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Ferrara film corto festival

Ferrara film corto festival


femminicidio

Femminicidi, «per arginare la violenza bisogna insegnare ai figli che il corpo è sacro»

«La reputo molto utile ai fini della sensibilizzazione e dell’informazione. Un giorno sui 365 che compongono l’anno, non sono però sufficienti a modificare una realtà violenta che a tutt’oggi, quotidianamente, colpisce le donne. E non solo». Maria Rosa Dominici, psicoterapeuta, già Giudice Onorario del Tribunale dei Minori di Bologna e Consigliere Onorario presso la Corte d’Appello di Bologna, Sezione Minori, una vita spesa a trattare di abusi e soprusi, collaboratrice di riviste scientifiche internazionali, autrice del progetto Psicantropos – teso ad ‘educare’, già dalle scuole, al rispetto della sacralità del proprio e dell’altrui corpo, «perché è sulla prevenzione, sull’autostima, sulla consapevolezza dei futuri adulti che bisogna agire» – , fondatrice e curatrice del sito www.crimevictimpsicantropos.com, riflette sulle iniziative appena conclusesi sulla Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne e sui vari appelli lanciati da tutti i livelli istituzionali.

Maria Rosa Dominici
Maria Rosa Dominici

Al di là delle promesse e degli intenti che precedono e seguono il 25 novembre, l’indomani, dunque oggi, cosa rimane?
Siamo in una realtà in cui la violenza è psicosociale. Psicologicamente e socialmente, purtroppo, ci si sta adeguando, ed è questo il pericolo maggiore. In un qualche modo, è strisciante e suadente, ammantata di un alone perversamente romantico. Non a caso si sprecano termini come ‘passione’, ‘sentimento’, ‘rifiuto’, ‘tradimento’. Tutti alibi che inducono quasi a una captatio benevolentiae verso chi commette le azioni, invece che verso chi le subisce. Chi uccide diventa un personaggio pubblico, scrive un libro, ispira la realizzazione di un film, viene ospitato in tv. Raggiunge una notorietà addirittura ‘monetizzata’. D’altra parte, basti pensare ai titoli dei programmi dedicati al tema, si va da ‘Amore Criminale’ – come se l’amore e il crimine potessero convivere – a ‘Storie maledette’. Bisogna rendersi conto che per alcuni scatta una volontà di emulazione frutto di un meccanismo di identificazione, proiezione.
Soluzioni?
Ripartire dall’educazione, fin dalle scuole materne, fin dall’infanzia, per insegnare la sacralità del corpo. Solo così si può invertire la rotta.
E’ ‘solo’ violenza dell’uomo sulla donna?
E’ soprattutto così, perché la donna è reputata ancora un oggetto. Consapevolmente o no, spesso è lei stessa complice di questa perversione. Non denuncia perché spera nel cambiamento, non accusa perché si vergogna, non chiede aiuto ‘perché in fondo lui mi ama’. Sono mille le storie sepolte, nascoste, censurate, finché non si riacquista l’autostima.
Quest’anno la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donna, si si intreccia con gli episodi di Roma, con le baby squillo indotte alla prostituzioni dalle madri. Altra violenza o la stessa violenza?
Le baby squillo ci sono sempre state, così come i genitori che fanno prostituire i propri figli. Ci sono casi che restano invisibili per sempre, altri che scoppiano, anche se poi tutto ricomincia. Io sono molto critica, anche sull’informazione fatta in nome del diritto di cronaca. La Carta di Treviso impone la tutela dei minori.
In Italia si investe poco sulla prevenzione. Quanta differenza potrebbe fare, invece, l’educazione alla non violenza a scuola?
Moltissima. Per questo ho dato vita a Psicantropos, che basandosi sulla medicina psicosomatica – il corpo fa ciò che la mente vuole – debella quel pensiero, ipocrita, secondo cui ad indurci a delinquere è il nostro lato oscuro. Bisogna educare i più piccoli al rispetto di se stessi e degli altri, alla sussidiarietà dei ruoli, alla cooperazione dei sessi.
Quindi non si tratta solo di educazione sessuale…
No, assolutamente, e finché tratteremo il problema entro questi esclusivi confini non si arginerà la violenza sulle donne e saranno insufficienti sia la giornata mondiale che le varie carte internazionali, come la Convenzione di Istanbul, sottoscritta dall’Italia la scorsa estate. Finché si penserà solo all’educazione sessuale, spesso mal fatta, nell’immaginario collettivo il sesso sarà solo sporco e cattivo. E’ da qui che nascono le confusioni distruttive.

camilla ghedini – www.ufficiostampacomunicazione.com

lente

ferraraitalia, il nostro punto di vista sulla città e sul mondo

Un citatissimo precetto del giornalismo anglosassone è quello che impone la netta separazione fra fatti e opinioni. Come se fosse possibile! Come se il narratore potesse d’incanto spogliarsi (solo perché lo vuole) della propria soggettività cioè del proprio modo di guardare il mondo, riponendo quasi fossero occhiali, le invisibili lenti mentali che ne condizionano la percezione e ne orientano comprensione e giudizio.
Bene, noi stiamo fuori dai confini della disputa. Il nostro quotidiano infatti non rendiconterà fatti, quindi non pubblicherà notizie in senso proprio, ma opinioni su ciò che accade e sulla realtà che viviamo. Quindi pareri, punti di vista, commenti, riflessioni. Gli avvenimenti della città troveranno rappresentazione nelle inchieste della nostra redazione.
L’obiettivo non è strettamente informare, ma cercare di capire e di comprendere. Lo faremo anche attraverso lo strumento dell’intervista, chiamando in causa personalità autorevoli o comunque esperte degli argomenti e dei temi di volta in volta in trattazione; oppure personaggi in qualche misura emblematici, o rappresentativi di realtà più ampie e complesse.
La scelta della testata “ferraraitalia” è insieme un omaggio al buon giornalismo e un’espressione programmatica. Come il celebre “Milano, italia” di Enrico Deaglio e poi di Gad Lerner ai tempi di tangentopoli assunse la città quale paradigma e specchio di un fenomeno di dimensioni e rilievo generale, così per noi Ferrara sarà il microcosmo in cui il Paese si specchia e al contempo il laboratorio che lancia segnali alla macrorealtà di cui è parte integrante e costituente.

Ai nostri lettori chiediamo comprensione e un po’ di pazienza, specialmente in queste prime fasi di lavoro: ferraraitalia come ogni nuovo prodotto ha necessità di rodarsi e di essere messo a punto strada facendo. Sconteremo inevitabilmente lacune e qualche contrattempo tecnico nonostante l’abilità di chi ci assiste per la parte informatica, gli amici di NetPropaganda. Con il massimo impegno loro e della redazione a tutto cercheremo di ovviare il più rapidamente possibile.

parisphoto

Paris Photo, immagini di contemporanea solitudine

di Virginia Malucelli 

PARIGI – Il novembre parigino è essenzialmente marcato da due cose: dai lunatismi meteorologici dovuti all’incipiente inverno e dall’epidemia di fotoamatori che popola il “mese della fotografia”. Ho avuto la fortuna di accaparrarmi uno dei preziosi biglietti per l’anteprima di Paris Photo (14-17 novembre), un evento internazionale ormai divenuto di culto per gli amanti dell’arte e particolarmente della foto. Giunta alla sua terza edizione, la fiera è ospitata al Grand Palais di Parigi, che con le sue solenni vetrate illumina la piattaforma brulicante di ben 136 gallerie internazionali.
Così inizia la visita: la mia attenzione viene calamitata da una decina di persone che deambulano senza una direzione definita, calice alla mano e conversazione sui massimi sistemi pronta all’uso. Tutt’altro che contemplazione artistica.
Quindi il mio viaggio esplorativo riprende una giusta direzione e debutta sulle prime immagini: riconosco Cindy Sherman, Robert Mapplethorpe, Richard Avedon, vengo stregata dalla varietà degli sguardi sul mondo e dai soggetti deliranti di Diane Arbus. Una tale ricchezza di universi e di visioni e poi… un sentimento di solitudine incalzante. Dai fotografi più conosciuti, ai giovani, ritrovo una sorta di meta-fotografia dell’arte fotografica contemporanea, sempre più pervasa da oggetti e da figure solitarie, figure identificate dall’obiettivo ma astratte dall’ambiente circostante. Come se il fotografo, camera alla mano, volesse estrapolare la fissità di una condizione, mitificarla e mistificarla allo stesso tempo.
La mia attenzione si è poi focalizzata nella scoperta di tre fotografi che in questa galassia dell’universo fotografico autunnale parigino mi hanno colpito in maniera speciale: Sarah Moon, un’artista di esperienza, già molto apprezzata nel campo; Julien Mauve, un giovane talento di Paris Photo 2013 e Julie Blackmon, un colpo di fulmine

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Sarah Moon nel1941 nasce in Francia, nel 1960 diventa modella, nel 1970 realizza le sue prime fotografie di moda, nel 1985 comincia a sviluppare i suoi primi lavori personali nella fotografia e nel cinema.
“E’ la fotografia che mi rivela ciò che ho in mente -dice di se stessa- E nel momento in cui l’osservatore raggiunge il mio stesso pensiero, mi dico che tutto ciò fa parte di dell’inconscio collettivo”.
A lato di soggetti riguardanti la moda e il cinema, l’estetica fotografica di Sarah Moon tende verso temi come la femminilità, l’infanzia, il ricordo e la solitudine e il desiderio di distacco dalla realtà.

 

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Julien Mauve 29 anni, vive a Parigi. Ambasciatore per Sony e membro di « Alpha Team ». Le sue foto parlano della luce. La luce che illumina i dettagli. Dettagli di nature morte contemporanee quasi asettiche. Senza coinvolgimenti emotivi. Le solitudini notturne e la contraddizione della notte illuminata a giorno.

 

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Julie Blackmon (il mio vero colpo di fulmine), nata nel 1966 a Springfield, Missouri. Lavora e vive nel Missouri. I suoi ritratti sono composizioni quasi pittoriche della vita quotidiana. I personaggi e le situazioni che descrive si vestono di un’aura di teatralità, tra la tragicità e la semplicità della vita domestica.

Tre artisti molto diversi che si sono riuniti sotto lo stesso tetto per parlare del nostro mondo attuale, attraversando i temi dell’individuo nei suoi luoghi più segreti e intimi. Un viaggio nella rivelazione di diverse tecniche della fotografia che raccontano pagine di un diario della nostra storia quotidiana.
A lato di “Paris Photo”, in questo mese dedicato alla fotografia, Parigi offre un ventaglio di mostre imperdibili, dalle gallerie d’arte contemporanea alla Maison Européenne de la Photo, una buona occasione per degustare le novità in un clima autunnale bohémien… alla francese insomma !

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Magie di un cinema: “Giovane e bella” nel rilanciato Apollo

Un cinema costretto a chiudere perché i proiettori devono essere rinnovati: succede nella piccola multisala Apollo, nel cuore medievale di Ferrara. Apparentemente l’ennesima sconfitta di una sala del centro storico alle prese con le difficoltà di un settore che ha messo al buio i grandi schermi un po’ in tutte le più belle città italiane per ripresentarsi nel formato di sale gigantesche e anonime ai margini metropolitani. Ma a Ferrara, per una volta, l’esito non è quello che – qui come ovunque – sembrava ineluttabile. Una cordata di solidarietà, la scesa in campo di un’imprenditrice centese per portare a termine l’adeguamento tecnologico (con un investimento di circa 200mila euro per i nuovi proiettori digitali) e da questo autunno il cinema più antico della città che riapre i battenti. Con una programmazione multipla di nuove visioni, che nella settimana appena conclusa ha anche avuto il merito di farci vedere un film in perfetta sincronia con i fatti di cronaca più attuali: quelli legati alle minorenni-squillo portate alla ribalta dall’inchiesta di Roma.
Il film è “Giovane e bella” di François Ozon. Dalla piccola sala ferrarese, però, con analogo contrasto con i fatti dominanti, anche su questo tema viene fuori un messaggio in controtendenza, un’opera che racconta una vicenda che potrebbe essere morbosa e che invece – descritta dall’interno – risulta piena di misura, profondità e sfaccettato raziocinio, ben lontana da manie scandalistiche e voyerismo. Versione attualizzata del romanzo di formazione, con la giovane protagonista portatrice della piena bellezza del titolo e dell’età, ma anche con il garbo asciutto e poetico di una cinematografia tipicamente francese, capace di raccontare il dualismo di un animo in crescita, scostante eppure commovente: il contrasto tra l’essere schivi e il mettersi in mostra, tra l’assoluta segretezza e il clamore delle sue azioni, tra la voglia di scoprire il mondo e il disincanto per le contraddizioni della società borghese.
Perché il film dell’Apollo più che rivelarci i retroscena torbidi di ragazzine alla ricerca di griffe e notorietà, sembra essere lo strumento per scardinare i pregiudizi e l’ipocrisia di una società e di una generazione. Uno sguardo che va dentro e non dà risposte. Né vittima né carnefice, la protagonista è piuttosto spettatrice e scardinatrice di un universo sociale privilegiato, progressista e falsamente aperto, dove imperano segreti e bugie di woody-alleniana memoria. Così la sala cinematografica che resiste in controtendenza ci fa riflettere in direzione opposta a quella delle risposte banali, delle formule più o meno freudiane e dei clichè. E la nuova gestione del cinema Apollo dimostra anche di dare continuità alla programmazione che, nella scorsa stagione con la gestione dell’Arci locale, già aveva avuto il merito di portare in città l’altra poetica e illuminante storia di François Ozon, “Nella casa”, altrettanto sorprendente, non scontata ed emozionante nel rappresentare il legame che si crea tra chi scrive e chi legge . Un piccolo cinema che, anziché dare risposte, continua a insinuare dubbi e poesia.