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Presto di mattina /
Trasverberare, innestare per ferita

Presto di mattina. Trasverberare, innestare per ferita

Ferita dall’amore

«Sente di essere stata ferita,
ma non sa da chi, né in che modo. Però riconosce che è
una ferita preziosa e non vorrebbe guarirne.
Teresa d’Avila, Castello interiore, Seste mansioni, 2, in Opere, Roma 1985, 864

Mese di ricorrenze carmelitane quello di agosto. Dopo il ricordo di Edith Stein, venerdì 9, come un introito, lunedì 26, a compimento, la solennità della dedicazione della chiesa a S. Teresa trasverberata del monastero sito nel piccolo piazzale in angolo fra via Brasavola e via Borgo Vado.

L’estasi della santa che sta per essere colpita al cuore con un dardo infuocato da un angelo sorridente è rappresentata in una famosa scultura in marmo e bronzo del Bernini nella cappella Cornaro, presso la chiesa di Santa Maria della Vittoria, a Roma.

Le letture della liturgia del giorno hanno fatto da trama alla riflessione.

Teresa di Gesù sta sotto i nostri occhi nella trasverberazione del cuore. Dove si trova? Sta in un luogo aperto, un mare senza sponde; sta in un cuore che resta aperto perché ferito dall’amore. E la preghiera di colletta ci dà già un indizio di cosa significhi “trasverberazione”: “Portare nel cuore i segni, la ferita, di un altro amore pure lui trafitto”. Si dice infatti: tu «hai impresso i segni misteriosi del tuo amore e l’hai animata a forti imprese».

La trasverberazione è per Teresa l’esperienza di cosa sia vedersi ferita sotto gli occhi dell’Agnello! Ferita oltre sé stessa, nell’Altro. Scrive ne La Vida 29, 11: «Questa pena e gloria insieme mi facevano perdere il senno, al punto che non potevo capire come potesse accadere o che cos’è vedere un’anima ferita! Capisco solo che la si può dire ferita da qualcosa di tanto eccelso; e vede chiaramente che non è lei ad avere smosso qualcosa da cui raggiungesse questo amore, ma sembra che dal grandissimo amore che il Signore ha per lei sia caduta all’improvviso in lei quella scintilla che le fa ardere tutta».

Riluce la scintilla: è la ferita d’amore dell’Amato che muove, provoca il desiderio e le parole dell’amata a chiedere di essere innestata a lui per ferita: «mettimi come sigillo sul tuo cuore». «Fiamma d’amor viva» scriverà Giovanni della Croce, che ferisce con amoroso cauterio nel profondo, e che nel Cantico spirituale dirà dell’amata:

«viveva in solitudine, / (nel deserto) e nella solitudine ha già fatto il nido;/ e nella solitudine la guida/ solo il suo Amato/, anche nella solitudine dell’amore ferito», (c. 35). Cosa potremmo dire ancora di questa esperienza mistica? L’Agnello, il Cristo vive in me! Queste le parole di Teresa: «Vita, che altro posso dare/ al mio Dio che vive in me,/ se non perder proprio te,/ per riuscire a guadagnarti? Ché il mio Amato amo talmente, da morir perché non muoio».

Idillio e corteggiamento senza fine

Ma come possiamo immaginarci questa unione mistica? Teresa cosa dice? Quasi di sfuggita mi sono accorto leggendo le ultime righe del cap 29, 13 di una parola “requiebro”, che compare una sola volta nel testo per esprimere la tenerezza, o meglio le tenerezze d’amore. Un’espressione tradotta nell’VIII edizione del 1985 Opere di S. Teresa come «soavissimo idillio» e nella nuova versione de La Vida con «corteggiamento».

Leggo: «Un corteggiamento così dolce fra Dio e l’anima che supplico la sua bontà di farlo gustare a chi penserà che stia mentendo». Idillio, è una vita avvolta e intrisa nell’amore: «lasciandomi avvolta, riarsa (la nuova traduzione) in una fornace d’amore».

Corteggiamento è per attrarre a sé, un condurre con sé, un parlare al cuore simile a quello di Dio con il suo popolo profetizzato da Osea: «ecco, la attirerò a me,/ la condurrò nel deserto/ e parlerò al suo cuore./ Là canterà come nei giorni della sua giovinezza, / Ti dimostrerò il mio amore/ e la mia tenerezza./Sarai mia per sempre». (Os 2,16+)

Per quel poco che ho potuto verificare, il termine è usato anche da Giovanni della Croce una volta al plurale e proprio in un contesto di intimità amorosa, mistica: «I doni amichevoli che lo Sposo fa all’anima chiamata colomba bianca quella dell’arca (ma anche del cantico) in questo stato sono inestimabili, e le lodi e gli elogi (requiebros) – corteggiamenti si potrebbe tradurre – dell’amore divino che con il grande passaggio di frequenza tra i due è ineffabile» (Cantico spirituale, nelle Annotazioni che precedono il canto 34).

La seconda lettura ci ricorda che la trasverberazione è collegata alla (scaturisce anzi dalla) virtù teologale della carità, che è la via migliore di tutte e conduce al «desiderio di vedere Dio» così come egli è. Si passa dal vedere come in uno specchio, al vedere faccia a faccia, sino a raggiungere l’inesprimibile, riferito da Paolo, che attende il momento in cui conoscerà esso stesso conosciuto dall’amore, trasformato in lui.

Custodire e dimorare vanno insieme

Conoscere l’amore non è possibile senza il custodire e il dimorare nella Parola. Ce lo ricorda Gesù, nel vangelo, nel discorso d’addio. “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.”

Osservare è custodire stando innanzi”; è custodire l’altro, intenti all’ascolto, perché la parola ne dice la presenza, l’esserci. È permanente rivelazione, dono di sé. Istintivamente vien in mente invece il proteggere, il gesto difensivo, la chiusura; ma custodire l’altro è restargli “aperto, dinanzi”, in una relazione dialogica stando aperti, come Teresa, come Maria stessa nell’apertura/ferita del cuore, ma generativa del dimorare l’uno nella ferita dell’altro.

Leggiamo nell’Apocalisse, ma poi nel Cantico: «Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me (Ap 3, 20)». È il mio diletto che bussa: «Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, perfetta mia; perché il mio capo è bagnato di rugiada, i miei riccioli di gocce» (2,6).

Questa esperienza mistica, questa grazia della trasverberazione sembra essere avvenuta quando Teresa era prioria nel monastero dell’Incarnazione (1571-1574) negli anni della riforma del Carmelo. Un’intuizione nata una sera nella sua cella in compagnia di Giovanna Suarez, amica d’infanzia, e altre quattro compagne, anche grazie agli incontri con Pietro d’Alcántara, colui che dissipò i dubbi di coloro – dotti ecclesiastici – che l’accusavano di possessione per le sue esperienze mistiche.

Un tempo di urgente riforma anche per noi è pure il nostro. Un tempo trasverberato, dunque, ossia aperto all’accadere dell’ora giovannea, trapassato nell’incontro con l’Agnello ferito. In Giovanni evangelista il simbolo dell’Agnello pasquale accompagna Gesù dall’inizio alla fine della vita, fino al momento in cui nessun osso gli è spezzato e in cui gli viene trafitto il costato.

Nella sua contemplazione poi, Giovanni, il veggente di Patmos, nell’Apocalisse arriva alla identificazione tra l’Agnello e il Pastore, che guida “alle fonti delle acque della vita”. Viene in mente il Pastorello del canto di Giovanni della Croce che ha nella «sua pastora fisso il suo pensiero, ha il petto dall’amore lacerato».

Chiesa trasverberata: il travaglio delle riforme

Ha scritto il monaco Ghislan Lafont in La Chiesa: il travaglio delle riforme, San Paolo, Cinisello Balsamo, Milano, 2012: «L’immagine della Chiesa non può essere diversa dall’immagine di Cristo. Ora, l’immagine predominante di Gesù oggi mi sembra essere piuttosto quella del Servo, dell’Agnello di Dio, dell’uomo delle Beatitudini, con la forte intuizione che questo aspetto di umiltà non sia legato soltanto alle necessità della redenzione dei peccati, ma che appartenga più profondamente all’essenza stessa di Cristo: sin nella gloria, Gesù rimane l’Agnello immolato, perché l’immolazione è un altro nome dell’Amore, e colui che ama offre la sua vita, eternamente…

Ora, se questa è l’immagine di Gesù che lo Spirito Santo insegna oggi alla Chiesa, abbiamo in essa un invito alla riforma nel senso più profondo del termine. Riformarsi significa per la Chiesa ricomporre gli elementi che la costituiscono, secondo la forma dell’Agnello immolato – senza velare la Gloria, ma sapendo che questa non è ancora pienamente apparsa e che, quando apparirà, si manifesterà come il dono dell’Amore in pienezza.

Si è parlato in occasione del Concilio, ma soprattutto del postconcilio, in America Latina, dell’“opzione preferenziale per i poveri”. È la prima cosa che bisogna dire quando si percepisce l’appello a modellarci sul volto di Cristo umile, povero, e che porta la sua croce. Il criterio del cristianesimo secondo Gesù stesso, è che “il Vangelo è annunciato ai poveri”.

Ma ciò è possibile in profondità solo se la Chiesa è essa stessa povera della povertà di Gesù Cristo: Gesù non è andato verso i poveri, egli apparteneva ai poveri. La riforma della Chiesa secondo la somiglianza di Gesù Cristo povero, piuttosto che secondo l’assimilazione frettolosa alla gloria di Gesù resuscitato, dovrebbe rendere naturale e facile l’accesso dei poveri, per ricevere da essi e per donare loro» (ivi, 271-273).

Come Teresa nella sua trasverberazione tutti stanno sotto gli occhi dell’Agnello, provando a seguirlo ovunque egli vada.

Fiamma d’amor viva

Concludo con un testo poetico di Giovanni della Croce. Fu composto secondo le sue stesse parole nel 1584 durante la preghiera, uno svelamento della sua esperienza interiore in poesia.

Esperienza trinitaria è quella dei mistici: “lampade di fuoco” nell’unica “fiamma d’amor viva”; così nelle parole “cauterio soave” e “deliziosa piaga” si nasconde l’azione dello Spirito Santo che ferisce la mortalità con dardo d’immortalità; “O tenera mano” che perdona è quella del Padre, il Figlio è nascosto nel “tocco delicato” che cambia morte in vita. Lampade di fuoco sono, che l’“oscuro e cieco” senso del vivere dell’amato mutano in “calore e luce insieme”.

O fiamma d’amor viva,
che amorosamente ferisci
della mia anima il più profondo centro!
poiché non sei più dolorosa,
se vuoi, ormai finisci;
squarcia il velo di questo dolce incontro.

O cauterio soave!
O deliziosa piaga!
O tenera mano! O tocco delicato,
che sa di vita eterna
e ogni debito paga!
Uccidendo, morte in vita hai mutato.

O lampade di fuoco,
nei cui splendori
le profonde caverne del senso,
che era oscuro e cieco,
con straordinarie perfezioni
calore e luce insieme danno all’Amato!

Come dolce e amoroso
ti risvegli nel mio seno,
dove segretamente solo tu dimori!
Nel tuo spirar gustoso,
di bene e gloria pieno,
come delicatamente m’innamori!

Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica quindicinale di Andrea Zerbini, clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

Propaganda al veleno contro i giudici sui trattenimenti amministrativi dei richiedenti asilo: a rischio lo Stato di diritto

Propaganda al veleno contro i giudici sui trattenimenti amministrativi dei richiedenti asilo: a rischio lo Stato di diritto

di

1. Come era facile prevedere, la mancata convalida di quasi tutti i trattenimenti amministrativi disposti dal questore di Agrigento nei confronti di richiedenti asilo trasferiti nei giorni scorsi da Lampedusa nel centro di Porto Empedocle, provenienti da paesi terzi ritenuti “sicuri”, come nel caso della Tunisia, ha ridato spazio alla propaganda di destra per attaccare i giudici che non si allineano con l’indirizzo politico del governo, e applicano il Decreto Cutro (legge n.50 del 2023) tenendo conto dei limiti imposti dalla Costituzione e dalle norme di diritto sovranazionale, a garanzia dei diritti fondamentali di libertà e di difesa, che spettano a qualunque persona, quale che sia il paese di provenienza o la condizione giuridica nella quale si trova in frontiera ( in questo senso già nel 2001, si era pronunciata la Corte costituzionale con la sentenza n.105/2001).

Secondo Libero ,«I giudici scarcerano 5 irregolari in un solo giorno “Misura sproporzionata” scoppia il caso». Dopo le menzogne sui processi penali contro le ONG e sulla sospensione dei fermi amministrativi imposti alle navi umanitarie ,con il Giornale, riparte un ventata di fango contro i “giudici che boicottano i rimpatri dei clandestini tunisini”, malgrado una sentenza della Cassazione definisca come discriminatorio l’uso improprio del termine “clandestini”, peraltro del tutto fuorviante nel caso di richiedenti asilo, sia pure trattenuti in frontiera nel corso dell’esame della loro richiesta di protezione, con quella procedura accelerata che di fatto è stata generalizzata con il decreto Cutro per tutti coloro che provengono da paesi di origine ritenuti “sicuri”.

Il Tempo titola “Due nuovi “casi Apostolico” i giudici liberano i clandestini”, per l’articolista, “Eppure la legge c’è e, infatti il primo dei sei tunisini ha visto la convalida del suo fermo, non si capisce perché tutta questa discrezionalità dei giudici nell’applicare la norma”. Per La Verità invece, “I fermi degli sbarcati non convalidati giudici ancora contro il decreto Cutro”,ma neppure una spiegazione per un titolo tanto roboante in un pezzo tutto incentrato sul consueto attacco ai soccorsi umanitari, rilanciato dopo le parole del Papa che all’udienza generale di mercoledì 28 agosto ha dichiarato che “quello che uccide i migranti è la nostra indifferenza e quell’atteggiamento di scartare”. Il linguaggio dello scarto, nei confronti dei migranti, e non solo dei richiedenti asilo, è ormai dominante nella narrazione collettiva, e qualcuno, dopo che recenti provvedimenti di legge ne hanno subito l’influsso, come nel caso del cd decreto Cutro, vorrebbe anche che penetri nelle aule di giustizia.

Non sono i giudici “contro” il Decreto Cutro (legge n.50 del 2023), ma sono le previsioni del decreto, e le conseguenti prassi applicate da questori e prefetti su indirizzo del ministero dell’interno, in particolare nei rari tentativi di detenzione amministrativa dei richiedenti asilo provenienti da paesi di origine ritenuti “sicuri”, che evidenziano ogni giorno di più un insanabile contrasto con i principi fondamentali della nostra Costituzione e con le vigenti Direttive europee in materia di accoglienza e di procedure per le richieste di asilo. I giudici sono soggetti alla legge e non certo al governo o alla “volontà popolare” che questo pretende di rappresentare. In base all’art.101 della Costituzione, “La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge.” e non della maggioranza di governo che risulta vincente ad una tornata elettorale.

I giudici palermitani, a parte il primo caso di convalida, ancora oggetto peraltro di ricorso, che per le caratteristiche della situazione del richiedente asilo tunisino non poteva certo costituire un precedente, hanno fornito una interpretazione della normativa vigente costituzionalmente orientata e coerente con le Direttive europee che non prevedono il trattenimento automatico e generalizzato di tutti i richiedenti asilo provenienti da paesi terzi ritenuti sicuri.

2. Quanto deciso adesso dal Tribunale di Palermo appare coerente con le decisioni dei giudici Cupri ed Apostolico che lo scorso anno si rifiutarono di convalidare i decreti di trattenimento adottati dal questore di Ragusa nei confronti di alcuni richiedenti asilo tunisini internati in una sezione chiusa del centro Hotspot di Pozzallo/Modica. Non ricorre comunque alcun contrasto tra tutte le decisioni adottate dal Tribunale di Palermo in ordine alla convalida del trattenimento di richiedenti asilo provenienti da “paesi di origine sicuri” nel centro di Porto Empedocle.

Per il giudice Guarnotta, che ha convalidato il primo provvedimento di trattenimento adottato dal questore di Agrigento: “Nel provvedimento si legge che il cittadino tunisino è stato ‘fermato per avere eluso o tentato di eludere i relativi controlli alla frontiera di Lampedusa e Linosa in data 19.08.2024’ e che inoltre ‘ha presentato la domanda di riconoscimento della protezione internazionale in data 20/08/2024 direttamente alla frontiera di Porto Empedocle  ed è ‘proveniente da un Paese designato come sicuro dal decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri della giustizia e dell’internò”. E ancora: “Il richiedente ha dichiarato di essere approdato, lo scorso lunedì 19 agosto, di mattina, a Lampedusa su una barca con altre quattro persone, di essersi tuffato ‘per primo dalla barca a una distanza di circa 100 metri dalla riva, di avere nuotato sino alla riva e di essersi nascosto; di non sapere cosa abbiano fatto le altre persone; di avere provato a lasciare l’isola senza essere rintracciato e, non essendoci riuscito, di essersi recato in un hotel per chiedere informazioni su come allontanarsi dall’isola senza essere ritrovato, sennonché a quel punto il personale dell’hotel ha chiamato i carabinieri”. Per il giudice Guarnotta dunque, “le circostanze del caso concreto inducono a ritenere che l’unica misura necessaria a garantire lo scopo normativo previsto, ovverosia accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato durante lo svolgimento della procedura in frontiera, fosse quella del trattenimento, dato che il richiedente, per facta concludentia, ossia tentando di allontanarsi da Lampedusa senza essere individuato, ha già manifestato l’intenzione di rendersi irreperibile e dunque di vanificare il suddetto scopo”. Per questi motivi “alla luce delle considerazioni si qui svolte, il provvedimento di trattenimento deve essere convalidato”. Sono dunque “le circostanze del caso concreto”, rappresentate dal questore di Agrigento, e in particolare il presunto rischio di fuga, per quanto opinabili e oggetto di ricorso, che stanno alla base del provvedimento di convalida, e non certo un preteso automatismo del trattenimento amministrativo in vista del rimpatrio forzato, come si vorrebbe fare intendere all’opinione pubblica. La decisione di questo giudice non costituisce dunque un “precedente” che avrebbe imposto in occasione di altri giudizi di convalida un obbligo di conformarsi.

Per gli altri giudici palermitani, che invece non hanno convalidato i decreti di trattenimento adottati dal questore di Agrigento, assumono lo stesso rilievo le “circostanze del caso concreto”: non c’e un obbligo automatico di convalida da parte del Tribunale, ma in base al Decreto Cutro, ed in base alle Direttive europee in materia ricorre soltanto “la facoltà di disporre il trattenimento” che “rappresenta l’esercizio di un potere discrezionale, che va giustificato ed argomentato, anche in considerazione della circostanza che la misura incide sulla libertà personale dell’individuo”. Questa motivazione, che risulta alla base dei provvedimenti che non convalidano il trattenimento amministrativo, “è in linea con i principi della direttiva europea e della giurisprudenza della Corte di Giustizia (…) secondo cui il trattenimento va disposto “soltanto nelle circostanze eccezionali”, ”in base ai principi di necessità e proporzionalità”, “come ultima risorsa”, “sulla base di una valutazione caso per caso”, “sempre che non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive”.

Secondo il provvedimento della dott.ssa Bruno del Tribunale di Palermo, “La motivazione del provvedimento di trattenimento appare carente, non essendovi alcun riferimento alla situazione individuale del richiedente protezione internazionale; ritenuto in definitiva che nel caso in esame il provvedimento di trattenimento non risulta adeguatamente motivato con riferimento alla necessità di disporre il trattenimento quale unica misura necessaria a garantire lo scopo normativo previsto dall’art. 6 bis del d. lgs. 142/2015, ossia accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato durante lo svolgimento della procedura in frontiera, e ciò anche in considerazione del contegno tenuto dal richiedente al momento in cui è stato fermato, del fatto che il medesimo ha dichiarato di volersi avvalere della garanzia finanziaria e della circostanza che non risultano neanche decorsi i termini previsti dalla legge per poterla prestare; ritenuto, pertanto, alla luce delle superiori considerazioni, che il provvedimento di trattenimento non può essere convalidato”.

Nel provvedimento della dott.ssa Marino, che non convalida la misura del trattenimento amministrativo disposta dal questore di Agrigento, si legge che “il Tribunale sottolinea che l’obbligo di tenere conto di altre misure alternative al trattenimento è un dovere che va esercitato dall’autorità amministrativa sulla base di una valutazione caso per caso”. “Alla luce di tali argomentazioni, il provvedimento emesso dal Questore di Agrigento non può essere convalidato, in assenza della dovuta motivazione sulla necessità del trattenimento, sulla sua proporzionalità e sull’impossibilità di fare efficace ricorso alle altre misure alternative, di tipo non coercitivo”.

Gli orientamenti del Tribunale di Palermo contrari alla convalida dei trattenimenti amministrativi nel centro di Porto Empedocle sono coerenti con gli indirizzi affermati in materia dalla Corte di Cassazione.

Storie in pellicola / Speciale Venezia 81 – Dall’Emilia-Romagna al Lido

I protagonisti del nostro cinema alla Mostra Internazionale d’arte cinematografica

Pubblicato su Portale Emilia-Romagna Cultura

Grandi maestri, animazione, passando per capolavori ritrovati e importanti produzioni intercontinentali, a cui si sommano diverse attività collaterali per gli operatori. Il cinema dell’Emilia-Romagna è pronto per il red carpet della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, che dal 28 agosto al 7 settembre celebrerà la sua 81a edizione.

In concorso alla 39. Settimana Internazionale della Critica Playing God, cortometraggio di animazione dei giovani Matteo Buran e Arianna Gheller, inserito nella selezione di SIC@SIC – Short Italian Cinema. Produzione italo-francese firmata dalla casa bolognese Studio Croma e da Autour de Minuit, con il sostegno della Regione Emilia-Romagna attraverso Emilia-Romagna Film Commission,  il film è un dark drama  in cui in un atelier immerso nell’ombra, abitato da centinaia di creature d’argilla deformi, un misterioso scultore plasma il suo ultimo capolavoro, infondendo in esso la vita. La distribuzione italiana è a cura della casa bolognese Sayonara Film. Appuntamento in Sala Perla il 30 agosto.

Tra i progetti al Lido sostenuti dal Fondo regionale anche L’orto americano di Pupi Avati a chiudere il programma di Venezia 81 il prossimo 7 settembre, con la prima assoluta di questo atteso evento speciale Fuori Concorso.
Horror gotico tratto dall’omonimo libro del cineasta bolognese, “L’orto americano” è ambientato nella Bologna degli anni ’40, dove un giovane mentalmente problematico con aspirazioni letterarie si innamora perdutamente al primo sguardo di un’ausiliaria dell’esercito americano. Come protagonista di questo lungometraggio in bianco e nero Avati ha voluto Filippo Scotti, che dopo “Io e Spotty” torna sul territorio in un ruolo noir, affiancato da Rita Tushingham, Armando De Ceccon, Roberto De Francesco, Chiara Caselli, Romano Reggiani, Cesare Cremonini e Andrea Roncato. Il film è prodotto da Minerva Pictures Group, DueA Film con RAI Cinema ed è stato realizzato in buona parte tra Copparo (Fe), Ferrara, Comacchio (Fe), Cervia (Ra), San Mauro Pascoli (FC).

Ritorna al Lido anche Marco Bellocchio, con Se posso permettermi – capitolo II, secondo capitolo dell’omonimo corto realizzato dal maestro di Bobbio nel 2019 e che, ancora una volta, ha coinvolto i suoi allievi del corso di formazione Cinematografica, Fare Cinema. Presentato nella Selezione Ufficiale, Fuori Concorso, il corto è una produzione Kavac Film con Rai Cinema, in collaborazione con Fondazione Fare Cinema e il sostegno della Fondazione di Piacenza e Vigevano. Sontuoso il cast, formato da Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi, Rocco Papaleo, Giorgia Fasce, Filippo Timi, Pier Giorgio Bellocchio, Fabrizio Gifuni, Edoardo Leo, che animano un nuovo gioiello d’autore. Il film sarà presentato il 1° settembre. Il maestro piacentino è inoltre il vincitore del Premio Robert Bresson, prestigioso riconoscimento promosso dalla Fondazione Ente dello Spettacolo e dalla Rivista del Cinematografo e che sarà assegnato il 31 agosto alle 12:30 presso la Sala Tropicana 1 dell’Hotel Excelsior.

Tra le presenze eccellenti a Venezia 81 non poteva certamente mancare la Fondazione Cineteca di Bologna che presenterà il capolavoro di Lina Wertmüller Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto. Nel cinquantennale  di questo vero e proprio cult La Cineteca sarà in concorso nella sezione Classici, con una stupenda versione restaurata in 4k dal laboratorio L’Immagine Ritrovata, in collaborazione con Minerva Pictures.

Ha portato a Bologna Leoni d’Oro e d’Argento e tanti altri prestigiosi riconoscimenti. La casa di distribuzione I Wonder Pictures anche quest’anno arriva alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica da protagonista, con 7 titoli in anteprima mondiale nelle sezioni più importanti del festival, e con la speranza di bissare i risultati prestigiosi delle ultime edizioni. In lizza per il Leone d’Oro Harwest di Athina Rachel Tsangari, con Caleb Landry Jones e Harry Melling e The quiet son Di Muriel e Delphine Coulin con Vincent LindonBenjamin Voisin e Stefan Crepon. Nella sezione Orizzonti I Wonder sarà presente con My Everything di Anne-Sophie Bailly, con la brava Laure Calamy e con AÏCHA di Mehdi M. Barsaoui, che ci porta nel sud della Tunisia.

Alla Settimana Internazionale della Critica (SIC) sarà invece presentato Peacock di Bernhard Wenger, commedia caustica sulle relazioni umane e, infine, alle Giornate degli Autori il team accompagnerà il film d’apertura delle Giornate, Coppia aperta quasi spalancata di Federica di Giacomo, prodotto e interpretato da Chiara Francini e, infine, La scommessa – Una notte in corsia di Giovanni Dota, con Carlo Buccirosso e Lino Musella, proposto nell’ambito delle Notti Veneziane.

La casa bolognese a Venezia sarà presente anche con Casa I Wonder, spazio e iniziativa che fonde industria cinematografica, arte culinaria e narrazione nelle principali manifestazioni internazionali. Il 29 agosto il CEO Andrea Romeo farà gli onori di casa dalle 11:30 alle 12:20 presso l’Italian Pavilion dell’Excelsior,

Al fianco di Sergio Rubini con Leopardi il poeta dell’infinito è IBC Movie. La casa di produzione bolognese di Beppe Caschetto, porta come evento speciale Fuori Concorso questo biopic insieme a Rai Fiction e Rai Com, opera interpretata dal ravennate Leonardo Maltese che, dopo Rapito, ritrova qui Fausto Russo Alesi.

Le grandi affiches cinematografiche alle Giornate degli Autori grazie alla nuova collaborazione con Ferrara Città del Cinema che, dal 29 agosto al 7 settembre, farà scoprire le opere di un maestro del settore: Anselmo Ballester, artista, illustratore, grande cartellonista del cinema italiano e americano e capostipite dei pittori di cinema. Curata da Luca Siano l’esposizione si potrà vedere in Sala Laguna dal 29 agosto al 7 settembre, con una masterclass su Ballester curata dallo stesso Siano nella mattinata del 29.

Fiscaglia e le campagne adiacenti, nel ferrarese, sono stati set di Sans Dieu, cortometraggio di Alessandro Rocca, in concorso alla Settimana Internazionale della Critica e realizzato da una crew praticamente under 25. Interpretato dal giovanissimo Aaron Guey e dal ferrarese Sebastiano Berti, “Sans Dieu” Il film è prodotto dall’associazione Ferrarese DestinationFilm-APS, Roberta Pazi, Eclettica (Lorenzo Maria Chierici), Kublai Film (Marco Caberlotto e Lucio Scarpa) e Videocrazia (Roberto Gallina), con il patrocinio e il sostegno del Comune di Fiscaglia. La distribuzione è curata da Gorrilla Film Distribution. Producer del progetto è invece Giulia Grandinetti, nonché anche produttrice esecutiva e co-editor. L’appuntamento in sala a Venezia è per il 4 settembre.

Nei giorni della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica Emilia-Romagna Film Commission sarà presente con il suo staff nel Padiglione Italiano dell’Hotel Excelsior, in questa importante occasione per le Film Commission italiane di raccordo associativo ed istituzionale e con le principali realtà ed organizzazioni del cinema italiano ed internazionale. Tra le iniziative si segnala il tradizionale Cappuccino with the Italians, organizzato da Italian Film Commissions, in collaborazione con Venice Production Bridge, con il supporto del Ministero del Turismo e di ENIT.
Operatori e operatrici sono invitate/i il 1° settembre, dalle 10:30 alle 12:00 presso la terrazza dei Limoni, al terzo piano dell’Excelsior. Ospiti speciali di questa edizione saranno i colleghi del Fondo del Lussemburgo e del Fondo belga della Vallonia, che presenteranno il loro lavoro nell’ambito dell’audiovisivo.

Il nuovo disciplinare Green Film entrerà ufficialmente in vigore il 1° settembre. Per illustrarne le peculiarità sarà presentato pubblicamente il 31 agosto alle 15:30 presso lo spazio della Regione Veneto/Veneto Film Commission sempre all’Excelsior.

Parole a Capo
Bruna Starrantino: “La mia prima pelle” e altre poesie

La superficie della Terra è la riva dell’oceano cosmico.
(Carl Sagan)

 

La mia prima pelle

 

Acqua di sale.

Acqua di mare sensuale

suadente

mi chiama mi attira mi prende.

Nell’acqua

galleggio mi immergo sprofondo

sprofondo e mi perdo.

Nell’acqua

mi perdo e rinasco.

Nasco di nuovo con la mia prima pelle.

Liquide vibrazioni

mi cullano

mi portano indietro

nel grembo del mio piccolo mare.

Sospeso

in un cielo di canti e di voli

-nell’attesa di nascere-

Nell’attesa di andare a toccare le stelle.

 

Ma quando entri nel mondo non sai dove andare.

 

Il mare. Il cielo. La terra.

Sono mondi divisi.

Senza legami.

Lontane sono le stelle

e gli angeli non li senti più cantare.

*

Chiusa fuori dal mondo.

 

Pennellate di malinconia fanno opaca

questa mia figura di donna che

apre la finestra ai passeri

e cova freudiane

vertigini.

Nel silenzio

di scorci di cieli ripresi a matita

di stralci di versi

ammucchiati nel tempo.

-Chiusa fuori dal mondo. Senza farci caso-

Talvolta

un vezzo

improvviso.

Riprendo in mano

il mio rossetto più bello

mi coloro le labbra di rosso corallo

e mi appresto

ad andare a cercare

qualcosa

qualcosa che mi cambi la vita.

E’ un rito che si ripete sempre uguale.

Sempre uguale il finale.

Il luogo dell’Attesa

 

Un luogo non-luogo dove

il tempo resta sospeso fuori dal tempo.

Misteriose figure

prendono

la scena.

Figure senza volto.

Con gli occhi vuoti e la bocca chiusa.

Prigionieri di un’armatura senz’anima. Senza ombra.

Manichini senza nome. Senza meta.

Muse inquietanti.

 

Inquietante

è il luogo dell’Attesa.

 

Destrutturazione nichilista?

Frantumazione dell’io?

Metamorfosi Kafkiana? Teologia del non-senso?

Metafisiche leggende?

Teatro dell’assurdo?

Sogno?

Realtà apocalittica?

Storie di ordinaria entropia?

Forse. Solo un cattivo presagio.

Smarrimento.

Tutto è immobile.

Tutto tace.

Nell’Attesa di un nuovo messia.

 

*

Umanità

 

 

Grani

di solitudini

scarlatte

risuonano all’unisono

dentro la pelle di un melograno.

 

Alveo.

Ventre.

Metafora.

Coagulo d’amore

e di nuovi accordi di senso.

 

E’ la mia idea di Umanità che mette radici.

 

*

  Un brivido mi attraversa la schiena 

Ad occhi chiusi

mi addosso al tuo corpo

di vecchio ulivo dalla pelle rugosa.

Con forza ti abbraccio.

Ti stringo.

Un brivido mi attraversa la schiena.

Respiro

il tuo respiro.

E’ come un trasalimento.

La tua anima si travasa nella mia.

Mi sento albero

refolo resina odorosa bava di lumaca

canto di cicala

ali di uccello che canta grappolo di stelle

raccolte in preghiera.

Qui

senza muovermi

senza nulla inseguire

senza altro desiderare che essere

seme di vita che vive dentro forme diverse.

Bruna Starrantino nasce in Sicilia e della sua terra porta addosso la sua aspra solarità … il suo canto e il suo disincanto. I suoi forti contrasti di colori e di umori.
Poetessa. Scrittrice. Sceneggiatrice. Docente di materie letterarie. Esperta in psico-pedagogia. Counselor e Arteterapeuta. Curatrice di laboratori teatrali, di scrittura creativa e di poesia. Ha pubblicato articoli specialistici sulla rivista trimestrale Arti Terapie. Ha pubblicato opere poetiche su Riviste e Antologie letterarie. Le sono stati conferiti diversi riconoscimenti: 1° Premio “Concorso Letterario Giovanni Verga” (saggio breve) – Attestati di Finalista e Attestati di Merito in vari Concorsi di Poesia Nazionali e Internazionali.
Lei stessa, come la sua isola, è un approdo di contaminazioni culturali, presenti nelle trame della sua memoria semantica e narrativa che non hanno soffocato, di certo, la sua memoria sensoriale e il suo lirismo.
Per Lei “fare poesia” non è un modo di scrivere … è un modo di vivere.
*
LO SCAFFALE POETICO
In modo non continuativo, inseriamo nella rubrica alcune segnalazioni editoriali, progetti, concorsi interni al mondo della poesia. Buona ricerca poetica.
Nel marzo 2024 si è conclusa a Ferrara la selezione di poesie del concorso “Il giardino dei versi”. Alla fine il risultato ha visto al primo posto Vincenzo Russo con ‘Il viaggio‘ e ‘Nostalgia‘, il secondo per Nicola Corrado con ‘L’ammore‘, e il terzo per Maria Luisa Palazzi con ‘Come un pensiero candito‘ e per Marianna Nani con ‘Luna”’. Queste poesie, insieme alle liriche ‘A Marco’ di Daniele Coletta, ‘Ritorni‘ di Sofjana Xoxi, ‘E non chiamarlo amore‘ di Vito Renda, ‘Grazie mamma‘ di Vincenzo Russo, ‘In silenzio‘ di Anita Pinto e ‘Una conchiglia‘ di Maria Luisa Palazzi’, hanno completato i primi dieci classificati. Conferiti riconoscimenti anche a ‘Il ricordo che rivive‘ di Riccardo Modestino e a ‘Lockdown‘ di Antonella Finotti.

La redazione di “Parole a capo” informa che è possibile inviare proprie poesie all’indirizzo mail: gigiguerrini@gmail.com per una possibile pubblicazione nella rubrica. 

 
La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio. Questo che leggete è il 244° numero. Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.

 

Un folle non è per sempre, ma ci vuole una città

Un folle non è per sempre, ma ci vuole una città

Si può guarire dalla schizofrenia, la malattia mentale considerata più grave: lo dichiara, lo argomenta e lo dimostra il libro di Marco Rovelli, Soffro dunque siamo. Il disagio psichico nella società degli individui, edito da minimum fax, pubblicato nel 2023.

Marco Rovelli conduce una ricerca sul campo, a partire dalle basi, lontano da pregiudizi e luoghi comuni: riporta dati e spiegazioni, testimonianze di persone di varie professioni e ceti sociali che hanno sperimentato il disagio, interviste a specialisti e specialiste.

Non è una lettura per addetti ai lavori, anche se sarebbe fondamentale anche per loro: la salute è il nostro bene più prezioso.

Nelle narrazioni ritroviamo il quotidiano delle nostre vite, in cui, travolti dai ritmi imposti, trascuriamo bisogni essenziali e l’esposizione lineare e diretta guida all’esplorazione di uno spazio che, pur appartenendoci, ci viene normalmente presentato come incomprensibile e quindi inaccessibile.

I professionisti, quei pochi che a Carpi o a Trieste hanno continuato il percorso di Basaglia, dimostrano che dalla follia si guarisce ma, sostengono, solo nel servizio pubblico, dove solo è possibile l’approccio psicosociale, con un lavoro integrato di una squadra di professionisti.

Si inizia dalla psicoterapia, dall’ascolto di ciò che la malattia dice del bisogno di quel soggetto, e si continua con l’accompagnamento della persona all’interno della vita nella città. Occorre un centro di medicina territoriale con varie figure professionali che vanno a casa delle persone, le accolgono, senza ricovero, nei momenti di crisi, le seguono per anticipare le ricadute e operano per creare relazioni con il vicinato, che è la rete che sostiene e cura davvero.

Il disagio psichico ha un senso e una funzione, non ha origine in difetti genetici o del cervello. I farmaci hanno solamente un effetto sedativo, evitano il sintomo, ma annullano il soggetto e il suo bisogno, uniformandolo ad un comportamento esteriore ritenuto consono.

Il disagio psichico, spiega Marco Rovelli, riguarda la mente, che non è il cervello, non è un organo, la mente è fatta delle relazioni, “per fare una mente ce ne vogliono almeno due”. Quindi nella relazione ha origine la malattia e nella relazione si trova la cura.

Rovelli dimostra che la società del produttivismo, della competizione, della precarietà, dell’individuo responsabilizzato allo stremo, crea disturbi come ansia, depressione, attacchi di panico, anoressia, ritiro sociale, di personalità borderline, paranoia.

È la società del neoliberismo. quella del motto thatcheriano: «La società non esiste. Esistono solo gli individui». Dove la fragilità, il disagio non sono ammessi, perché di intralcio alla produttività, il farmaco è l’appiglio per un’apparente normalità, un analgesico del dolore, l’apparente riparazione del pezzo rotto, che consente di non fermarsi e di non restare escluso.

Paradossalmente la spesa per i farmaci è abnorme nel servizio sanitario pubblico e ciò si spiega con gli interessi delle case farmaceutiche, che intervengono direttamente nella formazione universitaria degli psichiatri, che quindi non possono apprendere quello che Rovelli rivela nel libro sulla genesi e sulla funzione reale degli psicofarmaci.

Così il cerchio si chiude e si spiega come mai la maggior parte di questi professionisti non sappia che dalla schizofrenia si può guarire, giungendo addirittura a negare l’evidenza.

Il libro di Rovelli ci fornisce quei dati e quelle informazioni che nessuno ci dà per ignoranza, per interesse, per gestire il controllo. È quindi un imperdibile strumento di presa di coscienza sia personale che collettiva che può e deve cambiare le politiche sociali e quelle sulla salute.

Cover da gstudioimagen su Freepik

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Vite di carta /
Scherzetto

Vite di carta. Scherzetto

Incomincio dallo scherzetto senza maiuscola: abbiamo i nipoti in queste settimane estive senza la scuola e trascorriamo con loro, qui a casa nostra, le giornate più calde e più movimentate.

Mettete una coppia di bambini, otto anni lei e sei anni lui, e una di nonni (mio marito e io) con sessant’anni di più e regolate la temperatura esterna tra i 33 e i 38 gradi. Ora chiudeteli in casa al riparo dalla canicola e organizzate per loro delle attività per circa otto ore al giorno. Di questo si è trattato fino a qui.

Con la bellezza di vedere consolidata una empatia a quattro, di essere complici nei giochi e nelle piccole trasgressioni rispetto alle regole stabilite dai loro genitori. Un po’ di sfrenatezza ci ha caricati di adrenalina nei lunghi bagni nella piccola piscina che abbiamo dietro casa.

Si è accumulata anche tanta stanchezza: le risorse psico-fisiche sembrano non bastare mai. Nonna di qua, nonno di là in ogni momento. E quando se ne vanno il silenzio non è comunque quello di sempre: resta frastornato anche lui (lo scrivo e sorrido).

In tutto ciò ecco verificarsi lo scherzetto: l’altro giorno usciamo in giardino uno alla volta per accogliere il papà, che è venuto a prenderli ed ecco che Chloe si chiude la porta di casa alle spalle. Tunf e la porta senza le chiavi attaccate sigilla il confine tra noi rimasti fuori e la nostra casa.

Quella in cui rientrare tra un minuto, in cui mettere un po’ di ordine e poi goderci la nostra parte di distensione. Vi sarà apparso davanti l’abisso. Capite da quale violenza del caso mi sono sentita investire. In momenti così si annaspa nel vuoto mentale prima di capire quale faccia della nostra identità tirare fuori, quale straccio di reazione.

Mentre papà e nonno spiegano ai bambini ignari cosa è successo e vagliano le soluzioni da adottare, io mi prendo a braccetto una lettura di qualche mese fa e mi ci confronto.

Scherzetto con la maiuscola – di Domenico Starnone  è stato pubblicato da Einaudi nel 2016 e subito dopo devo averlo avuto come dono da un club di lettura a cui facevo ordinazioni ogni mese. Fatto sta che una sera di qualche tempo fa lo trovo ancora avvolto nel cellophane e lo porto su con me per la lettura serale prima di dormire.

Di fatto ho letto molto e dormito meno. Dentro ci ho trovato la storia di un nonno che corre in soccorso alla figlia che vive lontano, a Napoli, per accudire il nipotino di quattro anni durante una assenza di lei e del marito.

Si tratta di pochi giorni. Bastano però perché questo nonno di oltre settant’anni veda lacerate le proprie abitudini e si senta scaraventato in un altrove che lo sconcerta.

Un altrove in cui vigono le leggi della quotidianità fatta a misura di bambino, come accade a me neppure lui riesce più a lavorare: nel suo caso niente disegni né rapporti con l’editore, il tempo risucchiato dai giochi e dalle richieste del nipotino.

In una sera di nubi minacciose anche la porta finestra che dà sul balcone del vecchio appartamento di famiglia fa tunfperché il bambino dicendo “Nonno, ti faccio uno scherzetto” l’ha spinta con tutte le sue forze e l’ha chiuso fuori, al freddo della sera e più tardi alla pioggia.

È il momento più difficile nel romanzo di formazione di questo anziano signore, che sta vivendo da giorni i sentimenti più inusuali accanto al bambino e che ha provato perfino “avversione” per lui. Ora deve parlargli al di là del vetro e deve rassicurarlo, in una sorta di piccola epifania lo vede per quello che è: “piccolo, esposto a tutto”.

E mentre la pioggia si fa sottile, il nonno ormai “zuppo dai capelli alle ciabatte” sa leggersi dentro: “Dovevo aver attraversato un confine senza rendermene conto e ora non riuscivo più a preoccuparmi per me. La vita, tutta la mia vita, era scivolata di lato, alle spalle, senza rammarico”.

Trova le parole giuste, il tono giusto per convincere il bambino a fare un ultimo tentativo…e la porta scatta e si riapre. Nonno e nipote preparano la cena e, mentre mangia, il primo dice all’altro che non lavorerà più. Alla madre che rientra il giorno dopo dice anche che loro due, in definitiva,  se la sono spassata “moltissimo”.

Il senso del libro non è tutto qui: per l’anziano e ancora famoso disegnatore i giorni col nipote sono un lungo viaggio a ritroso dentro se stesso, una rilettura delle scelte fatte e della centralità del suo successo professionale nelle dinamiche familiari.

Ma a me basta prendere a braccetto la storia, accelerare verso il finale del mio romanzo di formazione e preoccuparmi di questi due bambini che hanno un’aria così mortificata. Propongo a entrambi un tranquillo giretto con la bici, mentre aspettiamo che il papà vada a prendere a casa loro, a 12 chilometri da qui, le chiavi di riserva.

Nota bibliografica:

  • Domenico Starnone, Scherzetto, Einaudi, 2016

Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

Le storie di Costanza /
Al mare

Le storie di Costanza. Al mare

Sull’ultimo Sommergibile è stata pubblicata una poesia di Alba Orvietani che mi è piaciuta molto. In realtà Alba Orvietani non è altro che Costanza del Re, la mia vicina di casa.  Io avevo già dei sospetti sulla vera identità della poetessa.

I miei sospetti sono stati confermati da sua nipote Rebecca un giorno che era in vena di confidenze. Così io adesso tengo tutti i Sommergibile dove compare Alba Orvietani. Ieri verso sera mi sono seduto sul muretto di fronte a casa di Costanza e ho aspettato che uscisse. Ad un certo punto ha aperto il suo cancello, ha messo un piede fuori dalla porta e poi si è fermata, fissandomi.

– Ciao Albertino Canali – mi ha salutato come suo solito.

– Ciao Costanza – le ho risposto e poi ho proseguito:

– Sull’ultimo Sommergibile c’è una poesia di Alba Orvietani che mi è piaciuta molto. Senti.

Mi sono messa a leggerla ad alta voce, e lei

– A me questa poesia non piace – dice sfacciatamente.

– Perché? – le chiedo.

– Non so, mi sembra un po’ banale – dice.

– Ma stai scherzando! È bellissima – dico.

– Boh … vedi tu – Poi rientra col piede nel cancello, guarda la strada, guarda il cielo e dice tra sé e sé – Beato chi è al mare e sta al fresco

– Ah – dico io – ti ho preso in castagna! La poesia di Alba Orvietani parla del mare

– Ma davvero? Questa Orvietani è proprio originale, in questo periodo scrive del mare, proprio come fanno tutti.

– Come fanno tutti? – dico.

Lei rientra in casa e comincia a richiudere il cancello; poi, mentre è aperto solo uno spiraglio, rimette fuori la testa e mi dice:

Io preferisco la montagna perché odio il caldo … – detto questo richiude ermeticamente il suo cancello.

La poesia di Alba Orvietani si intitola: Al mare. La rileggo da solo e poi guardo il cielo e penso a quanto i colori possano essere associati a dei ricordi e a quanto l’estate amplifichi questa possibilità.

AL MARE

Quando il tempo si ferma
e il cielo incontra l’acqua,
gocce salate brillano
su uno sfondo di luce.

Tra i bagliori dell’orizzonte
una stella azzurra
ricorda uno sguardo adorato
e occhi eterni osservano quell’amore mai nato.

Quando il tempo si ferma
e il cielo si tuffa nell’acqua
gocce leggere galleggiano
in un mare stupito.

Tra l’azzurro di quella sorpresa
un ricordo lontano riaffiora
e accompagna bagnato
quel bagliore ammirato.

Quando il tempo si ferma
un sorriso riaffiora
e rivive bellissimo
su quello specchio lucente.

Nell’azzurro d’occhi guardati
un’emozione rinasce
e un sentimento accorato saluta
quel momento trovato.

Costanza e il suo mondo sono solo apparentemente diversi e distanti dal mondo che usiamo definire “reale”, e quasi sovrapponibili ad ogni mondo interiore.

Chi fosse interessata/o a visitare gli articoli-racconti di Costanza Del Re, può farlo cliccando [Qui]

Parole e figure / Vicini di banco

Esce in libreria, il 30 agosto, l’albo “Vicini di banco”, di Hélène Lasserre e Gilles Bonotaux, edito da Orecchio Acerbo. Per cominciare un “meraviglioso” e divertente anno di scuola! In tutta spensieratezza.

L’estate è finita. Per chi torna a scuola l’umore può cambiare, dipende.

A casa Panda c’è molto fermento. Il fratello maggiore non vede l’ora di sapere se ritroverà i suoi vecchi compagni tra i banchieri se il maestro sarà simpatico, mentre la sorellina si chiede titubante come saranno i suoi primi giorni di scuola. La prende alla lunga, non vuole davvero andare, tira tardi a colazione…, facendo arrabbiare tutti. Che pazienza!

Curiosità e trepidazione, voglia di colore, allegria e amicizia. Qualche timore.

In tutto questo, il gentile e cortese Nonno Panda, che ai suoi tempi frequentava lo stesso edificio scolastico, ricorda come, allora, le cose erano ben diverse.

Quanto accade oggi ha il testo di colore rosso, per ieri si usa il colore verde. In tandem.

Sui moderni banchi di scuola si studiano le energie rinnovabili, si lavora in gruppo, con tante ricerche su Internet. Si mangia tutti alla mensa, al self-service, con un dietologo puntiglioso che prepara i giusti menù. Allora non c’era certo il cibo bio, l’essenziale era terminare tutto quello che c’era nel piatto. Guai lasciare qualcosa! Nessun self-service ma grandi tavolate dove ci si tirava i legumi. Più semplice lanciarsi i piselli che le lenticchie o il purè …!

Oggi la scuola è mista, ai tempi di nonno Panda non lo era. I palloni di piuma non esistevano. Le palestre erano i portici. Flessioni ed estensioni. Ritmo. Oop, oop!

In un gioco interessante e ‘istruttivo’ tra ieri e oggi impariamo a vedere i tanti cambiamenti della società, attraverso il microcosmo di una scuola durante tutto un anno, tra lezioni, giochi e ricreazioni. Gessetti, cancellini e lavagne interattive, pareti da arrampicata e muretti divisori tra maschi e femmine: anche la scuola si evolve e cresce come i suoi abitanti.

Una cosa sola non cambia: alla fine si fa festa! Sempre. Con sorpresa.

Ceramista di formazione, nata ad Alençon in Normandia nel 1959, Hélène Lasserre che ama definirsi viaggiatrice dell’anima, per amore della ceramica decide di lasciare i suoi studi, ma la vita precaria la spinge a riprenderli, a trent’anni. Frequenta allora il campus di Jussieu a Parigi, dove si diploma e si laurea in studi storici. Nel frattempo, in un altro angolo della Francia, Gilles Bonotaux, nato nel 1956 a La Fleche, nella valle della Loira, studia Arti applicate per poi diventare insegnante di storia dell’arte e illustratore. Le traiettorie delle loro vite distanti s’incontrano, si sposano e mettono su famiglia, e da quel momento non si separano più. Da più di vent’anni lavorano a quattro mani sui loro libri e il loro sodalizio e la loro intesa sono talmente profondi che non è possibile distinguere se esista un confine tra il lavoro dell’una e dell’altro sulla pagina. Con Orecchio Acerbo editore hanno pubblicato anche “Meravigliosi vicini” (2020), “Più vicini che mai” (2021) e “Vicini alla meta” (2022).

Hélène Lasserre, Gilles Bonotaux, “Vicini di banco”, Orecchio Acerbo editore, Roma, 2024, 32 p.

 

Perché l’ideologia liberale si trasforma inesorabilmente in turbo liberismo

Perché l’ideologia liberale si trasforma inesorabilmente in turbo liberismo

È il mito della torre di Babele. Lo Stato è simbolizzato dalla stessa torre. Un edificio collettivo che unifica coloro che partecipano coralmente alla costruzione e che vengono innalzati a livelli superiori col progredire dello Stato-torre. Questo fino al momento in cui subentra il diabolus, il divisore che mina la fede in ciò che lega a dei principi dei valori superiori. Gli uomini non si comprendono più perché ormai parlano linguaggi diversi. L’ edificio si ferma e viene abbandonato mentre quella che era una comunità si disgrega e si disperde rinunciando ad innalzarsi ad un livello superiore di civiltà.

Lo Stato è sempre stata questa realtà, uno strumento comunitario che serve ad innalzare l’uomo sia da un punto materiale che spirituale essendo in passato stati concepiti i due tipi di progresso simultanei e non disgiunti.
Nell’antica Grecia lo Stato è incarnato dalla Polis che viene organizzata con la politeia che è sia una forma di Stato che di governo. Isocrate la definì l’anima della città e la paragona alla funzione che l’intelletto ha sul corpo.

Il fattore quasi metafisico e sacrale dello Stato in realtà non era unicamente una visione arcaica perché anche in epoca moderna è sopravvissuto tale concezione anche se in forme diverse. Niccolò Machiavelli quando parla del Principe arriva a teorizzare una diversa morale per colui che si occupa dello Stato. Dice che ciò che è buono per la morale corrente non lo è più se è il Principe ad usare la morale comune anche se questo può danneggiare lo Stato. Invece, azioni che apparirebbero cattive, se compiute da un uomo comune, non lo sono più se compiute per il bene comune dello Stato.

Questa moderna visione dello Stato non fa altro che confermare, non dico la divinizzazione del Cesare ma costui viene posto indubbiamente su un diverso piano anche morale, si potrebbe dire, al di là del bene e del male. Inoltre Machiavelli arriva a pensare che non ci siano dei valori al di fuori dello Stato.

In seguito, l’illuminista e democratico Jean Jacques Rousseau trasferisce la sacralità dal Principe allo Stato. Per Rousseau lo Stato è l’io comune. Questa entità comunitaria diventa tanto importante che viene teorizzata la completa alienazione dei diritti individuali di fronte al bene comune, fosse anche il diritto alla vita.

Hegel teorizzava lo Stato etico, ripreso in seguito da Giovanni Gentile, come base per uno Stato laico. Ogni cittadino dovrebbe favorire comportamenti favorevoli non solo al proprio benessere individuale ma anche a quello collettivo senza venir meno ai valori condivisi. Hegel arriva a parlare di volontà universale. Inoltre per Hegel lo Stato che è fonte di libertà ed etica del singolo non può essere passibile di valutazioni morali in quanto è un arbitro assoluto del bene e del male.
In passato la corona assicurava l’unità dello Stato e non occorreva un ulteriore collante. Dal momento in cui al re è stata tagliata la testa perché quello di era dimostrato un sistema politico non più rispondente all’evoluzione dei tempi, sono state pensate varie alternative. È stata reinventata ed esaltata la nazione come collante, rifacendosi alle tesi del contratto sociale.

Con Napoleone è rinato il cesarismo e la concezione dell’impero in senso moderno.
Taluni hanno sacralizzato la razza. In altri casi è il Partito che si fa Stato e che diviene la massima autorità come avviene anche attualmente in Cina e come è avvenuto in passato in tutti i totalitarismi moderni. Le democrazie invece hanno sacralizzato la costituzione. Qualsiasi cosa si renda utile a tenere unito lo Stato moderno.
Ma purtroppo esiste un tarlo. L’ideologia liberale oggi trionfante, se incontrollata, tende a mordere il freno. In realtà la sua natura tende a non riconoscere la legittimità né delle nazioni né di degli Stati, né delle culture, e tantomeno delle leggi dei Parlamenti. Queste realtà vengono sopportate, tollerate, ma appena possibile inizia l’opera di decostruzione e di erosione, giorno dopo giorno.

L’ideologia liberale senza forti autorità che la frenino, inesorabilmente si trasforma in turbo liberismo. Infatti contiene in sé molte componenti anarchiche costituite da uno spirito eccessivamente individualista, indifferente a tutto e a tutti. Parlo di quel tipo di anarchia che diventa antistato.

Il concetto di antistato, riporta la memoria al mito del grande divisore che era denominato diabolus. Quella forza che altri non è che il distruttore e che infatti avversa ogni Stato organico o Stato nazionale ed ogni ordinamento e che mira all’atomizzazione, alla disgregazione. Ci sono persone che temono in un prossimo futuro, il realizzarsi di quell’antica allegoria di genti che non si comprendendo più e di conseguenza si allontano gli unici dagli altri rinunciando ad ogni disegno di edificazione comune, di un progetto che superi le loro stesse individualità.

La “fine della Storia” produce morte
L’opposizione fa bene alla salute

La “fine della Storia” produce morte. L’opposizione fa bene alla salute.

 

La democrazia è viva se chi governa ha una vera opposizione che consenta agli elettori di esprimersi. C’è stato un tempo della nostra prima Repubblica in cui Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano, pur essendo all’opposizione – e sembrava senza speranze di poter governare – disse “si governa anche dall’opposizione”. Intendeva che è possibile, anche se si è minoranza in Parlamento, avanzare proposte  che possono trovare (in tutto o in parte) il consenso di chi governa. Negli ultimi decenni però la politica (e la democrazia) hanno trovato un temibile concorrente che si situa fuori dal Parlamento e dalla politica: il “dio denaro” che regna in Terra, al posto del “dio trino” che una volta governava sia in cielo che in terra.

Intendiamoci: le lobby ci sono sempre state, ma oggi hanno assunto un potere enorme. L’economia è sempre stata importante sin dall’antichità, ma Etica e Politica l’hanno tenuta sempre a bada. Con Niccolò Machiavelli nel 1500 ha fatto un primo “salto” sganciandosi dall’Etica (“il fine giustifica i mezzi”). Un secondo passo lo ha fatto con Adam Smith (1776), ponendo le basi per diventare “moderna”, quando egli dice “non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura del proprio interesse”, dimenticando però che lo stesso Smith aveva scritto nella Teoria dei sentimenti morali (1759): “Per quanto egoista lo si possa supporre l’uomo ha evidentemente nella sua natura alcuni principi che lo inducono a interessarsi alla sorte degli altri e che gli rendono necessaria la loro felicità”. Infine, un terzo grande salto lo ha fatto di recente (nel 1999), quando Bill Clinton ha deciso che tutte le banche potevano speculare, abolendo una legge che il più rinomato presidente democratico (Roosevelt) aveva emanato per porre fine alla crisi del 1929. Da allora la gran parte dei profitti si fa non investendo nell’economia reale, ma speculando su tutto l’immaginabile.

Il 1999 seguiva a un decennio in cui era crollato il comunismo reale in Urss e il capitalismo era ormai considerato l’unico “verbo”, al punto che Francis Fukuyama professò “la fine della Storia”. Ma come dice l’adagio “l’orgoglio precede la caduta”, sia nella cultura occidentale che in quella orientale. Il nostro teatro ha cinque atti che vanno in crescendo (presentazione, dialogo-scontro, conflitto tra le due regine); ma nel quarto atto c’è una pausa-riflessione che porta, nel quinto atto, alla conclusione. Così anche nella cerimonia del tè: il quarto sorso (pausa-caduta) è in discontinuità con la crescita dei primi tre sorsi: piacere, felicità, pienezza e precede il quinto e ultimo sorso, quello della saggezza-armonia. In sostanza: la cultura universale ci racconta che se non ci si ferma a riflettere e non si fa anche un passo indietro, la crescita per la crescita, la crescita infinita è patologica e produce morte.

Così sta avvenendo nel mondo odierno per l’Occidente, che ha sempre dato le carte al mondo intero spiegando come si vive e si produce (produci, consuma e crepa, cantavano i Cccp), come si fa economia e finanza. E’ come se fossimo al terzo atto, al culmine di una hybris, di un delirio di potenza e di crescita infinita (e relativa depredazione della Natura) che è mortale. Ciò avviene perché non ci sono apparentemente avversari o alternative. Se nel secondo dopoguerra fu costruita la miglior società occidentale (welfare, uguaglianza, tasse sui ricchi) lo si è dovuto proprio alla competizione con il suo opposto (Urss). Si doveva pur dimostrare che la società liberal democratica era migliore dell’oppositore comunista. Crollato il comunismo, nel 1991 siamo ripiombati in un incubo dominato da disuguaglianze, impoverimento e guerre reali.

L’Europa “inclusiva” e sempre più “estesa ad est” che avanza senza guardare a ciò che accade nella realtà, ha prodotto una enorme opposizione che si è materializzata alle ultime elezioni con l’avanzata dei sovranisti, passati dal 18% dei voti al 26%. Negli Stati Uniti Donald Trump ha rimesso al centro alcuni principi che, al di là delle polemiche, sono stati assunti dallo stesso Biden negli ultimi 4 anni della sua amministrazione:

  • bisogna difendere il ceto medio se perde reddito;
  • bisogna difendere il lavoro e il reddito degli operai americani spiazzati dalla globalizzazione e dalle de-localizzazioni delle stesse multinazionali americane in paesi dove il costo del lavoro è molto più basso;
  • bisogna regolamentare l’immigrazione perché non diventi una forma di concorrenza e uno strumento per ridurre i salari dei propri concittadini;
  • bisogna imporre dazi alle merci cinesi a costo di pagare tutti come consumatori qualcosa di più, pur di difendere il lavoro made in Usa;
  • bisogna ridiscutere il ruolo di Organizzazioni internazionali come il WTO che regolano i commerci nel mondo;
  • bisogna rinunciare a voler controllare il mondo e concentrarsi sullo sviluppo del proprio paese.

Su tutti i primi cinque punti l’amministrazione Biden ha seguito le orme di Trump e in alcuni casi le ha anche superate. L’unico punto su cui c’è un reale dissenso è l’ultimo, in quanto Trump vuole concentrarsi sul fare “great again” gli Stati Uniti, mentre i Democratici sono ancora convinti di poter controllare il mondo. Ma forse sarebbe meglio dire che più dei Dem agisce un potere dietro le quinte (trasversale): ildeep state, lo stato profondo, formato dalle 15 agenzie di intelligence, dal Pentagono, dalle lobby militari e da molti ambienti economici e finanziari che fanno una montagna di soldi con le guerre, la globalizzazione deregolamentata e che sono favorevoli ad un clima di tensione mondiale, in cui gli affari possano prosperare e la gente possa avere sempre più paura. E su questo punto non è difficile dare ragione a Trump che ha infatti chiuso la guerra in Afghanistan, mentre i Democratici le hanno tutte aperte negli ultimi 20 anni. Trump è un uomo di destra e d’affari torbidi, ma serve a poco accusarlo delle sue (poco edificanti) inclinazioni sessuali o pensare di batterlo con un processo della magistratura. Bisogna affrontarlo nel merito delle sue proposte, sapendo che solo migliorando le condizioni reali degli americani si potrà vincere.

Fa quindi piacere che Kamala Harris, la nuova avversaria di Trump, abbia accolto il suggerimento dei suoi spin doctors a cimentarsi sul merito delle questioni che Trump ha messo in discussione, “buttando all’ aria” decenni di sacre convinzioni delle nostre economie concorrenziali (capitalistiche) e facendo sentire i leader delle forze “tradizionali” (democratici, socialisti, verdi, liberali, ma anche conservatori) non più i padroni di casa che per lignaggio devono governare, ma costringendoli a confrontarsi su ciò che sta a cuore ai loro cittadini.

Ovviamente tra il comunista (a modo suo e in conflitto con l’Urss) Berlinguer e l’uomo d’affari Trump fuori dagli schemi (“strano” ora lo chiama Harris) c’è una enorme differenza, e il parallelismo potrà sembrare azzardato, ma sono entrambi temibili oppositori a cui lo Stato profondo si oppone – o si oppose. Al primo fu impedito di fatto di fare un governo di unità nazionale con Moro, il secondo è appena sopravvissuto ad un attentato per un puro colpo di fortuna: se non si fosse voltato all’ultimo secondo per fare vedere un grafico sull’immigrazione… e tutto questo nonostante le super finanziate quindici agenzie di intelligence americane.

Per certi versi / PARTIRE

PARTIRE

partire
È un po’
Finire
Un libro
Prima di un altro
C’è un ponte
Da salire
È fatto di barche
Ognuna col suo
Viaggio
Una farfalla
Di vento e ricordi

Ogni domenica Periscopio ospita Per certi versi, angolo di poesia che presenta le liriche di Roberto Dall’Olio.
Per leggere tutte le altre poesie dell’autore, clicca [Qui]

Le voci da dentro /
Dino Tebaldi: “Tutti in classe”

Dino Tebaldi (1935-2004)

 

Questo capitolo del libro “Dietro le sbarre” di Dino Tebaldi inizia a raccontare l’esperienza di alcune persone detenute che, all’interno della Casa Circondariale di Via Arginone, hanno scelto di frequentare la scuola. Quando ricevono il permesso di lasciare le celle per partecipare alle lezioni, si avverte forte in loro l’orgoglio di andare ad imparare. Dino ci sorprende ancora una volta sia con la sua narrazione precisa e partecipata che con un finale bellissimo, in cui dimostra concretamente il senso del suo impegno educativo.
(Mauro Presini)

 

Tutti in classe

di Dino Tebaldi 

Appena arriva la “chiamata” – dall’area pedagogica – dell’agente di turno, i detenuti-scolari ottengono il “via”. Lasciano le celle, uno ad uno, con la cartellina sotto braccio come se andassero ad un “congresso internazionale”: in quel momento, sui volti di ciascuno di loro s’accende il sorriso. Si sentono orgogliosi dell’impegno quotidiano, che li distingue dagli altri detenuti; e dell’opportunità di vivere fuori della cella per la mattinata intera.
Nella Casa Circondariale di Via Arginone, essi – malgrado tutto – sono diventati “studenti”.
A tredici anni – ha scritto uno di loro – avevo dovuto lasciare la scuola, ed andare al lavoro…“. Adesso, invece, chi vuole può recuperare qualcosa.
Per arrivare all'”area pedagogica” debbono fare tanta strada… a piedi, quasi un percorso ad ostacoli: in lunghi corridoi, interrotti da tanti cancelli; le scale, esse pure bloccate ad ogni rampa, da altrettante barriere; ed agenti, ad ogni “svolta”, incerti se mostrare la faccia arrabbiata, oppure se frenare un tantino il sorriso spontaneo.
I detenuti-scolari sono nella lista “buona”, e posson passare.
Qualcuno degli agenti li guarda con amicizia, e dà loro strada con la stessa raccomandazione che si sente davanti a tutte le scuole: “Fate i bravi, ed imparate…!”. Arrivano alla spicciolata e tirano un lungo sospiro appena intravvedono il loro bidello: vale a dire l’agente di turno nell’ “area”, che apre e chiude – secondo la regola – l’ultimo dei cancelli, e li fa andare “da soli” nell’aula.
II maestro se li vede arrivare con spavalda giovinezza: perfino J. Antonio, sudamericano, nonno venti volte, per numero d’anni maggiore di tutti, ma per il resto il più giovanilmente impegnato di tutti.
Dice poche cose in lingua italiana, ma capisce quasi tutto. Legge
ogni cosa con accento spagnolo, ma chiede spiegazione delle parole per lui troppo ostiche. Capisce ed esulta, e – con parole tutte sue – dice il suo entusiasmo: “Adesso estudiente… Tante cose imparare. Quando piccolo, no scuola abastanzia. Tredici anni, lavorare… Adesso estudiente… compiti in cella, tanto pensare, tanto contento…”.
Mehmet – un turco che, per smentire una diffusa convinzione nostrana, non fuma nemmeno per la rabbia – arriva dopo aver “lavorato”: è contento di aver sempre da fare: “Mattina, pulizia nella Casa: prendere paga. Poi, scuola di alfabetizzazione: imparare lingua italiana. Pomeriggio, scuola media: imparare ancora tante cose…”.
Gli domando: “Alla sera, riposi guardando la TV?
Pare che l’abbia scandalizzato: “Noo, mai guardare TV, Quando non frequentare, di giorno ho guardato: non bella cosa! Adesso, di giorno, sempre a scuola: bella cosa. Di sera, nella cella, io pregare…
Io tanto pregare per mia famiglia
”.
Io non so per quali ragioni Mehmet sia qui. Non voglio neanche sapere.
So però ch’è dentro da quattro o cinque anni, ed ancora ci dovrebbe
stare per quasi altrettanti: “Spero espulsione: meglio andare nel mio paese, dove vedere mia moglie e miei due figli”.
In aula, insieme con i quaderni, ha portato le foto dei due bambinelli: “Questo Abdullah, otto anni; questa, Hafiza, sei anni. Appena nata, quando io partito da Turchia…”.
Gli scende una lacrima, ed è subito una lacrima mia.
Cerco di rincuorarlo, di prepararsi col dolore di oggi alla grande gioia del giorno in cui tornerà.
Sì, quel giorno grande gioia. Adesso, in mio cuore grande dolore:
io mai mandato soldi per miei bambini…
”.
Le parole mie non posson bastare, per ridurre il guaio che – in Turchia – la famiglia di Mehmet vive da anni. Lo conosco soltanto da quando sono entrato qui dentro come maestro, con grande timore da parte mia, con vera paura da parte di mia moglie e di altri.
Adesso Mehmet è il mio “prossimo”, che cercavo sul mio cammino. Il suo è il mio dolore; i suoi figli lontani sono i miei nipotini.
Mia moglie ha adottato con me un bambino indiano: ogni mese gli invia una certa sommetta che gli consente di sopravvivere e di frequentare la scuola presso le Suore della Carità di Bangalore.
Ai due figli di Mehmet provvederò io stesso, per quello che posso.
Ho deciso guardando le foto di Abdullah e di Hafiza: oggi stesso – rinunciando a vanità consumistiche – farò il primo versamento postale.

Cover: La palestra del carcere di Ferrara.

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Università estiva di Attac 2024 “La cura del futuro”

Università estiva di Attac 2024 “La cura del futuro”

13-15 settembre 2024

New Camping Le Tamerici

Via della Cecinella 3 – Cecina Mare (LI)

Scarica la Presentazione dell’Università estiva 2024 di Attac Italia

Scarica il Programma dell’Università estiva 2024 di Attac Italia

Scarica le informazioni sui costi, prenotazioni e logistica dell’Università estiva 2024

Leggi la scheda: Chi sono le relatrici e i relatori dell’Università estiva 2024 di Attac Italia

 

Programma

Venerdì 13 settembre 2024

ore 17.00 – 19.00

Il futuro nelle mani della finanza?

partecipano

Clara Mattei (Docente di Economia New School for Social Research di New York)

Alessandro Volpi (Docente di Storia contemporanea Università di Pisa)

 

Sabato 14 settembre 2024

ore 10.30 – 12.30

Il futuro nelle mani della guerra?

partecipano

Federica D’Alessio (giornalista e redattrice di Micromega)

Stefano Risso (Attac Italia)

 

ore 14.30 – 17.00

Il futuro nelle mani del fossile?

partecipano

Elena Gerebizza (ricercatrice e campaigner di ReCommon)

Beatrice Negro (ricercatrice Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa)

 

ore 17.00 – 19.30

Il futuro nelle mani dell’Intelligenza Artificiale?

partecipano

Marco Schiaffino (giornalista esperto di nuove tecnologie)

Michela Tuozzo (ricercatrice di Diritto Costituzionale Università di Napoli Federico II)

 

Domenica 17 settembre 2024

ore 10.30 – 13.00

Dov’era l’Io, fare il ‘noi’. Le alternative

partecipano

Lara Monticelli (docente di Sociologia University College of London)

Marco Rovelli (scrittore e musicista)

Maria Francesca De Tullio (Rete nazionale dei beni comuni)

Marco Bersani (Attac Italia)

 

www.attac-italia.org

  

Costi, prenotazioni e logistica 
COSTI UNIVERSITA’
Importante: nella proposta di pernottamento non è prevista la biancheria da letto e da bagno, che, di conseguenza, deve essere portata dai partecipanti, o può essere affittata in loco al costo di 7,00 euro/persona (biancheria da bagno) e 9,00 euro persona (biancheria da letto)
Soggiorno 2 notti
 1. IN BUNGALOW IN QUATTRO
(monolocali in legno per 4 persone /zona giorno con divano-letto matrimoniale, angolo cottura, bagno con doccia; piccolo separé e due letti singoli)
solo pernottamento: 59 euro a persona
(il prezzo è calcolato su 22 euro/g/persona + 15 euro iscrizione Università)
pernottamento e cena: 109 euro a persona
(il costo della cena -acqua e caffè compresi, vino e altre bevande escluse- è di 25 euro/g/persona)
2. IN BUNGALOW IN TRE
(stesse condizioni di cui sopra)
solo pernottamento: 69 euro a persona
(il prezzo è calcolato su 27 euro/g/persona + 15 euro iscrizione Università)
pernottamento e cena: 119 euro a persona
(il costo della cena -acqua e caffè compresi, vino e altre bevande escluse- è di 25 euro/g/persona)
3. IN BUNGALOW IN DUE
(stesse condizioni di cui sopra)
solo pernottamento: 75 euro a persona
(il prezzo è calcolato su 30 euro/g/persona + 15 euro iscrizione Università)
pernottamento e cena: 125 euro a persona
(il costo della cena -acqua e caffè compresi, vino e altre bevande escluse- è di 25 euro/g/persona)
4. BUNGALOW OCCUPATO DA UNA PERSONA
(stesse condizioni di cui sopra)
solo pernottamento: 125 euro
(il prezzo è calcolato su 55 euro/g/persona + 15 euro iscrizione Università)
pernottamento e cena: 175 euro
(il costo della cena -acqua e caffè compresi, vino e altre bevande escluse- è di 25 euro/g/persona)
5.  IN CAMPER
(stesse condizioni di cui sopra)
solo pernottamento39 euro a persona*
(il prezzo è calcolato su 12 euro/g/persona + 15 euro iscrizione Università)
*al prezzo va aggiunta la quota di 17 euro/g per la piazzola, da dividere fra gli occupanti il camper
pernottamento e cena: 89 euro a persona*
(il costo della cena -acqua e caffè compresi, vino e altre bevande escluse- è di 25 euro/g/persona)
*al prezzo va aggiunta la quota di 17 euro/g per la piazzola, da dividere fra gli occupanti il camper
6.  IN TENDA
(stesse condizioni di cui sopra)
solo pernottamento39 euro a persona*
(il prezzo è calcolato su 12 euro/g/persona + 15 euro iscrizione Università)
*al prezzo va aggiunta la quota di 14 euro/g per la piazzola, da dividere fra gli occupanti la tenda 
pernottamento e cena: 89 euro a persona*
(il costo della cena -acqua e caffè compresi, vino e altre bevande escluse- è di 25 euro/g/persona)
*al prezzo va aggiunta la quota di 14 euro/g per la piazzola, da dividere fra gli occupanti la tenda 
Soggiorno 1 notte
 1. IN BUNGALOW IN QUATTRO
(stesse condizioni di cui sopra)
solo pernottamento: 37 euro a persona
(il prezzo è calcolato su 22 euro/g/persona + 15 euro iscrizione Università)
pernottamento e cena: 62 euro a persona
(il costo della cena -acqua e caffè compresi, vino e altre bevande escluse- è di 25 euro/g/persona)
2. IN BUNGALOW IN TRE
(stesse condizioni di cui sopra)
solo pernottamento: 42 euro a persona
(il prezzo è calcolato su 27 euro/g/persona + 15 euro iscrizione Università)
pernottamento e cena: 67 euro a persona
(il costo della cena -acqua e caffè compresi, vino e altre bevande escluse- è di 25 euro/g/persona)
 
 3. IN BUNGALOW IN DUE
(stesse condizioni di cui sopra)
solo pernottamento: 45 euro a persona
(il prezzo è calcolato su 30 euro/g/persona + 15 euro iscrizione Università)
pernottamento e cena: 70 euro a persona
(il costo della cena -acqua e caffè compresi, vino e altre bevande escluse- è di 25 euro/g/persona)
 
 4. BUNGALOW OCCUPATO DA UNA PERSONA
(stesse condizioni di cui sopra)
solo pernottamento: 70 euro
(il prezzo è calcolato su 55 euro/g/persona + 15 euro iscrizione Università)
pernottamento e cena: 95 euro
(il costo della cena -acqua e caffè compresi, vino e altre bevande escluse- è di 25 euro/g/persona)
5. IN CAMPER
(stesse condizioni di cui sopra)
solo pernottamento27 euro a persona*
(il prezzo è calcolato su 12 euro/g/persona + 15 euro iscrizione Università)
*al prezzo va aggiunta la quota di 17 euro/g per la piazzola, da dividere fra gli occupanti il camper
pernottamento e cena52 euro a persona*
(il costo della cena -acqua e caffè compresi, vino e altre bevande escluse- è di 25 euro/g/persona)
*al prezzo va aggiunta la quota di 17 euro/g per la piazzola, da dividere fra gli occupanti la tenda o il camper.
6. IN TENDA
(stesse condizioni di cui sopra)
solo pernottamento27 euro a persona.
(il prezzo è calcolato su 12 euro/g/persona + 15 euro iscrizione Università)
*al prezzo va aggiunta la quota di 8 euro/g per la piazzola, da dividere fra gli occupanti la tenda
pernottamento e cena52 euro a persona.
(il costo della cena -acqua e caffè compresi, vino e altre bevande escluse- è di 25 euro/g/persona)
*al prezzo va aggiunta la quota di 8 euro/g per la piazzola, da dividere fra gli occupanti la tenda.
Partecipazione senza soggiorno 
In caso di non soggiorno, si paga solo l’iscrizione all’Università, il cui costo, indipendentemente dai giorni di frequenza, è 15 euro.
In questo caso, si consiglia di segnalare per tempo il nominativo, mentre il pagamento verrà fatto direttamente in loco.
 
ISCRIZIONI UNIVERSITA’
 
Le iscrizioni sono aperte sino al 8 settembre 2024 (ma naturalmente è meglio farlo prima possibile). Dopo la data indicata, si dovrà prenotare contattando direttamente il campeggio
Al momento della prenotazione è necessario versare una caparra corrispondente al 20% dell’importo complessivo sul seguente conto bancario :
Conto corrente  intestato a : Attac Italia
Codice IBAN : IT15 Q050 1803 2000 0001 1116 704
specificando nella causale “iscrizione università”
per prenotarsi scrivere a segreteria@attac.org
per ulteriori informazioni: www.attac-italia.org
per contatti diretti: Marco Bersani 3294740620
 
COME RAGGIUNGERE IL POSTO
 
IN AUTOMOBILE
Da nord:
Percorrere l’autostrada A12 fino al casello di Rosignano Marittimo, imboccare la SS1 in direzione Grosseto e uscire a Cecina Centro. Seguire le indicazioni per Marina di Cecina. Percorrere Viale Galliano, fino alla successiva Via della Cecinella.
Da sud:
Percorrere la SS1 in direzione Livorno e uscire a Cecina Centro e seguire per Marina di Cecina.
Percorrere Viale Galliano, fino alla successiva Via della Cecinella.
Da est:
Percorrere la Fi-Pi-Li fino all’innesto sull’autostrada A12, proseguire per Rosignano Marittimo, prendere la SS1 in direzione Grosseto e uscire a Cecina Centro. Seguire le indicazioni per Marina di Cecina. Percorrere Viale Galliano, fino alla successiva Via della Cecinella.
IN TRENO
La stazione di riferimento è Cecina. Distanza 4 km. Dalla stazione partono regolarmente bus navetta che raggiungono Via della Cecinella.
Se sei arrivato fin qui, vuol dire che ti interessa ciò che Attac Italia propone. La nostra associazione è totalmente autofinanziata e si basa sulle energie volontarie delle attiviste e degli attivisti. Puoi sostenerci aderendo online e cliccando qui . Un tuo click ci permetterà di continuare la nostra attività. Grazie”

Officina Claudio Cavazza

Officina Claudio Cavazza

Non ricordo quando è morto Claudio Cavazza. Ho chiesto ad alcuni amici comuni. Niente.
Sappiamo solo che era di Agosto. E di Agosto ne sono già passati tanti e io arrivo tardi. Arrivo troppo dopo.

Claudio non era un tipo tanto simpatico. Chi gli voleva bene doveva impegnarsi.
Litigioso, aggressivo (a parole), polemico, logorroico e pesante come alcuni comunisti di una volta. Fedele alla linea per purezza d’animo verso i suoi ideali non certo per obbedienza.

L’ho conosciuto quando la ex Iugoslavia si è frantumata. In quel periodo molte anime diverse della città, ma con una sorprendente sintonia, avevano creato il Coordinamento Ferrara per la Pace.
E come rappresentante di se stesso, cane sciolto ma sostenitore delle buone cause del branco, c’era anche Claudio.

Voi gente per bene che pace cercate,
la pace per far quello che voi volete,
ma se questo è il prezzo vogliamo la guerra,
vogliamo vedervi finir sotto terra,
ma se questo è il prezzo lo abbiamo pagato,
nessuno più al mondo dev’essere sfruttato.
(Contessa di Paolo Pietrangeli)

Alle riunioni faceva uscite provocatorie: armi, azione, non solo manifestazioni pacifiche ma al dunque, nella pratica, era il primo ad “esserci”.
Aveva un fisico bestiale, due mani grandi, forti che usava per costruire e inventare. FARE!

Poco adatto alla vita famigliare, era un padre che per il figlio ha donato tutto.
Sempre in cerca di una nuova innamorata, ma troppo esigente per trovare la donna giusta.
Si doleva di non essere colto, ma leggeva tanto come un autentico intellettuale e sempre cose serie di politica, sociologia, storia contemporanea, economia.

Ha tentato più volte, con tenacia e pazienza, di alfabetizzarmi alla politica. Poi si è arreso e mi ha assecondato nel mio mondo fatto di confidenze e sentimenti.
Ma oggi lo voglio ricordare, perchè con le sue grandi mani coraggiose ha costruito case, acquedotti, coltivato caffè, mais, andando lontano in diversi paesi del Sudamerica.

Aveva cominciato, ancora ragazzo, partecipando chissà come alla guerra d’indipendenza algerina, depositate le armi, operaio scomodo e ribelle, è diventato padrone di se stesso, creando una sua impresa artigianale, si è dedicato a esperienze locali alternative e di estrema sinistra, che non bastavano alla sua esigente caparbietà.

Vicino alla pensione, stanco di una Emilia Romagna stinta e deludente, si è trasferito a La Spezia, perchè lì c’era ancora chi si batteva da vero comunista. Ha ristrutturato una bella casa a colpi di martello, portando su e giù cariole come vagoni merci. Una casa di pietra a pochi chilometri dal mare, ma al mare non c’è mai stato, non c’era tempo per oziare, assolutamente meglio parlare con la gente.

Compagni, avanti, il gran partito
Noi siamo dei lavorator
Rosso un fior c’è in petto fiorito
Una fede c’è nata in cor
Noi non siam più nell’officina
Entroterra, nei campi, in mar
La plebe sempre all’opra china
Senza ideale in cui spera
(da: L’internazionale)

Quando c’era da fare “una rivoluzione” lui c’era sempre e, direi, pur con tante battaglie vinte, alla fine ha perso, restando, comunque, un combattente indomabile.

È morto solo. A Città del Messico. In ospedale, quando il suo corpo e il suo cuore da gigante ha ceduto.
Arrivava dal Guatemala, dopo aver vissuto e cooperato nel Chapas, con la convinzione che era lì il terreno favorevole per sconfiggere il capitalismo occidentale e le dittature e le povertà del mondo. Aveva questa fiducia rinnovata dalla storia dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale e del Subcomandante Marcos,

Tu amor revolucionario
Te conduce a nueva empresa
Donde esperan la firmeza
De tu brazo libertario
(Hasta Siempre, Comandante di Carlos Puebla)

Ha toccato con mano un sistema in cui si sottolineava l’importanza di essere autonomi rispetto a un governo ingiusto e corrotto. Gli piaceva che non volessero vivere di assistenza, ma grazie a progetti di autoproduzione. Le Aguascalientes (amministrazioni territoriali indigene) vietavano di coltivare e commerciare droga e di trafficare migranti e impegnavano gli abitanti a curare la natura. Le decisioni erano prese con un sistema collettivo e la criminalità trovava poco spazio per infiltrarsi. Gli sembrava di aver ritrovato il comunismo militante.

De pie, luchar
Que vamos va a triunfar
Avanzan ya
Banderas de unidad
(da: El pueblo unido jamàs serà vencido di Sergio Ortega)

Ma dai suoi racconti o dall’idea che mi sono fatta io ascoltando, la storia non è andata proprio così. Io, che non ho voluto leggere i suoi libri o accompagnarlo, non so neppure spiegare bene cosa è successo davvero.
So che, anche lì, ha litigato con i campesinos e i rivoluzionari addomesticati del luogo, perchè all’interno delle Aguascalientes nel tempo si erano abituati al fatto che progetti solidali e dollari li portavano i gringos, che i narcos non si potevano toccare.

Eppure, anche se neppure a loro era del tutto simpatico per il suo assolutismo, ha portato commercio, coltivazioni più redditizie, orti e sistemi rudimentali ma sufficienti di irrigazione, artigianali acquedotti per avere l’acqua in casa, realizzando tutto con pochi danari e molta perizia. Non si è arreso, ha studiato economia e agricoltura, ha cercato alleati esperti in queste cose e ha cercato di educare e dare l’esempio.

Claudio Cavazza, ospite a Storiedimondi, Cies Ferrara

Con le sue grandi mani sapeva fare tutto.

De acero son
Ardiente batallón
Sus manos van
Llevando la justicia y la razón
(da: El pueblo unido jamàs serà vencido di Sergio Ortega)

Il suo corpo da gigante sapeva fare sforzi sovrumani. La sua intelligenza creativa sapeva risolvere ogni difficoltà pratica.
Ma è morto.
Pare in Agosto.

Voleva che la sua vita potesse essere raccontata ma, anche Alberto Melandri, che si era preso la briga di scrivere la non comune vita di questo ingombrante amico è morto, e adesso non si riescono a trovare i pezzi.

Claudio bestemmiava come solo sa fare un comunista di altri tempi, era arrogante, scomodo, stancante e della sua vita pare non ci sia una testimonianza, se non evanescente, tragicomica per un uomo concreto, che dava sostanza e forma ai suoi ideali.

Il mio desiderio per lui? Realizzare un Laboratorio Artigianale o intitolare una Associazione che promuove l’intelligenza delle mani e del costruire con il nome Officina Claudio Cavazza.

Su, lottiam, l’Ideale nostro alfine sarà
L’Internazionale, futura umanità
Su, lottiam, l’Ideale nostro alfine sarà
L’Internazionale, futura umanità
(da: L’internazionale)

Per leggere gli articoli di Giovanna Tonioli su Periscopio clicca sul nome dell’autrice

L’evasione fiscale ci farà perdere lo stato sociale (se non facciamo qualcosa)

L’evasione fiscale ci farà perdere lo stato sociale (se non facciamo qualcosa)

L’evasione fiscale c’è in tutti i paesi del mondo ma in Italia è particolarmente alta. Le stime del Governo stesso indicano circa 87 miliardi annui, una cifra analoga alla spesa pubblica per tutta l’Istruzione, Università inclusa. Ciò è dovuto ad almeno 6 fattori:

  1. la numerosa presenza di lavoratori autonomi e piccole imprese in rapporto ai dipendenti (in Italia solo gli autonomi sono circa 7 milioni  rispetto a 17 milioni di dipendenti, mentre in Gran Bretagna sono 4,3 milioni rispetto a 28,5 milioni di dipendenti). Ovviamente è più facile controllare 4 milioni che 7 milioni di contribuenti, specie se è radicata una diffusa cultura dell’evasione;
  2. il sottofinanziamento atavico delle Agenzie fiscali (Entrate e Guardia di finanza);
  3. la scarsa volontà dei partiti (specie di centro-destra) di usare tutte le 200 banche dati oggi disponibili per fare emergere l’evasione;
  4. una legge sulle successioni che di fatto consente una elusione fiscale (evasione per legge) ai ceti ricchi e più abbienti del paese; lo Stato incassa dalle successioni ogni anno meno di 2 miliardi, mentre potrebbe incassare dieci volte tanto tassando in modo equo chi eredita oltre un milione di euro;
  5. varie leggi che favoriscono sia i ricchi che qui prendono la residenza – paghi al massimo 100mila euro di imposta annua anche su redditi milionari, ora salita a 200mila – sia le imprese (super ammortamenti,…), ma soprattutto lo spostamento nei paradisi fiscali dei profitti. In un recente lavoro basato su dati macroeconomici, Wier e Zucman mostrano come dal 1970 al 2019 la quota dei profitti delle multinazionali spostata verso i paradisi fiscali sia aumentata a livello mondiale dal 2 al 37%, per un ammontare globale di circa 1.000 miliardi di dollari. Negli stessi anni la perdita collegata al profit shifting è passata dallo 0,1 al 10% del gettito mondiale delle imposte sul reddito societario. Per l’Italia, nel periodo 2015-2019, gli autori stimano che dai 20 ai 30 miliardi di utili siano stati trasferiti all’estero, sottraendo circa il 15-20% del gettito dell’imposta sul reddito delle società;
  6. infine, ed è forse la cosa più grave, i ricorrenti condoni che mandano un messaggio esplicito della serie: “se non paghi vedrai che prima o poi, anche se ti beccano, faranno un condono che metterà a posto le cose”. Ora il Governo tenta una nuova strategia: il concordato biennale, facendo pagare solo il 12% sui profitti non dichiarati, se sono però al massimo il 30% in più del dichiarato. Staremo a vedere. “Nullum crimen, nulla poena sine lege”: non a caso negli Stati Uniti il 30% dei detenuti lo è per evasione fiscale. In Italia non c’è nessuno in carcere per gli stessi motivi. Non a caso l’Agenzia delle Entrate ha accumulato 1.200 miliardi di imposte non versate in 25 anni.

Nella tabella che segue sono indicati (fonte Governo e Agenzia Entrate) i livelli di evasione del 2023.

Si potrà notare che per i dipendenti l’evasione è del 2,4%, per gli autonomi del 69,7%. L’evasione delle imposte sui redditi ha la sua corrispondenza poi in una evasione dell’Iva. I contribuenti che dichiarano più di 200mila euro all’anno sono solo 130mila, ma sappiamo che vengono vendute ogni anno oltre 200mila auto di lusso, che ci sono 100mila proprietari di barche da 10 metri in su e sono 5 milioni i proprietari di seconde case e terze case di vacanza.

Molto alta anche l’evasione dell’ IMU (22%) sulle seconde case, specie in alcune regioni del Sud. Esso varia (fonte Corte dei Conti https://www.corteconti.it/Download?id=d829a9c3-96c7-460b-8994-7e96a5ed9603) dal 40% del gettito teorico in Calabria al 10,9% in Emilia-Romagna e presenta valori più elevati nelle Regioni meridionali: Campania 34,3% del gettito teorico, Sicilia 33,3% e Basilicata 31,2%. Valori più bassi si osservano, invece, in Valle d’Aosta 11,5%, in Liguria 13,5% e nelle Marche 14,3%. Qui sono i Comuni inadempienti (scambio elettorale) a riscuotere le imposte. Ancora peggio vanno le cose per i Comuni del Sud per le tariffe dell’acqua (per quelli che la gestiscono in house, cioè di loro amministrazione), per le tariffe degli asili nido e scuole infanzia (quelle poche che ci sono), per le mense scolastiche e gli affitti degli immobili comunali, la tassa sul suolo pubblico. Si riscuote in media il 65%, ma per i Comuni calabresi si scende al 31-35%, in Campania al 40-47%, in Lazio al 50-57%. Oggi una parte degli ammanchi viene coperto dallo Stato, ma con l’autonomia differenziata questo trasferimento cesserà. Al Sud come noto la base imponibile è minore che al Nord. Bassa base imponibile, non volontà di riscuotere le imposte e incompetenza amministrativa portano a chiedere la procedura di dissesto finanziario in 139 Comuni dal 2019 al 2023, quasi tutti in Sicilia, Campania, Calabria e Lazio.

(Per sapere chi sono, si veda la cartina a pag. 372 del rapporto (citato) della Corte dei Conti per gli anni 2021-22-23).

Il problema è che il Governo attuale di centro-destra (si veda il rapporto 2023 sull’evasione del Ministero dell’Economia https://www.mef.gov.it/documenti-pubblicazioni/rapporti-relazioni/index.html#cont_7) è costretto a trovare risorse per finanziare alcuni benefici che vuole riconoscere ai ceti deboli e medi, ma senza tassare i ricchi e dovendo subire l’austerity imposta dall’Europa per rientrare dal debito pubblico, che impone una riduzione della spesa di 12 miliardi all’anno per 7 anni. Altri 11 miliardi servono per confermare lo sgravio fiscale al Sud per le assunzioni (fino a 35mila euro all’anno); altri ancora ne servono per il riconfermare il cuneo fiscale.

Per fortuna, le entrate nei primi sei mesi del 2024 vanno molto bene (+10 miliardi sul 2023) per via dell’aumento degli occupati dipendenti, da cui arrivano automaticamente imposte e oneri sociali obbligatori, e soprattutto per le dichiarazioni dei redditi di chi è stato coinvolto nel superbonus 110% (ingegneri, geometri, architetti, elettricisti, idraulici, imprese edili, altri fornitori) che, almeno, sono stati obbligati (coi “bonifici parlanti”) a dover certificare le spese e quindi impossibilitati all’evasione fiscale. Ciò spiega perché le dichiarazioni dei redditi dei geometri, ingegneri, elettricisti ed idraulici siano lievitate dal 2019 al 2022, mentre questo fenomeno non si è avuto nelle altre categorie (commercialisti, dentisti, baristi,…). Ci sono molte categorie dove il reddito dichiarato è ancora minore di quello di un dipendente, il che non corrisponde al vero – senza nulla togliere ai maggiori orari di lavoro e alle responsabilità di avere una propria impresa, con tutte le incertezze e i rischi correlati. Lo “scambio” in Italia è l’elevata evasione fiscale di molti piccoli, medi e grandi imprenditori che da sempre sono un bacino elettorale soprattutto dei partiti di centro-destra.

Il Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia ha elaborato un rapporto con dati inediti delle dichiarazioni sia di persone fisiche sia di società di persone e di capitali (dal 2019 al 2022) e anche con un dettaglio territoriale da cui emergono anomalie clamorose. Il primo aspetto (già citato) fa vedere che se si creano modalità obbligatorie per evitare o ridurre l’evasione, le dichiarazioni quasi raddoppiano (da 36mila a 61mila per elettricisti ed idraulici) che ora dichiarano più dei dentisti, avvocati, ingegneri e quasi come i commercialisti. Bar e pasticcerie dichiarano di guadagnare mille euro al mese, ma se si toglie Bolzano e Milano scendono in media a 750 euro al mese. Il caso dei balneari è clamoroso, anche perché usano un’area demaniale da decenni (c’è chi la usa anche da 100 anni) e non solo si rifiutano di tornare a gara – pur con le indennità in caso di perdita dell’esercizio che sono dovute per gli investimenti fatti – ma anche di pagare un minimo di imposte. I dati per provincia mostrano differenze clamorose che solo in piccola parte sono imputabili ai maggiori ricavi delle città più ricche: per cui a Bolzano un dentista dichiara in media 134mila euro, a Roma 44mila, come a Potenza e Campobasso. Vale anche per i tassisti, dai 27mila di Venezia-Mestre ai 20mila di Firenze e Bolzano, ai 19mila di Milano e agli improbabili 10mila di Roma e 9mila di Napoli e Palermo.

Una volta questi dati venivano distribuiti anche per ogni provincia ma, suscitando proteste e malumori in chi versava correttamente le imposte, si è deciso di non farlo più. Ora i dati ci sono ma vengono forniti solo in forma aggregata e ai giornalisti oppure te li devi elaborare tu perdendo ore di lavoro: viva la trasparenza!

(Fonte: Dipartimento Finanze, Ministero dell’Economia su dati Agenzia Entrate, 2024).

In conclusione e come si potrà vedere leggendo i dati:

  1. l’evasione rimane alta ma si sta riducendo per la crescente informatizzazione e per le necessità dei Governi di finanziare riduzioni fiscali per chi paga alte imposte;
  2. è cresciuta la possibilità di evadere le imposte da parte delle grandi imprese e multinazionali ma ora crescono azioni internazionali ed europee tese a limitare questo gravissimo fenomeno, dovuto ad una voluta globalizzazione senza regole;
  3. l’impoverimento in atto dei ceti medio-bassi che pagano le imposte costringerà, prima o poi, i Governi a dover ridurre l’evasione o tassare i super ricchi, se non si vuole smantellare il welfare state, cioè la più grande conquista sociale dell’Europa degli ultimi 75 anni.

 

Storie in pellicola / In CORTO d’Opera

Grande cinema in piccolo formato: un’ampia offerta dedicata al cortometraggio, forma espressiva che rappresenta un laboratorio di linguaggi, sguardi e temi tra i più vivi, sperimentali e innovativi del panorama cinematografico e audiovisivo.

Un ricco panorama di personaggi e di storie raccontate da registi emergenti o affermati, che declinano una grande varietà di stili narrativi e di punti di vista sulla nostra realtà: il 22 giugno è partito “In corto d’opera”, un progetto dedicato ai cortometraggi, realizzato in collaborazione con Rai Cinema, che riguarda diversi canali Rai.

I corti saranno in onda in prima visione assoluta in seconda serata su Rai 3 (il venerdì) e su Rai 5 (sabato e giovedì). Si è partito con “Il barbiere complottista” e l’opera prima “Being My Mom”. Oggi, su RaiPlay, è disponibile l’intera collezione di 36 corti.

“In corto d’opera” vuole essere il primo passo della Direzione Cinema e Serie Tv per valorizzare l’attività di Rai Cinema che da anni svolge un fondamentale lavoro di scouting e selezione di cortometraggi. È realizzato in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, con cui Rai Cinema ha definito un accordo per l’acquisto dei cortometraggi di diploma degli studenti della Scuola Nazionale di Cinema nell’intenzione di aprire uno spazio di visibilità e promozione sulle reti e sulle piattaforme Rai a tutti gli allievi del terzo anno.

L’iniziativa, a cura di Marta Lauro e Vanessa Strizzi, nasce dal desiderio di dar luce ai lavori di registi emergenti e anche affermati, per creare un appuntamento fisso dedicato al cortometraggio, forma espressiva che rappresenta un laboratorio di linguaggi, sguardi e temi tra i più vivi, sperimentali e innovativi del panorama cinematografico e audiovisivo.

La proposta editoriale accoglie più generi e argomenti, proprio per offrire una visione quanto più articolata della realtà dei corti italiani.

Molti i titoli da scoprire. Tra questi, “Il barbiere complottista” di Valerio Ferrara – ex allievo del Centro Sperimentale di Cinematografia e vincitore di prestigiosi premi e competizioni come la sezione Cinef del Festival di Cannes – che in maniera ironica, racconta quanto una teoria, se pur assurda, sia in grado di diffondersi e diventare virale e credibile.

Oppure due corti, invece, che ruotano intorno ad una delle pagine più drammatiche della nostra storia: “Butterflies in Berlin” e “Venti minuti” parlano, da punti di vista differenti, dell’odio e della discriminazione vissuti durante il Secondo Conflitto Mondiale.

Sulla diversità, e nello specifico sulla disabilità motoria, è invece costruito “Torto marcio”, che ironizza sul senso civico delle persone, mostrando quanto basterebbe un giusto rispetto del prossimo a prescindere della sua condizione fisica. La diversità include anche il colore della pelle, come raccontano le due opere “Capitan Didier” e “Come a Mìcono”, al cui centro sono rispettivamente l’importanza dei sogni di un bambino di origine subsahariana e il valore dell’accoglienza di un paese italiano del Sud.

Alternando comicità e dramma, “Tre volte alla settimana” e “Tria – Del sentimento di tradire” indagano le insidie nascoste nelle relazioni familiari, descrivendo come la dipendenza dal gioco, il pettegolezzo o ancora strane usanze e tradizioni rischiano di far perdere di vista le cose più importanti.

Con “You – Story and Glory of a Masterpiece”, “Beauty” e “Unica” si viaggia invece verso una versione distopica, fantastica e talvolta anche spaventosa della realtà.

Mentre è altrettanto paurosa, ma stavolta tristemente reale, la dimensione che vivono le protagoniste di “Corpo unico” di Mia Benedetta, con Vittoria Puccini, e di “Big” di Daniele Pini, corti che denunciano il tristemente attuale tema della violenza sulle donne.

Da ricordare anche il corto Marco Bellocchio, del 2021 “Se posso permettermi” con Fausto Russo Alesi e Pier Giorgio Bellocchio. Un uomo che si aggira per le strade di una cittadina di provincia interpellando donne sconosciute e dispensando osservazioni impietose che rivelano vizi e limiti nascosti nel loro animo.

Molte (altre) le sorprese da scoprire. Un bellissimo progetto.

APPUNTAMENTO SU RAIPLAY: https://www.raiplay.it/collezioni/incortodopera

 

La cura del futuro

La cura del futuro

«È più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo». Così scriveva il filosofo Mark Fisher, rendendo palese una contraddizione fondamentale che attraversa il tempo presente. L’economia capitalistica è senza dubbio il “sistema” che domina il nostro pianeta e la nostra società umana e contemporaneamente, mentre produce una massa imponente di beni effimeri destinati a diventare rifiuti e una concentrazione di ricchezza finanziaria per élite, sta consumando rapidamente il futuro di tutte e tutti. Che in gioco ci sia il futuro, nel senso più profondo del termine, è sotto gli occhi di tutti.

La guerra sembra ormai divenuta lo strumento privilegiato della riorganizzazione dei rapporti di forza geopolitici a livello planetario, e quanto sta succedendo sia in Ucraina, sia in Medio Oriente rischia di rendere reale la possibilità di un terzo conflitto mondiale. La crisi eco-climatica ha ormai raggiunto livelli ben oltre la soglia di guardia, e mentre investe quotidianamente l’esistenza di tutte le persone, rischia a breve di rendere inabitabile il pianeta per sempre più estese fasce di popolazione. La disuguaglianza sociale sta toccando dimensioni sinora mai conosciute e, smascherando la narrazione del capitalismo come “migliore dei mondi possibili”, sta di fatto polarizzando le esistenze delle persone nella divisione in vite degne e vite da scarto. La democrazia, resa orpello formale dei grandi interessi finanziari, non solo viene espropriata, ma rischia addirittura di smettere di essere desiderabile per le fasce più svantaggiate della popolazione.

Nonostante queste evidenze, l’idea che il modello capitalistico sia una costruzione storica e non una dimensione metafisica dell’esistenza umana fatica a trovare spazio e, dentro le culture dominanti, in maniera trasversale agli schieramenti politici, resta preponderante la convinzione che l’insieme di queste crisi non abbia alcuna pregnanza “sistemica”, ma che, al contrario, saranno ancora una volta il mercato e le innovazioni tecnologiche (questa volta “green” e “digital”) a rimettere il mondo sui giusti binari.

«Non è possibile risolvere i problemi utilizzando lo stesso modello di pensiero che li ha creati» diceva Albert Einstein, chiarendo come il problema non sia solo rimettere il mondo sui giusti binari, ma porre radicalmente in discussione la direzione verso la quale quei binari portano.
Ciò che oggi sembra mancare non sono tanto le lotte, le vertenze, le pratiche che suggeriscano nuove modalità di organizzare le relazioni sociali, bensì la fiducia in un orizzonte di cambiamento generale, fuori e oltre la dimensione capitalistica. È come se il modello fosse una moderna versione dell’Idra dalle molte teste e che ogni lotta e conflitto ne affronti una, quella che più direttamente l’attacca, pensando tuttavia come impossibile colpirne il corpo, impedendone così la riproduzione.

È proprio su questo terreno che vanno invece avviate due rivoluzioni culturali.
La prima serve a rovesciare la “cosmogonia” della narrazione liberista, che considera l’economia come l’universo dentro il quale tutto accade, la società come un luogo unicamente deputato all’estrazione di valore, la natura come serbatoio esterno da cui estrarre beni all’infinito. L’inversione di rotta deve al contrario affermare come la natura sia l’universo dentro il quale tutto accade, la società sia il luogo dove le persone decidono come organizzare la vita comune e l’economia torni ad essere semplicemente il luogo dentro il quale la società determina come produrre e scambiarsi beni e servizi.
La seconda rivoluzione culturale serve a rovesciare l’ideologia liberista dell’autonomia dell’individuo. Una narrazione che esalta l’indipendenza e che favoleggia dell’uomo artefice del proprio destino e dell’uomo ‘che non deve chiedere mai’. Uomo non a caso, verrebbe da dire. Perché la vita reale non è fatta di indipendenza, bensì di relazione«Un infante senza una madre non sopravvive» scriveva lo psicanalista inglese Donald Winnicott, segnalando come, sin dalla nascita, la nostra sopravvivenza sia possibile solo ed esclusivamente dentro una relazione di cura. Allargando questo orizzonte, potremmo dire che neppure la diade infante-madre potrebbe sopravvivere senza una natura che fornisca loro acqua e nutrimento.

È dunque il paradigma della cura – di sé, dell’altra, dell’altro, del vivente, del pianeta – quello su cui può essere riorganizzata una società capace di futuro e radicalmente alternativa a quella attuale, basata sul paradigma del profitto. Si tratta di ripensare un altro modello ecologico, sociale e relazionale a partire dal prendersi cura di come riconoscimento della vulnerabilità dell’esistenza e dell’interdipendenza fra le persone e fra queste e la natura dentro la quale sono immerse. E si tratta del prendersi cura con come nuovo fondamento della relazione sociale e base di una nuova democrazia.

Forse è proprio il paradigma della cura così inteso a poter diventare l’elemento di convergenza di tutte le culture ed esperienze altre: sia perché rappresenta ciò di cui c’è assoluto bisogno in un momento storico in cui è a rischio l’esistenza della vita umana sulla Terra, sia perché intorno a quel paradigma è possibile costruire una nuova società, che sia ecosocialista e femminista invece che capitalista e patriarcale; equa, inclusiva e solidale invece che predatoria, escludente e diseguale.

Approfondiremo queste riflessioni nella sessione estiva dell’Università di Attac Italia, che si terrà a Cecina Mare (Li) il 13-15 settembre prossimi (https://attac-italia.org/universita-estiva-di-attac-2024-la-cura-del-futuro/).

 

Questo articolo è già apparso con altro titolo su Volere la luna  il  12 agosto 2024

Parole a Capo
Margherita Bigoni: alcune poesie tratte da “Questo tempo”

La poesia deve avere in sé qualcosa che è barbaro, immenso e selvaggio.”
(Denis Diderot)

 

MI DISSOCIO DA ME STESSA

 

Mi dissocio da me stessa
La nostalgia mi è entrata dentro
E non sento altro
Che i suoi aghi nel petto.
Vorrei scappare
Da questo dolore intenso
E vorrei abbracciare
La mia famiglia intera.
So che la mia esperienza
E la mia prospettiva
Sono date da ciò che
Mi incute sofferenza e timore
La mia vita
Non sarà
Più
La stessa?

Da un lato
Sapere che tutto sta cambiando
Mi rincuora,
Ma questo stesso cambiamento
Che avviene sotto la mia pelle
Mi fa orrore.
Vorrei avere il coraggio
Ma tremo
In questo letto che non è il mio.
Non so più chi sono
E non so cosa diventerò.
Rimango aggrappata
Alle lenzuola di casa mia.
Il dolore che provo
Non è così terribile, vero?
Ai miei occhi
Sto perdendo
Tutto ciò che ho di certo.
Distanza da me stessa
Distanza dalla terra.
Io mi appartengo.

 

*

 

VOCE

 

Lei è
Una voce
Pronunciata
Con gli occhi
Di chi ascolta
La terra
Con mani
Piene di fiori.

 

*

 

PEZZI

 

Stacca pezzi
Della sua stessa carne
E li dà in pasto
Al mondo rovesciato.
Spera di vedere
Se stessa
Tutti insieme
E di formarsi una vita
Dove il mondo
E le cose dell’universo
Le appartengano
Così come
Nel cielo
Il fenomeno delle nuvole.
Si distacca, si contorce, e si ricompone.
Tutta è sua.

 

*

 

INTOLLERANZA

 

Questo inesprimibile senso
Di soffocamento
Ha dove appoggiarsi.
È forse l’odore di morte
O l’ingiustizia di anime
Uccise e violate.
Come posso
Aver fiducia
Di un mondo fallito?
I mostri uccidono
Ma nessuno – tranne coloro che non esistono più –
Ne pagano le conseguenze.
È giusto così?
Come fai a respirare?
Fermiamo il tempo
Così da non poter più
Commettere errori.
Cosa può fare una parola
Contro una bomba?
O contro un soldato
Pronto a fucilarti?
Guardano gli altri
Ma c’è bisogno di rumore,
Un urlo mondiale,
Più forte dello scoppiare dei bombardamenti,
Un urlo comune
Per fermare
Il genocidio
Ingiusto, intollerabile,
Chi tace e non muove un dito
Ha già ucciso.

 

*

 

NON È COLPA TUA, È GRAZIE A TE

 

Ho vissuto tutta la mia vita
Soffocando tra
I sensi di colpa
Per chi credevo di essere
E la vergogna
Per chi diventavo ogni giorno.
Te lo devo dire:
tu non sei la malattia.
Tu non sei quella definizione di sofferenza.
Non è colpa tua.
Lo so che non fa
Alcuna differenza
Finché non ci credi anche tu.
Quando ti libererai da quel peso
Capirai così tante cose
E la tua anima
Si infiammerà di vita.
E sarai in grado
Di vedere con i tuoi occhi
Quanto la vita ti può dare.
Potrai sentire così forte
L’amore che ti meriti
E tutto il tuo essere
Sarà un giardino
Dove le radici delle piccole cose della vita
Cresceranno
Rendendoti così orgogliosa
Di essere chi sei
Ogni giorno.
Ci saranno
Così tanti fiori
Che coglierli
Non sarà un peccato
Perché
Stai vivendo la tua vita.

 

Margherita Bigoni è nata a Ferrara nel luglio del 1997, ha una grande passione per la lettura di romanzi e di poesie. Ha iniziato a scrivere sin da piccola nei suoi vari diari, per poi passare a racconti e poesie che esprimono i suoi stati d’animo e ciò che le accade. Tutto ciò che scrive è dovuto ad un impulso istintivo, un bisogno naturale di tirare fuori ciò che inizialmente nasconde, che le brucia dentro. Ha scritto e autopubblicato tre raccolte di poesie (“Mani fragili”, “Qualsiasi cosa accada, io rimango qui”, “Questo tempo”) e una raccolta di racconti intitolata “Alcune parti di me”.

La redazione di “Parole a capo” informa che è possibile inviare proprie poesie all’indirizzo mail: gigiguerrini@gmail.com per una possibile pubblicazione nella rubrica. 

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio. Questo che leggete è il 243° numero. Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.

 

 

MOSTRA
Focus sul Centro Video Arte di Ferrara al museo MamBo di Bologna

Uno speciale evento espositivo che racconta l’esperienza pioneristica del Centro Video Arte di Ferrara: è quello offerto in questo momento dal MamBo, il Museo d’Arte Moderna di Bologna. Meritevole il fatto che uno dei più importanti musei di arte moderna e contemporanea d’Italia dedichi un approfondimento all’esperienza ferrarese. La rassegna è allestita in una delle sale del percorso museale permanente, collocato all’interno di quelli che erano gli spazi industriali dell’ex Forno del pane, in via Don Minzoni, facilmente raggiungibile dalla centrale via Indipendenza.

“Una ricerca polivalente. Esperienze dal Centro Video Arte di Ferrara” è il titolo della mostra  inaugurata giovedì 27 giugno e visitabile fino a domenica 13 ottobre 2024 al MamBo. Ad ospitare un riassunto del percorso video-artistico compiuto dal centro ferrarese è la Project Room, lo spazio riservato a quei fenomeni, eventi, personalità o organizzazioni che hanno avuto un ruolo fondamentale nella recente storia culturale di Bologna e dell’Emilia-Romagna.

Centro video arte – Una ricerca polivalente foto ODeCarlo

Il progetto è realizzato attraverso la collaborazione tra il museo bolognese e le Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara. È curato da Chiara Vorrasi, conservatrice responsabile delle Gallerie ferraresi, e Uliana Zanetti, responsabile del patrimonio del MamBo. L’intendimento – spiega una nota del Settore Musei Civici di Bologna – è quello di “celebrare le attività, a circa cinquant’anni dalla fondazione e a trenta dalla chiusura, del Centro Video Arte di Ferrara, unica istituzione artistica espressamente dedicata in Italia alla produzione di video-tape. Ideato da Lola Bonora nel 1973, e da lei stessa guidato per l’intero corso della sua durata, il Centro Video Arte diviene sin dal suo esordio parte integrante della Galleria Civica d’Arte Moderna di Ferrara diretta da Franco Farina“.

Tra i diversi percorsi intrapresi dal Centro Video Arte diretto, l’esposizione si concentra su due aspetti: la video-registrazione di performance e la realizzazione di opere d’arte in forma di video-installazioni e video-sculture. A testimonianza di questi aspetti sono stati selezionati i lavori di alcuni degli artisti più esemplificativi che hanno gravitato attorno alle esperienze del centro ferrarese.

Particolare dell’allestimento
Opere del centro video arte di Ferrara
La Project room del Mambo – foto ODeCarlo

Ecco allora la sequenza di disegni su cartoncino di uno degli artisti italiani più celebri nell’ambito delle videoinstallazioni come Fabrizio Plessi. Firmata da Maurizio Camerani la grande video-scultura, che già alla fine degli anni Ottanta anticipava tematiche ambientali per un artista che è stato tra i più giovani rappresentanti del movimento e che in questi anni ha continuato ad esporre su tutto il territorio nazionale. La video-installazione di Enzo Minarelli, “La Bandiera” (1989), indaga invece gli aspetti, cari a questo autore, che riguardano la poesia sonora e visiva. Completano l’esposizione le proiezioni video, fruibili da due monitor di vecchia generazione. Attraverso uno di questi apparecchi il visitatore può prendere visone del documentario a colori che illustra “Tempo liquido” di Fabrizio Plessi (1990), “Il filo di Arianna” di Claudio Cintoli (1974), “The Box of Life” di Federico Marangoni (1978). Un altro monitor consente di visualizzare il videotape sulla “Discussione sulla struttura e sulla sovrastruttura” di Giuseppe Chiari (1977), la pellicola in 16 mm del regista e pittore Sylvano Bussotti legato al gruppo Fluxus e a John Cage che documenta “RARA (film) guardato al pianoforte dall’Autore” (1978) e “Sentire/Ascoltare” di Claudio Ambrosini (1979).

Sala dedicata al Centro ferrarese alla 1.a Settimana internazionale della Performance
Performance di Abramovic-Ulay alla Galleria d’arte moderna bolognese nel 1977

Per il MamBo e per i musei civici bolognesi questo omaggio non è comunque un episodio isolato. Una sezione documentaria stabile collocata al piano rialzato del MamBo – sullo stesso livello dove sono esposte le collezioni del Museo Morandi – racconta l’esperienza del Centro Video Arte ferrarese in tre teche dedicate a momenti diversi.

Ci sono pannelli fotografici che testimoniano come il Centro Video Arte fu ospite insieme agli ‘scandalosi’ performer Marina Abramovic e Ulay della prima Settimana Internazionale della Performance, curata nel 1977 da Renato Barilli in collaborazione con Francesca Alinovi, Roberto Daolio e Marilena Pasquali alla Galleria d’arte moderna bolognese, in sinergia con lo svolgimento dell’allora neonata Arte Fiera di Bologna.

Cataloghi sull’esperienza Video Arte (GioM)

Un’altra teca di questa parte artistico-documentale è dedicata ai cataloghi dell’attività di Video Arte. Un reperto riguarda la mostra su questo tema realizzata nel 1980 a Torino. Un altro documenta la mostra dedicata al periodo che va  dal 1973 al 1979, esposta a Palazzo dei Diamanti di Ferrara nel 2015.

Articolo di Dede Auregli (fotoGioM)

Un articolo della fine degli anni Settanta, a firma della critica d’arte e curatrice Dede Auregli inquadra in maniera emblematica l’eco suscitata dall’esperienza ferrarese nell’universo culturale e artistico nazionale. Il ritaglio, è tratto da una pagina del quotidiano “l’Unità” del 24 marzo 1978, ed è una prestigiosa testimonianza del riconoscimento della pioneristica attività ferrarese e del luogo che ne ospita le attività, elogiato fin dal titolo come “Un gioiello di nome ‘Sala polivalente'”.

La Palazzina Polivalente ‘gemella’ di quella che ospita Spazio Antonioni, a Ferrara

L’esposizione in corso fino all’autunno sul Centro di Video Arte è completata dal grande pannello sulla “Cronologia” che segna le tappe storiche del lavoro prodotto da Ferrara in ambito video-artistico. Si parte dal 1973, quando Lola Bonora e Carlo Ansaloni vengono incaricati dal presidente della Regione Emilia-Romagna per sperimentare l’uso documentario del video. Altra tappa quella del 1977 con appunto l’apertura della Sala Polivalente, anch’essa diretta da Lola Bonora, accanto a Palazzo Massari, nuova sede della Galleria Civica d’Arte Moderna di Ferrara, che permette di ampliare la programmazione con performance, spettacoli musicali e teatrali, letture di poesia, rassegne cinematografiche. Importante il punto segnato nel 1980, quando la Videoarte approda a Torino con una mostra, dove sono incluse le opere monocanale di Lola Bonora, Maurizio Bonora, Claudio Cintoli, Maurizio Cosua, Janus, Klara Kuchta, Christina Kubisch, Giuliano Giuman, Franco Goberti, Lorenzo Lazzarini, Elio Marchegiani, Armando Marrocco, Fabrizio Plessi, Angela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian, Gretta Sarfati, Guido Sartorelli, Nanda Vigo e William Xerra, Claudio Zoccola.

Andy Warhol a Ferrara nel 1975 intervistato da Franco Farina e Lola Bonora

Un’opera che potrebbe essere utile integrare nel rilancio di quell’esperienza è il lavoro curato in tempi recenti dalla docente dell’Università di Ferrara Patrizia Ada Fiorillo, che ha in qualche modo sancito la consacrazione storico-accademica dell’attività culturale e artistica di Palazzo dei Diamanti e del contiguo Centro di Video Arte di Ferrara. Quasi 25 anni dopo il termine di quell’esperienza, la docente di Fenomenologia dell’arte contemporanea di Unife ha deciso di avviare uno studio sistematico di ricerca e documentazione. Per far questo ha coinvolto diversi altri studiosi e collaboratori. Ne è uscito il volume “Arte contemporanea a Ferrara” (Mimesis edizioni) a cura appunto della professoressa Fiorillo, che nel 2017 ha avuto il grande merito di fissare una testimonianza articolata e filologicamente strutturata sul ruolo propulsore svolto da Palazzo dei Diamanti in ambito artistico-intellettuale, che rende Ferrara protagonista di quanto di più innovativo accade in quegli anni in Italia e nel mondo. Particolare attenzione è infatti data al periodo che dal 1973 al 1993 fu segnato dalla direzione di Franco Farina per le Civiche gallerie e di Lola Bonora per il Centro di Video Arte. Io stessa ho avuto il compito di evidenziare le forti risonanze nazionali e internazionali del lavoro che veniva fatto a Ferrara. Nel capitolo dedicato a “La comunicazione, la stampa e l’editoria” sono venuti fuori i tanti e prestigiosi attestati di stima arrivati da critici, giornalisti e intellettuali attraverso pagine di giornali, magazine. Ma anche lettere e scambi personali che dalla direzione di corso Ercole d’Este si diramano nel mondo, da Parigi a New York. Per dei pionieri multimedia ante-litteram.

ANSA ULTIM’ORA: “DETURPATA LA STATUA DEL GENERALE VANNACCI”

ANSA ULTIM’ORA: “DETURPATA LA STATUA DEL GENERALE VANNACCI”

Durante l’inaugurazione, mediante caduta del telo che la ricopriva, della statua dedicata al generale Vannacci, fortemente voluta dal Sindaco leghista e da tutto il Consiglio comunale di Cieloduro, ridente paese alle pendici delle Alpi Orobiche, le autorità ed il pubblico presente hanno potuto constatare che l’opera d’arte era stata violata da ignoti durante la notte.

Julius Erving ABA

La statua, rigorosamente in marmo bianchissimo, allo scopo di evitare il poco italico colore nero del bronzo fuso, appariva ora interamente ricoperta da uno strato di nerissima pece. Il basco d’ordinanza, probabilmente rimosso con uno strumento da taglio a batteria, sostituito da una parrucca riccia, nera e cespugliosa, su imitazione della chioma “Afro” di Julius Erving, quando militava nella scomparsa lega di pallacanestro statunitense ABA.

Allo stesso modo il fucile d’assalto, che l’artista altoatesino Hans Adler, stimato Maestro dell’Accademia ariana “Scultori bianchi”, aveva scolpito fra le braccia del generale, è stato rimosso e sostituito dal pallone da basket, a spicchi bianchi, rossi e blu, della sopraccitata lega.

Il generale Vannacci, ai microfoni della rinnovata E.I.A.R., ha rivelato che una dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Namibia e Gabon Sud Occidentale, oscuri – in quanto neri, cioè oscuri – mandanti dell’orrendo crimine contro l’italianità, insita nell’opera che lo rappresenta.

Intanto, nel piccolo paese di Cieloduro, è caccia agli esecutori del misfatto.

I cani molecolari hanno fiutato una pista a Monza, dentro l’Autodromo, mentre i rilevamenti e la ricostruzione dell’opera in origine, mediante AI, da parte dei RIS di Parma, hanno portato alla scoperta che la statua non rappresentava affatto l’italianità, prima della deturpazione, ma piuttosto Enresto Che Guevara in Bolivia, o al massimo Silvio Berlusconi con la bandana, dopo il trapianto dei capelli.

Saputa la notizia, il generale è diventato nero dalla rabbia, si è dimesso dal partito, e c’è chi giura di averlo sentito intonare ripetutamente, chiuso in bagno, da solo: “Vorrei la pelle nera”…

Per leggere gli altri articoli, racconti e parodie di Stefano Agnelli clicca sul nome dell’autore

Parole e figure / “Finestre”: perché le cose sono spesso diverse da come appaiono

Una sera, una ragazzina si affaccia al davanzale di casa sua e inizia a curiosare oltre le finestre del palazzo di fronte. Ma che cosa sono le ombre che intravvede?

Forse quelle ombre… non sono davvero quello che sembrano!

“Finestre”, di Lola Svetlova, edito da Carthusia, è uno di quei grandi libri senza parole, che racconta storie attraverso la sola magia delle immagini.

È il vincitore dell’undicesima edizione del Silent Book Contest Gianni De Conno Award 2024, primo concorso internazionale dedicato al libro senza parole, un’impegnativa scommessa per il mondo internazionale dell’illustrazione: gli illustratori sono chiamati a partecipare a un concorso per la realizzazione di un libro “silenzioso” e valutati da un’importante Giuria Internazionale.

“Siamo arrivati all’undicesima edizione di questo straordinario concorso che ogni anno dà voce e spazio a illustratrici e illustratori provenienti da tutto il mondo che hanno la voglia e il coraggio di cimentarsi nella creazione di un silent book. La qualità dei lavori quest’anno era davvero alta e la giuria degli esperti ha avuto difficoltà a selezionare i finalisti” spiega Patrizia Zerbi, editrice di Carthusia, membro della giuria e responsabile del SBC.

“L’albo illustrato vincitore di questa edizione, “Finestre”, ci ha colpito per lo stile deciso e la tematica molto attuale: in un’epoca in cui pregiudizi e stereotipi sembrano avere la meglio nella formazione delle nostre opinioni, l’autrice ci ricorda che spesso è importante cambiare prospettiva e non fermarsi alle apparenze.”

La narrazione di inizia nel buio della camera da letto di una ragazzina che trascorre la serata affacciata al davanzale e osserva cosa succede nelle stanze illuminate della casa di fronte, dove si muovono delle strane ombre che sembrano qualcosa… ma in realtà sono tutt’altro!

Sembra un topolino o una signora che fa la magia ma è una giovane che mangia sushi, oppure una copia che litiga mentre sono ragazzi che ballano. Un coccodrillo, un alieno? Ma noo…

In un vero e proprio “gioco” per immagini, con le sue figure ricche e simpatiche dai tratti e colori decisi, dai tratti quasi infantili, questo silent book racconta l’importanza di non fermarsi ai primi sguardi e di non farsi ingannare dagli stereotipi.

“L’idea è partita dalla mia passione per la psicologia e le dinamiche sociali, che mi ha portato a raccontare una storia che fosse allo stesso tempo divertente ma anche profonda, che spiegasse che al di là del velo della percezione possono nascondersi cose straordinarie” racconta l’autrice Lola Svetlova. “La partecipazione al concorso nasce dalla mia convinzione che i libri per bambini non siano solo una forma d’arte, ma una missione verso un futuro migliore. Ci tenevo molto a partecipare a questo viaggio di trasformazione”, conclude.

Un tenero e divertente libro senza parole, che ci racconta in modo giocoso che a volte le cose vanno ben al di là delle apparenze. Anzi, spesso.

Dedicato “a tutti coloro che sono stati oscurati da stereotipi e fraintendimenti”.

Lola Svetlova vive ad Almaty, in Kazakistan, ed è un’artista di professione, autrice e illustratrice con la passione per i libri per bambini. I suoi lavori si distinguono per palette di colori caldi e tecniche di supporto miste.

Le voci da dentro /
Dino Tebaldi: “Il tam tam che spaventa” (1995)

Dino Tebaldi (1935-2004)

 

Il maestro Dino Tebaldi, in questo quarto capitolo del libro “Dietro le sbarre”, racconta con la sua caratteristica abilità narrativa i timori dei suoi alunni della scuola carceraria in merito alla possibilità di una espulsione dall’Italia “che li può rimandare nell’inferno dal quale sono fuggiti, illusi che in Italia ci fosse il paradiso”. Il suo stile inconfondibile riesce a coinvolgere pienamente il lettore senza costringerlo ad inventarsi giudice.
(Mauro Presini)

 

Il tam tam che spaventa

di Dino Tebaldi 

Sono entrati in aula già spaventati, ma a me non hanno detto che cosa li spaventava. Tra loro borbottavano in arabo, ed io ero escluso dalla conversazione.
Si sono accorti del mio imbarazzo, ed uno ha rotto il ghiaccio: “È vero che tutti espulsi da Italia?“.
Ecco il problema!
Radio, televisione ne parlano da giorni, a tutte le ore, con accenti drammatici. I giornali aggiungono la loro, anche se qui arrivano a pochi.
I detenuti hanno sentito, carpito, e capito qualcosa.
Il tam tam delle carceri ha detto il resto: quasi certamente più del dovuto.
E tutti si sono spaventati per una espulsione che li può rimandare nell’inferno dal quale sono fuggiti, illusi che in Italia ci fosse – e, nascosto, ci sia – il paradiso; oppure spaventati di tornare in una famiglia che potrebbe respingerli; o di rimpatriare – comunque- a mani più vuote di quando sono venuti via, come se tanti anni in Italia – attraverso inenarrabili umiliazioni – non avessero prodotto alcun frutto, nemmeno la conoscenza d’un alfabeto o d’una cultura di cui hanno sentito vantare la dimensione.
Adesso hanno in testa idee catastrofiche.
Vivono in un mare di interrogativi,
Hanno voglia – da ieri o da chissà quando – cli porre domande a qualcuno: a chi si trova nella medesima barca, ed a chi sembra più saldo coi piedi su terra ferma.
Ho improvvisato una risposta, credendo di dar loro un tantino di calma: “No! Non tutti gli immigrati saranno espulsi. Solo quelli venuti clandestinamente, che mancano di lavoro e hanno commesso reati: spaccio di droga, sfruttamento della prostituzione, violenze gravi…”.
Quasi una risata a commento: “Allora, maestro, tra poco ci salutiamo…”.
Ed ognuno a dirmi il proprio caso, con occhi spauriti, la voce angosciata, l’attesa d’un parere da parte mia anche se io non potrei mai risolvere il loro problema: “La legge ancora non è stata votata. Non si sa di preciso quali saranno i reati che comporteranno l’espulsione, né i tempi, le modalità, ecc.”.
Ed altri a precisare: “Io, ¡n Italia con visto turistico… Io non clandestino… Adesso, io qui dentro… Visto scaduto…”.
Le situazioni sono diverse, e ciascuna può essere chiara per chi ha competenza di leggi, oppure confusa per chi non se n’intende.
Io non sono un avvocato ma voi potete rivolgervi al giudice di sorveglianza”.
Una voce caustica: “E chi Io vede…? Io /to chiesto colloquio…”.
Subito varie conferme: “Io, chiesto colloquio con educatrice; però educatrice mai parlato con me…”
Invito alla calma: “Io sono soltanto il maestro, e posso fare per voi soltanto il maestro…”.
Una voce insiste: “Spiegare com’è la legge; Lei maestro; lei capisce i giornali…”.
Le facce sono tutte serie al massimo grado. prometto che oggi, domani e domani l’altro leggerò bene i quotidiani, e poi spiegherò in classe.
La voce di prima: “Maestro spiegare, perché non poliziotto…”.
Adesso tutti mi guardano con occhi benevoli e fiduciosi.
Ricordo che le leggi non hanno valore retro-attivo, ma per far capire questo concetto impegno tempo e parole, ed improvviso autentiche sceneggiate come ho visto in una strada qualsiasi d’una calda città del Meridione.
Prima che la legge sia operante – concludo – passerà tempo: almeno due o tre mesi. L’espulsione non sarà automatica, per chi adesso sta qui dentro. Dovrà essere il tribunale ad ordinare l’espulsioneLa legge difende i più deboli… Io prego perché la legge possa essere giusta, perché colpisca i cattivi e sia clemente con quelli buoni…”.
Uno mi chiede un favore: “Pregare perché espulso: nel mio paese,
vedere parenti…”.
Un altro: “Pregare anche per mia espulsione: io sono venuto in Italia per un week-end, e dopo cinque anni sono ancora qui. È ora che io torno nel mio paese…”.
Tra i nord-africani c’è grande sconcerto.: “Qui mangiare e dormire…
– dice uno di essi – Nel mio paese niente lavoro, e niente mangiare… Di là, io scappare ancora…”.
Il più giovane di tutti mi chiama a lui vicino, e – a mezza voce –
confida: “Io partito da casa sei anni fa, per cercare lavoro. Io tornare
senza soldi, senza mestiere, senza regalo per la mia mamma…
“.
C’è tanta gente – in Italia – che vorrebbe mandare via ogni straniero.
Ma in Italia c’è anche gente – per fortuna – che vuole il rispetto delle leggi fondamentali dell’uomo.
Il disegno di legge sugli immigrati, del quale si parla, è richiesto da una parte della maggioranza: “Se il governo vara il decreto, vedrà approvata la legge finanziaria… Se no, sarà messo in crisi… L’Italia, da troppo tempo, è in crisi…“.
Non c’è scampo: il capo del governo ha promesso il decreto, e forse lo metterà ai voti fra qualche giorno. Ma non è detto che il governo riesca – con questo stratagemma – a salvarsi. Ed un nuovo decreto arriverà fra mesi e mesi, forse fra un anno: potrebbe rettificare i contenuti del decreto del quale si parla.
In galera c’è gente che si trova nelle condizioni invocate per un rimpatrio forzato: clandestini, spacciatori di droga, violenze…
A guardarli, per un mese e mezzo di scuola, non avrei potuto capirlo. Adesso, invece, non posso più dubitare: “Allora, maestro, fra poco ci salutiamo…”.
In classe, oggi, erano otto: due contenti d’essere rispediti a casa, sei disperati. Le mie parole non hanno contato gran che. Però tutti m’hanno detto: “Grazie, maestro, lunedì tu a noi spiegare la legge… “.
Un maestro carcerario non può non dare risposte, perché agli allievi-detenuti manca la serenità per guardare il futuro. Ed io, oggi, mi sono sentito dalla loro parte.

Cover: la fotografia utilizzata in copertina è di Francesco Cocco ed è tratta dalla pubblicazione “Repertorio di immagini degli spazi trattamentali delle carceri in Emilia-Romagna”, a cura del Garante delle persone sottoposte a limitazione della libertà personale. 

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Il merlo e la Liz
(un racconto)

Il merlo e la Liz

Sei troppo grossa! Sei troppo nera! La gente avrà paura di te. Come faccio a tenerti.”

La Liz, una cucciola di lupo senza mamma e senza casa, guardò la bambina e d’improvviso le zompò addosso riempiendole la faccia di leccotti e dandole piccole testate con quel muso dalla lingua rosa e senza denti.

Esagerata”, le dice la bambina stringendola tra le braccia e pensando che, da quel goffo grosso scuro animale non si sarebbe più separata.

Cresceva la bambina e cresceva, ma molto più velocemente, la cucciola.

La Liz e la bambina

Dopo un anno la Liz sembrava proprio il lupo cattivo di Cappuccetto Rosso e quando camminavano per strada i bambini si giravano spaventati urlando: “Aiuto il lupo” e le mamme e gli altri proprietari di cani scansavano preoccupati quella coppia.

Esagerata”, la sgridava benevolmente la bambina, “mangi troppo, corri troppo, non stai mai ferma, fai paura alla gente”.

E la Lizettona, che non era più una cucciola, le zompa addosso e le bagna la faccia con la sua grande lingua salivosa, dandole spinte affettuose con quel testone dal muso feroce e dalle bianchissime enormi zanne.

Il tempo passava felice tra giochi, zuppe gigantesche, corse, abbracci e…disastri.

Liz, molla!”, urla arrabbiata la bambina quando la Liz insegue le galline del vicino.

Cane cattivo”, si dispera quando per giocare con la palla calpesta tutti i fiori del giardino e fa buchi grandi come canyon.

Nooo!” ancora si lamenta guardando le sue scarpe preferite finite a pezzi dai morsi di quella stupida cagnolona testona.

La Liz diventa triste quando viene sgridata. Tanto triste. E mette la coda tra le gambe, piega la sua testona da un lato per capire meglio e guarda la bambina aspettando il perdono.

Esagerata Lizettona”, alla fine dice la bambina vedendo quel bestione dispiaciuto e implorante.

E a quelle parole, zac! La Liz scatta come un lampo ed è subito addosso alla bambina per cercare abbracci.

Un pomeriggio, dopo aver corso a perdifiato, la bambina e il suo cane si sdraiarono sull’erba a guardare in su.

D’improvviso arrivò un merlo che, in quella pausa, cominciò a fare un gran baccano. Cantava a squarciagola, non stava mai fermo, svolazzava in qua e in là da farti girare la testa, zampettava in su e in giù, a destra e a sinistra, quando si fermava per qualche istante ti osservava allegro piegando la testolina da un lato.

Guarda Liz”, dice la bambina, “fa proprio come te. Scommetto che, se tu ti trasformassi in un altro animale, saresti proprio come quel merlo nero”.

La Liz, che si stava rotolando sul prato, si fermò come se un pensiero le avesse attraversato la mente. Poi sentì il rombo di una moto e via! Corse abbaiando all’inseguimento dell’intruso.

La bambina cresceva e diventava grande, anche la Liz era diventata una Lizettona grossa e forte con un vocione che faceva davvero paura e una scodella grande come l’equatore. La gente che non la conosceva aveva un po’ paura e non credeva che potesse essere un cane affettuoso e giocherellone.

Se saltava, le persone subito urlavano, se apriva la bocca per un sorriso, quelle zanne splendenti facevano drizzare i capelli. Chi non la conosceva, quando la vedeva per la prima volta, la evitava o addirittura scappava, c’era anche chi le diceva brutte parole cattive.

La Liz si mortificava, e allora piegava da un lato la testa per capire meglio.

Qualche volta la bambina cercava di aiutarla e spiegava alla gente che la Liz era buona, che cercava solo la loro amicizia, ma la Liz era così grossa e soprattutto così nera che non c’era ragione che tenesse.

Uno strano giorno la Liz fece una cosa che la bambina pensava fosse impossibile: non toccò neanche un boccone della sua grande zuppa.

Che starà succedendo?” si chiese perplessa e rimase in attesa.

La liz e il merlo con le stelle

Quello stesso giorno accadde un’altra cosa straordinaria, il nero merlo lucente si andò a posare sul prato soleggiato, vicino vicino alla cagnolona che lo guardò assopita lasciandolo fare.

Alla bambina sembrò persino che si parlassero, che si dicessero qualcosa di molto segreto.

Guardandoli sorrise e si disse ”Se dovessi disegnare l’anima del mio cane, la farei proprio come il merlo lucente quando vola”.

Arrivò il giorno dopo, e la Liz non toccò ancora neanche un boccone. Quando la bimba si avvicinò un po’ preoccupata, la Lizettona le diede la zampa. Alla bimba piaceva quando al suo comando “Dà la zampa!” la Liz, tutta concentrata e attenta, si sedeva e le appoggiava sgraziatamente la zampa sulla mano. Diceva “Bravo cane!” e sapeva che a lei piaceva tanto sentirsi dire “Bravo cane”. E così non la smetteva più di battere la sua zampona sulla sua manina rosa.

La bambina perciò le disse “Bravo il mio cane!” e la Liz sorrise.

In quel momento arrivò svolazzante e fischiettando il merlo.

La Liz lo guardò, si accucciò lentamente vicino alla bambina, il muso sul suo grembo e si addormentò.

La nera Lizettona non si risvegliò mai più. Ma da quel giorno, tutti i giorni, il merlo si mostrava alla bambina facendo il solito baccano: cantava, volava in qua e là, in alto e in basso, becchettava questo e quello e non stava mai fermo.

Esagerato” gli diceva la bambina ridendo, contenta di avere vicino a sé, per sempre, l’anima nera

e allegra della sua Liz.

N.B. Illustrazioni elaborate al computer di Giovanna Tonioli

Supplenti & Precari
Come si fanno i concorsi per insegnanti in Italia

Supplenti & Precari. Come si fanno i concorsi per insegnanti in Italia 

 

Premessa generale: uno dei rischi maggiori dell’Italia è l’emigrazione crescente dei suoi abitanti –quasi tutti giovani, dei quali un terzo laureati. Nel 2023 il saldo migratorio con l’estero è stato +274mila persone: sono arrivati 360mila stranieri e ne sono partiti 34mila (saldo +326mila stranieri), inoltre sono espatriati 108mila italiani e ne sono arrivati 55mila (saldo -53mila italiani).

Secondo uno studio di Nicola Bianchi e Matteo Paradisi su dati INPS, dal 1985 al 2015 diminuisce del 34% la percentuale di giovani che finisce nel quartile più alto dei salari e aumenta del 16% quella degli anziani. In sostanza i giovani hanno (rispetto a una volta) salari più bassi e fanno meno carriera. Per questo la probabilità che i giovani assumano posizioni manageriali è diminuita in 30 anni di 2/3, mentre è cresciuta dell’87% tra gli anziani. Dati che stroncano tutta la diffusa retorica sul fatto che le innovazioni e il digitale favorirebbero i giovani. Trent’ anni fa un laureato che entrava in azienda era favorito solo per il fatto di avere la laurea. Oggi deve fare i conti con molti altri laureati e con quei diplomati che avendo già lavorato a lungo hanno esperienza, a conferma che per le imprese il lavoro (e non solo lo studio) è formativo.

Uno Stato che è in declino demografico e che spende per formare giovani che poi vanno a lavorare all’estero è la premessa per una crisi futura (pensionati inclusi). Per questo si dovrebbe fare il massimo per crescere nei settori dove i salari sono alti -manifattura, ricerca- mentre noi puntiamo su turismo ed edilizia.

A proposito di gente che scappa o scapperà dall’Italia. Anche il prossimo settembre sarà record di supplenti: 250mila (di cui 111mila di sostegno). Se si escludono i docenti di sostegno, il personale a contratto determinato sarà di 172mila nel 2024-25 (era di 114mila unità nel 2017-18, fonte: Corte dei Conti), nonostante il nuovo concorso per 45.124 posti (ma quelli vacanti sono in realtà 64.156 dopo la mobilità).

Guandalini e Zappatore su Il Mulino, (https://madrugada.blogs.com/il-mio-blog/2024/07/la-formazione-degli-insegnanti-di-nuovo.html), propongono di risolvere il caos generato negli ultimi 20 anni sui concorsi dei docenti della scuola pubblica, con l’istituzione di una laurea magistrale (5 anni) seguita da un anno di tirocinio retribuito, in modo da risolvere definitivamente l’annoso problema dei precari e dare qualità nella selezione dei docenti. La proposta prevede che dopo un primo triennio di materie (lettere, matematica,…) ci siano due anni di laurea magistrale dedicata alla metodologia di come si insegna, seguiti da un anno di tirocinio retribuito e da un tutor, in modo da avere al termine l’idoneità e il lavoro a tempo indeterminato. La proposta è condivisibile per i nuovi, ma non affronta il problema di come sistemare l’enorme numero di precari (ben 234.576 supplenti attuali) che sono cresciuti in 8 anni (fonte Uil scuola) dal 12% del personale (2015) al 24% di oggi.

Un dato abnorme ed assurdo per uno Stato che dovrebbe erogare un servizio pubblico. Ciò è dovuto ad un sistema di reclutamento che definire inadeguato e frammentato è un eufemismo e che ha accresciuto i precari, dalla renziana Buona Scuola ad oggi. Fino a ieri però si trattava spesso di “precari tutelati”, in quanto molti ottenevano l’incarico annuale di 12 mesi o di 10 (integrabile con 2 mesi di indennità di disoccupazione), e quasi sempre si vedevano rinnovato il lavoro nell’anno seguente (ottenendo più punti, si saliva nelle graduatorie che vengono rinnovate ogni tre anni). Così ha funzionato negli ultimi 20 anni, per cui nella scuola abbiamo precari anche con 10-12 anni di lavoro, mai stabilizzati. Questo dimostra che il pubblico si comporta come il peggior padrone privato: nessuno tollererebbe 10-12 anni di rinnovi con contratti a tempo determinato.

Da settembre 2024 però non sarà più così. Il nuovo Ministro cambia musica. Si stima che 150mila precari che hanno insegnato per vari anni possano finire senza lavoro, in quanto le regole dei concorsi sono state cambiate: chi non ha l’abilitazione non può più andare in “prima fascia”, avvantaggiando i neo laureati che non hanno mai insegnato ma che si abiliteranno attraverso i 30 crediti (CFU, 120 ore di lezione), ottenuti pagando università statali o private o enti di formazione che li hanno avviati negli ultimi 12 mesi.

Chi invece ha lavorato negli ultimi 10 anni non si è mai potuto abilitare perché tali corsi abilitanti negli ultimi 10 anni non venivano organizzati. Ora, dovendo contemporaneamente lavorare, fa più fatica sia a farli che a pagarli e così rischia di rimanere senza lavoro, perché dall’anno prossimo avranno la preferenza coloro che hanno ottenuto l’abilitazione.

Il nuovo Governo ha infatti deciso che l’unico criterio per entrare in “prima fascia” sarà l’abilitazione, mentre gli anni di lavoro fatti conteranno pochissimo. Ciò dimostra che nella cultura dominante della scuola e di chi al Ministero fa le norme per selezionare gli insegnanti (ieri di sinistra, oggi di destra) il lavoro svolto di tanti anni non conta. Ma quelli che hanno lavorato sanno che è vero quello che ha detto benissimo Guia Soncini:Nessuno sa lavorare se non dopo anni che lavora, l’università nel migliore dei casi t’insegna a studiare, a lavorare t’insegna solo lavorare”.

Si stanno intanto concludendo gli esami del maxi concorso che recluta 45mila posti. Questa volta la copertura sarà integrale perché il nuovo Ministro ha deciso di renderli più facili. Mentre infatti nei concorsi precedenti su 100 posti disponibili ne venivano coperti circa 20, in quanto la selezione era durissima, ora è il contrario: su 100 posti disponibili coloro che superano l’esame di concorso sono il doppio, dei quali metà andranno a posto subito e l’altra metà avrà 3 punti in più in graduatoria, in attesa di sapere quale sarà il loro futuro di vincitori di concorso, ma senza il posto. Una cosa all’italiana, più unica che rara.

Al di là del fatto che questo ministro sembra meno autolesionista del precedente -che senso ha avuto, in anni passati, su 100 posti necessari reclutarne solo 20?-, in nessun caso tra i criteri di attribuzione punti in graduatoria vi è mai stato un punteggio significativo in base agli anni di lavoro svolti. Conta un esame scritto a base di quiz a crocette e, se lo passi, un orale che vede i seguenti punteggi: 40 per l’esposizione dell’argomento assegnato su cui ti devi preparare con 24 ore di anticipo, 35 per la metodologia con cui presenti la lezione, 20 per la domanda specifica e 10 per la conoscenza dell’inglese. Per il tempo di lavoro già prestato puoi avere massimo 6 punti (2 punti l’ anno per un massimo di 3 anni), i quali pesano per il 5% sul totale dei punti (95% teoria, 5% pratica).

Sarebbe stato equo dare la possibilità anche a questi insegnanti di ottenere l’abilitazione e, soprattutto, aggiungere un punteggio significativo per ogni anno di lavoro (accanto agli altri indicatori). Si può ragionevolmente supporre che più si insegna più si impara ad insegnare. Inoltre chi insiste ad insegnare in Italia può considerarsi motivato, visti i modesti salari…

Chi non si abilita sarà discriminato, con tanti saluti da parte di uno Stato che mostra il volto del peggior padrone privato. Intanto a settembre le scuole, soprattutto al nord, si ritroveranno come sempre con 250mila supplenti. Il Ministro Valditara continua a parlare del «grande piano di assunzioni» del governo Meloni e prevede a novembre un altro concorso (chiesto dal Pnrr). Ma non basterà certo per risolvere il problema strutturale delle assunzioni nella scuola italiana.

“Basi blu”, il programma della Marina Militare da 1.760 milioni di euro

“Basi blu”, il programma della Marina Militare da 1.760 milioni di euro

articolo originale su Peacelink del 16 agosto 2024

Risultano già finanziati 559,36 milioni. Il programma nasce dall’esigenza, di adeguare le capacità di supporto logistico delle principali Basi navali italiane (Taranto, La Spezia e Augusta), nonché di quelle delle Basi secondarie (Brindisi, Messina, Cagliari, Ancona, Venezia, Napoli e Livorno).
9 febbraio 2024
Documentazione Parlamento Italiano
Fonte: Programma pluriennale di A/R n. SMD 06/2023, denominato “Basi Blu”, relativo all’adeguamento e ammodernamento delle capacità di supporto logistico delle basi navali della Marina militare

Il programma in esame – si legge nella scheda tecnica – nasce dalla esigenza, di adeguare le capacità di supporto logistico delle principali Basi navali italiane (Taranto, La Spezia e Augusta), nonché di quelle delle Basi secondarie e di supporto logistico presenti nel Paese (Brindisi, Messina, Cagliari, Ancona, Venezia, Napoli e Livorno), in termini di spazio disponibile per l’ormeggio in banchina e di impianti preposti alla fornitura dei servizi principali. Oltre alla realizzazione delle opere marittime, funzionali ad ampliare le banchine disponibili per l’ormeggio, saranno potenziati i servizi essenziali di base, come lo scarico e il trattamento di acque nere e grigie, migliorate le capacità di distribuzione dei combustibili ed adeguate le reti elettriche sulla base delle maggiori esigenze di carico. La realizzazione di tali opere – si legge ancora nella scheda – consentirà alla nostre basi di avere una minore impronta ambientale e di adeguarsi ai nuovi standard della NATO, consentendo di ospitare gruppi navali dell’Alleanza o di altri Paesi alleati.

Di seguito sono indicati i principali interventi previsti.

Taranto. L’intervento – già parzialmente finanziato con il Fondo di sviluppo e coesione nell’ambito del Contratto istituzionale di sviluppo dell’area di Taranto – prevede il dragaggio dei fondali e il consolidamento strutturale delle banchine della Stazione Navale Mar Grande di Taranto, nonché l’ampliamento della stessa, con la realizzazione di due nuovi moli, di cui uno che sostituirà un molo già esistente ma non più rispondente al requisito. Inoltre, verranno adeguati i principali impianti presso tutti i posti d’ormeggio presenti nella Base.

La Spezia. L’intervento prevede di incrementare la capacità ricettiva della base navale e di ottimizzare gli spazi esistenti. Le attività infrastrutturali includono il dragaggio dei fondali, la ristrutturazione degli approdi esistenti e l’ampliamento del numero di ormeggi disponibili (attraverso la costruzione di nuovi moli e il banchinamento di spazi attualmente non necessari). Contemporaneamente verranno adeguati anche gli impianti elettrico, idrico, dati e imbarco combustibile presso tutti i posti d’ormeggio.

Augusta. L’intervento prevede una serie d’interventi finalizzati all’ammodernamento delle opere marittime e dei servizi in banchina presso le aree tecnico-operativa (banchina Tullio Marcon) e tecnico- logistica (tra cui l’Arsenale). Si prevede anche la realizzazione di una struttura operativa per l’Ufficio operazioni portuali, presso il compendio logistico-alloggiativo di Campo Palma.

Basi secondarie e di supporto logistico. L’intervento prevede l’ammodernamento delle infrastrutture, delle opere marittime e dei servizi in banchina della base di Brindisi, finalizzato all’ormeggio e al supporto logistico principalmente delle unità navali maggiori di nuova generazione impiegate per operazioni anfibie. È inoltre previsto l’adeguamento delle opere marittime, dei servizi e delle infrastrutture di supporto logistico e abitative presso le basi di supporto logistico destinate a ospitare il naviglio minore di nuova costruzione (CagliariMessinaAnconaVeneziaNapoli e Livorno).
Riguardo alle condizioni contrattuali e facoltà di recesso, la relazione precisa che le norme che disciplinano la materia contrattuale pubblica nell’ordinamento, peraltro di derivazione comunitaria, sono rappresentate dal nuovo Codice dei Contratti (D.Lgs. 31 marzo 2023 n. 36).

Porto di Augusta

Durata e costo del programma

Il programma è concepito secondo un piano di sviluppo pluriennale, di prevista conclusione nel 2033. Si fa presente che la scheda tecnica prevedeva l’avvio del progetto già nel 2023, articolandolo in 11 anni (2023-2033).

L’onere complessivo dell’impresa è stimato in 1.760 milioni di euro. Risultano già finanziati 559,36 milioni, a valere sul bilancio ordinario del Ministero della Difesa nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente. Il completamento del programma, per il restante valore previsionale complessivo di circa 997,64 milioni, sarà realizzato attraverso successivi provvedimenti di finanziamento.

 

Quali sono i mezzi che compongono la Flotta Marina Militare?

Stando agli ultimi dati, risalenti al mese di marzo del 2022, la Flotta Marina Militare italiana è composta da 53 unità armate, così suddivise:

  • 2 Portaerei
  • 8 Sottomarini
  • 4 Cacciatorpediniere missilistici
  • 11 Fregate
  • 11 Pattugliatori d’altura
  • 4 Pattugliatori costieri
  • 10 Cacciamine
  • 3 Navi d’assalto anfibio

Queste unità della Forza Navale italiana sono organizzate in due gruppi da battaglia con capacità Blue-Water, ossia avente la possibilità di operare con larga autonomia e su vasta scala, lontano dalla madrepatria in pieno mare aperto. La nave ammiraglia, ossia quella su cui viene imbarcato lo Stato Maggiore della Forza Navale, oggi è la portaerei Cavour. La Flotta della Marina Militare vede coinvolte imbarcazioni appartenenti ad epoche radicalmente differenti: si va dalla più antica, ossia la Fregata Missilistica Libeccio, classe 1983, alla più moderna, ovvero il Pattugliatore d’Altura Polivalente Paolo Thaon di Revel, varato nel 2022.

Alle suddette unità armate, si aggiunge una moltitudine di imbarcazioni considerate “in disponibilità”. Queste, in caso di necessità, hanno la possibilità di essere convertite in navi da combattimento.

Fonte

Note: Comandi ed Enti della Marina Militare Italiana
https://www.marina.difesa.it/noi-siamo-la-marina/organizzazione/comandi-basi-enti/Pagine/default.aspx

Presto di mattina /
Edith Stein, o dell’empatia

Presto di mattina. Edith Stein, o dell’empatia

Umanità contemplativa

 Se ciò che io dico risuona in te,
è semplicemente perché siamo entrambi
rami di uno stesso albero.
William Butler Yeats

Venerdì 9 agosto sono andato al Carmelo a celebrare con le sorelle carmelitane, era la memoria di una santa loro consorella, filosofa e mistica e martire di origine ebraica, vittima della Shoah: Edith Stein, Teresa Benedetta della Croce, (Breslavia, 12 ottobre 1891 – Auschwitz, 9 agosto 1942) e pure patrona d’Europa.

Teresa Benedetta ha lasciato un’incisiva testimonianza di una donna intellettuale del secolo scorso che, spinta da una incessante ricerca della verità, la trovò nella forma di una umanità contemplativa: “una verità non senza amore e un amore non senza verità”.

L’umanità contemplativa è quella rivolta verso il Padre, e con quello sguardo del Padre nostro negli occhi guardare gli altri specialmente chi è povero, emarginato, sofferente; è un’umanità ospitale, come quella del Cristo sempre in ricerca degli smarriti di cuore, sempre in cammino con le donne e gli uomini incontrati lungo la via.

Così, nell’empatia, Edith scopre la giusta distanza per stare accanto agli altri e insieme per sentire dentro l’umanità dell’altro: la radice non è la foglia, i rami non sono il tronco eppure scorre in loro la stessa linfa. Ma non è forse anche il vangelo esperienza di empatia? E, non è forse il vangelo il riconoscersi e il sentire di Cristo in ogni uomo? «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

Nel 1913 Edith è studentessa a Gottinga, frequenta le lezioni di Edmund Husserl sulla fenomenologia; diventa sua discepola e assistente e consegue con lui la laurea (summa cum laude) a Friburgo in Bresgovia. L’ultimo capitolo della tesi Il problema dell’empatia (Studium, Roma 1998), titola: L’empatia come comprensione delle persone spirituali.

Nella presentazione ad un’altra edizione della stessa tesi, il sociologo Achille Ardigò scrive: «Gli atti di empatia che compiamo verso un altro da noi non sono necessariamente e propriamente – la Stein lo sottolinea con grande nettezza – parte della mediazione culturale che attinge ad un patrimonio comune. Sono l’essenza della capacità di istituire comunicazioni intersoggettive sino a mettersi nei panni dell’altro, anche con sconosciuti, anche con stranieri; sono la condizione genetica di ogni comunicazione, quindi di ogni inizio di società.

Edith Stein, con una particolare freschezza e finezza di analisi introspettiva si direbbe che cerchi di ripensare in sintesi tutta la teoria dell’ammirato Maestro, attraverso questo concetto di esperire empatico… L’empatia si colloca, dunque come un ponte tra le due rive del fiume della vita personale e collettiva. Porta l’unità fenomenologica nella realtà duale» (E. Stein, L’empatia, FrancoAngeli, Milano 2002, 11-12; 13).

La fenomenologia aprì così a molti studenti di Husserl l’orizzonte della fede e la dimensione comunitaria proprio per questa “intenzionalità” della coscienza del volgersi fuori, ed uscire da sé, dal soggettivismo e sperimentare la realtà come conoscenza, intelligibilità derivante dal contatto con l’altro, come intersoggettività tra individui; il fenomeno dell’intreccio tra l’esperienza dell’io e quella dell’altro dà corpo alla verità senza ledere la libertà propria.

L’incontro con il filosofo Max Scheler la avvicina anche al cattolicesimo. Nel gennaio del 1915 superò l’esame di stato. All’inizio della prima guerra mondiale aveva scritto: “Ora non ho più una mia propria vita”. Durante la guerra frequentò un corso d’infermiera e prestò servizio in un ospedale militare austriaco presso i degenti del reparto malati di tifo. In particolare prestò servizio in sala operatoria, vedendo morire tantissimi giovani.

La fonte e la notte

Le letture della messa che narravano di due figure di valore del primo e nuovo testamento, la regina Ester e la Samaritana che incontra Gesù, mi sono sembrate empatiche per provare a tracciare un profilo di Teresa Benedetta della croce. Tanto che all’omelia ho iniziato così:

«Signore, manifestati nel giorno nella nostra afflizione, e a me dà coraggio” (Ester 4,17): è questa la preghiera che avvicina e fa corrispondere la regina Ester e la sua storia a quella di Edith Stein nella sua notte oscura, quando le SS piombarono nel monastero delle Carmelitane di Echt, in Olanda dove si era rifugiata. Edith prese per mano la sorella Rosa e disse: «Vieni, andiamo, per il nostro popolo».

Nel testo Essere finito ed essere eterno Edith scriveva: «Se l’anima si apre interiormente alla vita divina, essa stessa, e per suo tramite il corpo, viene formata ad immagine del Figlio di Dio, da essa partono “fiumi di acqua viva”, che hanno il potere di rinnovare mediante lo spirito il volto della terra» (in La mistica della croce scritti, Città nuova, Roma, 41).

Viene descritta qui la medesima esperienza: l’esperienza dell’essere cercati e del cercare Dio in “spirito e verità” nell’incontro con Gesù. Di qui il riferimento alla Samaritana, una pagina del vangelo che ha illuminato e dato forma alla ricerca di verità e alla vita di Teresa Benedetta della Croce.

Così la “fonte” e la “notte” e, per dirla con Giovanni della Croce, “il cantico delle sorgente”, mi sono sembrati le immagini di valore adeguate, almeno per oggi, per dire di colei a cui si addicono le parole di Dio al suo popolo, la sua intima empatia a questa donna figlia di Sion e serva di Yahweh; «Il Signore si è legato a te nel cuore e ti ha scelta… perché nella tua piccolezza il Signore ti ama» (Dt 7,7).

Così anche ora Teresa Benedetta della Croce ci affida il fluire dell’acqua viva che in lei è zampillata, quella della sua testimonianza carmelitana assimilata alla scuola di Giovanni della Croce:

Ben so io la fonte che sgorga e scorre, anche se è notte!
Quell’eterna fonte sta nascosta,
ma ben so io dov’essa ha sua dimora,
anche se è notte…
So ch’esservi non può cosa più bella,
che cieli e terra bevon d’ella, anche se è notte.
La sua chiarezza mai non s’offusca,
so che ogni luce da essa è venuta,
anche se è notte.
(Giovanni della croce, La fonte, “Cantico dell’anima che si rallegra di conoscere Dio per fede”).

L’esperienza della fede: uno schiarirsi delle tenebre

Significativo pure il ritornello del salmo: «Signore tu rischiari le mie tenebre».

Credere «non è un mero accettare il messaggio della fede solo per sentito dire − dice Edit Stein − ma un essere toccati interiormente e uno sperimentare Dio». Un immedesimarsi con l’altro. Così la fede è una forma radicale di empatia; l’empatia stessa di Gesù per i credenti, egli e il suo vangelo sono il luogo della fede: del suo principiarsi, del suo progredire e del suo andare verso un compimento.

Anche Edmond Husserl intuì la questione dell’empatia senza riuscire a trovare una chiara rappresentazione. La risposta venne proprio dalla sua studentessa e poi assistente Edith. Avviene con l’empatia un immedesimarsi, andando come a tentoni seguendo tracce, orme dentro di sé, un cercare le tracce degli altri, dell’Altro in “spirito e verità”.

Scrive nella Storia di una famiglia ebrea, Citta nuova, Roma 1992, 360: «Era un grande lavoro, perché la dissertazione aveva assunto dimensioni enormi. In una prima parte, ancora sulla scorta di alcuni accenni di Husserl nelle sue lezioni, avevo esaminato l’atto dell’“intuizione” come un particolare atto della conoscenza.

Di lì, tuttavia, ero arrivata a una cosa che mi stava particolarmente a cuore e di cui mi sono occupata in tutti i miei scritti successivi: la costruzione della persona umana. Nell’ambito di quel primo lavoro, questo esame era necessario per far capire come la comprensione di nessi intellettuali si distinguesse dalla semplice percezione di condizioni psichiche.

Riguardo a tali questioni le conferenze e gli scritti di Max Scheler, come pure le opere di Wilhelm Dilthey erano stati di grande importanza per me. Di seguito all’estesa mole di letteratura sull’intuizione che avevo preso in considerazione, aggiunsi alcuni capitoli sull’intuizione in campo sociale, etico ed estetico».

Empatia: il risveglio della coscienza, decisione della libertà per un cammino di trasformazione

«Si assimila la Scientia Crucis − dirà in seguito Teresa Benedetta della Croce − se si vive fino in fondo il peso della Croce, ma come è possibile questo?». La via è quella dell’immedesimarsi con l’altro, che tuttavia non genera una fusione, ma un’unione nella diversità, uniti nella differenza, salvaguardando e maturando la libertà di coloro che si immedesimano l’uno nell’altro.

Perché tutta la realtà (è uno dei principi della fenomenologia studiata da Edith Stein) può essere compresa, esperita solo in modo intersoggettivo attraverso l’esperienza di altri individui e quest’esperienza è detta appunto empatia. Sono i suoi legami reali, a volte faticosi e perfino drammatici, a permettere l’accesso alla realtà del mondo e a quella dello spirito.

Chiariamo. L’empatia non è un rispecchio emotivo, ma costituisce un invito, una chiamata a seguire dei «fili sottili, appena visibili», i quali suggeriscono una direzione promettente di sviluppo. Dall’empatia può nascere una sequela come quella tra Gesù e i suoi, tra la santa Madre Teresa d’Avila ed Edith. Essa non serve a nulla se non muove alla decisione, senza una partenza verso l’oltre, l’altrove. Senza mettersi in cammino l’empatia rimane sterile, frustrante: essa richiede e presuppone l’impegno, il gusto e lo sforzo delle relazioni.

È come una spinta che risveglia quello che in noi dorme, sonnecchia o è nascosto; quello che solo immedesimandosi con l’altro viene alla luce e fa sviluppare quanto è inespresso ancora in noi. L’empatia scopre nell’altro qualcosa che attrae e seduce. Geremia è l’esperto, ma anche Maria di Magdala non è da meno.

Edith−Teresa Benedetta attirata all’inizio da un’ospite inquietante come l’agnosticismo, poi il nichilismo incontrato nell’ambito universitario di Gottinga scopre, anzi è letteralmente sorpresa ed attirata da un ospite inatteso, che rinviene inizialmente attraverso la lettura di un libro, entrando per caso nella biblioteca di amici che l’ospitavano.

Era il testo La vita di Teresa d’Avila, e così attraverso Teresa scopre pure l’empatia verso il Cristo. È stato questo il momento chiave della sua vita: «Nell’estate del 1921 La vita della nostra Santa Madre Teresa mi era capitata tra le mani e aveva posto termine alla mia lunga ricerca della vera fede».

Era arrivata al Cristo non già per via di speculazione, bensì grazie a una profonda convinzione ottenuta attraverso il processo e la pratica dell’empatia. Così fu contagiata dalla stessa passione amorosa di Teresa per Gesù e la sua umanità, scoprendo attraverso la santa Madre che l’Amato è vivo ed era presente nel Castello della sua stessa anima e faceva strada con lei.

Il Castello interiore rappresentava la sua stessa anima, e la preghiera era la chiave del Castello e delle molte dimore. Se empatia è contatto con la realtà, partecipazione e acquisizione emotiva della realtà del sentire altrui, sarebbe stato allora possibile sentire cum Christo per Christo in Christo e da qui un «sentire comunitario e partecipato»: sentire cum Ecclesia e cum Mundo.

È possibile nascere di nuovo? Ogni volta che si ama e si è amati

È possibile, Signore, che sia nuovamente generato
chi ha già oltrepassato la metà della vita?
Tu lo hai detto, e per me fu realtà
Una lunga vita grave di colpa e di sofferenza
mi lasciò.
Sinceramente ricevo il bianco mantello
che essi mi pongono sulle spalle,
luminosa immagine della purezza!
Io tengo in mano la candela.
La sua fiamma annuncia
che in me arde la tua vita santa.
Il mio cuore è ora diventato una mangiatoia/che attende il tuo.
… Oh, nessun cuore d’uomo può comprendere
ciò che tu prepari a coloro che ti amano.
Ora ti possiedo e non ti lascio mai più.
Dovunque vada la strada della mia vita
tu sei accanto a me:
nulla mi può separare dal tuo amore.
(Testo poetico di Teresa Benedetta in Stare davanti a Dio per tutti. Vita. Antologia, scritti, a cura di Giovanna della Croce, Edizioni O. C. D., Roma 1991; citato in Città di vita, Marzo-Aprile 2/2004, 117).

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Patria, individuo, impresa: l’educazione civica di Valditara

Patria, individuo, impresa: l’educazione civica di Valditara

La nuova proposta anticipa la revisione delle indicazioni nazionali e delle linee guida relative al primo e al secondo ciclo di istruzione. La scuola reagirà

Si tratta delle nuove linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica, che sostituiranno le precedenti, introdotte solo quattro anni fa dalla ministra Azzolina e rispetto alle quali la Flc Cgil aveva espresso riserve in assenza di scelte ordinamentali conseguenti in termini di tempi, spazi, risorse di organico.

Criticità tutte confermate, almeno a quanto è dato di sapere, considerato che il provvedimento, trasmesso al Consiglio superiore della pubblica istruzione, non è stato fino ad oggi inviato alle organizzazioni sindacali.

Dalle prime indiscrezioni, risulta che il testo delle linee guida definisca a livello nazionale curricoli prescrittivi, modificando radicalmente i traguardi e gli obiettivi di apprendimento e aggiungendo ulteriori contenuti. Di nuovo, e sempre “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”, si cerca di scaricare sulle scuole la responsabilità di tutto ciò che viene definito “emergenza educativa e sociale”, dal bullismo/cyberbullismo alla violenza di genere, dall’abuso del digitale (dopo aver messo in campo scelte politiche e risorse tutte a sostegno del digitale come panacea di tutti i mali) all’incidentalità stradale, dalle dipendenze da sostanze all’educazione alimentare allo sport.

Ma soprattutto, l’operazione che sta per essere portata a termine anticipa la più complessiva revisione delle indicazioni nazionali e delle linee guida relative al primo e al secondo ciclo di istruzione, nel tentativo di imporre alle scuole di ogni ordine e grado la visione ideologica ben nota del ministro Valditara e dell’intera compagine governativa.

La prospettiva della nuova educazione civica è chiara: formare al significato e al valore della Patria, rafforzare la coscienza di una comune identità italiana, secondo una logica identitaria-nazionalistica e individualistica. A questo scopo viene addirittura attribuito strumentalmente alla carta costituzionale un profilo “personalistico” distorto e pervasivo per cui la società esiste solo in funzione dello sviluppo dell’individuo; per il resto l’approccio al tema della Costituzione rimane di tipo nozionistico, associato alla conoscenza dell’inno e della bandiera nazionale. Nulla si dice della matrice antifascista e dei valori democratici fondanti, perché lo scopo è rafforzare il senso di appartenenza alla comunità nazionale

Una prospettiva, quella del senso di appartenenza alla Patria, implicita anche nel significato e nel valore attribuiti all’integrazione delle/gli alunne/i che provengono da contesti migratori, in un’ottica assimilazionistica e adattiva, sottovalutando che solo la chiave di lettura interculturale e la pedagogia inclusiva possono offrire gli strumenti per affrontare le sfide del futuro.

E poi i richiami alla cultura del lavoro, da insegnare fin dal I ciclo, pari pari coincidente con la cultura d’impresa intesa come iniziativa economica privata basata sulla proprietà privata. E ancora all’educazione finanziaria e assicurativa come strumento per valorizzare e tutelare il patrimonio privato confermano l’idea di scuola aziendalistica, funzionale a un sistema che tutto subordina all’economia del profitto.

Si tratta, quindi, di linee guida che intenzionalmente non colgono la complessità del reale, rivolgono uno sguardo nostalgico al passato e sono portatrici di una sottocultura miope e reazionaria che sicuramente la scuola italiana saprà respingere per affermare il valore di una conoscenza laica, plurale, inclusiva e democratica.

Manuela Calza, segretaria nazionale Flc Cgil