Morte della vecchia politica e agonia della sinistra
Il governatore della Bce, Mario Draghi, all’indomani dell’ultimo risultato elettorale italiano e di fronte alla situazione di stallo aperta a tutti gli esiti possibili commentò: “Non c’è da preoccuparsi in modo particolare. Chiunque alla fine governerà, sulle grandi scelte c’è un pilota automatico che garantisce la rotta.”
Come sostiene lo studioso Marco Revelli, non si poteva rappresentare meglio la negazione della politica e la crisi della sinistra. Una tale dichiarazione sembra dire ai cittadini: votate per chi volete, pensando di scegliere il pilota, ma la rotta è già tracciata da altri!
Chi ha militato nella sinistra storica e ancora crede in una possibile alternativa all’attuale deriva, deve partire da qui. E’ inutile prendersela con il destino cinico e baro. La verità è che dalla fine degli anni settanta del secolo scorso la sinistra politica e sindacale è entrata in una crisi generale (idee, progetto, proposte, classi dirigenti) da cui non si è più ripresa. Ovviamente parlo di sinistra mondiale ed europea e non solo delle sue varie forme nazionali. Capita, nella storia, che movimenti che hanno svolto una funzione positiva vengano travolti da cambiamenti che non riescono a comprendere o governare. E’ accaduto per il nobile liberalismo ottocentesco che non riuscì ad adeguarsi all’avvento della società di massa dell’inizio del novecento… e vinsero i totalitarismi.
Per la sinistra, non sono i valori fondamentali (giustizia e libertà) che sono venuti meno, ma la loro traduzione in progetti, proposte concrete, organizzazione politica, egemonia culturale. In una parola: manca la politica. Fare politica non significa enunciare dei valori, proclamare delle buone intenzioni, “…immaginare repubbliche o principati mai esistiti…” (Machiavelli). Non è nemmeno appagarsi nel definire se stessi (i puri contro i corrotti), sventolare una bandiera, demonizzare il presente e i propri simili che non ci capiscono.
La politica è realizzare programmi, praticare soluzioni innovative e credibili. Che poi, in una società democratica, vuol dire avere il consenso della maggioranza dei cittadini; oppure essere una minoranza capace e combattiva. Per esempio, dire uguaglianza e giustizia sociale non basta. Quale? In che modo? Per chi? Contro chi? Oppure pensare che la crisi della politica sia solo un problema di costi. No, è innanzitutto una questione di credibilità morale di chi la esercita E si potrebbe continuare. In sintesi: un’impresa gigantesca!
Dunque, che fare?
Ecco uno schematico elenco teorico-pratico di domande cruciali. Cosa significa fare politica ed essere sinistra nel tempo della globalizzazione? Quale rapporto tra democrazia rappresentativa, democrazia diretta e la necessità di velocizzare la decisione? Come si sta configurando la sfera pubblica e la relazione tra spazio pubblico e privato nel tempo di Internet? L’eclisse dei vecchi partiti ha come sbocco obbligato il populismo, il plebiscitarismo o l’astensionismo? Se la politica è forza, come costruire un’organizzazione capace di fare i conti non con la società di massa di ieri, ma con la società degli individui di oggi? E quando si dice individuo che cosa intendiamo? Non certo le semplificazioni che circolano: l’individuo consumistico, l’homo oeconomicus, l’uomo-massa.
La filosofia e la poesia sono più sottili nel farci capire la complessità dell’individuo che faticosamente emerge dalla modernità. Pensiamo, per esempio, alla definizione che Kierkegaard dava del singolo: un ciottolo non levigato. O quella che Kant dava dell’uomo: un legno storto. O la grande poesia di Montale che con la sua filosofia amara e dolorosa ci ricorda la fatica e il rischio dell’esistenza, e l’ineludibile solitudine in cui ognuno viene a trovarsi nella precaria costruzione della propria individualità morale e civile.
Questi schematici cenni servono per dare un’idea di come sia indispensabile immaginare associazioni politiche che vivano come normale l’attrito tra appartenenza e unicità/autonomia della singola persona. Ce la faremo a spezzare la spirale che parte dalla rissa per l’incapacità di vivere una situazione associativa plurale e finisce con l’uomo solo al comando? Se una moderna e laica forza di sinistra non ce la farà a risolvere questi problemi, varrà poco lamentarsi dell’exploit della signora Le Pen… Di più: la medesima parola sinistra diventerà inutilizzabile e priva di significato se non si ritornerà al principio aureo della grande politica: sono quel che faccio e non ciò che predico!
Fiorenzo Baratelli è direttore dell’Istituto Gramsci