Skip to main content
droga

Il Questore, la Legge e i consumatori di droghe

di Leonardo Fiorentini

Leggo sulle pagine dei quotidiani le parole del Questore di Ferrara Orazio D’Anna che, facendo un bilancio dell’anno appena trascorso e rilevando una diminuzione generalizzata dei reati, annuncia che il 2014 sarà l’anno del giro di vite sui consumatori di sostanze.

E’ opportuno ricordare che, nonostante il Questore D’Anna e nonostante la legge di Giovanardi, il consumo in Italia non è reato. Certo la legge che porta il nome del nuovo puntello del Governo Letta ha fatto di tutto per facilitare la repressione del consumo, in particolare di cannabis. L’automatismo della presunzione di spaccio in presenza di un certo quantitativo di sostanza (poca marijuana, un po’ più cocaina) – principio per fortuna smontato in questi anni dalla giurisprudenza – e l’unificazione di droghe pesanti e leggere ha fatto poi sì che il 40% dei detenuti sia nelle nostre carceri sovraffollate per violazione dell’art. 73 (spaccio): fra questi moltissimi consumatori, che per il solo fatto di detenere magari più di una decina di canne, sono finite nelle maglie della giustizia italiana. E quei consumatori che sono riusciti a sfuggire al sistema penale sono stati intrappolati nella ragnatela delle sanzioni amministrative: 853.004 persone che in questi anni hanno dovuto sottoporsi periodicamente a test, sono state limitate nei propri movimenti e hanno sostenuto ingenti spese e costi sociali altissimi a causa dello stigma nei confronti dei consumatori (vedi Libro Bianco sulla legge Fini-Giovanardi). Stigma che il nostro paese, con Giovanardi ancora in carica, si è peraltro impegnato a contrastare su indicazione (vedi) della 54ma sessione della Commissione Stupefacenti dell’ONU.

Decidano i lettori se preferiscono che i poliziotti siano intenti a perder tempo a identificare, perquisire e magari arrestare qualche ragazzino che insieme agli amici si è appartato su una panchina in un parchetto per farsi una canna, oppure stiano in giro per il territorio a prevenire uno dei 30 stupri, il migliaio di altri reati contro la persona o i 9500 furti di vario genere perpetrati nella nostra provincia.

Lo stesso governo Letta, che certo non è noto per il coraggio politico, ha avuto l’ardire di mettere in discussione l’impianto della Fini-Giovanardi modificando il 5° comma dell’art. 73, ovvero introducendo il fatto di lieve entità come reato autonomo (grazie ad un tecnicismo giuridico degno del paese degli azzeccagarbugli). Certo non servirà a molto ma per fortuna la Corte Costituzionale deciderà il prossimo 12 febbraio sulla costituzionalità dell’intera legge sulle droghe approvata – ricorderete – nel 2006 con un colpo di mano a fine legislatura come maxiemendamento di un centinaio di articoli al decreto legge di cinque o sei articoli sulle Olimpiadi di Torino (vedi Dossier de La Società della Ragione).

Nel frattempo non resta che augurarsi che il Tribunale di Ferrara non sia ingolfato dall’attività mirata di repressione del consumo annunciata dalla Questura di Ferrara, e poi confermi la propria recente linea assolutoria nei confronti dei semplici consumatori, autocoltivatori di cannabis compresi. Autocoltivatori che, val la pena di segnalarlo al Questore di Ferrara, coltivano la marijuana nell’armadio o sul balcone proprio per non “foraggiare tutta la catena”.

chrysler-logo

Chrysler, ennesima trita metafora per mistificare la realtà

Un muratore cade da un tetto, muore e non mangia più./Innoveremo il tropo, la metafora?
In questi due versi del poeta peruviano Cèsar Vallejo – detto che per “tropo” si intende una figura retorica che implica un trasferimento di significato – c’è un invito a schierarsi, a scegliere il linguaggio con cui parlare ai propri simili. Tema questo cruciale anche per i nostri tempi, perché il linguaggio è espressione di una cultura.
L’antitesi è tra la realtà con i suoi drammi e la sua sistematica deformazione alla quale in questi anni ci hanno abituato i detentori del potere, politico ed economico, in ciò praticamente indisturbati.
E allora la sinistra deve scegliere di stare dalla parte del muratore che cade, e con questo tentare di impedire che apparati mistificatori continuino a deformare ciò che accade a proprio piacimento. Per venire all’attualità: siamo sicuri che l’acquisto di Chrysler da parte della Fiat sia davvero un fatto “epocale” come è stato strombazzato? O non piuttosto un importante, ma normale (di questi tempi) frutto della globalizzazione, dalle conseguenze economiche e sociali tutte da scoprire, soprattutto in Italia?
Non è più possibile attardarsi sulle metafore, anche se possono rendere più efficaci i mille discorsi ufficiali che peraltro hanno stancato. Bisogna pensare e parlare il linguaggio immediato della realtà, che è molto più sgradevole e dura di quel che si vuole far credere da parte di politici, imprenditori, economisti e compagnia aggiuntiva. E bisogna ricostruire un pensiero coerente, che produca risultati concreti a favore degli ultimi.
Qualcuno che conosce Vallejo potrebbe affermare con sufficienza che era un comunista. L’uso, anzi l’abuso di questo aggettivo ha permesso a molti di macchiarsi di orrendi crimini, ma anche – vedi i fatti italiani – di negare che il muratore è caduto ed è morto.
L’abuso, in questo caso, ha impedito, anche in Italia, che si potesse sviluppare una società più giusta, ordinata e tollerante. Un disegno politico contro il quale sono state sempre più fievoli ed isolate le voci di chi avrebbe dovuto spiegare, fare chiarezza, lottare per difendere i diritti, innovare la democrazia con forme anche inedite di partecipazione e, non da ultimo, dare l’esempio.

gaetano-sateriale

Sateriale: “Per Ferrara modello ‘smart city’ e ‘piano del lavoro’. Al papa tessera onoraria Cgil”

2.CONTINUA – Riprendiamo la conversazione con Gaetano Sateriale affrontando dapprima temi legati alla realtà locale e poi una riflessione sulle generali prospettive di sviluppo.
Sulla tua esperienza da sindaco hai scritto un libro (“Mente locale”), bellissimo perché autentico e sincero. Alcuni contenuti sono esplosivi, però la città nel suo complesso ha finto come sempre di non cogliere…
In fondo capisco i miei concittadini e anche i miei “non lettori”: le realtà scomode è meglio rimuoverle che affrontarle. Conoscere è faticoso… Ma io non potevo fingere di niente. Quel libro vuole essere uno spaccato della situazione del Paese, perché la malattia che si è diffusa nella politica, nelle istituzioni e nel loro intreccio con i poteri forti non sta solo a Roma. Non so se hai notato ma nel libro non ho mai citato la parola “Ferrara”…

Il tuo successore, Tagliani, si avvia al traguardo di legislatura. Come è cambiata Ferrara (dove posso testimoniare hai sempre vissuto e continui ad abitare!) in questi cinque anni?
La città è e resta bellissima. L’altro giorno ironizzavo su Facebook dicendo che Ferrara è come una bottiglia di buon vino rosso: per apprezzarla si deve degustare poco a poco, senza esagerare, perché altrimenti la “ferraresitudine” obnubila. Al netto della crisi economica non la trovo molto cambiata: in alcuni momenti è una capitale europea della cultura, in altri è un paesone emiliano con il mercato in piazza: i banchi delle mutande e delle mortadelle accanto al muretto del castello… Vedo con piacere che si fanno molti lavori pubblici importanti in centro e in periferia, malgrado le ristrettezze. Se la città non vola non se ne può dare la responsabilità a un’Amministrazione che ha subito un terremoto e i tagli di bilancio che sappiamo…

E di chi è la colpa?
Anche nostra. Di noi ferraresi, intendo. In fondo siamo innamorati di Ferrara com’era quando eravamo ragazzi e nel nostro intimo preferiremmo mantenerla sempre uguale a se stessa, come tanti Principi di Salina del Nord: “La deserta bellezza di Ferrara”… Non dimenticare che i ferraresi non mettono fiori alle finestre… A Bolzano fanno a gara a infiorare i balconi, da noi la gara è al contrario, a tenerli chiusi. Mi viene un esempio della nostra storica indolenza, “scherzoso ma non troppo”: perché tutto il mondo sa cos’è l’aceto balsamico di Modena e già a Santa Maria Maddalena nessuno conosce la salamina da sugo? È colpa dell’Amministrazione o della scarsa iniziativa privata? Se non fossimo così culturalmente nostalgici ci daremmo più da fare con idee e attività nuove. L’Amministrazione deve indirizzare e integrare l’iniziativa privata, non sostituirla. Da noi i privati se ne stanno da sempre per i fatti loro: tutto ciò che è collettivo in città è comunale. Questo non è più possibile…

Hai un suggerimento da dare al tuo successore?
Non mi permetterei mai: a ciascuno il proprio ruolo e Tagliani il suo lo conosce bene. Un suggerimento lo do alla Cgil, invece. Perché non provare a realizzare anche a Ferrara il “Piano del lavoro”, come fanno molte città italiane? Per dare opportunità di ricerca e occupazione ai giovani e visioni innovative alla città la ricetta è coniugare sviluppo sostenibile e innovazione. Possibile che sul tema delle smart city si misurino città grandi come Torino o Roma e non città medie dove tutto potrebbe essere più facile? Smart city vuol dire innovazione attraverso la rete, partecipazione, informazioni diffuse, progetti che rendono più facile e appetibile la città, startup, innovazione sociale, incubatori, imprese giovani.

Puoi farci qualche esempio?
Pensa al traffico: si possono chiedere informazioni via smartphone agli utenti (foto e sms in tempo reale) in modo da individuare i punti critici, segnalarli all’Amministrazione e favorire miglioramenti. Guarda ad esempio al fatto che fra la stazione ferroviaria e il Doro la viabilità non è ancora stata modificata dopo l’entrata in funzione del nuovo ponte sul Boicelli: lì ci sono rischi potenziali che vanno sistemati; questo per dirti di un luogo che frequento abitualmente (per fare la spesa e prendere il treno). Ognuno può inviare le sue segnalazioni. Oppure, come si sta già facendo, rilanciare la Ferrara artistica e culturale che potrebbe via Internet essere sempre in streaming. O i servizi di assistenza agli anziani in cui le nuove tecnologie potrebbero fare miracoli (poco costosi).
Sono solo alcuni spunti, ma si potrebbero aggiungere i trasporti pubblici, il tracciamento dei rifiuti, il risparmio energetico, la bioedilizia, la qualità dell’aria, la produzione di anidride carbonica, i parcheggi, le prenotazioni in ospedale… So che è facile sognare, ma si potrebbe studiarci sopra e trasformare gli spunti in progetti, magari assieme all’Università e alle imprese più innovative: sarebbe un buon modo di cominciare l’anno nuovo e coinvolgere i giovani nella “visione” della città futura. Ma in concreto, non a chiacchiere: misurando quanti giovani coinvolti e quanti posti di lavoro creati. Alla Cgil, per fortuna, non basta un convegno sul tema.

Il problema della visione è generale. Questo 2014 si apre come tutti gli ultimi anni con le rassicuranti previsioni di un imminente ripresa. Di certo si respira un’aria nuova, sembra di cogliere fra le persone la voglia di cercare di venirne fuori ‘a prescindere’, di rimboccarsi le maniche e tentare un balzo in avanti mettendo in campo la creatività e forse l’ottimismo della volontà. Avverti anche tu questo spirito?
Ne avverto soprattutto il bisogno. Ma non credo alla ripresa imminente annunciata e magari importata dall’estero. Ci vuole una politica attiva che favorisca la crescita: in Europa e in Italia. Penso a politiche decentrate nei territori, non a una pianificazione nazionale che nessuno è più in grado di fare. E sono sicuro che se ci fosse qualche soggetto forte che si mette in moto ci sarebbe grande disponibilità a contribuire: specie tra i giovani. La sfida della Cgil è che il sindacato possa essere uno di questi soggetti. In fondo, quello delle smart city è un tema che coniuga tecnologia con partecipazione dei cittadini: un tema cruciale per la democrazia, più facilmente affrontabile in una comunità di medie dimensioni. Noi ferraresi dobbiamo solo decidere se vogliamo essere un paesone o diventare una moderna città europea. Chi vuoi che ce la dia la visione se non le giovani generazioni?

Accanto alla desolante inerzia delle classi dirigenti (politici e imprenditori) si colgono invece i potenti e coinvolgenti segnali di papa Francesco, il cui messaggio appare rivoluzionario. Qual è in proposito il tuo pensiero?
Fosse per me gli avrei portato la tessera onoraria della Cgil. Perché una personalità così alta che dice semplicemente “il lavoro è dignità e senza lavoro le persone perdono anche la loro dignità” se la merita proprio. L’elezione di papa Francesco mi fa essere ottimista: la sua vicenda vuol dire che l’innovazione è sempre possibile anche nelle organizzazioni più complesse e immobili. E la via è una sola: riavvicinare i vertici alla base, la politica alla realtà e ai bisogni della gente in carne e ossa.

Leggi la prima parte della conversazione

sipro-ostellato

Sviluppo territoriale, da polverosi cassetti spuntano ‘nuove’ idee

2.CONTINUA – Andando a curiosare in vecchi e ormai polverosi cassetti del Castello abbiamo ritrovato documenti che delineano scenari e progetti tutt’altro che superati. Ci è parso allora interessante annotarne alcuni passi e proporli alla considerazione pubblica in questa fase propizia che preannuncia l’arrivo dei molti milioni di euro in parte garantiti da finanziamenti europei per il 2014  e in parte stanziati con la recente legge di stabilità.

Ecco dunque alcuni stralci di un documento che suggerisce “Un cambio di passo per un patto per il futuro”.

E’ ormai evidente, almeno da quattro o cinque anni, che occorre costruire un nuovo modello ferrarese per un futuro di crescita e di sviluppo del territorio per i seguenti motivi:

1. siamo una realtà di territorio che cresce sempre dopo, sempre meno e a tempi limitati;
2. restiamo ancora avversi al cambiamento;
3. le reti che tengono il tessuto sociale stentano a tenere come risposta ai bisogni delle piccolissime comunità locali e quindi il welfare resta inadatto ai mutamenti in corso dei comportamenti;
4. c’è un diffuso e preoccupante nanismo demografico dove in oltre 60 piccolissimi paesi il tempo si è fermato e le relazioni sociali ormai al minimo, troppe povertà, troppe solitudini, pochissima socializzazione
5. il sistema produttivo è fortemente segmentato, troppe le piccolissime imprese e poche quelle che fanno un salto di dimensione e si aprono all’innovazione, manca l’idea di distretti ed aree a milieux e lo sviluppo è prevalentemente di superficie salvo alcune eccezioni
6. abbiamo una città senza territorio e un territorio senza la città. Persino i luoghi forti della provincia sono troppo deboli
7. c’è un benessere certamente diffuso ma ancora freddo e, quindi, privo di stimoli: esiste una questione culturale

Queste sono alcune riflessioni svolte prima della crisi, anno 2007, e attuali ancora oggi

Per gli interventi del dopo-crisi sono individuati i seguenti progetti di struttura-infrastruttura:

1. Nuova area industriale di ultima generazione
da ubicare a nord di Copparo (Fe) in prossimità del nuovo svincolo bretella Corlo-Camatte del tratto tangenziale est di Ferrara tra ponte Raffanello e Ro ferrarese, area di circa 70 ettari con opzione di altri 30 ettari in zona La Quercia
importo di Euro 12 milioni erogato dalla Regione Emilia-Romagna in tre stralci a partire dal mese di settembre anno 2010, prima operatività giugno 2011, e a regime entro 2012
settori: packaging, farmaceutica e parafarmaceutica, biomedicale, nanoelettronica, logistica e centro servizi, nuovi materiali, produzioni ambientali, agroalimentare, informatica, produzioni innovative e prodotti legate al sistema universitario di Tecnopolis e nuovi incubatori
esenzioni: oneri di urbanizzazione; esenzione per 5 anni di Ici e Irap e altre agevolazioni
azione di marketing territoriale da Agenzia specializzata (forte azione di attrazione di aziende ) e concertazione Ufficio di Presidenza della Regione Emilia-Romagna
corsi di formazione per specializzazioni, nuove professioni innovative anche per i seguenti punti ( Pil 2009 Unife – Progetto Insediamenti Lavorativi )

2. Rilancio zona industriale di San Giovanni di Ostellato
intervento finanziario Regione Emilia-Romagna di euro due milioni
modalità e tipologia insediativi da individuare e possibilmente legati a produzioni e servizi della costa e del turismo anche ambientale (Sipro e Delta2000)

3. individuazione di un Distretto Rurale e d’Ambiente
ambito perimetrale Unione del copparese più alcuni territori contigui a produzioni agricole speciali e di qualità
avvio procedure Regionali e Unione europea entro anno 2010
progetti comunitari “Life natura” e percorsi di Agenda 21 nel triennio 2010-2012
turismo lento e promozione al piccolo turismo (punti Info – itinerari giacimenti culturali – vie d’acqua, vie verdi, ippovie, idrovia Volano, Ville, Palazzi, Chiese, Capitelli, Conventi, Residenze, Parchi e Giardini, enogastronomia, grandi eventi e cultura di territorio, destra Po e d/s Po di Volano,ecc…)

4. Centri storici “URBAN Due”
riassetti architettonici e salotti in centro storico
animazione e promozione del Commercio in centro
sagre e prodotti tipici
finanziamenti europei e cofinanziamenti istituzioni italiane (triennio 2010 – 2012)

5. Progettualità della costa
turismo balneare
alberghi e seconde case
laguna, valli e ambiente
primo entroterra ed itinerari
eventi e animazione
servizi ed infrastrutture

C’è materia su cui riflettere e discutere.

Leggi la prima parte

tre-uomini-in-barca

Tre uomini in barca

Il più famoso romanzo di Jerome K Jerome è “Tre uomini in barca (per non parlar del cane)” , in cui il grande scrittore umorista inglese racconta di tre personaggi abbastanza stralunati, ai quali capitano avventure altrettanto stralunate, lasciando a una sottile e irresistibile ironia di creare un’atmosfera di trascinante comicità. Pensavo a Jerome guardando, con non nascosta nausea, a uno dei tanti telegiornali, ai quali è affidato il compito non d’informare, come sarebbe naturale, ma di divulgare il pensiero del potere che li sostiene.

I tre uomini (i nostri tre campioni, oh Madonna mia!) – Grillo, Renzi , e, nel suo piccolo, il pargoletto Berlusconiano Brunetta – sono personaggi d’incomparabile comicità, o, meglio, “sarebbero” se agissero in una situazione in cui si potesse ridere di gusto. Ma non si può: la loro barca è la nostra, è questo Paese che fa acqua da ogni parte e rischia di affondare da un momento all’altro (o, forse sta già affondando). Di che cosa parlano, su che cosa litigano? Sul nulla: la crisi ha creato oltre centoventimila nuovi miliardari mentre il ventre della miseria continua a sfornare poveri. Ci sarebbero da recuperare miliardi evasi dai buoni cittadini, buoni se ricchi, e i “tre uomini” non ne parlano. Le aziende (alcune per necessità, altre per interesse) chiudono e licenziano.

E i tre che fanno? Nulla. Che dicono? Loro, i tre parolai sembrano imbalsamati, come i loro colleghi di governo. Esiste una situazione mondiale sempre più precaria, perché il capitalismo è in coma profondo e non farmacologico, in America sempre la crisi ha partorito i nuovi nababbi, ce n’è uno che potrebbe acquistare, con i soldi rubati agli investitori e ai risparmiatori, intere nazioni. Ma c’è ancora di peggio, se possibile: gli speculatori (aziende falsamente umanitarie) intascano quasi due miliardi di euro al giorno dal popolo italiano – siamo noi – per accogliere i migranti: “E’ una torta luculliana – scrive ’Repubblica’ – quella che in Italia si spartiscono ormai da dieci anni veri e propri colossi del business” e a ogni disgraziato che riesce a mettere piede sul nostro territorio l’affare aumenta:abbiamo mai sentito uno dei tre uomini in barca denunciare questa situazione per dire basta, per proporre misure di emergenza atte a cancellare l’orribile, lo schifoso affare sulla pelle di povera gente? No, loro, sempre i tre uomini (per non parlare degli altri), si dilettano a farfugliare di riforme, di andare urgentemente alle elezioni, vogliono poltrone, sono maestri, loro, nel creare inutili polemiche, sono i tycoon del commercio politico e, a ogni urlo che fanno, danno picconate al fondo della nostra barca: affonderemo. Bevete piano, ragazzi.

massimo-masotti

Razzismo, tre interrogativi attorno al caso Masotti

Attorno al caso del dottor Massimo Masotti, sollevato nei giorni scorsi da ferraraitalia, si è sviluppato un animato dibattito. Tutti i commenti sono stati pubblicati e gli interventi sono stati riportati nella loro integralità, senza alcuna omissione.
Gli interrogativi che la vicenda suscita sono essenzialmente tre.

1. Può un medico essere razzista? Ossia: sarà in grado di esercitare senza alcun pregiudizio la propria opera assistenziale?
2. La palese ostentazione di questo suo credo non è massimamente inopportuna? E non corrobora il legittimo sospetto circa la capacità di anteporre la deontologia alle proprie intime convinzioni nello svolgimento della pratica professionale?
3. Possono l’Ordine dei medici e un’associazione filantropica come i Lions essere rappresentati da chi professa tali teorie razziste?

Si tratta di interrogativi di ordine generale, non inficiati dalla considerazione che, nella fattispecie, il medico in questione è da qualche tempo in pensione; tanto più che Masotti continua, comunque, a svolgere ruoli di rappresentanza istituzionale della categoria; e che i medici sostengono che il loro non è semplicemente un lavoro, ma una missione; e pertanto il camice non si dismette mai…

[leggi l’articolo precedente]

sateriale

Parla Sateriale: “Renzi, un abile giocoliere. La politica, solo lotta per il potere”

Di norma all’intervistato si dà del lei, anche quando si ha confidenza. E’ una vecchia regola non scritta del giornalismo che serve a non creare nel lettore l’impressione di un rapporto privilegiato che lo escluda. Ma in questo caso sarebbe stata una forzatura eccessiva. Il mio interlocutore è Gaetano Sateriale, accanto al quale, giorno dopo giorno sino al 2009, ho lavorato per quasi otto anni come responsabile dell’ufficio stampa dell’amministrazione comunale, quando lui era sindaco della città. Ho quindi ritenuto più onesto presentare la conversazione come si è svolta, senza infingimenti, nella cordialità e in amicizia.

Dacché non è più sindaco, è la prima volta che Sateriale, oggi coordinatore della segretaria generale della Cgil nazionale, accetta di parlare così diffusamente di politica, sindacato e di Ferrara. Quel che ne è scaturita è una radiografia molto lucida del nostro Paese e, per conseguenza, un’immagine poco consolatoria. E’ una fotografia senza effetti speciali, un resoconto – condivisibile o meno che risulti agli occhi del lettore – di certo rigoroso e per nulla indulgente, come è nel suo dna.

Per comodità di fruizione abbiamo diviso la conversazione in due grandi blocchi tematici che pubblicheremo su ferraraitalia in altrettante puntate, oggi e domani. La prima parte del colloquio, quella che segue, è relativa ai temi nazionali della politica, del lavoro e del sindacato. Domani, nella seconda parte, si affrontano le questioni ferraresi e gli orizzonti generali di sviluppo.

Sulla tua pagina Facebook hai scritto: “Dopo tanti anni (44) sono improvvisamente rimasto senza partito da ascoltare, discutere, criticare, partecipare, condividere”. Sei cambiato tu o è cambiata la politica?
Forse entrambi. La politica è certamente cambiata in peggio: demagogia, populismo mediatico, messaggi pubblicitari ingannevoli, partiti azienda, partiti liquidi, consorterie, gruppi di famiglie… E in peggio sono cambiato anche io, sicuramente: non credo più alle frottole e non mi diverte un Paese che ci mette vent’anni a capire che dietro le parole dei leader non c’è niente, se non la battaglia per il potere. So bene che la politica è anche questo (fin dalle sue origini), ma quando è solo questo non mi interessa.

Cosa significa questo disamoramento per te personalmente? Come vivi questa condizione?
Posso fare una battuta? Comincio ad avere con la politica lo stesso rapporto che ho con il calcio: mi piace guardarla e commentarla e tifare quando è di qualità, altrimenti meglio leggere un libro o vedere un buon film. E da qualche anno la politica non è più di qualità: né nella maggioranza, né all’opposizione. Non sono mai stato e non diventerò un qualunquista, ma non vedo attorno a me un luogo in cui abbia senso impegnarsi e nemmeno un partito che ti chieda un qualche impegno, per la verità. Anzi, se cerchi i dirigenti, l’impressione è che gli dai un po’ fastidio… Per fortuna continuo a occuparmi di problemi sociali concreti e a lavorare in un’organizzazione che con tutti i limiti è ben radicata nel mondo reale.

Davvero? Eppure la gente non distingue più tanto tra partiti, sindacati e istituzioni…
Quando vado in giro a fare iniziative dico sempre, specie ai giovani dirigenti che a volte sembrano spaesati: “Tranquilli che la Cgil ha le spalle robuste, siamo l’organizzazione più radicata nel paese assieme ai Carabinieri e alla Chiesa cattolica”. Luciano Lama diceva meglio: “I governi passano, la Cgil resta”. Questo non vuol dire che possiamo stare fermi, anzi… Anche noi dobbiamo innovarci perché dopo la crisi niente sarà più com’era prima. Ed è qui che dobbiamo stare attenti: a non imitare i partiti, a mantenerci autonomi e concreti di fronte ai cambiamenti. Per fortuna un sindacato mediatico non ha senso. Ma sono abbastanza tranquillo su questo punto, malgrado i ritardi e gli errori.

Quali ritardi ed errori? Puoi fare qualche esempio?
Il più clamoroso esempio è il rapporto con i precari, che sono poi le giovani generazioni di lavoratori. Siccome i nuovi lavori non ci piacevano abbiamo pensato di combatterli per legge, invece che proteggerli e migliorarli contrattualmente. In questo modo abbiamo perso rapporti con migliaia di giovani lavoratori che sono senza tutela e non vedono il sindacato come qualcosa che gli appartiene. Ma noi non siamo diventati un soggetto virtuale: alla fine facciamo trattative e firmiamo (o non firmiamo) accordi. Non inseguiamo il potere per il potere. Basta pensare alla differenza tra i gruppi dirigenti in periferia. Magari i nostri litigano fra loro, con le strutture regionali, con il nazionale in qualche caso, ma non si schierano con questo o con quello a prescindere, cercando di puntare sul cavallo vincente. La Cgil il congresso lo fa ancora su documenti programmatici discussi in migliaia di assemblee: non votiamo uno o un altro segretario a prescindere. Siamo all’antica, se vuoi…

L’autocritica si limita a un errore nei confronti dei giovani precari?
C’è anche uno speculare sul lavoro pubblico. Ci siamo giustamente difesi dagli attacchi sgangherati di Brunetta ma non abbiamo ancora accettato di discutere e di essere protagonisti della riorganizzazione efficiente della Pubblica amministrazione. Al contrario di quanto abbiamo saputo fare nell’industria degli anni ’80 e ’90 in cui siamo passati dalla difesa dei posti di lavoro tal-quali a un progetto di riorganizzazione con al centro la qualità e il superamento del taylorismo che svalorizzava il lavoro. Nella Pubblica amministrazione il sindacato non propone il nuovo e difende il vecchio. Ma quel vecchio è ormai visto da tutti (imprese e cittadini) come indifendibile e insopportabile.

Da quanto dicevi prima sulla politica, si desume un giudizio negativo sul nuovo segretario del Pd, Renzi…
L’ho incontrato una sola volta quando era presidente della Provincia di Firenze, non posso dare un giudizio comprovato. A pelle non mi piace: mi sembra un giocoliere delle parole e non abbiamo certo bisogno di un nuovo televenditore… Certo, sa muoversi con abilità e spregiudicatezza ma temo sia una dote che non poggia su una preparazione seria. Non posso generalizzare, ma quando lo sento parlare di lavoro è evidente che non sa di cosa parla. In un Paese con milioni di disoccupati Renzi pensa che si debba intervenire con una legge sul mercato del lavoro invece che creare nuovi posti qualificati e stabili con una politica economica espansiva. Dietro le parole nuove, molto continuismo…

Non ti sono parse interessanti la proposta di Civati e il percorso di Barca?
Civati non l’ho capito molto: forse ho i riflessi lenti ma quelli che saltano troppo in fretta da una parte all’altra non riesco a seguirli. Il documento di Barca mi convince, ma lui ha deciso di non candidarsi. Peccato, era l’unico che avanzava un progetto di trasformazione innovativa del partito ricollegandosi al territorio, alla militanza, alla partecipazione cognitiva. Ma è andata così. E ho deciso di non votare per ripiego, o per antipatia o per rabbia, laddove non potevo farlo per convinzione. So che molti hanno votato più per delusione del vecchio che per convinzione del nuovo. Io ho preferito non votare: non pretendo di avere ragione…

Dopo 10 anni da sindaco sei tornato in Cgil, qualcuno dice con un ruolo da ‘eminenza grigia’…
Nessuno in Cgil può fare l’eminenza grigia, per fortuna. Ci sono gli organismi dirigenti che discutono e votano. Da noi non ci sono tanti pseudo leader che si contendono le poltrone. E non c’è una guerra di potere spacciata per rinnovamento generazionale. C’è una collegialità che prevale. Io do una mano, per quel che posso, cercando di mettere la mia esperienza al servizio del gruppo dirigente di oggi. Le mie diverse esperienze, dovrei dire…

Però la dialettica tra Cgil e Fiom sembra dire il contrario: a volte con una certa asprezza. E poi Landini e Renzi talvolta si scambiano strizzatine d’occhio…
La dialettica tra Cgil e Fiom c’è sempre stata a segnare i passaggi di fase: nel ’56, nell’’80 e oggi. Se non supera il confine dell’autonomia del sindacato e non scivola in politica è una dialettica utile a migliorare la nostra organizzazione. Quanto alle strizzate d’occhio, vedremo: se Renzi mi strizzasse l’occhio mi guarderei alle spalle e sarei non poco preoccupato…

Anche il sindacato, come i partiti, sconta da anni una profonda crisi di rappresentanza. Qualcuno, e non da oggi, è arrivato a metterne in discussione non solo le logiche, ma il ruolo. A tuo parere come si supera la montagna?
I Paesi in cui il sindacato non c’è o conta poco o è subalterno alla politica sono Paesi in cui non c’è la democrazia. Quel misto di berlusconismo e liberismo che abbiamo vissuto negli ultimi 20 anni ha cercato di indebolire il ruolo dei corpi sociali intermedi e di arruolare il sindacato alla politica del leader (e mettere al bando la Cgil che non ci stava). Gli ultimi due anni sono a corrente alterna: il sindacato viene chiamato nei momenti di bisogno e in genere non ascoltato; basti pensare all’allarme sul lavoro e sugli esodati che abbiamo subito lanciato al governo Monti (e ripreso l’altra sera da Napolitano, a due anni di distanza). Il governo Letta in questo è incerto: “Convoco le parti sociali, ascolto, mi impegno, annuncio”, ma alla fine si vede poco. Quello che mi spaventa non è la messa in discussione del ruolo del sindacato, ma il fatto che nel nostro Paese non ci sia più un partito che si ispira al pensiero laburista. E che proprio il segretario del Pd, per raccogliere consensi a destra, non sappia fare di meglio che attaccare la Cgil… Avere nostalgia di Blair nel 2014 mi sembra molto sconfortante. Ma non mi voglio sottrarre alla domanda: è vero c’è una crisi di rappresentanza anche del sindacato. Non credo si possa ricomporre per legge, come qualcuno si illude di poter fare. Non ci sono scorciatoie, non ci sono mai state: bisogna tornare a rimboccarsi le maniche e trovare un punto nuovo di unificazione del mondo del lavoro, guardando soprattutto ai nuovi lavori, anche se non ci piacciono. Creare nuovo lavoro di qualità: le politiche concrete per i giovani sono più importanti del giovanilismo a parole.

1.SEGUE

Leggi la seconda parte

fondi-europei

In arrivo montagne di soldi con i fondi europei

Una montagna di euro con i Fondi strutturali europei sono la novità del decreto mille proroghe di fine anno 2013 del governo Letta. Ora, per non perderli, cioè ritornarli a Bruxelles e riassegnarli ad altri Paesi, bisogna ben allocarli, in tempi rapidi, individuando sentieri percorribili e canali di spesa sostenibile, non solo come risorse per impieghi correnti, ma anche per investimenti e interventi di sostegno, sia alle povertà che alle piccole imprese per il lavoro.

Ecco le cifre stanziate e gli obiettivi previsti: 1,2 miliardi di euro a fondo di garanzia per le piccole/medie imprese; 1 miliardo di euro per nuova imprenditoria giovanile; 700 milioni di euro più altri 794 come bonus per chi assume under 30 e disoccupati; 300 milioni di euro più altri 510 come social card e a sostegno di famiglie in condizioni di grave povertà; 3,0 miliardi di euro per economie e progetti locali (programma seimila campanili; piano per le città; valorizzazione beni storici/culturali/ambientali).
Ricapitolando: i fondi Ue sono 6,2 miliardi di euro + altri 1,3 nazionali, già stanziati nella legge di stabilità, per un totale di 7,5 miliardi di euro, veramente una montagna di soldi, a cui si aggiungono altri dieci milioni a breve, come annunciato in queste ore.

Si riporta la recente notizia e le cifre non solo per la rilevanza del fatto di governo ma per capire dove vanno, come vanno e quali progetti, strumenti e misure attivare per incanalare, anche nella nostra regione e, in particolare, nella nostra provincia questo bendiddio di cui non sia ha memoria, se non negli anni ’80 per il ferrarese.

Sarebbe bello sapere cosa ci riservano le autonomie locali sull’argomento, quanti progetti cantierabili, quali in essere nei primi stralci, quanti bisogni degli ultimi e dei “penultimi” sono individuati nel ferrarese, chi li individua e come, quanti dei seimila campanili ricadono in Emilia Romagna e nei comuni del ferrarese, quale ruolo svolgerà, nei restanti sei mesi, la nostra Provincia per gli ultimi adempimenti e, concludendo, come pescare in questa montagna di soldi.

Se, poi, pensiamo ai Fondi dell’UE nel periodo 2014-2020 per una somma di oltre 70 miliardi di euro per il nostro Paese, più i 100 miliardi abbondanti della Cassa depositi e presiti, oltre a quelli aggiuntivi dello Stato, delle Regioni e dei Comuni italiani, accompagnati da quelli dei privati (i fondi coprono solo una parte dei costi delle progettualità), la citata montagna sarà una catena alpina per i prossimi sette anni per il nostro “Bel Paese”.

Abbiamo, infine, raccolto notizie su alcune nuove progettualità nascoste in alcuni cassetti del Castello, in parte rese pubbliche, anche a stralci, spesso a pezzi scoordinati, anche in un convegno a Berra, anche in sedi politiche e di partiti. Ma tutto è fermo, perché prevalgono resistenze, ancora chiusure e visioni del ’900, anche alcune invidie e ricollocazioni municipali e collegati incroci (ma i renziani dove sono, anche quelli ante litteram?!?).
La preoccupazione è che sarà complicato “schiodare” la visione murata del nostro territorio e se, anche qui, apriamo alcuni cassetti, forse non sarà una male, ma un obbligo, anche morale, cui adempiamo volentieri.

1.SEGUE

cadmo-drago

Le novità del 2014, l’anno del ‘fare per farcela’

La storiella che l’uscita dal tunnel è lì dietro l’angolo ce la raccontano ogni due mesi. Però il traguardo si sposta sempre un po’ più in là. E la luce non arriva mai.

Quel che porta di nuovo questo 2014 non è l’ennesima profezia sull’imminente superamento della crisi. E’ uno spirito diverso, che da un po’ di tempo si coglie nell’aria, fra le persone: la voglia di ricominciare, di provarci davvero, a prescindere; di mettere in campo energia, fantasia e magari quell’ottimismo della volontà imprescindibile per tornar a vedere le stelle.
La cappa di scoramento e rassegnazione che ci ha oppresso in queste stagioni sembra lasciare il posto a un rinnovato impegno, alla consapevolezza che non ci si può aggrappare ad alibi, per quanto fondati, per giustificare l’inerzia; si sta affermando la convinzione che ciascuno ce ne deve mettere del suo, intimamente persuaso che ce la faremo perché dobbiamo farcela.

Ci sono segnali, anche piccoli, ma significativi, di un ritrovato vigore. Il festival MeMe, in svolgimento in questi giorni a Ferrara, ne è in qualche modo un’espressione. In quel piccolo e dimenticato angolo di città che ospita la fragile eppure ambiziosa rassegna, si incontrano saperi tradizionali e nuove frontiere della tecnologia capaci di tradurre le idee – e talvolta persino i sogni – in realizzazioni concrete, generando una condizione potenziale in cui i bisogni individuali possano essere soddisfatti nella prospettiva della personalizzazione. E’ la logica dei fablab, che pongono in connessione la ricerca e il mercato, traducendo le concettualizzazioni in prototipi e dunque in concrete anticipazioni di una realtà possibile e praticabile.
La strada da percorre è proprio questa: puntare sulla creatività, in ogni ambito, per mettere a punto soluzioni a bisogni o problemi altrimenti insolubili con le vecchie ricette.

E’ anche la maniera per contrastare l’insostenibile, esiziale dittatura dei poteri forti, abbarbicati a privilegi e rendite di posizione e perciò naturalmente poco inclini a sperimentare e innovare: il cambiamento di mentalità e di linee d’azione pone a repentaglio i consolidati equilibri che da sempre, gattopardescamente, le classi dirigenti tentano di preservare.

Un anno “Bello”, in queste ore, ho augurato a tutti i miei amici e altrettanto auguro a voi, lettori. Bello nella pienezza del termine, per tutto ciò che il concetto esprime e significa.
Bello eticamente, innanzitutto; perché la bellezza della condotta individuale sta in una mirabile sintesi fra libertà e responsabilità: un consapevole esercizio del proprio libero arbitrio non disgiunto dalla valutazione degli effetti conseguenti alle scelte compiute.
E bello anche esteticamente, perché la meraviglia suscitata da ciò che di piacevole e armonioso ci attornia (un tramonto, un palazzo, un fiore, un profumo, un gesto d’amore) è il potente stimolo che induce in ciascuno il desiderio di migliorare se stesso per essere degna parte dell’universo.
La Bellezza – declama l’aforisma di Dovstoievskji che pubblichiamo oggi nella sezione Germogli – salverà il mondo.

Un anno Bello mi auguro sia anche per ferraraitalia, questo nuovo peculiare prodotto giornalistico che ricerca la profondità e, per quanto possibile, sfugge la superficie e con essa la superficialità.

Ci definiamo, nel sottotitolo di testata, “indipendenti”. Questo non vuol dire che siamo neutrali. Indipendenza significa non dover obbedire ad altri che alle nostre coscienze: significa che non abbiamo padroni, né interessi da tutelare.
Ma non siamo indifferenti. Siamo schierati: in difesa di idee, principi, valori in cui crediamo. Rivendichiamo la nostra visione del mondo e un punto di vista che non mistifichiamo, ma anzi palesiamo con onestà nelle analisi e nelle opinioni proposte su queste pagine, perché la trasparenza è imprescindibile condizione per un corretto contraddittorio. Siamo schierati, ma senza dogmatismi: autenticamente aperti al dialogo. Ricerchiamo un serio e argomentato confronto con ogni interlocutore, perché riteniamo sia proprio su queste basi che si fondano civiltà e progresso.

Abbiamo scelto un asse verticale di azione, sfuggendo quello orizzontale che porta a scivolare sulle cose, poiché intendiamo, appunto, stimolare e propiziare occasioni di riflessione e di dibattito. I riscontri, per ora, sono decisamente incoraggianti; ci confortano e ci inducono a procedere con convinzione su questa rotta.

titanic_scialuppe

Auguri opinabili da uno snob improvvisato

Nel pensare come avrei potuto passare un fine d’anno lontano dalle beghe e dai problemi di ogni giorno mi sono immaginato come uno snob (categoria sociale che poco frequento) avrebbe trascorso quelle ore per aver la forza di resistere fino all’indomani senza pensare ai fuochi, ai petardi e alla vita comune. Perciò questa versione di un io che poco m’appartiene, oggi la assumo per sforzarmi di pensare a come si comporterebbe lo snob (anzi, molto di più il dandy – potrei dire con snobistica puntualizzazione, già calato nel personaggio – visto che a Parigi aspettano le mie voci per il Dictionnaire du dandysme dedicate a Filippo de Pisis e ad Alberto Arbasino…).

Dunque, dopo avere ascoltato per la millesima volta Carmen con la Callas, letto il sublime Paris France di Gertrude Stein, quindi avere atteso il discorso del capo dello stato e deciso di consolare le mie pene fisiche e politiche con l’ultimo canto del Paradiso di Dante, avrei certamente optato per bere champagne e mangiare pochissimo. Indi mi sarei prodigato a preparare i rifugi per Lilla, per combattere l’idiozia di chi si crede uomo a sparare i botti e a divertirsi con gli incendi dei castelli, massima mediocrità di divertimenti. Ma purtroppo anche con queste dandystiche intenzione, la vita “reale” (anzi: quella falsa del solo “fare” e niente “pensare”) non si può eliminare. E mentre mi preparo a ritornare, domani, in trincea, vi auguro buon anno con questa stupenda meditazione di Gertrude Stein. Lascio a voi di applicarla alla nostra contemporaneità: è un indovinello abbastanza facile ma per mettervi sulla buona via con il corsivo vi fornisco un indizio.

“Una volta mi trovavo su una nave diretta in America. C’era anche l’Abbé Dimnet e parlavano di un’esercitazione antincendio, ce n’era una in corso, tutti dovevano indossare un salvagente e venne calata una scialuppa ma nessuno salì a bordo della scialuppa, l’Abbé Dimnet era indignato, mi disse dovrebbero salire a bordo della scialuppa, ditelo al capitano, dissi, lo farò disse, tornò indietro, che ha detto il capitano domandai, ha detto, disse furibondo, ha detto che non si può salire a bordo della scialuppa se non si ferma la nave sarebbe troppo pericoloso e fermare la nave costerebbe troppo e ci vorrebbe troppo tempo. L’Abbé Dimnet era furibondo, disse ‘ecco qual è la verità, si preparano si preparano e non sanno mai se saranno capaci di fare quello per cui si sono preparati”.

Facile no come indovinello! A proposito la prima edizione di questo mirabile libro è del 1940. Auguri.

A MeMe gran finale con film in salsa ferrarese e spettacolo-degustazione sul vino

Il “mercato coperto” di via Santo Stefano sta riscaldando i pomeriggi e le serate dei ferraresi. La felice esperienza della settimana del futuro all’interno del festival MeMe (Makers exposed), indirizzato al mondo dei nuovi artigiani tra saperi tradizionali e innovazione tecnologica, sta avendo seguito con la frequentata appendice di questi giorni di festa e fino al quattro gennaio.

Si segnalano, in particolare, due appuntamenti da approcciare con il calice in mano. Giovedì, alle 18,30, con una breve introduzione del regista Giuseppe Gandini, avrà luogo la proiezione di ‘Una canna con Goldrake’, originale e divertente commedia di confronto generazionale girata nel 1999 con cast in buona parte ferrarese. Venerdì alle 19,30, il festival MeMe proporrà un vero e proprio spettacolo sul vino, la sua poesia, la sua storia e la sua chimica.

I ferraresi Giuseppe Gandini e Gianantonio Martinoni (ideatori del soggetto insieme ad Alessandro Pepe ed essi stessi attori sul palco) propongono ‘Eyes Wine Shot‘, spettacolo-degustazione che accompagna all’assaggio con una serie di letture sul tema, dalla Ode al Vino di Pablo Neruda, a Barbera e Champagne di gaberiana memoria, anche rileggendo in chiave ironica le proliferanti guide sul vino. Lo spettacolo ha già divertito (e fatto degustare) platee di ogni parte d’Italia. Con i due eventi citati e dopo proiezioni, incontri e ottima musica (ricordiamo, oltre ai dj set, gli apprezzati concerti di Dagger Moth e delle californiane Ian Fays) questo piccolo angolo di Berlino nel centro di Ferrara si prepara al finale a sorpresa, nelle serata di sabato 4 gennaio.

Chi deve ancora entrare in quella che fino a poco tempo fa era la ‘metà dismessa del mercato’ si troverà, con grande stupore, all’interno di un luogo di socialità degno di una metropoli europea. Un temporary shop dove acquistare gli oggetti di design realizzati dai makers di ogni parte d’Italia (dalla piccola lampada alla libreria, dal portafoglio alla poltrona) riempie quelle che furono le botteghe del lattaio e del macellaio. Un bar allestito, un ambito per proiezioni e un dj set formano insieme gli spazi di una vera piazza coperta naturale, dove le persone s’incontrano, ascoltano musica, bevono un aperitivo. Ciò che infatti accadrà negli ultimi scoppiettanti giorni di apertura del festival, dal due al quattro gennaio. In attesa che l’appuntamento si rinnovi, il prossimo dicembre, a grande richiesta dopo il successo ottenuto.

Associazione MeMe

papa-francesco

La rivoluzione solitaria di papa Francesco contro l’emarginazione sociale e gli abusi di potere

Le gerarchie ecclesiastiche italiane per disaccordo; le parrocchie per pigrizia routinaria; la politica perché in ‘ben altre faccende affaccendata’… Insomma, alla fin fine il risultato è il medesimo: l’Esortazione apostolica “Evangelii gaudium” è stata ignorata. Eppure si tratta del primo documento organico in cui papa Francesco espone il suo pensiero teologico, pastorale, sociale e morale.
E’ un elaborato di quasi trecento pagine. L’Istituto Gramsci e l’Istituto di Storia Contemporanea hanno dedicato un pomeriggio a discuterlo, alla presenza di un numeroso e attento pubblico e introdotto con conseuta competenza e rigore da Piero Stefani.
In questa sede, in perfetta coerenza con il titolo della rubrica, richiamo l’attenzione sulla parte dedicata ai poveri. In particolare su un punto di analisi di filosofia sociale e politica di grande innovazione. Là dove papa Francesco scrive: “Così come il comandamento ‘non uccidere’ pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire ‘no a un’economia dell’esclusione e dell’iniquità’. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Oggi tutto entra nel gioco della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie d’uscita. Abbiamo dato inizio alla cultura dello ‘scarto’ che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi di oggi non sono ‘sfruttati’, ma rifiuti, ‘avanzi’, scarti…”.
Ecco il punto di analisi sociale nuovo! Rispetto alla modernità che abbiamo conosciuto dalle origini fino ad oggi, in cui la dialettica tra sfruttatori e sfruttati (l’hegheliana dialettica tra ‘servo e padrone’…) ha costituito uno dei motori del progresso sociale e democratico, l’attuale condizione di ‘scarto’ in cui viene a trovarsi una parte larga di umanità nel mondo, rivela questa verità tragica: tu, escluso, non sei più un ‘attore sociale’! Sei niente! Non esisti! Sei uno ‘scarto’ da gettare e ignorare! Conseguentemente, papa Francesco rifiuta le soluzioni assistenziali e di carità, mettendo a fuoco la natura politico-sociale del problema della povertà nel tempo del liberismo sfrenato e senza limiti. Dunque, la figura del ‘povero’ non come persona ‘solo’ da sfamare, ma come soggetto da rendere protagonista della propria emancipazione. Non a caso, alcune parte del documento riecheggiano temi e soluzioni della “Teologia della Liberazione”: “La necessità di risolvere le cause strutturali della povertà non può attendere… I piani assistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze, si dovrebbero considerare solo come risposte provvisorie. L’iniquità è la radice dei mali sociali”.
Se solo esistesse un interlocutore politico (a livello mondiale e nazionale) adeguato a questa analisi, potremmo tornare a sperare in un futuro meno fosco!

muri-ferrara

A Ferrara il Comune sostiene la street art. Ecco la mappa dei murales autorizzati

Guerra dichiarata alla street art. O no? Da sempre murales, graffiti e scritte sui muri attraggono l’attenzione, gridano slogan, indispongono o colpiscono per l’efficacia delle parole, per la forza di segni e colori. Così uno street artist come Banksy ha alle costole la polizia di New York, ma le sue opere fuorilegge arrivano a sfiorare quotazioni da quasi due milioni di dollari. Più vicino a noi, a Bologna, due mesi fa la polizia municipale del sindaco Virginio Merola denuncia la street artist Alicè per il reato di “imbrattamento reiterato”. L’artista, all’anagrafe Alice Pasquini, ha infatti ammesso di aver disegnato ragazzi e bambini un po’ sognanti a una fermata della Bolognina, ma anche in spazi del centro storico, come via Zamboni, via Centotrecento, via del Pratello e via Mascarella. Da questo mese poi, sempre a Bologna, parte l’azione della squadra anti-graffiti. Il Comune stanzia 500mila euro e coinvolge tre cooperative sociali della città che, per tutto il 2014, andranno prima a ripulire i muri, poi a ritinteggiarli applicando una vernice protettiva per facilitare eventuali, prossime rimozioni.

Ferrara, invece, sceglie una terza via: non denuncia e non finanzia squadre di cancellatori, ma punta al dialogo per sostenere questa forma di espressione. L’appoggio arriva niente meno che dall’amministrazione comunale, assessorato alle politiche giovanili. In cambio del supporto istituzionale, agli appassionati di spray e scritte viene chiesto di presentare uno schizzo del disegno, di limitarsi a colorare edifici autorizzati, che il Comune ha in gestione, fuori dal centro storico e soprattutto mai su muri di palazzi o monumenti storici. Succede dal 2007 con un progetto che si chiama “Graffi a Fe”.

Chi avesse voglia di vedere quello che il gruppo di ragazzi realizza chiamando in aiuto anche street artist di altre città italiane può mettere scarpe comode o, ancora meglio, salire in sella a una bici. Il tour dell’arte di strada scorre ai margini di quella del Rinascimento estense. Le opere più recenti sono quelle del Palapalestre, il palazzetto sportivo di via Tumiati, angolo con Porta Catena. Lì un anno fa – racconta il referente di Area Giovani del Comune, Mario Zappaterra – si realizza il lavoro in collaborazione tra amministrazione cittadina e sezione ferrarese del Coni, il Comitato olimpico nazionale italiano. L’obiettivo: dare vivacità alla zona, abbastanza anonima, e al palazzetto. Tremila euro di investimento tra impalcature, strutture, autogru e vernici e un’indicazione di massima, che è quella di mantenere la creatività in ambito sportivo. Il risultato? Quattro pareti colorate che vedono da un lato due giganteschi pugili e un arbitro, da quello opposto un giocatore di basket, sul retro una sorta di striscia a tema sentimentale, e, sulla facciata d’ingresso, palloni con guantoni, spada da scherma e segni colorati.

Con in tasca un tesserino di autorizzazione del Comune, i graffitari ferraresi nella primavera del 2012 hanno disegnato giganteschi bambini sulle pareti in cemento della scuola elementare Don Milani, via Pacinotti 48. Nell’autunno 2011 il festival “Internazionale” include nel suo programma il loro intervento artistico nell’area del parcheggio di Rampari di San Paolo. Sul grande muro in cemento senza finestre si materializza il personaggio di Doc, lo scienziato visionario protagonista del film “Ritorno al futuro”. Tra gli altri interventi autorizzati: quello del sottopasso di via Verga; il murales della scuola Itis, via Pontegradella 25; la sede di Area Giovani, via Labriola 11; quella del centro di partecipazione giovanile L’Urlo nel quartiere di Barco, via Bentivoglio 215. Nuovi disegni, poi, ogni tanto si sovrappongono e coprono o modificano quelli precedenti in una continua evoluzione.

Oltre a castello, duomo e pampato, Ferrara è anche questo. Muri che si trasformano in un panorama inaspettato per farci guardare il mondo con altri occhi.

Vedi la galleria delle immagini

peppa-pig

La Peppa Pig: il successo di una famiglia “ideale”

Basta guardarsi intorno, dai negozi di giocattoli, ai supermercati alimentari, fino agli autogrill in autostrada: dovunque il mito della Peppa Pig imperversa: magliette, tazze, zaini, libri, CD, gadget. Alla televisione, sui canali dedicati all’intrattenimento dei piccoli è questo il cartone che riceve maggiore spazio. Peppa Pig è un cartone animato britannico, creato nel 2004 e diretto ad un pubblico di bambini: ogni episodio è di cinque minuti.
Della Peppa sappiamo tutto: ha un padre, una madre, un fratellino, un nonno e una nonna. Ci sono personaggi minori di contorno: un coniglio, un orso, una pecora e molti altri.
Peppa è la figlia maggiore di Papà Pig e Mamma Pig. Frequenta la scuola materna, è simpatica e ubbidiente. Ama giocare con il suo fratellino George, che ha due anni e la passione dei dinosauri. Come la gran parte dei bambini, George non ama le verdure, ma adora le torte al cioccolato; George è timido, ma sa fischiare bene, suona un corno ed è un eccellente pattinatore sul ghiaccio.
La Peppa e il fratellino sono svegli ed educati, pronti a farsi coinvolgere in ogni iniziativa politicamente corretta che i genitori propongano loro, compresa quella della raccolta differenziata o della semina delle verdure nell’orto.
Le situazioni sono quelle della vita quotidiana, con gioie e problemi universali. Tutti i ruoli sono rispettati. Il padre è colui che padroneggia il sapere (risolve equazioni matematiche difficili), ma non sempre ha sufficiente buonsenso nella vita quotidiana; è però un ottimo ballerino, un bravo pittore, un valido batterista e suona la fisarmonica. La madre è una casalinga che lavora da casa tramite il computer. Viene descritta come diligente e attenta – che altre doti dovrebbe avere una madre? Perfettamente pacificata nella doppia presenza – avremmo detto in altri tempi – è una cuoca provetta e sforna deliziosi biscotti e torte di cioccolato. Il nonno è saggio, colto ma anche divertente. Organizza spesso vari giochi e divertimenti per i piccoli ed è abile nel riparare oggetti. Ha la passione per l’astronomia e ha un orto dove coltiva piantine di pomodori e ha alberi di mele. La nonna coltiva l’orto – e perché poi le nonne dovrebbero fare altro, una volta raggiunta un’età compatibile con la pensione? Ama la tranquillità, ha tre galline ed è una appassionata collezionatrice di cappellini. Anche le nonne possono permettersi un tocco di patetica civetteria, si sa!
Un idilliaco quadretto rassicurante, un mondo perfetto, non c’è che dire, in cui tutti sono disposti a cooperare e a trovare soluzioni per i piccoli guai di ogni giorno. Tutti hanno tempo da condividere, non c’è ombra di stanchezza in quella famiglia.
Maialini e maialine, come femmine e maschi di ogni specie, sanno qual è il loro posto nel mondo: i maschi coltivano doti di ingegno e le femmine doti di mitezza e di cura! Sarà questa la ragione del successo del cartone animato? Tante situazioni di vita quotidiana risolte in un idilliaco quadro di giochi e di comprensione reciproca.
Questo mondo “perfetto” mi sembra, in realtà, molto vecchio e stucchevole nella sua pretesa di annullare ogni contraddizione. Eppure, pare che oggi nessuno si ponga più il problema di contrastare gli stereotipi di genere, né con diversi modelli di comportamento e, neppure, con proposte di gioco meno segnate dai luoghi comuni.

gestione-integrata-servizi

Gestione integrata dei servizi con un occhio ai bisogni e l’altro all’ambiente

Rifiuti e acqua sono comparti strategici in cui prevale l’esigenza di soddisfare bisogni individuali, ma su cui pesano importanti esigenze ambientali collettive connesse all’utilizzo sostenibile delle risorse naturali e dunque riconducibili a linee di politica ambientale.
Le forti implicazioni territoriali di questi due settori sono evidenti così come fondamentale è l’esigenza di ricercare soddisfacenti soluzioni locali. Si tratta di una importante scelta di fondo perché fa prevalere la componente ambientale rispetto a quella del mercato dei servizi pubblici. E’ sentita dunque la necessità di affrontare questo comparto con riguardo all’impatto sull’ambiente e al contempo con modalità di gestione attente all’efficienza produttiva e all’organizzazione industriale. Entrambi i settori risentono infatti di una cronica carenza di servizio e di regolazione dell’offerta; deve dunque essere ricercato un necessario equilibrio tra soddisfazione di bisogni ambientali collettivi ed esigenze di politica industriale. Se da una parte dunque è riconosciuta una reale arretratezza del settore dall’altro lato però complessivamente si deve considerare come il settore sia economicamente interessante e soprattutto socialmente indispensabile. Il forte processo di trasformazione in atto è quindi promosso da spinte marcatamente innovative sia istituzionali che imprenditoriali orientate a favorire la realizzazione di sistemi integrati, di ambiti territoriali omogenei, di sviluppi impiantistici con coinvolgimento industriale.
E’ in crescita comunque la gestione integrata dei servizi energetici ed ambientali sia per i processi di unificazione avvenuti in molte città sia per la costante implementazione delle competenze operative delle aziende pubbliche che nel tempo stanno sviluppando crescenti capacità competitive su un mercato complessivo dei servizi collettivi. La modernizzazione passa infatti attraverso la capacità di accedere a risorse (economiche, tecnologiche, umane) che si originano su mercati sempre più dinamici ed aperti; ai gestori si chiede di realizzare cicli tecnologici sofisticati e di organizzare la filiera. Mentre la competizione non è più quella tra modelli organizzativi (ad esempio pubblico-privato), ma tra filiere tecnologiche, variamente coordinate e integrate, nelle quali pubblico e privato non sono antagonisti, ma funzionali l’uno all’altro. Si sta avviando dunque un contesto altamente dinamico nel quale si mescolano efficacemente molte variabili che vanno dalla efficacia della pianificazione, alla capacità di ottenere consenso, al legame con il territorio, alla capacità organizzativa, a cicli tecnologici sofisticati, alla capacità di aggregare settori contigui (mercato materie seconde, produttori-distributori…), all’accesso a risorse economiche, finanziarie, umane, tecnologiche in un mercato competitivo spesso internazionale. Nel quadro di economie aperte occorre avere una forte capacità di innovazione delle istituzioni e degli strumenti di governo del territori; definizione di progetti di sviluppo, ricerca di soluzioni ai problemi di coordinamento (di politiche, di strumenti e di risorse) e di compartecipazione (di soggetti pubblici e privati) a livello territoriale.
L’obiettivo è di migliorare l’efficienza economica e la qualità dei servizi idrici integrati e dei servizi di gestione dei rifiuti urbani, insieme.

berna

Il peso dell’italianità

Conosco la città di Berna per lunghe frequentazioni svolte in un numero assai rispettabile di anni. In quella civile città un po’ noiosetta come si può presumere dal suo ruolo di capitale politica della confederazione svizzera ho molti amici e conoscenti che vanno dal detentore della cattedra di letteratura italiana all’Università mio amatissimo giovane collega e allievo e in più, che non fa male, ferrarese! Stefano Prandi. L’amica di una vita Margherita Visentini con cui da tempo immemorabile collaboriamo sulla storia del giardino che insegna al Politecnico di Milano, figlia del ministro Visentini e moglie di un grandissimo ricercatore Angelo Azzi a cui fu affidato un importantissimo istituto di ricerca a Berna . E, tra gli altri conoscenti, altri veri amici tra cui il mio dentista che alla sua morte fu sostituito da una figlia all’avanguardia nella ricerca odontoiatrica Luisa la cui madre Serena, fiorentina, è stata per anni responsabile della Dante Alighieri. Non è per esibire patenti di nobiltà culturali ma per dire che nella civile Svizzera e ancor nella più civile Berna, il sindaco si è lasciato andare seppur, dice lui in un momento di “comicità, che non rinnega, i suoi intollerabili commenti sulla natura e il fisico degli italiani. Non credo che il signor Alexander Tschäppät, sindaco socialista di Berna avrebbe ripetuto le stesse insultanti offese alle cene eleganti dove sarebbero stati presenti i miei amici. E questo è ancora più grave perché i giudizi erano stati pronunciati in uno sketch di un quarto d’ora sul palco di uno spettacolo itinerante: alcuni giudizi? “ Gli italiani e i napoletani? Troppo pigri per lavorare” o che sono tali perché di bassa statura. Ignobile. Il peggio è che non ha ritenuto opportuno ritrattare. Anzi! Sembra quasi che sia stato fatto apposta come prodromo ad una campagna anti-immigrazione. E’ inutile commentare quale sia stata l’odissea dei lavoratori italiani in Svizzera. Libri, film, documenti sono stati già esibiti. E se ora non gli italiani di Svizzera ma gli italiani che sono diventati svizzeri non protestano con dignità e rigore queste parole umilieranno soprattutto la città di Berna dove spero che mister Tschäppät non sarà più ricevuto dalla comunità italiana della città. E io so bene quanto sia importante essere ricevuto nei circoli che contano! Si possono accettare e rovesciare in fatti positivi certi atteggiamenti che danno noia proprio per la loro “elveticità” Ricordo con stupore e incredulità l’episodio che mi coinvolse un giorno con la mia canina Lilla a cui diligentemente avevo fatto fare i bisogni in giardino. Uscì la poverina e incautamente fece pipì vicino ad un albero. Apriti cielo! Signore urlanti mi chiesero minacciosamente come avevo osato non provvedere. Commentando “ i soliti italiani!” Poi ho capito. Quando si portano i bambini a giocare con i cani nei parchi in zona a loro rigorosamente riservata , i bambini sono muniti di carte asciuganti che diligentemente devono usare per assorbire le pipì dei loro compagni di gioco. Potrei commentare “ i soliti svizzeri!” ma il razzismo è cattivo consigliere. Quanta amarezza in tutto questo. E ora che lo scandalo italiano dell’immigrazione sta pian piano esaurendosi non è male ricordare quello che noi abbiamo patito e che ora verrebbe riproposto salvo poi prosperare sull’evasione fiscale dei paradisi svizzeri. Sono soprattutto amareggiato perché non ce lo meritiamo. Ma nella virtuosa Svizzera, nell’elegante Berna il sindaco questo ce lo poteva risparmiare. E se volessi essere snob che è l’unico atteggiamento per me di ricambiare i giudizi incauti direi “ che cattivo gusto!” che per lui sarebbe il massimo dell’offesa, essendo un poveretto in cerca di notorietà.

bradamante

Lo sguardo femminile nel romanzo storico ferrarese

MARTA MALAGUTTI DOMENEGHETTI
a 90 anni dalla nascita

Laureata in Lettere e Filosofia, dopo aver insegnato per molti anni Marta Malagutti Domeneghetti (1923-2011) ha esordito come scrittrice alla bella età di sessantanove anni, pubblicando Sui passi di Marchesella. Cronache ferraresi del XII secolo (1992), il primo degli originali romanzi storici con i quali si è meritata il valore letterario oggi riconosciutole. In questo prediletto ambito autoriale ha in seguito dato alle stampe: Olimpia Morata (1995), Marietta. Una patriota del Risorgimento ferrarese (1996), Cubitosa d’Este. La marchesa degli incantesimi nella Ferrara del XIII secolo (1999), Bianca Maria d’Este e l’enigma di Schifanoia (2003), La vergine e l’unicorno. Polissena d’Este Romei (2006) e Bradamante d’Este e l’infamia di Zenzalino (2009). L’atipicità di questi romanzi storici, tutti dedicati a straordinarie figure femminili, risiede nella struttura letteraria adottata, quella della narrazione in “prima persona”, mediante l’identificazione diretta dell’autrice con la protagonista.
Quantunque, al riguardo, osservi acutamente lo studioso Claudio Cazzola nella sua prefazione a La vergine e l’unicorno. Polissena d’Este Romei: «Sgombriamo immediatamente il campo da un possibile ed insidioso equivoco, quello cioè di ricorrere al nome dell’Autrice e, di conseguenza, giungere all’ovvia e perciò banale spiegazione dell’artificio adottato mediante la identificazione fra le due figure (Polissena e l’Autrice). L’assunto viceversa è un altro, qual è quello di osservare, e descrivere, i fatti con occhi femminili – subalterni per tradizione antropologica e proprio per questo capaci di vedere altro – e nel contempo di svelare, attraverso la scrittura di sé, quanta potenza repressa sia nascosta nelle pieghe del cuore di una donna, quando essa sia costretta dalle convenzioni sociali a subire decisioni altrui, e maschili».
Marta Malagutti Domeneghetti ha scritto vari altri libri, sperimentando diversi generi letterari, in particolare ha pubblicato volumi in forma semi diaristica e sillogi poetiche: Viale per l’infinito (1994), Quando i poeti si innamorano (1995), Cammin… poetando (1996), Il segreto del Verginese (1996), La cà in rosa e àltar culór (1997), Io e la guerra, una scomoda convivenza (1998), Con penna e pennello in giro per l’Europa (1998), A.A.A. Liriche dal mondo (1999), Ferrara. Frammenti di storia in versi (2000, illustrazioni di Rosamaria Benini).
Il suo ultimo romanzo storico è Bradamante d’Este e l’infamia di Zenzalino: quasi un “noir rinascimentale”. Scrive infatti Riccardo Roversi nella nota di copertina: «Bradamante è nome illustre e avventuroso: è infatti l’eroina che compare nell’Orlando innamorato del Boiardo e nell’Orlando furioso dell’Ariosto, nonché un personaggio de Il cavaliere inesistente di Calvino. Ma la Bradamante d’Este qui rievocata – e letterariamente sublimata – da Marta Malagutti Domeneghetti è, insieme alla sorella Marfisa, figlia illegittima di Francesco d’Este […]. Bradamante sposò il conte Ercole Bevilacqua, che in seguito si invaghì della bella Anna Guarini (figlia del poeta Giovan Battista Guarini), la quale nel 1585 si sposò con il conte Ercole Trotti, che la assassinò nel 1598 dopo averla accusata, ingiustamente, di aver intrattenuto una relazione appunto con Ercole, marito di Bradamante. Arte, amore e infamie: sono gli ingredienti di questo giallo storico che avvince, commuove e che narra, quasi in metempsicosi con l’autrice, attraverso l’autentica voce della protagonista: proprio lei, Bradamante».

[Tratto dal libro di Riccardo Roversi, 50 Letterati Ferraresi, Este Edition, 2013]

massimo-masotti

L’irreprensibile Masotti, il fascio-razzista Hyde

masotti-mussolinimasotti-kyangeApparenza garbata, battuta pronta e spesso tagliente, incedere raffinato, modi signorili. Ma dietro all’affabile dottor Massimo Masotti, vicepresidente dell’Ordine dei medici di Ferrara e rispettato addetto alle relazioni esterne dei Lions, si cela un mister Hyde apologeta del peggior fascismo, quello condito in salsa razzista.
Così, l’irreprensibile medico dalla sua pagina Facebook esibisce la passione del alter ego per il duce, che in elmetto se la piglia con gli immigrati; e ne mostra la vena goliardica, laddove sbeffeggia il ministro Kyenge o appella con pesante ironia la presidente della Camera.
Scoperta la morbosa nostalgia per il Ventennio del Masotti-Hyde, possiamo ben immaginare a quale dottrina si ispiri il dottore quando, trasognato, ordina ai pazienti di dire ’33…

Leggi anche: Tre interrogativi attorno al caso Masotti

 

evasione-fiscale

“Più controlli e meno tasse”. Intanto gli evasori godono di autorevoli indulgenze

Nonostante i fiumi d’inchiostro versati e i timpani quasi sfondati dal tanto vociare, non è ancora ben chiaro se in Italia ci sia tanta evasione fiscale (sui 200 miliardi di euro) perché le tasse sono alte, oppure l’inverso.
Di certo non sta bene se ad essere comprensivi sul fenomeno sono proprio gli uomini delle istituzioni. Alcuni elogiano il parlare chiaro di certe lingue non di legno, finalmente sintonizzate sul sentire comune.
Il problema è che la politica non dovrebbe lisciare il pelo a quelli che scantonano. Primo, perché coloro che non lo fanno (o che non lo possono fare) fanno la figura dei cornuti e mazziati, il che alla lunga sbriciola, e non unisce, un paese, se proprio si vuole usare la parola responsabilità per quello che vuol dire.
Secondo, perché la politica dovrebbe prendere provvedimenti e parlare di meno. È sconsolante che nel 2013 dopo Cristo, si debba ancora puntualizzare cose che dovrebbero essere l’a-b-c della cultura istituzionale.
Ma torniamo alle tasse. Stando al documento di economia e finanza del governo, in Italia la pressione fiscale nel 2013 è al 44,4 per cento. Lo scrivono Renzo Orsi, Davide Raggi e Francesco Turino su www.lavoce.info e il divario rispetto alla media europea è di almeno cinque punti.
Se non si fosse capito, qui i cattivi siamo noi.
Sembra che qualcuno abbia voluto considerare il quattro il numero perfetto. Andando dritti al dunque, da studi e curve tirate su assi cartesiani emerge che più alte sono le tasse e maggiore la tendenza a non pagarle.
È necessario, quindi, che la pressione fiscale diminuisca. Tanto che, scrivono i tre, chi volesse spingersi oltre tali vertici di spremitura deve sapere che il risultato è addirittura una riduzione del gettito, cioè di quanto entra in cassa.
Fin qui tutto chiaro.
Ma come fare in concreto, visto che in tanti dicono che la pressione deve calare, mentre il risultato è sempre il contrario?
Gli autori dell’articolo Ridurre le tasse si deve prendono in considerazione tre scenari: l’ipotesi abbassamento di due punti percentuali della pressione su famiglie e imprese, l’aumento dei controlli della Guardia di finanza ad aliquote invariate e, infine, un mix di queste due leve.
Conti alla mano, solo la terza opzione garantirebbe il risultato ottimale di non creare buchi nei conti pubblici e nello stesso tempo disincentivare l’evasione, oltre a lasciare in giro più soldi per sostenere consumi e crescita.
Con il primo sistema, infatti, calando semplicemente le tasse bisogna essere consapevoli che si andrebbe incontro inizialmente ad almeno dieci trimestri di minor gettito.
Hai voglia poi a pretendere dall’inquilino del momento a Palazzo Chigi che vada a picchiare i pugni sui tavoli di Bruxelles, se alla domanda come siamo messi col pareggio di bilancio, nel frattempo scritto in Costituzione, si diventa rossi di vergogna.
Nemmeno la strada dei soli controlli sembra dare risultati migliori. Nel breve periodo aumenterebbero in effetti le entrate pubbliche, ma parallelamente diminuirebbero gli euro nelle tasche dei privati. Il risultato finale è che in giro ci sarebbero meno soldi da spendere, l’economia si avviterebbe e alla fine anche lo Stato rimarrebbe in braghe di tela.
Detto così, sembra tutto logico.
Eppure ciò a cui abbiamo assistito in questi mesi fra governo e parlamento è degno del film Profondo rosso, soprattutto per il ragioniere generale dello Stato.
Prima qualcuno ha addirittura promesso agli italiani in campagna elettorale che avrebbe restituito l’Imu 2012.
Come spesso accade, deve essere caduta la linea. Poi c’è stato il tira e molla sull’eliminazione dell’imposta sulla prima casa, con coperture finanziarie che andavano e venivano come i passeggeri di un autobus, e la parallela sostituzione con Tasi, Tari, Trise, Tares e, infine, Iuc.
Almeno due le conseguenze di una manovra i cui stessi genitori hanno detto che sarebbe spettato al parlamento migliorarla nei punti deboli, salvo poi puntare il dito sulle Camere se dopo la raffica di emendamenti nessuno sa più quale sia la testa e la coda.
La prima è il buco che si verrebbe a creare nelle casse dei Comuni dopo questa polka tributaria, con il rischio in più, è stato scritto, di far pagare poco a chi ha tanto e troppo a chi non ha più nemmeno gli occhi per piangere.
La seconda è che cresce la sensazione, in una politica fiscale sempre più simile al gioco delle tre carte, di pagare di più la tassa nuova di quella che è stata appena eliminata con tanto di lieto annuncio dato via etere agli italiani.
Il tutto mentre, da un lato, per settimane si è disquisito sulla ventina di euro in più in busta paga per l’abbassamento del cuneo fiscale e, dall’altro, si viene a sapere che la politica in Italia costa 23 miliardi l’anno, cioè più di 750 euro a cittadino.
Come ha detto una volta un giornalista sportivo: sono cose che fanno male al calcio e allo sport in generale.

riciclaggio-rifiuti

Austria, Svezia e Germania leader nel trattamento dei rifiuti ma l’Italia non sfigura

di Mario Sunseri

2.SEGUE – E arriviamo al nostro mondo, che ora forse, dopo aver provato a non guardare fissamente solo a noi stessi, non ci appare più così arretrato nell’affrontare il problema. Europa, Giappone, Corea sono leader nella gestione rifiuti e l’Italia ha molto di cui andare fiera: alcune Regioni hanno i più alti livelli di riciclaggio al mondo, sono attivi numerosi impianti moderni che trattano i rifiuti organici, recuperano energia sia attraverso il trattamento termico che la digestione anaerobica, si raggiungono buoni livelli di riciclaggio degli imballaggi, e sono attivi schemi di responsabilità dei produttori per numerosi tipi di rifiuti, tra cui batterie, oli esausti, veicoli a fine vita, rifiuti elettrici ed elettronici. Con rare eccezioni, i nostri cittadini non devono affrontare i rischi sanitari dei rifiuti abbandonati e i nostri fiumi, città, coste sono in genere liberi dai rifiuti. Ma questo costa: ognuno paga in media circa quasi 200 €/a per garantire questi livelli di sicurezza ma, come il Sud Italia dimostra, non sempre ci riusciamo. Spesso ci si sente chiedere “quale nazione ha il sistema migliore?”. Prima di tutto ci si dovrebbe chiedere cosa si vuole dal ‘sistema’: è più importante il recupero dei materiali per le industrie nazionali o il recupero di calore ed energia per le case e le attività dei cittadini. Vi è però un consenso diffuso tra gli esperti e le industrie del settore sul fatto che nazioni quali Austria, Svezia, Germania abbiano messo in opera sistemi di gestione efficaci: riciclaggio attorno al 50%, recupero energetico attorno al 50%, basso ricorso alla discarica. I rifiuti biodegradabili non sono avviati a discarica, non ci sono abbandoni illegali, i controlli pubblici sono elevati e i rischi sanitari sono controllati e rimangono al di sotto delle soglie stabilite come accettabili.
Un altro tema delicato è il commercio dei rifiuti e in particolare quelli pericolosi. Nel 2007 i rifiuti pericolosi commercializzati nel mondo sono stati 191 milioni di tonnellate, ma in che direzione si sono mossi? La percentuale di rifiuti esportati è correlata direttamente al reddito nazionale: più si è ricchi più si consuma e più si esporta. Le cose cambiano per l’importazione: anche se le nazioni di vecchia industrializzazione, soprattutto quelle come la Germania dotate di impianti di trattamento dei rifiuti pericolosi, importano le quantità maggiori, le nazioni in via di sviluppo importano rifiuti in maniera sproporzionata, 39%, rispetto alla loro percentuale di reddito globale, 22%. E questi sono solo i dati ufficiali, che non riescono a dare conto dei traffici illegali. Il fatto che il 39% dei rifiuti del mondo nel 2007 si è mosso verso paesi non-Ocse, che non sono in grado di gestire adeguatamente un flusso così elevato, indipendentemente dal fatto che siano pericolosi o meno, è indicazione dell’enorme pressione ambientale e sociale esercitata verso nazioni in condizioni di fragilità normativa e economica e prive delle strutture industriali adeguate a trattare i rifiuti pericolosi.
In conclusione il mondo è diventato più ricco e uno dei prezzi pagati sono i nostri rifiuti. Dobbiamo spostare le risorse verso attività più sobrie: ripulire e riordinare. I migliori sistemi di gestione rifiuti e le tecnologie messi alla prova nei paesi industrializzati devono essere resi disponibili a scala globale, per essere adattati alle diverse realtà nazionali. Le risorse messe in campo devono essere raccolte distribuite per rendere efficaci ed efficienti i risultati a livello globale e non solo locale. Un piccolo incremento dell’impegno economico dedicato nei paesi industrializzati comporterebbe risultati enormi dal punto di vista ambientale se utilizzo per migliorare i sistemi di gestione dei rifiuti nei paesi a basso reddito.
Questa è la missione che Iswa si è data e che diviene sempre più urgente al crescere di popolazione, ricchezza e consumi: promuovere una gestione rifiuti sostenibile nel mondo (si veda www.iswa.org e www.atiaiswa.it).

2 – FINE

Leggi la prima parte

Sintesi dell’articolo pubblicato nel magazine Equilibri 79 (rivista pubblicata dal COOU, Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati)  “Gestione dei rifiuti urbani e pericolosi: il Pianeta è divisa in tre mondi diversi” scritto da David Newman, il Presidente dell’Associazione ATIA ISWA Italia, Mario Sunseri, membro del Consiglio Direttivo e direttore di www.rifiutilab.it e Simonetta Tunesi, membro del Comitato Tecnico.

rifiuti

Rifiuti, un business da 300 miliardi di euro con contorno di inquinamento e malattie

di Mario Sunseri

Trattando di rifiuti si deve tenere ben presente la prospettiva da cui si fanno le osservazioni ed esprimono i giudizi; ciò che succede in Africa è profondamente diverso da quanto succede in Italia e nelle nazioni industrializzate. Nel mondo si producono circa 4 miliardi di tonnellate annue di rifiuti, di cui circa la metà rifiuti domestici, l’industria dei rifiuti ha un fatturato di 420 miliardi di dollari (circa 300 miliardi di euro) e occupa 20 milioni di lavoratori: un impresa colossale. Altri 20 milioni di persone lavorano non ufficialmente nel raccogliere, separare manualmente, riciclare. Solo il 18% è riciclato, un 12% incenerito. Il resto finisce in discariche o in mucchi all’aria aperta. Ma le statistiche globali non restituiscono la realtà nella sua complessità: scomponiamo quindi l’analisi in tre gruppi di nazioni.
In un primo gruppo: la metà della popolazione mondiale non ha accesso al servizio di raccolta rifiuti; il 70% è gettato in discariche spesso non gestite; milioni dei più poveri vivono sopra o attorno a questi siti, recuperando piccole quantità di materiali da rivendere per riciclaggio. In Asia, Africa, America Latina, le città crescono rapidamente, le popolazioni urbane si arricchiscono, consumano di più e gettano più rifiuti, e le autorità locali non riescono a tenere il passo con la domanda di servizi locali, acqua, fognature, servizi sanitari, rifiuti e fornitura di energia. Nel mondo ogni settimana due milioni di persone si spostano in città. Si prevede che Lagos, 12 milioni di abitanti, raggiungerà nel 2100 gli 88 milioni. Questo stato di cose richiede di affrontare numerose emergenze, prima di tutte la salute. I rifiuti non trattati, formati per il 60% da materiale organico, includono carcasse di animali, rifiuti ospedalieri, industriali e pericolosi, trasmettono la malaria (le zanzare vi si riproducono), colera, tifo, malattie respiratorie, infezioni da contatto. Spesso ci si dimentica di un altro grave rischio: l’80% delle emissioni di diossina nelle nazioni in via di sviluppo viene dal bruciare i rifiuti all’aria aperta. C’è poi da ridurre l’impatto sui cambiamenti climatici: le discariche, in maggior grado quelle non gestite, sono a scala globale la terza sorgente di emissioni antropogeniche di metano. Il deposito di particelle carboniose incombuste, emesse dagli incendi in discarica, contribuisce a circa il 30% dello scioglimento dei ghiacci. Investimenti ingenti sono necessari in queste Nazioni per realizzare e mettere in opera i sistemi di raccolta e gli impianti di trattamento basilari; la Banca Mondiale stima che solo per attivare i sistemi di raccolta siano necessari 40 miliardi di dollari, mentre nel 2015, quando il volume dei rifiuti raddoppierà questa cifra raggiungerà 120 miliardi di dollari. Poi vi è il gruppo di nazioni, quali Brasile, Turchia, Europa dell’Est, il nord Africa, Sudafrica, in cui alcuni investimenti sono stati fatti, il 60-80% dei rifiuti è trattato e impianti di riciclaggio, discarica e trattamento sono operanti. Hanno le risorse per creare moderni sistemi di gestione rifiuti ma spesso non vi sono ancora le condizioni politiche per attuare le normative, far adottare sistemi di responsabilità del produttore, tassazioni, incentivi e promuovere il riciclaggio. Queste nazioni sono di fronte ad una curva di spesa in rapida crescita: un cittadino Serbo spende per i propri rifiuti circa 30 euro annui, cifra che salirà a 100 euro annui nel prossimo decennio, quando molte nazioni correranno per mettersi in pari con le normative europee. E’ in queste nazioni, con un sistema legislativo e fiscale in regola, che si aprono interessanti opportunità d’investimento a lungo termine. Mentre nelle nazioni povere – un cittadino di Giacarta spende 6 euro annui per la bolletta dei rifiuti – l’unico modo per recuperare gli investimenti è attraverso finanziamenti dai programmi di aiuto internazionale, perché le tasse locali o il valore dei materiali riciclati non potranno garantire un ritorno.

1 – CONTINUA

Sintesi dell’articolo pubblicato nel magazine Equilibri 79 (rivista pubblicata dal COOU, Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati)  “Gestione dei rifiuti urbani e pericolosi: il Pianeta è divisa in tre mondi diversi” scritto da David Newman, il Presidente dell’Associazione ATIA ISWA Italia, Mario Sunseri, membro del Consiglio Direttivo e direttore di www.rifiutilab.it e Simonetta Tunesi, membro del Comitato Tecnico.

tunnel

Cifre da brivido e mancanza di ‘governance’, l’economia ferrarese è seduta nel tunnel

Dei “Nuovi scenari dell’economia ferrarese e della città che cambia” si è parlato nei giorni scorsi in occasione della presentazione dell’annuario 2014 del Cds. Si è trattato di una prima occasione di analisi del ricco e stimolante materiale raccolto dal Centro ricerche documentazione e studi di Ferrara.
Gli interventi si sono soffermati su tre letture, relative alle più significative cifre locali raccolte dalla statistica, ai tratti urbanistici della città, e a qualche idea per il “che fare”, dopo una panoramica sulle grandezze macroeconomiche di ieri e del breve.
Ecco, di seguito, le cifre evidenziate per l’area ferrarese:
provincia di Ferrara: tasso di disoccupazione 11,1%, il più alto nel nord Italia nel 2012; salito all’11,8% nel 2013;
persi 8.000 posti di lavoro nel 2007/10 e fino a 10.000 ad oggi (di cui 5.000 fino a 44 anni) e nel triennio circa 4.000 giovani a casa dal lavoro;
in 5 anni di crisi ci sono stati 45 milioni di ore autorizzate di Cig;
indici di dotazione infrastrutturale, circa la metà di quelli della regione;
Ferrara la più indebolita rispetto alle altre provincie della regione;
Per secondo è stato sviluppato il discorso sulla città di Ferrara che cambia, evidenziando i nuovi strumenti urbanistici e i regolamenti relativi per poter cogliere i primi segnali di ripresa e favorire il cambiamento urbano.
Infine, terza relazione, il contesto socio-economico e, soprattutto, una proposta articolata in sette punti e che sintetizziamo.
1. attrazione di investimenti esterni con un nuovo marketing territoriale
2. estensione del sistema “duale” tedesco negli istituti tecnici e professionali
3. favorire la “transizione” scuola-lavoro
4. riduzione del debito pubblico
5. individuazione e diffusione di “buone pratiche
6. più risorse per i veri poveri e potenziamento del terzo settore
7. monitoraggio e customer satisfaction nella Pubblica amministrazione e con specifico riferimento al Comune di Ferrara

Credo sia sufficiente questo riassunto per capire che ci troviamo di fronte:
ad una città tutta concentrata su se stessa, anche se con alcune “chance”;
ad una provincia abbandonata e con territori indistinti e slegati dai contesti di crescita;
ad una gioventù “bruciata” e forse senza futuro;
a potenzialità inespresse, con stakeholders ed istituzioni non adeguate a esercitare governance e restie ad attivare strumenti, misure e risorse capaci di far cambiar passo al nostro territorio.
Quello che serve è: rompere la visione murata della città, mettere in rete i punti forti, a corona, dei territori che si collegano al capoluogo, anche con i luoghi di confine e fare sistema di distretti, dalla costa al centese, al rurale/ agroalimentare, da nuove aree attrezzate di nuova generazione al life natura/ambiente/turismi.
Al riguardo, da un po’, si sta sviluppando l’idea di costruire, con strumenti e fondi strutturali una sorta di nuovi “Patti territoriali” e “Contratti d’area”, ma si riscontrano tuttora resistenze, quasi a voler rimanere ancora nell’angolo tra via Emilia e dorsale centrale veneta, una vecchia storia ancora irrisolta.
Se poi perdiamo pezzi di territorio e di storia, se il Castello porterà un museo, se gran parte degli attori mancano ad appuntamenti come questo, un osservatorio importante ed indipendente, allora il tunnel ferrarese sarà sempre più lungo, ancora nel buio.
La luce forse arriverà, ma col rischio che sia troppo tardi: allora non avremo perso solo in cifre, si sarà dissolto una tessuto sociale.
Penso che non lo meritiamo.

centro-accoglienza-lampedusa

La Guantanamo d’Italia

Tanti anni fa andai in Somalia, come inviato de “il Giorno”, per intervistare Siad Barre, il dittatore che non molto tempo dopo sarebbe rimasto vittima di un attentato; aveva inventato il “socialismo scientifico” e lo slogan “Africa for africans”: era un personaggio interessante Siad Barre, aveva fatto la scuola militare a Modena, dove aveva assorbito i primi rudimenti di una socialdemocrazia, come si può dire?, capitalista, di cui Modena è stata grande e non sempre intelligente progettista riuscendo soltanto in modo formale a coniugare il capitalismo con una vera politica sociale, equazione mai riuscita ad alcuno, perché chi ha tentato la soluzione ha finito col vendersi al capitale (ogni riferimento a Giuliano Ferrara, a Bondi e amici è puramente casuale). Anche Barre s’inchinò al capitale (italiano), da qui l’amicizia con Craxi e la sua filosofia de “la barca va”. Finì a schifo, com’era prevedibile: in occasione di quel mio viaggio incontrai persone molto intriganti, soprattutto i vecchi, sopravissuti al colonialismo italiano e testimoni delle atrocità compiute in Africa dai nostri celebrati “esportatori di civiltà latina”. Noi italiani in quella plaga ne abbiamo fatte di tutti i colori, come le scudisciate in faccia al nero che per strada non salutava, pur non conoscendolo, il bianco italiano. Scrissi i miei articoli sfatando (o cercando di sfatare) il mito dell’italiano buono, caritatevole, tollerante. Scrissi che gli italiani sono un popolo razzista, ignorante, violento, genericamente fascista. Quelle testimonianze fornite dai vecchi somali, confortate dalle affermazioni di un anziano colono del nord d’Italia, sono finite in uno dei bellissimi libri di storia di Angelo Del Boca, il più importante storico del colonialismo italiano. Sono passati, dicevo, molti anni da quel mio viaggio e le mie convinzioni di allora vengono confortate ogni giorno da quel che avviene in questo nostro villaggio della nuova vita: il razzismo non è morto, come la violenza quando può essere esercitata in situazioni di sopraffazione, quando si agisce con la convinzione di essere dalla parte del potere. Quello che è avvenuto a Lampedusa, l’isola dei morti viventi, la Guantanamo italiana, è lì purtroppo a dimostrarlo, sono passati 68 anni dalla caduta del fascismo, ma il manganello nero è sempre pronto a colpire, noi italiani siamo inesorabilmente, inguaribilmente fascisti, il resto – mi pare – è bolsa retorica.

lente

La carica dei 101 per il primo mese di ferraraitalia

Ferraritalia festeggia il suo primo mese di vita con una vetrina ricca di 101 articoli di primo piano, una trentina di aforismi raccolti quotidianamente nella sezione Germogli e altrettanti Accordi, brani che hanno fatto da colonna sonora alle nostre giornate. Dal 26 novembre, data in cui ferraraitalia è online, abbiamo collezionato anche una prima serie di gallerie fotografiche a tema (fra le quali quelle aree sulla città, apprezzatissime, frutto di scatti realizzati con il drone) e immagini evocative a illustrare l’incedere del calendario.
Abbiamo raccolto, tra i tanti che ci sono stati manifestati, gli apprezzamenti e l’incoraggiamento di Massimo Gramellini. I lettori hanno esternato le loro opinioni con interventi (ospitati nell’apposita sezione) o commenti a specifici scritti, riportati sotto ciascuno di essi. Ha destato particolare attenzione e suscitato interesse l’inchiesta a puntate sull’ “oro del Pci”.
Per ferraraitalia nel corso di questo mese hanno scritto Fiorenzo Baratelli, Loredana Bondi, Francesca Carpanelli, Andrea Cirelli, Riccarda Dalbuoni, Barbara Diolati, Monica Forti, Maura Franchi, Sergio Gessi, Camilla Ghedini, Giuliano Guietti, Francesco Lavezzi, Virginia Malucelli, Giorgia Mazzotti, Alessandro Oliva, Silvia Poletti, Andrea Poli, Valentina Preti, Mauro Presini, Riccardo Roversi, Vittorio Sandri, Giuliano Sansonetti, Valentina Scabbia, Franco Stefani, Gian Pietro Testa, Gianni Venturi; sono inoltre intervenuti Enzo Barboni, Giorgio Bottoni, Leonardo Fiorentini, Giuseppe Fornaro, Lanfranco Viola. Hanno fotografato per noi: Aldo Gessi, Roberto Fontanelli, Luca Pasqualini. Alcuni fra i nostri opinionisti tengono rubriche settimanali. Sono cinque, per ora: Elogio del presente (di Maura Franchi), “Pepito Sbazzeguti” (di Francesco Lavezzi), Dalla parte del torto (di Fiorenzo Baratelli), Il villaggio della nuova vita (di Gian Pietro Testa), Memorabile (di Riccardo Roversi).
I lettori hanno la possibilità di consultare l’archivio attraverso una ricerca per parola chiave, utilizzando la finestrella in alto a destra nella home. Oppure per autore (cliccando sulla firma), per data (utilizzando il calendario nella barra laterale di destra), per genere (avvalendosi del menu a tendina posto sotto al calendario o cliccando sulle voci dell’elenco riportate in fondo alla home a sinistra, o ancora selezionando la relativa indicazione presente in testa a ogni articolo).
Cliccando qua si possono visualizzare e scorrere le 101 riflessioni di primo piano (dalle quali sono escluse solamente Aforismi, Germogli, Immaginario e interventi dei lettori).

tebaldeo

Il Tebaldeo, precettore di Lucrezia e virtuoso della “maniera cortigiana”

TEBALDEO
a 550 anni dalla nascita

Antonio Tebaldi (1463-1537), detto il Tebaldeo, entrò alla corte ferrarese nel 1488, fu precettore di Isabella d’Este e segretario prima del cardinale Ippolito e poi della bella Lucrezia Borgia. Successivamente si trasferì a Roma, dove godette dell’amicizia di insigni letterati quali Pietro Bembo e Baldassarre Castiglione e di grandi pittori come Raffaello Sanzio, il quale fra l’altro lo ritrasse nel suo celebre affresco del Parnaso. Durante il “sacco” di Roma, nel 1527, perse tutti i suoi beni e averi e trascorse in povertà gli ultimi anni di vita.
Il Tebaldeo raggiunse la notorietà grazie alle proprie opere giovanili in volgare, quantunque presso i critici più tardi, fra cui Giosue Carducci, questa parte della sua produzione non abbia mai colto consensi veramente positivi. Tuttavia, nel 1499 a Milano apparvero i Soneti, capituli, due ecloghe del prestantissimo M.A. Tebaldeo, ripubblicati a Venezia tre anni prima della morte dell’autore con il titolo L’opere d’amore, che lo consacrarono come uno dei maggiori esponenti della cosiddetta “maniera cortigiana”: una sorta di ingegnosa concettosità, di leziose divagazioni e compiaciute metafore, definibile quasi come una specie di manierismo ante litteram.
Comunque, Antonio Tebaldeo conseguì i suoi esiti più felici nella poesia latina. «Nel Tebaldeo ci sembra di ravvisare l’artista che affila il suo strumento dell’arte, – osserva il filologo Silvio Pasquazi – rivestendo di altri panni e forme il suo mondo interiore. In fondo egli assisteva non indifferente alla lotta tra il volgare e il latino, una lotta beninteso, non tra due rivali inconciliabili. La lima migliore del Tebaldeo consisteva nel sentire se tra un modo e un altro, tra una struttura sintattica più complessa e una più semplice, con un’aggettivazione più sobria e rara o più larga e distesa, la sua composizione si avvicinasse al “pathos” di un testo antico, come sapore e natura linguistica, e se potesse reggere nel confronto con gli altri testi, elaborati dagli amici suoi ferraresi».
Dalle risonanze e dalle aperte imitazioni che talvolta si riscontrano nei Carmina latini del Tebaldeo, si desume che egli ebbe in specie a maestri Ovidio, Virgilio, Tibullo, Catullo e Orazio, né gli furono estranei il modello greco di Pindaro e i modelli suoi contemporanei rappresentati dal Pontano, dal Panormita, dal Poliziano, da Pico della Mirandola, dal Boiardo. «A ragione, il Tebaldeo può ritenersi il più versatile dei poeti ferraresi, – afferma ancora Silvio Pasquazi – e se ha in comune con essi la predilezione per alcuni temi, in lui si avverte una rispondenza maggiore e uno stile più ricco e sostenuto, che rivela una conoscenza sicura e talora squisita dei modelli classici. Anch’egli pecca di ampollosità e di gonfiezza, ma è stato giustamente osservato che raramente cade nella sdolcinatura, e quel tanto di stanchezza che a momenti ingenera si deve alla ripetizione e alla vacuità di alcuni soggetti».

Tratto dal libro di Riccardo Roversi, 50 Letterati Ferraresi, Este Edition, 2013

auto-piazza-castello

Il centro storico di Ferrara è un parcheggio incontrollato

Troppe auto circolano nella zona monumentale della città e troppe sostano a ridosso dei principali monumenti cittadini. Che ci sia un problema relativo ai parcheggi è stato riconosciuta anche dal sindaco della città, Tiziano Tagliani, interpellato in proposto da ferraraitalia a conclusione della tradizionale conferenza stampa che si è svolta come in municipio come di consueto nell’imminenza del natale. Pubblichiamo qua una serie di scatti effettuati in mattinata: le foto documentano incontrovertibilmente una situazione fuori controllo, non più tollerabile. Tanti veicoli nelle aree di maggior pregio rappresentano un sfregio alla bellezza di Ferrara.

piazza-savonarola-ferrara
Piazza Savonarola invasa da auto e taxi
piazza-savonarola-ferrara
Piazza Savonarola invasa da auto e taxi

IMG_2795 IMG_2799

piazza-castello
Piazza castello presa d’assalto dai veicoli

IMG_2793

piazza-repubblica
Piazza Repubblica cinta dalle automobili

IMG_2807

via-cairoli-ferrara
In via Cairoli un’ininterrotta fila di auto in sosta

 

 

 

abbandono-scolastico

Analfabetismo di ritorno e abbandono scolastico nuove piaghe d’Italia

Secondo gli ultimi dati pubblicati da Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, l’Italia è tra i primi paesi europei per abbandono scolastico: il 17% dei nostri alunni lascia presto la scuola, con punte del 25% al Sud. Il tasso di abbandono scolastico è definito come la percentuale della popolazione di età compresa tra i 18 e i 24 anni che ha terminato soltanto l’istruzione secondaria inferiore o possiede un livello di istruzione ancora più basso, e non partecipa più al sistema di istruzione o formazione.
I nostri livelli sono molto lontani dalla media europea, scesa quest’anno al 12,7%. Secondo gli obbiettivi che la Commissione Europea ha dichiarato di voler raggiungere entro il 2020 nell’ambito dell’istruzione, il tasso di abbandono scolastico deve scendere al di sotto del 10% e il tasso di giovani laureati deve salire al di sopra del 40%. Dodici stati membri (Austria, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Slovacchia, Slovenia e Svezia) hanno ormai tassi di abbandono scolastico inferiori all’obiettivo fissato dalla strategia europea, mentre l’Irlanda ha raggiunto per la prima volta questo traguardo. Nella graduatoria europea l’Italia si trova in fondo alla classifica, quart’ultima dopo Spagna (24,9%), Malta (22,6%) e Portogallo (20,8%).
Nel nostro paese il Molise è l’unica regione che ha raggiunto gli obiettivi europei, con un valore del 9,9%. L’Emilia-Romagna si trova al 15,3%. Le regioni con le performance peggiori sono la Sardegna (25,8%), la Sicilia (25%) e la Campania (21,8), dove sono più diffuse situazioni di disagio economico e sociale.
Il maggior numero di studenti che abbandona la scuola si registra negli istituti professionali, tecnici e artistici. L’abbandono minore si ha invece nei licei, soprattutto al classico. Passando a una distinzione di genere, la percentuale di maschi che esce dal percorso formativo è superiore a quella delle femmine, nella scuola secondaria di primo e secondo grado. Anche questo fenomeno si verifica prevalentemente nel Mezzogiorno.
Tra gli stranieri che frequentano le scuole in Italia, la percentuale di abbandono rispetto agli italiani è di circa il doppio. Le difficoltà maggiori riguardano più gli studenti nati all’estero che quelli nati in Italia, che mostrano una migliore padronanza della lingua e un maggiore livello di integrazione.
L’Anief, l’associazione che riunisce gli insegnanti italiani, sostiene che “l’allontanamento dall’Europa in merito alla dispersione scolastica non è un dato casuale, ma è legato a doppio filo ai tagli a risorse e organici della scuola attuati negli ultimi anni”, che negli ultimi 6 anni hanno cancellato 200mila posti, sottratto 8 miliardi di euro e dissolto 400 istituti a seguito del cosiddetto dimensionamento.
Anche in ambito universitario i dati non sono incoraggianti: le immatricolazioni sono scese al 30% dei neo diplomati. Anche in questo caso l’Anief sottolinea i danni prodotti dalla progressiva riduzione del personale docente e dei corsi di laurea e dalla fuga dei ricercatori all’estero.
Per concludere, secondo alcune statistiche, non solo l’Italia è ultima su 32 paesi Ocse per la spesa per l’istruzione in percentuale della spesa pubblica, ma è anche fanalino di coda tra le nazioni europee. Sul fronte dei tagli all’istruzione in rapporto al Pil, l’Italia è il secondo paese che ha effettuato i tagli più pesanti dopo l’Ungheria. Non sarà un caso se l’analfabetismo di ritorno, che riguarda coloro che hanno posseduto le cognizioni elementari della lettura e della scrittura, ma poi le hanno poi perdute, nella nostra Penisola è in crescita. Il linguista Tullio De Mauro ha rilevato che più della metà degli italiani ha difficoltà a comprendere l’informazione scritta e molti anche quella parlata. Se l’analfabetismo totale in Italia si aggira intorno all’1%, l’analfabetismo di ritorno raggiunge punte del 28% per competenze nella lettura. Quando si passa a operazioni un po’ più complesse, come l’interpretazione di dati, grafici o tabelle, la percentuale sale al 32%.
Sempre secondo Tullio de Mauro, in una società de-alfabetizzata c’è un rischio per la tenuta della democrazia che “vive se c’è un buon livello di cultura diffusa. Se questo non c’è, le istituzioni democratiche – pur sempre migliori dei totalitarismi e dei fascismi – sono forme vuote”.

Voltini castello

I voltini rinascono in primavera, forse illuminati. Parola dell’assessore Nardini

Sembra avviata a buon esito anche la vicenda dei voltini che congiungono piazza Savonarola e piazza Castello e collegano internamente, tramite la soprastante via Coperta, il palazzo comunale con la rocca estense. L’assessore ai Lavori pubblici della Provincia, Davide Nardini, rispondendo alla segnalazione di ferraraitalia e alle sollecitazioni di commercianti e turisti, ha annunciato che entro la prossima primavera sarà realizzato un adeguato intervento di manutenzione. “E’ anche allo studio – ha precisato Nardini – la possibilità di illuminare i volti”. Il tutto ovviamente con il benestare della soprintendenza ai beni architettonici.
Frattanto abbiamo riscontrato con soddisfazione che l’impegno recentemente assunto dalla direzione amministrativa di Economia di spegnere le luci durante la notte e i giorni di chiusura della facoltà è già stato attuato.