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Parole e figure / Albi per papà

Oggi è la festa dei papà, due sillabe cariche di tanti significati. Oggi dedichiamo tre bellissimi albi a tutti i papà, vicini e lontani. A quelli che ci sono e a quelli che non ci sono più. Perché questi ultimi sono semplicemente altrove.

Il primo albo di oggi è il delicatissimo “Papà”, di Hélène Delforge e Quentin Gréban, edito da Terre di Mezzo. Un libro di grande formato, con tavole spettacolari e testi poetici.

Dopo “Mamma” e “Innamorati”, nel nuovo albo della coppia autoriale troviamo un vivido ritratto dei “nuovi padri”, figure in grande evoluzione, sempre più coinvolte nel ruolo di partner e nella crescita affettiva dei loro figli. L’orgoglio, la paura di sbagliare, la dolcezza che si osa rivelare e che non si sapeva di poter avere, l’amore che si mostra in ogni istante. Ci sono tanti papà, tutti diversi, ma con lo stesso desiderio di felicità per il proprio figlio; perché si può essere padri in tanti modi. Papà non si nasce, ma lo si diventa?

“Ho avuto un papà molto timido, emotivo, sensibile, pieno di delicatezza e nostalgia”, dice Helène in una toccante intervista, “un uomo ‘ordinario’ ma straordinario, un uomo fragile che è stato molto ferito dalla vita… Mio papà era capace di piangere di nascosto alla laurea ma non di dirti apertamente ‘Ti voglio bene’. Era sempre lì quando avevo bisogno di lui, ma non si è mai imposto. Ho molti rimpianti per le cose che non abbiamo fatto insieme, per le cose che non gli ho detto. Mi ha lasciato…. il suo naso, il suo amore per i libri, il suo umorismo, il suo amore per il cibo, il timore di esser di disturbo, e tanti dubbi”.

Padri, coloro che spesso non sanno dire, non sanno esprimere. Uomini a cui avremmo voluto dire tante cose, cui dobbiamo dire cose adesso prima di non averne il tempo.

Padri severi, dolci, comprensivi, ispidi, coraggiosi, duri, teneri. I nostri eroi senza cappa né spada. Amici che sanno giocare sulla spiaggia, fare castelli in aria, suonare il pianoforte, leggere libri a voce alta, correre incontro ed abbracciare. Baciare.

Un libro perfetto per un dono nelle occasioni speciali.

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Hélène Delforge, Quentin Gréban, Papà, Terre di mezzo, Milano, 2023, 72 p.

Altro albo affascinante e delicato, che illustra il tema del rapporto padre-figlia, è “Mio papà supertuttofare”, del francese Barroux, edizioni Clichy.

“Nella sua tana da agente segreto, papà nasconde un sacco di gadget con nomi impronunciabili e divertenti. Con i suoi ‘strumenti’ papà fa miracoli. Può aggiustare tutto: incolla, salda e rattoppa… e tutto questo grazie alla sua simpatica assistente: sua figlia! Sono la sola a conoscere il segreto di mio padre… Ogni fine settimana, infatti, papà fila in un posticino segreto giù in cantina e si trasforma in un tuttofare. Si toglie la cravatta e indossa la sua divisa da agente segreto: una vecchia maglietta bucata e un paio di pantaloni con le toppe. È super forte. Ma quando ha bisogno di aiuto, mi chiama in soccorso. Sono l’unica che può aiutarlo. Insieme aggiustiamo, rattoppiamo, frughiamo e inventiamo nuove cose super belle, mi piace un sacco! E mio padre, lo adoro!”.

Nel capanno segreto in fondo al giardino, che ricorda una tana di pirati, si cela un mondo colorato di scatole di viti e chiodi e di oggetti strani che tagliano e pizzicano. È il regno di un papà che nel week end si trasforma, da impiegato a tuttofare. Con l’aiuto della sua assistente il papà ripara cose rotte ma ne costruisce anche tante altre. Difficile capire cosa però, fino all’ultima pagina. Surprise, humour, suspense e mistero. Che divertimento!

Barroux, Mio papà supertuttofare, Edizioni Clichy, Firenze, 2020, 40 p.

“Ancora, papà”, di Mariapaola Pesce e Irene Penazzi, edito da Terre di Mezzo è, invece, una bella storia in rima per raccontare il proprio papà nel corso del tempo, un papà che è sempre lì quando giochi e quando cresci, che ti accompagna nelle vittorie e nelle sconfitte e che non smette di esserci quando cresci davvero e vai a vivere da sola e cominci a fare le scelte importanti della vita.

Un papà che è sempre al tuo fianco, attraverso tutti i momenti della vita: quelli quotidiani, più normali (giocare, lavarsi i denti, farsi le coccole nel lettone) e quelli più significativi (il primo amore, la prima delusione, il primo trasloco, la nascita di un bambino…).

Finché, con l’età, i ruoli si scambiano, ed è lui ad avere bisogno di te. Perché i ruoli cambiano, ahimè si invertono. Il circolo ricomincia. E allora tocca a noi figli esserci. Così come ci sono stati loro. Allora. Ora. Sempre. Un libro-dedica, capace di arrivare dritto al cuore di ogni figlio e di ogni papà.

Mariapaola Pesce e Irene Penazzi, Ancora, papà, Milano, Terre di Mezzo, 2020, 40 p.

Foto in evidenza tratta da Hélène Delforge, Quentin Gréban, Papà

Libri per bambini, per crescere e per restare bambini, anche da adulti.
Rubrica a cura di Simonetta Sandri in collaborazione con la libreria Testaperaria di Ferrara

Alla Rotonda Foschini Reading di poesia (Corso Martiri, Ferrara)
Domenica 24 marzo dalle 10 alle 12,30

Il 24 marzo di questo 2024, coincide con la Domenica delle Palme ed è celebrata dai cattolici, dagli ortodossi e dai protestanti. Pochi giorni prima (il 21 è la giornata mondiale dedicata alla poesia). Come Associazione Culturale “Ultimo Rosso” abbiamo scelto questa vicinanza che unisca poesia e ulivo come possibili segni di pace e di speranza nel futuro. Una speranza contro la violenza, contro tutte le guerre vicine a noi ma anche dentro le comunità e le persone. Per un futuro che diventi di nuovo per tutti parte dei nostri progetti di vita.

 

Per noi, la poesia è la capacità, la voglia di rompere le barriere dell’indifferenza, oltre e attraverso un’instancabile speranza. “In direzione ostinata e contraria” come cantava Fabrizio De André. Vi aspettiamo in tanti. Noi ci saremo. In occasione della Giornata mondiale della poesia, la rubrica “Parole a Capo” di  Periscopio si farà in due: mercoledì 20 e giovedì 21 marzo usciranno due speciali con numerose liriche di poete e poeti che hanno dato corpo ad una mia piccola idea. Li ringrazio di cuore!

La Comune di Ferrara:
un’esperienza non comune per un’idea diversa di città e di democrazia

La Comune di Ferrara: un’esperienza non comune per un’idea diversa di città e democrazia

La cronaca della conferenza stampa di presentazione della lista “La Comune di Ferrara”(qui il link ufficiale) tenutasi ieri all’aperto dello Spazio Grisù, la puoi leggere su tutti gli organi di stampa della città. La presenza di Periscopio aveva uno scopo diverso: restituire un clima e qualche sensazione che la mera cronaca non trasmette.

La Comune di Ferrara è una coalizione decisamente eccentrica. Ci sono dentro politici locali con il relativo simbolo di partito (i Socialisti del PSI) e ci sono esponenti e attivisti locali senza il simbolo del loro partito (Europa Verde, Sinistra Italiana) perché i loro vertici romani li hanno diffidati dall’utilizzarlo in sostegno a La Comune. Loro infatti – i romani – avevano già deciso che a Ferrara i loro attivisti dovevano votare e far votare il nome che va per la maggiore. Allora questi attivisti locali, in dissenso dalle indicazioni di schieramento dei loro vertici, hanno deciso di partecipare ad una competizione amministrativa al fianco della candidata sindaca Anna Zonari. Per quale ragione? Perché, per una volta, una aggregazione civica “vera” ha iniziato a chiedere l’opinione delle persone su cosa doveva fare la prossima amministrazione ben prima che qualsiasi candidato “ufficiale” uscisse allo scoperto (al termine di sfinenti discussioni interpartitiche, ca va sans dire). Invece i loro referenti nazionali non hanno sentito nemmeno il bisogno di fargli una telefonata.
Ciò nonostante, nessun accento polemico è sfuggito dalle labbra di Federico Besio, giovane referente degli “ecologisti” ferraresi, nè dalla bocca di Sergio Golinelli, segretario di Sinistra Italiana. Non serve la polemica quando c’è la forza degli argomenti: che sono prepolitici, in questo caso. Non occorre infatti essere d’accordo con le idee di Besio e Golinelli per capire che, alla vigilia del rinnovo di organi amministrativi locali, bisognerebbe almeno dialogare con i propri attivisti locali, prima di spendere anche il loro nome a sostegno di un candidato, seppure di prestigio e di fama nazionale (nota dello scrivente: per chi non lo sapesse, i non residenti a Ferrara non possono votare per il sindaco di Ferrara). Questa divaricazione tra burocrati nazionali e attivisti cittadini, e che ha portato i secondi verso La Comune, dipende dal fatto che La Comune di Ferrara nasce sulla base di un metodo che è esso stesso sostanza. Un metodo di compartecipazione, di ascolto e di discussione capillare che gli attivisti locali hanno prima riconosciuto per poi contribuirvi, mentre i politici romani non lo hanno nemmeno smarrito (casomai smarrisci quello che avevi): non lo hanno proprio mai praticato. Gli è alieno.
La differenza sta nel metodo, prima di tutto. Personalmente non mi era ancora successo di vedere riunire dei comuni cittadini ad un tavolo e di farli dialogare in modo ordinato e non scompostamente assembleare, circostanza che dipende dal fatto che occorre anche sapere come far parlare le persone – e i world cafè (leggi qui) sono serviti proprio a questo. Non mi era successo, eppure è un’idea semplice. Semplice e complessa al tempo stesso.
La complessità risiede nel fatto che le persone non sono più abituate ad esprimersi, perché sono state abituate a pensare che democrazia è sinonimo di delega (meglio se ad un “uomo forte”). Ma prendere le parti di qualcuno non equivale ad esprimersi.  Far parte di una fazione che commenta le tenzoni televisive o social tra leaders non equivale ad esprimersi. Dire solo cosa non va non equivale ad esprimersi. Di conseguenza, sollecitare la partecipazione attiva delle persone quando alle stesse non è mai chiesto cosa pensano e cosa farebbero, ma è chiesta solo una delega per fare “il loro bene”, non è semplice, perché per loro è una novità.
Questa disabitudine si coglie anche nelle domande della stampa, preoccupata dell’opportunità di indicare i sostenitori e candidati della lista come singoli aderenti o come esponenti dei loro partiti, per non favorire un incidente diplomatico; non preoccupata di capire come si declinerà ulteriormente il “quasi programma” che La Comune ha pubblicato sul suo sito. Ci ha pensato Anna Zonari a parlare di questo, prefigurando con trasparenza  – attraverso veloci accenni al riciclo della plastica in petrolchimico, alle comunità energetiche, ai corridoi verdi – quello che al contempo potrebbe essere il punto di forza e la grande sfida delle prossime settimane per La Comune: quella di coniugare la partecipazione delle persone, che ha già prodotto dei temi “alti”, con la capacità di sintetizzare e mettere a terra delle proposte concrete per la città. Il contributo delle intelligenze individuali sarà ancora più fondamentale, da qui in avanti, per arricchire l’intelligenza collettiva che La Comune di Ferrara vuole incarnare e che propone al servizio della città; e che costituisce la premessa indispensabile per riuscire a far votare le persone che non votano più (circa il quaranta per cento sono rimaste a casa, al precedente ballottaggio). Le persone che non votano più torneranno a farlo solo se, prima, si saranno sentite coinvolte in un processo di partecipazione collettiva. In un agone politico connotato da un confronto tra ego che slitta già, tristemente, dentro modalità da eccesso di testosterone, questa è la vera e unica competizione che La Comune di Ferrara sollecita e affronta: quella per una rinnovata idea di città e di democrazia.

Prove di dialogo
un racconto di Franco Stefani

Prove di dialogo

La vide quasi accucciata sulla soglia di un negozio vicino al suo portone di casa – oggi le ragazzine si mettono a sedere ovunque, lungo i marciapiedi – con gli occhi fissi sul telefonino. Era uscito per depositare il sacco pieno di plastica per la raccolta differenziata e quasi la sfiorò. Stava rannicchiata contro la saracinesca del negozio, in un atteggiamento difensivo.

Si fermò un attimo a guardarla. Poteva avere quattordici -quindici anni: poco più di una bimba, con la frangetta di capelli castani che le ricadevano sul viso un po’ truccato per sembrare più grande della sua età.  Lei alzò gli occhi e si ritrasse con un istintivo moto di timore.

“Non aver paura” disse lui “non ti faccio nulla. Hai bisogno? Posso aiutarti?”.

Lei lo guardò e non rispose, stringendo il telefonino come se volesse aggrapparvisi.

“Scusami” – fece lui “se vuoi me ne vado. Volevo solo sapere se ti occorreva qualcosa…”.

La ragazzina parlò, restando seduta. “Aspettavo un’amica, ma non è venuta”. Poi abbassò gli occhi.

“Devi andare da qualche parte?” domandò lui. “Abiti qui?”

“No” rispose lei. “Abito a C.”, aggiunse, nominando un paese vicino.

Beh, pensò lui, abbiamo stabilito un contatto. E adesso cosa le dico? Cominciò a rimuginare. Ho cinque volte la sua età. Cosa diavolo interessa a queste ragazzine? Che cosa pensano i giovani? Mah, vai a sapere…

Intanto lei disse piano: “Ho freddo. Non voglio tornare a casa”.

“Scherzi?” scattò lui. Ma si morse subito la lingua. Non sono un suo genitore. Però, questa è sola, sembra smarrita… “Non puoi restare qui. Tra poco il negozio chiude, è sera e non passerà più nessuno” disse in fretta, per paura di intimorirla ancora di più. Però poi chiese: “Perché non vuoi andare a casa? I tuoi staranno in ansia se non ti vedono arrivare”.

“A casa o qui è lo stesso. Con mia mamma e mio padre ci parliamo appena…” disse lei con un sospiro. Ahi, ecco una prima grana, pensò lui: meglio essere prudenti. Prendiamola alla larga. “Dove studi?” le domandò. “All’istituto professionale per la moda” “E ti piace?” “Insomma… non tanto, molti prof sono piuttosto stronzi” disse lei. E dai, ecco la scuola che non funziona. “Ma che preferisci fare?” le chiese. “Disegnare”. “Che cosa?” “Bei vestiti, belle stoffe…” “Ti piacerebbe avere bei vestiti?” “Sì”. E che lavoro vuoi fare? “Non lo so. Forse lavorare in una casa di mode, oppure fare la costumista o la sarta, in un teatro o nell’industria cinematografica”.

***

Il proprietario del negozio aveva abbassata la saracinesca e se n’era andato. La ragazzina si era alzata in piedi. Altre luci di insegne si stavano spegnendo. Oddio, si disse lui, adesso qui la situazione precipita, questa deve andare assolutamente a casa, poi succedono dei casini…

Fu lei a trarlo d’impaccio. “Va bene. Se per favore mi accompagni a casa…”. “Sì, aspetta, prendo le chiavi della macchina, è parcheggiata là di fronte, la vedi?”. Entrò per prendere le chiavi e poi tornò sul portone. Lei era ancora lì. Si era tirata in testa il cappuccio del giaccone, un indumento strano, ed aveva un aspetto buffo.

Salirono in macchina. Indossarono le cinture e si avviarono. C’erano circa venti chilometri da percorrere. Lui domandò: “Stai comoda?”. “Sì”. “Parlavamo della scuola, prima. Ma poi cosa fai oltre ad andarci?” “Guardo dei film alla Tv, gioco alla playstation, sto davanti al computer”. “Non pratichi qualche sport?” “Ogni tanto vado in piscina”. Rispondeva sempre guardando il telefonino. “Ma che ci fate col telefonino?” le chiese. “Chattiamo. Scriviamo messaggi. Guardiamo i cantanti, ascoltiamo i rapper”. “Conosci Laura Pausini?” provò a chiedere lui tentando un goffo approccio musicale. “L’ho sentita qualche volta, piace a mia mamma”. Perbacco, una cantante poco più che quarantenne e affermata era già quasi nell’archivio della storia, per ’sti ragazzi. Meglio non avventurarsi oltre.

Avevano ormai percorso metà strada e tacevano. Dopo un po’ lei domandò: “Tu hai paura?” “Di che cosa?” “Del terrorismo islamico”. “Beh, sì” rispose lui. “È vero che i terroristi possono essere dappertutto?”. “Certo”. “E come facciamo a vivere?” Provò a spiegarle quel che tutti dicevano: che non bisogna dargliela vinta, che si deve condurre una esistenza normale, quella di tutti i giorni, che non dobbiamo rinunciare alla nostra cultura, al nostro sistema di vita, provando a dialogare con i musulmani moderati, eccetera eccetera. La ragazzina ascoltava. Poi mormorò: “Io ho paura. Ho paura anche delle guerre in Ucraina, in Palestina”.

“Ma in famiglia non ti senti un po’più al sicuro?” “Quando sono a casa prendo il mio gatto in grembo – raccontò lei – e allora mi calmo”. “Non hai delle amiche con cui confidarti?” “Sì, ma loro pensano molto a come farsi notare dai ragazzi”. “E tu?”. “Il ragazzo ce l’ho, ma queste cose del terrorismo e delle guerre non le vuole sentire”. “E le notizie come le segui?”. “Guardo la televisione”. “Leggi i giornali, o dei libri?” “Non leggo quasi mai, i libri sono quelli di scuola”. Ahi. “Dovresti leggere, informarti” lui disse. “Poi, con chi discuto quello che ho letto?” rispose la ragazzina.

Erano arrivati. “Ti lascio un po’ lontano da casa” fece lui. “Così i tuoi genitori non si arrabbiano nel vederti con uno sconosciuto. Spero che non ti sgridino e che non litighiate perché sei tornata tardi. Auguri, per tutto quanto”.

Lei lo guardò. Sospirò e disse: “Forse… mi piacerebbe avere un nonno come te”. Poi aprì la portiera, scese e sparì nel buio.

 

©Franco Stefani, 2024

 

Per certi versi /
Nebbia sul fiume

Nebbia sul fiume

Nell’eloquio16
Ceruleo
Dell’aria
I biancospini
Da pandant
Coi mandorli
In abito da sposa
La Packaging Valley
nascosta
Dalle valige
Del sole
Prende fuoco
Il fiume
Fuma
Fuma
Un lungo cappotto
Bianco
Nasconde
Le sue acque
Limacciose
Ai bordi
Affiorano
Le pupille
Delle tue
Mimose
Ogni domenica Periscopio ospita Per certi versi, angolo di poesia che presenta le liriche di Roberto Dall’Olio.
Per leggere tutte le altre poesie dell’autore, clicca [Qui]

Presto di mattina /
Don Alessandro Denti che ci guarda con gli occhi di Pasqua

Presto di mattina. Don Alessandro Denti che ci guarda con gli occhi di Pasqua

Da sette anni ormai, caro don Alessandro ci guardi con gli occhi della Pasqua. Sette è il numero dei giorni della creazione quando Dio si riposò; nel settimo giorno del creato saranno in pienezza in ogni vivente; sette sono i doni dello Spirito che mai cesseranno di spirare vita perché non ci rassegniamo alla morte. Sette nell’Apocalisse le lettere alle sette chiese dell’Asia e a tutte le chiese anche oggi perché siano comunità cristiane in uscita tra la gente:

«Ecco, ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere. Per quanto tu abbia poca forza, hai però custodito la mia parola e non hai rinnegato il mio nome» (Ap 3,8).

Ci guarda con gli occhi di Pasqua

Ora la terra è imporporata di sangue,
una sposa vestita a nozze.
il sole si è levato sulla casa di tutti
da quando egli ha finito di piangere
e Gesù, ancora più santo,
mai finito di morire per noi.
Ora nessuna nascita è più senza musica,
nessuna tomba senza lucerna
da quando egli ha detto:
«Io lo vedrò, io stesso: questi
occhi lo vedranno e non altri;
ultimo si ergerà sulla polvere».
Allora rinverdirà ogni carne umiliata
e gli andremo incontro con rami nuovi:
una selva sola, la terra, di mani.
(D. M. Turoldo, O sensi miei … Rizzoli, Milano, 1997, 249).

Così dopo sette anni ritrovo immutate e vive quelle parole a ridestare ciò che solo resta: amore; parole già seminate nel libro Don Alessandro Denti. Tutto passa, solo l’amore resta e che tornano a rispuntare.

«Signore, tu vedi quanto sono stanco/ di risuscitare, di morire e di vivere./ Prendi tutto, ma di questa rosa rossa/ possa sentire ancora la freschezza» (Anna Achmatova, In memoria di Bulgakov, 1940).

In questi intensi versi vedo di nuovo illuminarsi il volto, la vita, la storia di don Alessandro: il suo pieno abbandono all’amore. Cos’è infatti amore se non ciò che non va perduto: «le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo» (Ct 8,7), come la freschezza di una rosa rossa che resta. Lasciarsi guidare dall’amore, così egli scriveva: «Lasciare a Dio la guida della propria vita. Tutto passa, solo l’amore resta».

Così pure il suo ministero può di nuovo essere compreso nel cono di luce di questo testo poetico di Clemente Rebora: «“Amor dammi l’Amore!”: un mormorio/ Di gente in pena. L’Ostia, in alto, casta/ Attrae i cuori: “Sì, vivere è Cristo”» (Le poesie, Milano 1988, 271).

Spiritualità samaritana

La spiritualità è discendere tra gente in pena e insieme a loro lasciarsi attrarre il cuore dal Risorto dai morti: il Vivente. Uomo spirituale è colui che sprofonda nella realtà umana per trasformarla come lievito nella pasta, questo è stato il morire e il vivere di Cristo e dei suoi: «Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).

Così don Alessandro delinea la figura di una spiritualità viva degna dell’umano: «“Hacerse cargo, cargar con y, encargarse de la realidad” (“Farsi carico della realtà, caricarsi della realtà, patire nella realtà, incaricarsi della realtà”) è la frase di P. Ignacio Ellacuria che forse più rimane impressa.

Victor Codina, in un articolo del 1990, così riprende: “farsi carico della realtà, ossia conoscerla realmente e viverla, soffrirla, per poterla così scoprire intellettualmente; incaricarsi della realtà, cioè assumere il compito di trasformarla, mettendo l’intelligenza a servizio della prassi; caricarsi della realtà accettando la responsabilità etica della funzione intellettuale, e la durezza di questo rapporto” […]

Il primo passo mi sembra sia proprio questo: non stancarsi mai di riflettere, di pensare, compiendo questo viaggio intorno e dentro l’uomo, con l’intenzione di conoscerlo, amarlo, servirlo, senza rinunciare a quella luce che viene dal Vangelo, in un dialogo sincero e appassionato con tutti coloro che si sentono cercatori di vita, rispondendo in particolare a quella chiamata concreta ed esigente, che nasce dove la dignità della persona umana viene negata» (A. Denti, Farsi carico della realtà, in Bollettino di Rinascita Cristiana di Ferrara, Novembre 2009).

Cercatore e trovatore

Don Alessandro “cercatore di vita”, perché la parola di Dio si è incarnata nella vita, essa come il regno di Dio è nascosta come un tesoro nel campo della realtà, in essa ci è dato incontrarli; c’è pure un vangelo nascosto in noi e negli altri, una buona notizia che ci fa cercatori di Dio tra gli uomini: «Scoprire il tesoro nascosto: “Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova …” (Mt 13,44)

Ebbene, questo tesoro è in noi. “Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te … è molto vicino a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore perché tu la metta in pratica (Dt 30, 11-14).

Decidere della propria vita, significa cercare e trovare questo tesoro nascosto, il nostro desiderio profondo. Per ogni piccola decisione noi ci avviciniamo, con l’intuizione di un rabdomante, alla nostra fonte segreta, al meglio che Dio ha messo in noi» (A. Denti, Rinascita, riscopri il tuo tesoro, in Bollettino di Rinascita Cristiana di Ferrara”, Agosto 2011).

Sì, dire spiritualità è come dire “vangelo nascosto”, ora quello di don Alessandro ha certamente la connotazione della spiritualità del “Servo sofferente” descritta da Isaia nei suoi Carmi e portata a compimento dallo stesso Gesù nel suo mistero pasquale di passione, morte e risurrezione.

Così don Alessandro la descrive: «Spiritualità del servo sofferente. Nel discorso pronunciato da Oscar Romero all’Università di Lovanio, prima di essere insignito della laurea honoris causa, troviamo questo passaggio: “la speranza che predichiamo ai poveri, la predichiamo per restituire loro dignità e per incoraggiarli ad essere essi stessi gli autori del loro destino…”.

In altre parole, i poveri, o meglio, gli impoveriti, coloro che vengono privati senza motivo della loro dignità, sono coloro che ci educano e ci dicono cos’è la polis, la città, e come dovrebbe essere la Chiesa e il mondo. Allora, dove si realizzano luoghi in cui si ricomincia a vivere, dove i poveri ricominciano a liberarsi, dove gli uomini sono capaci di sedersi attorno ad una tavola per condividere ciò che sono e ciò che hanno, lì è presente la vita e il Dio della vita.

Nello stile e nelle modalità che il “Servo Sofferente di JHWH” ci lascia, nasce la consapevolezza che le situazioni in cui la dignità della persona è negata, sono situazioni che vanno tolte, attraverso uno “stile di compagnia” e di “consolazione”, che diventano il segno più autentico di un rinnovamento umano e sociale, oggi più che mai necessario… Quale la disponibilità ad una reale condivisione con i più poveri?» (A. Denti, Farsi carico della realtà, ivi).

Beatitudini del pastore

Alla spiritualità del “Servo sofferente del Signore” corrisponde nella dinamica del mistero pasquale di sofferenza e di glorificazione, quella delle Beatitudini. Sono le Beatitudini l’altra faccia del vangelo nascosto che don Alessandro ha manifestato con la sua vita battesimale e sacerdotale.

Così mi piace ora dispiegarla con le parole di Papa Francesco, che ha fatto dono ai vescovi italiani del testo delle Beatitudini riscrivendole in rapporto alla loro vita di pastori:

«Beato il Pastore che fa della povertà e della condivisione il suo stile di vita, perché con la sua testimonianza sta costruendo il regno dei cieli.

Beato il Pastore che non teme di rigare il suo volto con le lacrime, affinché in esse possano specchiarsi i dolori della gente, le fatiche dei presbiteri, trovando nell’abbraccio con chi soffre la consolazione di Dio.

Beato il Pastore che considera il suo ministero un servizio e non un potere, facendo della mitezza la sua forza, dando a tutti diritto di cittadinanza nel proprio cuore, per abitare la terra promessa ai miti.

Beato il Pastore che non si chiude nei palazzi del governo, che non diventa un burocrate attento più alle statistiche che ai volti, alle procedure che alle storie, cercando di lottare al fianco dell’uomo per il sogno di giustizia di Dio perché il Signore, incontrato nel silenzio della preghiera quotidiana, sarà il suo nutrimento.

Beato il Pastore che ha cuore per la miseria del mondo, che non teme di sporcarsi le mani con il fango dell’animo umano per trovarvi l’oro di Dio, che non si scandalizza del peccato e della fragilità altrui perché consapevole della propria miseria, perché lo sguardo del Crocifisso Risorto sarà per lui sigillo di infinito perdono.

Beato il Pastore che allontana la doppiezza del cuore, che evita ogni dinamica ambigua, che sogna il bene anche in mezzo al male, perché sarà capace di gioire del volto di Dio, scovandone il riflesso in ogni pozzanghera della città degli uomini.

Beato il Pastore che opera la pace, che accompagna i cammini di riconciliazione, che semina nel cuore il germe della comunione, che accompagna una società divisa sul sentiero della riconciliazione, che prende per mano ogni uomo e ogni donna di buona volontà per costruire fraternità: Dio lo riconoscerà come suo figlio.

Beato il Pastore che per il Vangelo non teme di andare controcorrente, rendendo la sua faccia “dura” come quella del Cristo diretto a Gerusalemme, senza lasciarsi frenare dalle incomprensioni e dagli ostacoli perché sa che il Regno di Dio avanza nella contraddizione del mondo».

Manda, Signore, ancora profeti,
uomini certi di Dio,
uomini dal cuore in fiamme.
E tu a parlare dai loro roveti
sulle macerie delle nostre parole,
dentro il deserto dei templi:
a dire ai poveri
di sperare ancora.
Che siano appena tua voce,
voce di Dio dentro la folgore,
voce di Dio che schianta la pietra
(D. M. Turoldo, O sensi miei…, 570).

Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica quindicinale di Andrea Zerbini, clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

Crescita senza occupazione, occupazione senza crescita,
profitti senza limiti (per pochi)

Crescita senza occupazione, occupazione senza crescita,

profitti senza limiti (per pochi)

Uno dei pochi aspetti positivi dell’Italia in quest’ultimo anno di forte inflazione è l’aumento degli occupati, cresciuti da gennaio 2023 a gennaio 2024 di 373.000 unità (fonte Istat). Non sappiamo se tale crescita proseguirà anche nel 2024, visto che a gennaio ’24 (e per la prima volta da 18 mesi) gli occupati sono calati di 34.000 unità su quelli di dicembre ‘23. Anche il tasso di occupazione ne ha beneficiato, salendo dal 60,8% di dicembre 2022 al 61,9% di dicembre 2023 (calato poi a 61,8% a gennaio 2024).

Ciò che ha contribuito alla crescita di occupati è stata la straordinaria spesa pubblica dovuta a due fattori:

a) gli investimenti del PNRR europeo (dal 2023 al 2027 per 209 miliardi) donati per 2/3 dall’Europa e per 1/3 fatti a debito dall’Italia;

b) il Superbonus 110%, che ha prodotto un aumento senza precedenti nell’edilizia, settore che ne traina molti altri.

Questa massa enorme di spesa pubblica ha iniziato a dispiegare i suoi effetti dal 2022, come indica la teoria keynesiana. Il Governo attuale, che pure ha ridimensionato i crediti del superbonus (90% nel 2023, 70% 2024), non ha dato limiti al “tiraggio”, che è rimasto automatico per tutti coloro che avevano presentato la “comunicazione inizio lavori” entro febbraio 2023, i quali hanno così goduto del beneficio del 110% per intero, con un enorme aumento dei crediti fiscali per lo Stato (55 miliardi di risorse pubbliche nel 2022 e 76 miliardi nel 2023). Pnrr e Superbonus, insieme ai contributi di Industria 4.0 (30 miliardi in due anni) e al bonus facciate e alle spese per il Covid, hanno generato deficit annui di bilancio imponenti: -9,4% del Pil nel 2020, -8,7% nel 2021, -8,6% nel 2022, -7,2% nel 2023. Negli anni passati il deficit annuo era oscillato da -1,5% del 2019 al -2,6% del 2016. Mai l’Italia aveva registrato negli ultimi 30 anni deficit annui così elevati per un periodo così prolungato. Come mai però è sceso il rapporto debito/Pil al 137,3%? Per via dell’inflazione elevata, che ha immiserito l’80% degli italiani.

L’occupazione ha avuto quindi un aumento a causa di uno “tsunami” di spesa pubblica senza precedenti che ha generato un elevato deficit annuale ma ridotto il debito per via dell’alta inflazione. Il debito creato è stato “buono” o “cattivo”? Quando lo Stato spende, diventa cruciale la qualità dei suoi investimenti. Su quest’ultimo punto ci sono preoccupazioni: non tutti gli investimenti del PNRR sono buoni (troppo in fretta e troppo dall’alto senza il coinvolgimento dei cittadini); inoltre del Superbonus 110% hanno usufruito prevalentemente le famiglie abbienti, con incentivi troppo alti che hanno fatto esplodere i prezzi in edilizia per tutti.

Stiamo vivendo anni straordinari, con un aumento gigante della spesa pubblica che non sarà possibile mantenere a questi livelli e che spiega come mai, a fronte di un aumento modesto del PIL (+0,9% nel 2023 e così pare anche nel 2024) e di una produttività che non cresce, ci sia stata una crescita così forte degli occupati. Analizzando però nei dettagli i numeri si scopre il “diavolo” che si aggira per l’Italia e si nasconde nei dettagli. Un primo aspetto “diabolico” riguarda il fatto che la crescita del tasso di occupazione è drogata dalla diminuzione della popolazione in età di lavoro 15-64 anni (che sta al denominatore degli occupati), la quale si va riducendo anno dopo anno e contribuisce così ad aumentare statisticamente ogni anno il Tasso di Occupazione di 0,3/0,4 punti ogni anno.

Un secondo fattore  -ancor più significativo- è che per Istat si è “occupati” anche se si lavora solo un’ora alla settimana (e fin qui è sempre stato così), ma dall’anno scorso (secondo le nuove regole di Eurostat e Istat) è occupato anche chi è in Cassa Integrazione per meno di 3 mesi all’anno, cioè la grande maggioranza dei cassaintegrati che stanno crescendo nel 2024 in modo preoccupante. E questo cambio di parametro aumenta artificiosamente gli occupati dal 2022.

Un terzo aspetto riguarda la cosiddetta “sottoccupazione”, cioè l’aumento di part-time che cresce ogni anno e che ha raggiunto nel 2023 4,3 milioni (18% del totale occupati), di cui il 60% sono part-time involontari (cioè farebbero volentieri il tempo pieno). Crescono anche i lavoratori stagionali e precari: quelli a termine sono cresciuti dal 2020 al 2023 da 2,5 a 3,6 milioni.

Questi cambiamenti da un lato aumentano il numero delle persone occupate, dall’altro fanno crescere molto meno le Unità di Lavoro (ULA) e le ore lavorate retribuite che sono ancora molto inferiori a quelle del 2008 – a differenza degli occupati che hanno già superato i livelli del 2008. Le ULA sono calcolate (sempre dall’Istat) in base ai dati della Contabilità Nazionale e considerano le Unità a tempo pieno, per cui due occupati a part-time contano come una sola Unità di Lavoro. E’ quindi evidente che crescono meno degli occupati, se crescono i part-time.

In sostanza ciò che sta avvenendo con questo modello economico è che cresce (per ora, poi vedremo quando finiranno gli investimenti del Pnrr e del Superbonus) il numero delle persone con un lavoro, anche se molti hanno un lavoro con meno ore pagate, per cui il monte ore lavorate annuo in Italia non cresce e il rapporto tra lavoro (salari pagati e occupati) e capitale si sposta, anno dopo anno, sempre più a favore del capitale (cioè dei profitti); mentre sappiamo tutti che se i profitti crescono ciò è per merito non solo del singolo manager e imprenditore che “guida”, ma di tutti coloro (i collaboratori dipendenti) che concorrono a quel profitto. Fa quindi una certa impressione sapere che il CEO di Stellantis guadagna 516 volte il suo operaio. In conclusione la crescita dell’occupazione c’è, ma riguarda più il numero – brutalmente inteso, come descritto sopra – di occupati che il monte ore lavorate complessivo e pro-capite, che è ancora sotto del 7,4% rispetto ai tempi migliori (il 2007).

I profitti invece volano e ciò spiega come mai, di fronte ad una situazione di generale impoverimento, siano cresciuti anche nel 2023 i risparmi delle famiglie italiane: di ben 77 miliardi e di ben 552 mld dal 2019 ad oggi. Ma non sono tutte le famiglie italiane ad averne beneficiato: quel 3% di ricchi che da soli posseggono il 50% dei risparmi degli italiani o se si preferisce quel 20% che ne possiede il 79%. Sono coloro che guidano l’economia, i media e che ci narrano che le cose non vanno poi tanto male. E per loro è vero: le cose vanno molto bene da alcuni anni e ciò spiega perché ci sia una enorme differenza tra coloro che lavorano e faticano nella società ma sono sempre più poveri e le élites, le quali tra l’altro si sono specializzate negli ultimi 20 anni sull’ evadere/eludere le imposte. Lo documenta (per l’ennesima volta) un rapporto di 4 università (Siviglia, Ionnina, Zurigo, BCE) che hanno analizzato i bilanci di 2,28 milioni di imprese di 100 paesi dal 2009 al 2020. Si scopre che queste imprese hanno eluso 13.500 miliardi di profitti (36% del totale, che sale al 53% per le 20 maggiori multinazionali, pari a 1.338 miliardi di dollari; parliamo dei big della tecnologia e del petrolio come Apple, Alphabet-Google, Microsoft, At &T, Verizon, Walmart, Saudi Aramco, Exxon Mobil, Chevron,…), sfruttando la globalizzazione, cioè la possibilità di aprire filiali in paesi a bassa tassazione anche all’interno dell’Europa stessa (Irlanda, Ungheria, Rep. Ceca) senza bisogno di andare nei paradisi fiscali (Caraibi, Singapore, Emirati Arabi Uniti, isole del Pacifico e africane) e scambiandosi fatture in modo da ridurre i profitti. L’Italia detiene un primato in queste operazioni.

Un’ultima considerazione sugli occupati analizzati per classe di età. Negli ultimi 20 anni, a fronte di una crescita enorme degli occupati over 50 (da 4,8 a 9,5 milioni) c’é un calo di tutte le altre classi di età, specie dei giovani dai 15 ai 34 anni (da 7,7 milioni a 5,5), a conferma delle difficoltà nell’inserimento dei giovani (che pure sono pochissimi) al lavoro. Così va il mondo nel secolo XXI.

Occupati nel 2004, 2014 e 2023 per classe di età e relativi Tassi di Occupazione

Per leggere gli altri articoli e interventi di Andrea Gandini, clicca sul nome dell’autore.

Storie in pellicola / “Ape regina”, una storia per Emergency

A Ferrara “Ape regina”, un cortometraggio diretto da Nicola Sorcinelli che parla di accoglienza e di regine.

Ancora cortometraggi europei che saranno presentati allo European Projects Festival di Ferrara nell’ambito della rassegna selezionati dal Ferrara Film Corto Festival (FFCF), dal 4 al 6 aprile. Oggi presentiamo “Ape regina”, diretto da Nicola Sorcinelli e scritto da Alessandro Padovani, che sarà proiettato sabato 6 aprile alle 18h30.

Il corto è nato dalla prima edizione del concorso per sceneggiature di cortometraggi “Una storia per EMERGENCY”, nel 2019, rivolto a ragazzi tra i 16 e i 25 anni per promuovere tra i più giovani una riflessione sulle conseguenze sociali e sanitarie della guerra, sul diritto universale alla cura, sull’accoglienza e sulla tutela dei diritti umani.

Vincitore di quella prima edizione, il corto, di tredici minuti, è stato presentato al Ferrara Film Corto Festival nell’edizione del 2020 e viene oggi riproposto …

“Ape regina” racconta di Elsa (Maria Grazia Mandruzzato) che ha settant’anni e varie arnie vuote. Capelli grigi avvolti in una lunga treccia, Elsa vive isolata, libera, la natura per sola compagna, insieme a pasti e giacigli frugali, oltre a mazzi di margherite. Le api se ne sono andate così come suo marito, a cui non perdona di essere morto prima di lei, troppo prima, troppo presto. Solo una nuova ape regina, se accettata, potrebbe far ritornare le api. “Una femmina che comanda tutti”, dirà nel film, “senza di lei non ci sono né api né miele”. Una potente (e unica) lezione dal mondo naturale.

Una mattina come tante trova nascosto nella rimessa Amin (Kallil Kone), un ragazzo spaventato scappato da un centro di accoglienza per immigrati. La polizia lo sta cercando, lui vuole raggiungere la lontana Finlandia. Là fa freddo. Con la sua mappa sgualcita le mostra dove è diretto. Tanta sarà la strada, lungo il cammino verso la libertà.

Elsa, che sotto la corazza difensiva, burbera solo di facciata, ha un grande cuore, decide di dargli ospitalità in cambio di un aiuto con le sue arnie. D’altronde hanno anche una cosa in comune, entrambi non parlano l’italiano… Braccia aperte, dunque, fino a quando, all’aria fresca mattutina, dovrà lasciare andare anche lui. E fino a quando…

Un messaggio di accoglienza e di speranza. Una luce in questo mondo (o)scuro.

Nicola Sorcinelli lavora come regista e sceneggiatore. Con i suoi lavori ha vinto vari premi e partecipato a festival di tutto il mondo. Il suo cortometraggio “Moby Dick” vince il Nastro d’Argento nel 2017, poi presentato alla Mostra del Cinema di Venezia. Dirige la miniserie “Sento ancora la vertigine” per Amazon Prime e la serie storica “Briganti” uscita su Netflix nel 2023. Sito web

Parole a Capo /
Carla Sautto Malfatto: “Ricordo” e altre poesie

“Se io avessi una botteguccia | fatta di una sola stanza | vorrei mettermi a vendere | sai cosa? La speranza. | | “Speranza a buon mercato!” | Per un soldo ne darei | ad un solo cliente | quanto basta per sei. | | E alla povera gente | che non ha da campare | darei tutta la mia speranza | senza fargliela pagare.
(Gianni Rodari)

 

SEMPLICEMENTE VIVA

Semplicemente viva
all’incrocio imperfetto delle mie possibilità
sotto un ponte di macerie puntellate
mentre declina il raggio sulla mia scatola di cartone
e cerco la stella del giorno dopo, ostinata.
Ai lucci famelici mi sottraggo preda
ansiosa e diffidente nascondendo le mani
arruffandomi dentro
chiedendomi chi sono
la mente intossicata
da troppe pietre di paragone
che brillano sul fondo ormai di melma ferma.
Oh, potessi darmi un nome
che sia il mio nome per sempre
e non sfumi al tramonto, all’alba
ma sia fermo nel tuo firmamento…
Mi accontento
di quest’anima inquieta
che troppo si strappa.

da “Troppe nebbie” (poesie dal 2001 al 2012), Edizioni Il Saggio, 2019

 

RICORDO

Che la mia mano non resti vuota
quando si alza il braccio a cercarti
fuori dalle coltri calde
di un inverno che dovrebbe passare
il sangue a piombo a sbatterla giù
nell’irraggiungibile distanza
riagganciata al tuo ricordo.
Che sia poi
l’immagine sbiadita di tanti attimi
nella luce soffusa di un corridoio di tempo
poco importa,
quando questa è anche nel suono
e mi percuote in quel lampo
in cui ti ho sentito viva
come una brace inestinguibile,
solo da rincalzare
e che riscalda quella mia mano
persa sul cuscino.

da “Troppe nebbie” (poesie dal 2001 al 2012), Edizioni Il Saggio, 2019

 

IN CASO DI COSCIENZA

L’unica cosa è fermarci
in una falce di tempo qualunque,
renderci conto di essere
un vestito antico che galleggia
nell’ipotesi di un futuro che lo logora di più,
due guanti da sposa gettati per sbaglio
incapaci di riconoscerne il valore
anche se vissuti insieme sulla pelle,
svegliarci di notte con il rimorso di un tesoro perduto
e metterci in prima fila a guardarci
senza la pietà che non abbiamo accordato ad altri.
Ci scopriremo forse
più lontani dall’immagine riflessa
più simili all’oltraggio che detestiamo nel nemico
senza scudi di pensieri che possano assolverci.
Solo un oscuro insaziabile senso di sconfitta
come un mare di fango alla gola
gli occhi in alto, verso la bocca del pozzo
per scorgere il riverbero di un’altra possibilità.

(poesia premiata)
da “Troppe nebbie” (poesie dal 2001 al 2012), Edizioni Il Saggio, 2019

 

VIAGGI – ALTALENE (2023)

Si conclude con una trave sghemba
quest’ultimo passaggio in terra straniera.
È ora di ritornare,
già lappo l’odore del mio cuscino
e quel concavo ormai piatto mi attende
per imprimersi e affondare di nuovo.
Volto la schiena a questa rotta conchiusa
con la sensazione di lasciarmi un poco
e ritornare a calcare la mia terra, più leggera
con bagagli sempre più vuoti.
Eppure, quanto peso di scorie trascino ancora…
È tutto un prendere o seminare,
non ne ho la percezione — se non di sobbarcarmi
la soma di un’ingiustizia mai risolta —
come una pioggia continua che mi solca
mi dice di andare, di restare,
appesantisce gli abiti miei e sempre meno miei,
da togliere, da trattenere — altalena —
come una piuma che vola e poi strazia al suolo
non fa girare il mondo all’incontrario
e in fondo non serve, se la si pesa,
eppure fa conto, dove è mancata.

(poesia premiata)

 

FIOCCO AZZURRO (2023)

Ci si lascia spettinare troppo spesso
da un vento alle spalle.
Rassicura un poco quel cuculo lontano
che grida un onomatopeico strazio
e il gorgheggio in assolo del fringuello.
Lassù, nuvole sbavano come onde
e non sai mai cosa nasconde l’abisso
oltre il nostro respiro
racchiuso sotto questa cupola.
Oggi c’è un fiocco azzurro alla porta
del cuore, da chi lo cercò interrogandosi
senza risposta. Ora darebbe quel cuore
per lui, ora non ricorda il dubbio.
Le mani troppo piccole, a pugnetto,
imprigionano tutte le certezze,
anche quelle di un tempo che fugge,
quasi fosse chiaro il disegno immaginifico
che talvolta lappa il miracolo.

(poesia premiata)
Carla Sautto Malfatto – tutti i diritti riservati

 

Carla Sautto Malfatto (Ferrara, 1954) ha conseguito quasi duecento premi per la poesia, la narrativa e la pittura in Concorsi Nazionali e Internazionali, tra cui, oltre a premi di podio, diversi riconoscimenti come la Targa d’Argento della Presidenza della Camera dei Deputati, la Medaglia del Senato, la Medaglia del Pontefice Francesco I, il Premio Consiglio dei Ministri, il Premio Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il Premio Unesco, il Premio Provincia di Salerno, il Premio Città di Napoli, Premi alla Cultura, della Critica e della Giuria; il Premio Terme di Salsomaggiore 2002 per la pittura. Ha vinto pubblicazioni gratuite per la narrativa e la poesia; è membro di Giuria in Concorsi Letterari e lo è stata in Concorsi Artistici. Collabora con Associazioni e riviste letterarie; ha recensito libri e opere singole; compare su diverse Antologie. Ha
esposto in mostre personali e collettive in varie città d’Italia e alcune sue opere artistiche fanno parte di collezioni pubbliche e private. Ha svolto opera di volontariato fornendo materiale e insegnamento artistico in scuole materne e primarie pubbliche e private, in pediatria oncologica a Bologna, in corsi per disabili psichici.
Ha pubblicato “Farfalle e Scorpioni”, racconti (Este Edition, 2015) e “Troppe nebbie”, poesie (Edizioni Il Saggio, 2019), contenenti diverse opere premiate, e entrambi pluripremiati. Nella rubrica “Parole a Capo”, sono state pubblicate altre sue liriche l’8 luglio 2020, il 17 dicembre 2020 e il 19 agosto 2021.
www.carlasautto.it

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio. Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.

Vite di carta /
“Abel”. Un western metafisico, l’ultimo libro di Alessandro Baricco

Vite di carta. Abel. Un western metafisico, l’ultimo libro di Alessandro Baricco.

Abel diventa una leggenda, nell’Ovest, quando da sceriffo mette fine a una rapina nella sua città sparando contemporaneamente con due pistole a due bersagli diversi ed entra così nel novero di quei pochi pistoleri che sanno fare un colpo così, chiamato ‘il Mistico’.

Ha ventisette anni ed è innamorato di una donna che ha addosso un mistero, oltre che un nome speciale: Hallelujah. Ogni tanto parte senza dire verso dove né quando tornerà, ma poi torna.

Abel è stato ed è molto altro: il lettore riceve ad ogni capitolo un tassello del suo racconto ed è spinto a combinarlo con gli altri secondo l’ordine cronologico, a ricostruire le situazioni del prima e quelle del dopo il fatto del Mistico.

Abel infatti scompiglia i tasselli, sembra tirarli fuori ogni volta in virtù delle coordinate della speculazione sulla vita, che è in atto dentro di lui. Non funziona tanto il filtro della memoria, come in tanta narrativa che conosciamo, capolavori inclusi come La coscienza di Zeno, quanto l’empatia dell’io col mondo pensato.

Ha vissuto con la famiglia del duro lavoro dei campi, in una fattoria solitaria ai confini con il mondo “Intatto”, fino a quando una serie di partenze ha sfilacciato il cordone famigliare: il padre e un fratello sono partiti verso la morte, la madre invece li ha lasciati, loro cinque fratelli, per andare a vivere altrove. Un giorno ha preso quattro cavalli dalla fattoria ed è partita, senza dire una parola.

Un destino diverso è toccato a ognuno dei fratelli maschi e alla sorella Lilith. A lui, Abel, andato via come loro e diventato pistolero, tocca in sorte di incontrare il Maestro e di venire iniziato da lui alla filosofia. Gli tocca incontrare la bruja e la sua profezia: “Sarà molto doloroso, ma un giorno, Abel, te lo prometto, nascerai”.

La fase ultima della vita la trascorre spostandosi attraverso “le lande arroventate” del Sud, ha lasciato le pistole dopo che a Montague ha preso un colpo in pieno petto ed è guarito nel deserto di Ogàla, un riparo sacro ai Pajute “dove lo Spirito del mondo sale in superficie più facilmente“. Ha anche salvato la madre dalla impiccagione per furto di cavalli, laggiù a Yuba, e l’ha fatto insieme ai suoi fratelli.

Ora però la mission del suo movimento è “colare verso Sud” , viaggiando solo in apparenza nello spazio. In realtà la bruja aveva ragione e Abel sta risalendo nel tempo.

Quando arriva sulla estrema soglia, sente che questo, così a lungo atteso, è un momento di dolcezza. “È tempo di essere leggeri, adesso, e puliti”. Chiede che Hallelujah stia accanto a lui: dopo potrà andarsene, come ha sempre fatto. Dovesse incontrare la bruja, chiede di dirle che Abel è morto perché è riuscito a nascere.

Ora non so se dare spazio al ricordo della mia infanzia, che mi lega in modo particolare al genere western, sia hollywoodiano che all’italiana, o se puntare sull’autore, quel Baricco ritornato alla scrittura che, dopo una lunga degenza in ospedale, ha visto uscire il libro e si è sposato: tutto negli ultimi mesi del 2023.

Parto dall’autore, perché è importante che esprima una delle considerazioni più forti che mi ha suscitato la lettura di Abel, e cioè che il racconto cerca la persona prima che il lettore. La persona nella sostanza umana di cui è fatta, a cui arriva la fascinazione di una visione del vivere prima che di una storia.

Tutto un carico di parole tese che sanno di filosofia, di panismo e di animismo, di sofferenza devoluta a una saggezza ancestrale, quella di Abel. Cosa gli ha detto Joshua, il fratello pazzo? Cerco e ritrovo tra le pagine il segreto rivelatogli molti anni prima e poi germogliato in lui come un seme fertile: “Disse che dovevo stare molto attento perché sebbene la vita scorresse apparentemente come un fiume, dai monti al mare, nello stesso tempo correva però anche in senso contrario, risalendo verso le sorgenti”.

Dal Maestro, da Joshua e dall’esercizio del proprio pensiero Abel eredita la dimensione metafisica che ha dentro. Sempre più percorre i tempi e gli spazi, lasciandosi dietro la zavorra delle cose concrete che ha posseduto e facendosi parte del tutto. “Siamo tutti orme gli uni degli altri”, gli ha detto molto tempo prima la bruja. E non possiamo avere paura, “poiché tutto è già accaduto e nulla finirà mai”.

Solo a questo punto riprendo il ricordo di me bambina davanti al grande schermo nel cinema del mio paese.  Sedendo su poltrone scomode, alla destra di mio padre, ho visto talmente tanti film western da averne introiettata la grammatica. Nella conquista di nuove terre verso ovest quanti coloni ho seguito, quanti attacchi indiani e quanti amori sono esplosi nel procedere delle carovane. Quante città già fondate, con il bravo sceriffo a difendere la legge contro gli assalti alla banca da parte dei banditi.

Dalle solitudini delle terre ancora non abitate al chiasso nei saloon, quanti buoni hanno sfidato i cattivi e li hanno sconfitti, facendo trionfare il mito americano del bianco costruttore di un mondo che si candidava a diventare il migliore dei mondi possibili.

Che sorpresa incontrare poi, alle soglie della adolescenza, i film di Sergio Leone. Spariti gli scontri con gli indiani, veniva meno la carica epica dei film americani, in cui una collettività più evoluta si imponeva su quella selvaggia e rimarcava i propri valori a suon di pistoleri e brava gente che dissodava la nuova terra. Al suo posto ho sentito la zaffata di ironia portata dal disincanto dei suoi antieroi trasandati, eccentrici, con l’obiettivo di fare denaro. Meno buoni e più realistici.

Chissà perché Baricco ha ambientato nell’Ovest il nuovo racconto, tra gente come Abel e la sua famiglia. Forse anche questa scelta, lo spazio narrativo intendo, ha annodato il patto con chi legge, un dialogo fatto con parole rarefatte e con una colonna sonora piena di silenzi. Boicottando ogni facile identificazione con il mondo fenomenico che è dentro il libro.

Nota bibliografica:

  • Alessandro Baricco, Abel, Feltrinelli, 2023

Cover: Clint Eastwood in Il buono, il brutto, il cattivo (1966) regia di Sergio Leone

Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

Parole e figure / Polline

L’amore va curato. È importante donare non per ricevere ma solo per l’atto stesso di donare, senza aspettarsi nulla in cambio. Un messaggio per tutti.

“Dovresti amare solo per amore, né per dare qualcosa né per esserne ricambiata. Dovresti godere di ciò che hai, non di ciò che ottieni”

Un messaggio universale, quello di “Polline. Una storia d’amore”, di Davide Calì e Monica Barengo, edito da Kite. Essere felici di ciò che si ha, non di quanto si ottiene.

Ecco allora che un bel giorno, una donna che non amava le piante, nel suo giardino scopre un fiore bianco che ignorava di avere e inizia a prendersene cura. Immediatamente quel fiore diventa il suo preferito. Si alza presto ogni mattina per ammirarlo.

Vive l’attesa della prossima fioritura della pianta, si nutre del suo profumo e si specchia nel candore dei petali. Ne smuove il terreno, se ne prende assidua cura. Quei fiori bianchi che spuntano ogni giorno diventano il suo pensiero costante. La sera si addormenta pensando a loro, al nuovo bocciolo che il giorno successivo avrebbe trovato. Solo per lei. Il profumo del polline diventa il profumo dei suoi risvegli.

Finché la pianta a poco a poco si spegne. Nulla, giorno dopo giorno. Ciò che spunta si secca. Allora la donna non sa darsi pace, cerca la ragione di questo tradimento nei suoi stessi gesti: troppa acqua? Forse poca? Troppe attenzioni? Troppo poche? Difficile non farsi venir in mente una storia d’amore della vita quotidiana. Quante volte è successo che un amore si spenga e che ci si sia fatti le stesse domande…

Un corvo un po’ saggio e un po’ crudele la ammonisce, invitandola a non gioire di ciò che ottiene, ma di ciò che ha. Mai dare qualcosa solo per essere ricambiati. L’amore è puro in sé, si dona, si ama solo per amore. Pensieri che tormentano.

Passano le stagioni e l’estate successiva spunta un nuovo fiore, non nel giardino della donna, ma in quello del suo vicino. Sarà il polline a pervadere l’aria e l’anima della donna, riappacificandola infine con l’impalpabile fuggevolezza del dono.

Un albo illustrato dalle atmosfere tenui e sospese, una storia sulla natura dell’amore e sulla sua incredibile, pura e meravigliosa magia. Senza cercare risposte.

Davide Calì, M. Barengo, Polline. Una storia d’amore, Kite, Padova, 2013, 32 p.

Monica Barengo nasce a Torino nel 1990 e fin da bambina s’interessa al mondo delle immagini, al disegno e alla lettura di libri. Dopo il diploma vince la borsa di studio per frequentare il corso triennale di illustrazione allo Ied di Torino. Dal 2013 lavora come illustratrice per albi illustrati per bambini e non solo pubblicando con diverse case editrici, principalmente in Italia, Francia e Taiwan. È stata selezionata ad importanti concorsi internazionali, come la Children’s book fair di Bologna nel 2012 e il Golden Pinwheel Young Illustrators di Shanghai nel 2018 e nel 2019.
Sito web

Davide Calì è nato in Svizzera. È fumettista, illustratore e autore per bambini. I suoi libri escono in Italia per Kite Edizioni, Zoolibri, Orecchio Acerbo, Arca; in Francia per Sarbacane, Actes Sud e Thierry Magnier; negli Stati Uniti con Chronicle; in Portogallo per Planeta Tangerina. Al momento, ha all’attivo oltre cento pubblicazioni tradotte in numerose lingue e diffuse in più di 30 paesi. Ha ricevuto premi in Francia, Belgio, Germania, Svizzera, Spagna e Stati Uniti. Pagina Facebook

Libri per bambini, per crescere e per restare bambini, anche da adulti.
Rubrica a cura di Simonetta Sandri in collaborazione con la libreria Testaperaria di Ferrara

 

Bassani e Ferrara, manifestazioni e convegni

Bassani e Ferrara manifestazioni e convegni

Giorgio Bassani oggi compirebbe 108 anni, in quanto nato il 4 marzo del 1916, e le celebrazioni ferraresi sono state numerose e importanti.

Va subito riferita la decisione del MEIS di renderlo tra i protagonisti della prossima mostra al Museo che aprirà il 29 marzo: Ebrei nel Novecento italiano. Sappiamo da tempo il rapporto complesso che ha coinvolto il grande scrittore con la comunità ebraica, di cui tanto si è discusso scritto e parlato compreso chi stende queste note che ha avuto l’onore e la possibilità di parlarne personalmente con Giorgio Bassani, specie negli anni in cui a Firenze teneva affascinanti lezioni alla Facoltà di lettere.

È rimasto proverbiale l’espressione con cui si rivolgeva agli ebrei, “loro”, un pronome che molto nasconde sotto la brevità sconcertante dell’appellativo. Non dobbiamo dimenticare che proprio nella sede del MEIS ferrarese fu incarcerato Bassani. Ma su questo molto si è scritto: rimane il luogo simbolico di quel rapporto.

È stato presentato nelle sale del Ridotto del Teatro comunale Abbado di Ferrara un interessantissimo libretto pubblicato in italiano e in inglese Ferrara dentro: attraversare la città con Giorgio Bassani.
Promosso dal Comune di Ferrara e curato da Barbara Pizzo, offre un modo unico per esplorare la città attraverso gli occhi e la poetica dello scrittore.

La guida, realizzata da Barbara Pizzo con la collaborazione di Elisabetta Pietrobon e Massimiliano Stevanin intende scoprire la città con gli scritti e la memoria dello scrittore ferrarese.

La presentazione, introdotta dall’Assessore alla Cultura Marco Gulinelli, è stata arricchita dalle testimonianze di Portia Prebys, compagna per più di trent’anni dello scrittore, in streaming da Parigi da Paola Bassani, figlia dello scrittore, da Gianni Venturi, co-curatore del Centro bassaniano, e da Andrea Malacarne di Italia Nostra.

Proprio quest’ultimo è stato relatore in un grande Convegno che si è svolto a Palazzo Tassoni, sede della Facoltà di Architettura: PROGETTO MARCOVALDO – Le nature in città.

Nel suo intervento, dal titolo Le Mura e il Parco Urbano: l’Addizione Verde di Paolo Ravenna e di Giorgio Bassani, Malacarne ripercorre i progetti che hanno avuto come impulso determinante l’opera svolta in questo campo da Paolo Ravenna e da Giorgio Bassani nel realizzare una domanda fondamentale: “Potrebbe Ferrara diventare una città dentro un parco? Essere, nel suo complesso, una città parco?”

A questo il relatore risponde positivamente, attraverso l’analisi della conformazione del tessuto della città storica e soprattutto dalla presenza in città di situazioni paesaggistiche eccezionali, come due cimiteri dentro le mura, quello della certosa monumentale e quello ebraico.

L’analisi della situazione porta Malacarne a credere che Ferrara sia “eccezionale sotto l’aspetto dell’equilibrio tra spazi costruiti e spazi inedificati”, un esempio eccezionale della miglior cultura urbanistica italiana. A questa scoperta dell’eccezionalità di Ferrara contribuiscono nel tempo i contributi di Paolo Ravenna e Giorgio Bassani a capo di organismi importanti.

L’impegno di Bassani si è poi configurato nella dedicazione allo scrittore del parco Bassani, socio fondatore di Italia nostra nel 1955, che operò autorevolmente per il restauro delle mura, parco soggetto a polemiche dopo che ospitò un mega concerto che ne distrusse la copertura ambientale.

Malacarne obietta che ciò è avvenuto in contrasto “con le indicazioni generali e specifiche del nuovo Piano Urbanistico Generale”. Da qui la necessità di creare un organismo permanente di alto profilo che possa controllare l’equilibrio urbanistico della città, come il parco delle mura e il parco urbano: “una sorta di Opera delle Mura”.

Un’altra importante impresa per celebrare l’anniversario bassaniano sono state le giornate dedicate dal Liceo Ariosto svolte nelle giornate del 4 e del 6 marzo affidata agli insegnanti del Liceo e in collaborazione con la Fondazione Bassani. Di grande interesse l’articolo Bassani come Ulisse. Lo scrittore alla ricerca di se stesso. Viaggi americani svelati dal prof. Cappozzo apparso su La Nuova Ferrara dell’8 marzo 2024.

Infine, al Centro studi bassaniani si è svolta l’8 marzo un ciclo di letture sui personaggi femminili nell’opera del grande scrittore affidate al Teatro Off in cui si sono sentite anche molte voci della cultura  ferrarese, quale quella di Anna Quarzi direttrice dell’Isco di Ferrara .

Per leggere gli articoli di Gianni Venturi su Periscopio clicca sul nome dell’autore

Storie in pellicola / “La Petite Folie”, quando gli artisti sono resistenza

Parigi occupata, 1943. Compagni di vita bohémienne clandestina si (ri)uniscono per sfidare l’oppressione del nuovo ordine mondiale. “La Petite Folie”, un cortometraggio di Massimo Zannoni mostra le sfaccettature della resistenza

Continuiamo con i cortometraggi europei che saranno presentati allo European Projects Festival di Ferrara nell’ambito della rassegna selezionati dal Ferrara Film Corto Festival (FFCF), dal 4 al 6 aprile. Oggi è il turno di “La Petite Folie”, di Massimo Zannoni, che verrà proiettato sabato 6 aprile alle 18h30 alla sala Ex Refettorio del Chiostro di San Paolo. Il corto, premio speciale della giuria giovani al FFCF 2022, è una vera e propria “piccola follia”, un dramma in bianco e nero, in costume, della durata di dodici minuti, diretto da Massimo Zannoni, suo primo film da regista dopo lavori in produzione e studi in Storia dell’Arte in Italia e a Londra.

Un vero atto di resistenza agli oppressori, una ribellione di artisti nella Parigi del 1943 occupata dai nazisti: la resistenza, qui, significa celebrare gli stessi stili di vita che i nazisti hanno condannato. Le diverse e mille sfumature della sfida e dell’eroismo.

Una donna elegante ed affascinante, Sandrine (Tarryn Meaker), conduce il pubblico in un club underground della Ville Lumière. L’atmosfera è subito intrigante, l’arena setting perfetta. I colori che mancano ci portano subito al passato, mentre nel club l’allegria, che può apparire a tratti forzata, è mista a crescente preoccupazione repressa. Da un momento all’altro potrebbe cambiare qualcosa, se non tutto. La suspense regna fra le note, le ballerine, l’alcol e il fumo. La paura aleggia nell’aria, la gente va avanti, comunque.

La scena è divisa tra Sandrine e Edmond (Adrian Klein), un uomo a sé, allegro, amareggiato e provocatorio. Sullo sfondo la festa prende ritmo e ogni tanto s’incrociano altri personaggi, seguiti da un fotografo e dalla sua arcaica macchina fotografica.

L’atmosfera ricorda quella degli Anni Venti, c’è un affascinante barista, Vittorio (Karsten Clemens), che assomiglia a Clarke Gable. Una stanza interna, piena di gente e claustrofobica, Sandrine inizia a cantare: le piccole dimensioni della stanza diventano simbolo di potere soffocato, pronto a esplodere. I nazisti arrivano, trovando un disegno beffardo di Hitler a forma di fallo, pronto ad accoglierli. Welcome!

Flash della macchina fotografica, cala il sipario, e il pubblico …

 

Lo stesso giorno /
11 marzo: una Giornata per Onorare le Vittime del Terrorismo

11 marzo: Giornata di riflessione e commemorazione per onorare le vittime del terrorismo.

È un momento per ricordare coloro che hanno perso la vita in attacchi terroristici e per sostenere coloro che sono stati colpiti direttamente o indirettamente dalla violenza terroristica.

L’11 marzo non è un giorno scelto a caso.

11 marzo 2004.

Vent’anni fa.

Un giorno che ha segnato profondamente la Spagna e il mondo intero. Gli attentati terroristici perpetrati a Madrid hanno provocato la perdita di centinaia di vite innocenti e hanno lasciato un’impronta indelebile sulla comunità globale.

191 morti e oltre 2.000 feriti.  

Le autorità spagnole inizialmente avevano attribuito gli attentati all’organizzazione terroristica basca ETA, ma in seguito emersero prove che indicavano il coinvolgimento di estremisti islamici. Depistaggi e polemiche, come nella migliore tradizione europea, portarono in seguito il governo spagnolo, sotto la guida del primo ministro José Luis Rodríguez Zapatero, al ritiro delle truppe spagnole dall’Iraq, suscitando dibattiti politici sull’opportunità di questa decisione in relazione agli attentati.

Questo 11 marzo è quindi da una parte il ricordo in onore delle vittime spagnole e di tutta Europa e dall’altra, purtroppo, la vittoria del terrorismo sul fronte “Guerra in Iraq”, almeno nei confronti della Spagna.

Dire che il terrorismo ha vinto quella battaglia è evidente: le truppe di Juan Carlos I, in supporto all’invasione americana si ritirano per le uccisioni a Madrid. Non è Risiko, ci sono delle vite umane in gioco e anche delle opzioni politiche da gestire. La decisione non fu sicuramente facile .

Ma che accordi ci furono? Ovviamente non sappiamo esattamente come andarono le cose.
Non ci fu certo la garanzia che la Spagna sarebbe potuta diventare una sorta di “stato neutrale”. Infatti negli anni furono scoperte numerose cellule terroristiche che progettavano vari attentati anche alla famosa Sagrade Familia.

Dopo vent’anni possiamo realmente dire che le cose sono cambiate? Che abbiamo una visione diversa su come affrontare certe sfide e che la guerra non può essere una di queste?
Io la vedo così: 11 marzo 2004 – 11 marzo 2024, ”il re è morto, viva il re”.

Nella foto di copertina: l’arrivo a Ciampino della salma di Nicola Calipari, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi rende omaggio (©Mauro Scrobogna / Lapresse)

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Per certi versi /
Cigno reale

Cigno reale

Hai paura
Del tuo
Ultimo canto
Temi come
Le folaghe
Ti venga
Sottratto
Il cielo
Temi che tornino
I cacciatori
Di frodo
Per il tuo collo
Più elegante
Del mondo
Non temere
C’è una rondine
Senza nido
Che trasporta
Nel suo cappotto
Blu
Le briciole del tempo


Ogni domenica Periscopio
ospita Per certi versi, angolo di poesia che presenta le liriche di Roberto Dall’Olio.
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PIÙ LENTO, PIÙ PROFONDO, PIÙ DOLCE
Piero Stefani, “L’ecologia integrale di Papa Francesco”, 15 marzo ore 17

RIFLESSIONI SULL’AMBIENTE. “PIÙ LENTO, PIÙ PROFONDO, PIÙ DOLCE”
Responsabile del ciclo: Nicola Alessandrini

Il ciclo organizzato dall’Istituto Gramsci di Ferrara prevede 10 appuntamenti nel corso del 2024. 10 conferenze di docenti e studiosi per approcciare il tema dell’ambiente in modo non convenzionale. Prossimo appuntamento:  Piero Stefani, “L’ecologia integrale di Papa Francesco”, Venerdì 15 marzo alle ore 17,00 presso la Sala Agnelli della Biblioteca Ariostea 

Saranno dieci “Riflessioni sull’ambiente” gli appuntamenti del consueto ciclo annuale dell’Istituto Gramsci di Ferrara presso la Biblioteca Ariostea. Conferenze dall’ampio respiro culturale e dal profilo talvolta teoretico che nascono da un’emergenza contingente. “Mentre ragionavamo sulle proposte per il 2024 – spiega Nicola Alessandrini (direttore dell’Istituto) – l’urgenza idrogeologica che attraversava l’Emilia Romagna si è imposta alla nostra attenzione”. L’obiettivo è quello di offrire alla cittadinanza occasioni per un confronto culturale polifonico e innovativo. Gli appuntamenti, che si svolgeranno da gennaio a novembre, saranno aperti dalla lectio magistralis di Federico Varese, direttore del Dipartimento di Sociologia all’Università di Oxford, che si occuperà del rapporto tra mafia e territorio, mentre chiuderà il ciclo Guido Barbujani, genetista e scrittore di fama internazionale, con la lectio magistralis “Diecimila anni di ingegneria genetica”.

Gli altri interventi spazieranno dalle immagini apocalittiche della letteratura fantascientifica, con le conferenze di Marco Bertozzi (Unife) e Pierre dalla Vigna (Uninsubria e fondatore Mimesis Edizioni), all'”Ecologia integrale di Papa Francesco” di cui parlerà il teologo ed esegeta Piero Stefani, dall’ecopolitica di Bruno Latour, al centro dell’intervento di Filippo Domenicali (studioso del pensiero francese contemporaneo, docente liceo Roiti), alla relazione tra uomo e natura nell’opera di Goethe e dell’artista Anselm Kiefer, affrontata dalla filosofa e germanista Micaela Latini (Unife).

La Camera del Lavoro di Ferrara ospiterà, invece, un approfondimento, in tre momenti, sulle specificità idrogeologiche e sismiche del nostro territorio, curato dal geologo Marco Stefani (Unife).

“Il ciclo di incontri sull’ambiente – precisa Alessandrini – si pone in continuità con il ciclo “Anatomia della pace”, la cui conferenza conclusiva è stata, infatti, quella del giurista Luigi Ferrajoli, dedicata all’idea di una costituzione della Terra, che ha saputo coniugare brillantemente pacifismo e ambientalismo”. Dialettica, questa, ripresa anche dal sottotitolo del ciclo, “Più lento, più profondo, più dolce”, tributo all’ambientalista e pacifista Alexander Langer, che contrapponeva queste parole al motto olimpico “più veloce, più alto, più forte”, per indicare la necessità di un’inversione di tendenza sociale ed economica. Una lentezza, una profondità e una dolcezza che rivivono nella locandina del ciclo, dove una mano infantile regge una foglia di Ginkgo biloba, il fossile vivente che affonda le sue radici in una storia di 250 milioni di anni.

Riflessioni sull’ambiente” è organizzato dall’Istituto Gramsci di Ferrara in collaborazione con ISCO Ferrara e Biblioteca Ariostea, con il patrocinio del Comune di Ferrara e del Laboratorio per la Pace Ferrara di Unife.

Russia, Ucraina, Europa: guerra o pace?

 di Filippo Ramin

Miroslav Marinovych vice Direttore dell’Università Cattolica  Ucraina di Leopoli , prigioniero politico negli anni del GULAG. Dall’articolo sull’Espresso del 5/9/2023 vengono riportate alcune sue affermazioni:

  1. Molti europei trattano entrambi le parti come politicamente e moralmente uguali, ignorando le circostanze reali e condannandosi così a una sconfitta etica.
  2. Solo una pace giusta è una pace duratura.
  3. È proprio il pericolo di morte che corre la vittima, a dare ai cristiani il diritto morale di fare “una scelta a favore della vittima.”
  4. Se rimani neutrale in situazioni di ingiustizia, ti sei schierato con l’oppressore.

A queste affermazioni, tutte condivisibili  espresse da Miroslav, non rimane che “sperare” per una pace, e prosciugare il mare di sofferenze di questa guerra e di tutte le altre guerre. La speranza non è un qualcosa di evanescente, ne può essere motivata da considerazioni illusorie di un’attesa senza tempo, ma può rivelarsi strumento, parola efficace e  concreta di trasformazione della realtà nell’unico modo possibile: sull’ esempio riportato nella “parabola del Samaritano”.

La lezione del Samaritano

Leggendo quel brano, non si trova scritto il nome “ del bastonato”  lasciato solo lungo la via, non si dice  chi fossero i briganti che l’avevano picchiato e derubato. Questo uomo Si Ferma, presta le prime cure, lo porta in una locanda a sue spese e parte il giorno dopo.  Tutto qui!

La pedagogia del racconto è aiutare il lettore ad identificarsi tra i  personaggi coinvolti in questa storia, e più ancora, di porre la domanda:  chi è il mio prossimo? Chi sono i miei fratelli oltre le differenze che connotano persone e popoli?

Nel dubbio, è preferibile volgere lo sguardo a tutti i bisognosi di aiuto, senza distinzioni. L’impressione che si ha nella lettura del Samaritano è che il giudizio tra buoni e cattivi, bastonato e bastonatori non sembrino rilevanti; addirittura non sono ipotizzate azioni per operare vendetta o reclamare giustizia verso qualcuno. Ogni disquisizione sull’evento da parte del Samaritano è inesistente. È Il dopo che fa fare a tutti un sospiro di sollievo! Perché  tutto è andato a del BENE!

Il Samaritano non agisce sulle differenze tra i contrari, giusti e ingiusti, e non fa nemmeno preferenze!  non giudica i ruoli delle persone coinvolte!
“Agisce su tutta la sofferenza umana”. Include tutte le dimensioni del comportamento umano: quello egoistico, e soprattutto quello fatto dalle non scelte, di chi decide di rimanere nell’ombra.

Con il suo esempio guarisce tutti. Con il suo esempio, include anche quelli che fanno finta di non vedere e si girano dall’altra parte, ma che possono intravedere, sia pure tardivamente, una speranza “ di guarigione ”, resa possibile con il perdono.

È bene scegliere di porsi sempre ad un livello superiore rispetto al male ed esprimibile nell’unico modo possibile: “Amare  il prossimo come noi stessi “.

Cambiare visuale: La Russia dentro la UE

Talvolta le ipotesi o le idee “anche assurde” possono cambiare la visuale e  SUPERARE le posizioni di schieramento: pro-contro, giusto-sbagliato.
L’unica alternativa per ottenere un’accordo di pace tra Russia e Ucraina, è quella che permetta ad ENTRAMBE LE PARTI IN CONFLITTO DI VINCERE LA GUERRA.

Dopo quasi due anni di morti e distruzioni, perché non promuovere, invitando il parlamento Europeo, quello Italiano e la Commissione Europea , così come è stato fatto per l’Ucraina, la proposta di ESTENDERE L’INVITO ANCHE ALLA FEDERAZIONE RUSSA, di entrare a far parte della Comunità Europea?

La Russia e l’Ucraina! Due comunità, un unico popolo! Europei per etnia, storia, lingua, cultura,  fede religiosa. Non ha senso, e per motivi storici di comunanza, dividere i popoli .
(24-6-2021 Frau Merkel rivolta al Bundestag : “riaprire il dialogo tra Europa e Russia”.)

La  soluzione proposta, che prevede un’allargamento ”per INCLUSIONE” delle nazioni, potrebbe esprimere la condizione ideale per assorbire il conflitto tra Russi e Ucraini, trasformando le differenze e i contrasti in “occasione  di  pace”.

Non esistono, divergenze e contrasti che non possano essere appianati, se non in cambio di un beneficio più grande.

Concretamente, si potrebbero rendere accessibili le soluzioni per il superamento del conflitto,  “DILUENDO LE CONTRAPPOSIZIONI  TRA I DUE PAESI (così come è stato fatto per l’Ucraina), perchè anche la Russia entri a far parte di un unico e vastissimo territorio, costituito da Europa e Russia”.

Questa soluzione renderebbe indistinguibili, se non inutili, le diversità ad oggi definite insuperabili tra le due nazioni. È possibile stravolgere le logiche e i contrasti tra i due paesi, trasformandoli in opportunità e punto di forza reciproca. È da riaprire il checkpoint Charlie”, come riferimento ideale da adattare alla circostanza, per liberare i Russi e gli Ucraini dall’ideologia della guerra.

Nell’immediato, i bambini rapiti farebbero ritorno alle loro famiglie e i territori contesi cesserebbero di essere un problema, certamente risolvibile  per esperienza decennale, attuando il modello Alto Adige. Un’esempio di tutela delle minoranze etniche di tre madrelingua.

 E ancora, per non lasciare nulla d’intentato, per quanto provocatorio e pur tuttavia plausibile, perché non considerare come alternativa ai finanziamenti senza fine per l’acquisto di armi, valutare la possibilità di retribuire un salario “ inimmaginabile” ad ogni singolo soldato russo e ucraino, per almeno un anno, e con la consegna delle armi? Il costo? Circa 360 miliardi di euro nell’ipotesi di retribuire 10.000 euro al mese, (Più alta è l’ offerta, migliore è la risposta) per ipotetici 3.000.000 di soldati di ambo le parti in conflitto.

È da considerare che solo nel 2022, l’importo stimato della VORAGINE ECONOMICA da guerra, dell’Europa, della Russia e USA  è costata per difetto, circa duemila miliardi di euro (l’America ha previsto nel 2023 circa mille miliardi di US$ destinati alla difesa – Rif. Il Sussidiario 03-09-2023). E non basteranno.

Secondo l’Istituto di ricerche sulla pace di Stoccolma SIPRI la spesa militare è aumentata del 2,2%  del PIL globale, circa 268 US$ per persona. Solo in Europa per la difesa per il 2023 sono previsti oltre 200 miliardi di euro di investimento. E poi  altri 37 miliardi di euro ipotizzati per lo sminamento dei territori in Ucraina (fonte: Avvenire 07-05-2023) e gli ulteriori costi per una guerra che non si sa quando finirà, uniti a quelli per la ricostruzione dei territori distrutti.

Tutte le comunità delle nazioni sono state obbligate e condannate a pagare un’importo impressionante. L’inganno è attuato mediante la sottrazionein quota parte”, di soldi provenienti dalla tassazione sui cittadini, con costi aggiuntivi a motivo della guerra, dovuti all’aumento dei prezzi per alimentari, gas, elettricità, fertilizzanti, inflazione. Denaro, che ogni singolo cittadino dell’ Europa, della Russia,  dell’ Ucraina e USA, dall’inizio del conflitto, sta ancora pagando.

Ma quanto è costata all’Europa e alla Russia la guerra fino ad oggi? e con quali risultati nonostante le sanzioni? Che senso ha: “pagare” quelli che “impongono democraticamente la guerra”, depredano risorse economiche senza il consenso dei cittadini tutti ?

Per un militare, che senso ha GIURARE per uccidere? Giovani costretti a uccidere per la prima volta un essere umano con l’alternativa di venire uccisi? Quale autorità giudiziaria, può giustificare l’atto di prestare giuramento “come mezzo di prova” (tipo: comma 22), se questo è contro la sacralità della vita? Anche Il termine “difesa” non è più credibile! E’ un concetto superato, privo di significato,  da sostituire con un Ministero di “basta guerre, armi e soldati ”.

Lo scopo della seconda proposta, è l’ammutinamento dei soldati provocato da un’offerta economica attrattiva.  Assumere i soldati a condizioni contrattuali impensabili da parte della comunità europea. Non più militari o soldati! Ma donne e uomini riportati alla dignità di persone libere, retribuiti per un’attività che prevede unicamente di continuare a vivere, senza più indossare la divisa, con la consegna delle armi, per operare in un ambito civile e con uno stipendio aggiuntivo. L’effetto immediato “da ammutinamento”,  è risparmiare i civili, determinato per cessazione dell’attività bellica.

I civili, rispetto ai militari, sono la stragrande maggioranza dei morti nei conflitti. Contribuiscono economicamente alla guerra, prima e durante. Sono costretti a morire perché non hanno via di fuga e non possono difendersi,  e sono destinati ad essere l’unico “ bottino di guerra”. Vittime  insignificanti!

Non è chiaro cosa se ne facciano dei morti …  nel processo “produttivo” di una guerra. Impressiona che siano pochi i responsabili che decidono per migliaia di persone. Pochi individui, ossessionati e superbi, in grado di coinvolgere indirettamente, centinaia di milioni di persone indistinti tra Russi, Europei e USA.

Le “fabbriche di morte”

L’obiettivo della proposta, è attuare una contrapposizione, agli enormi interessi delle industrie delle armi, ufficialmente e unicamente: “ fabbriche di morte”.
È incontestabile che le guerre abbiano sempre inizio all’interno delle industrie produttrici di armi. Queste industrie, offrono come finalità per l’utilizzo dei loro prodotti:  uccisioni di vite umane e distruzioni. Una prospettiva persino banale,  impossibile da capire e spiegare, se “l’evidenza delle conseguenze ” non insegna mai.

Un altro aspetto che non viene mai affrontato è quello di non considerare le armi come “prodotti di largo consumo”. Articoli al pari di altri, che vengono proposti e immessi nel mercato. E come accade per tutte le industrie, è ovvio che non ha senso “produrre”,  fossero anche le armi, per poi non venderle.

Le armi, “massima espressione del concetto di spazzatura”, sono diffuse ovunque nel mondo e prima o dopo si dovranno pur usare per entrare nella fase del “riciclo della spazzatura”. La definizione riciclo, o fase ultima , comporta necessariamente la progettazione di nuove armi. Questo è motivato, perché l’efficacia di quelle in uso nel procurare una mortalità maggiore di civili, ”non sono più considerate ottimali “.

L’azione di marketing di queste aziende, è indirizzata ai potenziali clienti, quali i governi delle nazioni e i rispettivi eserciti. I rappresentanti di queste industrie sono individui astuti, che anche sotto giuramento, affermano di odiare le guerre. Eppure le promuovono innestandole su false esigenze, false verità e ipotesi, su inesistenti necessità di precauzione, senza mai citare il termine guerra, ma il termine “ difesa o procedure da adottare”.

Si dimostrano oltremodo esaustivi nel convincere gli interlocutori, di qualsivoglia appartenenza ideologica e opinione all’acquisto dei loro prodotti. Il reparto vendite, si avvale di esperti in psicoanalisi, specializzati  per istruire mediante tecniche persuasive, il personale addetto alle vendite.

Queste ditte, e i loro rappresentanti, sono molto efficaci in attività lobbistiche presso i governi, istituzioni, centri di studi avanzati  per la “salvaguardia del progresso umano”. Dopo tutto fanno il loro mestiere. Nessuna contraddizione o menzogna può essere a loro attribuita.

Sono presenti nei congressi per la pace e in organizzazioni internazionali, associazioni e fondazioni  di ogni tipo. Esercitano pressioni, mediante la divulgazione di messaggi subliminali sui media, in grado di convertire anche i pareri contrari. Fanno vedere solo “la guerra giusta, quella subita, la guerra di difesa”, ma non l’assurdità e la menzogna della guerra in quanto tale, che contribuiscono ad alimentare.

Si avvalgono “di incaricati esperti in lavavetri, in spurgo e fognature, di finti in qualcosa”, comunque competenti mediatori, in grado di esporre la migliore dialettica di ignoranza, insolenza, e falsità possibile. Si inseriscono con facilità  nelle problematiche di tensione di potenziali conflitti, suggerendo le soluzioni ottimali da seguire, “alla dottor  Stranamore”. o con la solita e sempre efficace formula magica di Cenerentolasalacadula magicabula bibbidi bobbidi   “B U M”.

Ovviamente sono dalla parte dei buoni che devono difendersi, ma vendono le loro competenze anche ad ogni  “viceversa”, che a sua volta deve difendersi. Il loro scopo è accelerare il processo per uno scontro armato tra fazioni:  costringere le comunità umane ad uccidersi! Rendere accessibile la morte volontaria assistita!  L’eutanasia per la cura di tutti i mali! Obbligare le comunità ad un suicidio consenziente.

Le comunità devono uccidersi tra loro! Devono convincersi della necessità di combattere CONTRO UN NEMICO CHE PROPRIO NON ESISTE. L’innovazione dell’industria bellica è proprio questa,  inventare sempre nuovi nemici pur di vendere armi.

Il loro obiettivo?  la “finestra di Overton”! La sintesi della perfezione: rendere accettabile ciò che accettabile non è mai stato. Istigare, porre le condizioni per la disintegrazione delle comunità con il procedimento come per “ la rana bollita”. Evitare che si attui nelle coscienze il processo della terapia del buon senso. Se per un anno o poco più non ci fosse la richiesta di armi queste industrie “cesserebbero l’attività” per mancanza di ordinazioni.

Un’ altro obiettivo della propaganda bellicista, strettamente legata alla sua natura economica, è ottenere che ogni singolo individuo delle nazioni, incluse quelle non coinvolte, sia economicamente coinvolto nei conflitti  indirettamente e non per scelta, con l’obbligo di finanziare l’acquisto delle armi mediante le leggi nazionali sulla tassazione.

Vendere, vendere! Vendere più armi possibili! Il supermercato dell’assurdo: riuscire a far pagare a tutti i costi di una guerra. Raggiungere lo scopo ultimo: “ il non ritorno”, a conflitto iniziato, che la prevenzione avrebbe evitato. La guerra non percepita e non vissuta direttamente, fatta di opinioni è la peggiore!  Senza di essa e senza il consenso dei cittadini, l’industria delle armi chiuderebbe per fallimento.

La guerra è….

La guerra è esclusivamente un’attività lucrativa che genera utili impensabili. La guerra è unicamente un BUSINESS, è quotata in borsa! Genera utili superiori rispetto a tutti gli altri comparti merceologici. È un’affare per pochi. La loro forza è riuscire a incassare i profitti socializzando i costi!

È la conferma della sua natura puramente economica, con conseguenze che esprimono:  la menzogna, la perversione, l’inferno quotato in borsa e reso tangibile dal bluff ideologico di uccidere. Uccidere è un mercato.  L’assassino va pagato; è solo questione di prezzo.

Solo così è possibile predisporre le condizioni ultime per raggiungere lo scopo: l’uomo deve scomparire e farsi bestia, diventare bestia sovrana! Un mostro policefalo caduto in un buio senza fine, in grado di impossessarsi della verità e della vita.

La guerra è una presa in giro colossale, il gioco delle tre carte, travisa sempre e altera le circostanze. Stravolge la verità rendendola insignificante. Senza il personale addestrato per l’uso delle armi non è possibile “SVOLGERE UN’ATTIVITÀ DI GUERRA.” È evidente, intuitivo, giustificato, l’azione di sottrarre i soldati, ai loro comandanti, mediante “ l’adozione “, perché non combattano più. Inclusi i  mercenari di ogni sigla, e gli operai dell’industria delle armi.

In definitiva, il soldato, o militare che sia, è da considerare come l’unico “PUNTO DEBOLE” di un meccanismo su cui poggiare e fare riferimento, per mettere in atto un’azione di contrasto del conflitto in Europa.

Agire, offrendo un’evidente aumento di retribuzione ai soldati (nessuno troverà mai un ricco a fare la guerra …).  Si tratta di offrire un valore in busta paga, talmente elevato, da includere anche le competenze di alto livello. In un attimo, verrebbe a mancare tutto il personale operativo ed esecutivo alla struttura di comando. È come presentarsi di fronte a una fabbrica con migliaia di operai, ai quali viene offerto un salario inimmaginabile. La fabbrica si svuoterebbe in pochi minuti, abbandonata e con i macchinari ancora accesi.

Ecco un esempio concreto di piramide rovesciata, con la punta che rappresenta il vertice di comando e guerrafondaio, conficcata nel terreno. È solo questione di business. La legge di mercato è l’unica legge valida anche per la “guerra”. La legge di mercato è da sempre estranea a tutte le ideologie e i distinguo, tranne che sul prezzo!

Tutti i cittadini dell’Europa e della Russia hanno pagato tantissimo e continueranno a farlo senza conoscere quando la guerra finirà,  quanto è venuta a costare. Non se ne esce. Con questa guerra, sono state messe con cura, tutte le premesse per “un viaggio di sola andata”. La guerra e per definizione: È UN AFFARE! Non esistono altre giustificazioni, perchè non esistono, e non esistono perchè proprio non ci sono!

Le comunità coinvolte in questa guerra Russia/Ucraina rappresentano, e sono per definizione, UN UNICO”. Un’unica realtà umana senza distinzioni. Che differenza c’è tra un Russo e un Ucraino, o tra noi e loro, se le cause sono da attribuire a quelle poche persone poste al vertice di una struttura di comando, e non alla gente comune?

La guerra può essere “sconfitta”, abbattuta, atomizzata, attuando una “contro-azione”: con un’azione economica più potente. LA GUERRA È UN PRODOTTO e come tale, lo si può acquistare. È sempre e solo questione di  costi-benefici. Non esistono cause, sigle di partiti, torti o ragioni in una guerra. Vince la guerra, “chi offre di più come alternativa, facendo spendere di meno “… e ad un prezzo inferiore.

La guerra è possibile svenderla, applicarci sopra uno sconto ed è meglio comprarla che subirla. Costa meno, e persino troppo poco! Con questa logica si rende possibile “comprare”  I PRO, I CONTRO, I TORTI, GLI INDIFFERENTI , LE CAUSE,  e  tutti quelli che affermano che non c’è più nulla da fare.

Una industria per la PACE

Ovviamente non averla iniziata sarebbe stato ancora meglio e a costo zero. La strategia indicata come soluzione, permetterebbe la realizzazione di “una potente e innovativa contro-industria”.
Un’industria per la pace, fatta da tutti i cittadini. Se i cittadini sono costretti a pagare per finanziare la guerra, perché allora non “ comprarci “ i militari, usando L’ARMA  più potente e più “ atomica” dell’ atomica: IL DENARO, con il vantaggio immediato di risparmiare  sull’ acquisto delle armi?

Anche la guerra va intesa come un prodotto “ di consumo”, da assoggettare alla  concorrenza.  Si tratta di cambiare paradigma. È reso possibile acquistare LA PACE . È l’unico modo per difendere “ la democrazia”.

La pace è  “un affare” da ogni punto di vista; dal valore umano ed economico inestimabile. Con  l’iniziativa indicata, è possibile operare “nel mercato delle guerre” in condizione di monopolio:  indurre un “fuori prezzo” all’ industria delle armi. Condizioni, che per l’ industria delle armi in termini di  concorrenza, sono impossibili da sostenere.

La pace, è l’unica forza che esprime un potere economico assoluto. Distribuisce alle comunità “dividendi” impareggiabili, e soprattutto quello più importante che la guerra non concede: di continuare a vivere. Il mercato, da sempre appartiene alla gente e mai alle ditte, o a un marchio… e tanto meno al mercato della guerra. È la gente che decide e decide in quanto clienti finali.

Manca totalmente una pressione efficace da parte delle comunità per operare contro sulla tassazione per l’acquisto delle armi… è una verità che gli unici a farlo sono gli evasori fiscali. È questa l’azione da fare e come “marcia per la pace”.

La guerra operando “ al di fuori della legge di mercato” è certamente vulnerabile. Se è “ il prezzo che fa la pace”, la pace la si può finalmente acquistare, “imporre”. Rendere la pace inevitabile. È possibile competere contro la guerra: basta volerlo!

La guerra Russia –Ucraina ha un costo, ad oggi, di almeno di 5 volte superiore e più rispetto all’offerta (360 miliardi) ipotizzata per fermarla. Fosse anche doppio il prezzo indicato, sarebbe ancora conveniente. I margini di “utile” ottenibili con la pace, coprirebbero in poco tempo tutto l’ investimento. In caso contrario, rimane un debito mostruoso e incalcolabile da pagare.

C’è un proverbio cinese che dice: “il miglior soldato è quello che vince la guerra senza combattere”, al quale si deve aggiungere una precisazione per un’ aggiornamento: “entrambi i contendenti hanno vinto la guerra”.

È un altro modo d’intendere, sicuramente migliore ed esaustivo. La guerra, per l’industria bellica, è da sempre un affare, PERCHÈ PUÒ DISPORRE DI PERSONALE “ NON SUO”  E ADDESTRATO. Militari preparati, presenti nelle varie nazioni, istituzioni  e organizzazioni rappresentative.

Le fabbriche d’armi considerano certamente un valore inestimabile i milioni di soldati delle nazioni, DISPONIBILI GRATIS E DA LORO NON RETRIBUITI; TOTALMENTE ASSENTI DALLE BUSTE PAGA  DELL’ AZIENDA, militari istruiti per l’uso degli strumenti di morte di LORO PRODUZIONE.

Quello che non viene evidenziato è che tutti i costi del personale militare  sono “ SCARICATI interamente e in conto spese”  sulle comunità, sui cittadini delle nazioni. A queste industrie, è praticamente reso gratuito il possesso delle comunità delle nazioni. Centinaia di milioni di persone di loro “ proprietà”, costrette a pagare: armi e personale addestrato. Un business colossale per l’industria bellica, un monopolio assoluto.

Un’affare enorme per loro “a costo zero”. Nessuna azienda produttrice al mondo ha questi vantaggi. Questo se da un lato genera utili impensabili, dall’altro provoca voragini economiche spaventose, in grado di far fallire anche gli stati. Tutti i finanziamenti sono stati sottratti a loro favore alle comunità degli stati. Che business è mai questo per le comunità? Riempirsi di spazzatura? Dov’è il guadagno?

Difendersi da chi?… e in epoca moderna poi? quando l’offerta è solo l’alternativa di venire uccisi comunque? Quale  “difesa”, ma quale difesa può prevenire un suicidio collettivo? Che senso ha dover pagare la guerra, prima “per imposizione” e poi con la vita?

Ad oggi la guerra non ha più senso! È anacronistica, è vecchia e fa schifo, è un fuori tempo, noiosa, una follia, un’idea balorda, una fogna a cielo aperto, in grado di imporre le condizioni ultime:  far cadere le bombe atomiche ( e ce ne sono 1.600 di testate atomiche disponibili …) sui civili.

Ma non lo fanno. È evidente che non vogliono farlo! semplicemente perché anche loro come industria, verrebbero distrutti, eliminati. E questo va contro il loro interesse. Meglio continuare, e proporre  “guerre tradizionali”, rendono di più, e in più hanno anche salva la vita… quasi una contraddizione.

In giro per il mondo ce ne sono circa 160 di guerre, delle quali circa 60 tra le nazioni. Qual è il fatturato complessivo di vite umane e costi di queste guerre, “malefit” inclusi? Dispiace, dispiace non convincersi che sia possibile far implodere questa guerra al suo interno, svuotandola da ogni ragione. Èsolo una perdita di tempo, una presa in giro colossale per i centinaia di milioni di persone cercare  giustificazioni e i distinguo se non c’è nulla da distinguere.

Quando non c’è nulla da perdere: Russia ed Europa, una proposta

Con una pistola alla tempia come è possibile parlare di pace, di giustizia, di politica, di religione, di speranza, di sviluppo. Ma quale giustizia per i morti in guerra se la gente continua a morire nonostante la giustizia? O si deve fare un’altra guerra per affermare la giustizia?

Le iniziative proposte in questo documento (due) potrebbero essere attuate in contemporaneità. E come proposte, la prima almeno,  anche nell’ipotesi che a Bruxelles e a Mosca venisse respinta, aumenterebbe la prospettiva di non aver “nulla da perdere nel proporla”.

È possibile far nascere un’ iniziativa dal basso, coinvolgendo tutti i soldati: quelli delle navi, degli aerei, dei sommergibili. Fin tanto che sussiste la presenza di soldati in battaglia, la pace non è possibile. È determinante sottrarre la manodopera specializzata e le competenze dei soldati alle macchine da guerra.

Senza esercito e ufficiali di comando, difficilmente si potranno sostituire nell’immediato. Con questa iniziativa tutto il comando supremo, inclusa la polizia di stato, verrebbe di colpo esautorato. Tutti licenziati per mancanza di lavoro. Nessun colpo di stato, nessuna guerra civile, la gente ritorna a riprendersi la libertà e il denaro che gli resta “non ancora sottratto per finanziare le guerre”.  I civili tutti, sono salvi.

Anche in Russia, “nostre sorelle e fratelli” esiste una componente di popolazione silenziosa, (presumibilmente la maggioranza) contraria alla guerra, che vuole la pace. Non hanno senso le dimostrazioni di simpatia, di odio, di indifferenza, di circostanza, e i distinguo tra di noi e tra di noi e loro o da che parte stare; se chiedono come tutti “solo  di vivere”.

È da considerare importante la “ CON-VE-NIENZA per una CON-VI-VENZA”. È una follia continuare a schierarsi da una parte o dall’altra, giocando sui “ morti degli altri”, coerentemente ma senza andare sul fronte a combattere.

Anche il popolo russo va AIUTATO E SALVATO perché non combatta più contro se stesso. Anche l’Europa va salvata allo stesso modo dall’auto distruzione, da presunzioni e orgogli. Il popolo russo non è peggiore di noi. Semplicemente non vogliamo incontrarlo. Cosa ci impedisce di immaginare un futuro con loro? Un futuro che SE NON SARÀ PER STARE TUTTI INSIEME, NON SARÀ.

Anche noi, come Europei, siamo i superstiti di quelli che ci hanno preceduto, e hanno dovuto subire “guerre si sopravvivenza”. Guerre (ieri come oggi) “frutto” di ideologie umane tutte puzzolenti. Ideologie destinate come tutte a disintegrarsi e a sparire nella polvere.

Ma qual è oggi  l’ideologia di questa guerra? Perché non cercare gli aspetti positivi per una proposta di unificazione tra le genti e non i distinguo? Un esempio significativo è il ricordo della stazione spaziale internazionale, dove l’italiana Samantha Cristoforetti era al comando di: Russi, Europei e Americani. Si vedeva che stavano bene insieme. E stavano bene INSIEME! Unicamente stando insieme, come unica alternativa di convivenza possibile. 

Perché non imitare questo esempio, di un fatto concreto, e trasformarlo in proposta? Fare una proposta “ALTRA”, a Bruxelles e a Mosca , che se anche non venisse accolta, non riuscirebbe a cancellare un sogno di pace.

Perché non immaginare un’Europa e una Russia capaci di convivere e integrarsi. Un’Europa allargata. Promuovere “ un’alleanza  estesa”, per porre termine alle molte guerre in Africa, in Europa, in Siria, in Armenia,  in Crimea, in Medio Oriente, in America latina, senza più l’uso delle armi, ma attuando in quei paesi un dialogo fatto di cooperazione.

Un guadagno economico da “non guerre” inimmaginabile. Attuare la propagazione della democrazia con la pace e che la guerra mai può dare. Tutti hanno la responsabilità di fare qualcosa, e  l’autorità di poterlo fare appartiene ad ogni singolo individuo: basta volerlo.

È stato distribuito tanto odio in questa guerra che non basteranno le generazioni future per alleviare le sofferenze. Le decine di giornalisti che sono morti al fronte, chiedevano: “ fate qualcosa: MA FATE QUALCOSA!”. Erano le voci disperate di richiesta di aiuto per entrambi le parti in conflitto, senza distinzioni, portavano notizie di “carni in sofferenza e in agonia”, comprese le loro, falciati in quei luoghi in giovane età e già dimenticati.

È da rileggere quel brano. Un brano che fa ancora riflettere e  mette in luce le realtà presenti nell’ essere umano.  L’inizio:  “ Ecco! il seminatore uscì a seminare …”La semente rappresenta “la parola” , e “ i campi” le realtà presenti nell’uomo nella sua complessità. Un brano rappresentativo che descrive campi di sassi, campi di rovi … ma anche parla anche di campi fertili.

È da chiedersi dove abbiamo lasciato cadere la nostra semente? Che frutto desideriamo raccogliere dal campo? Cosa ci impedisce di scegliere la vita, piuttosto che il suicidio collettivo di guerre tenute in piedi da un “ giudizio di opinione”?

Perché scegliere di essere “propagatori attivi di ignoranza”, lasciando che nuove colpe ricadano “ancora sugli innocenti”, ma mai su di noi? Se abbiamo scelto che la vita degli altri “ci appartiene” come conseguenza del nostro giudizio, allora si deve affermare che “ci appartiene” anche la loro morte.

Il giudizio su ogni singolo “noi”, che ci laviamo le mani,  lasciando che in questo momento scorra ancora sangue innocente, è inevitabile. L’unico modo per evitare il giudizio, è ASSUMERE SU DI NOI LE COLPE DEGLI ALTRI.

In questa guerra siamo tutti coinvolti. LE MANI CHE UCCIDONO LE ABBIAMO ARMATE NOI. Nessuno può ritenersi innocente mediante giustificazione. Perché allora non credere di essere capaci di un cambio di pensiero, decidere di SALVARLE TUTTE LE VITE? Cosa ci impedisce di considerare un’altra Europa, in grado diesprimere capacità di perdono”?          

Storie in pellicola / “Heartquakes”, il corto che parla al cuore

Un giovane regista, una produzione indipendente a budget zero, la Terra. Questo è “Heartquakes”, di Niccolò Donatini, un cortometraggio di tre minuti molto potente

Sarà presentato allo European Projects Festival di Ferrara nell’ambito della rassegna di cortometraggi europei selezionati dal Ferrara Film Corto festival, il 5 aprile alle 18h30.

Si tratta di “Heartquakes”, titolo originale “Terremoti del cuore”, il cortometraggio, del 2021, di Niccolò Donatini, fiorentino ventiseienne convinto “ribelle all’estinzione”.

Un gioco di parole fra terra (earth) e cuore (heart) accompagnato dalle musiche di Giacomo Ventrella. Ed una partita ad armi impari, dove chi sopravvivrà, se non rispetterà le regole, non sarà certo il genere umano. C’è chi parla e chi tace, chi urla.

Siamo di fronte alla Natura che ha chiuso la sua bocca e ha cercato di mandare messaggi in centinaia di modi silenziosi. Inascoltati, incompresi, ignorati, disattesi.

Una Natura che tace e prova a comunicare con la sua bellezza e la sua quiete, le uniche armi rimaste. Fiumi, ruscelli, acque, alberi, montagne, colline e case tracciano una linea verso l’infinito e tendono le mani alla salvezza. Non ci sono parole, solo cieli e prati verdi, alcune gocce d’acqua che piangono.

Un monito potente, allora, in queste immagini bellissime e a tratti commoventi.

Possa il silenzio della Natura essere rotto solo da coloro che combattono in Suo nome.

Possano le urla funeste, come i rulli dei tamburi, frantumare il muro dell’ignoranza di coloro che ancora ignorano la Terra, che ancora ignorano la Vita e il suo immenso valore.

Possano le danze impetuose aprire le strade del cielo e dell’aria leggera.

Possa la luce tornare. Possano la vita e la bellezza trionfare. Possa la luna sorridere.

Un breve ma potentissimo documentario per la giustizia climatica. Perché sognatori cercasi.

Programma dei cortometraggi dello European Projects Festival di Ferrara

Immagini tratte dal cortometraggio

Parole a Capo /
Claudia Fofi: “L’amore alla cieca” e altre poesie

Claudia Fofi: “L’amore alla cieca” e altre poesie

“Si conobbero. Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s’era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa, perché pur essendosi saputa sempre, mai s’era potuta riconoscere così.”
(Italo Calvino)

L’amore alla cieca

chiudi gli occhi e immagina.
ricordi com’era una pelle liscia un fiato di cerbiatto
il sorriso devoto dell’incoscienza.
non venirmi a dire che questo avvizzito
è un corpo.
non ci credo, non può essere così.
allora meglio fare l’amore all’alba
quando il preludio del sole è ancora un’ombra
tra gli spifferi di una saracinesca
e si fa l’amore alla cieca
ci si ride dentro a memoria.

 

Le esche


smettetela di stare dietro alle esche
parlate d’altro
attaccate il mal di pancia all’algoritmo
mettete in mezzo a una conversazione
l’odore di cipolla e lo starnuto
parlate d’altro
può anche essere che ci scappi
una risata che spacca l’aria in due
vi consiglio anche di mettere
un telefono fisso
fa bene ai nervi scoperti
un numero che ti trova
sempre nello stesso posto
raccontatevi le ultime notizie
di mille anni fa
una vanga sarebbe da esporre
al museo delle conversazioni

 

cuor, amor


quanto è bella questa nostra lingua
che fa la rima con l’amore e il cuore
in francese per esempio coeur e amour
sono come due pianeti un po’ lontani
anche se la fine in erre nobile
li rende affini come sentimento
con l’inglese non è che vada meglio
metti su una mano heart e sull’altra love
sono dissonanti come il primo novecento
ti viene da buttarli ognuno da una parte
a non parlarsi mai, neanche per sbaglio
amor y corazon si incastrano solo sull’accento
e in tedesco il cuore è herz – quasi come un noleggio di furgoni
e l’amore invece è bello – una parola che somiglia a un canto: liebe.
Per andare più lontano a curiosare,
il cuore in giapponese è un ideogramma che non so rifare: Shinzō.
E l’amore è un suono che non si sente neanche al microscopio: Ai
Insomma, vi potete divertire a continuare questa lista
sta di fatto che la perfetta rima cuore e amore è tutta nostra
e non è mai banale, è intelligente e giusta

 

La mela che non si spacca

A un certo punto devi diventare una mela che non si spacca.
Hai raggiunto il sapore del vino passato.
Porgiti da sola le buone maniere.
Ruggisci felice se hai voglia.
Accetta che nessuno ti vede.
Il paese è diventato un castello.
Il vero amore è una nuvola sparita.
A un certo punto non hai più bisogno di farti spazio.
Respira dal cerchio che hai intorno.
Cerca solo le persone buone,
le persone caramella.
Parti spesso, per evitare di diventare una frase fatta.
Se ci riesci, torna cambiata in meglio.

 

essere figa

essere figa sarebbe bello
ma non è come essere eterna
certo, essere eternamente non figa
che sfiga

(Poesie inedite)

Claudia Fofi vive a Gubbio. E’ insegnante di canto, cantautrice e autrice, poeta e scrittrice, organizzatrice di eventi culturali, direttrice artistica del Festival Umbria in Voce. Cura progetti di scrittura creativa e della canzone, guida laboratori di ricerca vocale per enti, biblioteche, teatri, e associazioni. Con le sue canzoni ha vinto il Premio Ciampi nel 2001, il Premio Scrivi la tua canzone Grinzane Cavour per il miglior testo nel 1996 (presidente giuria Fabrizio de Andrè), il Premio Logic al Mantova Musica Festival, finalista due volte al Premio Musicultura. Ha pubblicato tre album di canzoni e due raccolte di racconti brevi tratti da scritture social, “Post-Post” (2019) e “Una volta, all’improvviso” (2023), con Bertoni Editore. Nella poesia ha esordito nel 2016 con “Odio le ragioniere”, Ed. Secop. Nel 2023 è uscita la sua seconda raccolta poetica, “Etica della parola dolce”, con Arcipelago Itaca, collana Mari Interni diretta da Danilo Mandolini. Con la silloge inedita “Le ossa cantano” (allora intitolata “Il delta della lingua”) ha ricevuto una menzione di merito al Premio Gozzano 2018. Finalista Premio Carrera 2021. Con la raccolta “Etica della parola dolce” è stata finalista al Premio Pagliarani 2022.

Maggiori info:
www.claudiafofi.info – www.vocecreativa.com – www.umbriainvoce.it

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio. Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.

100+ donne con Anna Zonari

 100+ donne con ANNA

 Anna Zonari rappresenta la possibilità di un cambiamento radicale per Ferrara.

Una Sindaca donna non è solo una diversa vocale, è tutta un’altra storia, un vento nuovo anche nel metodo: concretezza, dialogo, collaborazione, trasparenza, determinazione.

Da oltre 65 anni Ferrara non ha una Sindaca. Pensiamo che la nostra città abbia bisogno di una donna capace di includere e non escludere, in grado di attivare strumenti stabili di partecipazione reale che conosce, che ha sempre praticato. E’ necessaria una Sindaca che ponga al centro la città e chi la abita, che creda – e Anna l’ha già dimostrato in tutto il proprio percorso di vita e di lavoro – nella cooperazione, nella squadra, non nell’individuo solo al comando. Una Sindaca competente, che non scopre improvvisamente la necessità di ridurre drasticamente l’inquinamento ambientale, di difendere e rilanciare i beni comuni, di proteggere tutte le persone più fragili, di agire per il lavoro e per evitare la desertificazione sociale, economica e culturale della città; non lo scopre ora perché per tutto questo si è sempre battuta. E’ necessaria una Sindaca per restituire Ferrara alla sua bellezza e alla sua umanità, per affrontare e sciogliere, in un dialogo con tutte e con tutti, i nodi del presente e del futuro.

Crediamo che Ferrara abbia bisogno – noi abbiamo bisogno – di un futuro diverso, di una trasformazione profonda. Ferrara può e deve cambiare.

Con Anna Zonari e con tutte noi 

Firmatarie:

  1. CLELIA GALLIANI
  2. ESTER LEONARDI
  3. BARBARA DIOLAITI
  4. MARCELLA RAVAGLIA
  5. LAURA ALBANO
  6. GIULIA FIORE
  7. EUGENIA SERRAVALLI
  8. MIRIAM CARIANI
  9. CAROLA RUGGERI
  10. GIOVANNA TONIOLI
  11. LAURA PIVA
  12. ANNA FIORI
  13. MARIA CALABRESE
  14. ARIANNA CHENDI
  15. CORINNA MEZZETTI
  16. GIULIANA ANDREATTI
  17. MORENA FELISATTI
  18. ILARIA PASTI
  19. DANIELA CATALDO
  20. GIULIANA CASTELLARI
  21. BRUNELLA LUGLI
  22. CECILIA LUNGHI
  23. ORNELLA MENCULINI
  24. MATILDE BORTOLOTTI
  25. VALENTINA FAGGION
  26. CATERINA ORSONI
  27. ANNA GOLINELLI
  28. ALIDA NEPA
  29. MALEK FATOUM
  30. SILVIA DAMBROSIO
  31. ELENA BERVEGLIERI
  32. STELLA MESSINA
  33. CINZIA PUSINANTI
  34. MARIA ANGELA MALACARNE
  35. DORINA VENTURINI
  36. CLEONICE DONDI
  37. ELENA FORINI
  38. MONICA BARALDI
  39. LUNA DANIEL
  40. CATERINA BALBONI
  41. MARIARITA SAPIENZA
  42. FABIANA GREGORI
  43. MILENA STEFANINI
  44. SILVIA TROMBETTA
  45. MARTA LEONI
  46. CATERINA FERRARESI
  47. CATERINA SATERIALE
  48. ADRIANA DI PIETRO
  49. ELISABETTA SCAVO
  50. BARBARA ARCARI
  51. VALENTINA MIGLIOLI
  52. GABRIELLA MARCHESIN
  53. RITA TARTARI
  54. TERESA CAVALLETTI
  55. PAOLA FELLETTI SPADAZZI
  56. CARLA CILOTTI
  57. PAOLA GUERZONI
  58. SANDRA PARESCHI
  59. CHIARA BENDIN
  60. GAIA POLLASTRI
  61. CARLA BRANDI
  62. FRANCA MAZZANTI
  63. MONICA BAGLIONI
  64. LAURA CARCERERI DE PRATI
  65. SAURA RABUITI
  66. AMIRA FATOUM
  67. RITA SANGIORGI
  68. SALHA TAIEB
  69. CLAUDIA ZANOTTI
  70. NADA GUETTECH
  71. DANIELA LIBANORI
  72. SARA GUETTECH
  73. SILVIA GIORI
  74. LAURA FACCINI
  75. IMAN SRIHI
  76. MAURIZIA CAPUZZO
  77. ELENA BRANCA
  78. FADILA GUETTECHE
  79. EMANUELA CAVICCHI
  80. SARA CORTESI
  81. PAOLA GIRAUD
  82. ELENA CALLEGARI
  83. ZELIMA CIRELLI
  84. MARIA PAGANELLI
  85. LUCIANA CLARA REZZADORE
  86. ROBERTA VERRI
  87. ELEONORA CAMERANI
  88. DIDA SPANO
  89. EILEEN ROMANO
  90. CECILIA BANDIERA
  91. CRISTINA SORIO
  92. LAURA BREGOLI
  93. PATRIZIA ALBERIGHI
  94. GRAZIA FILIERI
  95. MILENA MILANI
  96. OLIMPIA ORCIULO
  97. DARIA GIORDANI
  98. NOEMI LAMBERTINI
  99. LAURA BRONDI
  100. LORELLA RIZZATI
  101. ROSSANA COVI
  102. CHIARA PAVANI
  103. SILVIA PERETTO
  104. PATRIZIA GARUTI
  105. GIULIA CIARPAGLINI
  106. CLAUDIA TITI

Da giovedì 8 marzo sul sito de La Comune di Ferrara [Qui] ci sarà la possibilità di firmare da parte di elettrici donne nel Comune di Ferrara.

La Comune di Ferrara

Caro straniero, il permesso di soggiorno non te lo do, ma ho inventato un posto adatto per te: si chiama CPR

Caro straniero, il permesso di soggiorno non te lo do, ma ho inventato un posto adatto per te: si chiama CPR.

Oggi più di ieri le persone straniere, come ormai sanno tutti, devono avere un permesso di soggiorno per vivere in Italia e in Europa. Nella realtà sempre più frequentemente non ce l’hanno.
Le leggi che regolamentano l’ ingresso e il soggiorno degli stranieri non sono cambiate ma oggi avere un permesso di soggiorno è molto più difficile e spesso impossibile.

Non mi riferisco alle persone che arrivano in modo irregolare, perché è impossibile fare diversamente (compresa ad esempio una madre incinta o con bambini piccoli) ma a quelle entrate “regolarmente”, che sono qui e hanno diritto o hanno ottenuto già un primo permesso di soggiorno per asilo, protezione speciale, lavoro o studio ma che non riescono a rinnovarlo.
Nonostante l’alto prezzo pagato, in termini economici e umani.

Non ce l’hanno perché il Ministero dell’ Interno viola sistematicamente la legge speciale per stranieri, non rilasciando i permessi dovuti nei modi e termini previsti.
Tutti sanno che per avere o rinnovare il passaporto italiano oggi occorre aspettare tantissimo tempo. Ottenere un permesso di soggiorno, quando previsto per legge, e rinnovarlo è addirittura impossibile.

E al permesso di soggiorno sono connessi tutti i diritti.
Per citare solo due esempi: quello alla salute, che se negato può compromettere la salute di tutti, (basta ricordare in periodo covid le difficoltà ad avere il vaccino per gli stranieri senza permesso di soggiorno e codice fiscale connesso) e il diritto e dovere di pagare le tasse per garantire lo stesso servizio pubblico.

Molti stranieri si trovano così senza un permesso di soggiorno che permetterebbe loro di crescere i propri figli in modo sano e pacifico.
Perché questo permesso non viene rilasciato o rinnovato?
Forse per stremare gli stessi stranieri e convincerli ad andarsene? Ma ad andarsene dove, se senza il permesso di soggiorno non puoi andare da nessuna parte?
Ecco allora il senso dei CPR dove vengono rinchiusi non i delinquenti pericolosi (per questo le carceri ci sono già…), ma le persone semplicemente senza il permesso di soggiorno.

Ma c ‘è veramente bisogno di questo permesso?
In realtà basterebbe un semplice documento di riconoscimento, come può esserlo una carta d identità, rilasciato o rinnovato a tutti dopo un più rapido e strutturato sistema di identificazione, che non può presupporre la privazione della libertà.
Una carta d identità utile per studiare, lavorare, crescere i propri figli e viaggiare senza essere discriminati per la provenienza e per la povertà.

Parole e figure /
È primavera

Aspettando la primavera con un delicato albo illustrato di Davide Calì e Richolly Rosazza, “E’ primavera, signor Alce”, di Kite edizioni.

Torna il signor Alce, con un libro che ci fa sognare la primavera, quella stagione fatta di novità e voglia di rinascita.

Davide Calì e Richolly Rosazza riportano in libreria le avventure di questo magnifico personaggio, con l’albo dai colori tenui “E’ primavera, signor Alce”, edito da Kite edizioni.

La primavera è fatta di attese, di novità, di voglia di ricominciare, di continue riscoperte, di tenui profumi che avvolgono, quelli del miele e dei fiori che sbocciano. Oziando e giocherellando fra i prati, le colline, le montagne e le nuvole. Con tenerezza.

La neve è ormai sciolta, ne resta solo qualche mucchietto a testimonianza dell’inverno che fu. C’è voglia di nuovo nell’aria, desiderio di giocare, di perdersi fra le ali degli uccellini che fanno il nido, di vita che sboccia, che ritorna al felice tepore dei tiepidi raggi mattutini del sole. Ritorna la magia dei tramonti rosa-celesti che arrivano più tardi.

Come tutti gli esseri viventi, il signore Alce vuole partecipare a questa festa, in compagnia degli amici più cari. Ed ha pure appetito, voglia di patatine novelle fatte al forno. Un rimedio contro il raffreddore del suo amico Bruno, un simpatico orso. O meglio, il simpatico orso che aveva conosciuto ne “Il signor Alce”, degli stessi autori, sempre di Kite (2021).

Alce, all’arrivo della primavera, sente il bisogno di novità: pulire la casa, mettere fiori sul davanzale o in giardino, comprare nuovi oggetti, lavare le tende, togliere la polvere. Mi viene in mente un bellissimo libro di Marie Kondo sul magico potere del riordino.

Eccolo allora pronto ad uscire di casa per acquistare narcisi e tulipani, presine e strofinacci. E poi, ora che ha un amico, gli serve una padella più grande per una gustosa frittata da preparare con erbe gustose. Anche se la primavera si avvicina, la sera, in casa è fresco. Con il suo amico Bruno eccoli allora pronti ad una bella cenetta davanti al camino acceso scoppiettante. L’indomani si può anche andare al lago a pescare, le canne sono nel capanno degli attrezzi…Ma che terribile disordine!

Quante cose accatastate, Alce non butta via davvero nulla, tutto può servire prima o poi. L’occasione per riordinare un po’, insieme a Bruno, riparare la porta del capanno e sistemare. Panino, riposino e tuoni.

Imprevisti che portano altri imprevisti e sorprese, imprevisti che fanno cambiare i piani. Ogni gioco ricomincia, nuove idee. Un albo che celebra l’amicizia e la bellezza dello stare insieme anche quando le cose non vanno come si era immaginato.

 

Perché la vita è meravigliosa, tutta una sorpresa. Basta essere fra amici.

Davide Calì, Richolly Rosazza, È primavera, signor Alce, Kite, Padova, 2024, 32 p.

Libri per bambini, per crescere e per restare bambini, anche da adulti.
Rubrica a cura di Simonetta Sandri in collaborazione con la libreria Testaperaria di Ferrara

Eroi

Eroi

In “La vita di Galileo” (1938), il drammaturgo tedesco Bertolt Brecht scrive che lo scienziato, dopo aver rinnegato di fronte all’Inquisizione la sua teoria sulla rotazione della Terra, consegna all’allievo Andrea il suo quaderno di appunti che confermano le sue teorie, chiedendogli di diffonderle.
Andrea esclama entusiasta: “Sventurata la terra che non ha eroi!”, riferendosi al coraggio di Galileo Galilei che, in questo modo, sfida le idee imperanti e i poteri costituiti, anche se indirettamente.
Il Maestro lo corregge replicando: “Sventurata è la terra che ha bisogno di eroi!”.

Una frase che non ha mai perso d’attualità per il sottile significato che sottende. Ai nostri giorni, davanti a uno scenario planetario oscurato da precarietà, incertezza e assenza di prospettive nitide e rassicuranti, reagire in maniera forte e scuotere le coscienze solo davanti all’eroismo è un segno del fallimento di una società o nazione, perché significa delegare al gesto del singolo quello che invece dovrebbe richiamare alla corresponsabilità di tutti. Eppure, è altrettanto vero e innegabile che l’attrazione collettiva verso la figura eroica appartiene strettamente alla nostra storia di esseri umani: chiediamo eroi veri, con un codice d’onore, spirito di sacrificio e immenso coraggio, liberi da qualunque consorteria, dalla politica manovrata da partiti e lobby finanziarie.

Abbiamo ancora bisogno di un eroe che gridi affermazioni altrimenti taciute, che rompa gli schemi dell’ipocrisia, del “politicamente corretto” e delle distorsioni culturali. Forse siamo “sventurati” proprio perché abbiamo bisogno di eroi, che non sono i muscolosi protagonisti dei reality di sopravvivenza, né i blasonati, a volte eruditi, ospiti dei talk-show che inveiscono con toni accesi l’uno contro l’altro, piuttosto che i mutevoli personaggi del gossip e del red carpet.
Gli eroi che vorremmo sono altro, archetipi che riflettono esperienze comuni che tutti gli umani hanno condiviso in milioni di anni di evoluzione e ci preparano a queste esperienze comuni, ben consapevoli che, come ebbe a dire lo scrittore Charles Bukowski, “Per ogni Giovanna d’Arco c’è un Hitler appollaiato dall’altra estremità dell’altalena. La vecchia storia del bene e del male.”

Gli eroi sono figure che ci rivelano le nostre qualità mancanti, ci salvano nelle difficoltà, ci sollevano dalle cadute, ci offrono speranza, risolvono problemi, consegnano giustizia. Soddisfano i nostri bisogni fondamentali quali la sopravvivenza, la cura, la crescita, la sicurezza, la felicità, la saggezza.
Ogni epoca ha i propri eroi e oggi il concetto di eroismo viene identificato anche nella gente comune, sulla scena della vita quotidiana dove l’eroe agisce non per se stesso ma per il bene collettivo. Eroi meno utopici e perfetti, forse, ma molto più raggiungibili e vicini. Sono gli eroi senza spada e armatura, armati solo della loro forza interiore, della convinzione che il loro tributo, unito a quello di tutti, riesca a creare equilibrio, a prendersi cura della collettività, a richiamare sui temi dell’equità, giustizia, pace e dissenso verso qualsiasi voce delle dittature, per continuare ad essere “umani”.
L’eroe è qualcuno che non abbia paura della notte e tenga lo sguardo fermo davanti a sé, indicandoci il cammino più giusto da percorrere.

“Gioverà ricordare. Meminisse iuvabit”.
Lettera aperta a Daniele Olschki

“Gioverà ricordare. Meminisse iuvabit”.
Lettera aperta a Daniele Olschki.

Caro Daniele,

ho trovato con tanto ritardo (sono stata quasi un mese a Parigi) il tuo Meminisse iuvabit. Stampa raffinata, come si addice alla casa fondata dal grande Leo Samuele Olschki; scrittura, la tua, misurata ed intensa. Bella anche la prefazione di Liliana Segre.
Un piccolo gioiello, insomma, che turba per l’inadeguata risposta che la “dolce terra latina” dette a un colto poliglotta di origine tedesca spinto in Italia dal culto di Dante e dalla passione per gli studi, la cultura, i libri. Si soffermano, le tue pagine, sulla germanofobia del primo dopoguerra che già utilizzava accuse razziste, e sui danni, forieri di ben più gravi disgrazie, inscritti nel nazionalismo e nella difesa della “cultura nazionale” (sintagma che si sente tristemente risuonare anche oggi).

Tu accenni alle ‘delazioni’ a cui Leo fu costretto da richieste ministeriali: in realtà non avrebbe potuto cavarsela con maggiore reticenza e eleganza, richiamando, a giustificazione delle sue parziali risposte, l’unico criterio di conoscenza che aveva dei suoi autori. Anche oggi a colpire è l’assoluta eccellenza dei nomi che avrebbero dovuto essere oggetto di censura/persecuzione: Oskar Kristeller, Paolo D’Ancona, Leo Spitzer, Santorre Debenedetti… Nomi mito per ognuno di noi.  Meminisse iuvabit. Giova davvero ricordarlo.

A Parigi ho visto un film perturbante, uno dei più forti che si possano ormai vedere sulla Shoah: Zona d’interesse. Un quadro vero e agghiacciante sulla vita di una famiglia tedesca (quella del comandante Rudolf Höss) in una bella dimora al confine del campo di concentramento di Auschwitz di cui non si vedono altro che fumo, e fiamme, la notte.

A Villa Seurat (una bella strada del XIV nota per i suoi atelier d’artista in stile modernista dove hanno abitato, per fare solo qualche nome famoso, Henri Miller, Anaïs Nin, Antonin Artaud, Alberto Magnelli…) ho visitato il museo di Chana Orloff, un’ebrea ucraina diventata francese a cui furono ritirati nazionalità e Legion d’onore per il suo essere ebrea. Disperse o distrutte le sue sculture, si possono vedere, a Villa Seurat, appunto, e in una mostra al Museo Zadkine, quelle che sono state avventurosamente recuperate.
Al Museo Picasso invece, sempre in questi giorni, la mostra su Leonce Rosemberg ricostruisce l’interno della casa che il grande gallerista aveva decorato con i quadri della grande pittura cubista e moderna: Picasso, Savinio, Max Ernest, Léger, Picabia… Leonce, fratello d’ancor più grande gallerista, scopritore di talenti Leon, costretto a fuggire mentre le sue collezioni, accusate di rappresentare l’arte degenerata, venivano sequestrate e disperse…

Chiudo ricordandoti una delle mostre più commoventi che ho visto nel 2021 al MahJ (Musée d’Art et d’Histoire du Judaïsme): quella, sempre parigina, sull’École de Paris. Tanti artisti, per lo più stranieri ed ebrei che si trovarono nella ville lumière nei primi decenni del Novecento. Tra loro Marc Chagall, Sonia Delaunay, Amedeo Modigliani, Chaïm Soutine…
Quelli che non aveva ucciso la miseria, li uccisero l’intolleranza e la guerra.

Caro Daniele, come recita la tua dedica: in ricordo di giorni che ci auguriamo di non rivivere più, ti saluta con affetto
Anna

Il Volume:
Daniele Olschki, Gioverà ricordare, Meminisse iuvabit, prefazione di Liliana Segre, Firenze, Olschki, 2024, €10.

Guerra: armiamoci e partite?
Partite voi, io preferisco di no

Guerra: armiamoci e partite?  Partite voi, io preferisco di no

Ursula Von Der Leyen, presidente della Commissione Europea, dichiara: “La minaccia di guerra potrebbe non essere imminente, ma non è impossibile. I rischi di una guerra non dovrebbero essere esagerati, ma dovrebbero essere preparati. E tutto ciò inizia con l’urgente necessità di ricostruire, rifornire e modernizzare le forze armate degli Stati membri. Così facendo, l’Europa dovrebbe sforzarsi di sviluppare e produrre la prossima generazione di capacità operative vincenti. E per garantire che disponga della quantità sufficiente di materiale e della superiorità tecnologica di cui potremmo aver bisogno in futuro. Ciò significa potenziare la nostra capacità industriale della difesa nei prossimi cinque anni”.

Il presidente della Francia Emmanuel Macron dichiara “faremo tutto quello che è necessario per impedire che la Russia vinca la guerra” e aggiunge: “Non c’è consenso al momento sulla possibilità di inviare in maniera ufficiale truppe di terra. Ma in termini di opzioni sul campo, non possiamo escludere niente”.

Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno, dice: “Il Recovery Fund è stato specificamente costruito per tre principali azioni: la transizione verde, la transizione digitale e la resilienza. Intervenire puntualmente per sostenere progetti industriali che vanno verso la resilienza, compresa la difesa, fa parte di questo terzo pilastro”. “Resilienza” un tempo era una parola affascinante, adesso è stata talmente stuprata da diventare un vocabolo odioso.

Questi sono alcuni dei più accreditati statisti o alti funzionari contemporanei, annoverati peraltro tra le file dei “moderati”. Essi stessi si presentano in questo modo all’opinione pubblica, quando vogliono essere votati per arginare i populisti e gli estremisti. Non erano mica ubriachi quando hanno pronunciato queste frasi. Il che è un’aggravante, perché una sbronza si perdona anche a uno statista, una lucida follia è imperdonabile.

Questi “statisti” mostrano di stare ignorando totalmente l’avvertimento che il pianeta Terra ha dato alla specie umana con la pandemia da Covid-19: se vai avanti così, con questo modello di sviluppo globalizzato che globalizza anzitutto i disastri economici, ambientali e sanitari, rischi di danneggiarmi e danneggiarti in modo da non poter più vivere qui. Almeno tu, specie umana. Si dice che l’uomo, nonostante la storia, non impara dai propri errori. Non impara nemmeno dalla cronaca, perché la pandemia è ancora cronaca recente ed è già stata messa tra parentesi, come la crisi finanziaria del 2008: incidenti di percorso lungo la strada dello sviluppo illimitato. Ma sviluppo di che cosa?

La top ten mondiale di chi investe in armamenti:

  • Vanguard $92bn
  • State Street $68bn
  • BlackRock $67bn
  • Capital Group $55bn
  • Bank of America $45bn
  • JPMorgan Chase $33bn
  • Citigroup $28bn
  • Wellington Management $27bn
  • Wells Fargo $25bn
  • Morgan Stanley $24bn

La top ten europea di chi investe in armamenti:

  • BNP Paribas , Francia,  $14 mld
  • Deutsche Bank, Germania, $13 mld
  • Crédit Agricole, Francia $10 mld
  • Société Général, Francia, $7 mld
  • UBS, Svizzera, $7 mld
  • Barclays, UK, $6 mld
  • Groupe BPCE, Francia, $6 mld
  • Legal & General, UK, $5 mld
  • Santander, Spagna, $5 mld
  • Banco Bilbao Vizcaya Argentaria – BBVA, Spagna,  $5 mld

(Fonte: leggi qui)

Noi occidentali ricchi e satolli – chi più, chi meno – siamo un’avanguardia della decadenza (che sinistra assonanza con il brand del principale investitore in armi del pianeta). Facciamo vedere in anticipo quello che il genere umano diventa quando sta troppo tempo in pace e quando ha la pancia troppo piena. Quindi prima o poi, se non ci estinguiamo prima, arriveranno lì anche il continente africano e i territori più poveri dell’Asia, che vogliono avere il sacrosanto diritto di inquinare e depredare anche pro bono loro – ma il primo bene sarà sempre delle grandi corporation, le organizzazioni più potenti del mondo, più degli stati sovrani. Questa è la strada tracciata dalle illuminate democrazie e dalle torve autocrazie, accomunate dall’idolatria del denaro e delle merci. Le prime iniziano armando le mani altrui – stupri massacri stragi sì, purché fuori dal cortile di casa mia – per non far mostra di sporcarsi le proprie; le seconde questo problema non se lo pongono nemmeno. Adesso però alle prime cominciano a prudere le mani, perchè le più potenti lobbies del mondo (vedi sopra), che hanno pagato anche le costose campagne elettorali dei loro governanti, non si accontentano di profitti enormi: pretendono profitti illimitati. La cosa beffarda è che questi enormi padroni del vapore pagano i funzionari pubblici per andare al governo a rappresentare i loro interessi, e poi eleggono domicilio fiscale in luoghi-non-luoghi che permettano loro di pagare il minimo di tasse possibili. Così gli Stati sono governati da persone che sono poco più di loro emissari, e quegli stessi Stati non hanno le risorse fiscali per finanziare sanità e previdenza per i loro cittadini. Anche questo restituisce la misura dello spessore di certa politica contemporanea.

Tanto se la Terra diventa invivibile si va sulla Luna. Sulla Luna o su altri satelliti o pianeti: si vedrà, grazie al genio folle – riservato a pochi riccastri – di Elon Musk. I pionieri della nuova frontiera appaiono destinati comunque a portare profitti, sfruttamento, religione del denaro, guerra e morte ovunque mettano piede nella Galassia. E’ solo questione di tempo. La fantascienza non ha più senso, perchè la realtà la supera in potenziale distopico. E’ come la satira in Italia, diventata impossibile perchè la realtà è già una caricatura.

Ormai solo una piccola parte delle guerre richiede la partecipazione attiva su terra dei soldati in carne e ossa, essendo il grosso combattuto dall’aria. Sarebbe spettacolare che le forze armate si trasformassero in un gigantesco scrivano renitente e si rifiutassero di combattere guerre per conto di “statisti” che le dichiarano ma non le fanno mai.

Sfortunatamente, è impossibile che accada. L’unica forma di renitenza possibile diventa quindi personale. Quello che ti tirano contro usalo a tuo favore, come si fa nelle arti marziali. Immergiti nel mito individualista thatcheriano: la società non esiste, esistono gli individui. Ottimo. Quindi, se ti chiedono di andare in guerra per la tua “nazione”, per il tuo “paese”, fai come Bartleby, lo scrivano del racconto di Melville: digli “preferirei di no” e scappa. Scappa dove non ti prendono, o almeno provaci. Immagina che non ci siano patrie, e che non ci sia religione, niente per cui uccidere o morire…  Non servirà a nulla, ma almeno non ti pentirai di essere nato umano.

Diario in pubblico /
Le mummie: scopo e senso della mummificazione televisiva

Diario in pubblico. Le mummie: scopo e senso della mummificazione televisiva

Va bene! Continuo a disubbidire agli amici “seri”, che mi rimproverano silenziosamente la mia frequentazione televisiva e non tanto alla ricerca di programmi adatti al mio cervello (!), quanto alla compulsiva attenzione a quelli cosiddetti ‘popolari’.

Una particolarità risulta subito evidentissima: si tratta nella maggior parte dei casi di persone che hanno abbondantemente raggiunto la terza età. Che spettacolo! Rifatti, ritinti, ripanneggiati, spremono la lacrimuccia d’obbligo, vedendo i trionfi dell’età del successo. E il sadico conduttore immediatamente richiede di ricantare la canzone del loro successo, o di ballare (siamo quasi nel mostruoso) con le mossette del tempo che fu.

Rifletto. È un’attenzione alla gloria che fu, o un cadaverico avvertimento di quanto resta del tempo e della vita? E qui si può comparare la differenza abissale tra chi esercita il mestiere delle arti e chi invece rivive un successo affidato a una canzonetta o a un balletto.

Uno scrittore, un artista diventa sempre più attuale man mano che tocca le soglie di un’età più che matura e dona ai più giovani la realtà, il senso della vita, il futuro. Nell’altro caso si svolge la funzione di mummia. Gli artisti sono il futuro proprio nel presente e nel passato. Gli altri assolvono una funzione cadaverica.

C’è una splendida réclame (mi si passi il termine antico), in cui Dracula non riesce a fissarsi i denti che gli permetterebbero di svolgere il suo mestiere e di sfamarsi. Miracolosamente una pasta fissativa gli restituisce denti e fame. Questo è emblematicamente la funzione delle mummie televisive.

Ovviamente la tv non è solo questo. Straordinari vecchi riescono a ringiovanire idee e sentimenti. Penso a Corrado Augias tra i primi, oppure alla generazione della mezza età, dove spiccano nomi straordinari: Fazio, Littizzetto, Crozza, Signoris, Gramellini, Berlinguer, Sigfrido Ranucci, e l’inscalfibile Gruber, Merlino, tanto per citare quelli più famosi, sempre attenti a non mummificare l’attualità.

Così è possibile ascoltare la tv generalista. Ti puoi imbattere in una grande giornalista che ti dà le notizie da Parigi, o in uno altrettanto famoso da Londra, che non ha sdegnato di danzare in Ballando con le stelle.

Certo non ci si può sottrarre al gioco, ma è altrettanto giusto prenderne le distanze e non lasciarsi mummificare.

Basta solo esserne consapevoli.

Per leggere gli altri articoli di Diario in pubblico la rubrica di Gianni Venturi clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

Lo stesso giorno /
4 marzo 2005. Il Caso Nicola Calipari

4 marzo 2005. Il Caso Nicola Calipari: intrighi, depistaggi, l’omicidio

C’è chi oggi, 4 marzo, parlerà della canzone di Lucio Dalla, di quando fu censurata e di tutte le censure nel campo della musica e soprattutto dei film.

Quello che però successe il 4 marzo 2005 non è ne una canzone ne un film.

Giuliana Sgrena, giornalista de Il Manifesto, era stata appena liberata dopo essere stata sequestrata da terroristi in Iraq.
Le polemiche sulla sua liberazione, anzi sul fatto che fosse li, durante una guerra da inviata, non tardano ad arrivare, soprattutto da destra. “Milioni spesi per liberarla”, “se è stata violentata se l’è cercata”, anzi no, insomma alla fine si parlerà di un riscatto di 5 milioni.

Perché il governo ha dovuto pagare? Lei è andata di sua iniziativa”.

Questo il livello di empatia della destra su una connazionale li per fare il proprio lavoro. Un lavoro rischioso si, ma importante, senza il quale non avremo coscienza degli orrori delle guerre.

Ma il 4 marzo è l’uccisione del funzionario del SISMI Nicola Calipari che aveva il compito di accompagnare la Sgrena in aeroporto.
Siamo in Iraq e c’è la guerra. E quello che succede in guerra viene filtrato, censurato, smentito, oscurato.

Sappiamo che l’auto su cui viaggiavano Calipari, Sgrena e altri due funzionari italiani, ad un check point americano, fu fermata e “bombardata” di proiettili di cui uno colpi il funzionario alla testa.

Alla fine si scoprirà perfino il nome del soldato americano che esplose i colpi per fermare l’auto: Mario Lozano (New York, Bronx, 1969), addetto alla mitragliatrice al posto di blocco, appartenente alla 42ª divisione della New York Army National Guard.

Non ci sono però spiegazioni ma solo illazioni. Da chi vuole credere che sia stato tutto un complotto per uccidere Calipari, chi per rubare il riscatto, chi da la colpa ad un problema di comunicazione e via dicendo: ogni teoria è buona.

Se volete c’è pure la pista malavitosa che porta ai fratelli Notargiacomo (appartenenti alla cosca di Cosenza dei Perna) e su cui Calipari ha investigato per la questura.

La verità però ad oggi (19 anni dopo) è una sola: il soldato che ha sparato non è stato giudicato in Italia perché non di competenza territoriale, nel senso che i problemi gli americani se li risolvono a casa loro (ricordate il Cermis?). Per l’omicidio Calipari nessuno soldato americano è mai stato processato quindi, nessun mafioso condannato, nessun funzionario del SISMI inquisito, nessun Sig. Ministro coinvolto, nessuna giustizia.

Nel 2011 Wikileaks ha pubblicato un cable risalente al 9 maggio 2005 in cui l’ambasciata americana a Roma conferma che “lascerà fare” nel mostrare la nostra versione (“tragico incidente”), senza fornire alcun contraddittorio. In fondo perché chiedersi come mai più di 30 auto che avevano attraversato il posto di blocco solo una è stata presa a mitragliate?

Nella foto di copertina: l’arrivo a Ciampino della salma di Nicola Calipari, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi rende omaggio (©Mauro Scrobogna / Lapresse)

Per leggere gli articoli di Nicola Gemignani clicca sul nome sull’autore o sulla rubrica Lo stesso giorno.

“Progetto Marcovaldo”: Ferrara, una possibile città dentro un parco.
Unife, Dipartimento Architettura, 5 – 18 marzo

“Progetto Marcovaldo”: Ferrara, una possibile città dentro un parco.
Unife, Dipartimento Architettura, Pal
azzo Tassoni, martedì 5 marzo, 14,30-18,30

Martedì 5 marzo 2024 presso il Salone d’Onore di Palazzo Tassoni, Dipartimento di Architettura-UNIFE, Via Ghiara 36 si svolgerà il seminario “TRA LE MURA E GLI ALBERI. FERRARA UNA POSSIBILE CITTÀ DENTRO UN PARCO”

Il seminario è collocato all’interno di un progetto culturale denominato PROGETTO MARCOVALDO. LE NATURE IN CITTÀ che vedrà confrontarsi nei prossimi mesi paesaggisti e urbanisti sui temi del rapporto tra natura e città. Tale progetto oltre alla nostra università coinvolge anche l’Università di Firenze e il Politecnico di Milano dove si svolgeranno altri due seminari. Le colleghe coinvolti sono le Prof.sse Anna Lambertini, paesaggista di UNIFI e Laura Montedoro, urbanista, POLIMI, oltre al gruppo di ricerca del CITERlab di UNIFE.

Lo scopo è di affrontare il tema generale del rapporto tra natura e città partendo dalle esperienze e problemi specifici di tre città italiane: Ferrara, Firenze e Milano che rappresentano la varietà e complessità del fenomeno urbano italiano.

Ferrara, anche in ragione delle sue dimensioni, potrebbe diventare una città dentro un parco: con il suo centro storico, le sue aree agricole dentro le mura e nelle fasce periurbane, il suo vallo, i quartieri operai, costruiti a nord e quelli popolari a sud, molti di questi ricchi di giardini che vanno connessi in una rete, le aree infrastrutturali da trasformare in giardini lineari e servizi ecosistemici, la sua archeologia industriale, il suo reticolo idrografico. L’università è uno degli attori di questo processo, vista la sua diffusione dentro la città e potrebbe mettere a disposizione dei suoi studenti e dei cittadini, una serie di “giardini della conoscenza”, intesi come spazi aperti attrezzati per consentire lo studio individuale così come per organizzare momenti di studio collettivi o attività culturali aperte alla città.

Il seminario, partendo da ricerche e riflessioni progettuali elaborate in questi anni, intende porsi come riflessione su alcune pratiche discutibili, in corso, in città:

–       spazi pubblici, usi privati, per una rinnovata tutela dei beni comuni;

–       l’impatto dei grandi eventi sui luoghi storici e naturali;

–       retorica del verde e riqualificazione urbana speculativa;

–       la mobilità pubblica e la retorica della piantumazione dell’albero come soluzione all’emissione di gas climalteranti generati dal traffico;

–       l’università come attore di rigenerazione urbana e componente della trama verde urbana, per il riuso di spazi pubblici oggi non disponibili per la città;

–       La natura nella città storica.

In occasione del seminario si aprirà anche l’esposizione intitolata come il seminario: “TRA LE MURA E GLI ALBERI. FERRARA UNA POSSIBILE CITTÀ DENTRO UN PARCO”, dove verranno presentati i progetti per Ferrara elaborati, in questi ultimi anni, in otto tesi di laurea del Laboratorio di sintesi finale in Urbanistica, coordinato dal Prof. Romeo Farinella. L’esposizione organizzata nell’androne al piano terra di Palazzo Tassoni rimarrà aperta fino al 18 marzo 2024.