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Alcune osservazioni in merito all’intervista di Ilaria Morghen

La nostra intervista al candidato sindaco per Ferrara del Movimento 5 stelle, Ilaria Morghen [leggi], ha suscitato interesse e varie considerazioni. Riportiamo qua quelle espresse da un lettore che esprime circostanziate riserve in ordine ai meccanismi di organizzazione interni al movimento.

1) Alla domanda “La sua candidatura è stata per tutti una sorpresa. Lo è stata anche per lei?” la Morghen risponde “In un certo senso sì, solo dallo scorso autunno sono attivista del meetup Grilli estensi e di recente sono stata selezionata dagli iscritti e poi designata per questo ruolo“. Le affermazioni della Morghen contrastano con quelle che la medesima aveva rilasciato nell’intervista pubblicata sul Resto del Carlino sabato 5 aprile 2014 a pag. 7: allora la Morghen aveva affermato di non essere stata scelta tramite una consultazione di tutti gli iscritti al meetup Grilli Estensi (450 persone) ma solo da 40 persone. La candidata grillina aveva anche affermato che questo piccolo gruppo di 40 persone si era auto-delegato in rappresentanza di tutti i 450 iscritti al meetup Grilli Estensi che, tra l’altro, non sono mai stati consultati in merito all’elezione del candidato sindaco. L’elezione della Morghen infatti ha dato adito a dubbi, perplessità e accuse di poca trasparenza come risulta anche dalla lettera pubblicata dal Resto del Carlino in data 8 aprile 2014 pag. 10. Si nota inoltre che Morghen risulta essersi iscritta al meetup dal 9 gennaio 2014 e non dallo scorso autunno (vedi sito meetup grilli estensi)

2) Alla domanda “Ma se lo spirito è quello della condivisione e del confronto come si giustificano le epurazioni dei dissidenti dal movimento?” la Morghen risponde “Sono mistificazioni della stampa. Grillo e Casaleggio non si sentono mai, al punto anzi da farci desiderare qualche loro consiglio. I gruppi dirigenti sono lasciati liberi di decidere senza condizionamenti“. Nel Movimento 5 Stelle non esiste un gruppo dirigente perchè non è un partito ma un movimento di liberi cittadini e rappresenta una piattaforma ed un veicolo di confronto e di consultazione che trae origine e trova il suo epicentro nel blog www.beppegrillo.it. Il nome del MoVimento 5 Stelle viene abbinato a un contrassegno registrato a nome di Beppe Grillo, unico titolare dei diritti d’uso dello stesso. E’ quindi Beppe Grillo a concedere e a revocare l’uso del nome e del simbolo del movimento (leggi il regolamento).

3) All’affermazione “La sensazione però è che ci sia scarsa tolleranza per le opinioni non allineate” la Morghen risponde “E’ così quando sono espressione di ambizioni personali. Ci sono norme etiche di comportamento che vanno rispettate. Aderire è una libera scelta, prima di diventare attivisti si è sottoposti a un periodo di osservazione. Una volta dentro, le regole vanno onorate”.
I regolamenti interni del meetup Grilli Estensi (il “Regolamento attivisti” è stato “stranamente” rimosso dal sito del meetup – vedi link) sono stati approvati solo a partire dall’ottobre 2013, ben 8 anni dopo la sua fondazione (26 settembre 2005). In questi 8 anni, in assenza di qualsiasi regolamentazione scritta, come è stato gestito il meetup? I regolamenti interni non sono stati approvati mediante una consultazione di tutti gli iscritti al meetup (attualmente 475) ma solamente da parte una piccola cerchia di poche decine persone che si sono autodefinite “attivisti” e che li hanno imposti di fatto all’intero meetup (infatti, come può vedere in fondo alla pagina del regolamento allegato, risulta che alle votazioni hanno partecipato solo poche decine di persone e non risulta da nessuna parte che siano stati convocati tutti gli iscritti al meetup). Oltre a tutto questo, al fine evitare l’ingresso di persone scomode, (molto democraticamente) gli stessi attivisti hanno stabilito che l’aspirante attivista è tenuto ad effettuare due mesi di prova per poi venire confermato o no a completa discrezionalità della stessa assemblea degli attivisti (“I nuovi attivisti passeranno 2 mesi di prova dopo di che verranno valutati nell’assemblea attivisti che deciderà se confermarli oppure no” vedi paragrafo “attivisti“). Non si capisce in base a quali criteri di valutazione l’aspirante attivista possa essere giudicato idoneo oppure no, sembra proprio un sistema poco trasparente architettato ad hoc al fine di impedire che possano diventare attivisti persone non allineate con le posizioni espresse dalla maggioranza. A tal proposito si ricorda che lo scorso novembre all’interno del meetup ci sono state espulsioni di attivisti dissidenti con modalità alquanto discutibili.
Lettera firmata – Ferrara

Gentile lettore,
rispettiamo la richiesta di non divulgare la sua identità e pubblichiamo la lettera che ci pare contenga spunti degni di riflessione. Nel merito delle osservazioni da lei svolte io posso rispondere solo a ciò che espone al punto 1. Nell’intervista – come è prassi – riporto in sintesi quanto con maggiore dovizia di particolari mi è stato riferito. Per quanto concerne le modalità della nomina a candidato sindaco, Ilaria Morghen ha parlato di una consultazione generale fra tutti gli iscritti, dalla quale è scaturita l’indicazione di due figure. Fra di esse, la scelta è stata compiuta da un gruppo ristretto, composto da quarantina di attivisti, a suo dire designati dall’assemblea appunto per dirimere questa sorta di ballottaggio.
A riguardo della data di iscrizione la Morghen ha affermato di avere cominciato a prendere attivamente parte al meetup ‘Grilli estensi’ dallo scorso autunno. E ha anche parlato di un periodo di “osservazione”, preliminare alla formalizzazione del ruolo di “attivista”. Dal sito del meetup ho in effetti verificato che in data 10 gennaio ci sono le felicitazioni per il suo ingresso. Considerando che l’autunno termina il 20 dicembre, anche formalmente siamo lì…

Le questioni che lei affronta ai punti 2 e 3 andrebbero invece direttamente poste a Ilaria Morghen e agli attivisti del meetup.

Se il Pd leggesse bene gli sms!

Se avessero un po’ riflettuto su quei due sms, forse non saremmo a pretendere che un elefante nella cristalleria non possa non provocare un qualche sconquasso, meglio un inizio di rivoluzione. Mi riferisco ai due sms di cui uno inviato a Franceschini e Castagnetti nella circostanza delle dimissioni dell’on. Veltroni da segretario del Pd, in cui era scritto chiaramente “serve un segretario dirompente”; il secondo, inviato ai medesimi, in relazione ai litigi dei quattro “cespugli cattolici” nel Pd (Franceschini – Bindi – Letta – Fioroni) che hanno di fatto annullato la presenza del cattolicesimo democratico nel Pd.
Stiamo parlando ancora del Pd e di quel convegno preparatorio di Orvieto, dove il monito del professor Pietro Scoppola non era stato ben raccolto, anche come risposta a quelle due sigle di partito che non sono riuscite a stare nei nuovi ranghi del dopo ‘900.
Che servisse un’anima, una passione, un sentimento, un percorso del cambia verso era, ormai, nelle cose; il non averlo colto fu un grave errore di cui la politica tutta dovrà rispondere anche per gli effetti che ha prodotto. In politica o si coglie l’attimo e il nuovo clima o tutto diventa più difficile, complicato e critico, soprattutto per il Paese.
Un ragionamento che è trasversale, anche nei campi avversi, anche nelle diversità, negli steccati e nelle profondità dei solchi dove dimora la fragilità dei comportamenti delle persone e delle politiche.
Sul “dirompente” (e parliamo di una figura fuori dagli schemi) ci sono stati moltissimi dubbi, anche dei no e non poche resistenze, più perché rompeva ed andava oltre il sistema, quello dell’ultimo decennio del novecento (il più complicato della storia italiana dal secondo dopoguerra), dove la figura proposta non stava dentro le corde.
Il Matteo correva troppo, troppo forte e non guardava in faccia a nessuno, come in Africa tra il leone e la gazzella, dove la sopravvivenza e la fame sono l’indispensabile per correre. Noi però siano in Europa, meglio in Italia, e qualcuno doveva arrivare e, dopo lo scavalco del secolo, si è presentato. Dell’Africa resta solo l’elefante.
I “cespugli”, almeno i quattro i rimasti, quelli che Andreatta chiamava la siepe dei cattolici in politica, che nei popolari si era ridotta ad un nanismo impensabile, hanno più flirtato, in forme alterne e uno contro l’altro, con lo schieramento diessino già a partite dal duemilasette in ogni appuntamento con le primarie, quasi ad autolesionarsi per interessi di piccolo giardinetto.
Ora non ci sono più, quello che manca non è la loro presenza ma l’aver buttato al macero un’idea di alta politica che il “cattolicesimo democratico” ha espresso, esprime e continuerà a fare, se ne saranno capaci gli eventuali eredi.
L’elefante non ha solo corso e correrà ancora nella sua dirompenza ma, come l’acqua sporca da ricambiare, si è accorto che anche una parte del bambino non c’è più, anzi non la si ritrova più.
Forse abbiamo aperto un discorso ormai lontano e sconosciuto per la nuova generazione che avanza; se poi chiedi a un giovane sotto i trent’anni chi è Aldo Moro e cosa sono le Brigate Rosse, non sa rispondere e potrebbe dirti: un industrialotto e, per il secondo, un brand. Peccato.
Non ci resta, forse, che guardare cosa resta nella cristalleria e provare a raccogliere quei brillantissimi vetri di una vicenda storica che non c’è più.
Non ci piace, però, che questo pezzo del passato, di un’idea, sia visibile solo in un museo, ma sappiamo che la storia potrebbe lasciarci anche questo amaro in bocca.
Ci proviamo, ma sarà difficile e complicato.

Rapporto choc sul gioco d’azzardo, i giovani spendono 1840 euro all’anno

di Alice Magnani

“Il 47% degli studenti delle scuole superiori gioca d’azzardo”. Un dato impressionante quello contenuto nel rapporto presentato qualche giorno fa da Rossella Vigneri dell’Associazione Bandiera Gialla, soprattutto se si pensa che appena due anni fa la percentuale era del 40%. La spesa annuale pro capite dei più giovani per il gioco arriva poi a 1840 euro, circa il doppio di quanto previsto in una busta paga generica. Una prospettiva allarmante quella degli adepti al gioco, oggi più che mai fruibile anche online, che colpisce indistintamente giovani ed anziani, causando gravi sofferenze, oltre che altissimi costi sanitari e sociali per famiglie e Stato. E la notizia peggiore è che, secondo le statistiche, i giocatori sono in continua crescita, spesso incoraggiati da messaggi pubblicitari che alludono a vincite facili. Fra le azioni di sensibilizzazione promosse a livello regionale, un bando di concorso rivolto alle scuole e ai giovani dell’Emilia-Romagna per la realizzazione di uno spot video, nell’ambito del progetto “Contrasto all’azzardo”.

A livello regionale si sono registrati nel 2013 ben 785 ludopatici (ben 179 casi in più rispetto al 2012), con una variazione in percentuale dei casi del 121,8%, rispetto al 2010. A livello nazionale invece, si contano circa un milione di giocatori patologici o ad alto rischio di dipendenza, 10mila persone solo in Emilia-Romagna: un bambino su quattro ha giocato soldi online nel 2013 (dati Eurispes-Telefono Azzurro), mentre un anziano su tre ha un problema di dipendenza (ricerca 2014 Auser, Gruppo Adele e Libera). Ma occorre innanzitutto chiedersi chi ci guadagna dal gioco d’azzardo, che registra un business tra gli 88 e i 94 miliardi di euro l’anno, e si posiziona come terza industria nazionale producendo il 4% del Pil. Le entrate per lo Stato sono infatti passate dal 29,4% del 2004 all’ 8,4% del 2012, mentre la collettività si ritrova a sostenere costi sociali e sanitari tra i 5,5 e i 6,6 miliardi annui. Ma i problemi non finiscono qui, dal momento in cui, tramite il gioco illegale la criminalità organizzata ha guadagnato nel 2012 ben 15 miliardi di euro, con la gestione di 49 clan (dossier Libera ‘Azzardopoli 2.0′).

Prevenzione e cura delle patologie relative al gioco sono già attive in regione e le iniziative crescono di giorno in giorno. “In ogni azienda Usl della Regione – ricorda l’assessore alle Politiche sociali Teresa Marzocchi – i Sert (Servizio per le tossicodipendenze) si sono attivati per mettere a disposizione consulenza, gruppi di auto-aiuto e assistenza sanitaria in comunità”. In Regione sono attivi 9 gruppi di giocatori anonimi, con una media di 200 giocatori che frequentano con continuità. Le associazioni di familiari e amici di giocatori compulsivi attivi in Emilia-Romagna si suddividono in 4 gruppi, a cui partecipano in totale circa 70 familiari. La notizia positiva è il fatto che le persone che si rivolgono ai gruppi sono gli stessi che hanno in precedenza letto il recapito dell’associazione nelle locandine regionali predisposte nel 2013.

Ma il progetto su cui la Regione scommette maggiore attenzione è il progetto “Associati con chiarezza” che vede riunite undici associazioni di promozione sociale (Acli, Aics, Ancescao, Anspi, Arci, Auser, Csi, Endas, Uisp, Mcl e Fitel) insieme per il Codice di autoregolamentazione. Il codice, primo e unico caso in Italia, vuole evidenziare il valore aggiunto delle associazioni di promozione sociale, per promuoverne coesione sociale, spirito di comunità, partecipazione attiva dei cittadini alla vita pubblica e al perseguimento del bene comune. Un codice nato per la massima trasparenza e riconoscibilità del lavoro svolto, per contrastare l’abusivismo associativo, per migliorare la collaborazione con le istituzioni, per informare gli associati delle regole da rispettare e, infine, per marcare la differenza con le attività commerciali. “Le associazioni di promozione sociale si collocano a metà strada tra l’associazionismo e il volontariato – ha detto Marzocchi- riunendo gli associati per i diversi interessi sociali, ciascuno con il suo target di intervento, e rappresentano perfettamente l’area del terzo settore, di cui oggi tanto si parla”. Ora queste associazioni si sono unite per una salda presa di posizione contro il gioco d’azzardo, con l’obiettivo di contrastarlo in tutte le sue forme, sia nelle motivazioni economiche, sia nelle motivazioni etico-educative che implica. Sono tre le azioni previste, da compiere in tutte le province emiliano-romagnole, per valorizzare il Codice: promozione, diffusione, divulgazione del codice; un corso di formazione per i dirigenti delle associazioni e per i funzionari degli enti locali, in collaborazione con Legautonomie e Anci; una campagna di sensibilizzazione sui rischi legati all’abuso di sostanze e al gioco d’azzardo, tramite l’organizzazione di due concorsi video rivolti ai giovani. Per sensibilizzare gli iscritti e i soci dei vari circoli e associazioni, sarà inoltre distribuito su tutto il territorio nazionale un volantino informativo sulla prevenzione e la cura del gioco compulsivo.

[© www.lastefani.it]

La città che vorrei: l’intelligenza di molti

In un tempo in cui occorre una forte tensione verso l’innovazione e in cui le risorse di intelligenza e creatività si rivelano più importanti delle risorse finanziarie, è necessario un altro modo di amministrare. È indispensabile che pratiche di consultazione e di concertazione cedano il passo alla capacità di sollecitare iniziative diffuse. Valorizzare l’intelligenza di molti significa abbandonare definitivamente l’idea di partecipazione che aveva sorretto i partiti (ben prima che diventassero gruppi di interesse). Oggi le amministrazioni volano basso, strette da una carenza di risorse che diventa l’alibi per una generale assenza di energia. Cosa può dare energia? Soprattutto la passione, l’intelligenza, il piacere della condivisione. Sono condizioni intrecciate, che non hanno costi, ma presuppongono risorse individuali, cultura e capacità di riconoscimento.

La società degli individui deve scambiare questa moneta, ospitare comunità in cui le persone siano in grado di dare valore al proprio tempo e di scambiare questo in cambio di senso. La partecipazione che si esprime attraverso il voto è ormai ben poco rilevante, non solo perché, comprensibilmente, poco convinta, ma perché gli individui hanno minore propensione alla delega e non si gratificano più tanto a stare sugli spalti della curva Ovest con gli striscioni della tifoseria per questo o quest’altro candidato.

La rete ha testimoniato ampiamente il valore economico della gratuità, che presuppone, però, la valorizzazione degli individui. Cito due esempi che conosco da vicino e che esprimono perfettamente l’idea.
A Ferrara: il miracolo culturale prodotto dal gruppo di persone che ruotano attorno all’Istituto Gramsci e all’Istituto di Storia contemporanea, di quale voce del bilancio comunale ha avuto bisogno? Le numerose conferenze che nell’arco di un paio d’anni si sono svolte alla biblioteca Ariostea hanno aggregato un pubblico nutrito di persone che si sono misurate con temi di storia, filosofia, cultura politica; e hanno coinvolto nel ruolo di relatori sia docenti universitari di Ferrara noti in ambito nazionale, sia una quantità di insegnanti delle scuole superiori di valore e anche giovani neolaureati. Sottolineo, in particolare, un merito che va oltre la diffusione del sapere e il gusto della conoscenza. Il ciclo dedicato agli insegnanti, coordinato da Daniela Cappagli, ha offerto ad un gruppo sempre più numeroso di insegnanti, lasciati soli nel compito difficile di contrastare il disagio giovanile, un luogo in cui condividere e alimentare interessi. Gli insegnanti, maltrattati da tempo dal ministero dell’Istruzione, nonostante i richiami retorici all’importanza del ruolo educativo, dove trovano risorse per la formazione?
Il secondo esempio. A Parma, il professor Ferruccio Andolfi, professore di Filosofia dell’Università, direttore della rivista La società degli individui (basta il titolo per segnalare la qualità del progetto culturale) organizza da quattro anni un ciclo di conferenze di filosofia partecipato da centinaia di persone (le conferenze si svolgono in un cinema, giusto per dare l’idea dell’affluenza). A questo progetto quest’anno si aggiunge la sperimentazione dell’insegnamento della filosofia in alcune classi dell’Istituto professionale. Azzardo l’idea che questi piccoli innesti di capacità riflessiva possano essere più importanti, per fornire energie e sostegno a giovani precocemente indirizzati in percorsi di basso profilo, dell’enorme montagna di fondi pubblici che hanno ruotato attorno al Fse. Abbiamo finalmente capito che parlare di competenze, di disoccupazione giovanile e di mercato del lavoro non avvicina di un unghia l’obiettivo di rafforzare le capacità, alimentare le energie, trasmettere speranza? Possiamo continuare a ignorare che la vera competizione si gioca sulla possibilità di rafforzare risorse di cittadinanza, energie progettuali, evitando derive di marginalizzazione? Ma quale piano del lavoro, quali interventi di flessibilità possono annullare l’implicita assunzione di fallimento interiorizzata da molti giovani?
Ho citato interventi non estemporanei e che non gravano su alcun bilancio. Chiamare in causa la crisi di risorse nasconde, nella migliore delle ipotesi, una colpevole pigrizia. Mi piacerebbe poterne discutere.

Maura Franchi, sociologa dell’Università di Parma, è laureata in Sociologia e in Scienze dell’educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Marketing del prodotto tipico, Social Media Marketing. I principali temi di ricerca riguardano i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, le scelte e i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.
maura.franchi@gmail.it

Quella casa nel bosco dove i ricordi rivivono

Ritornare in un luogo dell’infanzia e del passato quando si è adulti e un po’ distanti. I fratelli Gianrico e Francesco Carofiglio vanno nelle casa dove hanno trascorso le vacanze quando erano bambini, devono chiuderla e consegnarla al nuovo proprietario. La casa nel bosco (Rizzoli, 2014) è un luogo vero che è rimasto come lo avevano lasciato, ma è diventato magico perché fa ritrovare cose e li fa ritrovare come fratelli.
Entrare in quegli spazi è riappropriarsi di un vissuto che, ora, ci si può raccontare insieme. I ricordi di Gianrico e Francesco si completano a vicenda, ciascuno ha il proprio pezzo di memoria da fare valere o da recuperare.
La casa nel bosco è piena di cose scoperte da bambini e di oggetti evocativi che hanno ancora importanza perché l’hanno avuta allora. E poi ci sono gli odori e i sapori fra quelle mura, intatti. La memoria olfattiva è velocissima a riportare indietro, non sembra nemmeno passato tutto quel tempo. Il viaggio di Gianrico e Francesco dalla città alla casa nel bosco che doveva durare lo spazio di poche ore, diventa un viaggio nel tempo, avanti e indietro, a due voci che hanno condiviso tantissimo. Tanto vale passarci anche la notte, negli stessi letti di allora, a parlare a luce spenta, come da ragazzini. La casa nel bosco è piena di notturni, silenzi, buio e candele alla cui luce mangiare e poi andare a dormire.
Una volta tornati in città, c’è un pretesto per rivedersi, Gianrico e Francesco devono ancora fare qualcosa insieme prima di tornare alle rispettive vite, forse ora un po’ meno lontane. Da un vecchio ricettario di famiglia, appartenuto alla nonna e alla mamma, trovano la torta di ricotta che porta con sè altri ricordi, altre digressioni di vita familiare così piene di persone e cibo.
Stanno per iniziare a impastare, è come quando iniziavano a giocare da piccoli, tutto pronto per divertirsi insieme. Non è molto diverso, c’è da tradurre la ricetta dal dialetto, fare attenzione al procedimento, usare per la prima volta un matterello e condividere con l’altro l’obiettivo della buona riuscita.
La torta è pronta, una conquista come quella volta con il Dolce Forno delle cugine. Un autoscatto suggella il tutto prima di fare una sorpresa e portarla alla mamma.

Altroconsumo a Ferrara, incontri e consulenze della terza e ultima giornata del festival

da: ufficio stampa Comune di Ferrara

Terza e ultima giornata del Ferrara Altroconsumo Festival, l’evento organizzato da Altroconsumo, con il supporto di Ferrara Fiere Congressi, il patrocinio del Comune e della Provincia di Ferrara e di Ferrara terra e acqua, e la media partnership di Sky.

Domenica 18 maggio si parte dal caffè, con la degustazione “Un caffè con Altroconsumo“, fissata alle 9.30 al bar pasticceria Duca D’Este (Piazza Castello): un viaggio gratuito tra gli aromi, sotto la guida degli esperti dell’Associazione. Alle 10, agli Imbarcaderi del Castello Estense, prosegue la mostra “Il trucco c’è, e con noi si vede“, dove prestigiatori e animatori insegneranno a comprendere i trucchi e i meccanismi che possono ingannare il cervello, specie quando si tratta di acquisti. Alla stessa ora, in Piazza del Municipio, saranno in funzione l’Infopoint del Festival, Ecostameno, il gruppo d’acquisto di Altroconsumo per le auto a basso impatto ambientale, e “La bici ideale? Progettala con noi“, dove poter provare quattro modelli Lombardo personalizzati, indicando come migliorarli.

Dalle 10, al Chiostro di San Paolo, chi è rimasto vittima di una pratica commerciale scorretta o si sente indifeso contro il proprio operatore telefonico potrà fare gratuitamente riferimento ai giuristi di Altroconsumo, mentre con “Simuliamo il colloquio di lavoro” (fino alle 11 e poi ancora alle 12 e alle 15) altri consulenti dell’Associazione indicheranno come presentarsi nel modo più efficace a una selezione. In contemporanea, sempre al Chiostro, l’incontro “Aiuto, mi hanno rubato lo smartphone“, per scoprire come tutelarsi in caso di furto. Alle 10.30, al Mercato coperto, si potrà imparare a comporre un menù nutrizionalmente corretto con “Giochiamo a mangiare bene” (replica alle 14.30 e alle 17.30), a risparmiare sui farmaci – “L’armadietto dei medicinali: pochi ma buoni” -, a scegliere e dosare i detersivi con “Per un bucato senza macchia“, e saperne di più sull’acqua da bere con “Alla scoperta dell’acqua“.

Spostandosi in Piazza del Municipio, alle 11 si potrà seguire “La verità, vi prego, sulla scienza“, dove la senatrice Elena Cattaneo – tra i massimi esperti mondiali in materia di staminali – parlerà dell’avventura della ricerca scientifica e delle spietate logiche di profitto che possono ostacolare la cura delle malattie, introducendo il discorso sul diritto alla salute e il marketing dei farmaci. Il tema del lavoro sarà declinato alle 11, al Chiostro piccolo di San Paolo, nell’incontro “Trovo lavoro: mi presento nel mondo 2.0“, per scoprire gli strumenti più utili per trovare lavoro attraverso il web. Mezz’ora più tardi, “Vacanze senza naufragio“, per salvarsi dalle trappole e dalle disavventure in cui più spesso incappano i turisti, mentre al Mercato coperto verranno rivelati “I segreti dell’etichetta alimentare” e, alle 12, quelli di “Detersivi e pulizie“, per poi passare a “Giochiamo con il frigorifero” (12.30 e 15.30), che illuminerà adulti e bambini su quale sia il posto giusto nel frigo per ogni cibo.

Tornando al Chiostro di San Paolo e ad argomenti “hi-tech”, alle 12.30 sarà il turno de “I segreti dello smartphone“, che chiuderà la mattinata del Festival. “Acqua di rubinetto, in bottiglia o filtrata?” è il tema dell’incontro delle 15 al Mercato coperto, dove si terrà anche una consulenza dedicata ai “Prodotti alimentari” (come scegliere i più freschi, quali ingredienti evitare). Mentre al Chiostro l’imprenditore Mario Bortoletto presenterà il libro autobiografico “La rivolta del correntista“, un vero e proprio vademecum contro gli abusi delle banche, chi preferirà seguire un altro incontro della serie “Hi-tech” potrà partecipare a “Le app che servono. Davvero“.

Tra gli eventi clou del pomeriggio, la proiezione del docufilm “Green Generation” e il dibattito sui “Comportamenti ecologici” (15.30, Sala Estense), dove l’astronauta Umberto Guidoni, l’imprenditore “a emissioni zero” Robert Niederkofler e il regista Sergio Malatesta illustreranno alcune soluzioni sostenibili per salvare il pianeta. Altro appuntamento da non perdere, quello delle 16, in Piazza del Municipio, con “I nuovi persuasori occulti“, dove Giovanni Calabrò, direttore generale per la Tutela del consumatore dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, il pubblicitario Giampietro Vigorelli, il neuroeconomista Giorgio Coricelli, l’avvocato Carlo Orlandi, Luisa Crisigiovanni e Rosanna Massarenti di Altroconsumo discuteranno delle astuzie usate per farci comprare e illuderci che stiamo facendo la scelta migliore.

Gli ultimi appuntamenti della giornata si divideranno tra Mercato coperto e Chiostro di San Paolo: nel primo avranno luogo “Ti piacciono i biscotti?“, test assaggio rivolto ai bambini (16), “Cosmetici: quando l’apparenza inganna” (16.30) e “Difendersi dalle zanzare” (17), mentre al Chiostro si parlerà di “Fare shopping (online) senza pacchi” (16.30) e di “Smartphone e tablet: le cose da sapere prima di comprarli“.

Il programma dettagliato del Festival è disponibile qui

Le note magiche del prolifico Chailly, compositore che ha incantato il mondo

“MUSICI” FERRARESI DEL PRIMO NOVECENTO
LUCIANO CHAILLY

Nato a Ferrara, Luciano Chailly (1920-2002) è stato una delle personalità più prestigiose, per versatilità e prolificità, dell’ambiente musicale contemporaneo. Le sue composizioni sono conosciute e apprezzate, sia dai critici che dal pubblico, in tutti i paesi del mondo. Durante la sua invidiabile carriera si è esibito, oltre che in Italia, anche in Spagna, Finlandia, Olanda, Belgio, Francia, Svizzera e, fuori dall’Europa, in America, Turchia e Marocco.
Diplomatosi in violino a Ferrara all’età di ventun anni, si è successivamente laureato in Lettere all’Università di Bologna e quindi ulteriormente diplomato in composizione al Conservatorio di Milano nel 1945. Ha persino frequentato un corso di perfezionamento nientemeno che con il celeberrimo maestro tedesco della “Gebrauchsmusik” (musica d’uso), il grande Paul Hindemith.
Da sempre estimatore di Girolamo Frescobaldi, Chailly ha composto oltre quattrocento lavori (fra editi e inediti), a partire dalla sua prima opera, Lucia, scritta all’età di quattordici anni, per poi approdare alle sue principali composizioni nel campo sinfonico e della musica da camera: Hochetus et Rondellus (1945), Suite (1946), Musica per quartetto (1948), Toccata (1948), Musica di strada (1949), Musica del silenzio (1949), Lamento dei morti e dei vivi (1949), Uxor tua (1950), Ricercare (1950), Due pezzi per violino e orchestra (1951), Cantata (1952), Lamento di Danae (su testo di Salvatore Quasimodo, 1955) e la serie delle nove Sonate Tritematiche (1951-1955).
Nel settore dell’opera lirica si è messo in luce con Ferrovia sopraelevata (basata su un racconto di Dino Buzzati), Una domanda di matrimonio (dall’omonima commedia di Cechov), Il canto del cigno (ancora da Cechov). Luciano Chailly, che anni orsono è stato anche direttore artistico della Scala, ha composto le colonne sonore di numerosi documentari televisivi e cinematografici, con una delle quali ha conseguito il premio internazionale “Fiera di Milano”. Suo è pure il volume I personaggi, dato alle stampe nel 1972.

Il delicato processo di nascita e i possibili effetti traumatici: ruolo dell’osteopatia

Il processo di nascita di un bambino è molto ingegnoso ed efficiente, ma si possono verificare effetti traumatici durante l’attraversamento del canale di nascita, in quanto le forze di spinta considerevoli possono modificare l’asse di uscita del bebè. L’osteopatia può delicatamente intervenire entro le due ore, identificare il trauma e correggerlo.

Ma analizziamo il processo nella sua complessità.

Le distorsione incidono in particolare sulla mobilità della struttura della testa. I sintomi che si possono generare sono molto vari, a seconda del grado di trauma e del livello di vitalità del neonato (reazione e resistenza immunitaria): le strutture del soma possono essere poco armoniose e rigide con una scarsa capacità funzionale. Il sistema del bambino può essere compromesso, interessando tutte le componenti e le relazioni fra strutture e funzioni. Se il trauma è modestissimo il corpo ha la capacità di riparare se stesso, se il trauma è moderato o grande il recupero è compromesso: il sistema nervoso manterrà queste distorsioni, nel tentativo di negoziare la regolazione. Se le forze pressorie sono considerevoli, il sistema nervoso non potrà più completamente autoregolarsi e rimodellarsi, mantenendo così gli squilibri estremi nel tempo.

Per fare un esempio, una colica può dipendere da un trauma da parto nella zona posteriore occipitale. L’occipite alla nascita si compone di quattro parti ed i nervi che passano fra queste parti possono essere compressi o trazionati dalle forze della testa nel fuoriuscire dal canale.
Ma ci sono altri nervi e vene importanti che solcano queste zone, e le parti di una zona adiacente come il temporale. Con il cambiamento compressivo delle strutture suddette, la pressione modifica la disposizione spaziale di queste strutture e l’allineamento suturale membranoso corretto.
La struttura domina la funzione e la influenza. Il processo della nascita coinvolge il passaggio della testa del bambino tramite il bacino osseo della madre.

Il bebè deve attraversare nel giusto senso il canale (bregma), muovendosi senza ostacoli nel bacino, con rotazione a destra o a sinistra uscendo dal bregma nel giusto tempo. Le quattro parti dell’occipite sono esposte alle forze multiple e complesse, causando una facile irritazione nervosa in quella zona; se il bambino esce con difficoltà o in modo insolito, nell’utero della madre si potranno generare delle fibrosi, anomale torsioni dell’asse collo-istmo, o problemi strutturali del bacino, del sacro e del coccige.

La maggior parte dei problemi comuni coinvolgono la deglutizione con irritabilità dello stomaco e ancora insonnia, colichette e vomito. Fattori compressivi della sincondrosi-sfeno-basilare (articolazione flessibile per tutta la vita) porteranno a scoliosi.

Nel caso di un cesareo, sembra che queste forze vengono escluse ed eliminate. Tuttavia si possono verificare altre conseguenze per il bambino che derivano dallo stare compresso per molte ore nel bacino della madre, prima del taglio. Le pressioni incidono e si stampano sulle strutture della faccia o della testa membranosa. Anche l’improvviso taglio favorisce uno repentino cambiamento dell’ambiente interno dell’utero, con pressioni negative, a sfavore di una ubiquitarietà liquorale.

Anche per un prematuro le conseguenze possono essere serie in futuro, come la maturazione della sutura pre e postsfenoidale.

Ma attenzione, lo stimolo di una delicata compressione può essere comunque un fattore stimolante per la vita armoniosa del bambino. Se il bambino non ha supportato l’anestesia questo può ripercuotersi sul primo vagito, con ritardo di espansione toracico e relativa difficoltà nel respiro profondo, che non accade mai durante il taglio del cesareo. Avvengono cambiamenti nella circolazione e nella respirazione non più mecomiale, se essi sono veloci e rapidi come la compressione del cordone che ritarderà il primo respiro e un rallentamento d’inizio della circolazione toracica. Più il bambino è prematuro più è facile che ci sia un cambiamento sulla respirazione e circolazione. Comunque ci possono essere dei motivi validi di cesareo che possono sicuramente salvare la vita della mamma e del bimbo. E’ importante che la cervice uterina si dilati facilmente e naturalmente e, se questo non accade, il medico è costretto a rompere le membrane e le grandi forze pressorie, le forti contrazioni uterine, si distribuiranno sulla forma dell’osso membranoso. Se la cervice non assorbe correttamente queste forze, esse si distribuiscono sul corpo e sulla testa del bambino, e se questo dura molto tempo, più di tre ore, il trauma sarà significativo.

L’osteopatia può delicatamente intervenire entro le due ore, identificando il trauma e correggendolo. Entro i primi due mesi di vita poi, quando ancora le suture non sono consolidate, l’osteopatia può correggere ed equilibrare le compressioni, riportando allo stato naturale tutte le funzioni.
Con l’osteopatia non viene applicata nessuna forza ed il trattamento coinvolge il sistema cranio sacrale e anche il sistema muscolo-scheletrico.

Concludendo, sarebbe straordinario fare prevenzione portando i bebè ma anche i bambini più grandi ad un controllo osteopatico, per una giusta e corretta ottimizzazione della vita.

Emergenze Creative 2014: la rassegna annuale d’arte contemporanea su tematiche ambientali torna a Ravenna

da: ufficio stampa Emergenze Creative

EMERGENZE CREATIVE 2014, la rassegna annuale d’arte contemporanea su tematiche ambientali, torna nel centro storico di Ravenna e si riconferma come appuntamento fisso nella programmazione culturale della città.
Si rinnova l’interesse per il dialogo arte e ambiente, con una proposta di arte pubblica che nasce da un’attenta indagine del tessuto urbano ravennate e che invita i cittadini a partecipare attivamente all’intervento artistico, diventando da semplici fruitori a necessari protagonisti.
La rassegna è curata da Silvia Cirelli e si sviluppa come evento collaterale alla manifestazione Ravenna 2014. Fare i conti con l’ambiente, organizzata da Labelab.
Questa settima edizione è affidata all’artista bolognese Chiara Pergola, esponente di rilievo della scena contemporanea italiana. Da tempo attenta all’importanza della percezione comune e del valore condiviso dell’arte, Chiara Pergola concentra il suo lavoro sulle dinamiche del linguaggio e su quanto queste possano inserirsi in una lettura sociale e culturale di forte richiamo collettivo.
Il progetto presentato a Ravenna, dal titolo Quelchefarete, si pone in stretto dialogo con lo spazio in cui viene ospitato, trasformando alcuni luoghi del centro storico in tasselli testuali di un vero e proprio rebus, la cui misteriosa soluzione è una parola di 9 lettere, risultante dall’unione di due termini di 5 e 4 lettere. La risoluzione del gioco – un elemento di riflessione sul significato di “sviluppo ecologico” – sarà poi svelata tramite un QR code, presente sul materiale informativo, come anche nei siti di riferimento (il sito personale dell’artista, quello di Emergenze Creative e quello della manifestazione Ravenna 2014).
Lo spettatore, che avrà a disposizione una mappa con segnalati secondo un ordine preciso i tre punti del rebus (le Piazze centrali di Ravenna: Piazza Garibaldi, Piazza XX Settembre e infine Piazza del Popolo), è dunque invitato a decifrare l’enigma recandosi nei luoghi del gioco. In ciascuna Piazza dovrà cercare i due “complici” dell’artista (facilmente riconoscibili per un abbigliamento a tema) i quali, senza parlare ma solo indicando gli indizi testuali, aiuteranno il partecipante a scoprire la soluzione dell’indovinello. La scelta dell’indicalità piuttosto che l’utilizzo della parola è in accordo con la tradizione linguistica enigmistica e soprattutto in linea con il significato delle arti visive.
Il titolo dell’intervento artistico, Quelchefarete, contiene una doppia chiave di lettura, da un lato può essere interpretato come “quel che fa rete” e cioè i comportamenti collettivi che creano equilibri di relazioni fra le persone ma anche con i luoghi; dall’altro può anche essere inteso come “quel che farete”, ovvero quello che i partecipanti dovranno fare durante l’happening, ma soprattutto ciò che è giusto fare in una prospettiva di cambiamento delle nostre condizioni ambientali.
Dall’impronta volutamente ludica, con questo intervento Emergenze Creative si riconferma come opportunità di confronto fra arte e ambiente, con un progetto di richiamo collettivo che ancora una volta evidenzia quanto l’arte contemporanea possa fungere da valido strumento di comunicazione e di sensibilizzazione.
In collaborazione con: Labelab.
Con il Patrocinio di: Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Regione Emilia- Romagna, Provincia di Ravenna, Comune di Ravenna.

EMERGENZE CREATIVE 2014
Rassegna annuale d’arte contemporanea su tematiche ambientali
a cura di Silvia Cirelli
21-22-23 maggio 2014
ARTE PUBBLICA nel centro di Ravenna: happening di Chiara Pergola
Happening artistico il 21-22-23 maggio (dalle 16 alle 19)
Piazza Garibaldi (ore 16 – 17) – Piazza XX Settembre (ore 17 – 18) – Piazza del Popolo (ore 18 – 19)

Calamitati dall’isola d’oltremanica dove tutto è fervore

Da BIRMINGHAM – Il passare del tempo non si smentisce mai e rapido, anche quest’anno, tra uno scroscio di pioggia e l’altro, a Birmingham è arrivato il Summer term: peculiarità dell’Università, infatti, è che gli esami siano concentrati nel mese di maggio. A sostegno degli studenti in questo periodo di revision, la Main Library del Campus è ormai da un mese aperta 24 ore su 24 per venire incontro alle esigenze più bizzarre, notturne, diurne o festive che siano. I ragazzi paiono apprezzare, trascorrendo letteralmente giornate intere studiando tra scaffali, computer e vicini più o meno apprezzabili. L’affluenza si mantiene costantemente alta e la tensione per gli esami in vista (questa annebbiata per i più sfortunati anche da quattro o cinque in una settimana) si fa sentire, anche con singhiozzi disperati per i corridoi. Certo, può risultare stressante, ma non è un’impresa eroica… In Italia lo sarebbe?
“Non puoi sapere tutto!” è il tipico commento degli studenti inglesi avviati al sistema; difatti, uno dei punti chiave della preparazione di un buon esame d’Oltremanica non è lo studio, matto e disperatissimo, di tutto lo scibile, come tipicamente avviene nel Belpaese, bensì la tattica statistica: avendo domande aperte tra cui scegliere, nella maggior parte dei casi, si può calcolare la mole di studio da affrontare e gli argomenti da studiare in vista dell’obiettivo che si vuole raggiungere. Strategia a cui non è concessa una seconda chance per rimediare, se non per risostenere un failed exam in agosto, superandolo con il voto minimo; insomma, si rischiano anche disfatte napoleoniche, non solamente vittorie. I professori, però, sono consapevoli della situazione e si dimostrano più transigenti e tolleranti nel giudicare le risposte date in sede d’esame. Certamente un approccio simile non è l’emblema dello studente perfetto, ma è da biasimare? È meglio applicarsi e snocciolare nozioni non avendo mai sentito parlare di una lettera di presentazione o non avendo svolto attività parallele? Nel Regno Unito è normale che alla fine del primo anno gli studenti trovino già uno stage da svolgere, così da acquisire familiarità e confidenza imparando sul campo. Nessuno pretende esperienza. Per la stessa posizione aperta per un tirocinio in una multinazionale, il requisito inglese recitava “Bachelor”, quello italiano, in aggiunta a innumerevoli altri requisiti, “Laurea specialistica”; stessa azienda, stesso ruolo, diversa latitudine. Inoltre, anche le attività extracurriculari hanno un notevole peso all’interno del curriculum, dove le competenze di team-working e leadership acquisite danno lustro a chiunque, dimostrando proattività e voglia di fare.
Forse l’impostazione del sistema universitario inglese, concepito come un ambiente più orientato al mondo del lavoro, non considera la laurea come uno strumento fine a se stesso, come a volte sembra durante il percorso universitario in Italia, dove manca la visione sul lungo periodo: il voto è lo scopo, non un mezzo. Tant’è che il numero di fuoricorso in Italia è altissimo, come hanno dimostrato recenti sondaggi, mentre in Inghilterra il fenomeno è pressoché inesistente. Sarà colpa della situazione politico-economica in cui siamo impelagati da troppo tempo? Sarà questione di produttività ed efficienza lasciti di Margaret Thatcher? Come sempre, la verità giace nel mezzo, a patto che di verità si possa parlare. Il Regno Unito ha molti problemi al suo interno, dalla scalpitante Scozia agli eccessivi investimenti su Londra noncuranti delle ex città industriali, rimane, però, un Paese capace di offrire soddisfazioni a chi è meritevole, locale o straniero che sia. Magari è questo ciò che manca in Italia, lo stimolo per fare meglio, il fervore che si respira su quest’isola, dove tutto è in continuo movimento ed evoluzione, dove la quasi totalità degli studenti all’inizio del terzo anno ha già un contratto in mano.
Come sconsigliare, quindi, a un giovane italiano di partire e lasciarsi alle spalle un Parlamento che discute di come tagliare le spese risparmiando sul conio dei centesimi, quando mancano concrete misure di rilancio e spinta dell’economia? Ritengo sia inutile tagliare se mancano i presupposti per ripartire. Rimanere, o tornare, pertanto, significa essere sciocchi? Probabilmente è più corretto definirlo come una sorta idealismo che confida nel riconoscimento del merito, supportato dall’auspicio di un miglioramento generale delle condizioni; resta il fatto che tutto dipende da cosa vogliamo e cosa siamo disposti a perdere. È anche vero, però, come sottolineava Orson Welles, che “in Italia sotto i Borgia, per trent’anni, hanno avuto assassini, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù”.

L’hackathon in tavola, un nuovo metodo d’indagine per parlare di cibo

Si chiamano hackathon (dalla congiunzione di “hack” e “marathon”), hanno una durata che va dalle 24 ore all’intera settimana e negli Usa sono stati adottati a partire da fine anni ’90, dagli ormai famigerati hacker informatici, all’inizio per sviluppare o ideare nuovi software, ora in ambiti più ampi come effettivi strumenti di ricerca. Gli ingredienti principali? Lavoro di squadra, condivisione e creatività, il tutto cucinato secondo le moderne tecniche di human centered design, capaci di rendere protagonista la persona e le sue qualità, ottimizzando il lavoro in team.

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Un momento della due giorni della Bipimbap food hackathon

Eventi estremamente versatili e applicabili alle più differenti tematiche, da qualche anno vengono utilizzati anche nel nostro Paese per produrre conoscenza. L’ultimo esempio è Bibimbap food hackathon che, a partire dalla metafora del piatto coreano a base di riso, verdure e carne, decide di occuparsi di cibo. Prima a Milano, durante il Salone del mobile, e l’8 e 9 maggio scorso nella vicina Bologna, con cornice la verde e affascinante location di Villa Guastavillani (sede della prestigiosa Alma Graduate School) per una due giorni dedicata al tema della ristorazione collettiva: come migliorarla, ripensarla e ridefinire soluzioni che mettano al centro la persona e le sue esigenze?

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Si sviluppano nuovi software e app a partire da condivisione e lavoro di gruppo

Un centinaio gli studenti partecipanti (da differenti indirizzi di studio e specializzazione), moltissimi i mentor, anche provenienti da oltreoceano, ancor meglio dalla conosciutissima Sillicon Valley, 48 ore il tempo per l’indagine e ad organizzarla la neonata realtà filantropica Future Food Institute, in collaborazione con Alma Graduate School. Diversi, innovativi e stimolati gli esiti: da un’app che responsabilizza il consumatore e permette di migliorare i processi di preparazione/distribuzione dei pasti all’interno di mense aziendali, scolastiche o ospedaliere; alla riprogettazione di uno spazio mensa che diventi luogo ricreativo in cui poter organizzare riunioni, godersi una serena pausa o rilassarsi attraverso massaggi di benessere, fino a un “movimento” che utilizzando i social network diffonda la cultura per poter preparare cibo vero, sinonimo di divertimento e di benessere per tutti.

Un nuovo metodo d’indagine dunque, figlio di una cultura “nerd” che contamina positivamente altri ambiti di studio e si fa importare insegnando ad una delle culle dell’umanità un nuovo modo di ripensare tematiche, anche molto serie, valorizzando il lavoro in team, la creatività e la condivisione, ambendo all’innovazione.
Ora non resta che attendere che le idee divengano realtà…

 

Per saperne di più:
Bibimbap
Alma Graduate School
Future Food Instititute

L’addio a Carolina Marisa Occari: maestra d’incisione e allieva di Morandi insegnava agli studenti l’arte di guardare

“Quali lezioni hai oggi?” / “Dopo Italiano e Scienze ho finalmente Disegno! Due ore!” / “Ma non hai mai i compiti di Disegno?” / “La Professoressa dice che il nostro compito è quello di guardare, sempre, tutto. E ricordare”.

Così il ricordo della mia professoressa di Disegno delle scuole medie, Carolina Marisa Occari, si presenta quando vengo a sapere che ci ha lasciato. Un’arte del silenzio e dell’attenzione, dei particolari naturali che pochi sanno apprezzare e riconoscere.

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Una grande fattoria ferrarese, 2004, acquaforte

Marisa Occari inizia ad ascoltare il Po a Stienta nel 1926, e se ne allontana da ragazza per studiare alla scuola d’arte Dosso Dossi di Ferrara, quindi al liceo artistico di Venezia e infine all’Accademia di belle arti di Bologna, dove è allieva di Giovanni Romagnoli e di Giorgio Morandi. Nei primi anni ’50 comincia a dedicarsi all’arte dell’incisione, ed è proprio Morandi che comprende l’energia artistica che Marisa trae dai suoi incontri con il Fiume.
Incide sulle lastre per sempre i suoi paesaggi, gli intricati borghi naturali, le piccole cose e i personaggi della sua campagna. I segni precisi, decisi, eterni che trasformano gli ambienti di bassa pianura, segnati da canali, filari, casolari, dal delta del Po, in luci ed ombre del regno di terre ed acque. Le sue opere rappresentano l’arte incisoria italiana del ‘900.

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Grande pioppo sul Po, 1999, aquaforte

In una recente intervista Marisa Occari ricorda i suoi incontri con il Fiume: “Il Po, che cosa meravigliosa! Si trasforma a seconda dell’alba e del tramonto. I tramonti poi sono unici. Mia madre mi diceva: ‘Prendi la bicicletta Marisa, corri, fai presto, vieni a vedere tutta la bellezza del tramonto’.”

“Mia mamma era preoccupata. Si lamentava con mio papà: ‘Dicono tutti, ma quella matta della Occari è sempre lì che va in giro con le sue borse, con le sottane tutte scucite (non badavo molto alla moda)’. Ed in bicicletta io correvo con le mie cose per disegnare, le chine, le matite, ero affascinata da quella cosa lì. Era il momento più creativo”.

Nel 1951, dopo la rotta del Po: “Io riuscivo ad andare da Stienta ad Occhiobello in bicicletta. Dall’argine vedevo un paesaggio lunare, gli alberi contorti, sradicati, un insieme di rovine. Ero affascinata da questo luogo. Mi ricordo la devastazione e la morte di tante persone. Il paesaggio aveva acquistato un fascino, una distesa di bellezza. La nostra campagna è bellissima. Non ne potevo fare a meno”.

“Il giorno del mio compleanno mio figlio mi ha chiesto cosa mi facesse piacere. Gli ho detto: Tu mi porti a vedere il mio Po.”

Arrivederci Marisa.

 

Le sue opere sono conservate presso:

– Istituto nazionale per la grafica, Roma
– Raccolta dei disegni e delle stampe “Achille Bertarelli”, Milano
– Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi, Firenze
– Raccolta del Museo civico, Bassano (VR)
– Gabinetto stampe antiche e moderne, Bagnacavallo (RA)
– Gabinetto dei disegni e delle stampe di Villa Pacchiani, Santa Croce sull’Arno, Firenze
– Biblioteca Ariostea, Ferrara
– Palazzo Bonaccossi, Ferrara
– Palazzo Vescovile, biblioteca, Rovigo
– Collezione Melotti, Ferrara
– Museo Albertina, Vienna
– Gabinetto delle stampe del Museo d’arte orientale e occidentale, Odessa (UK)
– Museo d’arte nazionale, Kiev (Ucraina)

Per saperne di più [vedi il sito]

Il paesaggio ovvero amore, cura e civiltà

Che cos’è il paesaggio? tutti ne parlano, tutti lo vogliono, tutti sanno cos’è, ma chiunque ne dà una definizione diversa, allora prendiamo il testo dei testi, wikipedia, e proviamo a capirci qualcosa. È interessante notare che la prima voce presa in esame nella pagina è la definizione del paesaggio stabilita dalla Convenzione europea del paesaggio (2000 – ratificata dall’Italia nel 2006), perché in questa occasione è stata sottolineata la consistenza percettiva del paesaggio a prescindere dalle sue qualità.
Cosa significa? Innanzitutto che il paesaggio non è un oggetto che si può tenere in mano, ma è qualcosa che esiste se c’è un occhio umano che lo guarda, in pratica il paesaggio è quello che noi vediamo del territorio che ci circonda. Questo implica tantissime cose. La prima è che ogni persona vede quello che vuole e quello che può vedere: un geologo in vacanza con la famiglia, probabilmente vedrà cose totalmente diverse da un geologo durante un sopraluogo di lavoro. Se paesaggio è ciò che vediamo, questo fa crollare l’idea che il paesaggio debba essere solo bello. In questo caso wikipedia cade nella trappola e mette nella pagina solo immagini di stereotipi paesaggistici, ovvero, le cartoline. Le cartoline, sono state un mezzo straordinario per far conoscere le caratteristiche dei luoghi, ma essendo inquadrature (recinti visivi all’interno dei quali mettere o togliere quello che si vuole), hanno diffuso un modo di vedere il territorio evidenziandone solo gli aspetti positivi. Un altro esempio classico sono le foto delle vacanze: le foto più bugiarde della storia. Quante volte ho fotografato monumenti deserti svegliandomi ad ore antelucane o aspettando l’attimo in cui il mio campo visivo venisse colpito da una momentanea catastrofe che eliminasse, per un attimo, il genere umano. Tutto per illustrare stupidamente una bellezza ideale dei luoghi, che spesso non c’è più, o che semplicemente si è trasformata in qualcos’altro. La fontana di Trevi a Roma è un luogo magico, ma il paesaggio urbano e umano che chiunque può sperimentare dalle otto di mattina in poi è quello di un carnaio. Quindi è molto importante accompagnare la parola paesaggio da un aggettivo e, soprattutto, cominciare ad accettare l’idea che paesaggio sia tutto, il bello e il brutto.
La seconda osservazione sempre relativa al fatto che il paesaggio sia qualcosa di legato alla percezione, è che diventa molto difficile da progettare. Esiste la professione dell’architetto paesaggista (spesso confusa o compresa con quella di architetto di giardini), un professionista in grado di leggere la complessità di un luogo e, dopo un’accurata analisi, sapere indicare le linee per trasformarlo in modo equilibrato. Per quello che riguarda l’inserimento delle grandi infrastrutture, c’è molta attenzione per questo aspetto progettuale in Francia e in Germania; invece, per quello che riguarda l’architettura, la tendenza generale è quella di creare dei bellissimi e immensi soprammobili di design urbano che si possono stanziare in modo indifferenziato a Dubai come a Reggio Emilia. Il mio mestiere sarebbe quello di paesaggista, ma nel tempo mi sono resa conto che ogni persona è un paesaggista. Ogni gesto che facciamo, anche il più banale, incide sull’immagine del luogo. Se sporco il marciapiede o stendo i panni alla finestra, creo automaticamente una trasformazione in positivo o in negativo sul paesaggio. Il bel paesaggio è dunque una responsabilità corale. Quando mia mamma guarda la campagna intorno a casa mia, sorride e dice: “Questa è ancora una bella campagna, si vede che è una campagna amata.” Ed è vero, perché ci sono ancora tanti contadini che la curano e ne sono responsabili. Forse la salvezza dei nostri luoghi, non sarà la conservazione dei luoghi intesa come imbalsamazione del paesaggio passato com’è tramandato dalle cartoline, con lo scopo di offrirlo come carne in pasto ai turisti, ma la cura, cura della strada, della città, dei luoghi; cura che è vita, lavoro quotidiano, rispetto, responsabilità civile di tutti, l’unica cosa che fa veramente la cultura di un luogo e del suo paesaggio.

[Foto in evidenza, Ferrara – profilo della Montedison al tramonto, autore Raffaele Mosca]

I segreti del concierge: benvenuti al ‘Grand Budapest Hotel’

E’ davvero molto bello e accattivante questo film dai colori rosa tenui ma anche rosso e viola acceso, ambientato nei primi anni del novecento, che ci racconta la storia di Gustave H., il portiere di un lussuoso albergo nella lontana Repubblica di Zubrowka, un paese immaginario in Europa, e della sua amicizia con il giovane immigrato-aiutante-apprendista Zero Moustafa.

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una scena alla pasticceria Mendl’s

A colpire maggiormente lo spettatore sono l’ambientazione da favola e l’abituale cura meticolosa dei dettagli da parte del regista: dalle scatole rosa di amaretti e dolci della pasticceria Mendl’s, alla giacca viola di Gustave, fino alle stanze variopinte abitate da curiosi personaggi.
I dialoghi sono così veloci che spesso ci vuole un attimo in più per capire le battute.
Allo stesso tempo, siamo di fronte a un film pieno di sparatorie, inseguimenti, fughe e colpi di scena, percorriamo un intenso e simpatico viaggio nell’immaginazione di uno dei registi più creativi in circolazione, in un albergo leggendario simbolo di eleganza e lusso, raggiungibile solo da una teleferica in un magnifico non-luogo sospeso…
Dopo l’omicidio della duchessa Madame D (interpretata da una magistrale Tilda Swinton), anziana amante del professionale e serio Gustave (Ralph Fiennes), lui e Zero sono coinvolti nelle indagini della polizia e nella lotta per aggiudicarsi l’eredità lasciata dalla ricchissima signora.

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la locandina del film

Gustave è un uomo gentile, dai modi eleganti, delizioso, che sembra disegnato con lo zucchero filato e una siringa d’alta cucina, quasi ripieno come una caramella. I colori tenui degli ambienti ricordano la casa di Hansel e Gretel, viene voglia di mangiarli. Poi, c’è la dolce Agatha, la giovane pasticcera che sposerà Zero, con una voglia a forma di Messico sulla guancia destra.
Altri protagonisti fondamentali (e ingredienti, per restare in tema di pasticcini…) sono la delicata e signorile acqua di colonia, che Gustave, tombeur de femmes, si spruzza spesso addosso, la tenace difesa di Zero, profugo di guerra e amico, l’ironia, i flashback, un giovane scrittore (Jude Law) che prepara la storia che vediamo, i killer, l’eredità (e un prezioso quadro), le fughe rocambolesche, ma, soprattutto, l’albergo e la montagna magica su cui fiabescamente si erge.
Nei titoli di coda, Anderson confessa di essersi ispirato alle opere di Stefan Zweig, lo scrittore ebreo austriaco suicidatosi nel 1942, in Brasile. The Grand Budapest Hotel non è un film storico: non ci sono nazisti o comunisti, anche se le iniziali ZZ sulle uniformi ricordano, ironicamente, quelle delle SS. Ma ci insegna che, anche tra crimini, assassinii e ingiustizie, si nascondono sempre bontà, gentilezza d’animo e solidarietà fra gli esseri umani, e che, contemporaneamente, ovunque esista il bene, permane anche una malvagità di fondo.

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una scena del film

Le inquadrature da cartolina, uno stile inconfondibile, quasi picaresco, una storia d’amore commovente (quella di Zero e Agatha), gli effetti speciali e un cast d’eccezione completano il quadro di un film che vuole essere anche una riflessione sull’arte del narrare. Un’arte che può permettersi di parlare della realtà, approfittando di quanto di meno realistico si possa inventare.

di Wes Anderson, con Ralph Fiennes, F. Murray Abraham, Mathieu Amalric, Adrien Brody, Willem Dafoe, Jeff Goldblum, Harvey Keitel, Jude Law, Bill Murray, Edward Norton, Saoirse Ronan, Jason Schwartzman, Léa Seydoux, Tilda Swinton, Tom Wilkinson, Owen Wilson, Tony Revolori, USA 2014, 100 mn.

Vezzi e vizi antichi della mia ‘scunsciada Milàn’

La mia Milano, oh la mè Milàn ‘scunsciada’ dalle turbe di faccendieri senza morale alcuna, i quali hanno tradotto il fatidico francese “les affairs sont les affaires” nel più italico cazzi nostri e fanno tutto ciò che gli conviene, basta che gli convenga davvero.
Non si creda che questo breve scritto sia il lamento postumo di “un c’era una volta” estromesso dalla cerchia dei Navigli, per carità!, già quando misi il mio piede sinistro la prima volta sotto la Madonnina (tutta “dora”, mica come le altre innalzate nelle piazze italiane, di pregiato marmo bianco, quello usato da Michelangelo), sulle porte dei palazzoni grigi ricordo il terribile cartello “non si affitta a meridionali”, i poveri meridionali, i quali arrivavano alla buia stazione centrale con I valigioni di cartone, legati con la corda a trattenere l’odore di salame che gonfiava il coperchio marrone, odore acre misto al profumo di arance ormai schiacciate nel lungo viaggio dal sole alla nebbia.
Era una Milano già birbona, i lavori della metropolitana avevano scatenato le brame di faccendieri, imprenditori, palazzinari, politici e intellettuali d’accatto come i giornalisti, chiamati a far da megafono all’impresa grandiosa di scavare enormi buchi e oscure gallerie sotto la città: intanto, i favori s’intrecciavano, destra e sinistra si stringevano sotto i tavoli, non toccatine erotiche, di mano in mano passavano sostanziose buste cariche di zeri. Chi aveva il coraggio di denunciare o semplicemente di protestare, veniva allontanato dalla zuppa, Craxi aveva già preparato il trabocchetto per Riccardo Lombardi, “la barca va”, diceva rivolto all’amichetto Berlusconi, chiamato allora “l’imprenditore rosso”, abbiamo una buona facciata di sinistra, ideologizzava Bettino, ma abbiamo pancia capitalistica, mai più Marx a Milano, diceva, al massimo Proudhon, chissà perché. Mai più Marx.
E fu così che cominciarono gli scandalosi massacri della vecchia Milano, cancellando memoria: lo scempio di Brera, di corso Garibaldi, dove Bava Beccaris alla fine dell’Ottocento aveva massacrato la povera gente che chiedeva soltanto pane, la rovina a Porta Ticinese, case ristrutturate per farne abitazioni nuove, uffici, studi a disposizione dei nuovi intellettuali del danaro.
L’antica, nobile Milano, capitale italiana dell’arte, venne distrutta. E I vecchi abitanti dove li mettevano? E i commercianti e gli artigiani? “Foera di ball”, dicevano gli speculatori, li mettiamo nei nuovi quartieri satellite, innalzati apposta per ospitare gli sfrattati, come al Gratosoglio, che in una lunga inchiesta su “Il Giorno” definii i nuovi lager, con trapposti ai lager di lusso (Milano 2 allora in costruzione) erbetta verde all’inglese, alberi. A quelle mie affermazioni molti milanesi amici mi guardarono male, erano abituati – loro – agli affari.
Ma tutto precipitò quando il prefetto Mazza coniò il principio degli opposti estremismi e i sogni del Sesantotto precipitarono nell’orrore del sangue e dell’odio.
Si stava costruendo la nuova Italia, lasciateci lavorare. Non ci si stupisca se “Mani pulite” è naufragato nel truogoloc dei faccendieri, degli affaristi e degli speculatori, lì in quel truogolo la pappa la trovi sempre… Nel ’72 arrivò a Milano la commissione antimafia del Senato per condurre un’inchiesta (o una informativa?) sugli intrecci tra mafia e affari, mi chiamarono per avere notizie (allora ero capocronista del “Giorno”), voleva tracce veritiere sul percorso sotterraneo dei soldi e del potere. Dissi che la mafia stava mangiandosi la città, che i boss avevano stretto alleanza con gli storici imprenditori meneghini. Un nome, mi chiesero. Sindona, risposi. Uno della commissione si alzò dalla sua poltroncina nella saletta ce era stata messa a disposizione dalla Prefettura. “Mi scusi – disse – chiudo la porta”. La porta rimase chiusa per anni.
E adesso con la faccenda dell’Expo chiuderanno ancora la porta? “Chi volta el cu a Milan, volta el cu al pan”, si dice sotto la Madonnina d’oro. Boh.

Emergenza demografica: sempre di più e sempre più vecchi, si staglia lo spettro della miseria di massa

di Franco di Giangirolamo*

Una delle sfide globali del XXI secolo, di dimensione analoga a quella “ambientale”, è rappresentata dall’invecchiamento della popolazione, fenomeno che interessa sia le regioni del mondo ‘sviluppato’ che i paesi emergenti (economie in transizione) e i cosiddetti Paesi in via di sviluppo.

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Tabella 1 – Durata media della vita in alcune regioni del mondo

I determinanti fondamentali di questo fenomeno demografico globale, storicamente inedito e irreversibile, sono la riduzione della povertà, seppure accompagnata da aumento delle disuguaglianze (il trionfo dello sviluppo, secondo l’Onu), la diffusione delle cure sanitarie (effetto combinato vaccinazioni, pillola contraccettiva) e di una cultura tesa al miglioramento della qualità della vita che ha interessato prevalentemente il genere femminile [vedi tabella 1 – vedi tabella 2 e 3].

Questi fattori hanno innescato il processo di transizione demografica (bassa natalità e mortalità) che si è quasi conclusa nei paesi sviluppati e che si è avviata recentemente nei paesi emergenti con rapidissimo declino della mortalità e un calo dolce della natalità.
Dai 2,5 miliardi di abitanti che popolavano il globo nel 1950, si è passati a 5,3 miliardi nel 1990 e si prevede di raggiungere quota 8,5 miliardi nel 2025 fino a stabilizzarsi sui 10 miliardi tra mezzo secolo.

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Tabella 2 – Numero medio di figli per donna in alcune regioni del mondo

Le modifiche demografiche quantitative non sono state uniformi: si stima che nei paesi meno sviluppati l’aumento della popolazione sia cresciuto di 3 volte tra gli anni ’50 e gli anni ’90 del secolo scorso, determinando un aumento del peso relativo sulla popolazione mondiale che passa dai 2/3 degli anni ’50 ai 3/4 degli anni ’90, ai 4/5 previsti per il 2025 (al netto di improbabili migrazioni bibliche a breve, 4 persone su 5 vivranno nei paesi “poveri”).
La transizione demografica produce anche una nuova e asimmetrica (o squilibrata) distribuzione geografica della popolazione e una notevole diversificazione delle piramidi per classi di età, che permette fin d’ora di osservare una forbice tra paesi con “troppi anziani” sempre più vecchi e paesi con “troppi giovani”, con indici di dipendenza demografici di dimensione quasi doppia (Golini la definisce “devastante mutamento nella struttura per età”).
Se si combinano questi fattori con la distribuzione globale inversamente proporzionale delle risorse economiche, con i fenomeni di inurbamento che caratterizzano i paesi emergenti e il processo di femminilizzazione della popolazione anziana, si delinea un quadro abbastanza evidente delle questioni che potranno e dovranno costituire le priorità politiche dei governi nell’immediato futuro.
Oggi solo il Giappone ha il 30% di popolazione anziana, ma entro il 2050 almeno 64 Paesi, tra i quali alcuni molto popolati, saranno nelle stesse condizioni, mentre solo 1/3 dei paesi del mondo dispone di un sistema di protezione sociale che, peraltro, copre in prevalenza i rischi della popolazione attiva (che è solo la metà della popolazione mondiale).

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Tabella 3 – Numero medio di figli per donna

Se si aggiunge a questo panorama il fatto che gli ultraottantenni sono attualmente il 12% della popolazione anziana e che nel 2050 raggiungeranno il 20%, che l’età media mondiale è oggi di circa 30 anni e che nel 2050 si prevede possa arrivare a 40, si comprendono meglio gli impatti sulle politiche economiche e sociali, che non potranno essere settoriali ma globali. Garanzia di reddito, promozione della salute, diritto all’alloggio e alla mobilità, sono le questioni prioritarie che diventano vere e proprie emergenze sociali se si tiene conto che già oggi metà della popolazione mondiale non può pagare i servizi di base e che la classe media (che può pagare tasse e permettere la redistribuzione della ricchezza) esiste solo nel paesi più ricchi e anche lì si sta impoverendo piuttosto rapidamente.
Le disuguaglianze che crescono sia all’interno di ogni singolo Paese che tra i vari Paesi e l’iniqua distribuzione di risorse, non possono che aumentare gli squilibri e l’insicurezza su scala globale che produrranno anche flussi migratori sempre più complessi sia a livello continentale che locale. Inoltre, la “velocità” delle transizioni demografiche non sono accompagnate da politiche economiche e sociali di dimensione globale in grado di mitigarne gli impatti.

Invecchiamento della popolazione e nuove distribuzioni geografiche della popolazione, urbanizzazione accelerata e modifica della struttura familiare, sono il panorama del XXI secolo che fa emergere come prioritarie le seguenti politiche:

  • politiche del lavoro per la produzione egualitaria di risorse (almeno 1 miliardo di posti di lavoro “decenti” con paghe al di sopra dei 2 euro al giorno);
  • politiche di “redistribuzione solidale” della ricchezza prodotta in termini di costruzione di sistemi minimi di sicurezza sociale che permettano di affrontare la diffusione di sacche enormi di povertà;
  • politiche di redistribuzione egualitaria di risorse naturali (acqua ed energia) che riducano i conflitti politici e armati, potenziali e prevedibili, per la sopravvivenza e per prevenire disastri ambientali;
  • politiche che contrastino la diffusione di vecchie e nuove malattie infettive consentendo l’accesso ai farmaci.

Politiche che parlano di noi, anche se le problematiche sono di spessore, gravità e urgenza relativamente diverse.
È chiaro che nei Paesi poveri il problema non si pone allo stesso modo che nel nord del mondo, perché, in assenza di sistemi di sicurezza sociale, gli anziani sono già troppo “occupati” per sopravvivere. Basti pensare che il 47% degli anziani nel mondo fanno parte della forza lavoro. Il tema della più lunga permanenza al lavoro non si pone.
Diverso ma simile il tema del welfare. Già 250 milioni di anziani nel mondo hanno una qualche forma di inabilità e 35 milioni soffrono di demenze senili, cifre suscettibili di aumenti su scala logaritmica.
Lo spettro della miseria e del malessere non è così improbabile che si stagli all’orizzonte di masse sempre più imponenti di anziani, soprattutto donne, soprattutto nei paesi più poveri.
E neppure si può considerare probabile nel medio periodo l’estensione di istituzioni di welfare sul modello europeo, visto che anch’esso è stato sottoposto ad un processo di smantellamento prima ancora che diventasse (almeno in Italia) maturo rispetto agli obiettivi di universalità ed eguaglianza.
L’innovazione scientifica e tecnologica potrebbe dare un contributo notevole a mitigare gli impatti negativi sulla qualità della vita della popolazione mondiale, sempre che si riducano fino all’eliminazione le barriere alla circolazione e disponibilità della conoscenza e dello sfruttamento criminale della proprietà intellettuale.
Anche se le diversità territoriali sono grandi e spesso enormi, le strategie locali non possono che basarsi su scelte al massimo egualitarie, solidali, partecipate e sull’uso di tutte le risorse umane, culturali e materiali per fronteggiare problematiche di spessore epocale che richiedono una rimessa in discussione della vita di intere comunità e nuovi approcci culturali: nel nostro piccolo siamo anche noi chiamati a fare la nostra parte per costruire un nuovo “umanesimo globale”, attraverso il rafforzamento e la reinvenzione nella dimensione locale di modelli di vita e di società partecipati e solidali.

*(presidente Auser Emilia Romagna)

Lettori protagonisti al festival di Bologna, gli autori stavolta rispondono a loro

di Elisa Gagliardi

Discutere di intrecci e soluzioni narrative e confrontarsi direttamente con il demiurgo che ha plasmato le gesta dei propri eroi letterari corrisponde al materializzarsi di un sogno per lettori accaniti, irretiti dai segreti che popolano l’officina dei loro autori prediletti.

La formula della seconda edizione del Festival dei Lettori, rassegna che animerà le sale di 15 biblioteche comunali di Bologna sino a domenica (18 maggio), sprigiona la sua carica innovativa proprio nella tessitura di un filo diretto tra scrittori e fruitori di libri. Sono questi ultimi, infatti, organizzati in gruppi di lettura, ad essere elevati al rango di protagonisti, sia nella scelta degli autori, sia nella conduzione degli incontri.

Bologna schiererà i gruppi di lettura che gravitano attorno alle sue biblioteche di quartiere; ma, a comporre il novero dei 33 nuclei di lettori forti protagonisti della rassegna, concorrono anche appassionati provenienti dalla provincia e dal resto della regione.

Chiamati a magnificare il fascino della lettura e le virtù di una cultura libraria ancora appannaggio di pochi adepti, gli appuntamenti della rassegna, oltre agli incontri con alcune delle penne illustri del panorama letterario italiano, tra cui quelle di Stefania Bertola, Pino Cacucci, Paolo Cognetti, Marcello Fois, Lidia Ravera e Valerio Varesi, propongono nelle giornate di sabato e domenica anche tre specifici moduli di approfondimento dedicati ai gruppi di lettura e ai meccanismi della lettura condivisa.

Il primo animerà gli spazi di Salaborsa ragazzi all’insegna di “Leggere junior. Workshop per apprendisti costruttori di gruppi di lettura giovanile”. Una guida alla realizzazione di gruppi di lettura riservati ai ragazzi, che si rivolge ad educatori, bibliotecari e insegnanti. Anche il secondo appuntamento coinvolgerà la Salaborsa, ma il 18 (alle 14,30), con l’obiettivo di “Seminare e coltivare gruppi di lettura”; per lo sviluppo di esperienze di lettura condivisa capaci di cementare i legami tra lettori e biblioteche e di diffondere una più feconda consuetudine alla lettura. Sempre domenica (alle 14,30), la piazza coperta di Salaborsa farà da scenario all’incontro “Leggere in luoghi difficili”, un’occasione per indagare sulle virtù terapeutiche delle pratiche di lettura in contesti di disagio come le carceri e gli ospedali.

Nell’ambito della manifestazione, che punta a fare il pieno di partecipanti con eventi ad ingresso libero, che non richiedono iscrizione preliminare (eccezion fatta per i workshop), un occhio di riguardo sarà riservato all’intrattenimento dei giovani lettori, protagonisti della giornata del 18 maggio, dedicata a “Gli avamposti in festa”. L’appuntamento accoglierà in Salaborsa Ragazzi i cosiddetti “Avamposti di lettura”, gruppi di lettura costituiti dagli studenti delle scuole medie e superiori, cui saranno riservati due incontri: “Le storie che leggiamo e che vorremmo leggere”, una tavola rotonda con Maria Chiara Bettazzi, editor di Giunti, e “Sotto il cielo di Buenos Aires”, con Daniela Palumbo.

Sul piano tematico, il primo festival letterario d’Italia che fa a meno di intermediari e fa dialogare i lettori, nelle vesti di esperti, direttamente con i propri autori di riferimento, quest’anno si focalizzerà sugli ultimi cinquant’anni di storia italiana, con la rivisitazione di pagine di impegno sociale e civile che riaccenderanno l’attenzione attorno ad alcuni dei più brucianti e controversi capitoli della recente storia nazionale.

Dimenticato

C’è un uomo, malato da tempo, che tutti i giorni, o quasi, si aggira per il centro di Cento, in chiaro stato di difficoltà sia fisica che psicologica. Vaga per le strade e ogni tanto emette qualche grido incomprensibile. Ha rari momenti di lucidità, dà segni di irrequietezza ed è chiaramente ormai incapace di provvedere a sé stesso. È magrissimo e fuma in continuazione, le sue dita ormai sono carbonizzate. La sua sofferenza è ogni giorno sotto gli occhi di molte persone, comprese quelle che dovrebbero occuparsi di lui.
Sono anni che questa persona vive in difficoltà, ha una pensione che gli ha permesso di campare in qualche modo e un’anziana madre che non è ormai più capace di accudirlo o aiutarlo. Taccio il nome per non ledere la sua dignità.
Quest’uomo in passato ha fatto l’operaio, poi la malattia mentale ha avuto il sopravvento ed è stato costretto a smettere di lavorare. Più volte i servizi sociosanitari si sono occupati di lui, ma evidentemente non hanno potuto (o saputo) risolvere alcunché.
Non sapendo cosa fare, ho scritto più di un mese fa al sindaco di Cento, Piero Lodi, utilizzando il suo indirizzo di posta elettronica che compare nel sito del Comune, pregandolo di intervenire (o di far intervenire qualcuno) per porre rimedio a questa situazione. Non mi ha mandato nessuna risposta, neanche quella burocratica che si dà agli interlocutori che rompono le scatole. Confermando con ciò che il primo cittadino centese non è di molte parole: avrà altro a cui pensare.
Stamattina, giovedì, giorno di mercato nella civilissima Cento, ho rivisto questa persona malata passare come uno zombie in mezzo alla gente. Uno zombie. Che sta male e non interessa a nessuno. O, perché, diranno, non è un “caso urgente”.

Camere con svista, la soluzione è abolire il Senato

di Franco Bastelli

Ci sono molte ragioni che spingono al superamento del bicameralismo perfetto, fra le meno importanti le indennità dei Senatori. Si badi, non per salvaguardare i costi della politica e di tutto l’apparato politico, ma perché, o la riforma del Senato diventerà metafora del rapporto fra cittadini e Stato, o non sarà. Purtroppo che parte della discussione verta sull’elezione diretta o secondaria dei Senatori è francamente risibile. La questione da dirimere è se, il bicameralismo perfetto, sia ancora funzionale alla democrazia rappresentativa e alle esigenze di governo.
Ogni decisione che si prende, Governo o Parlamento che sia, perché sia efficace, ha bisogno di rapidità e semplicità di norme. La società reclama certezze, il bicameralismo perfetto, col suo palleggiarsi le leggi, è antitetico queste esigenze ciò sembrerebbe acquisito, ma. Rapidità, perché ogni ritardo produce altro ritardo, e ogni ritardo produce la ricerca di soluzioni eterodosse attraverso i meandri della burocrazia. La farraginosità delle norme è l’interstizio più importante in cui si fa strada la corruzione. E’ questo il vero problema, non l’indennità del Parlamentare, o l’elezione diretta. Il resto è bieca propaganda.
Ma se c’è consenso con l’obiettivo perché è tutto bloccato? Mi pare che la procedura seguita da Renzi – cambiare natura al Senato – non sia la migliore. Ma non per le ragioni che adduce Scalfari domenica 11 maggio: la supposta incompatibilità fra formazione dell’assemblea e compiti della stessa (controllo sull’operato degli enti territoriali). Scalfari sostiene che così controllato e il controllore si sovrapporrebbero e ciò sarebbe inammissibile. In astratto ha ragione, ma nella fattispecie, non mi pare pertinente (abbiamo, peraltro, già istituzioni che funzionano così: il Consiglio superiore della Magistratura, ad esempio). In Senato, i territori entrerebbero in conflitto d’interesse fra loro, soprattutto con l’attuale regime di finanza derivata e, ancor più, se dovesse prendere piede la fiscalità federata, in cui ogni territorio deve andarsi a cercare soldi dei propri investimenti. No! Questo non mi pare un pericolo, e non riesco ad immaginare territori con amministrazioni di diverso colore, che si corporativizzano fino a divenire una sorta di Stato parallelo.
Ma la soluzione non è neppure l’elezione diretta dei senatori, proposta da Vannino Chiti. Non diversamente dalla proposta Renzi, la proposta Chiti prevede che al Senato restino solo compiti marginali. Ha senso chiamare in causa direttamente il popolo per eleggere senatori nazionali senza il compito di dare la fiducia, senza il compito di approvare le leggi nazionali? Così, mentre, nella proposta del governo, avremmo nel Senato una camera “derivata”, in quella Chiti avremmo solo una camera minore.
L’errore di questa discussione sta nel cercare di “cambiare” la natura del Senato. E’ una partita in cui tutto gioca contro: dai Senatori, ai funzionari, a pezzi dei partiti. Ognuno penserà di avere il cambiamento migliore da proporre e troverà, per strada, alleanze forti, diverse e variamente intrecciate. Ed è vero che un Senato eletto in secondo grado è, oggettivamente, poco credibile anche nelle nuove funzioni di complemento. Il rischio dell’impasse è dietro l’angolo. E sarebbe un’altra occasione perduta e una vittoria per l’antipolitica.
Credo valga la pena, a questo punto, tagliare corto proponendo l’abolizione tout-court della Camera Alta. Maria Teresa Meli, a questa soluzione, oppone un’obiezione non banale: nella Costituzione sono circa 40 gli articoli che richiamano al Senato; ciò presupporrebbe una revisione profonda e difficilissima della Costituzione. Credo, però che, se si trovasse l’intesa sulla questione principale, una norma transitoria consentirebbe tempi più lunghi e sereni di revisione testuale della Costituzione evitando vuoti e conflitti costituzionali e proposte tese a bloccare tutto.
Mi si dirà, ma salterebbe il rapporto con gli enti territoriali previsto nella soluzione Renzi. La Conferenza Stato-Regioni, debitamente riformata e istituzionalizzata, potrebbe tranquillamente assolver il compito senza vuoti. Vedremo l’alba di questa riforma? Se il dibattito continuerà su questo piano ne dubito! E non si illuda Renzi, non è mutuando il linguaggio di Grillo, come qua e là emerge, che otterrà il consenso politico necessario a isolare chi ha interesse a tenere tutto bloccato.

Restare fedeli alle speranze: i personaggi dimenticati di Erich Hackl

Per cogliere il significato della parola “empatia”, ci si può affidare a un dizionario: “la volontà e la capacità di un individuo di comprendere lo stato d’animo di un’altra persona”. Per capire cosa comporta l’ “empatia” si può però anche leggere un libro dello scrittore Erich Hackl, che vive tra Vienna e a Madrid.
Lontano da tutte le mode e dalle agitazioni letterarie, Hackl sta scrivendo ormai da molti anni una grande opera composta da tanti piccoli racconti di personaggi minori, dimenticati della storia. I suoi interventi politici pubblici forse possono essere paragonati a quelli di un Antonio Tabucchi, il suo stile letterario però si muove sul confine tra l’accurata ricerca giornalistica e l’immaginazione letteraria adoperata con cura. Ci sono perfino alcune affinità con la letteratura di Giorgio Bassani, accomunati dall’enorme empatia verso le vittime della storia.
Con grande attenzione ai dettagli, in un suo racconto Hackl ci descrive la vita di una vecchia comunista che aveva costruito una sorta di fortezza di discrezione attorno alla propria vita, solo per non rivelare i propri ideali. Possiamo imparare da Hackl come si può rivelare la biografia di una persona che durante la sua esistenza avrebbe sempre e sicuramente ripudiato questo tipo di attenzioni, evitando ogni sorta di voyeurismo imbarazzante. Hackl si avvicina ai personaggi dei suoi racconti con molta riservatezza, più per le stradine che per la via principale. Un ottimo esempio è Saluto per Elisabeth Freundlich, una scrittrice austriaca, con una vita incredibilmente commovente, rimasta totalmente sconosciuta al di fuori di un piccolo giro di amici e che morì in stato confusionale in una casa di riposo a Vienna.

I nomi delle cose è un meraviglioso necrologio, nel perfetto significato della parola “empatico”, non solo di una scrittrice deceduta, ma anche di un’intera cultura, di cui al giorno d’oggi, senza i ricordi letterari di Erich Hackl, non sapremmo niente. Uno storico, con la sua ricerca sobria, non potrà mai entrare così profondamente nel modo di pensare e di sentire delle persone che in passato avevano creduto ad un grande ideale, cosa che invece ancora e sempre riesce a Hackl nei suoi racconti. Ricordandosi di quei vecchi che a loro modo hanno combattuto per un mondo più giusto, più amichevole e più umano, forse talvolta anche caricandosi di colpe come alcuni comunisti dichiarati, Hackl si distanzia anche dal “disgusto dell’Austria” di alcuni dei suoi compagni scrittori. Non gli mancano gli attacchi contro la xenofobia, contro l’arbitrarietà spesso brutale della polizia e il populismo di destra, come ad esempio contro i Rom e gli emigranti in “Felix Austria”. Ma non si addentra nelle rumorose campagne pubbliche contro una presunta egemonia conservatrice e reazionaria in Austria. Hackl, piuttosto, con i suoi racconti vuole ricordare le persone che rappresentano un’“altra Austria”, persone che ad esempio hanno combattuto nella guerra civile in Spagna o contro nazionalsocialisti e fascisti durante la Resistenza, e sempre soprattutto per un’“altra Europa”. Si deve, ha scritto una volta, “restare fedeli alle speranze e ai sogni delle persone, ma non a quello che ne è diventato”.

[Traduzione dal tedesco all’italiano di Thomas Lietfien]

Addio a Sidonie di Erich Hackl. Trad. di Emilio Picco. – Milano, Marcos y Marcos, 1991, p. 156 
(Biblioteca germanica, 23) Tit. orig.: Abschied von Sidonie

Il caso Aurora di Erich Hackl. Trad. di Fernanda Mancini e Giusi Valent. – Milano, Marcos y Marcos, 1990, p. 160 (Biblioteca germanica, 18) Tit. orig.: Aurora Anlass

Sara e Simon di Erich Hackl. Trad. di Emilio Picco. – Milano, Marcos y Marcos, 1996, p.185 (Biblioteca germanica, 32) Tit. orig.: Sara und Simon

Altroconsumo scende in piazza: il festival a Ferrara

Altroconsumo festival è a Ferrara da domani – venerdì 16 – a domenica. Tre giornate dedicate alla tutela dei consumatori con musica, spettacoli teatrali, consulenze gratuite a tu per tu con esperti, degustazioni e confronti tra prodotti più diversi, come gli smartphone, le biciclette ma anche candele e zampironi per tenere lontane le zanzare.

Il weekend dalla parte dei consumatori comincia domani alle 21,30 con il concerto di Elio e le storie tese in piazza Trento Trieste aperta a tutti, accanto al lato porticato del Duomo cittadino. Sabato e domenica mattina si può, invece, iniziare la giornata con il viaggio guidato alla degustazione dell’espesso in un bar all’ombra del castello estense. Tra le 9,30 e le 11 il tuffo tra i vari tipi di caffè e miscele per imparare qualcosa di più sul caffè italiano, sperimentando in prima persona il metodo dell’assaggio sensoriale. La partecipazione è gratuita, ma i posti sono limitati e verranno assegnati in base all’ordine di arrivo.

Per chi cerca lavoro tra sabato e domenica l’appuntamento con gli esperti all’interno del chiostro piccolo di San Paolo, con ingresso da via Boccaleone. Simulazione di colloqui di lavoro sabato (10-13 e 17,30-19) e domenica (10-11 e 15-17). Vuoi sapere come è meglio rispondere alle domande durante la selezione? E qual è il modo più efficace di presentarsi? Esperti del settore sono lì per offrire una consulenza personalizzata e gratuita, ma è necessario iscriversi perché i posti sono limitati. Per prenotare, bisogna mandare un’email a ru@altroconsumo.it indicando nome, cognome, età, percorso di studio, nome dell’evento e mettendo nell’oggetto “FERRARA 2014”. Consigli per scrivere un curriculum e impostare la lettera di accompagnamento nei laboratori di domenica (ore 11-12), dove ci sarà anche un piccolo approfondimento su come sfruttare al meglio il web senza bruciare la propria immagine.

Gioco gratuito per imparare a mangiare bene alle 12,30 di sabato e alle 10,30 di domenica nel Mercato coperto di via Boccacanale Santo Stefano, per scoprire che una porzione giusta di carne corrisponde più o meno al palmo di mano di chi la mangia e che un piatto di ceci può sostituire una bistecca. Piatti e bilancia a disposizione per chi vuole imparare a comporre un menu nutrizionalmente corretto per l’intera settimana o semplicemente a preparare la colazione giusta per i bambini. Per i bambini un test di assaggio gratuito di biscotti al Mercato coperto fino a esaurimento posti sabato alle 16,30 e domenica alle 16. Un invito per i più piccoli a dare il loro giudizio sui tanti tipi di biscotti, apparentemente uguali, ma di marche differenti. Un’opportunità per i piccoli consumatori per scoprire che, a volte, la differenza la fa molto la pubblicità, oltre agli ingredienti.
In programma anche incontri per conoscere le app più utili da usare sul telefonino (sabato alle 17,30 e domenica alle 15, chiostro piccolo di San Paolo); un vademecum contro gli abusi delle banche affidato all’imprenditore Mario Bortoletto che in un libroha raccontato come si è opposto allo strapotere dei colossi bancari che gli hanno chiesto di “rientrare” mentre era in difficoltà per la crisi economica (domenica alle 15 nel chiostro di San Paolo); incontro di confronto e scoperta dell’acqua del rubinetto, di quella minerale e filtrata in modo da capire quali caratteristiche deve avere una buona acqua da bere (sabato 10,30-11,30 e 17,30-19 e domenica 10,30-11,30 e 15 al Mercato coperto); ma anche i trucchi per risparmiare sulle tasse (sabato alle 15, chiostro piccolo di San Paolo).

Se fosse la volta buona anche per noi

Abbiamo letto con particolare interesse le intenzioni di un illustre ferrarese che di recente ha assunto il ruolo complicato e difficile di ministro della Repubblica, per di più della cultura e del turismo.
Il primo passo sembra mirato a oliare la macchina organizzativa, partendo da una sorta di “revisione della spesa”, cominciando a sfoltire seggiole e a togliere pigrizie, là dove la polvere albergava da tantissimo tempo.
Poi, il Dario (ci permettiamo di chiamarlo così con affetto e ci scuserà) si è messo a guardare cosa fanno, di meglio, in altri Paesi europei come la Francia, la Germania, la Spagna, il Regno Unito, e ha fatto un duro confronto con il nostro bel Paese.
Il ministro si è messo le mani nei capelli e, toccata la folta barba nera con alcuni spunti bianchi, il look che lo contraddistingue da qualche anno, ha pensato, subito dopo, che serviva un cambio di passo e forse di più.
Pare che l’idea del procedere di Franceschini sia presa dall’esperienza francese, dalle detrazioni e agevolazioni fiscali all’ecobonus, dal mecenatismo alle liberalità, dalle partnership pubblico-privato alle donazioni, in un quadro che coinvolga anche gli stakeholder e con l’individuazione dei siti di interesse storico-artistico e ambientale-culturale in area vasta e con una filiera predefinita.
Basterebbe elaborare un progetto di turismo “incoming”, mettendo in rete fra loro (e magari online) i punti forti dei beni culturali e le bellezze di una geografia dei territori, per richiamare i tanti turismi che la costa e il primo e secondo entroterra registrano nei classici flussi vacanzieri e nei fine settimana.
Al riguardo, la visione non può che ricadere su quella fascia ampia e lunga di una parte dell’alto Adriatico cha va da Venezia a Ravenna, e che passa per il Parco del Delta del grande fiume Po, culla di tante storie: dagli Estensi agli Etruschi, ai Romani, alla Serenissima, ai Bizantini, ai legati, solo per citarne alcune.
Pensiamo anche al nostro territorio che sta dentro al gioco delle geografie: e allora si vedono Schifanoia, i Diamanti e il Castello Estense, in città; le delizie estensi, le ville storiche e i palazzi negli itinerari delle terre di mezzo, oltre all’abbazia di Pomposa e ai Tre ponti sulla costa; ma anche un rilassante picnic nei tanti parchi e itinerari cicloturistici come quello del destra Po, a villa Giglioli.
Ma per non sognare servono strumenti e risorse: pensiamo ad una “Società veicolo” che incorpori l’utilizzo dei beni culturali ed ambientali, affidando, con una organizzazione leggera ed efficiente, regia e governance ad alti management, mentre per la gestione si dovrebbero ricercare sia gli operatori del settore, sia nuove forme di associazionismo culturale e sociale del terzo settore, e con una guida-controller dei Comuni, come stanno pensando l’Anci e alcuni Sindaci.
Attendiamo con interesse la rivisitazione del Titolo V per le competenze, funzioni e ruoli e alcuni suggerimenti dati da esperienze acquisite e da esperti, oltre all’ausilio delle letture e delle lezioni dell’Economia della cultura e del turismo che alcune università ci stanno già offrendo.
Ci permettiamo, infine, di rivolgerci anche a Ferrariae Decus, a Italia Nostra, al Cai, a Casa Cini, alle Fondazioni bancarie, agli scrittori ferraresi, al circuito delle biblioteche e dei musei e dai tanti nascosti portatori di interessi che con il sistema delle imprese, potrebbero mettersi insieme e vedere cosa ne esce.
Scusate dimenticavo le risorse. Qui Dario deve fare il miracolo, e attivare autorevolezza internazionale di Padovan, alle buone relazioni, nei paesi emergenti, di Lapo Pistelli.
Arabi, russi, indiani, cinesi e qualche americano non sanno più dove investire, non basta più la montagna di liquidità nel materasso, serve allocarla là dove c’è il più grande patrimonio culturale del mondo e dove i ritorni sono possibili e buoni.
Se il ministro ci ascolta e ha un po’ di tempo per leggerci su questo quotidiano online, e noi faremo il possibile affinché gli giunga la notizia, capirà che non è la ferraresità che si fa viva ma un’articolazione di tanti territori che si mettono insieme, che guardandosi come costa potranno muovere i trenta milioni di persone che ogni tanto lasciano l’ombrellone della spiaggia e vanno in cerca delle bellezze della nostra lunga storia tra terre e acque.
Attendiamo almeno un sms, una chiocciola o uno squillo per poter andare oltre e cambiare correndo.

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Il decalogo delle associazioni culturali: valorizzare il patrimonio della città

da: associazioni culturali ferraresi

Le forze politiche cittadine presentano, in occasione del prossimo voto amministrativo, le linee di intervento per la futura gestione della città. A queste forze le Associazioni culturali, che qui sottoscrivono, indicano alcuni temi ritenuti prioritari chiedendo di farsene carico e di proporre linee di sviluppo, non contingenti, per il settore.
Prendiamo atto che non siamo all’anno zero e che le amministrazioni passate hanno avviato a soluzione molti dei problemi.
Riteniamo sia utile che la prossima amministrazione senta, pur nella necessaria distinzione dei ruoli, il nostro motivato parere.
1) Chiediamo la creazione di un momento consultivo ove esporre le nostre opinioni e indicazioni in occasione della programmazione delle attività culturali.
2) La storia di Ferrara, in tutti i suoi momenti, oltre alla ben nota tradizione umanistica, si caratterizza per la forte presenza della cultura scientifica. Auspichiamo che anche questa venga valorizzata e recuperata. Va posta inoltre attenzione ad ogni epoca della nostra storia senza trascurare le opportunità che provengono da proposte nazionali ed internazionali.
Non è possibile dimenticare che Ferrara è stata dichiarata dall’Unesco ‘patrimonio della umanità’ proprio per le testimonianze del passato ancora presenti che meritano di essere riproposte, più di quanto oggi accada.
3) L’Amministrazione renda disponibili spazi per iniziative autogestite dalle Associazioni o da privati cittadini secondo un programma concordato con l’Amministrazione Comunale.
4) L’ Amministrazione ricerchi occasioni di concertazione con gli altri attori presenti in città, in primo luogo la Università.
5) Il problema della gestione del Castello Estense, dei contenuti, modi e forme della sua fruizione è tema che non può essere eluso.
6) La nuova Amministrazione dovrà farsi carico della istituzione di un ‘sistema museale’ come previsto dalla legislazione vigente, sull’esempio di quanto già avvenuto in molte città della regione.
7) La ‘cultura della manutenzione’, piuttosto che la ricerca della ‘eccezionalità’, deve essere elemento caratterizzante e guida per ogni intervento su luoghi ed opere.
8) E’ necessario trovare una soluzione, stabile e di prospettiva, che riconosca il ruolo delle Associazioni all’interno della città e consenta loro di operare, ognuna secondo la propria specifica vocazione.
9) Molte Associazioni nel tempo hanno cumulato documenti archivistici e bibliografici che vanno integrati nel sistema informatico delle biblioteche e archivi, statali, comunali e universitari.
10) Gli spazi delle istituzioni pubbliche (musei, biblioteche, archivi, sale di musica, di riunione, di esposizione) vanno ampliati in funzione del loro progressivo sviluppo, nel lungo periodo, per effetto di donazioni, acquisizioni, accrescersi delle attività.
Attendiamo dalle forze politiche qualche risposta.

Accademia delle Scienze
Amici della Biblioteca Ariostea
Amici dei Musei e Monumenti Ferraresi
Bald’anza
Deputazione Ferrarese di Storia Patria
Ferrariae Decus
Garden
Italia Nostra

Morghen: voglio una città-parco che valorizzi le risorse locali, con i cittadini protagonisti delle scelte

Ilaria Morghen, medico anestesista del Sant’Anna, 43 anni, romana di Velletri, ferrarese adottiva dal 1997, è l’aspirante sindaco del Movimento 5 stelle.
La sua candidatura è stata per tutti una sorpresa. Lo è stata anche per lei?
In un certo senso sì, solo dallo scorso autunno sono attivista del meetup Grilli estensi e di recente sono stata selezionata dagli iscritti e poi designata per questo ruolo.
Alle spalle non ha un’esperienza politica, le posso però chiedere il suo orientamento?
Destra. Sono cresciuta in un ambiente familiare permeato da quei valori. Non ho mai militato, ma sempre considerato la politica una cosa seria e importante. Votare significa affidare a qualcuno la responsabilità di governare e decidere, per me e per la mia famiglia. Rimpiango il tempo in cui ci si poteva sedere in un tavolino del bar a Campo dei fiori per parlare con i nostri rappresentanti politici, in semplicità e senza formalismi. Era una forma di rispetto e una pratica di educazione civica. Poi tutto è cambiato, fa male ricordare quel che è successo: gli uomini a un certo punto sono spariti e al loro posto sono arrivati gli avvisi di garanzia. Ci è toccato prima Craxi col suo socialismo degradante e poi Berlusconi, un ventennio orribile…
Mai stata berlusconiana, desumo!
No no no, per carità… E quando Alleanza nazionale si è sciolta in Forza Italia è davvero finito tutto.
Nostalgia per quei tempi?
No, ora c’è il movimento 5 stelle. Abbiamo ritrovato la speranza.


Con lei sindaco, Ferrara come cambierebbe?

Metteremo su una bella squadra e faremo belle cose. Voglio subito sfatare la diceria che non saremmo preparati. Abbiamo competenze molteplici, fra noi ci sono economisti, artigiani, artisti, medici, semplici impiegati. Facciamo riunioni su riunioni, ci confrontiamo, studiamo. Abbiamo anche frequentato una scuola di amministrazione etica. Siamo pronti a portare innovazione in questa città, anche da un punto di vista tecnico. Viceversa è il Pd che mostra incapacità e continua a sperimentare sulla pelle del cittadino soluzioni inadeguate, con esiti fallimentari.
Per esempio?
Prendo il caso delle “unità per intensità di cura”, spacciate per ospedali. Esistono solo nelle regioni rosse e sono in realtà strutture assistenziali a bassa qualità, affidate a personale infermieristico, dove lo specialista passa ogni due o tre giorni. Sembrano concepite apposta per spingere il cittadino verso il privato. A Tagliani è persino sfuggita un’ammissione, quando ha riconosciuto che la ‘cronicità’ è da sempre affidata a Quisisana e Salus. Noi invece si battiamo per il potenziamento e la riqualificazione del servizio pubblico, non vogliamo cittadini di serie A e cittadini di serie B. Quello attuale è un modello che non ci sta bene perché penalizza i meno abbienti. Io consiglio di farsi assicurazioni private per essere tranquilli, ma non è giusto che sia così perché non tutti se le possono permettere.
A proposito di servizio sanitario pubblico, che ne pensa dei medici obiettori?
L’interruzione volontaria della gravidanza è un diritto che deve essere garantito.
Con l’80% di medici obiettori non è semplice. Non ravvisa anche doppiezza e ipocrisia in questa scelta?
Non conosco personalmente casi di medici che si dichiarino obiettori e poi pratichino aborti in cliniche private.


Tornando a Ferrara, ha detto che un modello virtuoso di innovazione al quale si ispira è quello di Bogotà. Non teme di spaventare qualcuno mettendo di mezzo nientemeno che la capitale della Colombia?

I miei attivisti sostengono che sono avanti vent’anni! L’esperienza del sindaco Mockus è stata qualcosa di straordinario. Diceva: “Noi non cerchiamo voti, cerchiamo voci”. E’ la nostra stessa ottica assembleare, il nostro è un programma aperto al contributo dei cittadini. In condizioni molto peggiori di queste, Mockus ha realizzato risultati eccezionali. Il fulcro della sua azione è stata l’educazione civica: trasmettere alle persona la consapevolezza del ruolo sociale di ciascuno. Qui siamo in piena anestesia partecipativa, noi vogliamo risvegliare il senso di appartenenza a una comunità.
Ma se lo spirito è quello della condivisione e del confronto come si giustificano le epurazioni dei dissidenti dal movimento?
Sono mistificazioni della stampa. Grillo e Casaleggio non si sentono mai, al punto anzi da farci desiderare qualche loro consiglio. I gruppi dirigenti sono lasciati liberi di decidere senza condizionamenti.
Le espulsioni però ci sono state, le reprimende a sindaci, deputati e senatori pure…
Ci sono solo tre regole di base: rispettare i cittadini, rispettare le leggi, non farsi manipolare. Sono norme che disciplinano la vita civica del movimento evitando danni ai cittadini e anche ai tuoi compagni. Chi non rispetta i patti viene segnalato ed eventualmente allontanato.
La sensazione però è che ci sia scarsa tolleranza per le opinioni non allineate.
E’ così quando sono espressione di ambizioni personali. Ci sono norme etiche di comportamento che vanno rispettate. Aderire è una libera scelta, prima di diventare attivisti si è sottoposti a un periodo di osservazione. Una volta dentro, le regole vanno onorate.
Una curiosità: di Grillo sappiamo tutto, ma Casaleggio che tipo è?
Affascinante, grande cultura, appassionatissimo di storia, timido e un po’ schivo.
Un carattere opposto al vostro leader. Non ritiene anche lei che i toni siano spesso sopra le righe, troppo gridati, che l’invettiva non faccia bene al confronto?
Dobbiamo gridare per farci sentire, non siamo in tv, siamo spesso censurati, i giornali dei padroni non ci vogliono. E quando sei in piazza e parli direttamente con le persone si crea un forte legame emotivo, un effetto trascinamento. Avverti la speranza e insieme la rabbia e la delusione di tanti. Abbiamo il dovere di fornire risposte a quelle domande e infondere fiducia nel cambiamento, anche per impedire che la protesta si trasformi in violenza. I toni sono una conseguenza di ciò. Ma quando la gente sente Beppe, se ne va con un sorriso e la convinzione che ancora ce la si possa fare a cambiare le cose.
Quindi anche il contestato “bastardi” che lei qualche giorno fa ha gridato dal palco di Bologna all’indirizzo del Pd è frutto di questo contesto?
Siamo arrivati sul palco arrabbiati perché ci censurano continuamente, siamo stanchi, esasperati…


Con gli altri candidati non c’è dialogo?

Ma non hanno niente da dire! Non hanno neanche presentato il programma. Un programma ce l’abbiamo io, Anselmi e poi, vabbé, il Pd che scrive le solite cose.
Nel suo programma ci sono soluzioni concrete per fronteggiare la crisi a livello locale?
Bisogna rilanciare l’economia, pensiamo a un tavolo con artigiani e imprese, dobbiamo partire dalle nostre risorse, non cercare – come fa questa amministrazione – le holding che vengono da fuori, fanno i loro interessi, lasciano le aree da bonificare e il deserto. Noi puntiamo sulle forze produttive locali. Certo, la spending review non aiuta ma siamo convinti che in ogni settore ci siano margini di espansione.
Qualche esempio di cose che vorreste fare?
La riconversione energetica degli edifici pubblici. L’apertura di un’agenzia per l’energia, come ha fatto Modena costituendo un consorzio. Ma a Ferrara ci si è rifiutati di aderire perché si volevano favorire gli interessi di Sipro. Così abbiamo perso decine di milioni di euro. E’ sempre la stessa storia, si agisce non per il bene dei cittadini, ma per compiacere gli amici. Lo stesso capita sistematicamente con Hera, che è un vero moloch: cura solo i suoi interessi e deprime la nostra economia locale. Ora si vorrebbe estendere la geotermia che non porta alcun risparmio ai cittadini ma conviene ad Hera. Entro il 19 maggio il sindaco ha la possibilità di richiedere lo spegnimento dell’inceneritore, ma se ne guarda bene. Così si continuerà a inquinare. Ma se si continua a spargere diossina sulle nostre campagne addio Doc e Igp…
E per le imprese?
Vorremmo unificare le partite Iva e avviare processi di investimento garantiti dall’amministrazione comunale per sottrarre i cittadini imprenditori alle vessazioni di Equitalia, che è il grande nemico. Vanno semplificati gli iter burocratici…
Il modello di città che lei citava all’inizio, quello del sindaco Mockus di Bogotà, si basa sostanzialmente sul concetto di learning city, cioè di comunità educativa che offre stimoli continui di crescita e occasioni di partecipazione. Come lo tradurrebbe per Ferrara?
Abbiamo in mente un piano estetico urbano che parte dalle periferie. Vorremmo fare dei grattacieli la porta di accesso della città, in versione ‘land art’, tappezzandoli di pannelli termoriscaldanti e trasformandoli in ‘green building’. E tutto intorno un esteso e diffuso parco che metta in connessione le aree cittadine.
Turismo?
Innanzi tutto un’adeguata politica dei prezzi. Tagliare la tassa di soggiorno, ridurre i costi degli hotel. Diffondere mappe digitali e cartacee. Rilanciare il ‘made in Fe’, ad esempio attraverso l’industria della bicicletta, fare promozione all’estero con la presenza di stand alle fiere del turismo. Insomma, va rivitalizzata la città che ora è tagliata fuori persino dai flussi del traffico passeggeri. Bisogna fare arrivare anche qui i treni dell’alta velocità.
Per la verità arrivano già…
C’è un frecciargento e basta. Bisogna adeguare la banchina della stazione. E’ una cosa che si fa facilmente. Abbiamo anche privati pronti a investire per il rilancio della città: imprenditori locali.
Nomi?
Per ora è meglio di no.
E le politiche culturali?
L’ottica è appunto quella della ‘land art’, vogliamo una città verde, vorremmo creare il parco ‘land’ più grande d’Europa abbracciando tutta la città, raccordando aree verdi e opere d’arte…
Questo implicherebbe un’estensione dei divieti al traffico veicolare?
Pensiamo a parcheggi scambiatori e uso di navette elettriche gratuite. Poi vogliamo ripulire la città: via i cassonetti dell’immondizia per esempio, per liberare spazio al transito delle biciclette.
Via i cassonetti nel senso che li interrereste?
No, via perché non serviranno più facendo raccolta differenziata.
Le sembra realistico? Di certo non avverrà in un giorno…
Le persone vanno educate, tutto parte dall’educazione civica, l’educazione al rispetto degli spazi e degli altri. Il cambiamento non si fa in un giorno, ma si può e si deve fare. E noi vogliamo realizzarlo.

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In gioco senza azzardi

di Alice Magnani

Il gioco d’azzardo è una piaga che coinvolge molti. La nostra regione vanta un record negativo che la pone al quarto posto in Italia per fatturato (8.534 milioni di euro nel 2012) e per spesa pro capite fra i maggiorenni della regione (1.840 euro). Quello che inizia come un gioco nel tempo libero può diventare un’ossessione che coinvolge ogni momento della quotidianità, sottraendo tempo e denaro non solo alla famiglia e agli amici ma anche al lavoro e ad abitudini più sane. Le conseguenze sono tragiche: si può arrivare alla depressione, a ricorrere all’usura o ancora a tentare il suicidio. Non mancano problemi di altro tipo come disordini familiari, micro crimini e atti contro l’ordine pubblico. Alla base di tutto enormi costi sociali per il trattamento sanitario dei casi più disperati, per la prevenzione e ancora per l’educazione nelle scuole, con l’obiettivo di proteggere le categorie più deboli, le più a rischio.

Che fare dunque contro il proliferare di queste sale giochi? È difficile per i Comuni agire da soli, dal momento in cui le autorizzazioni per le sale gioco passano dalla Questura e non dal Comune, in base a leggi nazionali. “I Comuni sono impegnati, ma deve essere la politica a farsi carico del problema con un intervento legislativo nazionale, riconoscendolo come disagio sociale ed economico. Noi ci mettiamo in gioco sia a livello locale sia a livello nazionale perché sono sempre di più le famiglie che si rovinano” sottolinea Matteo Iori, presidente Conagga (Coordinamento nazionale gruppi per giocatori d’azzardo). Un tentativo di regolamentare il gioco d’azzardo è stato già intrapreso con il “Manifesto dei sindaci per la legalità contro il gioco d’azzardo” che ha raccolto 32.000 firme sull’intero territorio regionale. Obiettivo: chiedere al Governo di intervenire in materia con una proposta seria, che riduca visibilmente il numero delle sale gioco e delle malattie da queste derivate.

Ora è stata lanciata campagna nazionale, “Mettiamoci in gioco”, presentata nei giorni scorsi a Bologna. Un’iniziativa a cui hanno collaborato il Comune, le associazioni e imprese del terzo settore e i sindacati dell’Emilia-Romagna per costruire un coordinamento regionale capace di agire in maniera efficace sul problema.
In vista delle elezioni amministrative, il Coordinamento regionale ha promossa anche una lettera da inviare a tutti i candidati con l’intento di far inserire il tema della prevenzione e lotta all’azzardo patologico nei programmi elettorali. A tutti gli aderenti il Coordinamento chiede di far iscrivere il proprio Comune al “Manifesto dei sindaci per la legalità contro il gioco d’azzardo”. L’obiettivo principale per il Coordinamento è diventare un punto di riferimento aperto per chiunque voglia attivarsi per sensibilizzare istituzioni e opinione pubblica sui rischi connessi alla diffusione del gioco d’azzardo. Oltre a questo obiettivo a lungo termine, il coordinamento lavorerà su altri 14 punti del documento “Regolamentazione del gioco d’azzardo” (il manifesto lanciato nel 2013 dalla campagna “Mettiamoci in Gioco”), il cui intento è stabilire una legge che regolamenti il gioco d’azzardo in tutti i suoi punti. Per sensibilizzare l’opinione pubblica sono previste iniziative, campagne di informazione e momenti di incontro. Quello che si chiede è dare ai sindaci potere di controllo sul fenomeno nel loro territorio, ridurre l’alta variabilità attuale nella tassazione sui diversi giochi incrementando le entrate per lo Stato, inserire il gioco d’azzardo patologico nei livelli essenziali di assistenza garantiti dal servizio sanitario nazionale, vincolare parte del fatturato annuo dei giochi d’azzardo al finanziamento delle azioni di prevenzione, assistenza, cura e ricerca della ludopatia, regolamentare la pubblicità che riguarda il gioco, vincolare l’ esercizio delle concessioni nel rispetto del codice di autoregolamentazione pubblicitaria e creare un’authority di controllo esterna ad Aams (Agenzia delle dogane e dei monopoli di stato), stabilire una moratoria sull’introduzione di nuovi giochi finché non saranno esposti i risultati delle ricerche sui giochi già esistenti, adottare un registro unico nazionale delle persone che chiedono esclusione dai siti di gioco d’azzardo.

Prima iniziativa prevista dal coordinamento sarà domenica 18 maggio a Reggio Emilia nella “Festa dello sport in ambiente” in cui il fenomeno dell’azzardo verrà descritto insieme ad associazioni e cittadini, sottolineando le buone pratiche sul territorio. Passo successivo sarà la mappatura sui servizi sul gioco d’azzardo patologico attivati nelle provincie dell’Emilia-Romagna. “Vogliamo essere un punto di riferimento aperto a tutti quelli che si vogliono aggregare, soprattutto ora che il gioco d’azzardo sta conoscendo un enorme sviluppo, con infiltrazioni già documentate dei clan mafiosi come Casalesi e Schiavone” ha spiegato Fiore Zamboni, referente coordinamento ‘Mettiamoci in gioco’ Emilia-Romagna, presente alla conferenza.

Le realtà che si sono “messe in gioco” sono numerose: Acli, Ada, Adoc, Adusbef, Alea, Anci, Anteas, Arci, Associazione Orthos, Auser, Avviso pubblico, Azione cattolica italiana, Cgil, Cisl, Cna, Conagga, Ctg, Federconsumatori, FeDerSerD, Fict, Fitel, Fondazione Pime, Fp Cgil, Gruppo Abele, InterCear, Ital Uil, Lega consumatori, Libera, Scuola delle buone pratiche, Shaker, Uil, Uil pensionati, Uisp, Lag Vignola e Associazione Umanamente.

Così vicina così lontana, Londra non è (più) la terra promessa

di Emilia Graziani

Da LONDRA – Entro in uno dei pochi pub che sono rimasti autenticamente inglesi, di quelli periferici con il bancone di legno scuro, lucido, dichiaratamente appiccicoso e l’aria buia e impregnata dell’odore grasso di fish and chips, che qua è buona norma mangiare a tutte le ore. Mi siedo su uno dei tanti sgabelli che si affacciano sul bar e inutilmente cerco di attirare l’attenzione del giovane barista che sta annegando in un mare di ordini e birra.
Alla mia sinistra quattro ragazzi in jeans e maglietta parlano a voce molto alta, sono di fianco a me ma non capisco ciò che dicono se non per un occasionale vale o cerveza che li identifica come spagnoli; alla mia destra un uomo grassottello sulla cinquantina, palesemente inglese, tracanna l’ultimo sorso della sua birra mentre carica di tabacco la pipa e borbotta tra sé e sé parole a me incomprensibili.
Finalmente il barista si accorge di me. Ripasso mentalmente le regole della pronuncia e con il mio migliore accento londinese chiedo una pinta di Camden Hells. La reazione a cui ormai sono abituata non tarda ad arrivare: “Scusa, sei italiana? Ma dai, anche io. Di dove sei?”

Sono a Londra da tre mesi per seguire un corso di giornalismo e onestamente ho avuto troppe poche interazioni in inglese per rendermi conto di essere in Gran Bretagna.
Ho conosciuto e ascoltato le storie di ragazzi diplomati, laureati, specializzati che sono scappati tanto da paesini di provincia quanto dalle grandi città e si sono trasferiti in terra albionica con la speranza di fare “qualcosa, qualsiasi cosa”. La sensazione è che venire a fare il cameriere a Londra non sia più il rito di passaggio destinato a concludersi con la fine dell’estate che era fino a quattro-cinque anni fa. Oggi è una richiesta di speranza e di indipendenza a una città che inspiegabilmente sembra in grado di accogliere e dare lavoro a tutti quelli che dimostrano di avere buona volontà.
O almeno questo è quanto appare dall’esterno.

Per quanto possa suonare strano per una nazione che si è costruita su commercio e colonialismo, la Gran Bretagna si sta evolvendo in maniera nettamente protezionistica: fedeltà alla sterlina, nessun senso di appartenenza all’Europa (quante volte ho sentito i locals dire “voi europei”) e sconfinato orgoglio per il Made in Gb, che si parli di oggetti o di persone.
L’abbondante flusso di immigrati, polacchi in primis, ma di certo non mancano giovani dai Piigs, sfocia nel lavoro manuale e commerciale, che, pur essendo considerato con più rispetto che in Italia, non è l’obiettivo primario dei tanti “cervelli in fuga”.
Il messaggio negli annunci di lavoro della maggior parte delle grandi aziende inglesi è sottile, ma chiaro: per essere considerato idoneo, il candidato deve essere madrelingua e cittadino europeo. Facile dedurre che questi criteri includono unicamente gli abitanti del Regno Unito, con buona pace dei tanti laureati eccellenti dal resto d’Europa.

La buona notizia è che almeno nella terra d’Albione il tanto familiare essere “troppo qualificato/a” non pare essere un problema. Quindi, fedele al motto “fatta la legge, trovato l’inganno”, un giovane straniero, seppur con fatica e affrontando tanta competizione, può sperare di riuscire a entrare nel mondo del lavoro britannico frequentando corsi e master in Inghilterra e tentando di inserirsi nelle aziende tramite tirocini e collaborazioni “per arricchire il curriculum”.
Con questo non voglio scoraggiare nessuno dal mettere la pergamena di laurea o del diploma in valigia e imbarcarsi sul primo volo per Londra. Sarebbe terribilmente ipocrita da parte mia. Però è bene sapere che, una volta atterrati, non ci si trova nel paese dei balocchi dove tutto è facile o diverso dalla madrepatria. Più a lungo si vive in Gran Bretagna, più si notano atteggiamenti e situazioni simili al mondo del lavoro italiano.

A tutti coloro che aspirano a venire a Londra per trovare lavoro, dico: non abbiate paura a rimettervi a studiare, a offrirvi per uno stage non pagato, a proporvi per una posizione “inferiore” alla vostra qualifica o a essere il 1200esimo candidato per 4 posti di lavoro.
Londra non è la terra promessa, ma delle promesse noi italiani abbiamo imparato a non fidarci da un pezzo.

La politica non deve tacere

In questi giorni stiamo assistendo alla replica di un brutto film: nuovi scandali e nuovi arresti per corruzione. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi dice: “La politica se ne stia zitta e lasci lavorare la Magistratura!” Parole condivisibili a metà. Va bene il rispetto dell’autonomia della Magistratura a fronte del disprezzo e dileggio che la destra berlusconiana ha sempre riservato ad uno dei poteri fondamentali dello Stato di diritto. Va male se il silenzio della politica si estende a ciò che è suo dovere fare: combattere la corruzione come una delle emergenze storiche e strutturali del nostro Paese. Non è sufficiente dare vita all’ennesima Authority, o creare una task force solo dopo la scoperta della cupola milanese. La verità è che su questo fronte non registro, finora, novità da parte del governo del fare: restano in vita le sciagurate leggi ad personam; permane irrisolto il conflitto di interessi; continua da parte dei corrotti e corruttori l’uso della prescrizione per evitare le sentenze.
Vorrei, però, approfittare della dichiarazione del Presidente del Consiglio per fare chiarezza su una questione su cui viene alimentata una voluta confusione: la distinzione tra il legale-penale e il politico-morale. In Italia, da Tangentopoli in poi, la Magistratura ha fatto la sua parte. E’ la politica che non ha fatto il suo dovere. Il processo penale si muove in un ambito preciso e ristretto: è volto non a risolvere problemi sociali, ma ad accertare fatti specifici e responsabilità individuali. Spetta alla politica rendersi conto che la corruzione in Italia è da decenni corruzione sistemica, ciò che rende il nostro Paese del tutto anomalo rispetto alla corruzione fisiologica presente nelle altre democrazie occidentali.
Chi aveva investito “Mani pulite” di un’aspettativa palingenetica non aveva, evidentemente, nozione della distinzione di funzioni tra Magistratura e politica in uno Stato di diritto. Concetto, invece, presente nel rapporto dell’organismo creato dal Consiglio d’Europa per vigilare sul rispetto delle norme anti-corruzione da parte degli Stati membri, ove si afferma che: “…la necessità di elaborare una politica di prevenzione effettiva nel settore della corruzione richiede una strategia a lungo termine e un forte impegno politico, perché la lotta alla corruzione deve divenire un fatto di cultura diffusa e non solo di norme di legge.”
Ecco ciò che non ha mai fatto la politica, sia prima che dopo Tangentopoli! Solo due grandi leader politici lanciarono l’allarme agli inizi degli anni ottanta del secolo scorso sulla questione morale: Enrico Berlinguer e Ugo La Malfa. E solo un sindaco, Diego Novelli, anticipò la Magistratura nel denunciare la presenza di corrotti nella sua giunta di Torino. Ma costoro furono isolati all’interno dei loro stessi partiti. Ciò è potuto accadere perché è sempre stata una favola la contrapposizione tra una società politica corrotta e una società civile sana e onesta. In verità è una minoranza la parte che chiede di assumere la lotta alla corruzione come una priorità dell’agenda politica.
Mi dispiace polemizzare con l’onesto sindaco di Milano Giuliano Pisapia, ma fa un’analisi sbagliata quando dice che la legalità in Italia è un valore per molti contrastato solo da pochi. Basterebbe chiedersi: se da oggi si praticasse un’intransigente lotta contro la corruzione, l’evasione fiscale e la pratica del lavoro nero reggerebbe il sistema-Paese? Domanda drammatica, perché ci mette di fronte al disastro causato da decenni di governi incapaci o peggio. E il dato più preoccupante è proprio un’opinione pubblica divisa tra esasperati, rassegnati e indifferenti. Basti il confronto fra due comportamenti opposti tenuti da leader politici, espressione di due opinioni pubbliche diverse: Ehud Olmert e Silvio Berlusconi. Ehud Olmert, già sindaco di Gerusalemme, fu primo ministro dello Stato di Israele dal 4 maggio 2006 al 23 gennaio 2009. Quando divenne oggetto di indagine per ipotesi di corruzione, si dimise con questa motivazione: “Se devo scegliere fra me, la consapevolezza di essere innocente e il fatto che restando al mio posto possa mettere in grave imbarazzo il Paese che amo e che ho l’onore di rappresentare, non ho dubbi: mi faccio da parte perché anche il primo ministro deve essere giudicato come gli altri”.
In Italia questa forma etica di responsabilità politica che si concreta nelle dimissioni, prima e a prescindere dalla condanna in sede penale, resta sconosciuta al nostro costume civile e politico. Da noi ha vinto un garantismo peloso che non ha niente a che vedere con la salvaguardia dei diritti della persona, ma solo con la tutela dell’impunità del potente. Di più. Per Silvio Berlusconi neanche una condanna definitiva è sufficiente per escluderlo come leader politico dalla vita pubblica. Che fare? E’ impressionante come un osservatore straniero, lo scrittore tedesco Peter Schneider, fin dall’inizio dello scoppio di Tangentopoli avesse visto con lucidità la soluzione: “Non possiamo illuderci sulle possibilità di rigenerare l’Italia per la sola iniziativa della magistratura. L’idea di fare a meno della politica, dei partiti, è un errore. Un fondamentalismo che non può portare che alla distruzione della società. Contro il radicalismo dell’antipolitica bisognerà battersi, fin d’ora, in nome di un rinnovato contratto sociale e morale”. (Micromega n.4, 1993). Dopo vent’anni siamo ancora in tempo? O si preparano futuri da incubo tra incapaci, corrotti e fanatici?

Fiorenzo Baratelli è direttore dell’Istituto Gramsci di Ferrara

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Le suggestioni di Camerani: ombre d’artista all’ombra di Matisse

Ombre all’ombra di Matisse. Sono quelle tracciate da Maurizio Camerani, scultore e video artista, che con le sue opere dialoga con i quadri del maestro fauve francese. L’allestimento è alla Mlb home-gallery di Ferrara, che si trova lungo la stessa, bella via di Palazzo dei Diamanti dove è allestita l’esposizione di Henri Matisse: sul corso Ercole d’Este, ma una manciata di numeri civici più in su, vicino al castello del centro cittadino.

Una visita alla galleria-abitazione di Maria Livia Brunelli è un’opportunità per entrare in confidenza con l’arte minimale di Camerani, ma anche con quella ricca e variopinta di Matisse. In uno spazio che è familiare e intimo, ogni dettaglio richiama la fusione tra l’arte e la vita che è intorno. Come le piccole sagome in pasta frolla a forma di pesci, di mani e di piedi, create per il buffet da Laura Saetti: un abbraccio tra arte e materia quotidiana che – in questo caso – si può fare proprio, assaporare, masticare, digerire.

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I “Pesci rossi” di Matisse, di Camerani e del buffet

Affascinato dai momenti sospesi e dalle suggestioni che coglie nei quadri del pittore , Camerani riprende elementi delle sue stesse video-installazioni degli anni ’80 e li affianca a dettagli ricorrenti dei quadri di Matisse. Ogni opera è un assemblaggio che mette insieme un fotogramma dei suoi video con alcuni particolari matissiani, catturati sotto forma di ombra. Ecco allora il segno della matita morbida su carta, che va a comporre il riflesso che può lasciare una figura: la silhouette di un piede con la cavigliera da odalisca; la sagoma di una tazzina rovesciata; un tamburello; una rosa e una lucertola; le mani di una danzatrice; pesci rossi; foglie lobate di una pianta di filodendro che evoca vecchi appartamenti borghesi. Sono ombre, dunque, riflessi che proprio di riflessione parlano e alla riflessione portano.

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Odalisca di Matisse e opere di Camerani alla Mlb

Nella casa-galleria al primo piano del palazzo è aperto un catalogo dell’opera di Henri Matisse. Camerani indica su una pagina la riproduzione del quadro dell’odalisca addormentata con accanto una tazzina capovolta e una scacchiera. E si chiede: “Cosa sarà successo in quella stanza? Si sono amati? Hanno litigato?”. Un particolare che esce da quell’opera, così piena di colori da sopraffarci, per diventare protagonista in punta di matita sopra un foglio di carta montato su telaio. La riduzione al bianco e nero diventa un percorso di indagine, interrogazione, insinuazione di un mistero.

In un video la sagoma rossastra di una danzatrice si muove come nel celebre olio su tela intitolato “La danza” e dipinto da Matisse in varie versioni nel primo decennio del ’900. La didascalia spiega: “Aurora si muove con la sua ombra, la rincorre, la tocca, la tira verso di sè, poi la lascia libera di fluttuare”.

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La Danza di Matisse e di Camerani

In un’altra opera le sagome dei pesci riprodotte con la matita sulla carta sono come ombre create dalla luce sulla parete dietro a un acquario, con le dimensioni degli animali che variano, rimpicciolite o ingrandite mentre navigano nell’acqua a causa dell’effetto ottico del vetro e delle luci. La suggestione è completata dalla presenza di tre pesciolini veri, che nuotano in una sfera di vetro a ricordare i “Pesci rossi” dipinti da Matisse all’interno di altre stanze, vicino ad altre finestre, in momenti e luoghi passati. “La tecnica esecutiva della matita – racconta Camerani – è un intreccio di segni, che mi costringe a un tempo lungo di permanenza sull’opera. E’ quasi un mantra, un tempo riflessivo e si collega alla mia matrice minimalista nell’ambito dell’arte”. Un mantra che riporta qui e adesso l’epoca fauve della Francia d’inizio Novecento, la rivisita in chiave moderna, la spoglia e la rinnova.

La mostra “Maurizio Camerani Atelier Matisse” in corso Ercole I d’Este 3 è aperta fino al 14 settembre; fino al 29 giugno è visitabile ogni sabato e domenica dalle 15 alle 19 con ingresso libero anche senza appuntamento. Negli altri giorni info allo 346 7953757 o sul sito della galleria (www.mlbgallery.com.)