Critica al capitalismo americano, Arthur Miller: ‘Non ci si può separare da certe azioni’
STANDING OVATION: I PIU’ ACCLAMATI SPETTACOLI TEATRALI DEL XXI SECOLO
“Erano tutti figli miei” di Arthur Miller, regia di Cesare Lievi, Teatro Comunale di Ferrara, dall’8 al 12 gennaio 2003
La stagione teatrale 2002/03 del Comunale tocca forse il suo apice, almeno per quanto attiene la prosa vera e propria, con un dramma “giovanile” del grande Arthur Miller: “Erano tutti miei figli” (1947), anteriore addirittura a “Morte di un commesso viaggiatore” (1949) e a “Uno sguardo dal ponte” (1955). Arthur Miller è autore di opere drammaturgiche animate da una viva coscienza etica e da finalità polemiche nei confronti della società americana, dei suoi falsi miti e delle sue tare ereditarie. Fra i suoi lavori si ricordino, fra i tanti, anche “Il crogiuolo” (1953, ridotto alcuni anni fa per il cinema da Nicholas Hytner), “Gli spostati” (1961), “Dopo la caduta” (1964).
“Erano tutti miei figli” racconta una storia di ordinaria corruzione: nell’ambito di un nucleo familiare si scopre, dopo diversi anni, che il padre si era arricchito vendendo ricambi d’aereo difettosi all’aviazione americana. Ma ben più profondo è il tema della incomunicabilità e dello scontro fra due generazioni. Lo stesso Miller ebbe a commentare al riguardo: «La fortezza cui “Erano tutti miei figli” cinge d’assedio è quella della mancanza di rapporto. È l’asserzione non tanto d’una morale in termini di bene e di male, ma di un mondo morale che è tale perché gli uomini non possono separarsi da certe loro azioni». Ambientato nel secondo dopoguerra, “Erano tutti miei figli” è un atto d’accusa nei confronti del capitalismo americano, della sua ipocrita e già corrotta utopia dell’“american dream” ma incarna pure, non va dimenticato, la sincera e patriottica ansia di redenzione di un popolo.
Come una tempesta. Preceduta da una calma innaturale e vagamente annunciata, in un inquietante sereno, da lontani bagliori e soffocati brusii, che prima addensa poche nubi ancora chiare e poi sconvolge l’atmosfera ovattata con qualche fulmine e raffiche di vento, quindi si scatena terribile e devastante tanto da non saper più dove ripararsi, da non poter fare altro che rassegnarsi alla furia degli elementi; il testo di Miller è di una potenza tale da far vibrare per l’emozione, laddove in una sorta di catarsi novecentesca la sofferenza dei personaggi e la volontaria espiazione del protagonista universalizzano e rendono atemporale. Infatti, questo capolavoro giovanile di Arthur Miller contiene già ‘in nuce’ i temi etici che il drammaturgo svilupperà in seguito: il diffuso lassismo, il demone del profitto, le tensioni familiari, la ribellione all’“american way of life”. L’allestimento vede protagonisti due ‘mostri sacri’ come Umberto Orsini e Giulia Lazzarini. La regia è di Cesare Lievi, la traduzione di Masolino D’Amico.