.
“Avanti, adesso, insorgiamo!”
Silvia Giagnoni
Silvia Giagnoni è scrittrice e lecturer in Communications & Media Studies presso la John Cabot University di Roma. Sta lavorando a un libro sulla vicenda dei lavoratori ex GKN in uscita a giugno 2023 per Fandango Libri.