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LA SEGNALAZIONE
Fumetti, mostra-mercato e un mondo di sapori per l’International week di Smiling

E’ dedicata al cibo, in perfetta linea con l’Expo di Milano, la sesta edizione dell’ International week organizzata dallo Smiling, liceo internazionale privato. Materne, primarie, medie e superiori sono impegnate fino a giovedì nel produrre, esporre e vendere i lavori realizzati nelle classi. Trecento studenti di tutte le età hanno partecipato all’iniziativa, che giovedì pomeriggio si chiude con una grande festa delle famiglie degli allievi nell’istituto di via Roversella, dove ogni classe allestisce un proprio stand. “Con gli incassi acquisteremo materiale didattico come è successo negli anni passati”, spiega la preside Caterina Azzini. Le abitudini alimentari da una parte all’altra del mondo sono state il cuore dell’International week, durante la quale i bimbi hanno realizzato diversi loghi per dare un’immagine a Food Stock, l’appuntamento con il cibo, le sue tradizioni e l’inevitabile ventaglio di temi che implica a seconda della latitudine.

“Durante la settimana il menù della scuola ha proposto prodotti a Km 0, abbiamo usato pasta di casa nostra, la Ricci, e proposto piatti a base di spezie, come patate alla curcuma, una ricetta creola e altre a base di legumi”. Un mondo di sapori, ma anche un modo per conoscere abitudini diverse dalle nostre, perché il cibo è cultura, ci rappresenta, ci descrive, ci racconta. E bimbi e adolescenti lo hanno raccontato scrivendo storie e fiabe racchiuse in libri scritti e disegnati per l’occasione, preparando mattonelle di burro alle erbe, candele di cera d’api, cioccolatini avvolti in fantasiose confezioni di carta e coltivando piante aromatiche. “Sono stati toccati moltissimi temi legati all’alimentazione e ai consumi, compreso quello della carne, che in questa parte del mondo mangiamo in quantità eccessive”, dice la preside. Tra loghi, libri e torte, sfornate dalla cucina dello Smiling, c’è anche l’esposizione delle tavole della parodia dell’Inferno di Dante, realizzate da terza e quarta delle primarie.

Quel gran coniglio di Dante

L’inferno visto dai bambini è un ospedale, il gran poeta un coniglio bianco, vestito di rosso con tratti manga e un’incurabile svenevolezza, la sua guida Virgilio è una tigre avvolta in un camice da medico, con sé ha una valigetta dentro la quale conserva diverse cose, tra cui un formaggio puzzolente da passare sotto il naso del sommo malato per farlo rinvenire, nonché la metà di un prezioso antidoto che va combinato con la parte mancante. “L’idea della parodia è nata da esigenze di programma, si dovevano spiegare il discorso diretto e il genere umoristico”, raccontano Paola Cirelli e Angela Barioni le insegnanti delle due classi coinvolte. Così, una volta la settimana, il progetto ha preso forma, si è trasformato in coloratissime vignette con i dialoghi tra i due protagonisti e i ricoverati.
Sono stati i bambini a scegliere e votare il luogo in cui collocare l’Inferno al centro del quale è posto un gran frigorifero, guardato a vista da un supercattivo, che di tanto in tanto afferra un dannato di passaggio e lo trasforma in un cubetto di ghiaccio.

Dante4 dante3La fantasia è tanta, è parte di un gioco ed è l’antidoto alla serietà con cui in futuro si dovrà affrontare il padre della lingua italiana. Nel frattempo il viaggio di Dante, alla ricerca di una cura per guarire dalla svenevolezza, si snoda tra un reparto e l’altro, dove i “maldannati” soffrono di codite, di contrariosi, di avvocatosi, di giraffite e così via. Sulle tavole, formate da quattro disegni ciascuna, spiccano ometti e animali dal collo lunghissimo sdraiti sui letti, alcuni si mordono ininterrottamente la coda, altri dicono il contrario di quello che pensano e altri ancora difendono posizioni indifendibili. Ad ogni incontro tra il poeta e un maldannato corrisponde un indizio per scoprire dove si trova parte della medicina di cui ha bisogno per rimettersi dal suo problema. Il fumetto procede via via fino al megafrigorifero nel quale è conservata l’altra metà dell’antidoto alla svenevolezza.

“Ci aspettavamo che i bambini identificassero l’inferno con la scuola, la loro scelta ci ha sorprese”, dicono le maestre. I tempi cambiano. Una cosa però resta sempre uguale: all’inferno finiscono i parenti più stretti, sorelle, fratelli e nonne. Con gran sollievo delle maestre, che pensavano di essersi guadagnate l’eterna ibernazione.

EVENTUALMENTE
La magia dei Giardini estensi

Un evento da presentare in anteprima, per darvi la possibilità di partecipare e di curiosare prima di andare, per meglio selezionare quello che più v’interessa. Un evento cui presenzieremo e di cui parleremo ancora. Perché l’idea ci piace. E il profumo, le tonalità e i colori dei fiori pure, e tanto.
Il 2 e 3 maggio, nella splendida cornice del Castello, ritorna “Giardini Estensi”, con un’edizione dedicata al fiore di peonia (“La peonia, fiore degli Dei”). Come non ricordare che il nome della Peonia deriva da Paeon, il medico greco degli dei e che, secondo la leggenda, Peone utilizzò il fiore per guarire una ferita di Plutone; e che per ringraziarlo il dio gli fece il dono dell’immortalità trasformandolo nel bellissimo fiore della peonia. Un grande privilegio, poiché, per i greci, la peonia era l’unico fiore che meritava l’ammirazione degli dei e per questo era ospitato nell’Olimpo.
Il 2 maggio alle 9.30, verrà, quindi, realizzata, nel loggiato del cortile ducale del Castello Estense, una composizione floreale di peonie recise a cura della Scuola d’arte floreale del Garden Club di Ferrara (peonie fornite dall’azienda agricola La Riniera di Castel S. Pietro Terme).

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La locandina dell’iniziativa ‘Giardini estensi’

Ci sarà poi una bella mostra mercato che presenterà espositori di qualità, con piante rare, attrezzature per il giardinaggio e la cura degli spazi verdi. Per la gioia di espositori, di appassionati del verde e della natura, di esperti e meno esperti, di coloro che vorranno immaginarsi in un giardino fiorito nel bel mezzo della città. Un’atmosfera da favola. In contemporanea, negli imbarcaderi del Castello, si realizzerà la prima edizione della manifestazioneAtmosfere Country”, mostra mercato dedicata al vivere in campagna e all’artigianato di alta qualità; le antiche sale ospiteranno raffinati arredi, accessori e oggettistica di qualità legati a un mondo che rievoca le atmosfere rurali tradizionali.

L’impiego di delicati toni pastello, di materiali naturali come il legno, la prevalenza di forme morbide e la ricercatezza dei particolari sono alcune delle caratteristiche delle creazioni che si potranno ammirare. I materiali utilizzati sono spesso di riciclo oppure sono opportunamente anticati per ottenere oggetti vintage che richiamino atmosfere romantiche e retrò. Tutte le realizzazioni sono prodotte da artigiani e vanno dai mobili agli accessori come biancheria per la casa, accessori e servizi per la cucina. Si potranno trovare anche capi di abbigliamento e oggettistica varia, tutto rigorosamente hand-made.

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Spazio espositivo in piazza Castello

Una serie di eventi collaterali vedrà la partecipazione di ospiti illustri, come la famosa giornalista del verde e blogger Mimma Pallavicini, che terrà una conferenza sull’evoluzione del giardino mediterraneo, sabato 2 Maggio alle 17.00, nella sala Alfonso I del Castello; la presentazione di libri, uno show cooking vegano, a cura della chef Annalisa Malerba (da provare), mostre d’arte e diverse conferenze, tra i cui relatori vi saranno anche il maestro giardiniere Carlo Pagani e il curatore dell’Orto botanico di Ferrara, Fabrizio Negrini.
Saranno previste, inoltre, visite guidate nei giardini storici della città (da non perdere), a cura di Guide estensi Ferrara, comprendono il giardino pensile degli Aranci e quelli del Castello, il giardino delle Duchesse, di Palazzo Massari e il parco della cinta Muraria, con gli antichi orti estensi.
Verranno anche riconfermati alcuni contributi delle scorse edizioni, come il corso di cesteria per principianti tenuto dal maestro cestaio Roberto Bottaini e la realizzazione di architetture in salice, a cura Alberto Rabitti, artigiano e ingegnere.

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Archi in salice
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Tunnel in salice

Queste ultime possono essere particolarmente interessanti, perché permettono di creare bellissime strutture semplicemente piantando e intrecciando talee di salice (solitamente), per farne un gazebo, un’area giochi per bambini, un garage, un arredo urbano o uno spazio confortevole e piacevole di relax. Da essa filtrano luce, fresco ed energia d’estate, i bagliori della neve d’inverno. Ripetendo gesti antichi, si possono realizzare architetture viventi (e vivaci), piccole o grandi, verdi e a impatto zero. Da bambini abbiamo tutti sognato una bella casetta in armonia con la natura, questa è quel sogno, tanto più che cambia aspetto, forma, dimensione e colore, a seconda della stagione. Negli anni cresce, si può modificare, intrecciare, pettinare, accarezzare, cambiare. Basta curarla, mantenerla in forza e in salute con le adeguate potature durante l’anno. Prendersene cura, insomma. Alla manifestazione, Rabitti realizzerà un esempio di recinzione e un tunnel, il 3 maggio, al giardino delle Duchesse, dalle 11.00 al tramonto. I creatori curiosi non possono mancare. Particolarmente originale sarà anche l’esposizione degli hotel per insetti a cura di Paolo Tosco Parlamento (tutta la giornata di domenica 3 maggio, nel giardino delle Duchesse).

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Hotel per gli insetti
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Realizzati a regola d’arte

Spazio all’immaginazione e alla creatività, quindi. D’inverno, quando fa freddo e il lavoro nel giardino è ridotto, quale migliore idea se non quella di costruire un hotel per gli insetti? Una casa di tal tipo serve agli insetti come sito di nidificazione. In particolare, le specie vulnerabili, come le api selvatiche, possono stabilirsi lì per sviluppare e riprodursi in uno spazio tranquillo e protetto. Molti insetti sono impollinatori e si nutrono di parassiti. Essi sono molto importanti per l’ecosistema, ma l’agricoltura moderna e la silvicoltura hanno distrutto molti habitat naturali utili a questi insetti. Attraverso l’installazione di una casa per gli insetti alcune specie possono essere sostenute nella loro esistenza e aiutati nella loro lotta per la sopravvivenza. Ma ci sono delle regole. L’hotel per insetti deve essere orientato a sud o sud-est, in modo da poter essere illuminato dal sole al mattino, deve “voltare le spalle” ai venti dominanti e trovarsi nei pressi di un bel prato di fiori selvatici e/o coltivati (il ristorante dell’hotel) ed essere sollevato da terra di una trentina di centimetri e riparato dalle intemperie. E vi sono materiali adatti. Per i calabroni, ad esempio, serve una scatola con un buco del diametro di 10 mm e una piccola “rampa di lancio”, per alcune specie di api e vespe solitarie, meglio una stuoia di legno o di paglia arrotolata, per le api solitarie, mattoni forati riempiti di argilla e paglia, per gli imenotteri, giunchi, bambù o altri bastoncini vuoti all’interno, per alcune specie di api e vespe solitarie, pezzi di legno secco con dei buchi. Anno dopo anno, l’hotel contribuirà ad arricchire la micro-fauna d’insetti ausiliari e impollinatori del giardino. Qui vi sarà insegnato tutto questo e altro.

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Piazza Castello ‘Giardini estensi’ edizione 2013

L’intento dell’organizzazione è di creare iniziative culturali di alto livello e ben coordinate per potenziare l’opportunità di sviluppo turistico della manifestazione.
La novità: è stata attivata una convenzione tra Atmosfere Country (la sezione dedicata all’artigianato all’interno degli Imbarcaderi) e il museo del Castello Estense. Per i visitatori del museo, l’ingresso ad Atmosfere Country sarà possibile al costo di 2 €.

Per i dettagli della manifestazione, l’elenco degli espositori e il programma degli eventi culturali, visita il sito [vedi].

L’EVENTO
LiberAzione, così Ferrara rivive il 25 aprile

Gli alleati che arrivano, la gioia di liberarsi dalla paura, il senso di comunità, la festa: è la Liberazione. E’ quello che si è davvero riusciti a vivere di nuovo un po’ a Ferrara, per il 70esimo anniversario della liberazione del Paese da parte degli Alleati. Il 25 aprile 2015 la festa è stata rievocata e condivisa da attori, visitatori e cittadini nelle vie del centro. A far rivivere quel momento storico e quei sentimenti l’azione teatrale intitolata – appunto – “LiberAzione”. Un corteo di uomini, donne e bambini che da piazza Verdi è sfilato fino al muro del castello estense. La celebrazione-messa in scena è stata realizzata da Anpi (Associazione nazionale partigiani italiani) e Gruppo teatro comunitario di Pontelagoscuro in collaborazione con Arci-Spi Cgil e fondazione l’Approdo. La raccontano per noi le belle immagini scattate da Luca Pasqualini.

[clic su un’immagine per ingrandirla e vederle tutte]

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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)

EVENTUALMENTE
La rinata via de’ Romei in festa alla conquista del centro storico

Sonnolenta nella calda luce di un giorno feriale, via de’ Romei è in realtà una fucina di lavoro e di idee. “Nell’ultimo anno – spiega Massimiliano De Giovanni, che condivide la gestione di Pop Design con Giorgio Paparo – la via è cambiata molto: nonostante non sia ancora nella classica “vasca” dei ferraresi, è stata protagonista di una graduale riscoperta. É bello perché sempre più persone arrivano nella via quasi scoprendola per la prima volta, e nel contempo trovandone identificativi legati a stile o atmosfera: è parzialmente nascosta e ancora in via di scoperta ma già apprezzata, e questo è l’interessante double-face che la caratterizza. E’ la via di tutti noi”.
Variegata e aperta, come spesso è la porta del negozio in cui arriva la proprietaria della lavanderia per scambiare un pezzo da 50 o anche solo quattro chiacchiere. Il 29 aprile queste quattro chiacchiere si faranno direttamente nella via, pedonalizzata in occasione della seconda edizione di “Via de’ Romei in festa”.

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La locandina dell’evento

L’evento ha avuto un ottimo pregresso, quando nel settembre scorso prese il via la puntata zero della manifestazione [vedi], vero e proprio pilota di quella che si sta trasformando in una serie che promette molto bene. “L’idea – continua Massimiliano – partì dalla galleria d’arte, dalla sala da tè e da noi, per poi trovare adesione e compattezza da parte degli altri locali. Fu qualcosa che nacque da noi commercianti come nostro personale desiderio senza discorsi di associazioni di categoria né iniziativa che partisse dal comune. L’evento andò molto bene, tanto da guadagnarci la nomea di commercianti virtuosi. Questo ci convinse a strutturarci in modo tale non da lasciarlo un felice episodio isolato, bensì da farlo divenire un naturale prosieguo di quell’esperimento e dando una cadenza precisa ad altri eventi affini: la serata del 29 aprile sarà seguita da altre due occasioni, in giugno e in settembre, contando di dare una unicità a ciascuno di essi.”

Mercoledì sera, dalle 18 alle 24 dunque negozi aperti, due postazioni djset e performance live, per dare alternative a chi verrà a visitare via Romei e via Voltapaletto, in modo da poter accontentare un pubblico diversificato, trasversale ed eterogeneo, esulando da quello che è il classicissimo mercoledì sera universitario. Aperitivo lounge, esibizioni di jazz e kizomba, performance di body painting, installazioni video e 25 espositori con stand dedicati, tra cui la linea di accessori ¿Pourquoipas?, la casa editrice Kappalab, le creazioni della stilista ferrarese Elena Massari, il marchio di complementi di arredo a lampada al Led Alba Art con un occhio alla sostenibilità ambientale; creativi, artigiani e designer, con ogni sorta di oggetti handmade animeranno la strada, dal numero 13 al numero 51, in una apertura d’eccezione fino a tarda sera dove protagonisti saranno bellezza e bontà per tutti i gusti e in piena collaborazione e scambio: haircare e styling da Roncaglia Parrucchieri, cura e pulizia dei capi di abbigliamento con Lavanderia Gabriella Cavallari, aperitivi e dessert alla Caffetteria 2000, strumenti e accessori per pittura e tecniche artistiche a Michelangelo Belle Arti, colorati accessori, stilosi capi di abbigliamento e complementi di arredo a Lasciate entrare il sole, i panini gourmet del Barettino, storia e suggestione nella bottega di drogheria di Marisa Baroni, trattamenti estetici nel salone Diva, infusi e spezie nella sala da tè You and Tea, eventi e arti visive nello spazio d’arte L’Altrove, gastronomia tradizionale e mediterranea ed enoteca all’Osteria. A questi si aggiungono il ritrovo Brit-style Il Molo, gli articoli in carta e cartone di Volta la carta, i servizi di accoglienza turistica di Itinerando, promozione e sviluppo di attività apneistiche, immersione e vela con Priscilla Dive.
“L’idea di base è la mescolanza di artigiani e commercianti che creano unione dando vita a qualcosa di nuovo, senza timore di concorrenza ma privilegiando pluralità e originalità, varietà di proposte culturali e commerciali; valori che oggi, a causa della crisi economica e della imperante omologazione, si sono adombrati. Occuparsi di ambiti differenti e ben distinti e commercialmente è un vantaggio: possiamo affiancarci creando buona sinergia e soprattutto valore aggiunto per chi verrà a trovarci e a visitare de’ Romei mercoledì prossimo.”

La serata di aprile sarà la serata dedicata alla creatività. Di seguito solo alcuni assaggi delle lavorazioni originali ‘made in via de’ Romei’.

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Anelli creati con bottoni degli anni Quaranta e Cinquanta (Pop Design)

Pezzi di punta di Pop Design, i bottoni-gioiello, anelli e orecchini lavorati da Giorgio sono un ricordo montato su supporto moderno, ispirati dai bottoni che arrivano dalla bottega del padre, sarto nella Roma degli anni Sessanta e Settanta. “I bottoni sono pezzi d’epoca, modelli creati tra gli anni Quaranta e Sessanta. Il bottone, lontano dall’essere riprodotto in serie come oggi succede, era valore aggiunto del capo d’abbigliamento nonché la sua parte più pregiata, tanto che si conservava quando l’abito usciva di produzione. Questo aspetto di conservazione e riuso di un oggetto è ottimo per la filosofia eco-sostenibile, perché riutilizzato, e in una ottica affettiva, perché si può avere con sé un oggetto vissuto, portare in giro la sua storia, rimettendo in circolo una materia e una conoscenza. Non utilizzo mai bottoni contemporanei, quelli prodotti in serie, per capirci; né modifico mai la loro costruzione: quello che desidero è valorizzare questo oggetto.” Madreperla, passamaneria, legno, smalto su metallo, intrecci di corda, simboli della storia della moda e motivi variegati.

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Campanelli di bicicletta disegnati da Giorgio Paparo

Altro oggetto del quotidiano che si impone come valore artistico è il campanello per biciclette: “L’idea è nata da un bisogno reale: mi serviva un campanello per la bicicletta, ma in giro ne vedevo di tutti uguali e senza fantasia. Perciò ho contattato una azienda del territorio, dopo avere realizzato un progetto grafico legato a Pop Design. Al pari del bottone, il campanello è un oggetto piccolo ma appartenente alla vita di tutti i giorni, si fa notare senza essere invasivo. Con il vantaggio aggiunto di far riscoprire il valore della bicicletta – qui a Ferrara è già una istituzione – in una città come Milano, dove ne sono stati presentati alcuni con piantine della città e della metropolitana.”

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Abiti disegnati da Renata Bignozzi

Creativa haute couture è quella di Renata Bignozzi, stilista, ultimo negozio di via de’ Romei in angolo con via Contrari. Il suo “Cosaio”, aperto nel 1977, fu la prima esperienza in cui testò la creatività che poi avrebbe contraddistinto la sua attività nel corso degli anni, e la possibilità di trasformare un hobby in un vero e proprio mestiere. “Poteva essere la chiave della mia strada” – racconta Renata – e, di fatto, lo fu.” Nelle sue collezioni si possono ammirare completi di taglio severo ed elegante dai colori tenui e gentili, ma anche colorati pois su trench in tela cerata, sportivi e classici, ideali per la primavera piovosa e per l’estate, abbinati a borse della stessa texture, composte e minimali, pensate per la stagione primavera/estate 2015. “Ogni settimana in negozio arrivano nuove proposte, anche in base a ciò che viene maggiormente venduto, a ciò che piace alle clienti, con grande attenzione . L’impostazione del negozio è flessibile, in armonia con la mia idea della moda: non deve configurarsi come irraggiungibile meta per creatori d’élite chiusi nella propria torre d’avorio, unico porto sicuro di pochi edonisti che vedono nella moda un concetto astratto.

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Materiali sceltissimi e ricerca stilistica

Dopo gli studi all’Accademia di belle arti mi dedicai all’abbigliamento, specializzandomi nel settore del disegno, e qui sviluppai nella prassi alcune delle tesi e delle filosofie estetiche che avevo progettato durante i miei studi, tra cui la sublimazione del lavoro artigianale che diviene intimo e profondo grazie a un tempo della magia. Il prodotto artistico deve comunque possedere valore commerciale ed essere utile, così come l’autenticità della mia professione deve essere connessa al reale, al mondo in carne e ossa. Dall’artista all’artigiano deve esserci un trait d’union imprescindibile: nei miei schizzi – essenziali ma ricchi divertissement che scorrono fluidi su carta velina, ndr. – traccio elementi utili a chi andrà a confezionare il capo.”
Massima cura per i materiali è la seconda parola chiave della filosofia di Renata: “Ricerca e scelta della materia prima sono fondamentali, così come il cuore di ogni ricerca stilistica resta la spinta materica e formale. Vedere e osservare, toccare con mano resta l’imperativo categorico per poi sviluppare disegno e modello intorno a un manichino, pensandolo per una persona.”

In una ricerca instancabile ricercando la perfezione attraverso manualità, filosofia open-minded e creatività, valori che qui in via de’ Romei sono di casa.

Per saperne di più visita la pagina Facebook dell’evento [vedi].

LA SEGNALAZIONE
I paradossi del cibo

Mentre Expo 2015, con il suo tema “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, si avvicina veloce e si parla sempre di più di cibo e di alimentazione, il Barilla center for food and nutrition presenta i paradossi del cibo e come contrastarli, con la campagna di sensibilizzazione socialYes share eat!” [vedi], lanciata in occasione della Giornata della Terra. Questi paradossi sono tre, contenuti nel Protocollo di Milano [leggi], firmato il 3 aprile 2015, un accordo internazionale volto ad affrontare il problema della sostenibilità del sistema alimentare e a risolvere questi paradossi entro il 2020. Vediamo quali sono.

Primo paradosso, spreco di alimenti: 1,3 miliardi di tonnellate di cibo commestibile sono sprecate ogni anno (un terzo della produzione globale di alimenti e quattro volte la quantità necessaria a nutrire gli 805 milioni di persone denutrite nel mondo).

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I tre paradossi della campagna ‘Yes share eat!’

Secondo paradosso, agricoltura sostenibile: nonostante l’enorme diffusione della fame e della malnutrizione, una grande percentuale dei raccolti è utilizzata per la produzione di mangimi e di biocarburanti. Secondo le previsioni, la domanda globale di biocarburanti arriverà a 172 miliardi di litri nel 2020 rispetto agli 81 miliardi di litri del 2008, il che corrisponde ad altri 40 milioni di ettari di terreni convertiti a coltivazioni per biocarburanti. Un terzo della produzione agricola globale è impiegato per nutrire il bestiame. Sui circa 7 miliardi di abitanti della terra, 1 miliardo non ha accesso all’acqua potabile (il che provoca la morte di 4.000 bambini ogni giorno). In contrasto, per produrre un chilogrammo di carne di manzo servono 15.000 litri d’acqua.

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Come contrastare i paradossi del cibo

Terzo paradosso, coesistenza fra fame e obesità: per ogni persona affetta da denutrizione, ve ne sono due obese o sovrappeso (sovranutrizione): 805 milioni di persone nel mondo sono affette da denutrizione, mentre oltre 2,1 miliardi sono obese o sovrappeso. A fronte di 36 milioni di persone che muoiono ogni anno per denutrizione e carestia, 3,4 milioni muoiono a causa del sovrappeso o dell’obesità. La radice di questo problema risiede nello squilibrio globale della ricchezza e delle risorse.

Carlo Petrini, il presidente di Slow Food, usa il termine “schizofrenia” per descrivere la società contemporanea, che si muove non tanto contro-natura, ma anti-natura. E questi paradossi ne sono la prova. Come contrastarli, allora? Non sprecando, producendo di più con meno, scegliendo cibo che ne contenga e rispetti i suoi stessi valori, adottando un’alimentazione semplice, sana e variegata, facendo movimento, preferendo una filiera virtuosa (magari pure a chilometro zero), condividendo le proprie esperienze e, soprattutto, agendo nel quotidiano. Ci vuole educazione, anche per questo. Non è poi tanto difficile… vale la pena provare. Perché la libertà passa anche attraverso il cibo.

Per approfondire, “Togheter in Expo 2015” in collaborazione con il ministero dell’Istruzione, “Abbondanza e privazione: il paradosso del contemporaneo” [vedi].

LA NOVITA’
MuseoFerrara, il patrimonio della città sempre fruibile online

“Il Museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e specificamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto”: è la definizione di museo data dall’Icom (International council of museum). Proprio da qui è partito Daniele Jallà – presidente Icom Italia – per presentare MuseoFerrara, un museo vero e proprio, con l’indiscutibile vantaggio di essere sempre visitabile 24 ore su 24, senza orari di chiusura, perché è on-line. MuseoFerrara è, infatti, il nuovo museo che conserva e comunica “la conoscenza” della città e del suo territorio: la città visibile e la città invisibile, gli spazi urbani e i cittadini che li abitano e li hanno abitati, le loro esperienze e le loro memorie.

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Pagina sulla Ferrara ebraica

MuseoFerrara, ideato e diretto da Giovanni Lenzerini, è un continuo intreccio di materiale e immateriale: un museo per descrivere luoghi fisici, narrare eventi e vicende personali, ma nello spazio infinito e immateriale del web, il più adatto per ricondurre a sintesi tutte queste narrazioni in un unico affresco del ferrarese e soprattutto per consentire il processo di costruzione partecipata del sapere che è uno degli obiettivi principali del progetto. MuseoFerrara è quindi un museo diffuso perché le sue collezioni riguardano tutto il territorio, rimescola storia e geografia perché descrive la città di oggi come “frutto delle stratificazioni e ricomposizioni” vissute nel tempo, rendendo evidente come il paesaggio urbano e culturale che vediamo e viviamo oggi sia la sintesi di elementi diacronici diversi. È anche un museo collettivo, o meglio un ecomuseo, perché richiede ai cittadini di partecipare alla sua implementazione, attraverso la loro memoria e le loro esperienze personali, perché la città e la sua valorizzazione diventino veramente un patrimonio dei suoi abitanti.
Il primo cantiere, come si addice a un museo in progress, è quello della Ferrara ebraica, un viaggio fra storie, sapori, luoghi, personaggi, oggetti, fra cultura erudita e cultura materiale, da Isacco Lampronti e Giorgio Bassani, al caviale del Po di Nuta Ascoli, che verrà inaugurato nel pomeriggio di domenica 26 aprile nell’ambito della Festa del Libro Ebraico in Italia.

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Il logo

MuseoFerrara vuole essere un esperimento di politica culturale partecipativa e di costruzione partecipata del sapere: un modo diverso di guardare al nostro patrimonio culturale e naturale con l’obiettivo di incentivarne l’esperienza, che si può fare solo camminando per le vie e le piazze o esplorando il Delta. Non ultimo MuseoFerrara può diventare uno strumento di democrazia, perché conoscere la propria città, il proprio territorio, la storia, le vicende e i saperi in essi custoditi, farne esperienza e diventarne custodi consapevoli, permette ai cittadini di intervenire nelle scelte e nelle decisioni dell’amministrazione a proposito di pianificazione territoriale e salvaguardia dell’ambiente.

Per visitare MuseoFerrara clicca qui.

LA SEGNALAZIONE
Nello scapigliato Medardo Rosso la luce del Bastianino

Per uno dei tanti legami nascosti che Francesco Arcangeli – insuperabile storico dell’arte del secolo scorso (ma sembra ieri) – amava intrecciare tra esperienze artistiche distanti nel tempo ma legate da un’unica memoria evocativa, le pagine finali della monografia su Bastianino (1963), germinano suggestioni e indicano accostamenti attraverso un dialogo ininterrotto tra le arti. Con coraggio critico e metodologico Arcangeli indica un filo rosso che unisce la forma dissolta e fluida del ferrarese Filippi (1530 ca – 1602), e la forma labile ed espansa di Medardo Rosso (Milano 1858 – 1928) scultore visionario protagonista tra Otto e Novecento del rinnovamento delle forme plastiche intese non più come superfici volumetriche chiuse, bensì elementi plastici lievitanti di moti interiori per via della luce che aggruma e sfalda l’immagine reale.
Il cuore della tesi arcangeliana sta proprio nel tramando concreto dello smateriarsi delle forme attraverso la luce di Bastianino e l’indefinitezza delle forme variabili, per sentimenti e stati d’animo di alcuni artisti dell’Ottocento italiano da Ranzoni a Piccio a Medardo Rosso. Scrive infatti Arcangeli: “Egli (Bastianino) è il capostipite della tradizione intralciata ma mai interrotta dei sognatori di Padania: quei romantici interrati, che pur non avendo una poetica precisa, avevano ancora un’intuizione e, nei giorni ispirati, riaggallano improvvisi alla lucida espressione dell’umano, in quel che ha di tremante, di ineffabile, di malato […] e accostando ancora l’occhio, quegli angeli stessi del gran ferrarese, distrutti dalla luce nella loro carne antica, possono appaiarsi, sentimento puro, all’Ecce puer del grande Medardo Rosso.”

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La locandina della mostra

Ricordavo questo brano di Arcangeli passeggiando per le sale rinnovate della Galleria d’arte moderna di Milano, dove è in corso l’esposizione “Medardo Rosso. La luce e la materia” curata da Laura Zatti, conservatrice della stessa galleria e organizzata e prodotta dalla Gam di Milano e da 24 Ore cultura (Gruppo 24 Ore). Complice l’illuminazione sapiente, i riflessi delle teche e degli specchi, ho colto immediatamente quanto le sculture di Rosso siano al limite del frammento in cui tuttavia si addensa la vitalità espressiva del tutto.
Torinese di nascita e milanese di scarsa formazione accademica (verrà espulso da Brera dopo un solo anno di frequentazione ), l’artista sviluppa fin dagli esordi (1882 – 83) una personale poetica veristica e sociale in sintonia con il movimento della Scapigliatura, realizzando “Il birichino”, “Il sagrestano”, “La ruffiana”, opere che introducono la mostra. Non c’è nulla di bozzettistico e di sentimentale nel fissare i personaggi presi dalla strada e dalla quotidianità più umile, nella forma sfaldata, nella plastica grumosità della materia (bronzo, gesso, cera), sulla quale la luce crea variazioni di toni e porta in superficie valori pittorici sfumati. Nella Portinaia – in mostra la variante in bronzo del museo di Budapest – ogni intento ritrattistico è ormai lontano dalla forma vibrante e incerta in cui Rosso, più che riprodurre il ritratto di una persona o un tipo sociale ferma l’impressione di un’immagine riproposta agli occhi e alla mente. Più evidente nella fusione a cera, l’immagine diventa una superficie vibrante senza terza dimensione. Lo stesso scultore riconobbe alla Portinaia un ruolo fondamentale nell’evoluzione della sua poetica tesa a cogliere i flussi emozionali. Dalla colata liquida, trasparente, affiorano la testa reclinata con la fronte girata in avanti verso la luce, le occhiaie profonde, il naso bitorzoluto, la bocca tumefatta appena segnata da fonde ditate d’ombra. Ecco cosa significava per Rosso “sorprendere la natura”, fissare la prima emozione, la prima impressione che si trasferisce dagli occhi alla mente prima ancora di essere contaminata dall’analisi descrittiva. Anche se Rosso sarà definito dalla critica francese il fondatore della scultura impressionista al Salon des Indipéndents in occasione dell’Esposizione universale di Parigi del 1889, cui partecipò con cinque bronzi “Gavroche”, “Aetas aurea”, “Carne altrui”, “El Looch”, “La Portinaia”, tuttavia il carico delle emozioni e il valore degli stati d’animo, elementi caratterizzanti della sua arte fin dagli esordi vanno aldilà della visione impressionista e rivelano la difficoltà di catalogare la libertà inventiva sempre ricercata con ostinazione dall’artista.

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Medardo Rosso, ‘La bambina ridente’, 1889

Nella “Bambina ridente” (1889, cera su gesso, Barzio, Museo Rosso), il confronto con la scultura del Rinascimento toscano (Desiderio da Settignano), si esprime nella maggiore precisione del modellato che indica un’altra tecnica sperimentale per raggiungere l’immediatezza della visione psicologica. Proprio come nelle due Rieuses della Gam di Milano (cera su gesso, 1903-1904) e del Museo Rodin di Parigi (bronzo,1894), immagini misteriose, ineffabili nel loro sorriso quasi leonardesco, eseguite nel periodo parigino insieme alla “Dama velata” (non presente in mostra), blocco di cera in liquefazione che scopre i tratti appena accennati di un’apparizione inafferrabile. Impressioni ed emozioni colpiscono l’occhio dell’artista al ritmo incalzante del susseguirsi delle immagini come in un trailer cinematografico: dall’inquietante figura della Ruffiana (1883) alla Grande Rieuse (1892) dal volto rugoso e sconvolto dalla risata angosciante, a metà tra maschera del teatro greco e strega, le forme in divenire perdono la loro stabilità e mutano col variare dei punti di vista.
L’incrocio con la Scapigliatura e gli Impressionisti e con la statuaria rinascimentale è consapevole: nella serie di ritratti di bambini in cera, terracotta, bronzo e gesso,il processo fenomenologico si coglie nell’istantanea di un sorriso o nella fragilità di un’espressione fino a raggiungere nell’Ecce puer (1906) una fusione indefinita con l’atmosfera. L’Ecce puer nelle sue varianti è “scultura liquida che cola anima ed emozioni” allo stesso modo delle ombre e delle astratte fosforescenze delle madonne e degli angeli di Bastianino nell’età estrema ed estenuata della Maniera.

Mostra “Medardo Rosso. La luce e la materia”, Milano, Galleria d’arte moderna, 18 febbraio- 31 maggio 2015. Visita il sito [vedi].

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Comacchio, i Cinque stelle: “Con la cementificazione non si fa sviluppo”. Il sindaco: strumentalizzazioni

“Lo sviluppo non può essere considerato tale quando esiste la possibilità di gettare altri metri cubi di cemento. Ci sono strategie a impatto zero e, per quanto ci riguarda, sono le uniche da perseguire. Smetterla con il consumo del territorio è un punto di forza della nostra politica”, taglia corto Raffella Sensoli, consigliera regionale 5Stelle, che con un’interrogazione alla giunta emiliano-romagnola ha chiesto di verificare la correttezza dell’operato di Comune di Comacchio, Provincia di Ferrara e Parco del Delta del Po coinvolti nel discusso capitolo “Contratto di sviluppo – Turismo nel Delta” stretto quasi in concomitanza con il licenziamento dell’ultima stazione del Parco del Delta del Po, quella di Comacchio centro storico. “ Prima di tutto chiediamo la sospensione di qualsiasi modifica o approvazione legata a nuovi progetti. E’ un modo per cautelarsi, ci sono ancora diversi ricorsi aperti – precisa – Ci sono stati cambi di destinazione d’uso dei terreni e va da sé il dubbio legato al rischio di una cementificazione selvaggia”. Nessuna strumentalizzazione da parte di Legambiente si affretta a precisare: “Il sindaco Fabbri, che incontrerò a breve, si sbaglia. Ho letto i documenti e lavorato su dati oggettivi e, quando si parla di territorio, vorrei capire se ci sono state delle irregolarità anche nei confronti della Regione. In ogni caso, ripeto, fin quando non ci sarà la più totale chiarezza sarebbe bene sospendere qualsiasi operazione per evitare danni permanenti”.

Al centro dell’interrogazione c’è il maxi progetto giocato tra interventi edilizi e produttivi messi in campo da una cordata di imprenditori. “In testa c’è la società che fa capo al gruppo Tomasi – prosegue – i progetti presentano una serie di incongruenze formali e di sostanza che avrebbero bisogno di ulteriori approfondimenti”. L’esplorazione di leggi, leggine e normative comunali, provinciali e regionali, è d’obbligo per la Sensoli, c’è bisogno di sgomberare il campo dal caos e capire quale sia la posizione della Regione su quanto sta accadendo nel Comacchiese. “Nonostante il Comune di Comacchio nel documento preliminare del Piano strutturale comunale, abbia ammesso la presenza di un quadro complicato e contraddittorio, e forse in parte anche illegittimo, in relazione alle norme e previsioni urbanistico-territoriali – scrive Raffaella Sensoli nella sua interrogazione – il Comune sta procedendo verso la stipula di accordi con gli imprenditori dei progetti edilizi”.

Secondo la pentastellata l’approvazione di alcune delibere, oggi oggetto di 11 ricorsi, non sembra rispettare parte dei requisiti richiesti dallo stesso consiglio comunale. Motivo per cui la Sensoli è determinata ad andare in fondo. “La situazione è dominata dall’incertezza, tuttavia si stanno trattando progetti edilizi che comporterebbero varianti al Piano regolatore per trasformare le aree agricole in terreni dove ospitare strutture ricettive – spiega – Il consiglio ha approvato modifiche al regolamento edilizio con le quali si pretende di cambiare le destinazioni d’uso di terreni destinati dal Prg a soli campeggi, in terreni destinati a ‘campeggi-villaggi turistici’, variando inoltre gli usi di altri terreni destinati a ‘villaggi turistici’ in terreni per ‘centri vacanze’”. Un passaggio via l’altro per introdurre infine “strutture simili alle case mobili, ma installate fisse al suolo a cura di agriturismi in deroga alla normativa regionale”, sottolinea. “Crediamo che prima di tutelare l’interesse dei privati, la Regione si debba adoperare perché le norme di salvaguardia e tutela del paesaggio e dell’ambiente non vengano calpestate”.

La risposta del sindaco di Comacchio

La mossa della consigliera ha suscitato la reazione del sindaco Marco Fabbri, eletto in quota 5Stelle e scomunicato dal movimento di Grillo qualche tempo fa.
“L’interrogazione è un semplice copia-incolla del ricorso presentato da Legambiente lo scorso anno, il 30 luglio il Tribunale amministrativo regionale ha rigettato la sospensiva – dice – non c’erano i presupposti per sospendere il Piano di stazione del centro storico del Parco del Delta Po tuttora vigente”. Il piano, ricorda il sindaco, è stato licenziato dopo 20 anni di gestazione nel 2014. “E’ successo grazie a un forte impegno di Regione, Provincia, ente Parco e su forte impulso del nostro Comune – continua – Il piano è stato pubblicato sul bollettino ufficiale della Regione il 13 febbraio del 2013, dopo di che sono pervenute oltre 60 osservazioni di privati e interessati a vario titolo. Nonostante la forte valenza ambientale del Piano non è arrivata alcuna osservazione da parte del Movimento 5 Stelle regionale, né tanto meno risultano inviate interrogazioni al Presidente della Regione e alla Giunta”.

La questione è dunque politica? “A distanza di oltre un anno e soltanto dopo la nostra espulsione, il Movimento 5 Stelle regionale ha pensato di contestare il piano, quando avrebbe potuto farlo in tempi, modi e sedi previsti per legge”. Il tono è piccato ed è più che plausibile, gli interessi in ballo sono tanti e diversi. “Rispetto al merito della vicenda, stiamo lavorando a pieno ritmo, portando avanti con determinazione uno dei punti del programma elettorale, con la ferma volontà di arrestare il consumo del territorio, al quale abbiamo purtroppo assistito negli ultimi decenni – prosegue Fabbri – Si è data semmai un’accelerata al processo virtuoso di riconversione e riqualificazione delle seconde case con la realizzazione di residenze turistico-alberghiere, secondo la concezione dell’albergo diffuso”. Le contestazioni del Movimento 5 Stelle, lo lasciano “basito” perché sposano la tesi di una guerra contro i campeggi. “Affiancano di fatto il pensiero del circolo locale di Legambiente, che definisce consumo di suolo anche la semplice realizzazione di aree per la sosta dei camper – spiega – Ho parlato ieri telefonicamente con la consigliera regionale Sensoli alla quale esporrò la vicenda che le è stata illustrata in modo strumentale e distorto da Legambiente”. E ancora: “Dato che le strutture ricettive all’aria aperta sono la principale fetta dell’industria turistica locale, il motore dello sviluppo del territorio, vista la grave crisi della pesca, – conclude – sono certo che verranno comprese le necessità di garantire prospettive di crescita anche attraverso l’ampliamento dei campeggi, tanto più che quelli di nuova generazione sono concepiti con metodi assolutamente ecosostenibili e nel pieno rispetto dell’ambiente”.

“Ostacola i concorrenti”: anche Google accusata di abuso di posizione dominante

Dopo Microsoft, Bruxelles si è dimostrata pronta a procedere legalmente verso un altro colosso del web. Google, noto motore di ricerca, attualmente gestisce il 90% circa delle ricerche a livello europeo, vantando un totale di 60 trilioni di pagine web indicizzate dal suo dominio.
E’ proprio il gigante di Mountain View il protagonista della nuova procedura di obiezione, emessa dall’organismo Garante della concorrenza e del mercato della Commissione europea, dove è stata formalmente espressa l’accusa di abuso di posizione dominante in riferimento sia al motore di ricerca, sia al sistema operativo Android, acquisito dallo stesso diversi anni prima. L’accusa, dunque, si fonderebbe sul fatto che la forte attrazione che i prodotti dell’azienda attirano su di sé consente di detenere un potere di mercato enorme, cosa che di per sé non rappresenta un abuso, ma il fatto che grazie a questo abbiano potuto trarne un vantaggio sì.
Autopubblicizzandosi o assicurando visibiltà ai suoi prodotti, Google avrebbe recato danno ai consumatori, ingannandoli, e ai concorrenti immettendo delle barriere all’entrata, veri e proprio ostacoli alla partecipazione in quel segmento di mercato. Inoltre, si parla di impatto negativo sull’innovazione che avrebbe potuto impedire l’affermazione di nuovi mercati, processi o prodotti tramite un meccanismo di occlusione. Insomma l’azione di Bruxelles avrebbe come obiettivo principale quello di garantire il libero mercato; in attesa di una sentenza definitiva, però, si apre spazio per nuove riflessioni.
L’accezione di bisogno ha sempre rappresentato il punto di partenza di un’idea economica: fin dall’antichità, infatti, le imprese nascono per soddisfare i bisogni delle persone; col passare del tempo però, i bisogni sono stati smembrati e divorati, rendendo difficile concepirne di nuovi. L’informazione e la conoscenza allora, hanno cominciato a svolgere il ruolo di variabili economiche, sostituendo i bisogni primari, premiando chi le detiene con una sorta di capacità di plasmare e guidare il mercato.
In questo senso, la vicenda risulta emblematica, se si pensa alla quantità di informazioni che Google possiede sulle persone che lo usano, sui loro interessi, il loro stile di vita ed i loro desideri: un mercato talmente smisurato da sembrare “dominante”.

Presente precario: lo zapping del sindaco fra passato e futuro

Il mondo cambia, Ferrara anche. Lo si voglia o no, la città deve uscire dalle propria mura e trovare un nuovo equilibrio tra Bologna, Comacchio e il centro est emiliano. Tre punti cardinali di una dimensione geofisica, oltre che economica, imposta dall’abolizione delle Province e calata in una realtà ancora profondamente legata ai campanili. Restare ancorati ai propri confini è una questione culturale, d’abitudine e di organizzazione sociale, ma il modello va superato. Lo pretende il futuro, così come richiede il rafforzarsi di un’identità dei Comuni della provincia, da sud a nord, per favorire lo sviluppo e frenare il rischio di finire in coda a realtà più incisive e dinamiche, che potrebbero metterci alla corda ancora di più di quanto già non siamo. La missione è complicata, ma non si può fare diversamente.

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Il sindaco di Ferrara Tiaziano Tagliani

Lo ha spiegato a più riprese il sindaco Tiziano Tagliani nel corso del colloquio con responsabili e giornalisti dei media cittadini (Cristiano Bendin Il Resto del Carlino, Stefano Scansani La nuova Ferrara, Marco Zavagli Estense.com, Stefano Ravaioli Telestense, Monica Forti Ferraraitalia.it) organizzato da “Think Tank – Pluralismo e dissenso”. Oggi Ferrara gioca la sua partita facendo della stabilità di governo un valore indispensabile per superare lontananze e divisioni storiche, ancor più accentuate nei paesi della provincia estense, e Bologna realtà metropolitana a cui siamo legati soprattutto per la mobilità. Sono realtà lontane per cultura, ma nell’assetto politico nel quale ci stiamo addentrando, devono stare insieme e i sindaci di Comacchio e Cento, partecipare al disegno istituzionale per il bene di tutti. “E’ difficile pensare che Goro avverta un legame con la città metropolitana e lo è altrettanto credere che un sindaco metropolitano faccia gli interessi di Ferrara – ha detto – In questo quadro bisogna capire con cosa si vuole riempire l’area vasta, Merola chiederà di rafforzare la relazione con il centro-Emilia, ma se non c’è un disegno equilibrato si finirà con il sciogliere la regione”. La sfida è servita.

Due ore tra domande e risposte dalle quali sono emerse la speranza di un lieto fine della disastrosa vicenda della Cassa di Risparmio. “La cattiva gestione dell’istituto ha fallito, i contraccolpi si sono sentiti anche in altre città, Genova, Asti – ha spiegato – C’è stato un momento in cui sembrava esserci un acquirente e avevo chiesto una pluralità d’offerta, ma è tutto. Nessuna pressione, ognuno deve fare il proprio mestiere. La politica è rimasta fuori dalla Cassa da almeno 16 anni e l’attuale situazione è identica a quella di un’asta immobiliare”. Sul fronte della chimica ha sottolineato le difficoltà di realizzare un polo “verde”, l’intenzione è quella di proseguire nelle operazioni di bonifica, ma resta il problema di trovare chi investa in un settore fermo in tutt’Italia. Quanto alla possibilità di nuovi insediamenti imprenditoriali, Tagliani è stato chiaro, un sindaco può sollecitare le occasioni, snellire il più possibile la burocrazia per invogliare gli imprenditori a mettere radici nel Ferrarese, ma la decisione finale spetta sempre a chi tiene i cordoni della borsa. Qualche volta va male e qualche altra meglio come nel caso di Manifatture Berluti, scarpe artigianali di alta qualità a, che ha fatto base a Gaibanella e pensa di allargarsi in un prossimo futuro. Non è certo fabbrica dai grandi numeri, ma rientra nell’ambito di un mercato di nicchia prestigioso capace, grazie ai prodotti di lusso, di reggere le contrazioni del mercato.

Nello zapping tra passato e futuro il sindaco, ha ricordato il tramonto delle imprese di costruzioni incapaci di competere con il mercato, ma ha salvato la “buona eredità”: “Abbiamo una città della cultura che continua ad andare avanti, perché l’idea era ed è buona”, ha precisato. C’è l’intenzione di affiancare al Palazzo dei Diamanti, immagine di punta del turismo culturale, un ristrutturato Palazzo Massari da trasformare in un tempio dei “saperi” ad uso cittadino. E proprio dove la cultura s’intreccia con il turismo, sotto il cappello del riconoscimento Unesco e nell’attesa dell’approvazione del progetto Mab (Man and biosphere) del Delta, da cui a giugno dovrebbe nascere una riserva naturale, il destino di Ferrara appare legato a doppio filo con quello di Comacchio, che solo lo scorso anno, a riforma delle Province avvenuta, ha votato il referendum per passare sotto quella di Ravenna. Ma i matrimoni, si sa, alle volte sono d’interesse, superano i dissapori e sfociano in alleanze tra business e politica. Soprattutto a fronte di certi sintomi. Un esempio? La politica delle grandi mostre si scontra con budget assottigliati e rischia di andare compromessa dall’intraprendenza di altre città, che mettono in scena più di un’esposizione di richiamo a pochi chilometri da Ferrara, “rubandole” turisti, visitatori e incassi. Il valore estetico di Ferrara non si mette in discussione, ma bisogna renderla particolare, unica e vendibile.

“Allargare il centro storico riqualificandolo è una cosa di interesse collettivo – ha precisato – vorrei poter convincere i commercianti che più è grande più la città ci guadagna. Dobbiamo spingere per la sua bellezza”. Sgomberare il “listone” dalle bancarelle, polemiche o no, sembra far parte del nuovo look e di un più largo progetto nel quale storia, architettura e natura si devono mescolare e offrirsi quale sostegno all’economia ferrarese, che per ora non può contare su un vasto numero di aziende ispirate alla sostenibilità e alle energie rinnovabili come il sindaco spera al punto da spendersi perché gli spin off universitari diventino vere e proprie realtà imprenditoriali. Nel frattempo bisogna essere tanto bravi da affascinare i turisti, da essere speciali. E’ la chance più immediata. “Inutile chiedere una fermata di Italo o Frecciarossa  – ha insistito Tagliani – Prima vanno create le condizioni perché ciò avvenga”.

La vocazione culturale ha allora bisogno di un turismo tinto di naturalismo che fa del Po e del suo Delta un tesoro a cui restituire il giusto posto nel mondo e dell’idrovia, la via d’acqua degli appassionati del grande fiume la cui porta d’ingresso è la città capoluogo, l’ottava stazione del Parco. Stazione ancora lontana dall’essere istituita, specifica Tagliani, perché il Parco del Delta del Po è in sofferenza. “Ci sono delle difficoltà normative di cui sta facendo le spese, è necessaria una nuova legge regionale e bisogna lavorare bene sul Delta, che fa parte della nostra cultura e va rispettato come bene comune quale è. Il Mab Unesco, che ci trasforma in riserva, è una straordinaria occasione per tutti”, ha detto. “Il parco è un valore aggiunto, è ovvio che ci sono delle difficoltà di gestirlo dal punto di vista della sostenibilità ambientale. Abbiamo a che fare con una forte antropizzazione, a cominciare da quella dei lidi, a cui siamo abituati a pensare in termini di seconda casa. Certo negli anni ’60 l’intera partita poteva essere governata meglio. Resta il fatto che l’habitat comacchiese è una grande occasione per l’economia turistica, alcuni imprenditori l’hanno capito. Penso inoltre al cuore del lido di Volano, ha rapporti con la pineta, con le valli e si presta a una qualità edilizia nuova e diversa”. E’ evidente che l’ormai trentennale progetto di creare una struttura-villaggio nei terreni della Provincia, a ridosso della spiaggia, non è ancora tramontato.

Nel frattempo il Parco arranca, appare in disarmo, anche dal punto di vista della dirigenza tecnica, il direttore Lucilla Previati, ma non è l’unica, ha lasciato l’ente. “Per ovviare abbiamo stretto un accordo con l’Università di Ferrara, a occuparsi temporaneamente dell’aspetto ambientale, sarà Giuseppe Castaldelli del Dipartimento di biologia ed evoluzione”, ha precisato.
Parco in stand by e idrovia inceppata a nord a causa del ponte sulla ferrovia da rialzare per permettere il passaggio delle imbarcazioni di quinta classe: l’imbuto più criticato della grande opera alla cui realizzazione ha contribuito l’Europa. Ferrara città non vive l’idrovia con particolare attesa, piuttosto guarda al Sebastian, la nave-pizzeria incagliata nella darsena. “Abbiamo dei problemi tecnici, andranno risolti con il tempo come è accaduto in altre città d’Europa. E’ tutto difficile, mettere d’accordo tante amministrazioni, spostare il pub, però andiamo avanti. Intanto cerchiamo di chiudere quanto prima il cantiere ferroviario di via Bologna”.
I cantieri dell’idrovia, quelli verso il mare, sostiene, saranno ultimati entro il 2015, mentre a nord si lavora al progetto di qualificazione del canale Boicelli. Il quadro è in divenire: “In questa situazione gli imprenditori sono a rimorchio dello stato dell’arte, ma intanto è bene sfruttare quanto già c’è a favore del turismo fluviale – prosegue – Per ora passeranno le bettoline di classe inferiore alla Va. Non c’è ragione di rinunciare al progetto, si farà un passo alla volta”.

Dalla lunga conversazione non potevano mancare la vicenda del Sant’Anna di Cona e la recente sentenza emessa dal Tribunale ferrarese: “Sono in politica da 25 anni, personalmente non votai la delibera con cui se ne approvò la nascita. Sono diventato sindaco nel 2009, quando il Sant’Anna di Ferrara era già chiuso – ha ricordato – Mi assumo invece la responsabilità politica di averlo fatto aprire e aggiungo che ha retto il terremoto. Quanto alla sentenza, prendo atto del lavoro della magistratura dal quale non risultano tangenti incassate”. Insieme al lascito Sant’Anna, ha precisato, c’è anche quello del debito di 170 milioni di euro trovato al suo arrivo e che entro il 2019, alla scadenza del secondo mandato, vuole dimezzare. “Vogliamo restituire ai cittadini 90 milioni di euro per dare ossigeno alla città e agli amministratori che verranno dopo di me”, ha spiegato. Un’intenzione legata ad un modo diverso di governare senza il quale si rischia di pagare pegno: “Ci sono città ancora governate con il vecchio sistema, i buchi finanziari diventano inevitabili e quei buchi, vengono pagati anche con i soldi dei ferraresi”.

Quella al sindaco Tiziano Tagliani è l’ultima delle tre interviste con i sindaci degli ultimi 31 anni, organizzate dal Think tank ferrarese “Pluralismo e dissenso”, presentate e moderate dallo storico esponente dei Radicali cittadini Mario Zamorani.

Leggi l’articolo di presentazione dell’iniziativa [vedi].

Barcellona-Ferrara, la “Rosa di fuoco” in dodici stanze e tanti sguardi

Ferrara-Barcellona: pronti, via! La mostra è partita. Sono arrivati tanti viaggiatori di spazio e tempo a scoprirla, la “Rosa di fuoco”, dedicata alla Barcellona di Picasso e Gaudì [vedi]. Per conoscere opere e significato dell’allestimento nel Palazzo dei Diamanti un centinaio di giornalisti e addetti ai lavori in visita nel fine settimana appena trascorso. Ecco un piccolo viaggio nei viaggi di chi l’ha guardata in anteprima.

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Ricostruzione del modello di Antoni Gaudì per il progetto della chiesa della Colonia Güell, a Palazzo dei Diamanti di Ferrara

Incantata dal mega-modello, costruito con corde e catene da Antoni Gaudì, è Eleonora Sole Travagli, gionalista e addetta stampa del Jazz club Ferrara. Eleonora si affaccia allo specchio che invade quasi tutto il salone d’apertura e guarda quello che il massimo esponente del Modernismo catalano ha architettato più di un secolo fa. Per costruire la chiesa della Colònia Güell, Gaudì si inventa questo sistema di funi ed elementi penzolanti. Uno stratagemma che dà forma a corpi organici e sinuosi, che poi – capovolti – diventano torri e guglie. Sono gli elementi costruttivi per la chiesa del villaggio realizzato, a una ventina di chilometri da Barcellona, per i lavoratori delle fabbriche del mecenate Eusebi Güell. Questa chiesa, mai terminata, ricorda nelle forme organiche l’immensa e variegata Sagrada Familia. “Un anticipatore incredibile – dice Eleonora ammirata – e con un espediente come questo dimostra il suo approccio così poco convenzionale alla progettazione”. In effetti la vista del modellino in metallo, appeso al soffitto e specchiato, vale già tutta la visita. Lo specchio mostra quello che Gaudì voleva vedere, la versione capovolta delle curve sinuose. All’epoca, il rovescio dell’immagine, lui, lo realizza nello schizzo a carboncino, appeso nella stessa stanza. Insieme, il disegno e il modello ricostruito ora dal Centro di applicazione informatica dell’Università della Catalogna, materializzano la forza innovativa della sua arte, avveniristica e fuori dagli schemi.

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Disegno di Antoni Gaudì a carboncino, acquerello e gouache su carta per la chiesa della Colonia Güell

A soddisfare Carlo Valentini, giornalista e inviato per la terza rete Rai dell’Emilia-Romagna, è soprattutto il tuffo che la mostra riesce a restituire tra le atmosfere artistiche che invadono tanti generi artistici, artigianali e sociali. “Gioielli, bozzetti, schizzi – dice – una stanza dopo l’altra riescono a farti entrare nello spirito di questo movimento artistico del secolo scorso”. E’ un po’ quello che fa notare la responsabile delle Gallerie civiche d’arte moderna e contemporanea, Maria Luisa Pacelli. Davanti alla giornalista di Telestense Dalia Bighinati, la direttrice di FerraraArte spiega che “con la rivoluzione industriale arriva la modernità e si porta dietro un’effervescenza creativa unica”. Un’altra telecamera riprende il curatore Tomàs Llorens, che nell’intervista raccolta dallo studio Esseci spiega come il modernismo catalano non sia uno stile, ma “una delle pagine più eclettiche della storia dell’arte di questa regione spagnola, fatta di apertura ai grandi movimenti culturali europei, assetata di sperimentazione e di desiderio di provare accostamenti anche contraddittori”. Sullo sfondo è appesa la “Ragazza in camicia”, opera-simbolo della mostra. E’ uno degli olii su tela di Pablo Picasso che si ferma ad ammirare Marco Sgarbi, attore, anima di Ferrara Teatro Off e direttore artistico del teatro comunale di Occhiobello, in visita con bebè in passeggino.

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Il curatore della mostra Tomàs Llorens intervistato dal service dello studio Esseci

Il direttore scientifico del Mar, il Museo d’arte di Ravenna, Claudio Spadoni passa gioioso dalle sale del palazzo a quelle più intime della home-gallery di Maria Livia Brunelli, pochi numeri civici più in là, dove si svolge – come ormai consueto – il vernissage parallelo alla grande mostra dei Diamanti: è “Deflagraciòn” con le opere delle artiste Elisa Leonini e Ketty Tagliatti, ispirate dalla “Rosa di fuoco” .

Tra i cataloghi del ricco book-shop alla fine del percorso espositivo c’è Giuseppe Sangiorgi, caporedattore della rivista “EconErre” dedicata all’economia dell’Emilia-Romagna, che tra libri e oggetti ripercorre le mostre e le visite precedenti insieme alla collega Gianna Padovani, che cura la comunicazione web di Unioncamere.

Incantati, alcuni visitatori riflettono sguardi e scatti fotografici sugli specchi ondulati che Gaudì ha modellato per Casa Milà, mentre – una stanza dopo – restano catturati dal luccichio dei gioielli artistici. Sono ciondoli e monili che usano oro e pietre preziose per rappresentare le meraviglie della natura. Giardino in miniatura, ad esempio, la “Spilla con libellula”, creata tra 1903 e 1906 da Lluìs Masriera, con l’insetto sullo sfondo di soffioni in smalto. Una visione che prende vita fuori dalle sale, nel prato del cortile di palazzo dei Diamanti, dove soffioni veri spuntano nell’erba. Una bambina li raccoglie; poi soffia sui frutti essiccati prodotti dai fiori e fa volare in aria quei semi-paracadute. Gli adulti, intanto, i fiori li mangiano, nella versione a panino del buffet accanto ai bouquet di altri fiori, veri, di ispirazione Liberty.

Fino al 19 luglio a Palazzo dei Diamanti di Ferrara, corso Ercole I d’Este 21, l’esposizione continua. Tra gioielli floreali di diamanti, fiori decorativi, rosette di pane e soffi ai soffioni.

[clic su un’immagine per ingrandirla e vederle tutte]

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Marco Sgarbi, direttore artistico teatrale, in visita sala alla mostra di Palazzo dei Diamanti
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Giuseppe Sangiorgi e Gianna Padovani di Unioncamere Emilia-Romagna
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Eleonora Sole Travagli e Carlo Valentini
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Ancora la pierre di Jazz club Ferrara e il giornalista Rai
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Visitatori sullo sfondo della mitica taverna “Els Quatre Gats”
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Il modello di Antoni Gaudì per la progettazione della chiesa della Colonia Güell
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Lo schizzo a carboncino di Gaudì per la chiesa della Colonia Güell
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Gli specchi creati dall’architetto catalano per Casa Milà
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Spilla con libellula di Lluis Masriera
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Soffio ai soffioni nel cortile di Palazzo dei Diamanti
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Rose vere e di pane per il buffet dela mostra “La rosa di fuoco”
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La guardarobiera del palazzo, Germana Aguiari

Alla Festa del libro ebraico è tempo di kasherut: la cultura dalla parte dei fornelli

Dal 25 al 28 aprile torna a Ferrara la Festa del libro ebraico, un’occasione per conoscere più da vicino la storia e la cultura dei nostri concittadini ebrei, una minoranza legata da una relazione antichissima e indissolubile con il resto della popolazione italiana.
Non esiste modo migliore di conoscere una cultura se non attraverso la sua tradizione culinaria: ecco allora che, nell’anno in cui Expo affronta il tema di come nutrire il pianeta negli anni a venire, uno dei temi principali della Festa – giunta alla sua sesta edizione – è l’alimentazione ebraica, indagata sia dal punto di vista delle norma religiosa, la cosiddetta kasherut, sia dal punto di vista dei sapori e dei profumi, tanto vari quanti sono le diverse comunità ebraiche nel nostro paese.

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Kosher a Roma, festival della cultura e dell’enogastronomia giudaico-romanesca

Nell’ebraismo tutti gli aspetti della vita quotidiana dei singoli e della comunità sono scanditi dai precetti (mitzvot) della Torah (il Pentateuco): qui il termine kasher indica ciò che è buono, opportuno, adatto e con il tempo il suo significato si è esteso al cibo permesso. Nell’immaginario comune la proibizione più nota è quella di consumare la carne di maiale, ma in realtà la kasherut è un sistema più ampio che regola anche le modalità di preparazione dei cibi. La disciplina è particolarmente elaborata per i cibi di origine animale: fra i mammiferi sono permessi quelli che hanno lo zoccolo diviso e sono ruminanti, mentre gli animali acquatici devono avere pinne e squame, molluschi, crostacei e frutti di mare di tutti i tipi sono perciò proibiti; fra gli uccelli sono proibiti i rapaci perché si nutrono di carne e soprattutto di sangue. Cibarsi di sangue è, infatti, un divieto assoluto perché viene identificato simbolicamente con la vita: ecco perché la macellazione rituale, che deve uccidere l’animale il più velocemente possibile e causandogli il minimo di dolore, prevede anche una serie di procedimenti per eliminare dalla carne anche le più piccole tracce di sangue. Una delle regole più complesse da osservare nella pratica è la netta separazione fra carne e latticini, perché implica in ogni cucina la presenza di due tipi di attrezzature complete, dalle stoviglie ai piatti, alle posate. Ci sono poi anche prescrizioni specifiche per alcuni momenti particolari, come shabbat, il riposo del sabato, e Pesach, la Pasqua ebraica appena trascorsa. Durante shabbat era proibito accendere un fuoco anche per cucinare, quindi oggi non si può accendere il gas o la corrente elettrica: diventa così impossibile usare un forno, anche a microonde, come aprire e chiudere un frigorifero. Per Pesach, invece, non si può usare lievito: tutto ciò che viene usato per l’alimentazione durante la Pasqua deve essere rigorosamente riservato a quel periodo per evitare che abbia contenuto o toccato lievito durante il resto dell’anno. Tutto ciò in ricordo del momento in cui fu annunciata agli Ebrei schiavi in Egitto la fuga imminente, quando non ebbero il tempo di fare lievitare il pane.

Ci si può chiedere quale sia il significato di regole e prescrizioni così elaborate e minuziose: è una domanda che molti si sono posti anche all’interno dell’ebraismo stesso. Come scrive il rabbino capo della comunità ebraica di Ferrara Luciano Caro: “La vita dell’ebreo è impostata sulla necessità di operare continuamente una scelta tesa a valutare ogni atto e di conseguenza a ricercare costantemente il ruolo dell’essere umano nel suo rapporto con i suoi simili e con la natura” (Luciano Caro, “La Kasherut. Le norme alimentari ebraiche. Considerazioni introduttive”, p. 12).
Oggi però, con la produzione alimentare di massa, l’uso frequente di conservanti e coloranti di origine sintetica o chimica e l’utilizzo di additivi o esaltatori di sapore, la necessità di conoscere a fondo da dove proviene e come è stato preparato il cibo che si consuma, può essere considerato un grosso vantaggio. Non è dunque un caso che, secondo quanto affermato da Jacqueline Fellusconsigliere Ucei Unione delle comunità ebraiche italiane – negli Stati uniti questi prodotti sono considerati, alla stregua di quelli biologici, sinonimo di qualità. “Si calcola che nei supermercati girino il 30% più velocemente di quelli tradizionali”.

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Jacqueline Fellus al KosherFest
La chef Laura Ravaioli del Gambero Rosso
La chef Laura Ravaioli del Gambero Rosso

La Festa del libro ebraico di Ferrara sarà perciò anche l’occasione per presentare il marchio di certificazione “K.it”, dove K sta per kasher, e Jacqueline Fellus il 28 aprile parteciperà insieme alla chef di Gambero Rosso channel Laura Ravaioli alla presentazione del libroLa dieta kasher. Storia, regole e benefici dell’alimentazione ebraica”, curato da Rossella Tercatin ed edito da Giuntina. Lo stesso giorno si terrà poi l’incontro “A tavola con i patriarchi. Cibo e rito nella tradizione ebraica” con il rabbino Luciano Caro. Ma i sapori e i profumi della cucina ebraica, in cui si mescolano le pietanze dei luoghi di provenienza e di arrivo di questo popolo errante, saranno protagonisti anche di laboratori per bambini e della serataGan Eden Restaurant. Seimila anni di gioie e dolori nella cucina tradizionale ebraica”.

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Il logo della Festa del libro ebraico di Ferrara

La storia e la cultura dell’ebraismo italiano verranno poi raccontati attraverso la musica e naturalmente attraverso i libri, i veri protagonisti della Festa. Fra gli ospiti quest’anno l’appuntamento ferrarese può vantare addirittura un Premio Nobel: Patrick Modiano, Nobel per la letteratura 2014, che il 26 aprile riceverà il “Premio di cultura ebraica Pardes” insieme allo scrittore Samuel Modiano, sopravvissuto al campo di sterminio di Auschwitz, e alla storica Anna Foa. In occasione della kermesse sono anche previste aperture straordinarie della mostraTorah fonte di vita. La collezione del Museo della Comunità Ebraica di Ferrara”, ospitata nei locali del Meis, e visite guidate al cantiere del futuro Museo dell’Ebraismo Italiano e della Shoah.
Come è ormai tradizione, sabato 25 aprile il compito di inaugurare la Festa è affidato alla “Notte bianca ebraica d’Italia”, che inizierà alle 21 al Chiostro di San Paolo, e che nel settantesimo della Liberazione non poteva che essere un “Omaggio alla libertà”. Chi prenderà parte alla passeggiata riceverà un fiore nontiscordardime che potrà lasciare in uno dei luoghi della memoria lungo l’itinerario, giunti poi al termine del percorso i partecipanti riceveranno un altro fiore: questa volta una piccola spilla che rimarrà loro come ricordo della Festa del Libro Ebraico.

Festa del Libro Ebraico in Italia, Ferrara 25-28 aprile, per il programma completo e gli aggiornamenti in tempo reale [vedi].

Se il muro è pubblicità progresso

Chi ha viaggiato in Africa o conosce abbastanza bene i paesi africani, soprattutto quelli della zona sub-sahariana, avrà notato sicuramente che i manifesti pubblicitari (di prodotti o iniziative) non sono quelli tradizionali, fatti di carta stampata, ma sono dipinti sui muri stessi. I disegni danno vita a muri e pareti a volte dimenticati o abbandonati, facendoli uscire da anonimato, insignificanza e invisibilità. Quasi miracolosamente. Pubblicità viene da pubblico, da collettivo e familiare. Nulla di più naturale, quindi, del fatto che, se si vuole far conoscere qualcosa o qualcuno, o mandare un messaggio chiaro, immediato e diretto a tutti, il muro sia la vera pelle. Il contatto con l’epidermide è, infatti, il primo, la porta di accesso all’anima.

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Esempi di ‘ghost signs’ del mondo anglosassone
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Pubblicità scolorite degli anno Cinquanta

D’altra parte, se andiamo indietro negli anni, e precisamente a fine ‘800 inizi ‘900, le pubblicità si dipingevano direttamente sui muri delle città, sulle facciate delle case, nei centri industriali. E spesso sono ancora alcuni questi messaggi, i ‘ghost signs’ (letteralmente segni dei fantasmi), che oggi ancora campeggiano, scoloriti e dimenticati, sui muri del mondo. Molti di essi erano realizzati direttamente sui mattoni, nella parte alta degli edifici, chi li dipingeva si aiutava con le mascherine per tracciare linee diritte. Se ne rintracciano begli esempi soprattutto in Gran Bretagna e in Irlanda, in quantità minore anche in Francia, Belgio e Stati uniti. In questi casi si tratta di pitture del passato, ma in Messico, in India o in alcune zone dell’Africa, dove la comunicazione pubblicitaria o il messaggio sociale si basano ancora sulla pittura murale (perché l’occhio vuole la sua parte), è possibile trovare segni nuovi e aggiornati di questi curiosi manifesti. Il metodo di dipingere sui muri era sicuramente scomparso perché, dal 1950 in poi, l’economia aveva subito un grande incremento: la produzione cresceva sempre di più, le tipologie dei prodotti si moltiplicavano a dismisura e le pubblicità avevano bisogno di rinnovarsi velocemente e di continuo. Per questo, la pittura sul muro diveniva sempre più obsoleta e fu sostituita, in breve tempo, dai manifesti pubblicitari di dimensioni variabili e intercambiabili, che assicuravano un potere divulgativo più alto e la possibilità di modificare continuamente l’aspetto estetico del messaggio. Ecco perché è abbastanza raro trovare disegni dipinti a mano dopo gli anni Cinquanta. Ma se anche in Europa alcuni artisti stanno sperimentando nuovamente questa tecnica, in Africa la pubblicità non è in televisione o sui giornali (spesso scarsamente rappresentati o, comunque, di dimensioni modeste), ma ha occupato grandi spazi e grandi città. Qui, dove il tempo scorre lento, i ritmi sono diversi e il commercio tradizionale spesso sostituito a quello moderno e vorticoso, si trovano ancora disegni di bevande zuccherine e colorate o di utili e agili pneumatici, sui muri scalcinati. La pubblicità non ha bisogno di cambiare spesso, le esigenze sono sempre le stesse. I messaggi sociali, poi, da quelli relativi alla prevenzione sull’Aids fino a quelli sulla necessità di mantenere la città pulita, sono eterni. Dal Mali al Congo al Gabon, fino al Nord Africa (anche se meno), i muri parlano. Una sola voce, una sola lingua, un solo messaggio. Estesi panorami colorati vengono interrotti da colori altrettanto sgargianti. Adulti e bambini si fermano ad ammirarli, rapiti.

Libreville, Gabon, pulire e mantenere pulita la città. Clicca le immagini per ingrandirle.

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A Libreville, ad esempio, sono rimasta incantata dalla sfilata di disegni, sui muri del centro cittadino, a un incrocio trafficato non lontano dal Ministero dell’ambiente, messi lì con l’obiettivo di sensibilizzare giovani e meno giovani alla gestione della spazzatura e all’importanza di avere una città pulita. Colorati, ammiccanti e simpatici personaggi invitano a non gettare i rifiuti per strada. I bambini (ma non solo) ne restano sicuramente affascinati e colpiti. Un modo intelligente di attirare l‘attenzione. Noi siamo più veloci, forse, e spesso molto disattenti anche per questo, ma qui bei disegni educativi potrebbero stare davvero molto bene anche in alcune delle nostre strade…

Fotografie di Libreville di Simonetta Sandri.

Pamplona, pazza ‘Fiesta’ fra l’incoscienza e la vita

C’è un evento profondamente radicato nella tradizione di un popolo, da non perdere nel viaggio verso l’oceano Atlantico racchiuso dal Golfo di Guascogna, decisamente amalgamato al sangue di chi lì vive e che, considerato i suoi protagonisti, divide il mondo intero sul tema sensibile del rapporto fra uomini e animali.
Si celebra nella terra dei tori e di molto altre tipicità, come il Rjoca (un vino intenso principalmente prodotto nel colore tinto), compresa fra le province autonome di la Rioja, la Navarra e di Álava.
Parliamo ovviamente in Spagna, a Pamplona, città dalla fortezza pentastellata, al centro dell’ampia provincia Basca, terra di forti sentimenti autonomisti, con una propria lingua e cultura e, per decenni, al centro di un conflitto dilaniante per l’intera comunità spagnola.
La corsa dei tori (el encierro de toros) più nota al mondo, venne narrata da Ernest Hemingway nella metà degli anni Venti del ‘900 nel suo romanzo “Fiesta“, che gli è valso anche un monumento a mezzo busto nella piazza principale della città. È l`evento di richiamo internazionale che si svolge nel corso della Fiesta de San Fermín a Pamplona o Iruñea nella lingua Euskera, un condensato di religione, storia, tradizione e commercio in programma dal 6 al 14 luglio di ogni anno.

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L’attesa

Ne scrivo con piacere, come un cronista che alla sua terza partecipazione osserva lo svolgimento dell’evento da un balconcino preso in affitto al terzo piano di edifici alti almeno cinque piani, e dal quale in ottima posizione può controllare dall’alto, da sinistra a destra, circa 100 metri del percorso. Le abitazioni che fronteggio a circa 5 metri di distanza, formano un canyon urbano rispetto al piano stradale sul quale a breve scorrerà il fiume di persone e tori. La corsa prende avvio tutti i giorni della Fiesta, salvo il giorno iniziale, in una cornice di grande attesa e di trepidazione, sempre puntualissima alle 8 del mattino quando le strade in sasso sono ancora umide e scivolose.
Il lavaggio di piazze e vicoli è d’obbligo dopo l’ubriacatura notturna di alcol e di festeggiamenti che lascia sul terreno carte, bicchieri, vetri rotti e un odore inconfondibile di necessità umane.
Per pochi secondi quella mia prospettiva diventerà un osservatorio privilegiato sul genere umano lì fremente: uomini e donne, giovani, comunque creduti maggiorenni, e meno giovani, un misto di follia collettiva, di dimostrazione di coraggio individuale, di incoscienza e una sfida alla vita che in diversi casi si è risolta in gravi ferite o, fortunatamente in rare fatalità, con la morte.
Si parte! I tori, e qualche bue, vengono liberati in branco su una stretta curva e lanciati come una mandria disordinata che si rincorre all’impazzata per le strettissime strade del centro storico cinquecentesco della cittadina di origine romana, ‘las calles histὸricas’ de Pamplona, e per un percorso complessivo di 800 metri circa fino all’arena.

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La corsa vista dal balcone

I tori sono accompagnati in questa folle corsa da due ali di persone in larga parte ancora stordite dal fiume di birra e vino bevuto la notte e dall’adrenalina che emerge il mattino con il tasso emotivo e quello alcolico alle stelle. Nulla spaventa i partecipanti e anch’essi si lanciano ad inseguire o a farsi inseguire dai tori per toccarli, che nel loro impeto travolgono qualunque ostacolo si ponga dinanzi loro. Un formicaio impazzito visto dall’alto di uomini e donne esperti per aver partecipato a precedenti inseguimenti, e meno esperti, provenienti da ogni continente e tutti insieme con il completo tipico della manifestazione di maglia e pantaloni bianchi e la tradizionale fascia in cintura e fazzoletto rosso, che corrono nello stretto vicolo e confondono il movimento disordinato delle gambe, delle teste e delle braccia che si intrecciano fra loro, causando la caduta a terra dei meno fortunati che tentano di proteggersi dagli zoccoli dei tori che corrono all’impazzata.
Tori da 700 chili di muscoli arrivano da dietro il gruppo a testa bassa, malfermi sul selciato scivoloso sbandando a destra e a sinistra con le corna pericolosamente in avanti, fanno risalire dal basso un insieme di urla di timore emesse dai corridori e poi di liberazione scampata l`eventualità non remota di essere calpestati o incornati.
Tutto avviene sotto i miei occhi e piedi, là in basso, in pochi secondi, massimo 30, drammaticamente coinvolgenti anche per chi non corre e poi, in un attimo, tutto si trasferisce alla curva successiva dove si sentono ancora urla, brusio e poi più nulla. L`intero percorso urbano di chi corre e di chi insegue si esaurisce nell`arco di 3-4 minuti al massimo. I tori ormai lanciati come proiettili entrano in arena, alla ‘plaza de toros’, attraverso uno stretto portone in legno, formando spesso un tappo insieme agli uomini che cadendo provocano un groviglio che intasa l’entrata.
Il rito più cruento e fatale, non sempre per il toro, è del pomeriggio, ma la corrida, questo spettacolo popolare, non la racconto. Alla fine si ha l’impressione che le indicazioni sui comportamenti vietati da tenersi durante la manifestazione e indicate sul sito sanfermin.pamplona.es nessuno le abbia mai lette. Per chi non volesse partecipare alla corrida pomeridiana, vi è nel centro la sfilata de ‘los gigantes’, ossia Comparsa de gigantes y cabezudos de Pamplona, una intensa e pittoresca continuazione della Fiesta scandita dal ritmo della musica e dai tanti bambini e adulti con numerosi figuranti in abiti di cartapesta, accompagnata da una ottima cucina e della quale si ritrovano tracce già nel XVI secolo.
Una tranquilla conclusione per una giornata vissuta al centro di una appassionata tradizione e di una fiammata di forti emozioni.

LA RICORRENZA
Foto e video dei luoghi preferiti per la festa della Terra

Nata il 22 aprile 1970 per far comprendere l’importanza della conservazione delle risorse naturali della Terra, la Giornata della Terra o per la terra (Earth day) viene festeggiata, ogni anno, un mese e due giorni dopo l’equinozio di primavera, il 22 aprile, ufficializzata dalle Nazioni unite il 26 febbraio 1971. L’idea era stata, tuttavia, discussa per la prima volta nel 1962, al tempo delle proteste contro la guerra del Vietnam, e il senatore Nelson ebbe l’idea di organizzare un ‘teach-in’ sulle questioni ambientali. Nelson riuscì a coinvolgere anche esponenti del mondo politico come Robert Kennedy, che, nel 1963, attraversò 11 stati del Paese tenendo una serie di conferenze dedicate ai temi ambientali. L’Earth day prese definitivamente forma nel 1969, dopo il disastro ambientale causato dalla fuoriuscita di petrolio dal pozzo della Union Oil al largo di Santa Barbara, in California, a seguito del quale il senatore Nelson decise fosse giunto il momento di portare le questioni ambientali all’attenzione dell’opinione pubblica e del mondo politico. “Tutte le persone, a prescindere dall’etnia, dal sesso, dal proprio reddito o provenienza geografica, hanno il diritto a un ambiente sano, equilibrato e sostenibile”. Sarebbe nato un principio fondamentale per tutti che, dall’anno successivo, avrebbe portato alla mobilitazione di milioni di cittadini americani in favore della terra, iniziativa che avrebbe preso il nome che ha oggi.
In questa giornata, si celebrano l’ambiente e la salvaguardia del pianeta e si discutono le sue problematiche: l’inquinamento dell’aria, dell’acqua o del suolo, la salvaguardia degli ecosistemi e delle specie, l’esaurimento delle risorse non rinnovabili. Si cercano soluzioni per eliminare gli effetti negativi delle attività antropiche. Tutti insieme. Nel 2000, grazie a internet, la celebrazione dell’evento venne promossa a livello globale, arrivando a coinvolgere oltre 5.000 gruppi ambientalisti al di fuori degli Stati uniti, raggiungendo centinaia di milioni di persone in 183 paesi, fra cui noti personaggi dello spettacolo come l’attore Leonardo Di Caprio (e non solo). Negli anni la partecipazione è cresciuta e sono state avviate molte iniziative.

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#NoPlaceLikeHome è l’hashtag per condividere foto e video dei propri posti preferiti sulla Terra

Anche in Italia, Earth Day Italia [vedi], l’organizzazione italiana partner dell’Earth Day Network, nasce con lo scopo di rafforzare e promuovere la Giornata e le sue finalità su tutto il territorio nazionale, favorendo lo sviluppo di progetti e di iniziative per il pianeta. Dal 2007, è impegnata nel diffondere progetti per l’ambiente, connettere le realtà ambientaliste nazionali e locali e orientare i gesti quotidiani dei singoli cittadini. Quest’anno, la splendida Villa Borghese ospiterà l’edizione 2015 del concerto Earth Day. Musica e arte per accendere i riflettori sulle grandi questioni ambientali, coniugando riflessione e intrattenimento. All’interno del Villaggio per la Terra, che sarà allestito sabato 18 e domenica 19 aprile al Galoppatoio di Villa Borghese, si festeggerà con artisti provenienti dalle più diverse culture musicali.
Nella stessa giornata, la Nasa ha indetto un’iniziativa che coinvolgerà i social media: il pubblico è invitato a condividere foto e video dei propri posti preferiti sulla Terra, con hashtag #NoPlaceLikeHome. Uno sforzo per la terra, da parte di tuti, per tutti.

Per saperne di più sulle iniziative italiane visita il sito di Earth Day [vedi] e la pagina Facebook [vedi].

IL FATTO
“Niente fumo, tutto Ariosto”: e i ragazzi si prendono cura della piazza

“Bambini, pronti a giocare?”. Tutto è stato sistemato in tempo e, megafoni alla mano, gli scout richiamano i giovanissimi presenti in piazza Ariostea, per divertirsi e al tempo stesso insegnare quanto sia importante eliminare i rifiuti di tutti i giorni nel modo corretto. Sono le quattro di un caldo pomeriggio e gli scout del Ferrara A3 stanno ultimando la preparazione dei vari punti di gioco sistemati nel centro della piazza Ariostea, scelta dai ragazzi come luogo ideale per la giornata perché simbolo della città e luogo di cui prendersi cura.

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I ragazzi del gruppo scout A3 e i bambini mentre giocano con materiali di riciclo

“La scelta è ricaduta su questa piazza perché è un luogo che anche noi frequentiamo, soprattutto il sabato sera, e ci si siamo resi conto che non tutti si preoccupano dello stato in cui la lasciano a fine serata. La domenica mattina si notano le tracce lasciate la sera prima ed è un peccato, anche perché ci sono i cassonetti per la raccolta differenziata a lato della piazza e, con un poco d’attenzione, sarebbe facile lasciare questo luogo pubblico pulito e vivibile per tutti”:
I più giovani del gruppo A3, ragazzi dai 15 anni in su, volevano realizzare un progetto che sensibilizzasse i cittadini e fosse utile anche per i bambini, che permettesse di giocare tutti insieme e di imparare che tanti oggetti possono avere una seconda vita. “Spesso i minorenni non possono partecipare ai progetti, per questo ci siamo rivolti al Comune e, insieme all’Urban Center, abbiamo ideato questa giornata. Abbiamo scelto di dividerci in vari settori, ognuno con un metodo diverso d’apprendimento, ma tutti basati sull’idea che per imparare e interiorizzare qualcosa, bisogna farla divertendosi”.

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Si costruiscono strumenti musicali

Infatti ogni gruppo di scout, circondato da bambini sorridenti, ha progettato angoli con materiali e idee differenti: con carta di giornale colorata e buste di plastica per alimenti si possono realizzare piccoli origami e meduse svolazzanti e se la stessa carta di giornale l’appallottoliamo, colorata di rosso, sarà perfetta per un tiro al bersaglio, in cui si dovrà colpire l’umido, la carta, la plastica o il vetro. “Non sempre sappiamo con certezza dove vanno buttati i rifiuti,- mi racconta Giulia – quindi abbiamo realizzato questo gioco in cui i bambini devono lanciare la loro palla colorata sul bersaglio in cui pensano andrà l’oggetto che noi gli diremo”.
Mentre parlo con Giulia e Silvia, si iniziano a sentire fischi e cinguettii, infatti gli scout della postazione vicina sono impegnati nella realizzazione di strumenti musicali, fatti interamente di materiali riciclati, come bottiglie, tubi e cannucce, tutti scarti recuperati, puliti e, per i più piccoli, già tagliati dai capo scout. Superando il muro delle idee, fatto di scatoloni, su cui chiunque può lasciare una loro riflessione, un commento o un consiglio, arrivo alla sezione dedicata agli scatti del concorso fotograficoNiente fumo, tutto Ariosto“, dove Arianna sta appendendo le ultime stampe.

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La giornata in Piazza Ariostea
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Il tiro al bersaglio
L’angolo degli scatoloni
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Scout e bambini insieme
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Il concorso fotografico
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Le foto della città

” Abbiamo deciso di dedicare questo spazio alle foto del concorso, sia alle tre vincitrici che alle altre partecipanti, tutte immagini che mostrano una Ferrara bella, pulita e piena di storia. Non tutte le immagini mostrano solo gli aspetti positivi, ce n’è una in particolare che mostra un angolo vicino il grattacielo, in cui le rastrelliere per le biciclette sono decorate e bellissime, ma dimenticate. Vogliamo sensibilizzare chi, abituato alla città, non ne apprezza più tutta la bellezza e non ne vede i dettagli lasciati alle intemperie e alla rovina del tempo. I tre vincitori del concorso, scelti per il numero di “mi piace” ottenuti sulla nostra pagina Facebook, verranno premiati qui alle 18.30. I premi sono stati offerti dalla gelateria La Sorgente del Gelato, che offrirà un chilo di gelato al vincitore, mezzo chilo al secondo classificato e due coni al terzo.”
Man mano che il tempo passa, scout di altri gruppi arrivano in piazza, per partecipare alla giornata organizzata dai loro amici, e i bambini realizzano i loro piccoli oggetti, corrono in giro con le mani sporche di tempera e ascoltano con attenzione gli scout che gli mostrano come differenziare tutto ciò che non serve più.

La giornata ha avuto luogo nel pomeriggio di domenica 19 in Piazza Ariostea.

IL FATTO
Turisti in cerca di città

“D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.” (Le città invisibili, Italo Calvino)

Come conciliare turismo urbano, attività produttive e commerciali e valorizzazione di quel patrimonio artistico culturale e ambientale che è la cifra distintiva delle città italiane ed europee? La risposta data durante le 13° Giornate europee del commercio e del turismo urbano, tenutesi nel Salone d’Onore della Pinacoteca nazionale a Palazzo dei Diamanti il 19 e 20 aprile, organizzate da Confesercenti e Vitrines d’Europe, sembra essere il dialogo e la collaborazione fra tutti questi settori, con l’obiettivo di una continua ricerca di proposte di qualità che distinguano ciascuna città e territorio per le proprie peculiarità.
Se ciò che chiedono i turisti, in particolare gli stranieri provenienti dai mercati emergenti, è sempre più un’esperienza dell’identità culturale dei luoghi che visitano, così diversificata in particolare in Italia, l’unica strategia vincente è uscire dalla concezione della città-museo o della città-vetrina, pensando alla cultura nel significato più ampio del termine: un modo di vivere che privilegia qualità, bellezza e socialità, e quindi rende migliore la qualità della vita, un sistema che parte dai luoghi fisici – edifici, vie e piazze – per arrivare a ciò che si mangia, si guarda, si ascolta, fino alla rete di relazioni sociali che ci circonda.
“Le città non possono essere imbalsamate e mummificate – ha affermato Stefano Bollettinari, presidente di Vitrines d’Europe – devono rimanere vive e vitali, attive, accessibili” e, aggiungiamo noi, il più possibili inclusive e sostenibili. E devono essere tutto ciò prima di tutto per i propri cittadini, che sono i loro primi ambasciatori nel mondo reale e in quello virtuale oggi altrettanto importante, e poi per i turisti, che “non sono altro che cittadini temporanei”, ha concluso Bollettinari.
Il turismo urbano e culturale è un’opportunità che soprattutto un Paese come l’Italia, caratterizzato da un patrimonio diffuso e puntiforme su tutto il territorio, non può permettersi di perdere. I dati parlano di un processo di desertificazione urbana in atto in Italia, con oltre 100.000 chiusure di imprese commerciali negli ultimi due anni. È perciò evidente la ricaduta economica che potrebbero rappresentare i 54 miliardi del Pil del turismo culturale, il 33% dell’intero Pil turistico nazionale. È il direttore scientifico del Centro studi turistici di Firenze Alessandro Tortelli a raccontare in cifre cosa significhi il turismo nelle città d’interesse storico e artistico: 38.000 esercizi (24% del totale in Italia), 875.000 posti letto, quasi 39 milioni di arrivi e 103 milioni di presenze, con il 61,8% di turisti stranieri. Ma non è tutto: dal 2010 al 2014 gli arrivi sono sempre in crescita, così come la domanda proveniente dall’estero, sono 11,9 i milioni di euro spesi in vacanze culturali o in città d’arte (36% della spesa complessiva) e chi viaggia per motivi culturali spende in media il 25% in più rispetto agli altri viaggiatori.
Che la cultura sia un driver di primaria importanza per lo sviluppo territoriale è ormai un fatto acquisito, o almeno così si spera. La questione è come il tema viene affrontato da istituzioni locali e attori economici: un progetto culturale, infatti, non ha in automatico ricadute sociali ed economiche importanti. Il rapporto tra dimensione culturale, sociale ed economica deve essere progettato coinvolgendo gli operatori della società civile e del mondo economico, componendo visioni, disponibilità ad agire e interessi diversificati. Questa sinergia, non facile e non scontata, potrà favorire quel capovolgimento di visione che permetterà di concepire il denaro per la cultura un investimento e non una spesa.
Ferrara, almeno per questa volta, sembra essere un passo avanti. Non solo perché il sindaco Tiziano Tagliani, presente alle Giornate di Vitrines d’Europe insieme all’assessore alla cultura e al turismo Maisto, ha parlato di un “investimento forte” che la città sta facendo “nella valorizzazione delle peculiarità cittadine” e di “un’alleanza” fra commercio e attività produttive e amministrazione locale “per una migliore qualità della vita cittadina”. Ma anche perché, come ha sottolineato Tortelli, Ferrara è uno dei sette case studies virtuosi citati dal Rapporto 2014 “Io sono cultura” elaborato da Fondazione Symbola e Unioncamere. Ferrara città di cultura, con un patrimonio urbano e monumentale che può vantare allo stesso tempo uno dei centri medievali più estesi e uno dei primi esempi di pianificazione moderna con l’addizione erculea rinascimentale. Ferrara città di eventi e di festival, “continuativi, diversificati, ramificati e diffusi”, come ha affermato il vicesindaco Maisto: dalla grande arte di Palazzo Diamanti al Salone del restauro, da Ferrara sotto le stelle ai Buskers, dal festival di Internazionale a quello di Altroconsumo, fino alla imminente Festa del libro ebraico. L’assessore non nega che il modello che si sogna di raggiungere è Edimburgo. Ferrara città della creatività e dei mestieri creativi, che recuperano e a volte reinterpretano antichi saperi e mestieri. Senza dimenticare l’opportunità offerta dal turismo sostenibile sul Delta del grande fiume. Il prossimo passo è Ferrara città partecipata, proprio perché è dai ferraresi che bisogna partire per recuperare il concetto antico della polis, dove i cittadini partecipavano attivamente alla vita collettiva e nella costruzione del bene comune. Anche in questo caso ci sono attività in itinere, Ferrara Mia, le Social street come via Pitteri e i Future lab sono alcuni esempi. Per una volta è il caso di dire: stiamo lavorando per noi!

IL FATTO
Ferrara Mia, al via il percorso partecipato: Alietti “Determinante il passaggio da luogo a bene comune”

Beni comuni, partecipazione, cittadinanza attiva: questi solo alcuni dei temi principali attorno ai quali si è svolto il primo di una serie di tre incontri di Ferrara Mia, percorso partecipativo di Urban center Ferrara. Tanti i cittadini accorsi alla Sala della Musica sabato 18 aprile, i veri protagonisti della mattinata; essi hanno avuto la possibilità di confrontarsi tra loro, con la pubblica amministrazione e, riuniti in quattro grandi gruppi di lavoro nella prima parte dell’incontro, anche tracciare delle linee guida condivise con alcuni qualificati facilitatori.

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I gruppi al lavoro

Scopo dei lavori di gruppo è stato tracciare una mappa delle esperienze di cittadinanza attiva già presenti sul territorio del Comune di Ferrara, condividere le esperienze e le motivazioni che hanno spinto ciascuno ad impegnarsi in questi obiettivi, interrogarsi su cosa sono davvero, per ognuno, i beni comuni. Un importante occasione quindi per conoscere chi realmente si impegna da tempo come cittadino attivo per il miglioramento della città e per la riqualificazione dei suoi spazi, ma anche per scoprire nuove idee e intenzioni e capire insieme come muoversi per renderle concrete.

Tra la cinquantina di partecipanti intervenuti, le idee e le proposte emerse sono state molteplici: dai parchi alle scuole, dalle piazze alle biciclette, dalle strade alle strutture abbandonate, dal centro città alla periferia più lontana. Si è anche parlato del perché Ferrara è veramente una città “mia”, nostra, ricordando come ancora sia un centro cittadino a misura d’uomo, “un posto ancora umano” citando un intervento che ricorda e ammonisce come questi fattori siano sempre meno scontati.

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Il professor Alietti durante il suo intervento

Nella seconda metà della mattinata, dopo aver analizzato le linee guida individuate nei gruppi di lavoro (dalle quali lo staff di lavoro individuerà una definizione condivisa di “bene comune”), è intervenuto il prof. Alfredo Alietti del Laboratorio di studi urbani per parlare del passaggio da “luogo comune” a “bene comune”, affermando cioè come il primo arriva ad acquisire valore e di come possa arrivare ad essere considerato come il secondo solo grazie ai cittadini; un bene comune è veramente tale, quindi, solamente se diviene uno spazio fruibile e vissuto dagli stessi cittadini che si impegnano con responsabilità per tutelarlo e mantenerne la cura.

In chiusura, Zaira Sangiorgi ha fatto il punto sul progetto di Ferrara Mia, illustrando la mappatura delle iniziative di cittadinanza attiva e i lavori del gruppo tecnico intersettoriale, mentre l’assessore Fusari ha ricordato i prossimi eventi. Sì perché questo non è stato che l’inizio: il 15 e il 16 maggio continueranno i lavori di Ferrara Mia con altri due incontri di confronto, aperti a tutti, presso il Mercato coperto in via Boccacanale.

 

Lettura delle opinioni
Mappa della cittadinanza attiva
Zaira Sangiorgi e Alfredo Alietti
Ilenia Crema
Condivisione
Stesura delle idee

LA SEGNALAZIONE
Il museo della Frutta, un tuffo nel passato per riflettere sulla biodiversità

dalla redazione di Fuoriporta

Dal momento che l’alimentazione e la biodiversità saranno fra degli argomenti centrali dell’Expo di Milano, può valere davvero la pena fare una piccola deviazione fino a Torino, distante solo un’ora di treno: nel capoluogo piemontese, infatti, c’è un museo davvero particolare. A pochi passi dal parco del Valentino che costeggia le rive del fiume Po, infatti, la città sabauda ospita il museo della Frutta. Un luogo davvero unico che conserva la collezione di 1021 “frutti artificiali plastici” – 39 varietà di albicocche, 9 di fichi, 286 di mele, 490 di pere, 67 di pesche, 6 di pesche noci, 20 di prugne, 44 di uva, 50 di patate e un esemplare ciascuno di rapa, di barbabietola, di carota, di pastinaca, di melograno e di mela cotogna – modellati a fine Ottocento da Francesco Garnier Valletti, geniale ed eccentrica figura di artigiano, artista, scienziato. E così i visitatori possono fare un vero e proprio tuffo nel passato riflettendo, contemporaneamente, su un tema attualissimo come quello della biodiversità. All’interno della struttura la ricostruzione dei laboratori d’analisi, delle sale della collezione pomologica, della biblioteca e dell’ufficio del direttore, valorizzano il prezioso patrimonio storico-scientifico della Stazione di Chimica Agraria dal 1871 ad oggi, nel contesto dell’evoluzione della ricerca applicata all’agricoltura a Torino tra l’Otto e il Novecento.

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L’EVENTO
L’eclettismo di Picasso e Gaudì infiamma Barcellona

Tornano ad aprirsi le porte della punta di diamante – di nome e di fatto – degli spazi espositivi estensi: Palazzo dei Diamanti inaugura la nuova programmazione 2015-2016 con “La Rosa di Fuoco. La Barcellona di Picasso e Gaudì” (19 aprile-19 luglio 2015).
Dopo “Gli anni folli. La Parigi di Modigliani, Picasso e Dalí”, Ferrara Arte torna a puntare i riflettori su una grande città e i suoi cambiamenti agli albori della modernità: questa volta è la Barcellona del Modernismo catalano. “È una mostra non su un artista, ma su un’epoca che ha lasciato il segno di se stessa attraverso grandi realizzazioni culturali”, spiega Tomàs Llorens, già direttore del Museo Thyssen-Bornemisza e del Reina Sofia a Madrid e curatore dell’esposizione insieme a Boye Llorens. Un’epoca di fermenti e di forti contrasti, racchiusa fra due poli cronologici che li incarnano: il 1888 quando Barcellona ospita l’Esposizione universale, vero e proprio regno dell’esaltazione della modernità industriale, e il 1909, l’anno della cosiddetta “settimana tragica”, quando le tensioni sociali sfoceranno in uno sciopero generale e in manifestazioni represse nel sangue. Barcellona è dunque una rosa di fuoco, come viene definita nei circoli ananrchici internazionali, perché infiammata dal fermento e dal dinamismo politico, culturale e sociale che animava tutte le capitali europee della Belle Epoque. Il Modernismo catalano precisamente per la sua vocazione alla contemporaneità riflette e rappresenta la conflittualità e la violenza che la modernizzazione economica e sociale reca in sé.
“Abbiamo tentato di dare un’immagine dinamica”, afferma Llorens, perché la città metropolitana diventa “tentacolare e si insinua nella campagna distruggendo ritmi di vita secolari”. E cosa può esserci di più dinamico di un cortometraggio come quello le cui sequenze accolgono i visitatori appena entrati, mostrando loro la “Barcelona en tramvia” (1908)? Nello stesso tempo quello che si dipana nelle sale espositive è “un racconto drammatico” di un’epoca che si è aperta nel più fervente entusiasmo e fiducia verso il futuro e non può avere finale più drammatico: l’ecatombe della Grande Guerra.

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Chiesa della Colònia Güell, Antoni Gaudí (1908 – 1910).

Il primo capitolo è dedicato all’architettura e il protagonista indiscusso è Antoni Gaudì, le cui creazioni eclettiche vengono mostrate non solo attraverso foto e stampe d’epoca, ma anche attraverso soluzioni allestitive originali come la ricreazione della pavimentazione in cemento ideata dall’architetto nel 1904 e utilizzata ancora oggi per i viali della capitale catalana. Il pezzo forte però è la ricostruzione del modello di Gaudi per la chiesa della Colonia Güell a cura di Etsav-universitat politecnica de Catalunya: l’architetto aveva creato nel proprio studio un sistema di corde e contrappesi corrispondenti al carico esercitato sulle volte e sulle colonne per simulare la forma capovolta della chiesa, capovolgendo le fotografie di questo intreccio che scendeva dal soffitto aveva poi tracciato il disegno progettuale di cui due rarissimi esemplari sono esposti in mostra.
Segue la sezione dedicata allo spazio pubblico dove i manifesti esprimono nello stesso tempo la proliferazione delle immagini artistiche, che diventano strumenti commerciali, e la spettacolarizzazione della città. Si ha anche la possibilità di entrare nella taverna Els Quatre Gats, il ritrovo della maggior parte degli artisti modernisti sul modello dei caffè parigini e luogo della prima mostra personale del giovanissimo Picasso, il cui sguardo penetrante rivela già il genio creativo dell’artista.

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Spilla con libellula, Luis Masriera (1903 – 1906)

La terza sezione è dedicata allo spazio privato e introduce i visitatori nell’intimità degli interni borghesi nei quali si può liberare la fantasia, in particolare quando si tratta d’amore. Una delle parole chiave di questa sezione è ornamento: degli ambienti, come nel caso dei due specchi ideati da Gaudì per Casa Milà, e della persona come nel caso dei gioielli di Lluis Masriera, celebre per la sua sofisticata produzione che reinterpreta l’Art nouveau fra fiori, insetti e ninfe d’oro, di smeraldi, rubini, platino e diamanti.
L’immedesimazione della natura non può più essere solamente quella della resa oggettiva tipica del naturalismo, ma diventa la raffigurazione della visione soggettiva che sfocerà poi nel Simbolismo, come si avverte nei dipinti di Mir a Maiorca: “L’abisso”, “El Rovell” e “La cala incantata”. Il contrappunto a questa natura incontaminata è la ville lumière, quella Parigi che i modernisti catalani eleggono a seconda patria, raffigurandone la vita notturna allo stesso tempo ammaliante e minacciosa, come fa Anglada Camarasa nei suoi “Il pavone bianco” e “Fleur de Paris”. Emblema di questa ambiguità e delle atmosfere sordide parigine è il ritratto del critico d’arte Gustave Coquiot, che Picasso rende in modo quasi espressionista trasformandolo in una sorta di Lucifero sbeffeggiante.

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Due gitane di Isidre Nonell (1906))

Dopo la sala dedicata agli eventi della settimana tragica, dal 26 luglio al 2 agosto 1909, quando il reclutamento per la guerra coloniale in Nord Africa fa esplodere le tensioni che covavano nel degrado e nella miseria in cui viveva gran parte della popolazione, l’ultimo capitolo ha il colore blu della malinconia che rimane dopo che tutto è finito. Lo sciopero generale è stato represso nel sangue e ai modernisti non rimane che raffigurare gli sconfitti: quei miserabili e quei diseredati dei sobborghi di Parigi e di Barcellona che la trasformazione industriale ha travolto e lasciato indietro. Oltre alle gitane di Nonell, in questa sezione sono esposti “Pasto frugale”, “Povertà (I miserabili)” e la “Ragazza in camicia” di Picasso, che esprime tutta la nobile e dignitosissima rassegnazione di chi rimane ai margini dallo sfavillante scintillio della Belle Epoque.
L’allestimento è stato studiato per mettere in dialogo tecniche e materiali diversi: oltre 120 fra dipinti, disegni, manifesti, fotografie, gioielli, modelli architettonici e teatrali, ceramiche e sculture. Non si parla soltanto di uno stile perché i linguaggi modernisti si muovono nelle arti figurative tra il naturalismo e il simbolismo, anticipando a volte la spinta espressionista; in architettura e nelle arti decorative, invece, tra lo storicismo ottocentesco e le prime istanze dell’architettura organica e del razionalismo novecenteschi. Per questo visitare “La rosa di fuoco” è come aprire una finestra su un’intera epoca caratterizzata da una polarizzazione radicata: fra sogni e incubi, speranze e timori, l’euforia è sempre velata dal presentimento della catastrofe incombente.

Dopo la rassegna su Barcellona, che si chiuderà il 19 luglio, sono già in cantiere altri due appuntamenti: “De Chirico a Ferrara, 1915-1918. Pittura metafisica e avanguardie europee” (novembre 2015-febbraio 2016) e un’esposizione che celebrerà i 500 anni della prima edizione dell’Orlando Furioso (settembre 2016-gennaio 2017). “È stata una pausa più lunga di quelle a cui eravamo abituati, ma non c’è stato il tempo di annoiarsi” ha sottolineato l’assessore alla cultura del Comune di Ferrara Massimo Maisto nell’incontro di presentazione alla cittadinanza, ricordando tutti gli appuntamenti che nel frattempo hanno tenuto “alto il profilo culturale della città”: dai “Lampi Sublimi” ospitati alla Pinacoteca nazionale a “L’arte per l’Arte”, che vede il Castello Estense come sede d’eccezione per le collezioni delle Gallerie d’arte moderna e contemporanea di Ferrara. Quella del 2015-2017 è, per Maisto, “la programmazione ideale per un’istituzione come Ferrara Arte” che deve essere capace di valorizzare il patrimonio locale mostrando il suo respiro internazionale: la retrospettiva di Antonioni alla Cinémathèque française ne è una brillante dimostrazione. “Nello stesso tempo bisogna aprirsi e parlare del mondo, come è accaduto con Matisse e come accade ora con la Barcellona di Picasso e Gaudì”.

“La Rosa di fuoco. La Barcellona di Picasso e Gaudì”, Palazzo Diamanti, 19 aprile-19 luglio 2015 [vedi].

LA SEGNALAZIONE
“Ivan il Terribile” dal Bolshoi al web oggi in diretta mondiale

Oggi nei cinema russi e di tutto il mondo verrà trasmesso uno dei balletti storici più famosi del Teatro Bol’soj di Mosca, “Ivan il Terribile”. Gli utenti russi di internet potranno seguire la trasmissione online sul canale YouTube del teatro. Nexo Digital [vedi], invece, si occuperà di trasmettere il balletto in oltre mille sale cinematografiche di tutto il mondo, anche in Italia. L’evento di Nexo sarà in diretta (alle 17, ora italiana), in differita si potrà vedere in altre date. Merita davvero, ho avuto la fortuna di vederlo, dal vivo, qui a Mosca, mercoledì scorso. Gli applausi sono durati a lungo, immensi mazzi di fiori hanno salutato gli artisti (Ivan Vasiliev nei panni della zar Ivan IV, Mariya Vinogradova nel ruolo della moglie Anastasia e Artyom Ovcharenko in quello del principe Kurbsky), che hanno realizzato una performance delle più belle degli ultimi tempi. Il pubblico (e io) era in delirio. Due atti che sono volati. La musica di Sergei Prokoviev (creata oltre 70 anni fa), diretta dal maestro Pavel Sorokin, si è espressa in tutta la sua potenza. La forza della Russia e della sua storia è emersa in tutta la sua energia. Le acrobazie e l’atletismo di Vasiliev hanno completato un quadro che già da solo era dipinto magistralmente. Scene e costumi sono altrettanti imponenti, curati e lussuosi. Energia pura. Ovunque. Con tanto di tripudio finale.

Lo spettacolo che vediamo oggi è una rielaborazione, effettuata nel 2012, del libretto originale del noto e leggendario coreografo Yuri Grigorovich, del 1975. Quell’anno la rappresentazione aveva ottenuto un successo straordinario (ora come allora, aggiungerei) al punto che la compagnia organizzò una tournée negli Stati uniti, dove suscitò entusiasmo di stampa e spettatori. L’anno successivo, sarebbe apparsa all’Opera di Parigi è portata in scena anche al museo del Louvre. Da allora il teatro Bol’soj lo ha mantenuto regolarmente nei suoi programmi.
La storia, una lirica potente e ricca di colore, ambientata nella Russia medievale e nel regno di Ivan IV. Tempi incerti, turbolenti, di ribellioni, lotte, guerre, battaglie, sconfitte, vittorie, trionfi, amori. Incoronato zar con il nome di Ivan IV, nel 1547, e sposata Anastasia, Ivan combatte i Boiardi, i nobili di corte che contrastano il suo potere, guidati dalla zia di Ivan, Starickaja, che vuole porre sul trono il proprio figlio Vladimir. Sconfitti i Tartari, Ivan fa ritorno a Mosca trionfante. Mente sia ammala gravemente, Anastasia viene avvelenata dai Boiardi e Ivan si ritira in un convento dove raccoglie la dimostrazione di fedeltà del popolo di Mosca. Gli ostacoli continuano dopo il suo ritorno a Mosca, nel 1563, dove però la vendetta dei Boiardi ricade per errore sul figlio di Starickaja. Così “Ivan il Terribile” diventa la storia appassionata di un popolo, di una nazione e della forza del potere. Al suono di potenti campane e trombe di guerrieri e di angeli.
Da vedere. Anche per comprendere meglio molte cose della Russia.

LA SEGNALAZIONE
Il Medioevo nelle terre dei Montefeltro: a Casteldelci due giorni di festa

dalla redazione di Fuoriporta

Un salto all’indietro nel tempo fino al Medioevo. D’altronde siamo a Casteldelci, nel cuore della Valmarecchia, un territorio a metà strada fra Toscana, Emilia Romagna e Marche che fu patria di Uguccione della Faggiola e di illustri signorie come quella dei Montefeltro, che arricchirono di storia e cultura questo tratto che oggi appartiene alla provincia di Rimini. Il 18 e il 19 aprile Casteldelci ripercorre le tappe salienti di questo glorioso passato con le Giornate Medievali nelle Terre dei Montefeltro: un modo divertente per scoprire la storia, le eccellenze culinarie e la rigogliosa natura di questa antica e importante valle. La manifestazione prenderà il via sabato 18 con l’escursione di trekking sui sentieri storici: un’interessante passeggiata nell’ambito della quale si visiteranno la Chiesa di S. Maria in Sasseto, un Convento Camaldolese risalente al 1100, un antico mulino sul fiume Senatello, il ponte medievale e il borgo di Casteldelci; nel pomeriggio, poi, è in programma la divertente lettura di ignominie e sberleffi tratti da libri sul Medioevo. Il giorno successivo, sin dalle prime ore del mattino, un colorato mercatino con artigiani, un’antica zecca clandestina e venditori tipici del tempo farà bella mostra di se nelle vie del paese, mentre nel pomeriggio si potrà assistere al colorato corteo di cavalieri e cortigiane che ripercorrerà le strade antiche calpestate dai signori dei Montefeltro, e che terminerà all’insegna del divertimento con i balli medievali. E visto che ogni festa che si rispetti si celebra anche in tavola, ecco che dalle ore 20 è in programma la cena medievale, un’occasione unica per provare i sapori dell’epoca.

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Music awards, Ferrara stella italiana del jazz. Il direttore racconta il club

Ferrara stella del jazz. Sì, il Torrione di San Giovanni con il suo calendario di concerti buca la fascinosa nebbia che l’avvolge nel suo avamposto sulle mura estensi e finisce per brillare – forte e chiaro – nel panorama nazionale. “Ferrara incoronata capitale del jazz; e le grandi città stanno a guardare”, titola niente meno che l’Huffington Post, il quotidiano online che ripropone le principali novità provenienti dalle testate nazionali e locali. Il riconoscimento al jazz club cittadino arriva da “Jazz It”, la rivista di settore che ogni anno assegna i “Jazz It Awards” in base al voto dei lettori. E’ un po’ l’Oscar di questo genere musicale con i voti che quest’anno superano i 13mila. Come la statuetta fa per quello che riguarda il cinema, anche questo riconoscimento è modulato su vari aspetti: sala e locale, direttore artistico, musicisti e artisti.

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Torrione nella nebbia (foto Eleonora Sole Travagli)
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I Jazz It Awards per la programmazione 2014

E Ferrara, con il suo jazz club, si porta a casa una tripletta di premi. Si aggiudica quello del migliore jazz club italiano con ben 1.113 voti, che lo mettono in testa a concorrenti del calibro dei romani 28 DiVino Jazz e Alexanderplatz con uno stacco di quasi trecento voti già rispetto al secondo classificato. Si aggiudica il primato per il direttore artistico, nella persona di Francesco Bettini, che riesce a inerpicarsi fin sulla vetta sopra a nomi come quello di Paolo Fresu per il “Time in jazz”, Carlo Pagnotta che dirige addirittura “Umbria jazz”, Mario Ciampà del “Roma jazz festival” e Sergio Gimigliano di “Peperoncino jazz festival”. E si aggiudica il top alle tastiere con Alfonso Santimone, musicista nato a Ferrara, al pianoforte anche l’altra settimana a dare il suo contributo alla “splendida foresta di suoni” di Camera Lirica e pronto a chiudere la programmazione giovedì 30 aprile in occasione della Giornata internazionale Unesco del jazz con il concerto serale intitolato “Song Improvisations”.

Il Jazz club Ferrara fa man bassa di riconoscimenti con un calendario di serate musicali programmate anno dopo anno con costanza, cura, continuità, alternanza di nomi big e giovani di talento, suoni classici e innovazione. Il Jazz It Award premia il club cittadino per il quarto anno consecutivo. La novità di questa edizione è il podio assegnato a Francesco Bettini come direttore artistico, che in silenziosa iperattività lavora da tempo, sorridente e cinetico, discreto e immancabilmente presente. A lui, dunque, il compito di raccontare un po’ il segreto di tanto successo.

Francesco Bettini, iI Jazz club ferrarese è attivo da quanti anni? Come e da chi nasce l’idea di fare qui a Ferrara questo tipo di manifestazione?
“La storia del Jazz club Ferrara affonda le radici nella metà degli anni ’70 fino all’apertura del Torrione, poco più di quindici anni fa. La direzione artistica era di Alessandro Mistri che da entusiasta e competente appassionato, ha permesso alla città di essere sempre vivace sul piano della proposta jazzistica. Alessandro e i molti soci, che negli anni lo hanno affiancato, hanno prodotto festival e rassegne di prima eccellenza portando a Ferrara e Comacchio i più grandi nomi della storia del jazz. Il Torrione, grazie alle caratteristiche ibride – a metà strada tra un teatro di piccole dimensioni e un locale – ha imposto che l’attività associativa divenisse continuativa ed era pertanto necessario uno sforzo e un impiego di risorse superiore al passato. Così io mi resi disponibile come volontario ad aiutare Alessandro nello svolgere compiti più che altro logistici. Mi sono ritrovato a coprire praticamente tutti i ruoli della filiera, dapprima come fonico e segretario, poi addirittura come ufficio stampa, fino ad affiancarmi alla direzione artistica. Per i primi anni ho lavorato a quattro mani con Alessandro Mistri acquisendo sempre maggiore esperienza, fino a quando, progressivamente, ho finito per svolgere questo compito in autonomia, direi almeno da cinque anni”.

Classe 1975, una laurea in Conservazione dei beni culturali. Ma quale percorso e formazione fa diventare un direttore artistico da Jazz Award, Francesco?
“Nell’arco degli ultimi quindici anni ho fatto veramente tutte le esperienze connaturate alla produzione del jazz in Italia: dal segretario all’ufficio stampa, dal road manager al fonico, dal booking al direttore e consulente artistico. Tutto ciò mi ha permesso di sviluppare una visione a 360 gradi. Questo mi consente di avere a che fare con i musicisti e i colleghi di settore dialogandoci non solo dalla mia prospettiva, ma anche dalla loro. Quando diventi parte integrante di un sistema è naturale che la rete delle amicizie e delle collaborazioni si estenda con una sorta di crescita geometrica. Credo e spero di essere riuscito professionalmente e umanamente a interagire proficuamente su un terreno comune con tutti i singoli soggetti”.

Quali sono le linee guida che segue, Bettini, nel mettere insieme il cartellone? Gusto, istinto, strategia, mix calibrato di elementi diversi?
“Tendo a diversificare il più possibile, raramente agisco d’istinto e mi impegno a non influenzare eccessivamente con il mio gusto personale il quadro complessivo delle proposte. Ma, soprattutto, cerco di privilegiare la qualità e la sincerità della musica, che promuoviamo al di là delle barriere di genere”.

I grandi nomi sono diventati anche un po’ presenze amiche o il rapporto tra calendario e artisti passa soprattutto attraverso manager e prestigio acquisito?
“Non ho solamente condiviso i concerti e il lavoro con moltissimi musicisti italiani, europei e statunitensi. Talvolta giornate intere, tournée di più settimane, persino vacanze. Ho sempre voluto che i rapporti non si limitassero all’ambito professionale. Cerco di instaurare un sano e sacrosanto desiderio di divertirsi assieme. Ciò non significa che il rapporto con i management non sia fondamentale, spesso anche in condizioni di confidenza assoluta con i musicisti è giusto e necessario che sia il manager l’interlocutore migliore per definire gli aspetti correlati al business”.

Come commenta questo riconoscimento così gratificante per un direttore artistico, ma anche per il club?
“Trattandosi di una votazione libera dei lettori, pertanto operata soprattutto da appassionati e musicisti e solo in minima parte da critici, è possibile che la preferenza sia da addebitarsi prevalentemente a caratteristiche legate alla simpatia e alla condivisione della nostra attività e dei fini della stessa, piuttosto che all’aspetto più prettamente connesso con la competenza e le scelte artistiche. Credo inoltre che, pur essendo rivolto al sottoscritto, sia in realtà una preferenza determinata dal lavoro collettivo delle associazioni che si avvalgono della mia professionalità e che, oltretutto, si tratti di una somma delle capacità espresse sia dall’associazione culturale Jazz club Ferrara sia dal Bologna jazz festival”.

Ferrara in vetta anche rispetto a città come Roma, Torino, Palermo. Non male…
“Un dato sicuramente rilevante è che JazzIt ha un prevalente romano-centrico e nonostante ciò la scelta dei lettori si è orientata su attività che si svolgono in provincia, segno che la capacità di attrarre interesse e consenso è possibile anche in realtà più ‘periferiche’ e che si possa avere visibilità su scala nazionale se i contenuti che si esprimono sono di eccellenza.
Non dimentichiamoci che fare l’operatore culturale in piccoli centri è sicuramente un’operazione più snella, risultando più semplice creare sinergie con altri soggetti e interfacciandosi con meno filtri e maggiore facilità di comunicazione diretta anche con le istituzioni”.

Quanto sono importanti le istituzioni in tutto ciò?
“L’Emilia-Romagna e la città di Ferrara sono da sempre attente alle politiche culturali e, nella stragrande maggioranza dei casi, gli interlocutori che si sono avvicendati ai vertici delle istituzioni hanno dimostrato di comprendere il valore delle nostre proposte e si sono impegnati a sostenerle con grande entusiasmo. I contributi erogati dagli enti coprono il 25% del budget necessario per il raggiungimento del pareggio di bilancio. Quindi il quadro finanziario si regge in piedi prevalentemente grazie all’autofinanziamento. Sebbene oggi attrarre investitori privati sia difficilissimo, siamo sempre riusciti – fidelizzando il nostro pubblico e in sostanza educandolo a un ascolto vario e diversificato – a tenere alto e fortemente differenziato il livello delle proposte artistiche e a proporre concerti e seminari che molto raramente strizzano l’occhio all’aspetto commerciabile dando priorità all’originalità e all’attualità dei progetti”.

Il futuro, ora, come si prospetta?
“Speriamo di poter continuare in questa direzione che sembra premiare il nostro lavoro, la nostra competenza, la nostra passione e soprattutto, in senso più ampio: la musica!”.

[clic su un’immagine per ingrandirla e vederle tutte]

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Francesco Bettini, direttore artistico del Jazz club Ferrara (foto Giorgia Mazzotti)
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Francesco Bettini, direttore artistico del Jazz club Ferrara (foto Giorgia Mazzotti)
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Francesco Bettini, direttore artistico del Jazz club Ferrara (foto Giorgia Mazzotti)
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Il programma nelle mani di Eleonora Sole Travagli, addetta stampa (foto Giorgia Mazzotti)
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Il Jazz club Ferrara, interno del Torrione di San Giovanni (foto Giorgia Mazzotti)

Il colore di un’economia umana

Alzi la mano chi di noi non si demoralizza all’istante leggendo o ascoltando alla televisione e dal vivo i dibattiti di e sull’economia. Ma potrebbe esserci un rimedio, leggere il volume di Andrea Segrè “L’economia a colori” (Einaudi, 2012) che cerca di togliere a questa scienza sociale il grigiore di cui si è ricoperta nel tempo. “Per sfuggire alla tristezza, innaturalezza, macchinosità, vanità, inutilità e soprattutto per uscire dalla sua solitudine, l’economia nel corso del tempo è stata colorata, aggettivata, sostantivata. Da sola non ci sta, deve essere accompagnata da qualcosa. Altrimenti si perde, nella teoria e nella pratica: cioè nella vita. Perché l’economia serve, o dovrebbe servire, a vivere bene: non a sopravvivere”. Questa la premessa da cui parte l’autore, triestino d’origine Preside della Facoltà di agraria dell’Università di Bologna, professore di politica agraria internazionale e comparata e ideatore dello spin-off accademico Last minute market.
Il rosso nel Novecento è stato il colore della Rivoluzione, del socialismo reale, mentre oggi è soprattutto il rosso del debito ecologico, dei consumi indiscriminati delle risorse naturali. Il marrone è il colore della vera economia, quella dei rifiuti e del percolato. Il grigio è il colore della nebbia delle strutture societarie opache e delle sedi disperse, ma anche della materia grigia, del brain power che potrebbe portarci nel futuro, ma che soprattutto in Italia non viene abbastanza valorizzato. Il nero è “il nostro lutto, profondo perché non si vede: sommerso com’è in un oceano buio”. Poi, essendo Segrè economista di campagna, come lui stesso si definisce, che osserva la realtà dal basso, non poteva mancare il verde, emblema della green economy. Ma c’è anche il verdastro, il colore del greenwashing, quello che si limita a dare l’illusione d’esser verde, senza esserlo realmente. E poi il blu, che riconosce un diritto universale come quello all’acqua. Infine, l’arcobaleno, che già dai tempi di Noè e della sua arca sancì l’alleanza tra gli esseri viventi e con le generazioni future. Ecco allora che, se “l’economia a colori potrà fare qualcosa di buono”, sarà “vendere la speranza come nella filastrocca di Gianni Rodari: S’io avessi una botteguccia | Fatta d’una sola stanza | Vorrei mettermi a vendere | Sai cosa? La speranza”.
Attraverso il caleidoscopio di colori e la gamma di aggettivi e sostantivi che nel tempo si sono affiancati al termine e al concetto di economia (sia nel senso economy, i fatti e i fenomeni economici, sia nel senso di economics, la teoria economica), quella che Segrè cerca di delineare è una visione d’insieme che leghi questa scienza sociale alle ricadute che ha avuto e ha nel mondo reale, facendola finalmente scendere – o cadere – dall’iperuranio creato dal turbocapitalismo degli anni Ottanta, molto meno nobile di quel reame delle idee descritto da Platone, essendo il regno delle speculazioni finanziarie e dei calcoli matematici sui derivati all’origine della crisi finanziaria del 2007. Una crisi che non è più, e forse non è mai stata solo, economica, ma anche etica.
Al centro del volume c’è il concetto di relazione, perché la tesi di Segrè è che, per uscire da questa crisi, non basta più parlare di economia sostenibile: bisogna ribaltare la prospettiva fra economia ed ecologia. Economia è il sistema di interazioni che garantisce l’organizzazione per l’utilizzo di risorse scarse (limitate o finite), attuata al fine di soddisfare al meglio bisogni individuali o collettivi. Ecologia, secondo la definizione coniata dal biologo tedesco Ernst Haeckel nel 1866, è “l’insieme di conoscenze che riguardano l’economia della natura; l’indagine del complesso delle relazioni di un animale con il suo contesto sia inorganico sia organico, comprendente soprattutto le sue relazioni positive e negative con gli animali e le piante con cui viene direttamente o indirettamente a contatto”. Entrambi hanno la propria radice nel greco oikos, è ora di ristabilire l’ordine delle cose: l’economia è il governo di solo una parte della grande casa che è il pianeta che ci ospita. È necessario uscire dalla metafora dell’economia come un sistema razionale che funziona come una fredda macchina e cominciare a considerarla come se fosse un organismo che si relaziona con gli altri organismi: iniziamo a parlare di ecologia economica. Ecologia, infatti, contiene anche logos nella sua accezione di dialogo con ciò che ci circonda: gli altri esseri che abitano con noi questa casa-mondo. Da qui la necessità di un’economia del noi, plurale, dopo tanti anni di economia dell’io, singolare ed egoista: il riconoscimento dei beni comuni e dell’esigenza di preservarli, i gruppi di acquisto solidale, il microcredito, la finanza etica, i bilanci di giustizia, il commercio equo e solidale, il cohousing. “In Italia esistono tanti movimenti, gruppi, associazioni […] che da tempo declinano l’economia plurale” che rappresenta un vero e proprio “capitale di relazioni”; ora questa rete dell’economia plurale deve moltiplicarsi all’infinito e diventare una massa critica sufficientemente numerosa per condizionare il sistema. Una massa critica formata da un’ulteriore evoluzione del genere homo: l’homo sufficiens che cerca “l’abbastanza quando il troppo sarebbe ancora possibile. Raggiunge cioè la sufficienza, principio intuitivo oltre che razionale dal punto di vista personale”. E proprio questi homini sufficiens sono solitamente anche “reciprocans” perché sono coloro che “attivano i principi e le relazioni di reciprocità”: lo scambio di beni così non è più impersonale ma si arricchisce della relazione che si instaura tra le parti determinando così un aumento del capitale relazionale.
Secondo Segrè manca però ancora un balzo evolutivo: quello verso l’homo civicus: “è l’uomo che si batte attivamente per la tutela e la valorizzazione dei beni comuni, intesi nella loro accezione più ampia, ossia quella dei beni pubblici e della fiducia. […] Che è capace di andare oltre a ciò che si crede insuperabile: l’utilità individuale e l’autointeresse nel breve periodo, per costruire invece un’azione collettiva, equa, sostenibile e solidale nel lungo periodo”. Segrè scrive, e non si può che essere d’accordo, che “Ne abbiamo un disperato bisogno”.

Ma c’è anche chi cresce: Elletipi, esempio virtuoso nel panorama ferrarese

Incuneata nel suolo ferrarese, Elletipi è un’azienda nata nel 1974 e cresciuta passo dopo passo, specializzandosi nei servizi ingegneristici per la geotecnica, in rifermento all’implementazione delle grandi opere, che, da sempre, ha cercato di congiungere l’attenzione verso i clienti con le tecniche di controllo dei processi produttivi e di miglioramento dell’efficienza, grazie alla misurazione continua dei risultati ottenuti, aprendosi all’idea di ‘total quality management’.

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Elletipi, servizi ingegneristici per la geotecnica

Grazie alla collaborazione dei tre tecnici ferraresi Riccardo Mazza, Massimo Romagnoli e Paolo Bet, responsabili dei rispettivi settori core, la stabilità e la crescita dell’impresa hanno contribuito di attrarre una nuova attenzione su di sé: nel 2013, infatti, è stata acquisita dal gruppo Dimms nella prospettiva di un continuo ampliamento del mercato di riferimento del gruppo.
Nel tempo si è sviluppata una sinergia in grado di fondere la cultura storica e altamente specializzata dell’azienda ferrarese e la prospettiva dinamica, che guarda al futuro, dell’avellinese Dimms, ed è in questo modo che si sono ottenuti gli ottimi risultati che hanno aperto le porte ad una nuova avventura che, a partire dall’inizio del nuovo anno, porterebbe il gruppo alla quotazione in borsa con possibilità di ‘dual listing’ sull’Aim (Alternative investment market) di Milano e Londra.

La capogruppo Dimms nacque nel 1992 dall’intuizione dei fratelli De Iasi che decisero di proporsi nel campo della geotecnica; oggi il gruppo collabora con clienti come Eni, Shell, Total e Anas ed oltre ad Elletipi, elemento trainante nel campo dei controlli di qualità dei processi produttivi dell’ingegneria civile per il Nord-Est d’Italia, controlla anche la marchigiana Geomarine che completa l’offerta con servizi near-shore e off-shore.
Ultimamente poi, “ha fatto rumors” l’applicazione del jobs act mediante l’assunzione di trenta nuovi operai e la fuoriuscita di un nuovo piano industriale per il 2016-2018; se grazie all’iniezione di liquidità data dal fondo Xenox private equity sono state realizzate le prime due acquisizioni per 5 milioni di euro, si pensa a nuove mosse strategiche per ampliare il proprio mercato di riferimento.
Dalla collegata in Mozambico si avanza l’ipotesi di ulteriori acquisizioni in Africa per avanzare nel settore dell’oil&gas ed avvicinarsi ai mercati di Dubai e Abu Dhadi, considerati molto profittevoli.
Insomma, l’intero gruppo Dimms ha effettuato una sorta di scalata, consacrata dai trend positivi del fatturato che dal 2013 al 2014 – dichiara – ha raggiunto un +50%.
Questi, comunque, sono solo una serie di risultati che scrivono la storia di una realtà che cresce e che avrà modo d’influenzare positivamente il territorio.

Comacchio, le varianti della discordia. No di Legambiente. E Michetti: “In riviera non cambia mai nulla”

2. SEGUE – I ritocchi al regolamento edilizio con cui sono state cancellate le differenze tra campeggi e villaggi turistici non convincono Davide Michetti, consigliere d’opposizione dell’Onda astenutosi dal voto durante il consiglio comunale, che ha visto l’approvazione delle varianti. Varianti – si è detto – utili ad adeguarsi alle indicazioni della Regione e che permettono di occupare fino al 100 per cento delle piazzole dei campeggi con case mobili e fisse. A lasciare Michetti maggiormente perplesso è però il passaggio sulla possibile nascita di nuove strutture, risolta con un rinvio alle norme attuative del Piano regolatore licenziato nel 2002.

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Davide Michetti, consigliere d’opposizione dell’Onda

“Per quanto riguarda i campeggi non mi sento di criticare l’obiettivo, alcuni sono già villaggi turistici e hanno bisogno di rispondere alle esigenze di maggior confort espresse dalla clientela – dice – diversa invece è la mia opinione sulla realizzazione di nuovi progetti al vaglio comunale. Ho molti dubbi sulle modalità di approvazione della delibera e sul cambio di destinazione d’uso di alcuni terreni, tra l’altro non si è tenuto conto delle particolarità del territorio e degli eventuali problemi che potrebbero insorgere mutandone la fisionomia”. Pensa agli allagamenti più frequenti in alcune zone che in altre, alla fragilità della costa aggredita dalle mareggiate, ai possibili strapazzi ambientali. Tutte cose, sostiene, da trattare in base a valutazioni tecniche e alla specificità delle singole situazioni.

“Sono temi dai quali non ci si può disimpegnare con leggerezza, invece la scelta politica dell’amministrazione sembra andare in un altro senso”, dice. Un pasticcio dunque? “Per fare un lavoro tecnicamente corretto si doveva mettere mano al Piano regolatore valutando richieste e osservazioni – continua – Il risultato delle risoluzioni prese si è tradotto in numerosi ricorsi contro le decisioni della giunta, io stesso ne avevo segnalato il rischio. Chi si è sentito penalizzato, non intende soprassedere e, per come stanno le cose, da imprenditore non me la sentirei di partire con nuove intraprese”. Motivo? “Se anche un solo ricorso dovesse andare a buon fine, le conseguenze potrebbero toccare gli imprenditori e lo stesso Comune, chiamandolo a risarcire l’eventuale torto con i soldi dei contribuenti”. Al di là degli ipotetici risvolti legali, quantificati finora in 11 ricorsi al Tar (Tribunale amministrativo regionale), Michetti stigmatizza altri aspetti della vicenda. “Per le esigenze turistiche della riviera è già sufficiente quanto abbiamo, non c’è bisogno di altri posti letto – dice – Miglioriamo, ampliamo l’esistente, ma ricordiamoci che i villaggi turistici esauriscono la spinta economica al loro interno con il rischio di far morire l’economia locale”.

Nei suoi ricordi il dibattito sui mali della riviera è sempre uguale a se stesso: “E’ la storia che si ripete, si è sempre parlato di conversione e rivalutazione di Comacchio per favorire il turismo, ma non la si è mai favorita veramente – dice – Vent’anni fa si è cominciato a trasformare gli alberghi in appartamenti, poi è arrivato il momento delle Rta (Residenza turistico alberghiera) e i risultati, anche in termini di ricadute occupazionali, non sono certo lusinghieri. Non è cambiato nulla, nemmeno gli attori con cui l’attuale sindaco fa promozione turistica. Fabbri dovrebbe riflettere sulla storia locale, su come si è arrivati fin qui, prima di prendere delle decisioni tanto importanti per la città e la riviera”.

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Gabriele Bellini, ex segretario Pd e consigliere comunale

La storia, anche la più recente, ha le sue chiavi di lettura: “Il problema è che non c’è mai stata una visione d’insieme né di media e lunga durata riferita Comacchio”, sottolinea Gabriele Bellini ex segretario del Pd e consigliere comunale. Uscito di proposito dalla scena politica nella quale, s’affretta a specificare, non è intenzionato a rientrare, avanza alcune riflessioni: “Le varianti con la mia impronta sono poche ed erano tutte orientate al contenimento della cementificazione. Il tentativo di procedere in questo senso era iniziato, purtroppo con risultati insoddisfacenti, tardivi e poco tangibili. Ci abbiamo provato e forse potevamo fare qualcosa di diverso, sono il primo ad ammetterlo – spiega – Tuttavia mi preme ricordare come Comacchio sia sempre stata una terra di conquista da parte del partito egemone che ne ha condizionato l’esistenza, mi riferisco al Pci fino ad arrivare al Pd”. Un esempio? “Se la Provincia toglie i vincoli sulle pinete, va da sé il verificarsi di quanto è accaduto e continua ad accadere. La visione esposta da Valter Zago, non è lontana dalla realtà (precedente intervista, ndr), a parole si dice una cosa poi se ne fa un’altra – continua – L’attuale amministrazione segue il solco della tradizione contrariamente a quanto aveva enunciato. Non sorprende, semmai delude chi aveva sperato in qualcosa di nuovo e diverso per Comacchio, ci sono però ancora due anni di tempo prima dello scadere della legislatura, volendo si possono mettere in campo diverse iniziative. Del resto la giunta Fabbri ha ereditato situazioni pregresse con le quali deve misurarsi e alle quali lo stesso Zago non può dirsi estraneo”.

Dalla micro dimensione alla macro, il passo è breve. “A voler guardare bene la situazione, si ha l’impressione che la Regione, una volta considerata all’avanguardia nell’intero Paese, abbia allargato i cordoni sulle tutele ambientali – precisa – In riviera ci sono luoghi che meritano un’attenta salvaguardia, così come la richiederebbe il Parco del Delta del Po. Al di là del Mab, che ci pone a fianco della parte veneta del Parco come riserva della biosfera, l’ente appare in disarmo. Oltre a mancare un direttore, è la sua missione a sembrare naufragata, si guarda molto alla burocrazia e non ai principi che ne hanno ispirato la creazione. Questa purtroppo, indipendentemente da chi amministra a livello locale, è la tendenza del momento. Si punta al business in nome dello sviluppo e dell’occupazione, ma si perde per strada la mission di salvaguardia e valorizzazione del territorio”.

“Ormai è chiaro non siamo gli unici a mettere in discussione le decisioni della giunta. I ricorsi ne sono la dimostrazione – dice Stefano Martini a nome del direttivo di Legambiente Delta Po – Dal nostro punto di vista le due delibere approvate a fine gennaio del 2014, con cui si dà mandato al sindaco di sottoscrivere con i privati gli accordi relativi alla Collinara e al Camping Village Comacchio (ex Elisea, ndr), non risponderebbero a condizioni e termini richiesti dallo stesso Consiglio comunale nel settembre del medesimo anno”. Perché? “Mancano alcuni elementi necessari e, soprattutto, non ci sono gli studi sulla sostenibilità economico-finanziaria degli interventi proposti – conclude – Non c’è neppure la corretta quantificazione dell’interesse pubblico e le garanzie indispensabili ad assicurarlo, sicché il tutto appare ampiamente deficitario”.

Leggi la prima parte

Nasce Periscope, il mondo in diretta streaming dal cellulare

Il suo ingresso nell’ampia scena dominata dal web e dai social network non è passato inosservato, poiché ormai tutto quello che sfonda in rete è destinato ad entrare prepotentemente nella nostra quotidianità: è quello che sta accadendo nelle ultime settimane con la nascita di Periscope, applicazione per smartphone creata da Joe Bernstein e Kayvon Beykpour e completamente interfacciata con la già ben nota Twitter.
Periscope sulla carta è “l’acqua calda”, niente di apparentemente rivoluzionario o mai visto prima dal punto di vista tecnico, poiché si avvale di una piattaforma sulla quale un utente può inserire un video che tutti gli altri utenti iscritti possono visualizzare. Nulla di sconvolgente, in un’epoca nella quale Skype e YouTube oramai sono conosciuti anche da chi un computer non lo ha mai preso in mano.

periscope-twitterQuello che però rende Periscope una vera e propria novità, forse destinata a padroneggiare il mercato di internet, come i pilastri appena citati, è la diretta simultanea, la possibilità ovvero di registrare con il proprio telefono qualsiasi cosa si desideri in qualsiasi momento della giornata e trasmetterlo in diretta streaming al mondo. Parallelamente, gli utenti possono visualizzare cosa sta trasmettendo in quel preciso istante chi si è scelto di seguire, ed interagire tramite il più classico servizio di messaggistica istantanea. Tutto molto più facile a farsi che a dirsi.
Ecco che paiono chiare le sue enormi potenzialità, applicabili in svariati settori: tutti oggi possiamo crearci la nostra personalissima televisione ed il nostro broadcast, dove il broadcast siamo noi stessi. Grazie alla già citata integrazione con Twitter, inoltre, il nostro profilo Periscope saprà chi già seguiamo in rete e cosa più ci interessa, facilitando così la ricerca delle dirette o addirittura permettendoci di venire avvisati con una notifica quando un nostro “follower” crea una diretta. E per non far mancare nulla, i video distribuiti in diretta possono anche essere registrati e resi disponibili per la visione in un secondo momento nelle 24 ore successive alla loro creazione.
Proprio su quest’ultimo punto sta la differenza con Meerkat, un’applicazione uscita un paio di mesi fa e molto simile a Periscope che, nonostante godesse di numerosi consensi, limitava la visione degli utenti alla mera diretta facendo scomparire il contenuto alla conclusione della stessa. Importante diviene infatti sottolineare che già da tempo esistono piattaforme in grado di offrire servizi analoghi a quelli che offre Periscope, su tutti Younow, Livestream e Ustream.

Le caratteristiche che rendono Periscope davvero un prodotto nuovo, e soprattutto pronto ad una rapida espansione, sono l’immediatezza e la freschezza: creare una diretta è tanto semplice quanto pubblicare un tweet o un post, come semplice è accedere ai numerosissimi contenuti e cercarne di diversi ogni secondo che passa. Possiamo passare così dalla visione di una conferenza stampa ad una persona che passeggia per le vie di una città, dal backstage di una trasmissione televisiva alla recita dello spettacolo di fine anno delle elementari. In Italia, personalità note al grande pubblico come Fiorello e Jovanotti hanno cominciato ad utilizzare Periscope già dal giorno della sua uscita (il 26 marzo scorso), quest’ultimo, attivissimo, più volte al giorno dialoga con il suo pubblico e mostra il dietro le quinte delle prove dall’interno degli studi di registrazione. Già attive sono inoltre tutte le principali testate giornalistiche e i giornalisti stessi, svariate case editrici, partiti politici, musei e trasmissioni televisive. Su Periscope sono state create dirette all’esterno del Tribunale di Milano durante le tragiche vicende del 9 aprile scorso, mentre a Ferrara risulta particolarmente attivo il Palazzo dei Diamanti, che in vista della prossima apertura della mostra “La rosa di fuoco” ha mostrato l’arrivo delle opere e tiene aggiornati gli interessati sulle ultime news.
Provando personalmente l’applicazione, tra i live non creati dagli utenti che già seguo, mi sono imbattuto in una ragazza che si spostava in lungo e in largo per Parigi, chiedendo ai suoi utenti che cosa volessero andare a visitare della capitale francese, e lei prontamente si spostava verso il luogo prescelto, a piedi o se necessario con i mezzi pubblici. Un’altra ragazza si riprendeva durante lo svolgimento dei suoi compiti scolastici, chiedendo informazioni e consigli agli utenti, mentre altre persone ancora cantavano canzoni su richiesta. Il tutto quasi sempre seguito già dall’inizio della diretta da non meno di un centinaio di utenti, che nel caso di live di personalità famose ovviamente aumentano in modo esponenziale. Numeri incredibili se si pensa che Periscope per adesso è disponibile solo per dispositivi Apple (a breve lo sbarco su Android).
Tutto insomma può essere ripreso e distribuito su Periscope, senza (per ora) alcun tipo di limitazione; uno dei pochi punti a sfavore probabilmente è la qualità del video, molto bassa e tutt’altro che professionale per ovvi motivi di fruizione e caricamento in rete.

Come è accaduto (e come continua ad accadere) per ogni nuovo prodotto di diffusione di massa sulFoto 15-04-15 18 14 48 web, l’iniziale entusiasmo per la novità si scontra presto con le preoccupazioni e i problemi che questa incontrollabile diffusione potrebbe provocare. Lo stesso Twitter in queste settimane sta cercando di rivedere i propri regolamenti, in modo tale da controllare maggiormente la pubblicazione dei contenuti e tutelare il più possibile i suoi utenti e la piattaforma stessa.
Periscope potrebbe divenire uno scomodo concorrente dei media tradizionali, basti pensare alla possibilità di riprendere un concerto, un film al cinema, una partita di calcio, ma anche un incredibile mezzo di diffusione libera e incontrollata di violenza, pornografia, illegalità, anonimato. Senza contare l’effetto “grande fratello”, sempre di grande attualità. Problemi già noti sul versante social network, settore nel quale anche Periscope si sta ritagliando il proprio spazio e che da anni divide la società in favorevoli e contrari, in chi ci vede il male del giorno d’oggi e in chi invece vede queste nuove tecnologie come una enorme possibilità per il futuro.
Ma al di là dei comprensibili dubbi circa la diffusione di Periscope, credo sia interessante analizzare questo nuovo prodotto tecnologico come un’opportunità, soprattutto per quanto riguarda un mondo, quello dell’informazione, in costante evoluzione e mutamento. L’informazione oggi non può prescindere dal web, piaccia o no, e servizi come Periscope, se utilizzati in maniera corretta, non possono che portare vantaggi e migliorie. Periscope incarna tutto ciò che l’utente medio del web di oggi richiede nella sua ricerca di informazioni: immediatezza, semplicità e soprattutto condivisione. Il mondo in costante diretta, quando e dove lo vogliamo, una nuova frontiera nel modo di fare giornalismo. La notizia, grazie a Periscope, può essere oggi diffusa con un tempismo, un realismo ed una diffusione (con tanto di interazione) spaventosi, e la stessa notizia può successivamente essere approfondita e condivisa in un modo inedito ed innovativo rispetto ai meccanismi classici della rete o i mass media tradizionali.
In un certo qual modo potrebbe giovarne anche la veridicità e la trasparenza delle fonti, grazie ad un contatto visivo diretto e riconoscibile (gli stessi profili ufficiali degli utenti popolari di Twitter vengono segnalati con una spunta azzurra) con chi sta dall’altra parte dello schermo e dell’ambiente che lo circonda mentre diffonde il proprio messaggio.

Certo è ancora molto presto per parlare di rivoluzione, il prodotto è ancora neonato e in fase di assoluta sperimentazione, sia tecnica che pratica. Appare chiaro tuttavia che Periscope, così come viene già teorizzato in questa sua fase quasi embrionale, è destinato a continuare a far parlare di sé e modificare molto, se non tutto, di quello che già abitualmente pratichiamo sulla rete. Molto più di una semplice moda passeggera.
La caccia ai cuoricini (così vengono segnalati sulla schermata della diretta tutti i nuovi “spettatori”), quindi, è ufficialmente aperta.

L’APPUNTAMENTO
Finanza, economia e bisogni reali: lunedì in biblioteca dibattito di Ferraraitalia sul mondo che va a rovescio

“Non c’è stata nessuna iniziativa concreta da parte dei governi per porre fine alle attività delle banche che hanno causato la crisi; anzi, ci sono le premesse perché la crisi finanziaria possa ritornare. Oggi, e malgrado il monito di quel che è successo, l’ammontare dei derivati è dell’ordine dei quadrilioni di dollari, cifre talmente grandi da essere inconcepibili. Comunque enormemente superiori alla somma dei Pil di tutti i Paesi. Nulla è stato fatto per rivedere le teorie economiche neoliberali. Nulla per riportare la finanza al servizio dell’economia”. E’ l’amara constatazione che il sociologo Luciano Gallino ha consegnato a Bruno Vigilio Turra nell’intervista recentemente pubblicata da Ferraraitalia [leggi].

Idealmente si può dire che partirà da qua la riflessione sulla finanza etica in programma lunedì prossimo, 20 aprile, alle 17 alla sala Agnelli della biblioteca comunale Ariostea, nell’ambito del ciclo di incontri “Chiavi di lettura, opinioni a confronto sull’attualità” organizzato dal nostro quotidiano e giunto al suo quarto appuntamento.
Di etica c’è davvero bisogno se la situazione è quella descritta da Gallino. E l’esperienza di ciascuno conferma la distanza siderale fra le logiche affaristiche degli operatori di mercato e i bisogni dei cittadini, ai quali in teoria la finanza e l’economia dovrebbero fornire soccorso. Fulcro della discussione che si svilupperà in biblioteca sarà la logica di sistema, mettendone a fuoco le degenerazioni. Il confronto sarà coordinato da Andrea Cirelli di Ferraraitalia e arricchito dal contributo del professor Lucio Poma del dipartimento di Economia dell’Università di Ferrara. Parteciperanno anche Demetrio Pedace in rappresentanza di Cassa padana [leggi la sua intervista], Simone Grillo di Banca etica e Valter Dondi direttore di Fondazione Unipolis.
E’ previsto uno spazio di dibattito con il pubblico presente in sala.