Il Rapporto è, infatti, il risultato di una analisi svolta su base collaborativa, che coinvolge sedici istituzioni partner, e che basa il suo apparato analitico, soprattutto, sui dati dell’Integrated Food Security Phase Classification (IPC) o del Cadre Harmonisé (CH), che esprimono stime e dati inerenti alle popolazioni bisognose di cibo, nutrizione o assistenza per il sostentamento, ma anche sui dati del Famine Early Warning Systems Network (FEWS), del Programma Alimentare Mondiale (WFP) e i documenti-Paese, vale a dire le panoramiche dei bisogni umanitari specifici per Paese. L’obiettivo del Rapporto è, quindi, duplice: da un lato, fornire uno strumento utile per fondare su dati le indicazioni e le proposte per le politiche dell’area umanitaria e dello sviluppo; dall’altro, rappresentare un’istantanea sulla problematica della fame del mondo, sulla sua portata e il suo andamento, sulla situazione delle popolazioni dei più diversi Paesi.
L’importanza della questione, e la drammatica dimensione dei suoi contorni, sono, del resto, ormai ampiamente noti, e da anni: l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, vale a dire il quadro di riferimento globale per affrontare le sfide planetarie del tempo presente a livello nazionale e in ambito internazionale, nel fissare i 17 obiettivi e i 169 sotto-obiettivi dello sviluppo sostenibile, legati alle sue tre dimensioni-chiave (la dimensione economica, la dimensione sociale e la dimensione ecologica), pone in cima a questa “griglia”, esattamente l’obiettivo di «sradicare la povertà in tutte le sue forme e ovunque nel mondo» (obiettivo 1) e quello di «porre fine alla fame, conseguire la sicurezza alimentare, migliorare l’alimentazione e promuovere l’agricoltura sostenibile» (obiettivo 2).
È perfino pleonastico, a tal proposito, ribadire, come spesso si sente ripetere, che «non c’è più tempo»: l’obiettivo si declina, infatti, alla scadenza del 2030, e, proprio per quella scadenza, fissa l’impegno programmatico di: a) porre fine alla fame e garantire a tutti e tutte, in particolare alle persone più vulnerabili, un accesso sicuro a cibo nutriente e sufficiente per tutto l’anno; b) porre fine a tutte le forme di malnutrizione; c) garantire sistemi di produzione alimentare sostenibili e realizzare pratiche agricole capaci di aumentare produzione e produttività, proteggendo, allo stesso tempo, gli ecosistemi.
Il quadro che emerge, tuttavia, dall’ultimo Rapporto Globale 2023 sulle Crisi Alimentari, con le specifiche cause e responsabilità che il documento stesso individua, è a dir poco allarmante. Quasi 258 milioni di persone in 58 Paesi del mondo sono, nel 2022, in crisi alimentare o insicurezza alimentare particolarmente grave, in netto incremento rispetto ai 193 milioni in 53 Paesi che erano stati indicati nel 2021. Non solo si tratta del dato più alto e più drammatico dal 2017, ma si tratta, nello specifico, del quarto anno consecutivo di aumento del numero di persone in tale situazione.
Più in dettaglio, oltre il 40 % della popolazione in tale situazione di particolare gravità risiede, nel 2022, in soli cinque Paesi: Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Afghanistan, Nigeria e Yemen. Numeri particolarmente allarmanti di persone in situazione considerata catastrofica sono in Somalia, Sud Sudan, Yemen, Afghanistan, Haiti, Nigeria e Burkina Faso. In una situazione considerata di emergenza grave si trovano ben 35 milioni di persone in 39 Paesi del mondo.
Cause e responsabilità di questa vera e propria catastrofe sono ben individuate dal rapporto: la guerra è il fattore più significativo in 19 Paesi, in cui 117 milioni di persone si trovavano in una situazione grave o estremamente grave; un dato comunque inferiore rispetto al 2021, quando il conflitto era considerato il fattore principale in 24 Paesi con 139 milioni di persone in tali situazioni di insicurezza alimentare acuta.
L’altro fattore principale è costituito dalle crisi economiche, dal momento che gli shock economici sono diventati, nel 2022, il fattore principale in 27 Paesi con quasi 84 milioni di persone in una situazione grave o estremamente grave, rispetto ai poco più di 30 milioni di persone in 21 Paesi che erano stati riportati nel 2021.
Vengono ovviamente considerati gli effetti delle politiche di gestione dell’emergenza pandemica e le conseguenze dell’impatto della guerra in Ucraina; ma il fatto che la guerra, con l’intreccio degli interessi economici e strategici degli attori dominanti e delle potenze imperialistiche, e le crisi economiche, legate alle modalità di produzione e riproduzione del modello economico dominante, rappresentino i fattori principali di tale, vera e propria, catastrofe civile e umanitaria, costituisce un elemento, estremamente e drammaticamente, significativo.
È sempre più una questione di «paradigma» e di modello di sviluppo; vale a dire di sistema economico e sociale; sempre più capitalismo fame e guerra, strettamente intrecciati, innescano una spirale perversa e distruttiva.
Nota: Questo articolo è uscito sulla agenzia internazionale pressenza