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Ferrara film corto festival

Ferrara film corto festival


L’uomo è un legno storto

Siamo ancora tutti coinvolti nell’effetto emotivo provocato dai risultati delle recenti elezioni europee. E se ne comprendono le fondate ragioni. Personalmente li considero positivi, sia per alcuni evitati pericoli, che per qualche segnale di speranza. Noto però il permanere di una generale aspettativa verso il voto di tipo palingenetico o risolutore che non si addice alla normalità di una pratica democratica. Per questo motivo vorrei dedicare qualche considerazione più distaccata al tema della democrazia.
Immanuel Kant, il fondatore della morale laica, ricordava che “l’uomo è un legno storto”. Se il Novecento avesse tenuto presente questa massima ci saremmo evitate la grandi tragedie dei totalitarismi che provarono a raddrizzare quel legno con mezzi violenti e crudeli. Dopo millenni di esperimenti sociali siamo arrivati a considerare la democrazia come il regime ideale per gli uomini e le donne considerati uguali e liberi. Il cammino è stato lungo, difficile, contrastato. Basta fare due esempi.
Nella nostra tradizione occidentale facciamo risalire la nascita della democrazia all’Atene di Pericle, nel V secolo a.C. Bisognerebbe, però, avere chiaro che le istituzioni della democrazia moderna non hanno nulla a che vedere con ciò che nella Grecia classica si designava con questo termine. Lo Stato di diritto, il pluralismo, la divisione dei poteri, i Parlamenti, la libertà e i diritti degli individui, il suffragio universale: tutto ciò era sconosciuto alla democrazia degli antichi.
Il secondo esempio riguarda il suffragio universale: non tutti sanno che esso fu realizzato quasi 2500 anni dopo la nascita della democrazia classica. E, per dare un’idea del difficile rapporto con il suffragio universale da parte di un Paese all’avanguardia nella storia del liberalismo come l’Inghilterra, è significativo registrare che dalla famosa Magna Charta Libertatum del 1215, arriva al suffragio universale soltanto nel 1928.

Torniamo al rapporto tra l’affermazione di Kant e la democrazia. Possiamo dire che, concettualmente, la democrazia comprende sia l’accettazione degli individui come sono, sia la volontà di cambiarli.
Oggi il paradosso è che la democrazia ha vinto nel mondo ma, nello stesso tempo, sta attraversando una grave crisi di consenso, perché le sue pratiche si rivelano inefficienti rispetto alla soluzione dei problemi che le società del tempo globale devono risolvere. Per evitare che la democrazia diventi un involucro vuoto, occorre prendere sul serio i motivi della disaffezione nei suoi riguardi, che poi sono riconducibili a quelle che Norberto Bobbio chiamava le “promesse non mantenute” della democrazia. Ne voglio richiamare solo una ricorrendo non ad un feroce bolscevico, ma ad uno dei padri del liberalismo costituzionale moderno: Montesquieu. Nella sua opera principale, “Lo spirito delle leggi” (1748), afferma che ogni forma politica ruota attorno a un principio che ne regge il funzionamento: nella repubblica è la virtù, nella monarchia l’onore e nel dispotismo la paura. Quale è la virtù che riguarda la repubblica democratica? Montesquieu la considera talmente importante che ne spiega il significato già nell’introduzione dell’opera: “Ciò che io chiamo virtù nella repubblica è l’amore per l’eguaglianza”. E prosegue dicendo che le leggi devono operare per mantenere l’eguaglianza, perché non appena si sviluppa la ricchezza sfacciata da una parte e la miseria dall’altra la repubblica democratica è condannata a dissolversi.
Sul tema scriverà qualche anno dopo un altro grande padre della democrazia moderna: J.J Rousseau con il suo “Discorso sull’ineguaglianza” (1754).

E’ inutile aggiungere che attorno al nodo del rapporto tra libertà ed eguaglianza si è consumata una lotta durissima nei secoli che seguiranno, alternando conquiste e tragedie. Oggi abbiamo qualche idea più chiara su come sciogliere e non tagliare questo nodo, ma è anche vero che il mondo si è fatto più complicato rispetto all’aurora della storia della democrazia. Soprattutto, abbiamo imparato che eguaglianza e libertà, diritti e doveri, non coincidono necessariamente. E che il voto in quanto tale (diritto fondamentale), ad esempio, non garantisce la libertà e può addirittura condurre alla dittatura. Mai dimenticare la vittoria di Hitler nelle elezioni del 1933 e il fatto che quel 44% dei suffragi raccolti dal partito nazista includeva un gran numero di voti di operai e impiegati che nelle elezioni precedenti avevano votato per partiti democratici, socialisti, comunisti e liberali. Per evitare questi esiti occorre l’accordo di tutti i protagonisti della vita politica nel mantenere la democrazia come una casa di vetro, in modo che ogni cittadino sia messo nelle condizioni di controllare e, se lo ritiene, partecipare con coscienza e conoscenza. In questo modo la democrazia vive tutta la settimana e non solo la domenica quando si vota.

Fiorenzo Baratelli è direttore dell’Istituto Gramsci di Ferrara

Tory e Labour sottobraccio alla sconfitta. In Gran Bretagna vincono gli indipendentisti

di Emilia Graziani

Da LONDRA – Queste elezioni europee segnano in Gran Bretagna un inatteso cambiamento. Apparentemente siamo stati testimoni di uno sconvolgimento così eclatante che persino i solitamente rigorosi giornali e le reti televisive della nazione si sono visti obbligati a scegliere titoli a effetto che chiamavano in causa “terremoti politici” (The Guardian), “vittorie destinate ad entrare nella storia” (BBC News) e “partiti terrorizzati dai risultati elettorali” (The Telegraph).
Quanto ci sia di vero e quanto sia stato ingigantito per dare rilevanza alla voce “Europa”, è discutibile. Che agli inglesi i dibattiti sull’Europa interessino meno delle accese discussioni su quante zollette siano ammesse per tazza di the, è ampiamente testimoniato dalla scarsa affluenza alle urne. Infatti, nonostante le elezioni europee siano state anticipate al 22 maggio per farle coincidere con le local elections e i cartelloni pubblicitari che incitavano i cittadini al voto fossero onnipresenti, solo il 36% dei 46 milioni di elettori si è effettivamente presentato ai seggi. Quasi 10% in meno della media europea.
Il risultato, però, non è sembrato affatto sconfortante ai media britannici che immediatamente hanno cantato le lodi del popolo inglese per aver alzato di ben 1,3 punti la percentuale delle elezioni 2009 e aver così spezzato la catena che vedeva l’affluenza alle europee in continuo declino dalla prima elezione nel 1979.
Famosi per il loro pungente senso dell’umorismo, gli inglesi non hanno deluso le aspettative: quei pochi che si sono interessati all’Europa, lo hanno fatto per uscirne decretando la vittoria dell’Ukip, il Partito per l’Indipendenza del Regno Unito di Nigel Farage, con quasi 28 punti percentuali.
Il programma dell’Ukip prevede l’abbandono dell’unione politica con l’Europa (ma non commerciale, ovviamente), chiusura all’immigrazione, uscita dalla Corte Europea dei Diritti Umani per avere più libertà giuridica contro gli immigrati e una generica (e alquanto astrattamente motivata) riduzione delle tasse.
Sia che lo si definisca un voto di protesta o che si dia la colpa all’ignoranza inglese sulla legislazione europea il risultato parla chiaro e, ancora una volta, la Gran Bretagna si dimostra orientata verso la stretta protezionistica.
E’ un risultato forte, ma per ora solamente simbolico. Infatti, sebbene questa sia la prima volta in 100 anni che sia Tory che Labour vengono sconfitti, concretamente l’Ukip non ha una significativa rappresentanza politica nazionale potendo vantare solo tre rappresentanti alla Camera dei lord e nessuno alla Camera dei comuni.
Le conseguenze che è possibile aspettarsi dalla vittoria anti-europea dell’Ukip riguardano più che altro la direzione politica che dovranno prendere Tory e Labour per evitare che un risultato del genere si ripeta alle elezioni nazionali del 2015.
Il Primo Ministro David Cameron, leader dei Tory, dopo averlo promesso a lungo dovrà effettivamente trovare un modo per frenare l’immigrazione e sottrarsi al Parlamento Europeo senza compromettere le relazioni internazionali; mentre pare più facile il lavoro di Ed Milliband, nuova guida dei Labour, che ancora una volta dovrà far leva sul supporto degli immigrati per ottenere i voti necessari a sconfiggere Cameron.
Niente di rivoluzionario, insomma.
Un risultato elettorale del genere di certo fa notizia, ma onde non fare la proverbiale fine di Pierino col lupo sarebbe meglio valutare le conseguenze concrete di questo segnale politico prima di parlare di terremoti politici, vittorie storiche e risultati terrificanti.

Renzi e Tagliani, buon vento ai naviganti: le nubi sono già più in là

Le nubi si addensano sull’isola del sogno, ma Formentera é corrucciata non si sa per qual suo misterioso pensiero. Forse mi costringe a restare fisso a guardare la televisione con i risultati delle elezioni europee, mentre un vento circolare investe l’isola, cacciando il non piú giovane turista a trovare rifugio tra i commenti sapientucci dei nostri opinionisti intenti e volenti a dire cose perlomeno che suonino intelligenti. Ma la sera in uno splendido ristorante diretto da una signora che sembra uscita pari pari da un film di Almodovar, un discorso serio che la dama comincia e che rivela come anche qui – anzi piú che in Italia- la risposta non poteva essere che quella da molti auspicata: una necessitá di credibilitá e di fierezza contro il catastrofismo degli euro scettici e le tinte cupe di una discesa inarrestabile tra le maledizioni, i ghigni e le minacce dei 5 stelle. Diciamo che, a questo punto, la mia scelta sembra configurarsi – almeno questa é la mia convinzione – come una costante attenzione a un partito a cui va la mia fiducia e che ha espresso un leader che, pur non condividendone le scelte, ha portato a una vittoria che sembrava impossibile ottenere. Allora onore al vincitore, soprattutto perché ha salvato e rilanciato “un’idea di sinistra” o almeno il partito a cui va la mia scelta politica. E di questi tempi non é poco. Saremo vigili affinché le promesse siano mantenute e saremmo lieti se gli amici mi diranno che ho sbagliato. Ma non é questo che voglio e desidero. É ancora la necessitá di proteggere e di lottare per un’idea etica della politica. Si squarciano le nubi sopra il mare che trascolora con riflessi di perla, e mi arrivano le prime notizie di una probabile vittoria al primo turno di Tiziano Tagliani, come si scriverebbe nel vocabolario ripetititivo e poco fantasioso dei politici, “senza sí e senza ma”. Ne sono lieto e sollevato, anche perché la minaccia grillina, cosí cavalcata anche dalla “Ferrara bene”, sembra essersi sgonfiata in una protesta i cui segni si misurano nella eccessivitá degli insulti e delle urla. Fra poco non sentiró piú il vento pettinare le chiome delle palme e non vedró piú i fichi d’India carichi di fiori dai colori prepotenti e decisi; non passeggeró piú su spiagge candide e il mare – “carogna – non mi leccherá piu i piedi” (la citazione è da una frase di Pavese al confino a Brancaleone Calabro). Sará triste, anche perché il mio destino di viaggiatore é stato quello di scoprire e vedere i mari piú belli del mondo senza amarli. Questa volta é diverso. L’Eden mi ha fatto credere o illudere che la follia umana, in fondo, può placarsi in uno scatto di reni e che, purtroppo, non potremmo mai piú vivere nel paradiso. Che resta e deve restare un’utopia e una speranza.

Il triangolo di ferro

Quello che si muove nelle politiche scolastiche di casa nostra pare sempre più non essere tutta farina del nostro sacco. Il triangolo di ferro, usato come metafora per la prima volta dagli analisti politici americani, si è allargato a macchia d’olio nel mondo, fino al mercato dell’istruzione globale.

I triangoli sono i più forti, i più solidi, i più resistenti tra le forme geometriche di base. I cerchi scivolano via, i rettangoli vacillano e i parallelogrammi crollano alla minima provocazione. Ma i triangoli tengono inesorabili ad ogni cambiamento. Ecco perché lo sgabello a tre gambe è robusto, il triciclo stabile e l’antica piramide un trionfo dell’architettura. Se poi il triangolo è di ferro è ancora più duro, più forte e potente. Non a caso per gli analisti politici è la metafora del potere.
Il triangolo di ferro racchiude uno spazio che è praticamente impossibile da penetrare per la gente comune, in modo che le decisioni politiche a favore dei gruppi che contano non siano influenzate dalla pressione esterna del pubblico che ne potrebbe mettere a repentaglio l’efficace conseguimento.
Curiosamente, la metafora del triangolo di ferro è raramente applicata alla politica scolastica, all’istruzione, alla conoscenza. Ma sarebbe davvero da miopi non avvedersi dei segnali che ormai in diversa misura vanno disegnando i sistemi scolastici del mondo globalizzato, sempre più ingabbiati in un triangolo di ferro dalle dimensioni mondiali.
«Grazie del vostro interesse per il principale marchio dell’industria dell’istruzione!»
Così si presenta nel proprio sito web l’Educate, Inc. La compagnia che incorpora politici, universitari e finanzieri privati, di vario genere e provenienza, nel nuovo mondo dell’industria dell’istruzione, della conoscenza, dell’editoria e dell’informazione.
Quali sono le conseguenze dell’enorme crescita di queste compagnie multinazionali?
Solo alcuni anni fa poteva essere ancora difficile misurarne i reali effetti, limitandoci a intuire i prevedibili esiti. Oggi sono sotto gli occhi di tutti, sono quelli di un triangolo di ferro che nell’era della globalizzazione erode spazi ai governi dei singoli paesi, all’autonomia delle scuole, ai diritti degli studenti e delle loro famiglie.
Tutta l’industria della conoscenza globale manifesta chiaramente un unico e inequivocabile indirizzo, quello di uniformare il più possibile l’istruzione e la cultura, in funzione dei profitti da ricavare sul mercato scolastico, dall’uso e dalla produzione internazionale di test, di banche dati, dalla pubblicazione dei libri di testo per il mercato mondiale.
Assistiamo alla crescita di un commercio sempre più controllato dalle corporazioni del profitto scolastico. In definitiva il mercato globale della scuola, dell’editoria, dell’informazione e gli interessi delle compagnie che lo gestiscono finiscono per incidere prepotentemente sulle scelte e sulle politiche dei singoli Stati, che rischiano di restare stritolati tra i lati del triangolo di ferro.
La Pearson, multinazionale angloamericana dei media, leader mondiale dell’editoria e delle banche dati per l’istruzione, ha sede in Inghilterra. Con lo slogan ”Imparare sempre” e con oltre ventinovemila dipendenti è presente in sessanta paesi, tra cui l’Italia. Del gruppo Pearson fanno parte il Financial Times e giganti dell’editoria mondiale come Penguin, Dorling Kindersley, Scott Foresman, Prentice Hall, Addison Wesley e Longman, ampiamente conosciuti anche da noi, almeno attraverso i loro siti internet.
La Pearson fornisce test e software per l’apprendimento agli studenti di tutte le età e di tutto il mondo, esercita, inoltre, un ruolo rilevante nel mondo dell’Ocse-Pisa.
Oggi, secondo la descrizione fornita dalla stessa azienda, i suoi test servono l’industria delle tecnologie dell’informazione e della certificazione professionale, la concessione delle licenze e i controlli di mercato. Dai centri operativi degli Stati Uniti, del Regno Unito, India, Giappone e Cina, l’azienda offre una varietà di servizi per il mercato della valutazione elettronica.
Si va dai test on line per l’ammissione a college e università, ai test per la patente, fino all’occupazione, alle risorse umane e sicurezza, ai servizi finanziari, alla medicina e sanità. Ancora le assicurazioni, i servizi legali, immobiliari, perizie, controlli e monitoraggi.
La Pearson edita The Learning Curve, il rapporto annuale sull’andamento dell’apprendimento nel mondo dall’infanzia all’età adulta, redatto dall’Economist Intelligence Unit. Un’indagine comparativa condotta fra i sistemi scolastici di oltre 50 paesi.
Il valore di mercato che l’istruzione può fornire attraverso l’apprendimento delle competenze è enorme. L’ Ocse stima che la metà della crescita economica dei paesi sviluppati negli ultimi dieci anni discende dall’ aumento delle competenze. Individuare il modo migliore per fornire le abilità di base agli studenti è, quindi, per il mercato mondiale una questione di rilevante importanza.
The Learning Curve 2014, pubblicato lo scorso otto maggio, fa il punto su cosa devono apprendere i paesi per inculcare nei loro studenti le competenze rilevanti per l’economia, come mantenerle e accrescerle negli adulti.
Per il mercato sono vincenti i sistemi educativi che mandano a scuola i bambini presto e dove è alta la pressione delle famiglie e della comunità sociale sulla riuscita del loro rendimento. Anche quando l’istruzione primaria è di alta qualità, le competenze declinano in età adulta, se non sono utilizzate regolarmente. Ciò che conta sul mercato del lavoro non è il numero degli anni trascorsi sui banchi di scuola, ma la qualità delle competenze apprese, che dipende dalla preparazione degli insegnanti.
I paesi asiatici come la Corea del sud, il Giappone, Singapore e Hong Kong che hanno scalato la classifica del Learning Curve Index 2014, scalzando dalla vetta la Finlandia, hanno sistemi scolastici fondati sull’apprendimento meccanico. Gli alunni della Corea del sud, due volte a semestre, sostengono esami che per essere superati richiedono di mandare a memoria da sessanta a cento pagine di nozioni.
Di fronte a questi dati, per tornare alle vicende di casa nostra, sorge il sospetto che l’intenzione annunciata dal nostro ministro Giannini, di anticipare a cinque anni l’ingresso nella scuola primaria e quella, condivisa con il ministro Carrozza, di ridurre a quattro il curricolo delle scuole superiori, anziché essere l’esito di una rigorosa e approfondita ricerca sulle reali necessità del nostro sistema formativo, sia invece espressione della dipendenza anche del nostro Paese dal potere pervasivo del triangolo di ferro che ormai conduce il gioco dell’istruzione mondiale. Non ci resta che attendere il ritorno all’apprendimento a memoria.

Una ragionevole passione per il rinnovamento

I risultati elettorali hanno segnalato la voglia di rinnovamento senza salti nel buio e di nuove ragioni di passioni pubbliche. Non si può vivere senza un progetto, né come individui, né come comunità.
L’adesione ad un progetto di riforma della politica e di rilancio di uno sviluppo economico e sociale all’interno di uno scenario europeo, non annulla, però, né i problemi del rapporto tra politica e cittadini, né i vincoli di bilancio. Sul primo aspetto, serve onestà e trasparenza e la volontà di eliminare lo stigma di un’Italia corrotta che compromette la reputazione del nostro Paese.
Su entrambi i punti è necessaria la capacità di inventare nuove modalità di attivare risorse, finanziarie e sociali.
Di fronte alle pastoie di una burocrazia che alimenta la corruzione, la politica e le amministrazioni debbono ritrovare linfa fresca e fantasia. Servono idee prima che risorse e servono nuovi modi per sollecitare progettualità. Occorre guardare oltre il cortile di casa. La rete insegna che la condivisione può rappresentare il volano di iniziative economiche fondate sull’innovazione e sull’integrazione di competenze.
Oltre il demagogico richiamo a capacità taumaturgiche per la democrazie, Internet è una fonte di esempi virtuosi. Uno di questi è la pratica del crowdfunding, vale a dire la possibilità di raccogliere finanziamenti per progetti con una sorta di azionariato diffuso. La piattaforma più famosa è Kickstarter, un sito web che facilita l’incontro tra domanda di finanziamenti da parte di chi promuove progetti innovativi e l’offerta di denaro da parte di finanziatori che investono nei progetti stessi.
Il crowdfunding è un processo collaborativo finalizzato a sostenere progetti innovativi, è una pratica di micro-finanziamento dal basso che può essere riferita ad iniziative diverse, dal sostegno all’arte e ai beni culturali, all’imprenditoria innovativa, alla ricerca scientifica e all’educazione. Un numero crescente di soggetti istituzionali come comuni, enti se ne sta servendo per finanziare iniziative rilevanti per la comunità. Il crowdfunding supera la separazione tra le sfere del privato, del pubblico e dell’impresa, in vista di un bene comune. Emerge un’economia civile, supportata dal web, che fonde sfere tradizionalmente distinte della società civile, del mercato e dello Stato.
La collaborazione di tanti può generare servizi in modi che né il Pubblico, né il Mercato da soli sono stati in grado di realizzare. Non a caso il Festival dell’Economia di Trento e quello dell’Antropologia di Pistoia dedicano l’evento di questo anno al tema dei beni comuni.
Un piccolo esempio riguarda il coinvolgimento dei cittadini nella realizzazione di azioni che potrebbero migliorare la qualità della vita della comunità. All’uscita dei supermercati inglesi si trovano tre bussolotti trasparenti, ognuno porta una scritta che indica la finalità della donazione e che contiene le fiche che alla cassa i consumatori ricevono in proporzione alla cifra della spesa. Ad esempio, un bussolotto indica: per rinnovare le attrezzature della palestra della scuola media, un’altra dice: per aumentare la dotazione della biblioteca del quartiere, un’altra ancora: per acquistare nuove panchine nei giardini. Per inciso, nei bussolotti trasparenti sono visibili anche banconote.
Tutti progetti realizzabili con spese modeste. I consumatori trovano poi poco sopra le fotografie relative ai progetti realizzati con la raccolta dell’anno precedente. Perché non finanziare così interventi per contrastare il disagio giovanile?
Sarebbe un grande vantaggio per tutti, se non altro eviterebbe la farsa delle raccolte bollini e dei premi fedeltà che, come è noto servono solo a fare marketing e consentono alla distribuzione di guadagnare due volte, con la spesa immediata e con la cifra pagata per ricevere i premi inseriti nel catalogo.

Maura Franchi (Sociologa, Università di Parma) è laureata in Sociologia e in Scienze dell’educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Marketing del prodotto tipico, Social Media Marketing. I principali temi di ricerca riguardano i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, le scelte e i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.
maura.franchi@gmail.com

A Ferrara Tagliani fa il bis, i grillini fanno flop

Il vincitore è indubbiamente il sindaco uscente Tiziano Tagliani che, senza necessità di prove d’appello, rinnova il suo patto quinquennale con gli elettori ferraresi. La sconfitta è certamente Ilaria Morghen: aspirava a mettere fine “a settantanni di dominio democristiano” (sic) e invece si deve accontentare di un risicato 16% e del terzo posto, alle spalle di un tonico Vittorio Anselmi, l’architetto di Forza Italia che la sopravanza di oltre un punto percentuale.
E’ una vittoria piena, quella del rinnovato sindaco, che personalmente incassa il 55% dei consensi. In città, però, alle amministrative il Pd perde ben 5 punti rispetto alle europee (47 contro 52%). Per il passaggio del turno senza supplementari, pesante risulta l’apporto della neo-costituita lista “Ferrara concreta”, composta da un folto drappello di ex berlusconiani: il consenso va oltre un sorprendente 4%, che la qualifica come seconda compagine di giunta.
Fra i ‘civici’, bene Rendine che raccoglie più del 3%, verosimilmente anche per effetto di una propaganda elettorale passata non inosservata, mentre Fornaro, forse anche zavorrato da dogmi e ombre di taluni suoi sostenitori politici, si ferma un punto più sotto.

E adesso Renzi può: sguardo a sinistra e occhio al nuovo Presidente

Adesso Renzi può. E deve. Può forzare sulle riforme. E decidere di mandare a casa il Parlamento se dovesse avvertire il rischio di trappole o ricatti, forte della prospettiva di riuscire a mettere all’incasso – in termini di deputati e senatori – il plebiscito popolare emerso dalle urne europee. Saldo in Italia, emergente agli occhi del consesso internazionale, con l’impulso del semestre italiano alla guida dell’Ue, può accreditarsi anche come leader continentale, motore propulsivo del rinnovamento di strategie politiche e visioni comunitarie e persino come elemento di mediazione fra i partner, in ispecie fra tedeschi e francesi.

Ha grandi opportunità, il leader del Pd, enormi responsabilità e zero alibi. Annotazione, quest’ultima, che non dovrebbe preoccuparlo (perché a suo onore va detto che alibi non ne ha mai accampati). Fra le responsabilità che gli competono c’è anche quella di riflettere sulla composizione della sua compagine di governo. Gli elettori hanno cancellato Scelta civica e ridimensionato le ambizioni del Nuovo centrodestra. Considerando l’innaturalità di questa alleanza e il suo carattere sempre definito ‘necessitato e transitorio’, farà bene, Renzi, a cominciare a valutare intese diverse, guardando a sinistra, cioè a quel mondo di cui anche il Pd, ancorché in termini di moderazione, è e resta espressione.

In questo senso, superando sia pure a stento il quorum, il cartello di partiti, movimenti e intellettuali aggregati attorno a ‘L’altra Europa’ ha fornito un, sia pur timido, segnale di vitalità, smentendo le previsioni di coloro che ne vaticinavano il sostanziale azzeramento. Invece, in questa nuova e più mite temperie, anche le istanze radicali di cambiamento dovrebbero assumere vigore e trovare un’adeguata rilevante collocazione in un ambito di confronto che non può prescindere da urgenze dettate dalla drammaticità dei problemi in campo (il lavoro, la tutela dei diritti fondamentali di cittadinanza, la salvaguardia dell’ambiente, la riforma del sistema giudiziario, il rilancio della rete educativa e delle agenzie preposte alla trasmissione del sapere, la riaffermazione di un solido concetto di bene comune in termini coscienza civica, il recupero del valore della partecipazione e la pratica della cittadinanza attiva…). La radicalità delle istanze propugnate da chi sta a sinistra del Pd, servirà a tener ben ferma la barra di comando sull’asse valoriale e a propiziare soluzioni conformi ai bisogni e alle attese.
Con interesse andranno osservate le dinamiche interne al Movimento 5 stelle, a livello di aderenti e di rappresentanze parlamentari: anche lì ci sono risorse per ora mantenute in naftalina che si spera possano concorrere con intelligenza, onestà e passione al rinnovamento.

Per quanto riguarda lo scenario politico, la prossima mossa attesa, a questo punto, è quella delle dimissioni del capo dello Stato. Il voto del 25 maggio consegna al nostro Paese un quadro di ritrovata stabilità e una chiara indicazione di scelta da parte degli elettori.
Il (secondo) mandato straordinario di Giorgio Napolitano perde la sua ragione costitutiva. Ora il presidente della Repubblica, a volte lodato, più spesso di recente biasimato – non senza ragione – per atti talora ambigui o discutibili, può ritirarsi ottenendo, in questo clima, il plauso e la gratitudine della nazione. Fino a qualche giorno fa questa evenienza era tutt’altro che scontata, perlomeno in tempi serrati.
Chi sarà il successore? Renzi punterà di nuovo su Prodi, sapendo che i 101 con una pistola alla tempia stavolta non faranno scherzi? Oppure sceglierà una figura diversa, con una storia politica meno connotata, emblema di un’Italia che cambia? Non attenderemo molto per scoprirlo.

Un uomo solo al comando

All’apertura delle urne dopo le elezioni di domenica 25 maggio gli aggettivi si sprecano per definire i risultati. Comunque la sorpresa è grande.
In Italia si è votato per il rinnovo del Parlamento europeo, ma anche in due Regioni (Piemonte e Abruzzo), in 4.098 Comuni e 29 capoluoghi di provincia. Il dato europeo ha smentito ogni previsione e sondaggio. I motivi sono tanti e a urne ancora calde è possibile dirne solo alcuni.

Innanzitutto il dato dell’affluenza italica, con un calo di circa otto punti percentuali. Alle precedenti europee infatti votarono il 66,43 per cento, mentre ora il numero si ferma al 58,69.
Ma soprattutto ha spiazzato tutti il risultato del Pd, con il 40,81 per cento. Quasi il doppio rispetto allo spauracchio Grillo, fermatosi al 21,16, e ben più del doppio di Forza Italia che non è andata oltre il 16,8. Girano già le prime considerazioni sui flussi elettorali.

Il partito di Renzi guadagna 2,5 milioni di voti rispetto alle politiche del 2013 e in particolare ne sussumerebbe un milione da M5S, oltre un milione da Scelta civica (presentatosi come Scelta europea e ora praticamente scomparso con uno 0,71) e 430mila dal partito di Berlusconi.
Quest’ultimo riporta una secca sconfitta, perdendo per strada due milioni e 750mila voti rispetto l’anno scorso, dei quali 1,750mila sono attribuiti all’astensionismo di un elettorato che non ha creduto all’ennesimo miracolo dell’ex cavaliere, 470mila finiti all’Ncd di Alfano (fermatosi al 4,38 per cento) e, appunto, 430mila migrati verso Renzi.
Secondo diversi commentatori sarebbe la prima volta che si registra, almeno negli ultimi anni, una mobilità dell’elettorato di una certa consistenza da un fronte all’altro, rispetto ad assetti finora blindati e che, in momenti di incertezza, semmai trovavano parcheggio nell’astensione.
Rimane, più o meno, il solo direttore de Il giornale, Alessandro Sallusti, a scrivere del “miracolo di tenere in vita e in gioco il mondo dei liberali”. Il ragionamento, seguito da altri, è che se si sommano i voti di Fi, Ncd e Fratelli d’Italia (3,66), il numero è sostanzialmente identico all’ultimo PdL.

Ma così non si va all’origine delle varie divisioni e la spiegazione della corsa alle poltrone, da sola, non convince per dare ragione in profondità di un disegno che, se non si vuole arrivato al capolinea, dimostra la necessità di una decisa regolata.
Per contro il Pd di Renzi stravince, con risultati che non si vedevano dai tempi della Dc. Il paragone non è fuori luogo, visto che in molti fanno notare che è il partito del presidente del Consiglio che vince, il quale vede rafforzata la propria leadership interna e ha ora, sia pure in modo indiretto, quella legittimazione popolare che finora in molti gli hanno contestato per il modo col quale è approdato a palazzo Chigi.

E adesso? Bisognerà vedere se l’ex sindaco di Firenze vorrà passare a breve all’incasso di questo largo consenso, in buona parte personale, in chiave nazionale.
Intanto però se da un lato esce rafforzata la sua azione di governo, dall’altra ombre si infittiscono sul cosiddetto patto del Nazareno, siglato con Berlusconi per una nuova legge elettorale e la riforma della Costituzione. Accordo definito pensando che Pd e Forza Italia fossero i primi due della classe per far fuori Grillo e compagnia.
Adesso che lo spettro azzurro di retrocedere nettamente a terza forza della politica nazionale si è materializzato, tutto può tornare in altomare e a quel punto l’intera architettura istituzionale potrebbe non avere più i numeri. A meno che, nel frattempo, la secca battuta d’arresto di Grillo e Casaleggio non provochi uno smottamento nel movimento, già a partire dalle aule parlamentari.
Le frasi ripetute di chi ricorda che il comico genovese si sarebbe ritirato in caso di sconfitta potrebbero avere questo significato.

Alzando poi lo sguardo sul contesto continentale, mentre un killer semina morte al museo ebraico di Bruxelles, mentre in Polonia scompare a novant’anni il generale Jaruzelski, mentre in Ucraina perde la vita il reporter italiano Luca Santese e mentre papa Francesco in Terra Santa semina parole di pace e appoggia il capo pregando sul muro della vergogna che separa israeliani e palestinesi, le elezioni europee hanno visto rialzare la testa partiti euroscettici, populisti e xenofobi. Dal successo di Marine le Pen in Francia, alla Danimarca, fino all’ingresso in Parlamento di un esponente neonazista, eletto per la prima volta in Germania dopo l’abrogazione della soglia del 5 per cento che impediva l’accesso a Strasburgo dei partiti minori.

Il tutto mentre i dati darebbero un Parlamento europeo a trazione Ppe e con un’Eurozona sempre più stanca della sola linea dell’austerità, la quale produce alla fine questi risultati dalle urne.
E pensare che il Parlamento di Strasburgo uscito dal Trattato di Lisbona nel 2007 dà la possibilità, per la prima volta, di contare di più per la scelta del presidente della Commissione europea. Sarà sempre il Consiglio europeo ad indicarne il nome, ma adesso lo dovrà fare tenendo conto dei risultati elettorali e il candidato prescelto dovrà ottenere la fiducia del Parlamento.
È poco? È tanto? Di certo, almeno in Italia, se n’è parlato poco in una campagna elettorale all’insegna di una politica costantemente con l’amplificatore a tutto buco e intenta a misurare gli equilibri interni.
Il semestre di Presidenza italiana si avvicina e non sarebbe male mettere a frutto un risultato meno sghembo di altri contesti per guardare più lontano e contribuire a rimuovere le radici pericolose di un euroscetticismo diffuso, che per molti versi suona come un campanello d’allarme da analizzare e ascoltare molto attentamente.

Pepito Sbazzeguti

L’Europa che vorrei nel segno di Bassani, Berlinguer e Willy Brandt

Da MONACO DI BAVIERA – Devo confessare che ho, per la prima volta dopo tempo, nutrito un po‘ di paura prima delle elezione per il nuovo Parlamento europeo. La rinascita di una mentalità populistica e demagogica contro il progetto di un Europa transnazionale emersa in quasi tutti i Paesi europei ha creato dentro di me il timore forte di un grande riflusso dei sogni della mia generazione, quella che in Germania ha combattuto dure e dolorose battaglie contro l’eredità del nazismo e del fascismo.

In questi anni si è polemizzato con toni duri, aspri e devo dire spesso anche argomenti giusti contro la prepotenza economica della Germania che ha in Merkel l’emblema politico e in Mercedes, Volkswagen e Bmw le principali espressioni di un sistema basato sul capitale. Ma talvolta le polemiche sono state un po‘ forzate e poco sensibile verso quei tedeschi giovani o coloro che hanno una forte volontà di superare il micro o macronazionalismo, attraverso un progetto di un Europa aperto verso il mondo. Anche per questo il risultato delle elezioni che conferma almeno in Germania la debolezza dei partiti di estrema destra è un segno di speranza per tutta l’Europa. La gran parte dei tedeschi ha imparato la lezione sull’orrore di un nazionalismo aggressivo ed arrogante contro gli altri, minoranze etniche o Paesi più deboli che siano.

Vivo a Monaco, la capitale della Baviera, il feudo della Democrazia cristiana. Si tratta di un partito certamente democratico, ma anche sempre molto ambiguo nel rapporto e nella considerazione degli stranieri‚ e devoto agli interessi economici di Siemens, Bmw e delle grande banche. Quel partito da anni egemoniale nel ‘Bel Paese Baviera’, è europeista’ e tifa per Europa solo quando serve ai propri fini e asseconda gli interessi sociali ed economiche dei gruppi che ad esso fanno riferimento.
A queste elezioni europee ha subito un vero terremoto fra i suoi sostenitori con un notevole calo di voti. Gli elettori bavaresi hanno dato al più arrogante e prepotente partito del panorama politco tradizionale della Germania una bella manica di schiaffi. Devo ammettere che questo risultato mi ha dato sollievo.
E‘ pur vero, tuttavia, che ha vinto il Partito di destra, Alternativa per la Germania“ con un sacco di voti raccolti in tutto il Paese, inclusa la Baviera. Ma tutti gli esperti politici prevedono ora un forte confronto dentro questo nuovo partito, fra gli estremisti (anche di stampo nazionalisti sopratutto nella Germania dell’Est) e i moderati di destra. Nessuno puo dire per il momento dove si indirizzerà quel progetto di difesa degli interessi tedeschi. Personalmente ho grande fiducia nelle istituzioni democratiche della Germania e anche nella società civile’ con la sua forte immunità anti-nazista.

Deve restare nella nostra memoria, ha detto una volta Giorgio Bassani, il ricordo di quegli anni drammatici del secolo scorso, perché essa ci trasmette grandi valori umani e civili, che vanno oltre il consumismo e l’egoismo che oggi dominano la vita quotidiana in Germania come in Italia come in tutta l’Europa della cultura e della ragione. Difendere queste radici dalla barbarie di un mondo che considera l’uomo come un semplice oggetto da consumare, è il nostro compito comune». E poi, come a riassunto di tutto ciò che ho detto sull’Europa, potrei richiamare ancora Bassani, quando citava «lo spirito, insieme ebraico e cristiano, ben presente nel mio Romanzo di Ferrara… In questo libro c’è il mio messaggio all’Europa, il senso profondo del mio impegno morale e civile».
Non a caso, dopo la sua morte, la critica, anche tedesca, ha riconosciuto nell’opera di Bassani un fondamento importante della cultura europea. Forse talvolta troppo astratto e idealistico nell‘affrontare alcuni grandi problemi della contemporaneità, come l‘emigrazione di massa, la disoccupazione, la dilagante precariato in tutti i Paesi europei (fortissimo in Germania ). Ma senza sogni trascinanti, senza visioni che orientino la concretezza del fare, senza un progetto comune (che – pur con tutti i limite – è e resta l‘Europa ) non si puo fare politica. Non è solo una semplice postfazione: Berlinguer è morto durante una manifestazione del suo partito per le elezioni europei proprio trent’anni fa e Willy Brandt ha lottato tutta la sua vita per un progetto post-nazionalista e democratico dopo i disastri storici del secolo scorso. Berlinguer e Brandt restano per me rappresentanti dell‘Europa che vogliamo.

Gandhi

Gandhi: perché la gente grida

Un giorno, un pensatore indiano fece la seguente domanda ai suoi discepoli:
“Perché le persone gridano quando sono arrabbiate?”
“Gridano perché perdono la calma” disse uno di loro.
“Ma perché gridare se la persona sta al suo lato?” disse nuovamente il pensatore.
“Bene, gridiamo perché desideriamo che l’altra persona ci ascolti” replicò un altro discepolo.
E il maestro tornò a domandare: “allora non è possibile parlargli a voce bassa?”
Varie altre risposte furono date ma nessuna convinse il pensatore.
Allora egli esclamò:
“Voi sapete perché si grida contro un’altra persona quando si è arrabbiati?
Il fatto è che quando due persone sono arrabbiate i loro cuori si allontanano molto.
Per coprire questa distanza bisogna gridare per potersi ascoltare.
Quanto più arrabbiati sono tanto più forte dovranno gridare per sentirsi l’uno con l’altro.
D’altra parte, che succede quando due persone sono innamorate? Loro non gridano, parlano soavemente.
E perché? Perché i loro cuori sono molto vicini. La distanza tra loro è piccola.
A volte sono talmente vicini i loro cuori che neanche parlano solamente sussurrano.
E quando l’amore è più intenso non è necessario nemmeno sussurrare, basta guardarsi. I loro cuori si intendono. E‘ questo che accade quando due persone che si amano si avvicinano.”
Infine il pensatore concluse dicendo:
“Quando voi discuterete non lasciate che i vostri cuori si allontanino, non dite parole che li possano distanziare di più, perché arriverà un giorno in cui la distanza sarà tanta che non incontreranno mai più la strada per tornare.”
(Gandhi)

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Videoarte e match relazionali in mostra nella Palazzina Marfisa

Si intitola “Lovers” la collettiva di opere di videoarte in mostra nella Palazzina Marfisa, a Ferrara in corso Giovecca. Un’occasione per vedere i video dedicati alle relazioni e firmati da una ventina di artisti internazionali negli spazi della dimora di Marfisa d’Este, nipote del duca di Ferrara Alfonso I. Amante delle arti e mecenate, Marfisa in questo palazzo ha abitato e scelto di restare fino alla fine dei suoi giorni nonostante la “devoluzione”, cioè nonostante il fatto che la mancanza di eredi legittimi del suo casato abbia fatto sì che Ferrara passasse dal ducato della famiglia estense al dominio dello Stato Pontificio.

Ora, stanza dopo stanza, i monitor mettono in scena ventuno video sui rapporti emotivi che fanno parte della collezione Videoinsight, firmati da video-artisti affermati. Organizzatrice della rassegna nel palazzo – ora parte del polo museale cittadino – è Rebecca Russo, psicoterapeuta, collezionista d’arte e presidente della Fondazione Videoinsight, che propone l’uso di arte e immagine video come forma terapeutica (progetto “Art for care”).

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Fotogramma del video “Io-io” di Maurizio Camerani

Sugli schermi si alternano immagini girate all’interno di paesaggi nordici, i movimenti marziali di un uomo e della sua ombra (Io-io di Maurizio Camerani), il dialogo conflittuale tra Salomè e la testa di Giovanni Battista (Together Forever di Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini). Tema conduttore è sempre quello delle relazioni, che possono essere d’amore, odio o anche relazioni interiori con tra le diverse componenti di una personalità.

Quando si esce dal palazzo, vale la pena di fare una piccola passeggiata nel suo giardino. Di là dalla siepe risuona il tong-tong delle palline da tennis del confinante circolo Marfisa, frequentato già da Giorgio Bassani e Michelangelo Antonioni.

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Giorgio Bassani al Tennis club Marfisa

Due artisti che rimandano ancora all’immaginario cinematografico e al suo legame con Ferrara e, in particolar modo, con il tennis che in prossimità di questi spazi si gioca e si giocava. Il rumore della partita e il verde del parco fanno venire in mente inevitabilmente il Giardino dei Finzi Contini (1970) con la bella Micol e il fratello Alberto che giocano e si relazionano nel campo della loro villa. E il fatto di sentire il rumore dei giocatori senza poterli vedere sembra una citazione del finale di Blow up (1966), uno dei film-chiave di Michelangelo Antonioni, che si conclude proprio con la partita di tennis giocata da una compagnia di mimi, che entrano in campo senza palle né racchette, sotto gli occhi del protagonista che segue con lo sguardo la traiettoria della pallina immaginaria fino ad arrivare a sentire il rumore dei colpi delle inesistenti racchette.

Immagini in movimento e match relazionali ricchi di tante associazioni e sensazioni in questo tuffo tra arte, cinema, letteratura, storia e giardino.

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“Together forever” di Mocellin e Pellegrini

 

Le opere sono di Ivan Argote (Colombia), Maurizio Camerani (Italia), Canan (Turchia), Keren Cytter (Istraele), Nathalie Djurberg (Svezia), Mariana Ferratto (Italia), goldiechiari (Italia), Polina Kanis (Russia), Ragnar Kjartansson (Islanda), Elena Kovylina (Russia), Katarzyna Kozyra (Polonia), Petra Lindholm (Finlandia), Ursula Mayer (Austria), Masbedo (Italia), Ottonella Mocellin – Nicola Pellegrini (Italia), Agnieszka Polska (Polonia), Ra di Martino (Italia), Melati Suryodarmo (Indonesia), Eulalia Valldosera (Spagna).

“Lovers”, Palazzina Marfisa d’Este, corso Giovecca 170, Ferrara. Fino al 15 giugno, ore 9.30-13 e 15-18.

Il politologo Pasquino: “Il voto conta, l’astensione no. Fuori dall’euro? Una stupidaggine”

di Jessica Saccone

Quest’anno, per la prima volta, oltre agli eurodeputati si elegge anche il presidente della Commissione europea. Lo slogan della campagna del Parlamento europeo per invitare i cittadini a recarsi alle urne il 25 maggio è stato, infatti, “This time is different”. Perché questa volta è diverso? Qual è la portata del cambiamento? Lo abbiamo chiesto al noto politologo Gianfranco Pasquino, docente dell’ateneo bolognese.
Certamente il fatto che ci siano dei candidati alla presidenza della Commissione europea è un passaggio importante. Da quasi 15 anni molti che hanno un ruolo in Europa ritengono sia giusto che i cittadini eleggano il presidente. Questa non è una situazione di elezione diretta tuttavia, perché bisogna tenere conto dei risultati. Toccherà infatti ai vari capi di governo in sede di Consiglio europeo suggerire chi dovrà essere il presidente, poi il parlamento ratificherà. Certo, sarebbe meglio se il presidente fosse anche il capo di uno schieramento che ha già una maggioranza in Parlamento, però nessuno l’avrà, quindi ci sarà un accordo tra social democratici e democristiani.

In questa interminabile fase di crisi quali provvedimenti potrebbe e dovrebbe adottare l’Unione europea per propiziare un credibile rilancio?
La crisi non è il prodotto delle economie europee, ma solo parzialmente il risultato di errori economici di alcuni Paesi dell’Unione. La crisi, che arriva dagli Stati Uniti, ha certamente una componente economica molto rilevante, legata soprattutto alle leggi, alle direttive europee e a come sono state applicate. Non c’è una politica economica comune, sebbene ci sia l’unità monetaria. Alcune istituzioni europee sono lente nel loro funzionamento e non hanno forse sufficienti poteri nei confronti degli Stati nazionali, che vogliono mantenere una loro sovranità. I passaggi futuri dovranno essere certamente un’omogenizzazione economica e maggior efficienza delle istituzioni.

In questo periodo, in relazione all’Europa, si è dibattuto spesso di politiche di difesa centralizzate a livello comunitario e di coordinamento degli interventi di contrasto alla criminalità organizzata. Qual è il suo pensiero in merito e quali altri temi indicherebbe nell’agenda politica dell’Unione?
Bisogna riuscire ad applicare un principio tanto sbandierato: sussidiarietà. Agli Stati nazionali spetterebbero quelle competenze che sono capaci di esercitare, mentre l’Ue dovrebbe acquisire tutte le altre. Sarebbe auspicabile una concentrazione dei poteri nelle mani dell’Ue e quindi della Commissione, cioè del governo, stimolata dal Parlamento, e una diffusione delle competenze appunto ai vari Stati nazionali. Questa operazione è complessa, ma la strada della sussidiarietà è quella da percorre, in un sistema politico che credo diventerà federale.

Si avverte in giro molto scetticismo. Secondo il sondaggio dell’Istituto Demopolis , 20 milioni di italiani potrebbero restare a casa il 25 maggio: un dato senza precedenti per il nostro Paese. L’astensione dovrebbe restare più contenuta nelle regioni del Centro Nord, grazie al traino delle Amministrative, ma appare in crescita al Sud e soprattutto nelle Isole. Cosa si dovrebbe fare per contrastare questa deriva?
Votare è importante. Il voto conta, l’astensione no. Il livello di partecipazione degli elettori in questo caso è determinato dall’interesse verso l’Ue, che dovrebbe essere alimentato dai partiti. Il problema è che i partiti non sanno condurre campagne elettorali e non sanno scegliere candidati capaci di spiegare che cos’è l’Europa, facendone comprendere non solo la necessità ma soprattutto l’utilità. L’Italia senza l’Europa sarebbe già sprofondata nel Mediterraneo. Auspico nel rinsavimento degli ultimi giorni e che soprattutto gli elettori non scelgano solo se andare a votare o meno, ma anche per chi.

L’elenco dei sei candidati alla presidenza della Commissione è pronto. Non tutti i partiti appoggiano un candidato, dal momento che alcune forze (come il Movimento 5 Stelle in Italia) non hanno stretto alleanze a livello europeo. Mentre altri partiti (in primis l’Efa che fa capo a Marine Le Pen o la Lega Nord) hanno deciso di non candidare nessuno, per non legittimare un’istituzione, l’Unione Europea appunto, che non riconoscono. Come interpreta questo rifiuto?
Se fosse una posizione razionale, risponderei in maniera razionale. Dove saremmo se non ci fosse l’Europa? Chiederei loro quali sarebbero i vantaggi nel ritornare agli Stati nazionali. La sola idea evoca il nazionalismo, che è stata una forza dirompente negativamente nel contesto europeo. Bisogna perciò fare appello a valori che hanno una componente emotiva: l’Europa ha garantito la pace, la prosperità; e anche se gli ultimi 5 anni sono stati difficili, resta un polo di attrazione anche per altre realtà nazionali, è uno spazio di libertà dove non si applica per esempio la pena di morte. Ricordo a costoro che i loro figli avranno un futuro migliore anche grazie all’Europa. Se acquisiscono una istruzione adeguata possono anche sfruttarla in qualsivoglia Paese dell’Unione. Bisognerebbe perciò controbattere con argomentazioni non emotive, perché io credo la politica si faccia con la testa e non con la pancia.

Il Tribunale di Venezia ha rinviato alla Corte Costituzionale la legge elettorale per le europee per soglia di sbarramento del 4%. La ritiene una limitazione?
Penso che se non ci fosse la rappresentanza dei partiti risulterebbe eccessivamente frammentata. Dovrebbe esserci la ricerca di una maggiore coesione tra i partiti. Tutti astrattamente avrebbero diritto di essere rappresentati e di potersi esprimere, ma siamo consapevoli che è necessario ragionare nella logica delle coalizioni per garantire la governabilità. Quindi accetto la soglia come strumento che incoraggia le aggregazioni.

Secondo i sondaggi, il Pd è primo partito, inseguito da M5S e ben distante da Forza Italia, che è sotto la soglia del 20%. Secondo lei, quello per le europee sarà anche un voto sul governo?
Quando vota un elettorato nazionale, esprime anche delle valutazioni su quelle che sono le dinamiche del proprio Paese. Le conseguenze sul quadro politico sono però limitate. Non viene chiesto agli italiani se mandare a casa il presidente della Repubblica o se vogliono un nuovo governo. I partiti tuttavia ricevono dei messaggi importanti. Vedremo se il Pd sarà il primo, se Berlusconi raggiungerà il 20%, se il Movimento 5 stelle è al 25 % o addirittura sopra. Tutte queste variabili dipendono dagli elettori.

Renzi ha detto che è “sconclusionato chi vuole uscire dall’euro”. Cosa ne pensa?
Io credo che abbandonare l’euro sia una stupidaggine. Dal punto di vista politico sarebbe un messaggio pessimo all’Europa, perché diremmo che, a differenza di altri Paesi, noi non siamo in grado di funzionare con l’euro. Tornando alla lira, inoltre, avremmo una moneta esposta a speculazioni internazionali e più debole dell’euro. Perderemmo pure potere d’acquisto. E’ una proposta irrazionale, che non a caso proviene da partiti come quelli di Grillo e di Salvini, che in chiave europea sono certamente i più stravaganti.

[© www.lastefani.it]

L’economista Zamagni: “La politica torni il regno dei fini, il mercato il regno dei mezzi”

di Jessica Saccone

Queste elezioni Europee hanno evidenziato segnali di una possibile deriva populista da un lato e di una spinta radicale dall’altro. A Stefano Zamagni, ordinario di Economia politica dell’Università di Bologna, qualificato osservatore delle vicende politiche, abbiamo chiesto una valutazione degli scenari futuri.
Renzi ha già sottolineato che l’Italia non sarà ostile, ma neanche suddita dell’Ue. Significa che in futuro non ci sentiremo ripetere “l’abbiamo dovuto fare perché l’ha chiesto l’Europa”?
Il problema oggi è quello di avviare un processo per il quale la politica torni ad essere il regno dei fini e il mercato il regno dei mezzi, e non il contrario. La globalizzazione, che non è stata ben gestita, ha invece comportato un’inversione e quindi un adeguamento alle logiche di mercato. Questo non succede solo in Italia, come purtroppo la cultura provinciale diffusa porta a pensare, ma anche negli Stati Uniti e persino in Germania. Oggi, partecipare alle elezioni europee significa fare in modo che gli elettori maturino la consapevolezza che non si può andare avanti così. Le conseguenze nefaste dell’austerity che subiamo sono state determinate dalla prima e seconda battaglia di Maastricht, durante le quali vennero compiuti degli errori. Ci si era illusi, infatti, che con la moneta unica e l’integrazione economica dei mercati, sarebbero arrivate anche quella sociale e politica, ma così non è stato.

Nel secondo semestre del 2014 l’Italia presiederà il governo dell’Unione. Crede si possa prefigurare una sostanziale correzione di rotta rispetto al rigore imposto dalla Merkel?
Io penso e spero di sì. Il governo Renzi sta cercando di rovesciare il legame di causalità tra sfera economica e sfera politica. Già in questi primi tre mesi il premier sta tentando di contrastare i poteri forti della burocrazia, della finanza, ha raddoppiato la tassazione delle banche, ha falcidiato gli stipendi degli alti burocrati, ha detto no alla concertazione con i sindacati. Se Renzi riuscirà a resistere e si affermerà in Europa, rovescerà quel legame di subalternità della politica rispetto all’economia.

Il cittadino italiano ha spesso avuto un rapporto controverso con l’Ue. L’introduzione dell’Euro, la crisi, il patto di stabilità, l’inflazione da regolamentare… Ad oggi, secondo lei, che considerazione ha il cittadino italiano dell’Europa? Si sente parte di essa? O si sente succube?
Il problema è che i cittadini non sono informati. I media non dicono le cose come stanno. Il cittadino capisce perfettamente, ma si sente avulso, a causa della mancanza di investimento nella cultura e dunque nella corretta informazione.

Come valuta l’ipotesi da alcuni partiti formulata di uscire dall’euro? Un sistema finanziario che si regge su una moneta creata dal nulla, sulla quale gli Stati nazionali non hanno alcun diretto controllo è destinato a crollare prima o poi? E il sistema monetario occidentale, non legato all’oro dal 1944, è una immensa truffa, una bolla di sapone basata sul nulla come in tanti sostengono?
Quella di uscire dall’euro è l’esempio più eclatante di ignoranza di natura economica che grida vendetta. Diverso è se non si fosse entrati dall’inizio, ma dopo 15 anni significherebbe provocare conseguenze negative. Chi propone di uscire dall’euro, chiede di ritornare alla lira, con lo Stato italiano che batte moneta, noi che facciamo una svalutazione competitiva e riusciamo a dare respiro alle imprese. Questo però è un discorso demenziale, che durerebbe un anno. Le ritorsioni ci metterebbero in ginocchio.

Cosa ne pensa delle tesi del sociologo Luciano Gallino che parla esplicitamente di “golpe delle banche e dei governi”?
Gallino è un sociologo di valore. Forse per ragioni temperamentali e politiche usa un linguaggio a tinte forti. “Golpe” è un termine mutuato dalla politica. La sfera economica non fa golpe. Credo lui voglia dire, pensiero che condivido, che le grosse banche dettano la linea.

La crisi economica ha spinto l’Ue ad adottare misure sempre più stringenti di coordinamento e controllo sui bilanci degli Stati membri come anche un sistema di vigilanza sui principali operatori economici e finanziari. L’approvazione del fiscal compact a livello intergovernativo e l’operato della ‘troika’ ha però sollevato in alcuni Paesi molteplici riflessioni e proprio di recente il Parlamento italiano ha rilevato la necessità di un maggiore controllo democratico sulle scelte economiche e più poteri di indirizzo sul semestre europeo. Concretamente secondo lei cosa bisognerebbe fare?
La questione dei bilanci è legata alla situazione dei Paesi dell’Europa meridionale, cioè Italia e Grecia. Noi italiani abbiamo peccato creando il debito pubblico, cominciato alla fine degli anni ’70. L’Italia dopo la guerra ha ricostruito se stessa senza debito, anzi, si è addirittura verificato il miracolo economico. Il debito non si è creato per la crescita. E’ solo un atto di egoismo nei confronti delle generazioni giovani. L’Europa dice basta, ma dovrebbe avviare un fondo per l’occupazione, finanziandolo con la tobin tax, la tassa sulle transazioni finanziare, e un fondo per la ricerca.

Ogni volta che la Bce e i governi hanno varato delle misure anticrisi, esse si sono tradotte in due sostanziali vie: maggiori aiuti alle banche e aumento delle tasse, come ad esempio l’aumento dell’Iva. Come si può avere fiducia in un sistema di questo tipo?
Bisogna fare dei distinguo. L’Iva aumenta in maniera selettiva, cioè su quelle linee di produzione e di consumo che si ritiene di dover penalizzare, mentre su altre si riduce. Nella media ponderata di tutto, complessivamente l’Iva non è però aumentata. L’aiuto alle banche è vero, anche se Draghi ha lavorato bene. Il sistema bancario ha raggiunto dei livelli tali che se va in crisi, il default europeo è assicurato. Draghi applica il principio del binormale, cioè si chiede tra due azioni negative qual è quella che produce il minor male. In prospettiva, le banche perderanno quote di potere, ma non di mercato.

Ci sono segnali abbastanza chiari sulla base dei quali si pensa la crisi si espanderà in tutta Europa, salvando solo la Svizzera e l’Inghilterra (quest’ultima infatti non a caso ha mantenuto la sua moneta, pur avendo il 17 per cento di quote nella Bce). Sarà così?
Questa è fantascienza economica. Chi ragiona così non valuta il lato reale dell’economia, cioè delle imprese. La forza delle Svizzera è legata ai flussi finanziari. Questo processo è già iniziato, dopo averle tolto il segreto bancario, perdendo miliardi. La ricchezza di un Paese dipende dalla creatività. L’Italia è il paese con il più alto tasso di creatività, ma non di innovatività.

L’esito delle elezioni europee contribuirà ad influenzare le scelte e l’assetto della futura governance europea. Anche di quella italiana?
E’ talmente legato ad una pluralità di vicende sul fronte politico, non si possono fare previsioni. Dipende per esempio dal Presidente della Repubblica se, come si vocifera, vorrà dimettersi, dall’esito stesso delle elezioni e dal modo in cui si scioglieranno i nodi all’interno del centro-destra. Credo sia opportuno rafforzare tuttavia il fronte sociale in modo che sia capace di affrontare le vicende e avversità.

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Le lancette dell’amore

La notte dell’epifania capita sempre qualcosa: una bambina che nasce, un cane che arriva, i regali di compleanno. Chiamami anche se è notte (Mondadori, 2014) di Michela Monferrini è la storia di una Ragazza che nasce il 6 gennaio 1986, è la storia di vite che si affacciano e di altre che lasciano, ma mai del tutto. È una storia di cose che iniziano e di cose che finiscono, di cose che ‘iniziano perché qualcosa finisce’ di altre che ‘finiscono perché qualcosa inizi’.
Chiamami anche se è notte è scandito in blocchi di vita di Bambina che poi diventa Ragazza, in un tempo che lei misura in un modo speciale perché papà le ha insegnato che esistono orologi speciali, non tutti segnano lo stesso tempo, alcuni vanno per conto loro, seguono un ritmo diverso, si fermano e stanno ad aspettare il momento giusto che arriverà.
Ragazza cresce e si innamora di Ragazzo, è arrivato il momento di consegnare il proprio ‘sacco passato’, è pesantissimo, tutti e due se lo portano dietro da sempre, ha tutto dentro. Tra loro ‘innamorarsi era stato un dialogo così: devo fare una consegna. Anche io. Questo sacco diventa ogni anno più pesante. Anche il mio. A volte ho avuto paura di non riuscire a trovare la persona giusta a cui consegnarlo. A volte ho avuto paura di averla già incontrata e di non averla riconosciuta. Credevo di restare schiacciato sotto il suo peso […]. Volevo il tuo indirizzo e ne ho sbagliati alcuni. Aaddeessoppuuooiiddaarrllooaammee’. Si sentono più leggeri ora che si sono scambiati i fardelli, le spalle possono aprirsi come ali, il passato non è più dietro, è intorno a loro, mischiato.
E le cose che non stanno nel sacco e che hanno perso per sempre l’uno dell’altra? Come faranno a consegnarsele? Ci racconteremo tutto, risponde Ragazzo.
Il sacco passato di Ragazza è pieno di lacrime, quello di Ragazzo no perché non ha mai pianto. Ha lacrime compatte lui, non sgorgano, spuntano solo un po’, se ne stanno lì quasi per sbaglio e non scendono, non ce la fanno perché Ragazzo è un comandante che sa frenare il pianto.
Un giorno, quando Ragazza accudisce Charlie, il cane regalato dai genitori quando aveva dieci anni e che è la memoria degli ultimi quindici anni di vita di Ragazza, anche Ragazzo piange, rovescia il suo sacco di lacrime sul pavimento. Charlie è il fuori sacco, Charlie è il passato di Ragazza quando Ragazzo non c’era. Se Charlie se ne va, pensa Ragazzo, il dolore arriverebbe addosso a Ragazza, magari di notte.
E allora chiamami anche se è notte, che lo puoi dire solo se è vero, solo se sai che sarai lì a rispondere.

Il violino del Padrino e le melodie del dopoguerra

“MUSICI LEGGERI” FERRARESI
OSCAR CARBONI, CARLA BONI E PIERGIORGIO FARINA

Oscar Carboni – Considerato il decano degli interpreti della canzone melodica di origine locale, il ferrarese Oscar Carboni (1914-1996) mosse i suoi primi passi eseguendo serenate su richiesta. Naturalmente dotato di un timbro bellissimo, si impose nel 1939 al concorso per le voci nuove e intraprese la sua attività nell’orchestra di Pippo Barzizza, quindi proseguì la sua carriera alla radio e nel teatro di rivista. Nel 1942, entrò a far parte dell’entourage di Renato Rascel, l’anno successivo fondò una sua compagnia con la cantante Giorgia Valeri, che poi sposò, e alla fine della guerra si trasferì in Brasile, dove rimase sino al 1950. In seguito ha continuato ad esibirsi soprattutto nelle balere, riproponendo con successo i suoi inossidabili cavalli di battaglia: Tango delle capinere, Tango del mare, Firenze sogna, Serenata celeste, Madonna delle rose (canzone con la quale giunse secondo al festival di Sanremo nel 1951).

Carla Boni – Dopo una faticosa gavetta, durante la guerra (negli spettacoli per le truppe italiane e tedesche e successivamente nell’avanspettacolo) Carla Boni (1925-2009) ha raggiunto la notorietà vincendo il festival di Sanremo nel 1953 con la canzone Viale d’autunno. Alla quale hanno fatto seguito nuovi successi come Polvere di stelle, Scandalo al sole, Jezebel, Quando dormirai (dal film Le piace Brahms?) e altri ancora. Il suo matrimonio, nel 1958, con il popolare Gino Latilla è stato una specie di evento nazionale, basti pensare che subito dopo la cerimonia i due sposi sono intervenuti al celebre “Musichiere” di Mario Riva, per cantare insieme il brano dal titolo (appunto) Sposi. La sua più recente e importante stagione artistica risale agli anni Ottanta, con il revival del periodo d’oro della canzone melodica italiana.

Piergiorgio Farina – Nato a Goro (Fe), Piergiorgio Farinelli (1933-2008), in arte Piergiorgio Farina, ha debuttato nel 1968 al festival di Sanremo con la canzone Tu che non sorridi mai, in coppia con Orietta Berti, salendo poi sul medesimo prestigioso palcoscenico anche nel 1975 per la riesecuzione – con il suo strumento prediletto: il violino – di tutti i brani in gara. Ha collaborato con musicisti del calibro di Jean-Luc Ponty, Hengel Gualdi, Joe Venuti; fra i brani che lo hanno reso celebre al grande pubblico sono almeno da ricordare: Speedy Gonzales, Il Padrino (parte II), Diana, In the Mood, Baby Love, Stardust, Venus. Polistrumentista ma virtuoso del violino/jazz, Farina si è cimentato pure in esperienze cinematografiche, ha infatti preso parte ai film L’amore è come il sole (1969) di Carlo Lombardi e Dancing Paradise (1982) di Pupi Avati.

Non mi avete convinto

Grillo si definisce “oltre Hitler”, Berlusconi si piange “perseguitato”, Renzi proclama “il futuro siamo noi”. Molti slogan (alcuni davvero disgustosi), pochissimi ragionamenti.
Mettiamoci anche la Lega che bercia contro gli immigrati e riduce la fuga dalla crisi a un banale referendum sull’euro. E la lista ‘L’altra Europa’ che fatica a destare attenzione attorno al suo (pur solido) profilo ideale e allora s’attacca al fondoschiena della propria portavoce e all’impronunciabile nome d’un leader greco – che nessuno conosce – sperando così di ottenere visibilità.

Il fulcro del messaggio politico è ormai interamente slittato dal piano dei contenuti a quello della comunicazione. Si cercano le strategie più appropriate per persuadere e guadagnare consensi da spendere come cambiali in bianco. Mancano invece le risposte ai bisogni reali e un quadro programmatico che le contenga e definisca un orizzonte credibile verso il quale tendere.

Rimpiango l’utopia, stella polare in grado di orientare il cammino di una comunità. Non misurava la distanza dal ‘qui ed ora’ alla ‘città ideale’, ma ne indicava la direzione: serviva a tenere alta la tensione morale, a dare un senso al presente, a chiarire cosa fosse necessario fare per approssimarsi alla meta. E rendeva sensati e accettabili i sacrifici che ogni impresa impone.
Così invece appare tutto sterile e vano. Non si afferra il senso del presente, non si vede un approdo praticabile nel futuro. E monta la rabbia, per frustrazione.

Anche a livello locale si sconta la stessa incapacità di tenere insieme le due dimensioni: la concretezza e la prospettiva. Pare davvero la notte, descritta dal filosofo Hegel, in cui “tutte le vacche son bigie” e tutto appare indistinguibile e inutile. Una interminabile, spaventosa notte.
Non è rassegnazione la mia, è l’amara constatazione di un pur inguaribile ottimista. Inguaribile al punto che ancora spera, prima o poi, d’essere smentito.

 

Il video intonato: “Bianco, rosso e Verdone” (la scena del seggio elettorale): per alleggerire… perché l’ironia è la miglior medicina [vedi qui]

In questo mondo di ladri

In questo mondo di ladri d’immagini, di sentimenti, di paure, di disperazioni, di fughe, di storie vere e inventate, gli amici di Marwan sono caduti nella trappola. Sono precipitati, oserei dire, in una trappola mediatica predisposta da abili manipolatori di comunicazione e sentimenti, presi all’amo da twitteristi (pessimo neologismo ma pare si dica così…) che giocano con le emozioni. E non ci sono caduti solo gli amici di Marwan, hanno abboccato i maggiori giornali italiani che, forse, dovrebbero verificare meglio fonti e notizie, prima di ribattere ciecamente e ripetere, quasi come un pappagallo, informazioni giunte da lontano, senza toccare-verificare-capire-riflettere-pensare.

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foto Unhcr, febbraio 2014

La notizia non è attuale (risale al febbraio scorso), quando la fotografia di Marwan, un bambino di 4 anni aiutato da alcuni membri dell’Alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) mentre attraversa, apparentemente da solo, il confine tra Siria e Giordania, è rimbalzata da vari siti di notizie alle prime pagine di alcuni giornali (come La Stampa del 18 febbraio o il Corriere della sera). Tutti, compreso il sito di Al Arabiya, l’emittente degli Emirati arabi uniti, avevano scritto che il bambino era stato trovato da solo, al confine e senza la sua famiglia, perso nel deserto, partendo da un tweet mal interpretato (?!?). L’Unhcr aveva immediatamente chiarito, con altre foto, che il bambino stava passando il confine tra Siria e Giordania con la propria famiglia, e che era rimasto un po’ indietro, solo per qualche minuto.

Abbiamo voluto ricordare questo episodio, per riportare l’attenzione sul vero dramma di queste immagini, lontani da motivazioni legate a uno scoop o a un voler cercare la notizia a tutti costi. Se, tuttavia, questi escamotage servono a riportare il focus sul vero problema, di cui più nessuno parla, allora siamo disposti ad accettarli anche noi.
Perché il vero problema sta in questi profughi di cui pochi ormai s’interessano, se non in trafiletti quasi invisibili e defilati delle colonne dei giornali, accanto magari alla pubblicità di una macchina lussuosa o di un profumo colorato e provocante. Colonnine che riportano numeri di morti o rifugiati come se fossero una lista della spesa, cui non si fa più caso perché diventati la norma, quasi un’abitudine.

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la celebre immagine della “bambina con il palloncino rosso” di Banksy

Noi, invece, vogliamo ricordare, oggi come ogni giorno, come tre anni di guerra in Siria abbiano costretto più di nove milioni di persone alla fuga, il più grande numero di sfollati al mondo. Le dimensioni della tragedia siriana sono inimmaginabili, soprattutto se si pensa che la metà di queste persone sono bambini innocenti che hanno visto morire i genitori o i fratelli o spesso tutta la famiglia.
Ai piccoli rifugiati siriani è dedicato un video di sensibilizzazione creato dallo street artist britannico Banksy [vedi]. La celebre “Bambina con il palloncino rosso” di Banksy diventa una rifugiata siriana che vola sulle macerie del suo Paese, immersa nella più grande emergenza umanitaria degli ultimi dieci anni: la guerra in Siria.

Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia, ha anche scritto una canzone per i bambini siriani, dove un figlio disabile scrive al papà. Un figlio che ha attraversato il confine dalla Siria fino al paese vicino sulle spalle di suo padre, cosa che in questi 3 anni dall’inizio del conflitto è successa spesso. E’ arrivato sano e salvo nel campo profughi ma suo papà decide di tornare indietro… e lui lo aspetta… il resto leggetelo voi, alla fine…
E poi ci sono l’allarme dell’Unicef (oltre 2.8 milioni di minorenni siriani non hanno diritto all’istruzione) e quello delle Nazioni Unite («la Siria è il paese peggiore dove essere bambini»), i dati su traumi e abusi, che sono all’ordine del giorno per i minorenni in Siria (2 milioni di bambini siriani colpiti dai combattimenti hanno bisogno di sostegno psicologico o cure). Migliaia hanno perso genitori o insegnanti, case e scuole, e molti altri sono rimasti gravemente feriti. Molti, aggiunge l’Unicef, devono crescere rapidamente: un bambino profugo su 10 sta lavorando, mentre una bambina siriana su cinque in Giordania è costretta a sposarsi prematuramente.

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disegno di Suha Wanous, giovane siriana, @ Najda Now

Marwan e i suoi amici potrebbero essere i bambini di “Najda Now”, fondazione siriana per il soccorso umanitario e lo sviluppo, che ha organizzato una mostra intitolata “Luce contro le tenebre”, finalizzata a raccogliere dipinti e sculture realizzati dai bambini profughi siriani emigrati nel campo profughi di Chatila. Nata nella cornice del programma di supporto psicologico ai bambini siriani ospiti del campo, questa mostra è frutto di un workshop di tre mesi che, trasformando ricordi dolorosi in dipinti colorati, ha inteso dare a questi bambini la possibilità di esprimere ciò che hanno dentro, aiutandoli a sanare le ferite invisibili inferte loro dalla guerra e dall’esilio, a riacquisire un senso di sicurezza e a far conoscere al mondo le loro storie, i loro sogni e i desideri. Come svelare l’altra faccia dei bambini siriani, il volto della vita, dimostrando quanto essi siano capaci di essere creativi malgrado quanto subito. Perché i bambini sono speranza e futuro, sempre.

In ognuno di questi bambini vediamo Marwan che fugge, Marwan che viene accolto, Marwan che sogna, che disegna, che spiega il dolore e se ne libera. Marwan che ha una nuova vita. Insciallah. E noi vogliamo ricordarlo, ogni giorno.

Ciao papà, canzone di Andrea Iacomini
Ciao papà, come stai? Ricordo ancora le tue mani, forti, poggiate sulle mie, ginocchia, immobili e senza vita, alzarmi e dirmi c’è una via d’uscita.
Ehi papà come stai? Sento ancora il tuo sudore sul mio viso mentre mi portavi in braccio verso il paradiso. Mi dicevi di star calmo, io dormivo. Il confine è vicino.
Ciao Papà come stai? / Ci hai lasciato qui non dormi accanto al mio cuscino. Ma sento ancora il tuo profumo, sai? / Che hai portato via da questo campo per “tornare a casa e vedere”, mi hai detto,
Se c’era ancora Il mio letto / La mia cameretta / Il mio gioco preferito / Il mio migliore amico / La mia maglietta e / Il mio nascondiglio segreto
Ciao Papà, torna presto, sono 1000 giorni che sto qui. Sono qui che ti aspetto, qui tra le tende e l’azzurro del cielo.
Ciao papà non combattere con loro, non combattere per loro, torna a stare qui, con me / qui c’è la tua casa
Una cameretta / Un cibo caldo / La mamma, Noor e Sari / E poi ci sono io.
Ciao papà, non farti crescere la barba e stai attento. Io mi siedo ogni giorno sulle rive del campo e ti aspetto, tra le nuvole del cielo e la pioggia del deserto. Qui c’è la nostra nuova casa.
La tv a colori / I sassi per giocare / La mamma Noor e Sari / E poi ci sono io / Torna papà. Mio.

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Il giardino che non c’è

Questa domenica, ‘Arch’è associazione culturale Nereo Alfieri’, fondazione Giorgio Bassani e liceo classico “Ariosto”, propongono una passeggiata letteraria sul tema “Giorgio Bassani e il giardino che non c’è”. Il titolo mi piace molto, chi ha pensato questo itinerario non è caduto nella trappola delle corrispondenze improbabili tra realtà e finzione. Come scrive il professor Gianni Venturi, per chi ha preso in mano le prime edizioni bassaniane, deve essere stato molto difficile non fare i conti con la comune “ferraresità”, quasi impossibile non andare a cercare presenze e somiglianze nei luoghi e nei personaggi per poi restarne delusi. Bassani ha affermato più volte di non voler fare dell’autobiografia, ma di usare Ferrara e il suo mondo per raccontare storie universali, nel caso del “Giardino”, una Storia per certi versi irraccontabile, quella della persecuzione degli Ebrei.
Bassani scrive con metodo scientifico, mescola realtà e invenzione per raggiungere un obiettivo altissimo: “fare poesia”, cioè trovare le parole per toccare l’anima.

Quanta realtà troviamo in questo romanzo? Di Ferrara ne troviamo abbastanza per poter tracciare un itinerario. Bellissimo quello che ha ricostruito Monica Pavani nel suo libro intitolato L’eco di Micol – itinerario bassaniano 2G ed., 2011. Monica, traduttrice e poetessa, ha capito perfettamente l’intento dello scrittore e non ha fatto delle ricostruzioni verosimili, come nel caso della trasposizione cinematografica di De Sica. Il film non piacque a Bassani. In molti aspetti il romanzo, e soprattutto i personaggi, vennero semplificati e banalizzati. Nella scelta dei luoghi delle riprese, De Sica, non trovando in città un luogo che potesse corrispondere al Giardino, scelse un parco lombardo, non credo per la corrispondenza delle descrizioni letterarie, quanto per la presenza di edifici in quello stile eclettico ottocentesco che rimandava alla “solitaria mole neogotica della magna domus”. Per la descrizione del Giardino, Bassani non si ispirò a un giardino ferrarese, ma a uno dei giardini italiani più belli e fragili: l’Oasi di Ninfa, vicino a Latina. Un paradiso in terra, proprietà della famiglia di Marguerite Caetani, fondatrice della rivista culturale “Botteghe Oscure” per la quale Bassani lavorò come redattore fino al 1959, un luogo che lo scrittore conosceva e frequentava.

Dopo più di cinquant’anni, nell’immaginario collettivo, la forma di questo giardino è veramente un impasto di luoghi veri e finti: da una parte, c’è il testo originale in cui la città è riconoscibile ma dove il giardino è inventato e rimanda alla vera Ninfa; dall’altra, il film, che non ci permette di lavorare con l’immaginazione, riprende la città reale nelle inconfondibili riprese in via Ercole d’Este, ma sposta il giardino in un altro luogo ancora.
Tutto questo disorienta e rischia di annullare quell’effetto poetico, così attentamente ricercato nelle pagine del romanzo. “Perché mandare dei poveri turisti allo sbaraglio?” scriveva ironicamente Bassani e quindi smettiamo di cercare a tutti i costi Micol al Parco Massari, riprendiamo in mano il romanzo, magari in una bella giornata che sa già di vacanza e percorriamo le Mura, annusiamo i suoi spazi e allarghiamo la vista e il cuore. La cosa straordinaria è che non troveremo solo gli echi delle risate di Micol e dei suoi giovani amici, ma ritroveremo quello che resta di un altro “giardino che non c’è”, e più precisamente, di una città in forma di giardino voluta dai nostri Prìncipi, presuntuosi, colti e visionari, che volevano sfidare il mondo con la bellezza e le arti.
Giardini perduti, paesaggi trasformati che si svelano con immutata magia attraverso scie intrecciate di parole, tra le storie Estensi e la poesia di Bassani, come scrive Silvana Onofri: “il giardino è ancora presente nella città, basta sapere dove cercarlo.”

La passeggiata letteraria è in programma per domenica 25 maggio, alle 15 ritrovo al Torrione del Barco (angolo via Porta Catena, via Bacchelli), a piedi e in bici. Accompagnano: Paola Bassani, presidente della Fondazione G. Bassani, Claudio Cazzola, critico letterario e docente (Università di Ferrara), Silvana Onofri, presidente di Arch’è Associazione Culturale N. Alfieri.
La partecipazione è libera, in caso di pioggia l’iniziativa verrà sospesa.

(immagine, dettaglio di una fotografia di Enrico Baglioni)

Il piede, straordinario modello di ingegneria biologica

I nostri piedi, dimenticati e spesso maltrattati, in realtà rappresentano uno straordinario esempio di ingegneria biologica, ma anche uno degli elementi distintivi della specie umana, alla pari del cervello.
Spesso sottovalutato, il piede ha un ruolo fondamentale nella postura e nella storia dell’evoluzione umana. Dall’appoggio del piede dipendono le strutture sovrastanti come caviglia, ginocchio, e anche tutta la colonna, fino alla base del cranio. La conquista della posizione eretta ha permesso, non solo il progressivo sviluppo del cervello, ma anche l’esigenza di comunicare con gli altri e quindi la conquista del linguaggio. Ciò è stato reso possibile proprio dalle sostanziali modifiche che ha subito il nostro arto inferiore nel corso dell’evoluzione.
Il piede, questo meraviglioso segmento corporeo, contiene numerosissimi recettori (terminazioni nervose) che rappresentano quasi un “sesto senso”. Questa si chiama “propriocettività”. Una qualità indispensabile per praticare lo sport ma anche per la vita giornaliera. Senza, l’uomo non sarebbe neanche in grado di compiere correttamente i movimenti più elementari, come camminare, parlare e afferrare un oggetto.
Se siamo in grado di avvertire una puntura di spillo, una carezza, il caldo e il freddo e di controllare molti movimenti, lo dobbiamo alla “sensibilità propriocettiva”, ossia a una rete nervosa separata da quella del tatto, del dolore e della temperatura, che raccoglie informazioni solo da tendini, muscoli ed articolazioni. Una quantità di dati che permettono di avvertire l’esatta posizione del corpo, lo stato di contrazione dei muscoli e ancora la velocità e la direzione di ogni spostamento degli arti e della testa. La propriocezione plantare (capacità di percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio), abbinata alla stimolazione visiva, aumenta di molto l’equilibrio e il benessere.
Il piede dell’uomo ha quale caratteristica distintiva la formazione di una volta plantare con tre punti specifici di appoggio, in corrispondenza del calcagno posteriormente e delle teste del 1° e 5° metatarso anteriormente. La parte mediale è incurvata verso l’alto (arco longitudinale mediale) ed assicura al nostro piede una fondamentale azione ammortizzatrice nell’impatto al suolo. Tale particolare conformazione è deputata a trasformare le spinte verticali provenienti dall’alto che si scaricano sul piede in spinte laterali, per meglio essere distribuite sulla pianta d’appoggio.
E’ straordinario come una massa relativamente ampia come quella dell’uomo riesca a mantenere l’equilibrio in posizione eretta, attraverso una superficie d’appoggio relativamente piccola come quella dei nostri piedi.
I nostri piedi, instancabili lavoratori, sostengono il peso del nostro corpo e le forze che si scaricano su di esso. Permettono il cammino e l’adattamento al terreno, una sorta di “ammortizzatore biologico”. Come un’elica, che si avvolge e si svolge per compiere la sua azione propulsiva statico-dinamica. In più, come si diceva, hanno anche una funzione recettoriale e sensitiva con migliaia di informazioni spaziali che arrivano al cervello, rappresentando uno dei principali “organi” coinvolti nel mantenimento della postura.
Attraverso la mia esperienza di osteopata, ho riscontrato che un dolore alla schiena, il bruxismo, il mal di testa, disturbi della digestione ecc. potrebbero dipendere proprio da un cattivo appoggio plantare.

Consigli pratici
Si possono effettuare semplici esercizi di flesso-estensione e prono-supinazione, da eseguire in maniera lenta e controllata, seduti a terra su un tappetino o su una sedia, per mantenere una buona mobilità delle strutture articolari e muscolari degli arti inferiori.
Nel caso in cui si avvertano dolori legati a qualche trauma, è comunque opportuno far valutare le articolazioni del piede dal vostro osteopata di fiducia, per evitare che atteggiamenti viziati del piede possano ripercuotersi su tutto il vostro corpo, anche a distanza di qualche mese.

Renzi contro i poveri, cancellati anche all’anagrafe

da: Edoardo Nannetti (Gentedisinistra)

Partiamo dall’articolo 5 del decreto Lupi-Renzi sulla casa: chi è occupante senza titolo di immobili non può chiedere gli allacciamenti a pubblici servizi (acqua, gas, luce eccetera), inoltre non può chiedere la residenza; tutti gli atti in violazione sono nulli. Il problema, presente anche in piccole città come la nostra, è dirompente nelle grandi città dove centinaia e talora migliaia di persone vivono in case occupate, ma sarà esplosivo per tutti se passa l’interpretazione per cui la norma tocca anche gli sfrattati, in quanto occupanti senza titolo.
Sulla prima parte della norma ci si dovrebbe chiedere se un’occupazione senza titolo giustifichi di ridurre alla sete, al freddo e al buio una famiglia presumibilmente già in grave difficoltà. La seconda parte è ancor più odiosa: l’occupante senza titolo non può chiedere la residenza, il che viola ad un tempo Costituzione, codice civile, legge anagrafica.
Il povero, lo sfrattato, viene così espulso dalla società civile, trasformato in non cittadino, non esistente. Infatti la residenza, oltre ad essere fondata sulla Costituzione e riferita esclusivamente al luogo della dimora e non all’essere o meno “in regola” col contratto di locazione, è requisito indispensabile per l’accesso a quasi tutti i diritti sociali, ai servizi fondamentali, dalla sanità all’istruzione, all’assistenza, alla scuola materna eccetera. Quindi se sei povero ed hai bisogno dei servizi più di altri per uscire dalla povertà, ora lo stato ti nega anche quelli spingendoti sempre più nella miseria (in barba all’articolo 3 della Costituzione).
Viene colpito persino il diritto di voto (la residenza è essenziale all’iscrizione alle liste elettorali), del tutto in linea con le violazioni costituzionali dell’italicum. L’ideologia sottostante è dunque quella che il Papa ha criticato come cultura dello scarto, che esclude definitivamente le persone povere dal consesso civile, stavolta addirittura anagraficamente. Mentre il Papa chiede di superare le forme di esclusione delle persone, i cattolicissimi Renzi e Lupi (amico di Comunione e Liberazione) vogliono escluderli dalla comunità e anche dall’anagrafe, trasformarli in ‘senza fissa dimora’.
Nello stesso decreto casa si regala ai costruttori, anche quelli che hanno convenzioni urbanistiche ma non hanno ancora edificato, la possibilità di derogare agli obblighi di realizzare opere di urbanizzazione laddove costruiscono alloggi ‘sociali’: possono cioè costruire quartieri di cemento senza spazi pubblici, senza parcheggi e senza verde, nuove prigioni per i poveri e nuova devastazione ambientale e urbana.
E la bufala degli 80 euro? Un gioco delle tre carte in cui alla fine i poveri perdono sempre. Ai redditi più bassi non va nulla; per gli altri spesso gli 80 euro si riducono a causa di complesse alchimie fiscali; il decreto vale per il 2014 ma per il 2015 nulla di certo; precari, partite Iva, pensionati, senza reddito, sono esclusi; il poco che ti viene in tasca se lo mangiano gli aumenti fiscali e i tagli ai servizi (a scapito anche di non prende nulla).
Poi il gioco delle tre carte della copertura finanziaria per dare la paghetta: taglio di 700 milioni alle Regioni (quindi alla sanità); taglio di 700 milioni agli enti locali (quindi ai servizi), riduzione obbligatoria dell’importo dei contratti di fornitura e servizi dei Comuni con la conseguenza di ulteriore riduzione del denaro circolante che dovrebbe incrementare produzione e lavoro (quegli 80 euro immessi, apparentemente, anche per aumentare consumi ed economia, li tolgono dal ciclo economico con tasse, tagli ai servizi e riduzioni sui contratti di fornitura.
Drammatici giochi di prestigio …ma questo è il ‘cambiamento’ bellezza! Poi riformano il lavoro: aumentando la precarietà con norme assurde su contratti a termine e apprendistato. Insomma il cambiamento renziano è solo una guerra contro i poveri camuffata dai giochi di prestigio. E papa Francesco, con la sua predilezione per i poveri e gli esclusi, “stia sereno”!

Vademecum elettorale, la novità è la preferenza di genere

Il momento del voto è ormai prossimo. Ricordiamo che domenica 25 si eleggono i membri del Parlamento dell’Unione europea e in contemporanea, laddove siano in scadenza di mandato come a Ferrara, si svolgono le elezioni amministrative per designare i sindaci e nominare i consiglieri comunali.
I seggi restano aperti dalle 7 alle 23. Lo scrutinio per le elezioni europee inizierà subito dopo la chiusura delle urne, mentre lo spoglio delle schede per le elezioni comunali comincerà alle 14 di lunedì.
L’eventuale turno di ballottaggio – nel caso nessun candidato a sindaco ottenga la maggioranza assoluta dei voti – si terrà domenica 8 giugno, sempre fra le 7 e le 23. In quel caso lo spoglio delle schede inizierà subito dopo il termine della votazione.

Nel nostro comune votano 109.405 cittadini per le Europee (di cui 50.991 uomini e 58.414 donne) e 110.820 per le Comunali (rispettivamente 51.721 e 59.099). Per le elezioni europee il numero è inferiore poiché i residenti all’estero nei paesi Ue votano nei rispettivi Paesi di residenza estera.

Va ricordato che per le elezioni Europee l’elettore esprime il voto tracciando un segno sul simbolo della lista prescelta e può indicare fino ad un massimo di tre preferenze, scrivendo il nome e cognome, o soltanto il cognome del candidato o dei candidati, a fianco della lista votata. Nel caso l’elettore esprima tre preferenze, queste devono riguardare candidati di sesso diverso, pena l’annullamento della terza preferenza.

 

Per quanto riguarda le elezioni Amministrative, va evidenziata la possibilità del voto disgiunto, poco praticato anche perché poco conosciuto. Si tratta della facoltà di esprimere la preferenza per un candidato sindaco e al contempo votare una lista (ed eventualmente per i relativi candidati) che non appoggia quel candidato sindaco.

Nel dettaglio per le Amministrative l’elettore può esprimere il voto nei seguenti modi:

  • tracciare un segno di voto solo sul nominativo di un candidato alla carica di sindaco senza segnare alcun contrassegno di lista: in tal caso esprime il voto solo per il candidato alla carica di sindaco ed è esclusa ogni attribuzione di voto alla lista o alle liste collegate;
  • può tracciare un segno di voto solo sul contrassegno di lista: in tal caso esprime un voto valido sia per la lista votata sia per il candidato alla carica di sindaco ad essa collegato;
  • tracciare un segno di voto sia sul nominativo di un candidato alla carica di sindaco sia sul contrassegno della lista o di una delle liste collegate al candidato sindaco stesso: anche in questo caso esprime un voto valido sia per il candidato alla carica di sindaco sia per la lista collegata;
  • e infine, come accennato, può esprimere un voto disgiunto e cioè tracciare un segno sul nominativo di un candidato alla carica di sindaco e un altro segno su una lista non collegata al candidato sindaco votato.

Importante è ricordare che

  • l’elettore può manifestare il voto di preferenza per candidati alla carica di consigliere comunale scrivendone il nominativo nelle righe stampate a fianco del contrassegno della lista di appartenenza dei candidati votati, anche senza segnare il contrassegno della lista stessa. In tal caso, esprime un voto valido anche per la lista cui appartengono i candidati votati e per il candidato alla carica di sindaco ad essa collegato, salvo che non si sia avvalso della facoltà di esprimere un voto disgiunto, cioè di votare per un diverso candidato alla carica di sindaco;
  • è possibile esprimere fino ad un massimo di due preferenze, scrivendo il nome e cognome, o soltanto il cognome del candidato o dei candidati alla carica di Consigliere comunale, a fianco della lista prescelta alla quale i candidati votati devono appartenere. In caso di identità di cognome tra candidati, si deve scrivere sempre il nome e il cognome e, ove occorra, la data di nascita. Nel caso l’elettore intenda esprimere due preferenze è necessario che si tratti di candidati di sesso diverso tra loro e appartenenti alla stessa lista. Se l’elettore esprime due preferenze per candidati dello stesso sesso la seconda preferenza espressa sarà annullata.

Dalle pagine del sito internet del Comune di Ferrara [vai] sarà possibile seguire lo spoglio a partire dalla chiusura dei seggi.

Per altre informazioni utili vai a Cronaca Comune, quotidiano dell’Amministrazione comunale di Ferrara [vai]

The English Teacher: a lezione di letteratura… e di vita

Una commedia leggera, brillante, divertente e romantica, diluita nel dramma di una donna sola che ha investito tutto sul suo lavoro d’insegnante di letteratura inglese in un liceo.

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la locandina del film

Linda Sinclair (la bella e brava Julianne Moore) ha quarantacinque anni, una vita precisa, ovattata, morigerata e rassicurante, al limite del noioso e dell’ordinario, scandita sempre dalle stesse cose, dagli stessi orari e pensieri, dalle stesse azioni, logiche e abitudini. Intorno a lei i giardini curati e i luoghi un po’ anonimi, banali e stereotipati di una tranquilla e altrettanto normale cittadina della Pennsylvania, Kingston.
Questa insegnante, dai capelli rossi e una lunga coda di cavallo, coltiva letture interessanti e colte, appartata, in un mondo tutto suo, lasciando fuori dalla porta ogni tipo di sogno romantico, di avventura, di sentimenti e di legami con il sesso maschile. Linda è un’idealista convinta, ma anche un’adulta che ancora trattiene in sé l’ingenuità e l’illusione infantile che ci si possa rifugiare nella dimensione dei romanzi.
La sua routine però viene sconvolta dall’arrivo di un suo ex studente, Jason Sherwood (Michael Angarano) che rientra a casa dopo aver tentato, senza successo, la carriera di drammaturgo a New York. Il giovane è deciso ad abbandonare tutto e a seguire la volontà del padre, lo scorbutico ma affascinante dottor Sherwood (Greg Kinnear), che lo vorrebbe avvocato di successo.

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una scena del film

Linda, che in fondo è una sentimentale sempre con un libro fra le mani, prende a cuore i sogni infranti del povero Jason e decide di mettere in scena il suo testo con gli studenti del liceo locale e la direzione dell’amico Carl Kapinas, teatrante mancato e insegnante di regia della scuola. L’opera teatrale da mettere in scena è La crisalide, titolo indicativo di quanto i protagonisti potrebbero diventare presentando quello che loro considerano un “capolavoro”.
Man mano che le prove e le giornate si succedono, la situazione si complica: imprevisti professionali e sentimentali rischiano di mandare in rovina carriera e reputazione di un’insegnante che ha tanto faticato per costruirle.
Per un solo attimo di debolezza, tutto viene rimesso in seria e quasi irrimediabile discussione, un’escalation negativa che pare non avere mai fine, ma che una fine avrà.
Messa crudamente di fronte a una realtà che la travolge, Linda ripiega su sé stessa, non potendo fare più affidamento nemmeno sui suoi libri che, a quanto pare, non l’hanno davvero preparata a ciò che sta vivendo. Ma il messaggio in fondo è positivo, perché spetterà a lei rialzarsi e smacchiare la sua immagine, colpita al cuore, contro tutto e tutti, in un trionfo di volontà, dove la vituperata imperfezione è parte integrante del percorso.
Linda, vittima inconsapevole di un mondo immaginario, si riscatterà – e riscatterà tanti altri – e infine sarà pronta ai sentimenti, a iniziare un’avventura, anche amorosa, con un’altra visione del mondo, delle storie e delle persone. Ribellandosi alla voce di fondo, gracile ma tenace, che la teneva legata a un mondo inesistente, solitario, muto e lontano, e che ora, senza successo, tenta ancora di fermarla. Bello (e utile) ribellarsi almeno un po’, alla fine.
Commedia leggera ma carina, fatta di buoni propositi quotidiani; un’ora e mezza passata in compagnia di sentimenti provati e, magari, di situazioni analoghe già viste o vissute.

di Craig Zisk
, con Julianne Moore, Michael Angarano, Greg Kinnear, Lily Collins, Nathan Lane, Jessica Hecht, Fiona Shaw, Norbert Leo Butz, Charlie Saxton, Nikki Blonsky, Sophie Curtis, Erin Wilhelmi, Remy Auberjonois, Peter Y. Kim, Alan Aisenberg, Donnetta Lavinia Grays, Marlee Roberts, Katie Meinholt, Alexander Flores, Nicole Wilson e Perri Lauren, USA, 2013, 93 mn.

Le isole da sogno e il paradiso oltraggiato al delta del Po

Arrivo nel paradiso terrestre un po’ preoccupato. Come accoglierà l’isola della giovinezza il senior in cerca dell’Eden? Superate le soglie di Ibiza ecco che si profila all’orizzonte Formentera tra un luccichio di cristallo e un mare di cui non ricordo avere mai visto una simile trasparenza. Profumi di terre mediterranee si spandono per l’aria; gli occhi sono feriti da una insostenibile brillantezza e il cuore si apre a speranze crudeli che ti portano a stagioni irrimediabilmente passate ma ancora cariche di illusioni.
Giovani gentili dagli occhi scherzosi ti chiedono cosa desideri al bar del porto. E t’accorgi che tutti parlano, forse sono, italiani. Vicino a noi i seniores, tanti, ti scrutano perché sanno che fra poco ti stupirai: senza alcuna remora o vergogna della tua età. Il percorso verso il centro del paese si svolge tra laghi dagli incredibili riflessi rossi, saline bianche e in fondo una striscia di mare il cui colore ha la stessa tonalità di quelli dipinti da de Pisis o da De Chirico. Un silenzio stupefatto accompagna il fruscio dei pini. E attorno dune selvagge che sembrano svelare e nascondere la vista del mare.
Se qualcosa di vicino all’idea dell’Eden si è potuto concepire, questa è la più vicina. Nella scoperta delle meraviglie che mi riserverà questa vacanza – e non ultima la quieta presenza accanto ai giovani che riempiono le spiagge – dei miei coetanei, ecco profilarsi una folta presenza di naturisti: pochissimi i giovani, molti, quasi tutti agés, che disvelano una non comune indifferenza all’estetica del corpo. Un solo imbarazzo quando giocano a palla o a racchette e il corpo lasciato libero ha sussulti che meglio di questi appunti ha descritto Almodovar in Carne tremula.
Ci rechiamo, quando il tempo lo permette (una novità sottolineata dagli abitanti increduli dopo mesi di siccità da ben due giorni di pioggia e di vento collerico) alle spiagge di Ses Illetes che non lasciano dubbio che lì è stato concepito l’idea del paradiso terrestre. E ti prende sconcerto e amarezza pensando che seppure in un paesaggio meno mediterraneo le nostre spiagge comacchiesi avrebbero potuto avere lo stesso fascino e la stessa moralitá indotta dal rispetto del paesaggio. Avere spianato dune, abbattuto pinete, costruito immondi condomini che solo a pensarli gridano vendetta, hanno ridotto quei luoghi, che avrebbero potuto competere con il paesaggio delle foci del Rodano o con questa devozione alla natura che ritrovo qui a Formentera, alla crudeltà della speculazione più bieca. E si parla di parco del Delta quando ormai il paesaggio è stato fondamentalmente distrutto.
Così non ci rimane che recarsi nelle “isole da sogno” (da pronunciarsi così come lo fa Crozza imitando Briatore) a vedere ciò che avrebbe potuto essere il nostro paesaggio. E, ancora, mi stupisco come i giovani vacanzieri, il novanta per cento dei quali sono italiani, dimostrino un rispetto verso la natura che sembra immune dal loro comportamento in patria. Non è forse perché trovano appagante la cura con cui i giovani operai spagnoli raccolgono carte, puliscono e si rivolgono con rispetto alla natura? E tornerò in patria con questa sensazione mentre la campagna elettorale si esaurisce nei gridi, negli insulti, nelle consuete cose che rendono così invivibile il nostro tempo.

I ciocapiat

Il chiasso vergognoso, sempre più stupido, sempre più insulso che da anni contraddistingue le campagne elettorali, ha raggiunto il diapason del rumore più molesto, assai simile, anzi quasi eguale, a quello dei bambini quando in casa sbattono due coperchi e a quel frastuono, beati loro, si esaltano, per cui appare del tutto fruibile la definizione coniata da tempo a proposito di colore che parlano, parlano e parlano senza saper che cavolo dicono, ecco per loro si dice in dialetto che sono dei “ciocapiat”.
La battaglia televisiva (e sulle piazze) dei nostri moderni ciocapiat, i quali si insultano a vicenda, urlando che bisogna cambiare senza poi chiarire che cosa, chi e come cambiare , la battaglia, dicevo, ha superato ogni peggiore previsione quando lo scontro uterino è avvenuto direttamente tra Berlusconi e Grillo, due pregiudicati che non possono entrare in Parlamento, ai quali il nostro strano Paese, contraddistinto da una società disattenta e qualunquista, ha concesso il privilegio di rappresentare la cultura politica italiana. Uno spettacolo indecoroso che dovrebbe essere vietato, come nei film a luci rosse, ai minori ancora da educare.
Il terribile è che, comunque, è da questa gente, che, a meno di un miracolo, in parte siamo e saremo governati. Che cosa dobbiamo aspettarci? Quali ideologie sociali li animano. Non si sa, non ce lo dicono semplicemente perché non lo sanno nemmeno loro. Gli esempi dimostrativi sono molti, a partire da uno, abbastanza clamoroso, ma del tutto non sottolineato da alcuno, che riguarda la candidata sindaco dentro alle mura estensi, candidata grillina. Si chiama Morghen, mi pare, quella che ha detto, senza sapere nulla in merito, ha detto basta grandi mostre a palazzo dei Diamanti, quelle mostre, che portano in città migliaia e migliaia di turisti, i quali affollano alberghi, ristoranti e bar, non dimenticando che le grandi mostre sono nate a Ferrara grazie all’intuizione e al coraggio di Franco Farina, mai abbastanza lodato, quindi la prima città italiana a inaugurare questo importante capitolo della cultura europea dovrebbe privarsi del suo fiore all’occhiello. Lo disse la candidata, la quale, tanto per essere precisi, ha un background politico di assoluto prestigio: la ragazza, infatti, ha confessato orgogliosamente di avere sempre respirato aria di estrema destra. Personalmente la cosa non mi tranquillizza affatto, ma non tanto perché la candidata ha simpatie fasciste, quanto perché il suo movimento l’ha scelta: la campionessa dei Quattro stelle (ho tolto una stella perché cinque mi sembrano invero troppe) dunque è questa e, allora, dobbiamo credere che tutti i suoi sostenitori sono di estrema destra? Non credo, ma tant’è, questa sembra la realtà politica, il forte substrato sociale da cui trae linfa e vita è un pensiero che al Paese ha portato guerre, lutti e ingiustizie, un pensiero che la storia si è incaricata di bocciare per sempre. Bene!

Scuola classista, ecco la mossa del grillo: chi ha meno salta il dolce

Molti giornali, in questi giorni, riportano la notizia riguardante la triste vicenda di cui sono protagonisti il sindaco di Pomezia Terme, la sua giunta ed i bambini delle scuola materne di quel comune.
Il fatto che ha suscitato l’indignazione di molti è questo: dal prossimo anno nelle mense delle scuole materne di Pomezia saranno presenti due menù: uno del costo di 4 euro ed uno di euro 4,40.
La differenza fra i due menu è che nel secondo è compreso il dolce.
In pratica, il dessert lo potranno avere solo quei bambini e quelle bambine i cui genitori saranno disponibili a spendere la cifra più elevata.
Il sindaco Fabio Fucci, del Movimento 5 Stelle, ha replicato che «È stata una decisione presa insieme con le rappresentanze dei genitori. Per la crisi l’anno scorso abbiamo dovuto aumentare i prezzi dei pasti in mensa dai 3 ai 5 euro e molti genitori hanno protestato, non ce la facevano. Tanto che molti sono arrivati a togliere i figli dalla refezione scolastica mandandoli a scuola con il pasto completo preparato a casa. A questo punto abbiamo cercato una soluzione assieme alle famiglie, ci siamo incontrati, parlati. Abbiamo preferito che fossero identici primo secondo e frutta, con la sola aggiunta del dolce per chi paga i 40 centesimi in più».
Walter Bianco, il coordinatore di Sel, ha denunciato l’intollerabile discriminazione operata sulla base delle capacità economiche delle loro famiglie.
Valeria Fedeli, vicepresidente del Senato, ha parlato di scelta inaccettabile, ingiusta, discriminatoria.

Io, ironicamente, chiedo se il sindaco “grillino” e la sua giunta abbiano preso tale delirante decisione dopo aver consultato «’sti ragazzi meravigliosi che usano la rete».
Io, seriamente, riesco a comprendere le difficoltà degli amministratori che, in mancanza di adeguati finanziamenti da parte dello Stato, hanno di fronte la scelta di aumentare o no il prezzo dei servizi.
Io, onestamente, riesco a capire meglio le difficoltà delle famiglie che fanno fatica ad arrivare alle terza settimana del mese.
Io, criticamente, osservo che la scelta di differenziare i pasti ed i loro prezzi non è l’unica possibile.
Io, provocatoriamente, chiedo: perché non far pagare di più a chi ha di più?
Io, semplicemente, giudico la scelta della giunta di Pomezia come una decisione scellerata perché opera una distinzione netta fra bambini e fra famiglie, perché è una risoluzione che genera conflittualità, perché mette in pratica l’idea di una scuola come servizio a domanda individuale e non come bene collettivo.
Vivo e sono al corrente dei problemi che la cosiddetta crisi sta imponendo a moltissime famiglie e so bene che le scelte, per chi amministra, non sono facili.
Molte famiglie non ce la fanno a pagare, altre ce la fanno un poco alla volta, altre ancora ci riescono con forte ritardo, altre non ci riescono proprio e altre ancora non ci sono mai riuscite.
Lavoro da quasi trent’anni in una piccola scuola elementare a tempo pieno, a pochi chilometri dalla città.
È una delle due scuole della provincia di Ferrara che ha una mensa autogestita cioè, essendoci una cucina, ci sono anche una cuoca, una aiuto cuoca, un menu predisposto dall’Asl e molti genitori che aderendo al Comitato si tassano riuscendo a pagare le derrate alimentari, i materiali di pulizia e gli stipendi al personale.
Anche da noi ci sono problemi di rette non pagate, o pagate in forte ritardo o addirittura mai pagate. I motivi di tale situazione sono diversi ma io penso che, laddove sussistono condizioni sociali disagiate, debbano intervenire quei servizi sociali dei Comuni che esistono proprio per occuparsi anche di questo. Conosco la risposta: i servizi non sono più finanziati come prima, ci sono forti tagli, c’è la spending review e noi non sappiamo più cosa fare.

Propongo umilmente che, per prima cosa, quel’Amministrazione declami chiaramente le proprie priorità e poi cerchi di agire con coerenza, protestando, coinvolgendo, informando ma anche e soprattutto destinando i finanziamenti in maniera direttamente proporzionale alle priorità che si è data.
Per piacere però, certi amministratori non ci vengano più a parlare di scuola come priorità se poi continuano a giustificare le delibere discriminatorie come scelte obbligate dalla crisi perché, con l’alibi di questa maledetta crisi, si sta affermando un’idea di scuola sempre più smaccatamente di classe, dei modelli di comportamento sempre più spietatamente competitivi ed una società sempre più squallidamente ingiusta.
Non si può pensare a soluzioni come far portare i panini ai bambini le cui famiglie non riescono a pagare, o mandare a mangiare a casa gli alunni iscritti ad una scuola che prevede la frequenza a tempo pieno, o ideare menu di serie A e di serie C, o ancora proporre digiuni o addirittura esclusioni.
A scuola non ci sono momenti meno importanti degli altri in cui si può fare a meno di qualcosa e soprattutto non ci sono studenti meno importanti degli altri di cui si può fare a meno per un po’.
A mio modo di vedere, oltre ad un importante finanziamento ai servizi sociali, c’è bisogno di una sincera e determinata volontà politica di rimuovere le cause del bisogno e di collegare l’eventuale bisogno al sistema dei servizi.
Nel concreto dei contesti educativi, si possono trovare diverse soluzioni per tentare di risolvere il problema delle rette mancanti.
Nel mio piccolo, penso che le iniziative ‘creative’ proposte finora, insieme alle famiglie (e quelle che sono in cantiere), abbiano avuto successo (e potranno continuare ad averlo) perché supportate da un grande senso di solidarietà e di corresponsabilità di intenti da parte di tutta la comunità scolastica: genitori, docenti, collaboratori, studenti, personale di cucina ed operatori extrascolastici.
Credo che soltanto la ricostruzione lenta di un’altra idea di scuola, fondata sulla costruzione di solidi legami fra tutte le anime che la vivono, possa diventare l’unica vera rete con cui cucire quel tessuto sociale indispensabile per la creazione di un diverso abito mentale.

Zamorani: “Economisti, urbanisti e poeti per disegnare la Ferrara futura. E in castello un grande museo”

Con l’intervista a Mario Zamorani della lista civica “Un’altra Ferrara”, completiamo la presentazione dei candidati a sindaco per la nostra città. Per ultimi abbiamo interpellato quelli che hanno scelto di non appoggiarsi ai partiti, tre su otto, ponendo loro le medesime domande.

Zamorani, cosa l’ha indotta a presentare una sua candidatura indipendente, al di fuori delle logiche di partito?
Il nostro marchio di fabbrica è: dopo 68 anni (sempre dello stesso partito al potere, senza mai alternanza: la si può ancora definire democrazia?) serve un’altra Ferrara. E’ necessario creare i presupposti per l’alternanza nella nostra città. Lo stesso partito al potere per tre generazioni intere determina, inevitabilmente, stasi, ingessature, arroganza. Mandare il potere attuale all’opposizione è salutare per tutti, anche per il Pd: un po’ di opposizione non potrà che fargli bene. Se non sarà possibile ottenere il risultato subito (anche per la frammentazione esistente), quando sarò eletto lavorerò su questo progetto, con i cittadini in primo luogo.

Quali sono le priorità e gli elementi innovativi del suo programma?
Tutta l’impostazione di governo per un territorio o una piccola città come la nostra, a mio avviso, deve essere impostato sullo slogan: dialogo, trasparenza, partecipazione. Il potere in carica dal 1946 deve cessare il suo arroccamento e dare il maggior spazio possibile alla partecipazione; saprei organizzarla in mille differenti maniere. Pensiamo solo, ad esempio, ai “progetti di amministrazione condivisa” di Bologna. I cittadini devono arrivare a considerare i loro amministratori come amici di cui fidarsi, con i quali confidarsi e collaborare. Sempre con la massima trasparenza e sempre con risposte certe in tempi certi rispetto alle loro sollecitazioni.

Dovendo puntare su un tema secco per la riqualificazione e il rilancio di Ferrara, quale indicherebbe?
La città del futuro. Mentre i nostri amministratori sono incapaci di una visione a lungo termine, a partire dalla definizione di identità e ruolo del nostro territorio disegniamo la città del futuro, con una programmazione di qui a 20 anni, coinvolgendo figure di alta professionalità, in particolare urbanisti, economisti, storici, filosofi, psicologi, artisti, poeti, sociologi, ambientalisti, e con la partecipazione attiva dei cittadini, nel contesto di una città in movimento ma riconoscibile. Se verremo premiati dagli elettori sarà un nostro impegno certo.
E in questa prospettiva, un grande progetto per il Castello Estense. Liberiamolo da tutti gli uffici pubblici e trasformiamolo in una grande struttura museale contemporanea, con il decisivo contributo economico dei privati, secondo il modello Della Valle – Colosseo (25 milioni dai privati), mantenendo una pianificazione pubblica. Per lanciare questo progetto presto interverrà nel merito anche Vittorio Sgarbi, da noi chiamato e che si è detto pronto a intervenire con idee e azioni. Il Castello deve diventare il luogo simbolo del rilancio di Ferrara città d’arte, storia, cultura e turismo, secondo la felice intuizione di molti anni fa e poi quasi abbandonata.

Considerando il quadro molto frammentato e la presenza di otto candidati, ritiene di avere chance concrete di arrivare al ballottaggio?
Lavoro per andare al ballottaggio ma sarei falso se dicessi che credo di riuscirci.

Se non dovesse farcela è disponibile a fornire il suo appoggio a un altro candidato o lascerà libertà di voto?
Ipotesi di ballottaggio senza la mia presenza: premetto che i voti che verranno alla mia lista non sono di mia proprietà ma appartengono agli elettori. E’ possibile che, con tutti i miei candidati, si decida di partecipare al ballottaggio. Per sostenere chi farà propri i punti centrali delle nostre proposte e analisi.

Che giudizio dà dell’amministrazione in carica? In cosa la promuove e in cosa la boccia?
Tagliani è un onesto, e sottolineo onesto, curatore fallimentare, e sottolineo curatore fallimentare, della nostra città. Tutto preso nell’inseguire le emergenze e tutto concentrato sull’esistente, è incapace di visioni proiettate sul futuro di qui a 15 o a 20 anni. Ferrara ha bisogno di programmazione, di costruire il proprio futuro, anche in termini di partecipazione popolare, per stare al passo con un mondo che avanza e si muove a velocità sempre più sostenute.

I cittadini sono sempre più sfiduciati rispetto alla classe politica: è d’accordo nel ritenere che esista un grave problema di rappresentanza? Se sì, come pensa si possa superare? E le dinamiche a suo avviso sono sostanzialmente le stesse anche a livello locale?
La distanza dei cittadini e delle persone dalla politica ha raggiunto livelli pericolosi per la tenuta del sistema. Come dare torto agli elettori alla luce dell’esistente, nazionale e locale? Oggi molti sono tentati (e li capisco) a rivolgersi a quanti promettono di gettare tutto a mare: non credo che questa opportunità vada incoraggiata. C’è bisogno di persone esperte ed oneste, capaci di fare squadra con le tante energie positive presenti nella società. La mia lunghissima esperienza di radicale può essere una garanzia in questo senso (pur essendo la mia una lista squisitamente civica), anche per la storia radicale che è sempre stata una storia di proposte di governo piuttosto che di proteste e basta.

Rendine: “Lavoro, sicurezza e turismo culturale per riqualificare Ferrara”

Completiamo la presentazione dei candidati a sindaco che domenica si sottoporranno al giudizio degli elettori ferraresi con quelli che hanno scelto di non appoggiarsi ai partiti. A Ferrara tre degli otto aspiranti hanno intrapreso la strada della lista civica. A tutti loro abbiamo sottoposto le medesime domande. Manca all’appello solo Marica Felloni di “Ferrara futura insieme”, che non si è resa disponibile. Qui sotto pubblichiamo le risposte di Francesco Rendine che, per denominare la propria civica, ha scelto tre concetti chiave (Giustizia, onore e libertà) tradotti nel simbolo in un emblematico “Gol“. Nell’intervista seguente raccogliamo le indicazioni di Mario Zamorani (Un’altra Ferrara).

Rendine, cosa l’ha indotta a presentare una sua candidatura indipendente, al di fuori delle logiche di partito?
La candidatura indipendente deriva dall’intenzione di uscire dalle logiche dei partiti, con le quali è stata ed è condotta la politica anche a livello locale: nessuna identificazione oggi con i partiti e con gli altri movimenti politici, e nessun compromesso.

Quali sono le priorità e gli elementi innovativi del suo programma?
Priorità: lavoro e sicurezza. Elementi innovativi: autofinanziamento della campagna elettorale; presentazione del candidato Sindaco, oltre che coi trentadue candidati al Consiglio, con la Giunta; dimezzamento delle indennità di Sindaco e Giunta per cinque anni; riduzione dell’imposizione locale per il primo triennio per favorire l’insediamento di nuove imprese e di nuove attività commerciali (75% in meno il primo anno, 50% in meno il secondo, 25% in meno il terzo).

Dovendo puntare su un tema secco per la riqualificazione e il rilancio di Ferrara, quale indicherebbe?
Turismo culturale, anche congressuale medico e scientifico e di nicchia.

Considerando il quadro molto frammentato e la presenza di otto candidati, ritiene di avere chance concrete di arrivare al ballottaggio?
Sì, riteniamo che esista la possibilità di andare al ballottaggio.

Se non dovesse farcela è disponibile a fornire il suo appoggio a un altro candidato o lascerà libertà di voto?
Giustizia Onore Libertà ha un comitato elettorale che, a maggioranza e con voto palese, ha deciso le scelte fatte fin qui, da quella del logo in poi: sarà il comitato elettorale a decidere che cosa fare in caso di ballottaggio fra altri candidati.

Che giudizio dà dell’amministrazione in carica? In cosa la promuove e in cosa la boccia?
Il giudizio è negativo, altrimenti avremmo al più scelto di fare una lista civica d’appoggio al sindaco in scadenza: viabilità, mobilità, traffico sono i punti negativi più evidenti fino a un degrado urbano che cresce e contro il quale non sono state fatte politiche di controllo e di limitazione. Nessuna promozione, nemmeno per la vantata riduzione del debito, perché è stata ridotta una piccola parte del debito creato dalle stesse amministrazioni.

I cittadini sono sempre più sfiduciati rispetto alla classe politica: è d’accordo nel ritenere che esista un grave problema di rappresentanza? Se sì, come pensa si possa superare? E le dinamiche a suo avviso sono sostanzialmente le stesse anche a livello locale?
Il patimento della politica ha superato la passione e il sentimento dominante è la noia. Una categoria di naviganti a vista di partiti morenti e nascenti, di transfughi e di delatori, di sicofanti e di incoerenti non può essere ritenuta rappresentativa da un elettorato attento e onesto.
Il superamento può avvenire solo con la punizione elettorale che porti alla scomparsa di coloro che male hanno meritato della cosa pubblica.
A livello locale le dinamiche sono in parte simili, ma le distanze ridotte fra candidati ed elettorato e la possibilità di incontro diretto e di confronto sono in parte una soluzione al problema indicato.

Un tempo senza perdita

Sui social network la morte non è contemplata. Una persona può morire, ma il suo profilo virtuale continua a vivere nei commenti lasciati dagli altri. Quando ricorre la data del compleanno le persone che conoscevano, realmente o virtualmente, colui che non c’è più, lasciano i loro auguri. Ciò è fatto con l’intento dichiarato di ricordare chi è scomparso, manifestando in pubblico la persistenza di un legame, ma in realtà segnala la difficoltà di accettarne la perdita.
In questo tempo le perdite non sono tollerate e vengono continuamente tappate da vari succedanei, nell’illusione di contornare, così, un’angoscia che invece continua ad essere viva e presente e anzi si autoalimenta.
La nostra società sembra negare lo spazio per il dolore e la sofferenza, proprio per questo gli individui sono sempre più impreparati a fronteggiarla e ad affrontarla. Così il tempo si congela, non trascorre, non scorre, si ferma e ciò impedisce l’elaborazione di un lutto che permetterebbe poi il ritorno alla vita.
Solitamente si cerca di tenere i bambini fuori da situazioni di dolore, ad esempio non vengono portati ai funerali, pensando di risparmiare loro una sofferenza. Non si considera che così facendo si contribuisce a creare adulti impreparati ad affrontare ciò che la vita propone, inevitabilmente, davanti a tutti, prima o poi.
I funerali sono rituali che servono ai vivi, hanno la funzione di contornare un’angoscia che difficilmente può sennò trovare uno spazio adeguato per essere elaborata e superata. I riti funebri sono riti di vita per coloro che restano.
L’esclusione e il silenzio non proteggono i bambini dalla sofferenza, né li preservano dal disagio, dallo smarrimento, né li fanno diventare più maturi. Anzi i momenti peggiori sono proprio quelli in cui i bambini percepiscono che è successo, o sta avvenendo, qualcosa di grave e non sanno trovare risposte a tutto quello che avviene in famiglia e si sentono esclusi, ignorati e lasciati soli.
I bambini devono essere sostenuti e accompagnati nel processo di accettazione ed elaborazione di una eventuale realtà dolorosa; ciò può realizzarsi solo all’interno di un rapporto affettivo fatto di fiducia, dialogo e condivisione sia all’interno della famiglia che in ambito sociale.
Senza un’elaborazione del lutto tutto rischia di rimanere congelato, fermato al momento in cui la persona è scomparsa, ma di fatto mai scomparsa del tutto, visto che continua a vivere, ad esempio, virtualmente.
La generale rimozione del lutto si manifesta nella difficoltà di comunicarlo direttamente: spesso si apprende della scomparsa di una persona attraverso i social network, rimanendo increduli di fronte a ciò che si legge. Facebook funziona come una propria e vera piazza in cui le notizie circolano veloci, talmente veloci che non lasciano il tempo di riflettere, di digerire ciò che si legge.
Così, mentre il ricordo persistente sembra rispondere ad un atto di memoria, in realtà rischia di esprimere la rimozione collettiva che circonda il dolore nel nostro tempo.

Chiara Baratelli, psicoanalista e psicoterapeuta, specializzata nella cura dei disturbi alimentari e in sessuologia clinica. Si occupa di problematiche legate all’adolescenza, dei disturbi dell’identità di genere, del rapporto genitori-figli e di difficoltà relazionali.
baratellichiara@gmail.com