Le storie di Costanza. Novembre 2062 – Il piastrino medicale
A novembre c’è la nebbia e si mangiano le castagne arrosto. Zeus-t le deposita ancora bollenti nelle ciotole di legno e le trasporta volando ai commensali. Buone e calde sanno d’autunno e di tepore, sono gialle e dolci. Mi trovo a casa della prozia Costanza e della nonna Cecilia in via Santoni Rosa. Qui abitano i ‘santoniani’, buona parte dei miei parenti.
Sono le sedici, sono tornata da Trescia e invece di andare dritta a casa mia, ho fatto una deviazione girando in questa via stretta e corta dove abitano i miei nonni e i miei zii. Mi piace venire in questa casa, perché la prozia mi dice sempre che sono bella e brava, perché la casa è accogliente, perché i canarini che qui vivono, sono colorati e canterini e mi allietano le giornate con la loro presenza saltellante.
Pit-x è l’uccellino meccatronico che abita nella voliera di Costanza. Saltella sempre di qui e di là e fa girare la testa velocemente, un piccolo periscopio sempre in movimento. Mi sono seduta in terra sul tappeto di mollan che è posizionato in parte sotto la voliera e in parte la precede, creando una piccola area coperta dove è piacevole riposare.
Sono qui senza scarpe, con i jeans e un maglione, i capelli legati, alcuni braccialetti di stoffa colorata legati al braccio sinistro, vicino al cinturino dell’orologio, me li ha regalati Dylan.
Sul braccio destro ho invece posizionato il piastrino medicale, piccolo computer che serve per rilevare l’eventuale anomalia dei miei parametri vitali. È collegato ad una grossa macchina dell’ospedale, in modo che se succede qualcosa, i sanitari mi chiamano e io vado là per farmi curare.
Per fortuna non capita quasi mai che delle persone vengano allertate per recarsi urgentemente dai medici. I controlli periodici bastano per scongiurare la presenza di malattie gravi e il piastrino dorme silente attaccato al braccio. Molte persone non lo vogliono, dicono che quell’affare mette ansia e che non si può permettere ai medici di spiare continuamente lo stato di salute della gente.
Facciano come preferiscono, io lo voglio, a me piace averlo al braccio, lo trovo tranquillizzante. So che, se mi dovesse succedere qualcosa di grave, ci penserebbe il piastrino ad aiutarmi.
Quasi tutti i miei compagni di università lo usano, mentre molte persone anziane lo detestano, lo considerano un’intrusione inaccettabile nella normalità della loro vita.
Credo che questa opposizione di vedute sia proprio un segnale dei tempi che passano. I giovani trovano normale e utile portare il piastrino, gli anziani il contrario. Non fa parte della loro storia, delle loro abitudini. Quel piccolo computer da polso è un forte indicatore di come la meccatronica e i suoi apparecchi accompagnano la nostra vita, praticamente in tutto. A noi giovani sembra normale, ai vecchi sembra intrusiva la sua presenza e coercitivo il suo uso.
I piastrini sono graziosi. Ci sono sia monocolore sia variopinti e alcuni hanno anche delle piccole pietre incastonate. Il mio ha un brillantino minuscolo che lo fa luccicare quando il braccio è girato in modo da incontrare direttamente la luce. Sul mio polso brilla per un attimo una piccola stella, poi la luce scompare e resta la presenza di quell’oggetto che ci conosce alla perfezione.
Sa quanti battiti ha fatto il nostro cuore da quando siamo nati, quanti ne ha fatti nell’ultimo anno, nell’ultimo giorno e nell’ultima ora.
Sa più di quanto ne sappiamo noi della nostra salute, forse è proprio questo tipo di sapienza che fa paura, a cui bisogna abituarsi un po’ alla volta. I nativi del piastrino sono diversi dagli altri esseri umani, hanno incorporato dentro la loro percezione corporea (ciò che è il loro corpo) un apparecchio che li aiuta ma non è congenito, è tardivo e applicato.
Il piastrino può anche essere portato come un collare legato al collo. Una specie di collana un po’ rigida che manifesta la sua presenza quotidianamente. A me messo al collo non piace, sembra un po’ un collare per cani, un po’ un monile di una sfinge egizia e un po’ un cappio. Troppo impegnativo e omologante. Lo preferisco al braccio, è più discreto, più anonimo. Accompagna senza invadere, è presente in maniera meno aggressiva.
Quanto il nostro corpo sia autentico e quanto sia bionico, cioè aiutato da apparecchiature costruite, rende alcune considerazioni sulla durata della vita e sulla sua qualità, attuali. Retine finte, dita finte, fegati prodotti in laboratorio, impianti ed espianti di quasi tutti gli organi vitali, farmaci che fanno crescere e rimpicciolire organi esistenti, potenti intromissioni sui DNA dei bambini, quanto su quello degli anziani. Molte malattie scomparse, altre appena arrivate. Una vita lunga, piena di accidenti. Questo è quello che ci garantisce quest’anno che si avvicina alla fine.
Novembre è il penultimo mese dell’anno. Se uno guarda fuori dalla finestra capisce il perché. È un anno vecchio quello che ci accompagna in questi giorni, tetro. Ha già vissuto la primavera e l’estate, i suoi giorni migliori sono sbocciati tra i fiori e si sono arroventato col caldo di agosto.
Settembre ha ingiallito le foglie e colorato d’azzurro il cielo, ora restano novembre e dicembre e poi un nuovo anno arriverà con tutti i suoi campanelli. Come quello della befana, che il nuovo anno accompagna. Novembre è grigio e nebbioso, novembre è buio. Eppure, a me piace. Si può stare seduti sul tappeto e leggere, parlare, pensare, fantasticare. Fare ipotesi su come sarà il Natale, su come sarà il prossimo anno.
Quando il tempo col suo grigiore lascia spazio alla fantasia umana come forme di rimedio e sollievo, nascono i migliori pensieri, il cervello si rigenera in un processo introspettivo che non ha bisogno di riscontri che vengono dai tramonti rossi e dalle mattine bianche e brillanti. Il pensiero di novembre si rigenera nel cervello e nel cuore. Trae linfa vitale dai ricordi e sostanza nelle aspettative.
Qui seduta sul tappeto sto pensando che per Natale regalerò un piastrino a Dylan, il mio migliore amico. Credo che ne sceglierò una versione semplice, color metallo con sfumature azzurre. Lo vorrei quadrato con il cinturino di cauton trasparente.
Il cauton è un polimero traspirante e leggerissimo, un cinturino di cauton pesa circa due grammi. Come non averlo. Così uno si dimentica il piccolo computer da polso e convive con esso come con i suoi capelli e le sue unghie. Dylan ne ha già uno, ma si lamenta perché dice che è troppo grande e colorato. In realtà è a strisce rosse, bianche e blu. Ricorda la bandiera francese. È ora di cambiarlo e di renderlo più moderno, ci sta.
Pensando al regalo da fare a Dylan mi torna in mente che, circa dieci anni fa, alla prozia Rachele è successa una disavventura. Davanti alla palazzina dove abita a Torino c’è un tombino. In una mattina piovosa la prozia è scivolata sull’asfalto davanti a casa e, per mantenersi in piedi, si è appoggiata con il braccio destro al muro vicino. La malaugurata sorte ha voluto che, a causa dell’urto violento del polso contro il muro, il piastrino si sia staccato e sia caduto nel tombino.
Così sono iniziate tutta una serie di manovre per recuperarlo, prima compiute direttamente da Rachele e poi da buona parte del vicinato che un po’ alla volta, allertato dalla strana posizione semisupina della prozia davanti alla porta di casa, si è avvicinata per portare il suo aiuto a quella povera donna sofferente.
La sofferenza non dipendeva però da un problema fisico appena insorto e la strana posizione non era causata da un malessere improvviso, ma semplicemente dal fatto che la prozia era stesa a terra e aveva infilato il braccio nel tombino per recuperare il suo piastrino. Nel tombino sono così stati inseriti pezzi di stoffa, di plastica, fil di ferro, uncini più o meno lunghi, stringhe, lacci per le scarpe, fibbie, corde con piccoli arpioni fissati in testa. Non c’è stato niente da fare, in piastrino è rimasto sul fondo del tombino.
Dopo diversi tentavi la prozia e i vicini si sono trovati tutti bagnati e doloranti per strada e l’impresa è stata abbandonata, anche perché, come tutti gli apparecchi meccatronici, anche i piastrini temono l’acqua e quello di Rachele era ormai inzuppato e moribondo.
È stato Pino a decidere che era ora di abbandonare l’impresa di recupero: “lasciamolo lì, ormai non c’è più niente da fare, portiamo in salvo noi stessi da questa pioggia, prima che ci venga la polmonite”. Alcuni vicini si sono adeguati subito alla proposta, altri hanno messo in atto un ultimo tentativo di recupero, per poi abbandonare definitivamente l’impresa.
Il piastrino medicale, ormai fuori uso, è stato recuperato il giorno dopo da un netturbino. Dopo essere stato ripulito, è stato deposto in uno dei cassetti del comodino di Rachele, come ricordo nefasto di quel che può succedere nelle giornate di pioggia. Per comprarne uno nuovo ci vuole circa uno stipendio di un impiegato, non uno sproposito, ma nemmeno un nonnulla. Ci sono anche sottomarche che hanno prezzi molto più bassi per chi non può permettersi altro.
Esiste anche una diatriba politica sul fatto che sia o non sia il caso di fornirlo a tutti gratuitamente, di fornirlo facendo pagare solo il ticket, di renderlo gratuito solo per i giovani, solo per gli anziani. Il dibattito prosegue e non sembra volersi arrestare. Intanto il tempo passa, e gli strilli dei politici riempiono la piazza.
Di fatto, ognuno compera il piastrino in base ai soldi che ha. Due anni fa io e mio fratello Gianblu ne abbiamo regalato uno alla prozia Costanza, per il suo compleanno. Prima ci ha abbracciato e poi ci ha detto con la sua voce squillante: “Grazie ragazzi miei, terrò il vostro regalo nel comodino e quando sarò vecchia vedrò di utilizzarlo!”
La zia ha novant’anni, ma il minicomputer al polso non se lo mette mai. È proprio vero che l’idea di vecchiaia e giovinezza ha una componente di soggettività importante. Anche per il concetto di utilità e non utilità è così, come per quello di salute e non salute, di essenzialità.
Così ognuno continua a fare ciò che vuole, a usare o non usare il piastrino medicale, facendo impazzire i sanitari e rivendicando nella quotidianità l’autonomia di decidere ciò che significa libertà. Viene rivendicata l’autonomia di decidere se la regolarità dei parametri vitali determina l’essenzialità dei giorni che viviamo.
Non so. Mi viene in mente l’accidentalità degli eventi che fanno battere il cuore, il colore delle emozioni e il vento della passione che spira forte e violento. Il cuore che batte forte è uno dei pochi eventi che, qualche volta, riesce a cambiare la nostra vita.
I parametri vitali si alterano e l’esistenza cambia strada senza necessariamente passare dall’ospedale. Allora il piastrino può anche squillare ma nessuno lo ascolta, come quando il navigatore viene spento per ritrovare il senso della strada che si farà. Nel cammino, nel vento, per il tempo che sarà.
N.d.A.
I protagonisti dei racconti hanno nomi di pura fantasia che non corrispondono a quelli delle persone che li hanno in parte ispirati. Anche i nomi dei luoghi sono il frutto della fantasia dell’autrice.
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