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The soul of Porretta, Memphis Tennessee .
20 / 23 luglio 2023: un festival imperdibile

The soul of Porretta, Memphis Tennessee : 20 / 23 luglio 2023 Porretta Soul Festival

Dal punto di vista geografico, Porretta Terme è una frazione situata nell’Appennino Tosco-Emiliano, nella valle del fiume Reno, ed è la sede comunale del comune di Alto Reno Terme, nella città metropolitana di Bologna, in Emilia-Romagna.

Dal punto di vista etimologico, il toponimo Porretta deriverebbe dal latino porrectus da porrigere nel significato di “esteso”, “lungo”. Dal punto di vista termale, le acque delle terme di Porretta utilizzano le proprietà salutari di diverse fonti e i preziosi attributi di sorgenti benefiche: sulfuree, ricche d’idrogeno solforato, salsobromoiodiche, copiose di oligoelementi, sale e iodio.

Dal punto di vista musicale, Porretta è sede da 35 anni del Porretta Soul Festival – Tribute to Otis Redding  The sweet sound of rhythm & blues.

Infatti, il festival è diventato nel tempo il più prestigioso appuntamento europeo dedicato interamente alla musica soul e rhythm & blues, con un riferimento particolare alla musica di Memphis, il Memphis Sound, la scuola musicale del grande Otis Redding, al quale il festival è dedicato.

Il festival nacque il 10 dicembre 1987 per iniziativa di Graziano Uliani, appassionato di musica soul, il quale, dopo aver partecipato alle celebrazioni per il ventesimo anniversario della morte di Otis Redding a Macon, in Georgia, decise di organizzare un festival in suo onore.

Bobby Rush & Latimore. ph Mauro Presini
Otis Clay. ph Mauro Presini

In oltre trent’anni da Porretta sono passati i più bei nomi del soul, molti di questi giunti appositamente per la prima volta in Europa, altri, autentiche leggende, scovati in sperdute località del deep south, il profondo sud degli States e riproposti al pubblico e alla stampa internazionale, che ha parlato del ‘miracolo di Porretta’ come dell’evento musicale degli ultimi anni.

Qualche nome mitico tanto per fare qualche esempio: Rufus Thomas, Sam Moore, Wilson Pickett, Carla Thomas, Mavis Staples, Otis Clay, The Bar-Kays, Shirley Brown, Solomon Burke, Isaac Hayes, The Neville Brothers, Joe Simon, Ann Peebles, Percy Sledge, William Bell, The Blues Brothers, Syl Johnson,. The Memphis Horns, James Carr, Spencer Wiggins, Bobby Rush e l’elenco può continuare a lungo.

Rufus Thomas, ph Mauro Presini

Gli addetti ai lavori hanno dovuto anche rivedere la geografia della musica nera, inserendo Porretta nel percorso dei grandi avvenimenti musicali. Porretta è così entrata di diritto nelle enciclopedie e nelle biografie ufficiali dei grandi interpreti del soul, tanto che si è guadagnata un posto nel prestigioso Stax Museum of American Soul Music a Memphis.

Ho partecipato a moltissime edizioni del festival come appassionato e come fotografo e, oltre alla qualità musicale incredibile, è doveroso sottolineare l’accoglienza calorosa, l’atmosfera unica ma soprattutto l’anima sincera di Porretta che, nei giorni del Festival, diventa un meraviglioso luogo interculturale dove “pace, amore e musica” non è solo uno slogan di altri tempi, ma un modo di essere e di vivere insieme fraternamente: pubblico e musicisti.

Solomon Burke. ph Mauro Presini

A Porretta ci sono il parco Rufus Thomas, via Otis Redding, il Solomon Burke Bridge, un vicolo dedicato a Sam Cooke e splendidi murales, che rendono le montagne dell’appennino orgogliose di creare uno splendida cornice a questo quadro capolavoro rappresentato dal Soul Festival.

In pratica, dal punto di vista della salute psicofisica, Porretta è un luogo corroborante dove andare a farsi del bene.

Wilson Pickett. ph Mauro Presini
Syl Johnson. ph Mauro Presini

Quindi il mio invito a visitare Porretta (partecipando alla trentacinquesima edizione del festival che si svolgerà nei giorni 20, 21, 22 e 23 luglio prossimi) è rivolto non solo a tutti gli appassionati di questo fantastico genere musicale, ma a tutti coloro che credono in una fratellanza universale, dove la musica aiuta ad immaginare un mondo migliore.

Comunque la pensiate buon viaggio musicale a Porretta Terme, ormai diventata a buon titolo provincia di Memphis, Tennessee.

In copertina: Alvon Johnson in concerto al Porretta Soul Festival. Cover e foto nel testo sono di Mauro Presini

Per leggere gli articoli di Mauro Presini su Periscopio clicca sul nome dell’autore

Parole e figure /
Notiziario (triste). Niente da dichiarare!

È appena uscito in libreria “Notiziario”, di Armin Greder, con Orecchio Acerbo editore: uno sguardo che non lascia mai nell’indifferenza. Lo shock è servito!

Informazioni che sono prese da fonti ufficiali, agenzie di stampa, pubblicità alla portata di tutti nel web o video su Facebook e Youtube. L’acqua pura ottenuta dallo scioglimento del ghiaccio delle Svalbard, venduta a 100 euro la bottiglietta; le 160.000 visualizzazioni di Autumn Fry, bambina di otto anni in Pennsylvania, filmata dal padre mentre impugna un lanciafiamme, un astuccio di tela da 8 orologi che dispone di un cassettino estraibile per nascondere altri oggetti di valore al prezzo di 7.200 dollari.

Accanto a notizie del genere Armin Greder si limita – senza aggiungere nemmeno una parola di commento – a giustapporre queste altre informazioni: bambini che fanno ore di cammino sotto il sole per due taniche d’acqua, ragazze reclutate e poi violentate dai gruppi armati nel nord-est della Nigeria. Spa, ristoranti, crociere.

Accanto a fame, povertà, fuga. Benvenuti nel nostro meraviglioso mondo. L’incredibilità del reale che supera ogni più fervida immaginazione.

Un autore che tace perché sa che il giudizio è già negli stessi fatti. Basta leggere le notizie per avere la misura della folle e cieca corsa che l’umanità ha intrapreso.

Un j’accuse che si riempie di senso nel solo susseguirsi delle notizie quotidiane.

Armin Greder è fumettista, graphic designer e illustratore. È emigrato in Australia nel 1971, dove ha insegnato design e illustrazione al Queensland College of Art. Al suo lavoro sono state dedicate numerose mostre personali e collettive dalla Germania fino al Giappone.

Nel 1996, ha ricevuto il Bologna Ragazzi Award e l’IBBY Honour List con “The Great Bear” di Libby Gleeson (Scholastic Press). Con Libby Gleeson ha pubblicato anche: “Big dog” (1991), “Sleep time” (1993), “The princess and the perfect dish” (1995) e “An ordinary day” (2001). “Die Insel” (“L’isola” orecchio acerbo, 2008) pubblicato da Sauerlander nel 2002, è il libro di cui per la prima volta è anche autore dei testi. È tradotto in moltissime lingue e ha ricevuto premi in tutto il mondo, fra cui il Goldener Apfel/Golden alla Biennale di Illustrazione di Bratislava del 2003.

Armin Greder, Notiziario, Orecchio Acerbo editore, 36 p., luglio 2023

Libri per bambini, per crescere e per restare bambini, anche da adulti.
Rubrica a cura di Simonetta Sandri in collaborazione con la libreria Testaperaria di Ferrara

Daniele che combatteva senza armi contro le rotture della Sinistra

Diversi scritti  e anche discorsi  nel consesso cittadino hanno ricordato una persone meritevole di riconoscimento come lo è stato Daniele Lugli. Mi sento anch’io  in dovere di ricordarlo come persona che ho conosciuto e ho potuto apprezzarne le sue qualità, particolarmente quelle politiche e professionali. Daniele purtroppo ha cessato di vivere, di recente mentre faceva il bagno nel mare Adriatico davanti al lido di Spina. Lo conoscevo da tempo. La prima volta era venuto a Filo d’Argenta  negli anni sessanta, ancora giovanissimo per  un confronto  pubblico tra esponenti politici. Non aderivamo alla stessa forza politica, ma le sue scelte di sostenitore della non violenza e di pacifista, ci hanno comunque accumunati su un punto, quello inerente la comune contrarietà alle rotture a sinistra. Quelle che hanno tormentato anche le vicende della sinistra ferrarese nello stesso secondo dopoguerra, quando sono state effettuate le formazioni dei governi del paese compiute e operate con scelte di rottura prodotte da errati condizionamenti. Vi sono state rotture che sarebbero state ancora più dolorose e profonde se alcuni non vi si fossero contrapposti compiendo scelte contrarie alle divisioni, come Daniele fece assieme ad altri compagni. Impendendo conseguenze di rotture più dolorose nei comuni, anche nel capoluogo e nelle stessa Amministrazione provinciale. Questo lo ha fatto sul piano della sua autonoma collocazione politica, che è bene  ricordare e anche per questo merita di essere apprezzato.

Immagine tratta da Azione Nonviolenta

 

Aggiungo vicende personalmente vissute. In una delegazione formatasi ed ospitata per il gemellaggio con la Contea inglese Swansea di cui eravamo  entrambi componenti, siamo stati tra l’altro  a visitare l’ambiente lavorativo in  una miniera, le cui gallerie erano profonde oltre i 500 metri, vietate alle donne e l’abbiamo percorsa con l’acqua che superava in alcuni punti anche i 50 cm. Ci interessava capire in quali condizioni di lavoro si poteva essere indotti. Un lavoro disumano e da schiavi anche nella civiltà industriale.

Rammento anche del ruolo svolto da funzionario delle segretaria della amministrazione provinciale per suggerirci e stimolarci nell’acquisto di palazzo “Giulio D’Este” ove è attualmente alloggiata la Prefettura di Ferrara. La stava acquistando negli anni 80’ del secolo scorso una ditta privata, ma compiendo l’acquisto da parte della provincia, per lo stesso prezzo già concordato, abbiamo potuto, dopo adeguato restauro, liberare il castello Estense di Ferrara dall’abitazione del Prefetto e dagli uffici della prefettura e metterlo a disposizione di funzioni ben più adeguate e consone a mostre, convegni e esposizioni. Adesso lo si può fare e si fa. Non è un merito trascurabile.

Nella  sua dedizione al proprio lavoro di pubblico dipendente, è  riuscito a rintracciarmi telefonicamente in Alto Adige, nel mese di agosto quando le comunicazioni non erano facilitate dall’uso dei cellulari, per comunicarmi le osservazioni pervenute dalla Sovraintendenza alle belle arti relative ad un importante progetto di restauro in città di una importante istituzione scolastica.

Infine trovo particolarmente idoneo al ricordo personale di una sua passione, meno nota e naturale. Quella della raccolta dei funghi. Con una delegazione di amministratori e tecnici della provincia di Ferrara eravamo partecipi di un convegno nazionale a Fiuggi promosso dall’Unione delle Province .  Il presidente che sapeva della nostra comune “passione” è arrivato dentro la sala del convegno portandosi un sacchetto pieno di funghi porcini lasciandoci intendere che li aveva trovati casualmente nel bosco lungo la strada, che da Roma raggiunge quella località termale. Li aveva acquistati da raccoglitori, ma noi abbiamo abboccato e in ogni caso erano veramente germinati. Con Daniele, non avendo abiti idonei per entrare nel bosco di primo mattino, che era il momento che potevamo utilizzare per tentare la fortuna, acquistati stivaletti di gomma , calzoni e camicia, e all’alba del giorno dopo, senza disturbare l’autista, ne ridurre la nostra partecipazione al convegno, ci siamo inoltrati  nel bosco che partiva al termine dell’abitato.. Non abbiamo trovato molto, poche russole, ma ci abbiamo provato e infine l’esortazione: Daniele Lugli persona meritevole di riconoscimento, uomo dei diritti, da ammirare per coerenza e bontà, per il grande impegno per la pace e l’impegno unitario della sinistra e un saluto come ho sempre  fatto quando l’ho incontrato in bici  per strada,  per le scelte e gli atti compiuti. Quando ci incontravamo, uno scambio di saluti, con frequenza degli incontri,  sempre in calare col crescere degli anni e ora purtroppo non è  più possibile, e con tanto  dispiacere, …… semplicemente …   ciao Daniele.   

Giorgio Bottoni

Donne vittime di violenza economica. Quale aiuto dalla legge?

Divorzio e donne sull’orlo di una crisi di nervi, vittime di violenza economica. La legge 3/2012 corre in loro aiuto

Due storie emblematiche di come un divorzio possa penalizzare il gentil sesso. 37 su 100 ricorrono ai Centri antiviolenza proprio per questo tipo di pressione, psicologica e non. Il Codice della Crisi ha permesso di cancellare situazioni al limite e far ritrovare la serenità perduta. 

I numeri parlano chiaro. In Italia, ancora oggi, il 40% delle donne non dispone di un proprio conto corrente e il 37,8% di quelle che si rivolgono a un centro antiviolenza lo fa anche per casi di violenza economica, un retaggio culturale e un tabù sociale alquanto duri da spezzare.

Proprio per questo già a partire dal 2021 Banca d’Italia, il Consiglio Nazionale del Notariato insieme a circa 250 associazioni locali per la parità di genere hanno promosso un progetto di educazione finanziaria. “Purtroppo le scarse conoscenze economico finanziaria – spiega l’avvocato Letterio Stracuzzi, presidente di Protezione sociale italiana – espongono il gentil sesso a altro tipo di violenza, esercitata dai loro mariti, compagni o ex mariti. Parliamo della violenza economica. Capita molto spesso che le donne che hanno proprietà immobiliari o un rapporto di lavoro fisso, sono quasi costrette a prestare garanzie personali per le attività del marito, sia in attività artigiane, quindi piccoli imprenditori, sia in società commerciali. Poi, quando l’impresa del marito cessa o fallisce, il marito comunque scappa via, e la donna si trova a sopportare le spese”.  

Quella di Angela, ad esempio, è la storia di una madre che si è trovata in una situazione di indebitamento per le garanzie prestate in favore dell’impresa, fallita nel 2016, dell’ex marito: “Garanzie -prosegue l’avvocato Stracuzzi - per mutui di liquidità e finanziamenti. A seguito del fallimento i coniugi hanno deciso di divorziare e, nel 2019, l’ex marito si trasferisce all’estero e lascia la donna e le due figlie senza alcun tipo di sostegno, con banche e finanziarie alle calcagna. Per questo, Angela si rivolge a noi e, in particolare all’Organismo di Composizione della Crisi di Pavia, competente per territorio, per poter beneficiare della legge 3/2012, la cosiddetta legge anti-suicidi, oggi Codice della Crisi, e risolvere la propria situazione“.    

Angela, grazie all’Organismo di Composizione della Crisi (Occ) di Protezione sociale italiana, ha proposto di risolvere la propria situazione di indebitamento -pari a 938.000 euro- offrendo ai creditori la somma di 48.000 mila euro in 6 anni. La cifra offerta risulta superiore a quella che i creditori potrebbero incassare dalla vendita all’asta dell’unico immobile di proprietà. L’istituto della legge 3/2012 che l’Organismo ha deciso di applicare, in favore di Angela, è quello del Piano del Consumatore. L’applicazione dell’istituto non richiede che la proposta del debitore ottenga il consenso dei creditori: “Una storia a lieto fine – commenta Stracuzzi – che ha permesso ad Angela e alle sue figlie di ritrovare la serenità perduta”. 

La storia di Maria è, invece, la storia di una madre divorziata che, anche in questo caso, per il fallimento dell’impresa dell’ex marito si è trovata in una situazione di indebitamento con le banche per le garanzie prestate in favore dell’ex coniuge: “Maria – spiega l’avvocato Stracuzzi – era in una situazione di indebitamento con le banche importante. Si rivolge cosi a Protezione sociale italiana e al suo Occ di Milano, competente per territorio, per ricevere i benefici previsti dalla legge 3/2012: Maria ha proposto di risolvere la propria situazione di indebitamento, pari a 194.600 euro, offrendo ai creditori la somma mensile di euro 200 per 36 mesi. L’istituto della legge 3 che l’Occ ha deciso di applicare in favore di Maria è quello della Liquidazione controllata. L’applicazione dell’istituto non richiede che la proposta del debitore ottenga il consenso dei creditori”.  

Con sentenza del 15.12.2022, il Tribunale di Milano -giudice dott.ssa Rosa Grippo- nel procedimento NRG 358/2022 ha accolto la proposta di Liquidazione controllata di Maria e la ha ammessa a ottenere il beneficio dell’esdebitazione: “E anche in questo caso – afferma Stracuzzi – la famiglia di Maria ha ritrovato un pizzico di serenità”. 

Dal 2012 ad oggi – conclude Stracuzzi – sono oltre 3.000 i suicidi per motivi economici. Una cifra preoccupante che poteva essere decisamente più alta, forse anche del doppio, se non avessimo avuto la possibilità di ricorrere a questa normativa. In poco più di 5 anni, per fortuna, siamo riusciti a stralciare oltre 130 milioni di euro di debiti. Soldi che, attraverso sentenze dei Tribunali, abbiamo tolto dalle spalle di molte famiglie e imprese che versano in crescente difficoltà”.  

 

Diario in pubblico /
Non sono una signora (per nostra disgrazia)

Diario in pubblico. Non sono una signora (per nostra disgrazia)

Tra l’aria che tira dal mare e il calor che ci confonde in un momento di delusione cosmica decidiamo di seguire in tv un programma condotto da Alba Parietti, un tempo musa ispiratrice di filosofi e critici impegnati. Il titolo sembrava invitante: Non sono una signora.

Detto fatto programmiamo ed ecco apparire il volto ben noto, appena scalfito dall’età. Vicino a lei imponenti drag queen osservano con evidente disprezzo i/le candidati/e. Cerco la definizione del termine che così definisce questo tipo di attore:

“Artista, generalmente omosessuale o transessuale, che si esibisce in spettacoli di varietà travestito da donna, sfoggiando un trucco e un abbigliamento volutamente appariscenti, improntati a un’idea di femminilità eccessiva e talvolta parodica”.

Diligentemente vado alla ricerca del soggetto dello spettacolo che così viene esposto:

“In ciascuna puntata, cinque celebrità del mondo dello spettacolo, sport e cultura – rese irriconoscibili da un team di esperti in make-up e styling- si mettono in gioco nei panni di splendide Drag Queen e si sfidano in una gara a eliminazione nelle discipline più iconiche del mondo Drag.[..].

A giudicare, invece, le performance dei concorrenti, e a stabilire “chi” per ogni sfida deve abbandonare il programma, è una giuria di Drag professioniste. A loro il compito di valutare abbigliamento, performance e attitudine di ciascun concorrente e mostrare al pubblico che una Drag non è semplicemente un uomo con vestiti da donna, ma molto di più…”.

Nel nome, dunque, della parità dei sessi e di quanto nel mondo produca vado rinfrescare la memoria su questa definizione

“LGBTQIA. Cosa significano tutte queste lettere? La comunità LGBT è una comunità molto variegata, che rappresenta molte identità sessuali e di genere. L’acronimo significa lesbica, gay, bisessuale e transgender. Comunque si tratta solo della punta dell’iceberg.

Un altro acronimo è LGTBQQIAA, che aggiunge queer, questioning (indeciso), intersessuale, asessuale e ally (simpatizzante). Altri acronimi possono includere un asterisco (*) a significare ogni altra lettera omessa. Per semplificare le cose, molte persone, invece di un acronimo usano “queer” come termine-ombrello più inclusivo.”

E a questo punto ci accingiamo alla visione, che risulta tra le più orribili, orrende, potrei dire ‘schifose’ manifestazioni di ogni tipo che mi sia capitato di vedere! E questo con la compiaciuta compartecipazione della conduttrice, che arriva a coinvolgere lo stesso figlio che, da bel ragazzo, viene trasformato in una inguardabile drag.

Non sono uso a scandalizzarmi in quanto la mia gioventù è stata segnata dalla cosiddetta rivoluzione sessuale attentamente compartecipata, ma inscenare uno spettacolo che ricorre ai più infami trucchi per esaltare non il sesso, ma ciò che una ormai miserabile moda diffonde tra i giovani, ma soprattutto tra i vecchi, questa sì è una colpa, che offende le legittime istanze di chi crede in questo movimento.

Vergogna! Se questa è la televisione che sostituisce la vecchia rinuncio e volentieri a seguirla.

Per leggere gli altri articoli di Diario in pubblico la rubrica di Gianni Venturi clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

The Hollywood Strike:
attori e sceneggiatori lottano anche per noi

 

The Hollywood Strike

Alzi la mano chi si sarebbe aspettato che una “tata” – anzi, La Tata per eccellenza, Francesca Cacace nella versione italiana della sit-com –  si mettesse alla testa di uno sciopero contro le corporation dell’immaginario di Hollywood. Parliamo di giganti del calibro di Disney, Netflix, Paramount, Warner Bros…

La “tata” in questione è Fran Drescher, attrice che ha impersonato il carattere di Nanny in una serie televisiva di notevole successo di fine anni ’90. In una protesta partita dagli sceneggiatori già a maggio, la Drescher (portavoce del SAG-AFTRA, il sindacato attori di Hollywood) è riuscita nell’impresa di saldare la loro lotta con quella degli attori, e dal 13 luglio scorso le produzioni e i set sono bloccati. Ha pronunciato frasi molto nette, dai contenuti radicali. Ne riporto alcune particolarmente significative:

“Ciò che sta accadendo qui è importante perché accade in ogni ambiente lavorativo, dopo che i datori di lavoro hanno come priorità Wall Street e la cupidigia e si dimenticano di chi alla base fa muovere la macchina“; “Un’entità avida si sta accanendo su di noi. Sono scioccata dal modo in cui le persone con cui abbiamo sempre lavorato ci stanno trattando”; “Non posso credere al modo in cui gli studios piangano miseria, che stanno perdendo soldi a destra e a manca quando danno centinaia di milioni ai loro CEO. È disgustoso, devono vergognarsi, quando la maggior parte degli americani non ha neanche 500 dollari da parte per le emergenze”.

Ti evocano qualcosa queste affermazioni? Beh, a me sì. Mi evocano quello che succede in una marea di aziende – non solo grandi multinazionali – che strapagano i loro amministratori delegati e contemporaneamente giustificano la tirchieria nel pagare gli stipendi appellandosi alle difficoltà del mercato. Infatti l’anno scorso i dirigenti di Netflix, Amazon, Disney, Apple, Paramount e Comcast hanno percepito 280 milioni di dollari e le loro società hanno realizzato utili per 115 miliardi di dollari. Ma non è solo questo il problema.

Il grande tema sullo sfondo è la possibile sostituzione delle prestazioni umane con quelle di entità artificiali. Sceneggiatori ed attori hanno posto al centro delle loro rivendicazioni la questione dell’intelligenza artificiale e dell’effetto potenzialmente devastante che potrebbe avere sul loro lavoro. Nella sceneggiatura, la tecnologia spesso già sostituisce per lo “scheletro” della storia l’uomo, cui è lasciata la parte dei dettagli (con una conseguente riduzione del suo compenso). Quanto agli attori, chi ha maggiore potere contrattuale già fa inserire nei contratti una clausola che vieta di ritoccare artificialmente le scene (Keanu Reeves, ad esempio, si è lamentato di una lacrima “digitale” aggiunta a sua insaputa in post produzione per drammatizzare una sequenza). Ma se le star possono negoziare alcune condizioni ad personam, non altrettanto può fare la massa degli attori, pagati mediamente 25.000 dollari, che hanno già orecchiato l’intenzione di alcuni studios di far girare loro una sola scena – e di retribuirli solo per quella –  utilizzando per il resto una scansione digitale del loro volto (c’è un Harrison Ford giovane e “finto” che recita accanto al vero, ormai ottantenne, anche nell’ultimo Indiana Jones).

Questa lotta dei lavoratori dell’entertainment più famoso del pianeta è particolarmente significativa, per diversi motivi. Anzitutto appare evidente che i fabbricanti di storie – gli sceneggiatori – abbiano spesso una acuta sensibilità predittiva dei trend sociali, per averli messi al centro di molti dei loro script più avant-garde: pensiamo a serie come The Office, Black Mirror, Breaking Bad, Handmaid’s Tale, Stranger Things. Chi fa della capacità di visione, anche la più cupa, il proprio mestiere, ha le antenne per captare in anticipo quando le proprie fantasie distopiche iniziano ad entrare dentro la sua vita reale. C’è una “notizia” fulminante di Lercio.it – il più famoso sito italiano di fake news satiriche – che può rendere l’idea del clima: “Elon Musk crea una nuova intelligenza artificiale che, per prima cosa, lo licenzia”. Questa battuta fa ridere e rabbrividire al tempo stesso non per la sua assurdità, ma per la sua verosimiglianza: se il potente e visionario tycoon può essere avvicendato ad opera di una macchina sua creatura, figuriamoci cosa può succedere a montatori, cameramen, costumisti, inservienti, comparse, scrittori – molti di essi accomunati, tra l’altro, anche dalla precarietà dei loro contratti di lavoro con relative coperture, a partire da quella sanitaria.

Un altro particolare molto importante è la saldatura nella lotta di maestranze che non sempre sono solidali. Sceneggiatori e attori, ad esempio. Un attore potrebbe anche “fregarsene” del destino di chi scrive le storie, se c’è qualcuno o qualcosa che continuerà a farlo. Il fatto è che la percezione di chi lavora per gli studios è: oggi tocca a loro, domani tocca a me. La solidarietà non è mai gratuita e unilaterale, come la carità: chi è solidale è intimamente convinto che quella battaglia va combattuta insieme ad altri perchè condivide con essi un infausto destino, e cerca di sventarlo unendo le forze.

Ti sembra un concetto banale? Beh. Prova a pensare al tuo ambiente di lavoro, al tuo settore. Prova a pensare se la Meryl Streep o la Jennifer Lawrence del tuo organigramma (quelli da un milione di euro l’anno in su) o anche un Gaten Matarazzo (corrispondente ad un giovane rampante da centomila euro a salire) parteciperebbero a cuor leggero ad un picchetto, o semplicemente accetterebbero di firmare una lettera di fuoco contro il tuo Consiglio di Amministrazione. Certo, ci sono anche le Kim Kardashian che il picchetto lo forzano per andare sul set, ma in questo momento il crumiraggio è praticato da una minoranza. La vera incognita è verificare quanta di questa solidarietà resisterà al trascorrere del tempo, soprattutto se il braccio di ferro  dovesse durare diverse settimane. Alcuni attori e attrici sono infatti anche produttori o coproduttori delle serie in cui recitano, e credo di essere facile profeta nel pronosticare un tentativo degli Studios di dividere il fronte, staccando gli anonimi manovali dello spettacolo dalle celebrità.

E’ anche per questa ragione che osservare come evolve la mobilitazione di attori e scrittori – la prima unitaria in sessant’anni – è importante per tutti i settori lavorativi e per tutti i rapporti di forza che implicano una dialettica conflittuale. Come afferma Fran Drescher, infatti, “ciò che sta accadendo qui è importante perché accade in ogni ambiente lavorativo”. Almeno una cosa è certa: a prescindere da come andrà, Hollywood non si lascerà sfuggire l’occasione di utilizzare questa vicenda per costruirci sopra una nuova storia. Sarà interessante vedere da quale punto di vista sarà raccontata.

 

Mediterranea SavingHumans aderisce a Stop tortura

Stop Border Violence, al via la raccolta firmeMediterranea SavingHumans aderisce all’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) denominata “Art.4 Stop tortura e trattamenti disumani alle frontiere d’Europa”.

Molte realtà della società civile europea si sono unite nell’associazione Stop Border Violence per portare l’iniziativa di fronte alla Commissione Europea.

Con questa ICE si chiede alle Istituzioni Europee di adottare strumenti normativi adeguati affinché sia applicato in via effettiva quanto sancito nell’art. 4 della Carta dei Diritti Fondamentali della UE, che recita testualmente “Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o a trattamenti inumani o degradanti”.

Chiediamo dunque che sia bandito l’uso di ogni forma di violenza nella gestione dei flussi migratori e nel controllo delle frontiere UE, nonché all’interno dei paesi terzi (ad esempio Libia e Turchia) con i quali le Istituzioni Europee o gli Stati membri hanno stretto accordi, prevedendo sanzioni in caso di inottemperanza agli obblighi stabiliti.Ci sarà un anno di tempo per raccogliere un milione di firme in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, con l’obbligo di raggiungere una quota minima in almeno sette Paesi.Firma anche tu al link 👇

Il calcio è moribondo
Ma a morire saranno sempre gli stessi

 

Il calcio è moribondo. Ma a morire saranno sempre gli stessi.

Il calcio è in coma da alcuni decenni, perché al suo interno aveva i semi della propria autodistruzione, citando Carlo Marx – ma potrebbe essere anche Carlo Petrini. In effetti l’ex sport più bello del mondo è davvero una rappresentazione della nostra società malata, che parte come commedia, si tramuta in farsa, per divenire tragedia (citazione rovesciata). Ormai la serie A, la Liga, Ligue 1, la Premier, sono proto spettacoli per appassionati e appassiti da divano. Gli stadi di proprietà? Non più popolari nemmeno nei popolari, in curve con prezzi spesso inaccessibili. Un mondo patinato, dove forse anche io, a vent’anni e un buon procuratore, sarei costato una milionata, perché chi è quello sfigato che guadagna meno di un numero a sei cifre. Certo esistono le serie minori, dove i poveri se la giocano tra loro, anche se magari un qualche “americano” lo abbiamo pure in serie C.

Adesso arrivano i petrol-dollari Gli arabi, stanchi di acquistare squadre nel vecchio continente, portano il vecchio continente nei loro deserti, comprando campioni al crepuscolo e facendoli esibire in stadi con l’aria refrigerata.

E in Italia, provincia dell’impero calcistico (al tramonto) vecchio continente, come va? Scuole calcio con bimbi di dieci anni che hanno il procuratore, ragazzini quindicenni che ambiscono alla serie A, diciottenni che esigono il posto in squadra. Un mondo di pazzi.

Nessuno di questi ragazzi ha mai giocato in strada, tra le macchine, nei cortili chiusi su tre lati, in parchetti affollati tra i palazzoni, dove si imparava la legge della sopravvivenza, dove il calcio era operaio, classista all’incontrario e violento. Non c’erano palestre, mister patentati, accompagnatori e genitori che pretendevano la maglia per il loro pupillo.

Oggi, bambini con la maglia numero dieci diventano genitori dei loro genitori.

Il capitalismo sfrenato, feroce, compulsivo, distruttivo, fagocita ogni passione: il business, il target, plus valore, plus valenze, si nutre di quella sfera che ci ha stregati fin da bambini.

Un mondo di deroghe e contro deroghe, dove il valore ed il prezzo non coincidono più, dove ragazzi in braghini corti fatturano come una s.p.a. metalmeccanica che dà lavoro a centinaia di persone, sport? Ma quale sport? Fondamentalmente, un enorme giro di carta.

Società storiche del calcio mondiale con debiti inenarrabili, miliardi di profondo rosso, che in qualche modo se la cavano sempre, mentre ad un artigiano o ad un commerciante in difficoltà lo Stato stesso da il colpo di grazia.

Sacrifici, allenamenti, macchinari che gestiscono ogni fibra muscolare, culturisti che giocano al calcio. Dei mostri.

Schemi, tattiche, tattici, computer, analisti. Il calcio di oggi non è paragonabile a quello di quaranta anni fa, certo che no, allora esisteva la fantasia, esistevano atleti magri con lo zucchero nelle scarpette.

Che valore avrebbero oggi, i ragazzi di ieri? Edson Arantes Do Nascimento, Maradona, Eusebio, Artur Antunes de Coimbra, Crujiff, Puskas, Platini, Falcao, Rivera, Mazzola (padre e figlio), Baggio, Van Basten, Gullit, Totti, Del Piero e mille altri, quanto sarebbero monetizzati con il metro odierno? Come il P.I.L. del Belgio?

Nauseante, ma questo paradigma della società odierna esploderà, così come il capitale. Forse. A terra rimarranno però sempre gli stessi, quelli morti in guerra, quelli morti in fabbrica, i morti di fame, i morti ammazzati dai padroni del vapore, uguali tra loro nella conta dei dollari. Loro, i soliti, moriranno di sicuro, come sempre. Il puzzo dell’avidità ha ammorbato tutto, compreso il mio gioco, quello dove bastava una maglia bianca e un numero scritto col pennarello nero sulla schiena, per essere un giocatore.

Forza, vecchio cuore biancoazzurro.

Nasce #BookRave, un progetto condiviso

Lanciato sui social il progetto Bookrave. Tanta curiosità per un festival diffuso che connette storie e persone

È appena stato lanciato via social il progetto condiviso di otto case editrici (effequ, Iperborea, minimum fax, NN Editore, Nottetempo, Quinto Quarto, il Saggiatore, Sur).

Da subito, tante le adesioni: si tratta di BookRave.

Non si hanno ancora troppi dettagli sulle modalità dell’evento/iniziativa, ragion per cui sarà da seguire con attenzione. Si sa solo che dal 15 settembre al 15 dicembre 2023, nelle librerie aderenti al progetto, si parlerà di libri in un modo nuovo!
Qualche indiscrezione però trapela… Le librerie che aderiscono al progetto riceveranno dalle otto case editrici un titolo legato al tema del trimestre. Prima ancora dei libri, infatti, ci sono i temi.

Il primo tema è CORPI: perché il corpo attraversa le narrazioni e le storie, è elemento preponderante di riflessione sia in narrativa che in saggistica, attorno ad esso ruota gran parte della discussione contemporanea su rappresentazione e visibilità.

BookRave presenterà otto storie (i cui titoli saranno rivelati a fine mese sui social delle case editrici), tra saggi, romanzi e graphic novel, per attraversare il tema centrale della contemporaneità, comprenderlo meglio e in qualche modo celebrarlo.Starà poi alla libreria e ai suoi lettori determinare un percorso assieme, trovare i collegamenti, giocare coi libri, stimolare le discussioni: è una sfida comune, che sarà sostenuta da iniziative da parte delle case editrici, incontri dal vivo, contenuti multimediali. L’obiettivo di BookRave è molteplice e ambizioso: creare un festival diffuso, collaborativo, mostrare come case editrici anche molto diverse tra loro possano riflettere su uno stesso tema, e come libri anche molto diversi, se messi in dialogo, possano aprire nuove prospettive. E per (di)mostrare che le storie, come le persone, prendono davvero vita solo quando ne incontrano altre.

Ma soprattutto a BookRave piace l’idea di pensare che le cose si possano fare insieme, mettendo le proprie forze in condivisione, aprendo un percorso di dialogo e mutuo sostegno con le librerie e con chi i libri li acquista e li legge e ne parla.

L’iniziativa nasce da un progetto condiviso che per la prima volta riunisce insieme case editrici, librerie, lettrici, lettori e gruppi di lettura, autori e autrici: un festival diffuso che sia anche divertente, informale, anarchico, originale, qualcosa di inedito, una specie di rave con i libri. In pratica… un #bookrave!

P.S. Avete una libreria e volete partecipare a Bookrave? Scrivete a info.bookrave@gmail.com

Per certi versi /
Poesia per un’amica

Poesia per un’amica

La bellezza
si stanca facilmente
Poi sei bianca
Anemica
Come le nostre terre
Chiare
Dei monti pallidi
Delle golene
Ponenti
Dubiterei
Dei tuoi occhi
Se non fossero
Così ardenti
Ogni domenica Periscopio ospita Per certi versi, angolo di poesia che presenta le liriche di Roberto Dall’Olio.
Per leggere tutte le altre poesie dell’autore, clicca [Qui]

Festival SiciliAmbiente a San Vito Lo Capo dal 17 al 22 luglio

Saranno sei i lungometraggi in concorso alla 15ª edizione di SiciliAmbiente, con due anteprime siciliane: “Le ragazze non piangono” di Andrea Zuliani e “I sogni abitano gli alberi” di Marco Della Fonte

Annunciati i lungometraggi in concorso alla quindicesima edizione di SiciliAmbiente che si svolgerà dal 17 al 22 luglio San Vito Lo Capo. Il festival è da sempre un importante punto di riferimento a livello nazionale e internazionale per il cinema legato alle tematiche ambientali, ai diritti umani, allo sviluppo sostenibile e alla biodiversità.

Saranno sei i lungometraggi in concorso, che affrontano una pluralità di temi di grande attualità.

Primo titolo in concorso, lunedì 17 luglioLe ragazze non piangono, opera prima di Andrea Zuliani, regista e sceneggiatore di un road movie che è anche il percorso di conoscenza di due ragazze in cerca della propria identità. Il film arriva in anteprima siciliana alla presenza del regista.

La diciannovenne Ele si è trasferita in Basilicata perché il nuovo compagno della madre ha trovato lavoro da quelle parti. Nel nuovo liceo incontra Mia, una ragazza rumena che fa temporaneamente la bidella. Le due stringono un’amicizia ed Ele rivela a Mia il suo progetto di salvare dalla rottamazione il vecchio camper del padre, morto anni prima, e farci un giro per l’Europa. Quando la madre decide invece di liberarsi di quel “pezzo da museo”, Ele fugge e intraprende un viaggio per portare il camper dal migliore amico del padre, Lele, e Mia decide di imbarcarsi anche lei in questa avventura. Quel che Ele non sa è che Mia è parecchio intraprendente ed ha una missione pericolosa, ma è anche una presenza vitale che la aiuterà a crescere.

Martedì 18 verrà proiettato Evelyne tra le nuvole di Anna Di Francisca. Protagonista una donna alle prese con una possibile convivenza fra la natura incontaminata e le nuove tecnologie. Sofia vive in un antico casale ai piedi di Pietra di Bismantova, sull’Appennino Reggiano. Qui, dove non prende internet, completamente “disconnessa”, gestisce un agriturismo noto ai turisti che cercano relax e social detox. Nella zona è però in arrivo un ripetitore telefonico che potrebbe distruggere l’identità fuori dal tempo che contraddistingue il luogo.

Mercoledì 19 luglio sarà proiettato il film Le otto montagne di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, tratto dall’omonimo romanzo di Paolo Cognetti, vincitore del Premio Strega 2017. Il film dei due registi belgi, già vincitore del Premio della Critica al 75° Festival di Cannes e di quattro David di Donatello, racconta l’amicizia tra Pietro e Bruno, interpretati da Luca Marinelli e Alessandro Borghi. I due si conoscono fin da bambini quando passavano le giornate tra le montagne. Vent’anni dopo, Pietro ormai uomo, torna in alta quota per ritrovare sé stesso e fare pace con il suo passato.

Giovedì 20 luglio sarà la volta de Il signore delle formiche di Gianni Amelio. Alla fine degli anni ‘60 si celebrò a Roma un processo che fece scalpore. Il drammaturgo e poeta Aldo Braibanti fu processato con l’accusa di plagio, cioè di aver sottomesso alla sua volontà, in senso fisico e psicologico, un suo studente e amico da poco maggiorenne. Il film è un racconto a più voci, in cui, accanto all’imputato, prendono corpo i familiari e gli amici, gli accusatori e i sostenitori, e un’opinione pubblica per lo più distratta o indifferente. Un capitolo vergognoso della storia italiana.

Durante la stessa serata sarà proiettato alla presenza del regista, in premiere siciliana, I sogni abitano gli alberi di Marco Della Fonte. Due anime affini che si incontrano, una comunità che le respinge. Una storia struggente sul diritto all’amore. È il 1978 e l’Italia è il primo Paese al mondo ad abolire i manicomi, grazie alla legge Basaglia. Anja torna a casa affidata alle cure del fratello Ettore e di sua moglie Lisa. Con l’aiuto del nuovo psichiatra, Anja inizia lentamente a adattarsi alla nuova vita fuori dal manicomio. Incontra Libero, un uomo che va in giro consegnando le verdure del suo orto alla gente del paese. Anche Libero, come Anja, soffre di disturbi mentali. Anja e Libero si innamorano e trovano rifugio in una baracca segreta in mezzo alla foresta circondata da alberi colorati, che diventa il simbolo del loro amore. Affronteranno i pregiudizi della famiglia di Anja e del paese. Quando Anja rimane incinta, la sua famiglia farà di tutto per separarla da Libero e impedire la nascita di una famiglia “inaccettabile”.

Venerdì 21 luglio chiude la sezione lungometraggi in concorso, Siccità di Paolo Virzì, che abbiamo recensito

Il Festival, diretto da Antonio Bellia, con la direzione organizzativa di Sheila Melosu, vuole promuovere e diffondere il cinema d’autore e il cinema documentario, favorendo il confronto tra i registi attraverso incontri e tavole rotonde. Annovera 4 sezioni competitive: un Concorso internazionale documentari; un Concorso internazionale lungometraggi di finzione, un Concorso internazionale cortometraggi (di finzione e documentari) e un Concorso internazionale dedicato all’animazione. Oltre ai premi in denaro di ogni sezione competitiva, attribuiti da una giuria di esperti e di personalità del cinema e della cultura, saranno assegnati il Premio AAMOD (Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico), il Premio “Diritti Umani” conferito da Amnesty International Italia, il Premio “Ambiente” conferito da Greenpeace Italia, il Premio Speciale TTPIXEL. A questi si aggiunge il Premio del Pubblico per la sezione Lungometraggi.

Il Festival è promosso da Associazione culturale Cantiere 7 e da  Demetra Produzioni con il contributo del Comune di San Vito Lo Capo e di ARPA Sicilia. Il progetto è sostenuto con i fondi “Otto per Mille della Chiesa Valdese” e realizzato grazie al contributo della Regione Siciliana – Sicilia Film Commission e della Direzione Generale Cinema del Ministero delle Cultura realizzato in collaborazione con Amnesty International ItaliaGreenpeace Italia e AAMOD.

Programma completo

Fonte: Ufficio stampa Storyfinders

Ortigia Film Festival, al via il 15 luglio

La proiezione di “Stranizza d’amuri” di Giuseppe Fiorello aprirà la XV edizione dell’Ortigia Film Festival il 15 luglio, a Siracusa. L’appuntamento con il cinema durerà fino al 22 luglio

Sabato 15 luglio, apre la XV edizione di Ortigia Film Festival, con l’attrice e imprenditrice Cristina Marino come madrina. Prima serata di proiezioni di OFF15, il festival internazionale di cinema della città di Siracusa, diretto da Lisa Romano e Paola Poli.

In apertura, la proiezione speciale di Stranizza d’Amuri, esordio alla regia di Giuseppe Fiorelloalle ore 21:30 in Arena Minerva. Fiorello, insieme agli attori Samuele Segreto Anita Pomario, sarà l’ospite d’onore della prima serata. Il film è un’opera dal profondo valore civile e politico, che mette a fuoco un Mezzogiorno tormentato in cui diritti civili e diritti sociali si intrecciano. Il film è dedicato a Giorgio e Antonio, le vittime del delitto di Giarre avvenuto nel 1980 in provincia di Catania.

In occasione della serata inaugurale, Nicola Tarantino, responsabile di Sicilia Film Commission, consegnerà a Giuseppe Fiorello il Premio Speciale OFF XV di Ortigia Film Festival per aver saputo unire la passione per il suo territorio, l’amore per i diritti civili e l’ammirazione per Franco Battiato con un film al tempo stesso semplice, delicato e capace di fa pensare e riflettere. Al termine della proiezione il Q&A con Giuseppe Fiorello moderato dal critico Steve Della Casa.

A inaugurare il Concorso Internazionale Cortometraggi, “Cicatrici” di Paolo Civati. Il corto, in anteprima regionale, racconta la storia di una donna che lavora da remoto, sdraiata sul letto. A mediare i rapporti con il mondo esterno il suo avatar.

A Seguire, per il Concorso Internazionale Documentari, l’anteprima mondiale di “Grain – portrait of Fabio D’Emilio” di Simone Valentini.

Il film racconta l’inaspettata vita di Fabio D’Emilio che negli anni ’60 e ’70, mosso da due passioni, quella per la fotografia e quella per la musica, si trovò a fotografare prima i palchi della sua città, Roma, per la rivista Sound Flash, e poi i palcoscenici internazionali per la EMI, da Zurigo con i Pink Floyd a Melbourne con Patty Smith, immortalando concerti iconici e grandi artisti, tra i quali Peter Gabriel, Queen, Frank Zappa e molti altri, durante le loro esibizioni dal vivo. Al termine della proiezione Simone Valentini e Fabio D’Emilio incontreranno il pubblico.

Ortigia Film Festival, si svolge nelle piazze del centro storico della città di Siracusa (Unesco World Heritage) ed è annoverato nel calendario dei festival cinematografici più importanti del bacino del Mediterraneo. Il Festival ha sviluppato una forte identità legata al cinema italiano, ma allo stesso tempo, ha rinnovato e ampliato la propria offerta, esplorando nuove realtà nel campo dell’audiovisivo e conquistando spazio a livello nazionale e internazionale. La visibilità e il consenso, ottenuto negli anni da parte delle istituzioni, hanno permesso al festival, fondato da Lisa Romano con l’associazione culturale Sa.Li.Ro’, di ricevere la prestigiosa medaglia del Presidente della Repubblica e, negli anni, il sostegno di: Mic, Regione Siciliana, Assessorato al Turismo, Sport e Spettacolo, Dipartimento Turismo Sport e Spettacolo – Sicilia Film Commission, nell’ambito del progetto Sensi Contemporanei, Ars e Comune di Siracusa, Siae, Unesco, Rai, Rai Cinema Channel. Media Partner della XV edizione del festival, Ciak, Cinecittà News, Cinematographe e Taxidrivers.

Tutti i dettagli sul sito ufficiale 

Programma completo

 

Presto di mattina /
Padre nostro che in terra stai

Presto di mattina. Padre nostro che in terra stai

Quel che fu senza luce è rischiarato

Eternità del grido
Dell’infante che sembra
Nascere nel dolore
tramutato in luce

Eternità discende
Nella nuda terra
E come una marra
Ne solleva il senso
(Yves Bonnefoy, L’opera poetica, i Meridiani Mondadori, Milano 2010, 364-365).

L’eterno nascosto nel grido nascente, risonanza in ogni cosa del giorno che viene, attraversando il dolore lo cambia in luce. L’eterno si abbrevia nel tempo e come vanga apre la terra illuminandone il senso, suo tesoro nascosto. L’eterno tutto nel tempo, l’infinita presenza presente in ogni frammento finito:

Le parole come cielo
Infinito
Ma tutto all’improvviso
Nella pozzanghera breve

Così prende forma dal grido che nasce un altro cielo, riflessi di luce nel dolore sommerso, incandescenza sotto la cenere:

E ha senso la parola gioia
Malgrado la morte
Qui dove scava il vento
Queste chiare braci
Sufficienza dei giorni
Che vanno verso l’alba
Attraverso abbagli
Nel cielo notturno
(ivi, 481)

L’anima è, illuminata,
Come un nuotatore
Che si tuffa, d’un tratto
Sotto la luce
(ivi, 483).

Io presente e in ascolto

Dapprima la poetica di Yves Bonnefoy (1923-2016), di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita, è invito ad avvertire una presenza e a mettersi in ascolto dell’esperienza stessa del mondo; porre attenzione alle cose, alla natura, alle relazioni, a un sentire con gli alberi, pietre, fiumi, voci e volti. Il tutto nella convinzione profonda che, senza l’universo che ci circonda, non è possibile accedere al logos, sollevare il senso del tutto illimitato affiorante in ogni cosa.

Come un passante di valico è allora la sua poetica che porta oltre, in profondità. Se il concetto astrae, porta fuori dall’esperienza, isolandone un aspetto, la parola poetica per contro porta dentro, immerge nel reale cogliendo il tutto nel frammento, l’assoluto nel limitato, nell’abbreviato l’infinito.

Possono sembrare solo sensazioni, percezioni minime, ma non sono affatto vacue, perché lasciano intravedere come un lampo e presentire come un’eco la pienezza, risonanza divina che abita la realtà e la forma degli esseri animati o inanimati: come un profumo invisibile e impalpabile eppure presenza presente, viva.

Così scrive Bonnefoy: «l’intera realtà appare sotto un’altra luce, perché allora costatiamo che in ogni minima cosa c’è un numero infinito di aspetti, ma soprattutto vi sono insieme aggrovigliati e in primo luogo attirano lo sguardo e non il pensiero. La cosa è qui sotto i nostri occhi nel suo qui e nel suo ora; nulla può prenderne il posto. Essa ha il carattere di un assoluto ed è un assoluto che ricade su di noi, che in questo istante la guardiamo» (ivi, 1348).

Per Bonnefoy la poesia ha così la capacità di dar voce all’assoluto congenito nella misteriosa evidenza di ogni presenza. È suono delle cose, risonanza affiorante «della profondità del mondo, frammento che al tempo stesso rappresenta il tutto, infinito silenzioso annodato su di sé ma che irradia la propria luce…

La poesia, questa forma che accompagna il suono, è ciò che indebolisce il controllo del concetto sulla parola, ciò che denuncia il pericolo cui ci sottopone il concetto. Anzi fa di meglio, ce ne libera. O per meglio dire aiuta a criticarlo, a relativizzarlo, poiché è certo impossibile stabilire con il pensiero concettuale – assolutamente necessario, lo ripeto – una relazione diversa da quella di cautela, all’interno della quale esso continua a esprimersi». (ivi 137)

Io acconsento

La poesia di Bonnefoy si arrischia così in una relazione, gioca tutto per tutto l’impossibile, pur di andare oltre la parola stessa ed esprimere l’inesprimibile incontrato in un balenante attimo.

Come la parola così anch’essa, la poesia, pone la relazione io-tu-noi, diviene respiro e pensiero, dialogico un parlare bocca a bocca con la realtà incontrata, come Mosè con il suo Tu. Lui balbuziente al cospetto della Parola originante tutte le parole.

Così, se dapprima era sufficiente avvertire una presenza e mettersi in ascolto, ora la poetica di Bonnefoy richiede di necessità per essere tale il consenso, l’acconsentire all’altro, l’uscire allo scoperto. La sua poesia è un dire “Sì” attraverso tutte le cose.

Sì, io, pietre della sera, illuminate,
Io, sì, acconsento.
Io, sì, la pozzanghera
Vasta più del cielo, l’infante
Che ne smuove la melma, l’iride
Dai riflessi senza posa cangianti, senza ricordi,
Dell’acqua, io, acconsento.
E io fuoco, io
La pupilla del fuoco, nel fumo
Dell’erbe e dei secoli, acconsento.
Io, nube,
Acconsento.
Io, stella della sera,
Acconsento.
Io, grappoli dei mondi maturi,
Io, l’avviarsi
Dei muratori, sul tardi, al villaggio,
Io, il rumore del furgoncino che si allontana,
Io, acconsento.
Io, pastore,
Sospingo la stanchezza e la speranza
Sotto l’arca della stella
Verso l’ovile. Io, notte d’agosto,
Preparo la lettiera delle bestie nella stalla.
Io, sonno,
Accolgo il sogno nelle mie barche,
Io acconsento.

Io, la voce
Che tanto avrà desiderato. Io, il mazzuolo
Che urtò a colpi sordi contro
Il cielo, la terra nera. Io, il passatore
Io la barca del tutto
Attraverso tutto.
Io, sole,
Mi fermo sulla vetta del mondo,
Tra le pietre.
(367; 369)

Il “Sì” rende visibile l’invisibile, ciò che è sparso ricongiunto, l’altro nascosto dietro le quinte. Il “Sì” dell’incontro del mondo, che riunisce tutto ciò che vediamo, perfino la notte e il giorno, cielo e terra sugli orizzonti, diaframmi delle loro diversità riconciliata, il loro sponsale “sì”.

Sì, per la notte
Quando il bisogno di senso preme a lungo

Sì, per il dio che va errando
Sotto l’aspetto di agnello
Accanto al furgoncino,
Sotto la lampadina accesa ardente
Tutta la notte.
Mi fermo, si ferma,
Avanzo, e quel viso
Si dissolve, schiarando…

Sì, per la cima in luce
Ancor un’ora.
Sì, per i rovi
Delle cime tra le pietre. Per quest’ albero, ritto
Contro il cielo.
Per le fiamme, in ogni luogo,
E, ogni sera, le voci dello sposalizio
Di cielo e terra

Sì, per il nascere che destò la fiamma
Dal niente,
E placati riunisce
I nostri visi.

Sì, per le parole,
Per qualche parola.

Sì, per la morte,
Sì, per senza fine la vita.
(ivi, 402-403; 405; 415; 419).

Scrive Bonnefoy: «Vorrei riunire, vorrei quasi identificare la poesia e la speranza» (ivi, 1185), perché la poesia coglie in ogni cosa reale un frammento di assoluto, così in ogni cosa c’è speranza in tutti, come un varco una speranza di assoluto: «Occorre, in altre parole, reinventare una speranza. Nello spazio segreto del nostro avvicinarci all’essere, io credo che non vi sia oggigiorno poesia vera che non cerchi e non intenda cercare, fino all’ultimo respiro, di fondare una nuova speranza» (ivi, 1199).

La poesia ci aiuta a non disperare del futuro, a fare fronte all’oblio della speranza. Muove la brace sotto la cenere e la spiga consunta; con l’ultimo respiro rilascia nuovo seme alla terra.

E più tardi agito ceneri, in un focolare
Della casa cui giungo ogni notte,
Ma è già grano, come se l’anima
Delle cose consunte, al loro ultimo respiro,
Si staccasse dalla spiga della materia
Per farsi granello di una nuova speranza, (ivi, 503).

Anche la preghiera come la poesia è innesto nell’invisibile e allo stesso tempo sua eco dialogica dell’eterno nel tempo, un atto di ospitalità alla parola originaria che risveglia, risposta al silenzio del mondo che attende il senso. Questa ospitalità porta alla luce una grammatica dell’assenso, come dire sì all’altro, giorno dopo giorno.

Ricordando la poetica di Bonnefoy il critico letterario e francesista Antonio Prete scrive: «Mentre ospita un albero, una pietra, uno spicchio di cielo, un colore scrostato di pittura, si spinge sulla soglia dell’invisibile, leggendo le sue ombre. Mentre ascolta un passo nella sera, un rumore di vento o d’acqua, mentre accoglie figure provenienti da un sogno, cerca un radicamento nel qui, nella opacità della terra. E allo stesso tempo libera l’ala dell’altrove, il pensiero dell’impossibile. E tutto questo accade nel ritmo aperto, da adagio meraviglioso, del verso.» (in Doppiozero, 2 luglio 2016)

Padre nostro che in terra stai

Padre nostro che “per più amore in terra” stai in ogni cosa, senza essere “circoscritto dalle cose e dal tempo. Sei l’eterno dei giorni, cammino e meta; su ogni strada e sentiero sei, e in ogni pensiero nostro pensi a noi. Eppure le tue vie non sono le nostre vie e i tuoi pensieri non sono i nostri pensieri.

In silenzio, al principio era la tua parola ma poi si fece umanità, carne nostra, pane terroso, pure nostro quotidiano e da quella umanità ospitale, il regno che viene, in cui ci fu sempre il “sì”, sono giunte a noi le parole per continuare a dire “io acconsento”, sì acconsento e trovo il coraggio di un altro “sì”, come un altro passo.

“Sì” all’unisono con quello del tuo figlio, insieme alla pietre, alla pozzanghera, al fuoco, io acconsento; con la nube, il sole con l’acqua, con gli alberi le erbe e i secoli acconsento, non senza i grappoli dei mondi e degli universi.

Acconsento con il pastore a sospingere stanchezza e speranza verso l’ovile e con il passatore a sognare il sogno della mia barca e a guardare avanti, acconsento alla barca del tutto verso il tutto. Sì, per il dio che va errando sotto l’aspetto di agnello mansueto e muto davanti ai suoi tosatori e cerco quel volto che, svanendo, schiarisce il mio volto.

Aveva visto bene allora Ferdinand Ebner nel Padre nostro la preghiera del “tu” e del “noi”, quella parola-preghiera originaria, sorgiva, determinante lo sviluppo del suo pensiero dialogico dove il senso del Padre nostro è quello di «guardare al cielo sentendosi vincolati alla terra» (Frammenti pneumatologici, San Paolo, Cinisello Balsamo [MI] 1998 307).

Preghiera dialogica: da Dio per l’uomo e dall’uomo per Dio: «Nella preghiera, dunque, la parola ritorna là donde era venuta». E «se l’uomo prega nel giusto senso anche solo la prima parola del Padre nostro, allora l’“ineffabile mistero di Dio” è divenuto parola – muovendo dall’uomo» (ivi, 101).

Quale il tempo della preghiera? Quale quello del Pater? Pensando all’opera poetica di Yves Bonnefoy, ma non solo, mi viene da dire che sia lo stesso tempo dove viene alla luce e principia a balbettare la poesia e la speranza: è il tempo “presente”, inteso non in senso cronologico ma esistenziale, quello delle relazioni, della decisione della libertà ad esserci qui e ora di fronte all’appello dell’altro; tempo del sì, ora, l’adesso che non è solo presenza, ma una presenza presente quella che dice “io acconsento” a te, a voi.

La preghiera di Gesù implica una molteplice e pluriforme ospitalità: «Perché il regno di Dio – scrive ancora Ebner – non è nell’uomo nell’intima solitudine della sua esistenza, nella solitudine del suo Io, bensì nel fatto che l’Io si sia aperto al Tu nella parola e nell’amore e nella parola e nella prassi dell’amore – e allora è “in mezzo a noi”, come la comunione della nostra vita spirituale.

Sebbene proprio nel suo rapporto con Dio l’uomo stia di fronte a Dio come il “singolo”, non può tuttavia pregare se non in comunione spirituale con tutti gli uomini. Quando preghiamo, dobbiamo farlo come ci ha insegnato Gesù e non altrimenti. Non è solo per sé che l’uomo prega e parla con Dio, bensì per tutti gli uomini», (ivi, 325-326).

Padre-Nuestro, rezo de la vida sencilla

Anche Pablo Neruda sembra voler declinare, come Bonnefoy, poesia con speranza quando scrive:

Ah vastità di pini, rumore d’onde che si frangono,
lento gioco di luci, campana solitaria,
crepuscolo che cade nei tuoi occhi, bambola,
chiocciola terrestre, in te la terra canta!
In te i fiumi cantano e in essi l’anima mia fugge
come tu desideri e verso dove tu vorrai.
Segnami la mia strada nel tuo arco di speranza.
(Crepuscolario, L’abitante e la sua speranza, et al. Edizioni Accademia, Milano 1977, 115).

Ed è sempre Pablo Neruda che chiama il Padre nostro ‘preghiera della vita semplice’, perché della vita quotidiana ha i sapori e da tutti si fa comprendere e dire, perché in tutti tremante si immerge/ y todo estremecido se sumerge nel mare notturno di ciascuno.

Questa chiesa non ha lampade votive,
non ha candelieri né cere gialle,
l’anima non abbisogna di ogive vetrate
per baciare le ostie e pregare in ginocchio.

Il sermone senza incensi è come un seme
di carne e di luce che cade tremando nel solco vivo:
il Padre-Nostro, preghiera della vita semplice,
ha un sapore di pane fruttifero e primitivo…

Ha un sapore di pane. Odoroso pane scuro
che nella bianca infanzia confidò il suo segreto
a ogni anima fragrante che lo volle udire…

E il Padre-Nostro in mezzo alla notte si perde,
corre nudo sopra i poderi verdi
e tutto tremante si immerge nel mare…
(Crepuscolario, L’abitante e la sua speranza, et al. Edizioni Accademia, Milano 1977, 30-31).

Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica quindicinale di Andrea Zerbini, clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

Storie in pellicola / In uscita “Il sapore della felicità”, con Gérard Depardieu

“Il sapore della felicità” (titolo originale Umami) esce in anteprima nelle arene estive e dal 31 agosto lo vedremo nei cinema italiani.

Prodotto in Francia, diretto da Slony Sow (Grenouille d’Hiver, 2011) e interpretato da Gérard Depardieu, Kyozo Nagatsuka, Sandrine Bonnaire, Pierre Richard Bastien Bouillon (recentemente vincitore del César come miglior esordiente per il noir La Nuit du 12), dopo aver aperto il Festival internazionale del film di Friburgo 2023, Il sapore della felicità sarà disponibile da luglio in anteprima nelle arene estive (il 17 sarà al cinema Farnese di Roma, per la stampa) e dal 31 agosto nei cinema italiani, con Wanted Cinema.

Kikunae Ikeda

Umami (lett. “saporito” o “sapido”), oltre a essere il titolo originale del film è un termine giapponese usato per denominare il quinto elemento del gusto: dolce, salato, aspro, amaro e, infine, umami. L’umami è stato identificato come un gusto fondamentale nel 1908 da Kikunae Ikeda, professore di chimica all’Università imperiale di Tokyo, mentre compiva ricerche sul sapore forte del brodo di alghe. Ikeda isolò il glutammato monosodico come responsabile del sapore. L’umami si può percepire anche, in valori più o meno concentrati, in alcuni alimenti già a crudo come il Parmigiano Reggiano, specie se lungamente stagionato, il pomodoro maturo, i funghi porcini secchi, la colatura d’alici e l’aglio nero.

Gérard Depardieu
Pierre Richard e Gerard Depardieu

Un sapore buono, dunque. Ed è proprio in Giappone, alla ricerca di questo insolito elemento che ci porterà il protagonista di questo viaggio culinario, un grande chef stellato francese, Gabriel Carvin (Gérard Depardieu). Quando la sua salute e la sua vita familiare iniziano a sgretolarsi, dopo aver sfiorato la morte, il noto chef di fama mondiale decide di recarsi in Giappone alla ricerca dell’uomo che 40 anni prima lo aveva battuto in una gara di cucina.

Pierre Richard e Gerard Depardieu

Il viaggio culturale e culinario tra i sapori del Paese del Sol Levante, lo costringerà a riflettere su sé stesso e a fare un bilancio della sua vita. Un’avventura – che ci ricorda un poco quella, recensita, di Stephane in #IoSonoQui – tutta da seguire.

Il sapore della felicità (Umami), di Slony Sow, con Gérard Depardieu, Kyozo Nagatsuka, Pierre Richard, Rod Paradot, Sandrine Bonnaire, Eriko Takeda, Akira Emoto, Bastien Bouillon, Francia, Giappone, 2022, 105 mn

Foto ufficio stampa Echogroup

Lettera aperta all’ex canoista, ora Vicesindaco di Ferrara
(con delega alla mobilità e all’urbanistica)

Il sig. Rodolfo Baraldini ha inviato alla redazione una lettera aperta al Vicesindaco di Ferrara, firmata (presumiamo con amara ironia) dal “Comitato ferraresi allagati”. Di seguito ne potete leggere il contenuto.
Che strade e quartieri di Ferrara si allaghino in occasione di piogge intense non è certo colpa di questa giunta. É un problema della città, della sua urbanizzazione con conseguente consumo di suolo e del sistema idrogeologico in cui è inserita. Ma è responsabilità di chi governa oggi la città adottare tutte le misure perché questi allagamenti non si ripetano. Ricordiamo alcuni video postati nel 2018, prima delle elezioni, in cui Lei lamentava la cattiva gestione della precedente giunta e consigliava l’utilizzo della canoa a Ferrara. Ci dispiace dirglielo, la situazione negli ultimi anni, sembrava impossibile, ma è addirittura peggiorata.
Nei giorni dal 10 al 18 maggio molte aree di Ferrara sono state allagate. Molte abitazioni prospicienti le strade dove scorrevano veri e propri fiumi d’acqua hanno subìto allagamenti nei cortili, nelle cantine, nelle autorimesse, nei seminterrati o all’interno delle abitazioni. In molti casi si è dovuto far ricorso a pompe per liberarsi dell’acqua o a sacchi di sabbia, procurati dalla protezione civile, per arginarla; riscontrando comunque ingenti danni.

Non sappiamo se tutto questo sia dovuto a differenziali di altitudine e avvallamenti del terreno, alla impermeabilizzazione superficiale, alla natura del sottosuolo (la sua permeabilità e soggiacenza della falda), all’inadeguato calcolo delle fogne e pompe di sollevamento o al loro cattivo funzionamento e manutenzione, ai prodotti di sfalcio che vanno ad intasare le caditoie, al bilancio idraulico della rete dei canali di scolo e delle aree di laminazione.

Con i cambiamenti climatici in corso, queste piogge abbondanti con conseguenti allagamenti si ripetono praticamente ogni anno e non hanno il carattere di eccezionalità che viene spesso richiamato come scusante. Già nel recente temporale della notte tra il 3 e il 4 luglio l’acqua usciva da alcuni tombini per allagare le autorimesse. Non dimentichiamoci poi dei gravi allagamenti di agosto 2022. Eppure l’amministrazione locale e/o gli enti responsabili della gestione della rete fognaria e del corpo idrico recettore non ci sembra agiscano per rimediare a questi problemi. Non crediamo sia necessario un nuovo Cavo Napoleonico. Con le conoscenze e risorse tecnologiche attuali pensiamo si possa e debba, senza esitazione, mettere in sicurezza idraulica l’abitato della città di Ferrara.

Un gruppo di residenti della zona est di Ferrara Le ha chiesto un incontro perché venga illustrato che provvedimenti sono stati presi o si è programmato di prendere per impedire il ripetersi di tali allagamenti. L’incontro finora non c’è stato. Non sappiamo perché: restiamo in speranzosa attesa.

Ma la questione sicurezza idraulica di Ferrara va affrontata seriamente e non può essere solo argomento per qualche spot elettorale.

COMITATO FERRARESI ALLAGATI

Parole a capo
Sostiene Szymborska

“Mi preoccupo molto se qualcuno non capisce qualcosa di ciò che scrivo”. Così diceva di sé Wisława Szymborska (1923 – 2012) preoccupata, quasi assillata di mantenere un costante, diretto rapporto verticale con chi la leggeva. La ricerca di una costante empatia fatta di profondi stati d’animo “mescolati” a vissuti di vita quotidiana, è la cifra della sua poetica. Il 2 luglio del 1923 nasceva a Kòrnik. Oltre alla Polonia, sua nazione natale, il centenario della nascita della poetessa (premiata col Nobel per la Letteratura nel 1996) verrà ricordato in tutto il mondo con eventi, mostre, reading, pubblicazioni. Un esempio, che può essere socializzato con chi ci legge, è la mostra Wisława Szymborska. La gioia di scrivere,  inaugurata il 16 giugno scorso a Genova, al Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce e che sarà visitabile fino al prossimo 3 settembre. L’esposizione raccoglie, tra l’altro, 85 collage eseguiti dalla poetessa, massime e versi estratti (e videoproiettati sulle pareti) dai suoi componimenti e tanto altro. Nel 2021, al primo Reading ferrarese, organizzato dall’allora Collettivo Poetico Ultimo Rosso, decidemmo all’unanimità e senz’alcuna esitazione d’iniziare le mini-performance poetiche sparse per la città con la lettura della poesia “Ad alcuni piace la poesia”.
Ho pensato di regalarmi/ci una “pausa” poetica riportando queste tre poesie tratte da “La gioia di scrivere”, Ed. Adelphi, 2009.

Scrivere il Curriculum

Cos’è necessario?
E’ necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.

A prescindere da quanto si è vissuto
il curriculum dovrebbe essere breve.

E’ d’obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e ricordi incerti in date fisse.

Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.

Conta di più chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all’estero.
L’appartenenza a un che, ma senza perché.
Onorificenze senza motivazione.

Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
e ti evitassi.

Sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.

Meglio il prezzo che il valore
e il titolo che il contenuto.
Meglio il numero di scarpa, che non dove va
colui per cui ti scambiano.
Aggiungi una foto con l’orecchio scoperto.
E’ la sua forma che conta, non ciò che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che tritano la carta.

 

 La cipolla è un’altra cosa.

Interiora non ne ha.
Completamente cipolla
Fino alla cipollità.
Cipolluta di fuori,
cipollosa fino al cuore,
potrebbe guardarsi dentro
senza provare timore.

In noi ignoto e selve
di pelle appena coperti,
interni d’inferno,
violenta anatomia,
ma nella cipolla – cipolla,
non visceri ritorti.
Lei più e più volte nuda,
fin nel fondo e così via.

Coerente è la cipolla,
riuscita è la cipolla.
Nell’una ecco sta l’altra,
nella maggiore la minore,
nella seguente la successiva,
cioè la terza e la quarta.
Una centripeta fuga.
Un’eco in coro composta.

La cipolla, d’accordo:
il più bel ventre del mondo.
A propria lode di aureole
da sé si avvolge in tondo.

In noi – grasso, nervi, vene,
muchi e secrezione.
E a noi resta negata
l’idiozia della perfezione.

 

Pi greco

È degno di ammirazione il Pi greco
tre virgola uno quattro uno.
Anche tutte le sue cifre successive sono iniziali, cinque nove due, poiché non finisce mai.
Non si lascia abbracciare sei cinque tre cinque dallo sguardo,
otto nove, dal calcolo, sette nove dall’immaginazione,
e nemmeno tre due tre otto dallo scherzo,
ossia dal paragone quattro sei con qualsiasi cosa due sei quattro tre al mondo.
Il serpente più lungo della terra dopo vari metri si interrompe.
Lo stesso, anche se un po’ dopo, fanno i serpenti delle fiabe.
Il corteo di cifre che compongono il Pi greco non si ferma sul bordo della pagina,
È capace di srotolarsi sul tavolo, nell’aria, attraverso il muro, la foglia, il nido, le nuvole,
diritto fino al cielo, per quanto è gonfio e senza fondo il cielo.
Quanto è corta la treccia della cometa, proprio un codino!
Com’è tenue il raggio della stella, che si curva a ogni spazio!
E invece qui due tre quindici trecentodiciannove il mio numero di telefono
il tuo numero di collo l’anno millenovecentosettantatré sesto piano
il numero degli inquilini sessantacinque centesimi la misura dei fianchi due dita
sciarada e cifra in cui vola e canta usignolo mio oppure si prega di mantenere la calma,
e anche la terra e il cielo passeranno,
ma non il Pi greco,
oh no, niente da fare,
esso sta lì con il suo cinque ancora passabile,
un otto niente male, un sette non ultimo,
incitando, ah, incitando
l’indolente eternità a durare.

LO SCAFFALE POETICO
Dalla scorsa settimana inseriamo nella rubrica alcune segnalazioni editoriali interne al mondo della poesia. Buona ricerca
poetica.

  • Rita Bonetti, D’amore e di altre storie, Bertoni Editore, 2021
  • Moka, Vuoti d’aria, Le Mezzelane Casa Editrice, 2021
  • Sergio Gnudi, E infine la fineEridanea Project Edizioni, 2023

Cover: Wislawa Szymborska su licenza Wikimedia Commons

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio.
Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.

Per leggere il Bando e partecipare al Premio Internazionale Senza Premi “Le nostre parole per l’Alluvione” [Vedi qui]

 
 

Diario in pubblico /
Dalla padella alle braci: andare in vacanza nella nostra riviera

Dalla padella alle braci: andare in vacanza nella nostra riviera

 Le lunghissime giornate di un giugno anomalo si trascinano in quel di “Ferara” scandite dal cupo rimbombo dei martelli pneumatici, che stanno creando lussuose abitazioni per macchine che verranno ospitate a prezzi incredibili nella stretta via Ghisiglieri, tra proteste di tutto il vicinato, tra cadute di un quadro, mio, per le vibrazioni provocate dal martello che, come cantava Rita Pavone, disperatamente avrei voluto come arma d’offesa per darlo in testa a chi penso io! Ovvero la cosiddetta ‘proprietà’ che cautamente tace e non ha fatto nemmeno la prevista telefonata per registrare il danno. E nonostante che la nostra abitazione sia monumento protetto dalla Soprintendenza per i beni artistici e monumentali. Complimenti!

Comunque, dopo aver installato una sedia mobile e avere provveduto a tutte le necessità del caso, affrontiamo la trasferta al luogo marino dove teniamo casa: ovvero al Laido degli Estensi. La battutaccia ormai è quasi secolare eppure ancora valida.

Così affrontiamo il percorzo conosciuto, ma tutto sembra ed è cambiato. Un grande spazio vuoto ha preso il posto del vetusto hotel e qui enormi cartelli annunciano la costruzione di un palazzo di 13 piani. Rifletto che nemmeno nelle più affollate città a vocazione marina si pensa così in grande. Corrucciato rimane il palazzo di fronte di pochi piani inferiore e che accoglie il supermercato d’eccellenza.

Dall’altra parte della nostra stradina, una grande gru impedisce il passaggio. Anch’essa è addetta alla costruzione di altri posti macchine. E, come nei più famosi film di Totò, io pago io pago con il sonante rumore dei trapani in azione. Sghignazzano i gabbiani che mi guardano irridenti dalle case di fronte e mollano enormi cacche sui terrazzi, quasi a sfidare l’ingenuità pervicace dell’intraprendenza umana.

Allora dolce s’affaccia il ricordo dei mari percorsi: Sicilia, le Eolie, le Maldive, l’Africa, il Brasile e m’abbatto avvilito sul letto appena fatto, che ovviamente odora di chiuso e di umidità. Poi faticosamente m’appresto a telefonare a chissà quale polizia per denunciare il rumore invivibile, ma tutto risulta vano.

Che fare? Nun lo saccio! direbbe qualche meridionale scafato e allora, tra un colombaccio petulante, un urlante gabbiano, in un luogo infernale quale è questo, m’appresto a passare le mie vacanze laidesche.

P.S.: E mentre la domenica afosa s’accinge alla notte ancor più calda urla e rumor di lotta scuote la mia via. E un piccolo bassotto strilla all’impazzata due case oltre. Una dama transitante chiama i carabinieri e si scopre che a un rimprovero sul cagnolino abbaiante due ‘forsennati’ si mettono a picchiarsi e a frustarsi con il guinzaglio ovviamente di vera pelle del pelosetto.

Sale l’arma al piano dove sta l’incriminato poi…..mistero. I vicini partono, la strada torna silenziosa. Racconto l’accaduto a Benny, alla Terry e alla Frida, legittimi pelosi che accompagnano i miei nipoti. Scuotono sconsolati le orecchie e commentano che alla demenza umana non c’è mai fine.

Per leggere gli altri articoli di Diario in pubblico la rubrica di Gianni Venturi clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

WIDE, Art based spots, residenze artistiche romane

Torna dal 23 giugno al 15 ottobre WIDE, il programma di residenze artistiche delle Industrie Fluviali. Quattro progetti indagano il tema della città come ecosistema e un calendario di eventi tra vernissage, dj-set e laboratori didattici.

Torna WIDE – Art based spots, il programma di residenze artistiche delle Industrie Fluviali che ospita artisti e artiste per realizzare opere site specific pensate per gli spazi dell’hub culturale di Roma Ostiense.

Dopo una prima edizione che ha visto come protagonisti Geometric Bang, Alleg e Carla Rak e la realizzazione di tre opere, per questa seconda edizione, WIDE porta negli spazi di via del Porto Fluviale quattro artisti – Andrea Casciu, Eloise Gillow, Madame e Officinadïdue – che da giugno a ottobre realizzeranno quattro opere ‘site specific ‘per trasformare gli ambienti delle Industrie Fluviali.

I quattro progetti saranno svelati al pubblico in occasione di WIDE SunSet, i vernissage che celebrano l’arte e l’estate con speciali dj-set al tramonto. Le sonorità di quest’anno si compongono di suoni provenienti da ogni parte del mondo, grazie a dj e collettivi la cui ricerca musicale si addentra in territori inconsueti: Elvis Delmar from Yalla, Club Casbah, Tropico Disco Safari, Dj Solko.

Per realizzare le loro opere i quattro artisti coinvolti sono stati invitati a pensare alla città come ecosistema. Non un vero e proprio tema, ma un presupposto, una premessa che caratterizza la direzione artistica e che costituisce la base di partenza di ogni intervento artistico e laboratorio in programma. L’idea di città come ecosistema deriva dal concetto deep ecology codificato da Arne Næss negli anni ‘70, così come alle conseguenti teorie di Paul Shepard attorno al Paradigma Pleistocene, che afferma che il mondo naturale è un complesso di relazioni nel quale l’esistenza di ciascun organismo dipende dall’esistenza degli altri all’interno dello stesso ecosistema. Un assunto che può essere esteso a qualsiasi sistema. Ecco, dunque, che la città è un ecosistema dall’intelligenza collettiva che, al pari di una foresta, deve la sua esistenza alla diversità e varietà degli organismi che la abitano.

WIDE si inserisce in questo sistema di relazioni con un programma di attività laboratoriali destinate a partecipanti giovani e giovanissimi per attivare processi interiori di rispetto, solidarietà e comunicazione positiva nei confronti dell’altro come diverso da me, con le sue caratteristiche e specificità, e realizzando le opere attraverso un lavoro di confronto con il territorio, di narrazione condivisa e partecipata.

Officinadidue

Si è iniziato il 23 giugno con WIDE opening party e il primo incontro del laboratorio di co-creazione di un’opera site-specific aperto alla cittadinanza a cura di Officinadïdue (Vera Bonaventura e Roberto Mainardi). In questa occasione il duo, insieme ai partecipanti del laboratorio, daranno inizio ai lavori di un’opera site-specific che indaga il territorio e che una volta realizzata attraverserà l’intera struttura delle Industrie Fluviali, dai sotterranei alla terrazza. Il risultato finale sarà visibile il 14 ottobre in occasione del closing party. Per celebrare la nuova edizione di WIDE, le Industrie Fluviali ospiteranno una serata di festeggiamenti affidata al collettivo Club Casbah (RDSNT e Lorenzo BITW), le cui sonorità omaggiano le persone e le culture dei paesi del mediterraneo.

Madame

WIDE prosegue con l’artista francese Madame che a luglio realizzerà sul roof garden uno dei suoi collage di grande formato. Scenografa di formazione, Madame realizza opere pubbliche, oggi diffuse in decine di città e cinque continenti, che mescolano testo e immagine ricreando nello spazio pubblico la medesima dimensione scenica del teatro.

Il risultato del suo lavoro sarà svelato il 20 luglio accompagnato dalla musica di Tropico Disco Safari, progetto di Marco Buscema che propone, con dj da tutto il mondo, selezioni musicali composte di rarità che raccontano una varietà musicale profonda e, al contempo, un filo conduttore culturale che va dall’Africa ai Caraibi. In occasione della serata sarà presentato al pubblico il primo gruppo delle opere selezionate nell’ambito di WIDE visions, la call rivolta alle artiste e agli artisti under 35 che si servono dei codici per elaborare le proprie opere video.

Il secondo gruppo di opere sarà presentato in agosto in occasione di WIDE community (3 agosto): uniti dal buon cibo, gli abitanti del quartiere sono chiamati a partecipare a uno speciale tour di WIDE che ripercorre le opere realizzate dall’edizione 2022. Un’occasione per confrontarsi con il territorio sulle possibili direzioni future della manifestazione e un momento di condivisione in vista della ripresa delle attività a settembre. In questa giornata saranno annunciati i vincitori della call WIDE visions.

Nelle settimane più calde, proseguiranno i lavori del workshop di Officinadïdue, mentre gli eventi aperti al pubblico torneranno il 28 settembre con un appuntamento di WIDE SunSet che ospiterà gli ultimi due artisti in residenza: Andrea Casciu e Eloise Gillow. 

Andrea Casciu
Eloise Gillow

Ospite musicale per questa occasione sarà Elvis Delmar, sull’onda della stagione che lo ha visto protagonista delle serate romane con il duo Yalla.

Casciu, artista nativo di Sassari, classe 1983, trasformerà l’ingresso delle Industrie Fluviali con le sue figure ibride, mutevoli, ricche di elementi naturali e di stilizzazioni derivanti dall’arte classica, grazie alle quali si sta affermando come uno degli street-artist più originali e riconoscibili d’Italia.

Eloise Gillow, giovane artista inglese con base a Barcellona, che sul roof garden delle Industrie Fluviali realizzerà la sua prima opera in Italia. Nelle sue opere combina un realismo pittorico eccelso con la capacità di realizzare opere pubbliche di grandi dimensioni creando connessioni tra l’opera d’arte e le comunità che la ospita. L’appuntamento di settembre è l’occasione per vedere l’ultimo gruppo delle opere selezionate di WIDE Visions in vista dell’annuncio del progetto vincitore a ottobre.

L’ultimo appuntamento con WIDE SunSet è in programma il 14 ottobre con un closing party affidato a Dj Solko, curatore del programma di SunSet di questa edizione dedicato ai suoni di culture di varie parti del mondo che interagiscono quotidianamente con Roma. Occasione per celebrare la fine del programma di residenze artistiche e per svelare al pubblico il risultato del laboratorio condotto da Officinadïdue che trae ispirazione dal mondo naturale e reinterpreta i linguaggi estetici della land art, dell’arte povera e del minimalismo, sviluppando progetti artistici legati all’ambiente, al clima, all’ecologia e alle istanze sociali.

WIDE 2023 si chiude con una due giorni interamente dedicata ai bambini, il 14 e il 15 ottobre, infatti, insieme alle associazioni Libelà e TUtt’ALTRO si indagherà il tema dei quattro elementi all’interno della cornice della biodiversità. L’obiettivo sarà quello di creare nei più piccoli una “cittadinanza terrestre” ovvero quel rapporto che ci lega al pianeta in cui viviamo e in cui le nostre identità sono in relazione e strettamente collegate. In questo evento confluiranno la presentazione dell’albo illustrato Racconti Elementari, una esposizione foto e video realizzata con bambini e ragazzi da Federica di Giovanni e quattro atelier in cui bambini e famiglie potranno vivere esperienze immersive a contatto con i quattro elementi.

La partecipazione agli eventi è gratuita previa registrazione su: https://www.industriefluviali.it/wide

WIDE è alle Industrie Fluviali, Via del Porto Fluviale, 35, Roma, Ostiense.

Le Industrie Fluviali sono un ecosistema culturale, un hub per l’innovazione che progetta, promuove e produce iniziative dal carattere ibrido, aperto, inclusivo. La loro sede, nel cuore del quartiere Ostiense, è il frutto della rigenerazione di una fabbrica dismessa, che con le Industrie Fluviali è diventata uno spazio polifunzionale nonché una piattaforma per ideare e allestire progetti con importanti ricadute sociali, e per innescare sinergie con le realtà presenti sul territorio.

Il progetto, promosso da Roma Capitale – Assessorato alla Cultura, è vincitore dell’Avviso Pubblico “Estate Romana 2023 – 2024” curato dal Dipartimento Attività Culturali ed è realizzato in collaborazione con SIAE.

WIDE Art Based Spots è un progetto ideato e realizzato da PINGO SCSI.

 

Parole e figure / Inseguire un gelato si può, ed è divertente

Una bellissima e divertente novità di Babalibri, in uscita il 20 luglio: “All’inseguimento del gelato” di Katja Gehrmann e Constanze Spengler

Tempo di estate, di spiaggia affollata, di colori, di desiderio di divertimento, di caldo torrido che fa venir voglia di cercarsi un gelato fresco e gustoso.

Ecco allora, per grandi e piccini, una storia illustrata che trattiene tutti i colori dell’estate e che ci riporta a quei momenti, piccoli ma grandi, capaci di schiudere ricordi dolci come una Madelaine, senza mancare l’appuntamento con l’avventura e l’umorismo.

In uscita il 20 luglio con Babalibri, Katja Gehrmann e Constanze Spengler in “All’inseguimento del gelato” ci portano a seguire Nico e il papà in vacanza al mare su una piccola isola: sistemano l’ombrellone a strisce bianche e rosse – degli stessi colori del faro lontano – , nuotano e giocano con pallone e racchette. Il papà è un fervente e convinto lettore, adora i libri, Nico un bambino curioso che ama correre e divertirsi.

Quando all’orizzonte compare il magico furgoncino dei gelati, oggi un po’ in ritardo, Nico chiede al papà il permesso per andare a comprare un gustosissimo cono per entrambi (il lettore accanito, che vuole il gelato alla stracciatella, non può davvero spostarsi ora, è in un punto talmente avvincente del libro…).

Il papà acconsente, con la raccomandazione di non allontanarsi e di tornare subito. Quante volte ce lo siamo sentiti dire… non accettare nulla dagli sconosciuti, non correre, non ti allontanare (alla nostra epoca, la medaglietta al collo dello stabilimento balneare tranquillizzava i genitori un po’ di più…).

Nico scattante e felice corre verso il furgoncino, ma questo, inizialmente parcheggiato fra il venditore di palloncini colorati e il noleggio degli sci d’acqua su cui pare di volare, si è già spostato fulmineo verso un’altra destinazione… Fermati, fermati… pare dire Nico…

Inizia così un mirabolante inseguimento sulla strada costiera e per ripide salite che coinvolgerà un asinello nano con un cappello di paglia giallo che pare un sombrero, una postina, una fruttivendola, un autista di autobus, un operatore di sci nautico e un pilota.

In groppa dell’asinello che si trasforma in veloce destriero e sulla bicicletta della postina, Nico percorre piazze e colline, fiancheggia il molo da cui parte il traghetto affollato.

Spiaggia uno, spiaggia due, spiaggia tre, è sempre quella sbagliata. Ci sono pure i paracadutisti ad aiutare. Eccolo, finalmente, al tanto rincorso furgoncino dei gelati: uno al mirtillo per l’asinello, uno alla stracciatella per papà e uno alla fragola per lui, il coraggioso e temerario Nico. “Non ti sei allontanato troppo, vero Nico?”, dice il papà. Meno male che lui ama tanto leggere libri lunghi lunghi…

Katja Gehrmann, Constanze Spengler, All’inseguimento del gelato, Babalibri, 2023

Libri per bambini, per crescere e per restare bambini, anche da adulti.
Rubrica a cura di Simonetta Sandri in collaborazione con la libreria Testaperaria di Ferrara

Per certi versi /
Il bacio e le cicale

Il bacio e le cicale

Con le cicale
L’estate
Di mille anni
Fa
Il primo bacio
A una ragazza
Era pieno
Di cicale
Si chiuse
La porta
Del tempo
Di scatto
Le labbra
Divennero anguille
Il fico
Reggeva la musica
Nell’olio della notte
Attorno alla luna
Più interessata
Che mai
A questo bacio
Da Rialto
Non finiva
Non si voleva
Finisse
Insieme alle cicale
Che verve
Che smalto

Ogni domenica Periscopio ospita Per certi versi, angolo di poesia che presenta le liriche di Roberto Dall’Olio.
Per leggere tutte le altre poesie dell’autore, clicca [Qui]

Le storie di Costanza /
Luglio 2062 – Una fotografia

Le storie di Costanza. Luglio 2062 – Una fotografia

La zia Costanza ha avuto un incidente. È caduta dalle scale della vecchia casa di via Santoni e si è rotta il metatarso del piede sinistro. Per fortuna la frattura era composta e, per curare il trauma, è bastata l’ingessatura senza bisogno di ricorrere all’intervento chirurgico. Ora ha il piede ingessato e per un mese può camminare solo in casa, usando le stampelle.

A volte basta proprio poco per farsi del male e la vita cambia velocemente in peggio. Un minuto prima cammini normalmente e un minuto dopo non lo puoi più fare. Non serve a niente maledire la sfortunata coincidenza, indietro non si torna e comunque il piede resta rotto.

Nello scendere dalla soffitta, dove ogni tanto si rifugia per far rivivere avvenimenti del suo passato e pensare ai fatti suoi senza interferenze, la zia ha appoggiato male il tallone ed è caduta in avanti. Per fortuna non si è fatta altro che la frattura del metatarso.

Con lo stesso piede Costanza aveva già avuto problemi in passato, un legamento se l’era lesionato da giovane in una gara sportiva e l’alluce aveva subito una brutta botta durante un tuffo in piscina. Questa volta un osso si è spezzato e, grazie al gesso, il piede è diventato gigante e bianco. Da lontano sembra un cucciolo di orso delle nevi appeso a una gamba.

Si accompagna all’altro piede che è lungo e magro, una strana coppia davvero, poco sincronizzata. I piedi umani mi hanno sempre affascinato, sono eleganti, flessuosi dotati di una capacità di movimento e di abilità articolari davvero sorprendenti. Sono arte viva in mutamento. Rendono i movimenti del corpo umano armonici. Per poter danzare la salute di mani e piedi è essenziale e i ballerini dedicano loro molto tempo e cura.

Cosmo-111, Canali-111, Galassia-111, Maya-111 e Orsino-121 sempre molto pragmatici, hanno chiesto cosa dovessero fare per pulire il gesso e una volta saputo che non lo potevano né lavare né lucidare, si sono molto dispiaciuti. Hanno fatto delle ricerche nei loro sistemi informativi e hanno scoperto che una delle abitudini dei ragazzi degli anni 2.000 era quella di riempire il gesso di scritte, fatte con un pennarello nero indelebile.

Così i nostri Robot si sono procurati un pantone nero. Cosmo-111 ha scritto sul gesso della zia “An bacaa (un bacio)”, Canali-111 “Guarisci presto”, Galassia-111 “I love white”, Maya-111 “Evviva Costanza” e Orsino-121 ha disegnato un teschio con tanto di ossa incrociate sotto.

Quando la zia gli ha chiesto per quale motivo le avesse disegnate, lui ha risposto: “Ho visto che, quando eri giovane, i tuoi coetanei facevano così”. Deve essere vero, perché Costanza ha sorriso e Orsino-121 ha fatto un fischio di soddisfazione “eureka” ha poi detto.

Sabato sera siamo andati tutti (io, mio marito, Axilla e Gianblu) a trovare la zia. Nel vecchio soggiorno di Costanza c’erano anche mia madre e mio padre e una vicina di casa che si chiama Giuliana. Abbiamo portato il gelato, perché piace sia ai robot che agli umani e, con questo caldo, è particolarmente adatto per chiudere la giornata.

La zia era seduta su una delle poltrone gialle del soggiorno e teneva il piede ammalato appoggiato su un pouf dello stesso colore. Era tutta vestita di nero e i suoi capelli d’argento erano legati dietro la nuca con un elastico rosso. I miei genitori erano seduti sul divanetto d’Adelina e Giuliana sull’altra poltrona.

Quei vecchi mobili gialli erano della nonna Anna e, prima ancora, della bisnonna. Sono sempre rimasti in casa della zia nonostante il passare degli anni e hanno subito col tempo il rifacimento di diverse fodere, sempre sulle tonalità del giallo, a volte più dorate e a volte più color polenta.

La vecchia casa di via Santoni ha un po’ il fascino del museo, è piena di ricordi che vengono tramandati e sopravvivono alle singole vite. Quando entri in casa cambia un po’ il senso del tempo, se guardi i mobili è tutto stranamente uguale da decenni, mentre se guardi il viso delle persone che vi abitano è tutto diverso.

Quando siamo entrati, Giuliana stava dicendo ai presenti che Costanza non è l’unica infortunata di Via Santoni Rosa, anche la mamma del notaio è caduta e si è rotta un braccio. Quella signora dagli occhi color acciaio ha quasi novantotto anni ed è il punto di riferimento della zia per decidere quanti anni potrà ancora vivere.

Dice sempre: “la mamma del notaio ha novantotto anni e sta ancora bene, quindi io, se faccio come lei, ne ho ancora almeno otto da vivere in buone salute”. Questa considerazione le fa bene al cuore, allontana i tristi pensieri legati alla dipartita da questo mondo. Meglio così, speriamo che la mamma del notaio stia bene ancora a lungo.

Adesso però ha un braccio rotto, è caduta anche lei ma non dalle scale, è scivolata in lavanderia in mezzo a un mucchio di capi pronti per essere caricati in lavatrice e lavati. Suo figlio l’ha trovata in terra dolorante ricoperta di calze, asciugamani e pigiami puzzolenti. Ridiamo tutti, nonostante il dispiacere, per il braccio della signora Nora.

La zia aziona col telecomando il suo flight-t e subito arriva volando un piccolo robot dalla forma simile a quella di una libellula. I flight-t hanno una lunghezza che varia dai venti ai settanta centimetri e, a differenza dei -111 e dei -121, volano. Possiedono tutte le funzionalità dei droni e molto altro ancora.

Sono molto servizievoli, estraggono dalla cassetta della posta le lettere e te le portano, oppure fanno il caffè, lo mettono nelle tazzine sopra un vassoio, volano dove vuoi e depositano il vassoio dove indichi loro. Sanno spruzzare acqua e antiparassitario sui fiori e anche andare a fare la spesa dal fruttivendolo.

La cosa che li contraddistingue maggiormente è che sanno superare tutti gli ostacoli che un normale cammino impone, semplicemente azionando le loro ali meccatroniche e alzandosi da terra fino a cinquanta metri. Quelli di casa si alzano solo di qualche metro e ciò è sufficiente per renderli molto efficienti e utili.

Il flight-t della zia è verde e le sue ali sono argentate. Molto bello davvero. Lo ha scelto lei a Robomecca, il centro commerciale di Trescia-111. Costava tanti soldi ma la zia ha detto:

“Ormai ho novant’anni, le cose per cui vale la pena spendere un po’ dei miei risparmi sono quelle che mi aiutano a gestire la casa senza ammazzarmi di lavoro. Sono troppo vecchia per poter pensare di tenere in perfetto ordine una casa di dieci stanze, un cortile, un giardino, un orto, una rimessa e una soffitta.

Mi serve un aiuto efficiente e se tale aiuto arriva da un robot è anche meglio, il mezzano fa quello che gli dico io senza protestare e senza opporre motivazioni confliggenti con le mie priorità. Questo fligh-t oltre che ricchissimo di funzionalità è anche bello. Le ali argentate lo rendono un po’ fiabesco. Sembra il robot di Cenerentola. Io lo voglio, è adatto alla casa di via Santoni, ha un’eleganza senza tempo che mi piace molto.”

Così il fligh-t è stato acquistato e ha cominciato subito a lavorare. La zia gli ha anche dato un nome, si chiama Zeus-t. Mentre chiacchieravamo, seduti sui divani gialli, è arrivato Zeus-t e ha posato sul tavolo basso posizionato di fronte a uno dei due divani, le ciotole e le palettine per il gelato. Una scena familiare molto tranquilla e normale, nonostante il gesso della zia.

A volte mentre osservo i miei parenti che conversano, mi succede uno strano evento intra-psichico, mi allontano da me stessa. È come se riuscissi a guardare tutti, me compresa, da lontano.

Come se diventassi un osservatore distaccato dell’interazione che si sta svolgendo, invece che un membro attivo. Come se una parte di me continuasse a chiacchierare e a mangiare il gelato e un’altra parte si allontanasse di qualche metro, lo spazio sufficiente per diventare contemporaneamente un osservatore e un osservato.

Questo strano modo di distaccarmi dagli eventi è curioso, stupisce anche me. Mi permette di visualizzare e ricordare le situazioni con una lucidità e una dovizia di particolari che non potrei avere se fossi troppo immersa nel momento. È uno stare sulla porta, né dentro né fuori dalla stanza, né dentro né fuori dal tempo, né dentro né fuori dalle circostanze.

E così, insieme ai miei parenti, riesco a guardare la parte di me stessa che è rimasta seduta sul divano e a descriverla come descriverei tutti gli altri protagonisti della storia. Questo strano meccanismo, che mette in relazione il dentro con il fuori, mi è stato molto utile per tutta la vita. Una specie di doppia visione da-dentro e da-fuori, che mi ha permesso un aumento delle informazioni sugli eventi e una completezza di visione importante.

Anche adesso mi allontano dal divano e mi fermo sulla porta. Vedo un bel quadretto familiare, una signora anziana con un piede rotto, un bel soggiorno dal sapore un po’ antico, un bellissimo robot dalle ali argentate che mi ricorda che siamo nel 2062. Il mio stare sulla porta riesce a cogliere un momento di serenità che sospende il tempo e si eleva sopra la stanza per diventare una stella.

Lo stare sulla porta arricchisce la capacità di riflettere sulla situazione, la cristallizza in un’immagine, la fa diventare un ricordo. Attraverso questo guardare un po’ da lontano so che il momento che sto vivendo durerà per sempre, che il ricordo sta già abbracciando quell’incontro serale per farlo diventare una pietra miliare, una roccia che segna il cammino, una lapide. L’immagine si ferma e diventa una fotografia.

Le persone sorridono mentre stanno mangiando il gelato. Ci sono anche due ragazzini, un maschio con gli occhi verdi come le foglie d’autunno e una femmina mora con una felpa con scritto: “Non buttare la plastica. Gli aironi la potrebbero mangiare.

Nell’immagine si vede anche il padre dei ragazzi, alto e atletico con gli occhiali dalla montatura sottile. Si vede una signora anziana che sorride e una seconda signora anziana con un piede ingessato. Ci sono anche altre due persone di circa ottant’anni, marito e moglie.

Stanno tutti là seduti in soggiorno, è quasi sera e si stanno raccontando qualche episodio curioso, che li sta divertendo. La luce del tramonto filtra attraverso le tapparelle semi abbassate, il robot dalle ali d’argento sta assicurando, con la sua presenza, l’efficienza del servizio e dell’ospitalità.

Ho di nuovo colto l’attimo, ho fermato un’immagine, l’ho resa eterna. Ora mi muovo dalla porta, torno dentro me stessa. Ricompongo il dentro e fuori, mi siedo sul divanetto d’Adelina, prendo in mano il gelato alla vaniglia che Zeus-t mi sta porgendo e mi metto a ridere perché la zia Costanza ha appena detto “Tutto sommato potrei anche diventare immortale. Mi sto esercitando molto in questo senso”.

N.d.A.
I protagonisti dei racconti hanno nomi di pura fantasia che non corrispondono a quelli delle persone che li hanno in parte ispirati. Anche i nomi dei luoghi sono il frutto della fantasia dell’autrice.

Per leggere gli altri articoli di Le storie di Costanza la rubrica di Costanza Del Re clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

Il rock è morto. Viva il rock! Ma dove e come ascoltarlo oggi?

Un concerto dovrebbe essere e basta, ma in realtà le cose devono essere pianificate nei minimi dettagli.  Devi provare con altri musicisti in modo da ridurre la possibilità di improvvisare e queste cose impediscono che un concerto sia veramente spontaneo”.
Parola di Vangelis, il grande compositore greco, già tastierista dei mitici Aphrodite’s child.

Vorrei partire da questa semplice affermazione e provare a riflettere sui megaconcerti rock. La musica dell’ultimo, quello di Springsteen a Ferrara, volteggia ancora tra le foglie degli alberi del parco Bassani, con la sua lunga coda di polemiche.

Dal primo grande raduno rock a Monterey in California nel 1967 di note ne sono passate nell’aria. Dai tentativi di dare corpo alla controcultura giovanile, con il movimento hippy, alla globalizzazione musicale senza più anima, dove tutti i luoghi d’intrattenimento risultano alla fin fine uguali e quello che conta veramente è non fermare mai la macchina tritatutto dello spettacolo. Una logica perversa, ma stringente, che vola inesorabilmente sulle nostre teste, stringe ancora i nostri stomaci e continua a regalarci emozioni più o meno forti, alla faccia di ogni orpello moralistico. 

Non mi scandalizzo dunque, dei tanti paradossi che i megaconcerti propongono ogni volta, finendo ogni volta per essere bellamente accantonati, perché ritenuti, a torto o a ragione, demagogici. La legge del mercato è inesorabile.

Quindi non c’è storia. Se un musicista ha un cachet che per un’esibizione può arrivare e anche superare il compenso mensile di un’intera comunità di 2000-2500 persone, il problema non esiste: basta fare sold out e avere un indotto sufficientemente largo. Ci guadagnano tutti: promoter, maestranze, albergatori e ristoratori. Ricordiamoci di quello che è accaduto con i lockdown: decine di migliaia di persone ridotte quasi alla fame.
L’immenso circo che accompagna l’esibizione dal vivo di un big della canzone con la sua band è ormai organica alla legge del consumo e se i prezzi dei biglietti, soprattutto dopo la pausa forzata imposta dalla pandemia, risultano spesso proibitivi per molte persone, peggio per loro. [vedi dal sito di RollingStone: i prezzi dei biglietti per i concerti sono diventati folli]. 

Anche in questo caso, la storia degli anni settanta ci ha insegnato molte cose, mettendo per anni il nostro Paese ai margini delle esibizioni live dei giganti del rock, impauriti dalle violente contestazioni sui prezzi.
Inutile ritornare sull’argomento, anche se, questa volta, pure dall’ estero stanno arrivando proteste contro il caro biglietti, rivolte non solo ai promoter, ma anche ai musicisti. Questi, in generale, non sembrano porsi alcun problema di responsabilità “sociale” nelle loro scelte produttive. Quei pochi che ci hanno e/o ci stanno provando, si sono trovati davanti a difficoltà enormi. A solo titolo di esempio i mitici Pearl Jam. [Vedi qui]

Mai come in questi anni il consumo di musica è diventato  tanto largo e diffuso. Schiacci un link e puoi ascoltare qualsiasi musicista, spesso gratuitamente, bypassando con i cookies e la pubblicità,  i costi che qualsiasi produzione musicale deve sostenere per garantirsi un futuro. Le piattaforme ed i concerti dal vivo, lo sappiamo, hanno sostituito la vendita dei supporti fissi. Anche se la fedeltà della riproduzione è ai minimi, la gran massa degli ascolti si accontenta della quantità, al grido di “gratis  è bello”.

qualità audio e frequenza di campionamento
Audio in alta risoluzione: come ascoltare la musica alla massima qualità [Vedi qui]

Non avendo forse mai sperimentato la magica alchimia che, quando ero giovane, derivava dal rumore della puntina sul long playing appena acquistato, spesso a costo di parecchie rinunce. E quel disco lo si ascoltava fino a consumarlo. 

I concerti live restano dunque una delle poche isole “felici” nella nostra esperienza musicale?
Un evento si vive innanzitutto con il cervello:  il primo, collocato nella testa. Il secondo, altrettanto importante, collocato nello stomaco. Se il concerto lo seguite su di un maxischermo che inquadra, come un’icona, il vostro beniamino, allora secondo me avete sbagliato tutto. A parte il “Ciao Ferrara !!!”, che diventerà “Ciao Roma o Ciao Milano !!!” lo spettacolo sarà perfettamente riproducibile a se stesso, come in un disco, con l’unica, non banale differenza, di una riproduzione sonora sicuramente al top.
È come andare ad ammirare la Gioconda al Louvre invece che in una riproduzione cartacea di alta qualità. Vuoi mettere? Modestamente, sì.

Quando arriverò a trentatré anni smetterò. Quella è l’età in cui uno dovrebbe fare qualcos’altro. Non voglio fare la rockstar per tutta la vita. Non potrei sopportare di finire come Elvis a cantare a Las Vegas con le casalinghe e le vecchiette che arrivano con la busta della spesa.
Chissà se Mick Jagger si ricorda di questa sua istruttiva affermazione giovanile. Perché il megaconcerto rock è un fatto culturale ben preciso e circostanziato. Come il mito dell‘autenticità nel rock.  Ecco la voce “
Autenticità e artisticità rock” nella Storia della Civiltà Europea Treccani [Vedi qui].

Riproporlo come un rito senza tempo è ancora una volta un miracolo del capitalismo e della sua capacità di trasformare tutto in merce.
A mio avviso, l’unica dimensione ancora percorribile é quella del teatro, dove la finzione scenica e musicale è palese, ma il contatto con il pubblico, “umana” e dunque sostenibile. So che questa mia provocazione non sarà digerita dai più. Anche per questo la lancio, sperando di ricevere qualche indicazione utile a farmi cambiare idea. In fondo è questa la mia segreta aspirazione.
Ragazzi, il megaconcerto mi manca.

Il Parco Bassani:
Addizione verde o Luna Park?

Riceviamo e Pubblichiamo

Comunicato stampa del Comitato “Save The Park”

Il sindaco di Ferrara (da oggi “Alan l’Asfaltatore”) ha cambiato per sempre la natura del Parco urbano Giorgio Bassani, desiderato e voluto per primo da Paolo Ravenna, senza uno straccio di delibera, impegno di spesa, fattura, scontrino che sia accessibile e controllabile.
l’Asfaltatore, come il Sommo Giove, ha fatto uscire la sua nuova creatura come Minerva, da un vistoso foruncolo sul cranio.
Si ricordi solo, l’Asfaltatore di comunicare l’accaduto al Controllo Nazionale del Traffico Aereo, vedi mai che qualche pilota di linea scambiasse i viali ciclabili del Luna Park ex Bassani per il Marconi o il Marco Polo.
E i ferraresi? Sono contenti, contentissimi, come recitano le veline municipali, e già aspettano impazienti l’atterraggio del prossimo superdivo direttamente ai bordi del palco.
Ma infine, ci sorge un dubbio: che densità politica ha la pubblicazione di alcuni giorni fa della “scoperta” che l’area demaniale a sud della città potrebbe essere attrezzata per grossi eventi (come Save the Park ha sempre sostenuto)?
E allora, vedi mai che Alan l’Asfaltatore (e il suo vice?) non abbia precorso i tempi per accontentare tutti i compagni della merenda municipale: “Se gli eventi si faranno a sud, allora l’aeroporto lo spostiamo a nord!”.
Comitato Save The Park

PREMIO LETTERARIO INTERNAZIONALE SENZA PREMI
“Le nostre Parole per l’Alluvione”.
Scadenza per invio testi: 22 luglio, ore 24.00

“Le nostre Parole per l’Alluvione”. 

Può esistere un “premio senza premi”? Secondo l’Associazione Culturale Ultimo Rosso sì.
Mentre rullano i tamburi dei media per l’arrivo imminente del Premio Strega, cui ne seguiranno una dozzina di grande e media taglia, più alcune migliaia sparsi in tutta la penisola, è molto consolante (per me e per questo giornale) sapere che c’è qualcuno che pensa che la letteratura, e in particolar modo la poesia, non c’entri nulla con le gare, le classifiche, i premi, gli allori. Si scrive una poesia, o un racconto, o un romanzo, per “il bisogno di farlo”. Lo si mette in circolazione per condividerlo con altri. Si apre un libro per il solo piacere di leggerlo. Poi, è vero, esiste una Grande Letteratura e una letteratura usa e getta, ci sono poeti eterni e artigiani o semplici copisti, ma la scrittura e la lettura sono un meraviglioso gesto individuale e universale, sono l’output creativo che irrompe nel quotidiano. E merita di essere ascoltato.
Ecco, quindi, un Premio Internazionale senza Premi. Dove non si vince nulla,  a cui si partecipa con un proprio libero gesto creativo, in prosa o in poesia, con il pensiero rivolto alla tragedia che ha colpito l’Emilia-Romagna.  Una tragedia di cui non è responsabile una “natura cattiva” ma l’incuria, il cemento e la corsa al profitto. “Le nostre Parole per l’Alluvione” vogliono essere un piccolo segno riparatore.
Buona scrittura a tutte e a tutti.

Francesco Monini
direttore responsabile di Periscopio

ECCO IL BANDO:

Premio Internazionale

 CONCORSO SENZA PREMI
“Le nostre Parole per l’Alluvione”

BANDO

L’Associazione Culturale “Ultimo Rosso”, in collaborazione con “Periscopio” quotidiano online bandiscono la prima edizione del

PREMIO LETTERARIO INTERNAZIONALE  SENZA PREMI
“Le nostre Parole per l’Alluvione

Al Premio si partecipa con opere edite o inedite, in lingua italiana, in vernacolo o lingua straniera (purché corredate da traduzione in italiano a cura dell’Autore candidato), a tema libero (non è quindi necessario un qualsiasi riferimento alla tragedia dell’alluvione).

Il Concorso è rivolto ai soli Autori maggiorenni.

La partecipazione al Concorso prevede un contributo di adesione libero di almeno 5 Euro, da versare autonomamente alla Protezione Civile dell’Emilia Romagna per aiuti alle persone delle aree alluvionate.

Ogni Autore può partecipare a più di una Sezione, con un massimo di un’opera per ciascuna di esse.

Il Concorso è suddiviso nelle seguenti Sezioni:

Sezione A _Poesia singola edita o inedita a tema libero, lunghezza massima 40 versi, carattere Times New Roman 14, interlinea 1,5.

Sezione B_ Racconto edito o inedito a tema libero, lunghezza massima 20.000 battute (spazi inclusi), carattere Times New Roman 14, interlinea 1,5.

Le opere dovranno pervenire entro il 21 luglio 2023, esclusivamente in formato elettronico Word all’indirizzo email: lultimorosso.ferrara@gmail.com, indicando nel testo della email nome e cognome del concorrente, email, recapito telefonico e titolo dell’opera candidata. In allegato sarà inviato il testo dell’opera  e la ricevuta di avvenuto versamento della quota libera di adesione.

La quota di adesione sopracitata dovrà essere corrisposta alle seguenti coordinate:
Agenzia regionale Sic.T. Protezione civile Emilia Romagna – IBAN: IT69 G020 0802 4350 0010 4428 964  – Causale: “ALLUVIONE EMILIA-ROMAGNA”

Ogni Autore, per il fatto stesso di partecipare al Concorso, dichiara la propria esclusiva paternità e originalità delle opere inviate e del loro contenuto. Dichiara inoltre di avere il pieno possesso dei diritti di utilizzo delle opere e che le stesse sono libere da ogni eventuale vincolo editoriale sia in caso di opera inedita sia in caso di opera edita, manlevando pertanto l’Organizzazione del Concorso dalle eventuali pretese o azioni di terzi.

La Giuria si riserverà, d’intesa con l’Organizzazione, il diritto di escludere dal Concorso le opere che, a proprio insindacabile giudizio, riterrà offensive, di cattivo gusto o comunque non in linea con lo spirito sociale e culturale del Concorso.

Le liriche partecipanti che supereranno la selezione operata dalla Giuria, saranno pubblicate all’interno della rubrica “Parole a Capo” del quotidiano online Periscopio. Inoltre, dopo un ulteriore selezione, una cinquantina di opere (di poesie e racconti) verranno inserite in una antologia dal titolo: “Le nostre Parole per l’Alluvione”. (Il prezzo di copertina sarà indicato successivamente, non potendolo definire prima di conoscere il n. complessivo delle pagine. Pagate le spese, gli introiti della vendita del volume saranno devoluti alla Protezione Civile dell’Emilia Romagna)

Informativa ex art. 13 del D.L. 196/2003, GDPR n. 2016/679, sulla tutela dei dati personali: i partecipanti al Concorso autorizzano l’Associazione organizzatrice al trattamento dei dati personali al solo fine di permettere il corretto svolgimento delle diverse fasi del Concorso stesso.

GIURIA DEL PREMIO

  1. Pier Luigi Guerrini – Presidente di Giuria – poeta e critico letterario (Ferrara)
  2. Roberta Barbieri – poetessa, giornalista pubblicista – Poggio Renatico (FE)
  3. Moka – Monica Zanon – poetessa, scrittrice- Associazione Licenza Poetica (Solcio di Lesa – NO))
  4. Maria Calabrese – docente di letteratura italiana – Biblioteca Popolare Giardino (Ferrara)
  5. Francesco Monini – scrittore, giornalista – quotidiano online Periscopio (Ferrara)

 

Il giudizio della Giuria si intende come insindacabile e inappellabile.

Storie in pellicola / Grazie ragazzi, per questa magnifica pièce di teatro in carcere

Riccardo Milani torna a occuparsi di sociale con la consueta ironia, in “Grazie ragazzi”, con un convincente Antonio Albanese e un sorprendente gruppo di attori

Il teatro in carcere, la voglia di riscatto, l’attesa. Studenti-allievi molto singolari.

Una storia ispirata a fatti accaduti, quella dello svedese Jan Jönson che, nel 1985, aveva tenuto lezioni di teatro nel carcere di massima sicurezza di Kumla e si era impegnato a far recitare a cinque detenuti Aspettando Godot di Samuel Beckett, torna oggi nel film Grazie ragazzi di Riccardo Milani.

Si tratta anche di un remake del francese Un triomphe, del 2020, diretto da Emmanuel Courcol, che aveva scoperto la storia di Jönson dal documentario del 2005 Les Prisonniers de Beckett, mostratogli dal suo produttore Marc Bordure.

Nel film di Milani, Antonio Cerami (Antonio Albanese) è un attore di teatro che da anni non calca il palcoscenico, vive da solo in un appartamento a Ciampino dove sente il passaggio di ogni aereo e doppia film porno per sbarcare il lunario. Un disoccupato un po’ disadattato (non osa confessare alla figlia lontana che lavoro fa) ma sempre curioso.

Il suo amico di vecchia data Michele (Fabrizio Bentivoglio), che ha un lavoro stabile presso un piccolo teatro romano, gli trova un incarico insolito ma sfidante: sei giorni di lezioni di recitazione presso un carcere di Velletri allo scopo di far mettere in scena ai detenuti una serie di favole. È un progetto finanziato dal Ministero cui la direttrice del carcere, Laura (Sonia Bergamasco), ha acconsentito senza troppo entusiasmo, ma ad entusiasmarsi sarà Antonio, che deciderà di mettere in scena presso il teatro di Michele un progetto più grande: “Aspettando Godot” di Samuel Beckett, perché i detenuti “sanno cosa vuol dire aspettare: non fanno altro”.

Vinicio Marchioni, Giacomo Ferrara, foto Claudio Iannone
Fabrizio Bentivoglio, foto Claudio Iannone

Così Mignolo (Giorgio Montanini) dalla moglie focosa, Aziz (Giacomo Ferrara) nato a Tripoli e arrivato in Italia su un gommone, Damiano il balbuziente (Andrea Lattanzi), Diego il boss (Vinicio Marchioni) e Radu (Bogdan Iordachioiu) l’addetto alle pulizie rumeno lavoreranno per interpretare un testo complesso e impegnativo, con risultati da scoprire. In un tour teatrale che porterà i ‘magnifici cinque’ fino all’elegante e scintillante ‘tempio’, il Teatro Argentina di Roma.

Un film pieno di umanità, oltre che di ironia, di bellezza che tocca anche chi non la frequenta o non vi è abituato, di simpatia e, soprattutto, di tanto bel teatro che, in carcere (ma non solo), può fare miracoli. In un laboratorio vitale che è un turbinio di emozioni.

Le musiche di Andrea Guerra (e la canzone di Vasco “I soliti”) accompagnano una pellicola che ha il dono di raccontare gente semplice, spesso non per scelta, con disarmante e magnifica semplicità. Perché tutti possono avere un talento nascosto.

Grazie ragazzi, di Riccardo Milani, Antonio Albanese, Fabrizio Bentivoglio, Sonia Bergamasco, Vinicio Marchioni, Giacomo Ferrara, Giorgio Montanini, Andrea Lattanzi, Bogdan Iordachioiu, Italia, 2023, 117 minuti

Foto in evidenza Claudio Iannone

Guerra di tasse e guerra di classe
Chi vince e chi perde

“E’ una guerra di classe, e la mia classe sta vincendo” 

(Warren Buffett)

Il periodo storico che stiamo vivendo indurrebbe a un utilizzo parsimonioso del sostantivo “guerra”, specialmente in contesti non propriamente geopolitici.
Leggendo il libro di Vincenzo Visco e Giovanna Faggionato “La guerra delle tasse”, edito da Laterza, tale considerazione lascia però il posto ad una sincera condivisione dell’utilizzo di tale termine.
L’ analisi del Professor Visco, ampiamente suffragata dall’essere stato egli stesso testimone diretto ed anche interprete, nelle sue vesti di ministro, dei fatti riportati, attraversa la storia del fisco italiano e delle sue riforme dal dopoguerra ad oggi.

 

LA GUERRA DELLE TASSE

Partendo dall’art.53 della Costituzione e dai principi cardine in esso riportati, riferiti alla progressività della capacità contributiva del contribuente e al rispetto dell’equità orizzontale e verticale nell’applicazione dell’imposizione, si dà conto del “patto sociale” che i Padri Costituenti delle diverse espressioni politiche dell’epoca, in particolare quelle con maggior base popolare come la Democrazia Cristiana, il Partito Comunista Italiano e il Partito Socialista Italiano, hanno voluto sottendere a questa tematica nella sua formulazione.

Sono questi gli obiettivi che, scorrendo il libro, non si sono riusciti a raggiungere nel disegno e implementazione di una seria riforma fiscale nel contesto italiano, partendo dalla Commissione Cosciani degli anni ’60 e dalla riforma Visentini negli anni ’70, fino ad arrivare ai giorni nostri. Il tentativo di disegnare un imposta omnicomprensiva in grado di incontrare e mettere a sistema le diverse espressioni di reddito, da quello personale a quello di impresa e di capitale, ha lasciato spazio a interventi disorganici e “sartoriali”: solo per citare un esempio, si arriva a situazioni in cui “i redditi da capitale sono tassati al 26%, un’aliquota inferiore rispetto a quella che si paga sulla parte di reddito che eccede i 28.000 € annui”.

Complementare all’analisi delle imposte è quella sull’evasione fiscale italiana, a partire da quella riguardante l’IVA, e la constatazione, nocciolo fondamentale della questione attuale, che “i profitti delle aziende sono sempre più slegati dai redditi da lavoro e anche dall’occupazione” e questo ci dice che “l’evoluzione del mercato ha reso vetusti alcuni pilastri su cui erano stati costruiti i sistemi fiscali delle democrazie occidentali del secondo dopoguerra”.

Gli autori si soffermano quindi sull’attuale proposta del Governo italiano relativa alla flat tax (imposta piatta) in relazione ai redditi autonomi e successivamente ai redditi dipendenti, lasciando insoluta la questione del gettito fiscale e di come esso potrà essere rimodulato in quanto, allo stato attuale, la sua composizione è rappresentata per la grande maggioranza da redditi da lavoro e da pensione. Proprio su questo punto si può intendere l’utilizzo del sostantivo “guerra” nel titolo del libro, poiché, “da un punto di vista politico-sociologico si può anche osservare che le imposte piatte con pochi scaglioni – garantendo o aumentando la salvaguardia dei redditi bassi, assicurando gli sgravi ai ceti abbienti, e penalizzando implicitamente il ceto medio – corrispondono anche al perseguimento di una particolare alleanza politica: quella tra “ricchi” e poveri , un’alleanza “populista” rispetto a quella socialdemocratica-keynesiana tra poveri e ceto medio, che era stata prevalente fino agli anni Ottanta del secolo scorso”.

Parole a capo
Annalisa Mercurio: “Poesie”

La vita reale è soltanto il riverbero dei sogni dei poeti. La vista di tutto ciò che è bello in arte o in natura, richiama con la rapidità del fulmine il ricordo di chi si ama.
(Stendhal)

Avrei dovuto portarti
dal mio albero parlante
dove stride il tempo lento.
Far ridere le iridi
anche un momento soltanto
toccarti in petto col verde
firmamento campestre che
sbriciola tutti i miei nodi
dove la civetta dal ramo basso
benedice dei folli i piedi scalzi
mentre danzano su un inno alla gioia.
Saresti forse a lungo rifiorito.

(inedito)

S’è alzato dal letto
il peso molle della notte
il compressore d’anime
ha terminato ore e minuti
e il terreno di gioco
a disposizione.
Lo schiacciamento allo sterno
evapora, arrotola lingue oniriche
riposte in rimesse

dove è stata rimossa la luce.
Si riallineano in verticale
stelle alle mie ossa.

(inedito)

Le foglie lo sai,
cadono anche in primavera e noi
– distratti dal tempo dei fiori –
lasciamo entri dalle pupille
una fragilità che ci riempie
la bocca.

(inedito)

Seguono tre poesie tratte dalla sillogeMuovimi il fiatoChiPiùNeArt Edizioni

Mi si è spaccato il cielo stanotte.
Tra sterno e costole, stanotte.
Precipitano preghiere e macigni
e la voce, tra tonfi di silenzi
non si muove.
La leggerezza della neve
dev’essere caduta altrove.

––––––––––––––––––––––––––––––––––––––-

Vorrei sbocciarti dentro.
In quell’ans(i)a
al riparo dello sterno;
ed estratto estremo di sensi,
tagliarti il fiato.
Sognarti dentro.

––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

E non c’è niente d’intero,
niente di puro o d’impuro
in queste sfere di tempo,
di carta e stracci;
non c’è niente di più né di meno
nell’attimo in cui
parla la coscienza allo specchio
e racconta che il tuo miele e il tuo fiele
sono figli della stessa madre.

Annalisa Mercurio (Rimini, 1969). Nel 2000 si trasferisce in Puglia, dove tutt’ora vive con il marito i due figli e un cane.
Questa terra segna il suo verso, così come lo segnano gesto e corpo. Danzatrice classica e contemporanea, sente la scrittura come estensione della propria fisicità.
A Gennaio 2023 entra a far parte della redazione del lit blog Le Parole di Fedro dove cura la rubrica mensile “figuracce retoriche”.

Pubblicazioni:
Lit-blog “Le parole di Fedro” (Dicembre 2020, Novembre 2021, Marzo 2022, Aprile 2022, Luglio). Compare tra gli autori della silloge “Tra un fiore colto e l’altro donatoAletti editore (2021)
Il Lucano Magazine” rubrica Poeti e versi (Luglio 2021)
Poetarum Silva” (Novembre 2021, Dicembre 2021); “Franco Genzale” rubrica Dentro l’anima della poesia di Emanuela Sica, (Aprile 2022) Premio speciale del Direttore artistico al Premio internazionale di poesia Culture del Mediterraneo 2022. Partecipa all’antologia “L’isola di Gary – paesaggi di guerra e paceed. Opera Indomita (Ottobre 2022). Nel 2023 pubblica la raccolta poetica “Muovimi il fiatoChiPiùNeArt edizioni.

LO SCAFFALE POETICO
Da questa settimana inseriamo nella rubrica alcune segnalazioni editoriali interne al mondo della poesia. Buona ricerca poetica.

  • Roberta Lipparini, Nei titoli di coda, Il Leggio Libreria Editrice, 2022
  • Sara Ferraglia, Voglio una danza, Giuliano Ladolfi Editore, 2023
  • Maria Mancino, Bacio di carta, Babbomorto Editore, 2022

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio.
Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.

Per leggere il Bando e partecipare al Premio Internazionale Senza Premi “Le nostre parole per l’Alluvione” [Vedi qui]

L’ARTE CHE CURA /
Voglio dirlo a tutta la città. La forma inconfondibile del cuore

Oggi, vi invito ad avvicinarvi all’arte per vedere come possa essere uno strumento per giocare insieme e guardare con occhio curioso le cose. Così vi racconto di “una caccia al tesoro” con due amici fotografi, Corrado Pavani e Paolo Squerzanti. Un gioco che nella ovvietà dell’immagine cercata, un cuore disegnato, ha provato a superare la banalità e ha trovato creatività e bellezza.

D.W. Winnicot un illustre psicoanalista ha scritto un intero libro sull’importanza del gioco per conoscere la realtà e coltivare nel tempo la creatività. Afferma Winnicott: “l’esperienza culturale comincia con il vivere in modo creativo ciò che in primo luogo si manifesta nel gioco”.

VOGLIO DIRLO A TUTTA LA CITTÀ (*). La forma inconfondibile del cuore

L’amore è un sentimento senza tempo. I modi per dimostrare l’amore rispecchiano la storia … oggi ad esempio, la velocità del lessico dei social : “TVB”. C’è però una cosa che resta indelebile, nonostante tutto: le scritte sui muri. Le stesse frasi ricorrenti, espresse, se non in maniera completamente artistica, sicuramente in maniera plateale.

Esiste da sempre, tra gli innamorati, la necessità di fare outing, di uscire allo scoperto e dichiarare il proprio sentimento al prescelto. Anzi di più: la volontà di dirlo a tutta la città.

L’innamorato di turno rappresenta con un simbolo, il cuore, ed un predicato verbale, ti amo, il suo stare di fronte all’oggetto amato, e lo presenta allo sguardo di tutti perché il suo gesto appartiene allo stesso ordine del manifestarsi nel mondo.

L’autore produce un’immagine che è “fenomeno”, “presentificandola” egli attualizza la propria realtà interna. La sua è una testimonianza concreta e visibile, la sua voglia di stupire la persona amata lo porta ad esporsi. Un gesto romantico, sentimentale, stupido, gratuito, che non ha la certezza della risposta sperata e lo induce al rischio del rifiuto e del dileggio.

“Ti amo” è urlato di fronte a tutti, in esso c’è solo l’urgenza emotiva che lo evoca. Il discorso d’amore appare unilaterale, ma non è un soliloquio, non rimane tra sé e sé, non è sussurrato all’amato, ma è detto con forza a chiunque transiti vicino al luogo in cui quel grido è emesso.

Si può notare, come scrive Barthes analizzando i topoi fondanti del linguaggio amoroso, che in essi i gradi di libertà e la creatività individuale risultano piuttosto ridotti. “Io ti amo” è quasi un motivo sintattico, un refrain, che, però, serve a plasmare quell’unica frase che può esprimere l’immediato emotivo.

Ma la dichiarazione d’amore non è delegata solo alle parole scritte. Più spesso ciò che si vuole rivelare è sintetizzato, tradotto o accompagnato da una immagine simbolica. Il simbolo contiene, infatti, di per sé, quello che vuole significare; è qualcosa di più concreto, statico, assoluto e il contesto (basta un muro scalcinato, una corteccia, una panchina, una vetrata) non è basilare nell’interpretazione.

Il legame tra oggetto significato e immagine significante è sempre decodificato in maniera intuitiva e immediata, non necessita di un’elaborazione intellettuale e trova la sua forza non nella originalità del segno, ma in virtù della sua ovvietà convenzionale. Il cuore simbolo possiede un significato immediato, il sentimento d’amore contenuto al suo interno che si riveste di una valenza metafisica nascosta, espressa dall’intimo rapporto tra la raffigurazione sensibile del simbolo e la sua valenza ideale.

[Traduzione: Secondo alla sua Prima.”Ovunque tu sia, buongiorno. Ti prego Signora , amami”] Epigrafi a Pompei
Appare fin dall’antichità e lo si trova già in alcuni geroglifici come triangolo rovesciato, che indicava la sede dell’anima, forma che conserva tuttora anche se tondeggiante. Ma era molto di moda anche tra gli antichi greci, tanto che è stato ritrovato su monete risalenti a 3000 anni fa. Il disegno riproduceva la forma del seme del Silfio, una pianta che, per le sue proprietà come contraccettivo, era strettamente associata all’amore.

Nel corso della storia, a seconda delle idee dominanti, il cuore è stato usato alternativamente, in queste due accezioni, come luogo di tutte le emozioni o come sede privilegiata della passione amorosa.

Anche la religione ha usato questo simbolo: nell’Islam il cuore è il trono di Dio, nella devozione cristiana è simbolo della passione di Gesù o dell’amore materno della Madonna. Nell’arte e nella letteratura è stato riproposto sia nell’accezione di amore terreno sia dell’amore mistico.

Tutto molto lontano dalla realtà biologica di quest’organo vitale che, anzi, quando è riprodotto nella sua tangibilità corporea, non ci provoca moti dell’animo o turbamenti emozionali, ma più sensazioni angoscianti di disgusto e di morte. Il simbolo, riportato all’oggetto concreto, perde tutta la sua valenza sentimentale, riportandoci in un mondo materiale, prosaico, mortale, finito.

Anche l’arte contemporanea si serve di questa icona inconfondibile.
Mart ad esempio è un artista che disegna il mondo a forma di cuore per esprimere “l’amore che ho per l’arte” e poi lo attacca su carta in giro per la città. E poi Harring, Freda Kahlo, ChagallScrivere sui muri è un facebook ante litteram, è voler essere sotto gli occhi di tutti, il più possibile, di tutta la città almeno.

Ma il disegno di un cuore non è in assoluto un’opera d’arte. Non è street art, perché non è un gesto che mira all’arredo urbano, non è un’opera sito specifico, perché non è pensato come intervento estetico da inserire in un dato luogo, se non per una intenzionale strategia legata all’attraversamento del destinatario. Non è neanche una provocazione da writer, che attraverso il suo tag è se stesso che vuole mostrare.

Il cuore invece insegue finalità romantiche, la voglia di stupire una sola persona, quella amata, mentre tutti gli altri rivestono solo il ruolo di testimoni. Eppure c’è arte. C’è nella misura in cui è un gesto espressivo, c’è quando rende visibile un affetto interno, c’è quando il risultato della comunicazione risente dello strumento utilizzato (penna, vernice, intaglio), e interagisce con il supporto (muro, corteccia, sabbia).

Siamo nel campo dell’estetica quando l’artista innamorato deve fare i conti con la probabilità di essere visto, o le difficoltà materiali d’esecuzione per imprimere quel segno: tecnica, sperimentazione, progetto.

L’icona grafica del cuore è ormai quello che viene definito un glifo, sfruttata per la sua facile intelligibilità e adottata da numerosi marchi. Da uno stereotipo scontato sono sorte interpretazioni o commistioni inesauribili che hanno originato un’iconografia nuova e al tempo stesso familiare.

Ma, all’artefice che noi stiamo osservando non interessa colpire il vasto pubblico, l’offerta è solo per un unico sperato acquirente, l’uso del cuore è solo quel cuore e l’io ti amo non è una riproposta popolare, non è mai, assolutamente, scontato.

Percorro questa strada, la SS 16 in direzione di Ferrara, quotidianamente da oltre 20 anni e, alla casa cantoniera di Gaibanella, leggo questo messaggio d’amore da altrettanto tempo. La scritta, probabilmente, è anche più vecchia.

È una scritta rossa sull’intonaco sgretolato bianco e ricorre più volte sui diversi lati della casa. Orietta, il fortunato oggetto d’amore di un uomo che dichiara il suo sentimento ma non il suo nome.

L’apparire di quella scritta ogni giorno ha un effetto rassicurante. Indipendentemente dall’esito reale di questa storia d’amore, quando leggo: “Orietta, ti amo” permetto a quell’amore di resistere nel tempo e di essere continuamente confermato.

“Orietta ti amo” lo leggo oggi ed è oggi che è vivo; non è come una foto ingiallita, una lettera ritrovata che ti ancora al passato. Non evoca nostalgia, non provoca l’annoiato senso di un cliché ripetuto e stanco. “Orietta ti amo” ti illude che l’amore sia immortale, immutabile nel tempo anche se, forse, con il tempo non è più stato pronunciato. “Ciao amore mio” è ribadito nell’eterno incontrarsi del mattino e nell’accomiatarsi della giornata.

Paolo, Corrado ed io ci siamo divertiti a collezionare fotografie di cuori e scritte amorose. Ma non siamo gli unici: c’è un blog che si intitola Amoregridatosuimuri; il sito di Repubblica riporta un articolo: Scritte sui muri: l’amore sgrammaticato.

Ci sono altri che si offrono di scrivere biglietti d’amore per S. Valentino e messaggi amorosi. Noi abbiamo cominciato per dare risposta ad una curiosità romanticamente antropologica: “Cosa spinge un innamorato a cercare di mettere sotto gli occhi di tutti il proprio sentimento, e tutti gli innamorati in modo analogo?”

Ma, avvicinandoci a queste parole urlate, che non riuscivano a stare contenute nell’intimità e nella riservatezza, ci siamo accorti che, man mano, il nostro sguardo cambiava. Le stesse parole, lo stesso simbolo ma nessuna scritta, nessun disegno uguale all’altro. E, acuendo lo sguardo, oltre la tenerezza o la poesia abbiamo scorto la bellezza.

Una scritta veloce che lascia trasparire il gesto, come nella painting art di Pollok, e che noi riusciamo a percepire in quelle gocce di vernice, non previste, ma che rendono quella scritta più pregnante.

La cura nel definire il contorno, in modo che le iniziali rimangano racchiuse e protette. Un accostamento cromatico gradevole, forse involontario, accessorio, ma che dona più eleganza al tratto. La scritta avventurosa, in un luogo eroico da conquistare. Quella pensata, preparata, realizzata con cura e intenzionalità.

In tutto questo noi abbiamo cominciato a vedere bellezza. Le nostre macchine fotografiche hanno messo a fuoco quei particolari che andavano oltre la contingenza della dichiarazione.

Diventavano davvero metafore universali, per cui le iniziali, la frase specifica, diventavano un pretesto per inneggiare all’Amore e agli Innamorati. Dal contenuto all’estetica.

E, laddove i veri protagonisti cercavano di dare voce al loro sentimento privato, gli scatti dei fotografi astraevano quel momento soggettivo a testimonianza di un sentimento universale.

Un segmento di vita veniva visto nella sua portata immortale. Ed è in ciò per noi la bellezza.

Disegna il tuo cuore. Cartellone disegnato dai visitatori della mostra

La ricerca della forma inconfondibile del cuore era diventata una piccola ossessione non so quanti scatti abbiamo fatto!

Il gioco è diventato un progetto che ha dato luogo ad una mostra e ad un libro. Ma se vi piace giocare potete continuare la caccia al tesoro.

 

(* )“Voglio dirlo a tutta la città. La forma inconfondibile del cuore” è il titolo della mostra che si è tenuta tra il 5 marzo e il 10 aprile 2016, presso la sala esposizioni del Mercato Centro Culturale di Argenta, e del libro/catalogo di Corrado Pavani, Paolo Squerzanti e Giovanna Tonioli, pubblicato per l’occasione.

Per leggere gli  altri interventi  della rubrica L’Arte che Cura di Giovanna Tonioliclicca sul nome della rubrica o su quello dell’autrice.