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Parole a capo
Mirella Vercelli: alcune poesie da «La solitudine del passo»

Mirella Vercelli: alcune poesie da «La solitudine del passo»

Le poesie che vengono pubblicate in questo numero di Parole a capo sono tratte dal volume «La solitudine del passo» di Mirella Vercelli, peQuod (2023). Nell’intervista di Grazia Calanna su “L’Estroverso” (29/10/2024), Mirella Vercelli spiega come è stato “costruito” il suo libro. Una costruzione faticosa, dolorosa. “Le quattro sezioni del libro raccontano di circostanze forzatamente acquisite come sapienza di vita. Fra tutte la solitudine, duro dettato per la mia infrenabile tendenza alla condivisione, all’empatia ad ogni costo. Solitudine come soglia oltre la quale non è possibile accompagnare né essere accompagnati, per passi che ciascuno deve irrinunciabilmente compiere da solo.

Dalla prima sezione Senza orme:

Per i cuori colmi non ho affinità.

Mi sono fratelli i granai vuoti
i letti disabitati
di case dove ogni cosa è ferma
nell’attesa

e l’ombra varia, variano stagioni
nell’aria densa, mentre un raggio affonda
sempre la stessa lama dalla finestra
sbieca.

Dalla seconda sezione Mater amabilis: questa sezione raccoglie testi dedicati alla madre. In particolare quelle contrassegnate da “Lidia” con numero progressivo da 1 a 22 sono state composte dopo la sua morte improvvisa.

Lidia 6

Si va serrando in fretta il buio
di un’altra sera. Di un altro giorno
ti allontani, mamma,
d’altri sospiri, d’altri nodi
in gola. Superi
l’ultimo squarcio della luce.

Io resto alle ombre.

*

Lidia 9

Cassetti, tutti i cassetti di casa

le mani dentro quel che resta
di te e non sa che sei passata.

Evapora nell’aria non più mossa
delle stanze la tua essenza, lenta
come di chi si volta
per un ultimo sguardo sulle scale.

*

Lidia 13

E ancora aspetto che tu venga a raccontarmi
dell’ultimo respiro, di quella rosa

fiorita sulla bocca, quasi sentisse maggio
il tuo stelo moribondo..

*

Lidia 16

Aprile ti fioriva negli occhi.

Di questo giorno
sempre più stancamente rinascevi

l’ultimo lo mancasti, per un soffio.

 

Dalla sezione Di spalle, nata dalla progressiva presa di coscienza della malattia del marito Paolo, dal tentativo impossibile e inutile di abituarsi all’idea del venir meno della sua presenza.

È già vuoto ritornarmi
dell’abbraccio che ti stringe.

Ma come si può alla morte
prendere le misure, portarsi avanti
sedere prima del tempo
alla mensa del dolore?

*

Pietà
Aprimi le braccia
raccoglimi sulle tue ginocchia
come fossero del figlio il corpo livido
queste povere ossa, o Dolorosa.

 

L’ultima sezione si intitola Da lontano e Mirella Vercelli scrive che “esprime il tentativo – desiderio di prendere le distanze da questi eventi dolorosi, provare a considerarli da lontano, appunto, cercando di accettare che ormai fanno parte del destino personale e provare a considerarli atomi infinitesimi nella moltitudine dei destini umani”.

Ama i miti strumenti
del tuo umile giorno,
reggili con dolcezza
nel quotidiano impegno

 

fai tuo il destino
che non sai,
il passo imposto sia
il passo che sceglierai.

*

Giorno dopo giorno
l’alfabeto del dolore si
fa lingua madre.

*

La voce, imperiosa, reclama
Accudimento

e il tempo gira
attorno a quella fame antica.

Si nasce e si muore invocando
con medesimo pianto

la vita.

*

Mirella Vercelli è nata a Grottazzolina, nelle Marche, nel 1959; risiede da qualche anno a Sant’Elpidio a Mare, sulla sponda opposta del Tenna, attraversato come fosse il Rubicone.
È collaboratrice in un ambulatorio medico, dove passa poca poesia ma tanta umanità, da consolare e da cui essere consolati. Ha pubblicato nel 2017: Racconti 1978-2016 per Aras Edizioni e nel 2020 Luce piena
per peQuod. Suoi racconti e versi sono compresi in diverse antologie e riviste, stampate e on line.
(Ringrazio l’autrice per avermi permesso la pubblicazione dei suoi versi)
(Foto di Melk Hagelslag da Pixabay)

 La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio. Questo che leggete è il 280° numero. Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.
E’ possibile inviare proprie poesie all’indirizzo mail: gigiguerrini@gmail.com per una possibile pubblicazione gratuita nella rubrica.

Ripensare per generazioni: riprendere il filo del passato

Ripensare per generazioni: riprendere il filo del passato

Ripensare per generazioni: riprendere il filo del passato.

Sembrerebbe che i 52.000 abitanti della Groenlandia si trovino a fronteggiare due problemi: il primo è dovuto al cambiamento climatico; il secondo è dovuto a chi ha prodotto…. il primo problema o, anzi meglio, lo nega: non lo riconosce e, meno che meno, se ne sente responsabile.

Il primo si manifesta come un semplice e misurabile scioglimento dei ghiacci con il conseguente innalzamento delle acque dell’oceano.

Il secondo problema si va sempre più manifestando come una esplicita minaccia di invasione dell’isola da parte degli Stati Uniti d’America che per bocca del Presidente Trump (e del suo vice Vance) hanno bellamente mostrato di infischiarsene non solo delle elementari norme internazionali di convivenza civile ma anche e soprattutto dei luoghi di sepoltura degli antenati del popolo groenlandese.

Ricordiamo che in Cent’anni di solitudine di Gabriel G. Marques è solo con l’edificazione della tomba di Melquiades, lo zingaro, che José Arcadio Buendia potrà dichiarare fondato il suo amato, mitico paese.

Questo sconsiderato attacco americano (prima economico, poi logico e infine linguistico)  prelude a una sola cosa: una inevitabile catastrofe antropologica rappresentata dallo sradicamento di migliaia di persone dal loro passato. O più probabilmente dal loro futuro.

Il nostro Giambattista Vico aveva creato a questo proposito una sorta di etimologia patafisica della parola umano  facendola derivare dal latino humando in riferimento ai riti della sepoltura (inumazione).

Evidentemente gli Stati Uniti d’ America sono un Paese troppo “giovane” dal punto di vista storico e antropologico per avvertire la rilevanza della questione.

Recentemente però è uscito, in traduzione italiana, un libro dell’inglese Tim Ingold, Professore emerito di Antropologia Sociale, che potrebbe aiutare ( anche gli americani) a comprendere meglio queste cose.

Il titolo del libro è Il futuro alle spalle. Ripensare le generazioni (Meltemi, 2024)

Nel presente saggio Tim Ingold sostiene  alcune tesi che a prima vista potrebbero risultare provocatorie.
Ad esempio sostiene che per poter affrontare  i grandi problemi del nostro tempo (guerre, riscaldamento globale, perdita della biodiversità, derive autocratiche delle democrazie, calo di fiducia nelle istituzioni comunitarie e transnazionali) bisognerebbe abbandonare l’idea della innovazione a tutti i costi e la stessa pratica fuorviante della innovazione per il progresso.

Alla base di questa revisione c’è poi quella ancora più importante e fondante che è la concezione stessa di futuro inserito non più in un discorso cronologico in avanti ma come una capacità di cogliere segni provenienti dal passato.

Che cosa significa allora che il nostro futuro è alle spalle? Prima di tutto è ovvio che tutte le culture si rifanno a una tradizione e dunque a trasmettere e tramandare “cose” più o meno visibili, documentate o solo raccontate.

Si pensi ad un tempo greco arrivato fino a noi quasi del tutto intatto (o se preferite, semidistrutto): oltre alle colonne ancora erette e ad alcune semi interrate o riverse a terra, è chiaro che si avverte anche la quantità di cose invisibili e scomparse che in parte potremmo recuperare grazie alla nostra immaginazione di uomini della stessa specie delle generazioni che hanno preceduto la nostra.

Per certi versi però a questa ovvietà dice Ingold si affianca una certa volontà della nostra “modernità” di “eliminare” sistematicamente il passato e le sue tracce ovvero, che è lo stesso, immagazzinare tutto questo in una memoria esterna praticamente illimitata: i sistemi di intelligenza artificiale a questo sono adibiti, alla possibilità di recuperare qualunque tipo di “ricordo” in tempo reale cioè, parafrasando, tutte le colonne che sono ancora belle erette e quelle riverse a terra ma ancora visibili.

E tutto il resto? Quello che non si vede e che non “avvertiamo” più?

Proprio questa “apparente e immediata” disponibilità di memorie è l’altra faccia della eliminazione di memoria ovvero di quella “necessità” specifica di trasmettere e tramandare il sapere da una generazione ad un’altra.

Il senso comune di questa modernità , dice Ingold, è quello di pensare le generazioni come entità separate che succedendosi l’una con l’altra formano strati geologici che si sovrappongono tra loro ma non si intrecciano: così abbiamo i Boomer , poi Gen X e quindi i Millenislas e Gen Z.

In tal modo a dominare in un dato periodo storico è una sola di esse quella che Ingold chiama Generazione Ora pronta a cancellare quello che ha fatto la generazione precedente e consapevole di “dover” lasciare il passo a quella successiva, senza alcuna apparente condivisione tra loro.

È il modo di ragionare , osserva Ingold , dell’archeologia che opera per stratificazioni nel tempo, ma anche della biologia evoluzionista con i suoi pacchetti preordinati di caratteri genetici da trasferire  alla generazione che seguirà. Lo stesso accade nell’antropologia della parentela o se volete negli alberi genealogici famigliari che uniscono le relazioni con lineette e caselle ( organigrammi famigliari) senza nulla dire della qualità delle relazioni.

Eppure continua Ingold lo studio etnologico delle diverse culture umane ci consegna una immagine delle relazioni intergenerazionali assai diversa: non strati impilati ma fili sottilissimi che continuano ad intrecciarsi per formare una corda sempre più resistente:

“…l’elemento cruciale della generazione è che essa appartiene allo stesso movimento della vita che genera. È un proseguire, non uno scambiare come tale”.

L’atto generativo, per così dire, si protrae nel tempo e non esiste alcuna discontinuità: i giovani non sono entità che prima o poi sostituiranno i padri, così come gli anziani non sono soggetti che hanno abbandonato la scena.
È solo ritornando a un mondo comune intrecciato di generazioni che si potranno affrontare e superare i problemi che affliggono la nostra modernità.

La sfida dice Ingold è solo una: perdurare, lasciare delle scie, costruire le proprie tracce.

Ritornando ai due “problemi delle Groenlandia”,  dunque la sfida non è procurarsi terre rare per continuare a progredire, ma perdurare con i groenlandesi difendendo l’isola dal riscaldamento globale. La sfida non è non invaderla e sfruttarla,  ma salvaguardare la… “tomba di Melquiades”. La sfida  non è disegnare un’altra lineetta per collegare due generazioni o aggiungere un’altra stella alla bandiera USA, ma riprendere il filo per irrobustire la corda della Vita comune, tra generazioni, su questo pianeta.

Cover: immagine da sipuofaredy.com

Per leggere gli articoli, i racconti e le poesie di Giuseppe Ferrara su Periscopio clicca sul nome dell’autore

Parole e figure / Cose da fare, insieme

Io costruirò il tuo futuro e tu il mio.

Cose da fare. Dritte per il nostro futuro insieme è un bel libro illustrato dell’australiano Oliver Jeffers (abbiamo già parlato di lui), sempre edito da Zoolibri, che racconta la storia di un papà e della sua bambina che mettono in fila le cose da fare per costruire un futuro nuovo.

Due paia di mani vicine serviranno pure a qualcosa…

Prima di tutti si metta insieme la cassetta degli attrezzi! Per montare e smontare, per tirare su una porta dove non ce n’è mai stata una. Per costruire insieme la propria casa.

Insieme si può inventare un orologio per custodire il tempo, lo stesso tempo che fa stare uniti, mettere da parte tanto amore e scavare una buca dove potersi nascondere.

Insieme si può costruire una fortezza per tenere fuori i nemici e mura alte contro le loro grida. Però siccome non si perde o si vince sempre, insieme si può aprire un varco per lasciarli entrare e costruire un tavolo per bere il the e dire ‘mi dispiace’…

Insieme si può costruire una torre per vedere le stelle e altri mondi che passano accanto.

Insieme si può scavare un tunnel che porta fino alla luna, costruire un posto per riposare comodamente quando si è stanchi, per starci quando tutto è perduto o una nave che non possa affondare.

Insieme si può avere un luogo dove lasciare le cose più care e tutto l’amore già messo da parte. Magari più avanti sarà di aiuto, in tempi difficili.

Insieme, un passo alla volta, si può accendere un fuoco, tutto questo fare stanca. Ma insieme si può stare al caldo come appena nati e dire ‘notte, va tutto bene’.

Insieme si può fare davvero tutto…

Il libro è una vera lettera d’amore di un papà alla sua bambina, quasi un dialogo a quattro mani immaginifico e dolce, come solo i discorsi con i più piccoli possono essere.

È un testo educativo e romantico, con belle e delicate illustrazioni che trattano concetti importanti come la vita, l’amore, l’ambiente e la biodiversità.

Oliver Jeffers, Cose da fare. Dritte per il nostro futuro insieme, Zoolibri edizioni, Reggio Emilia, 2021, 48 p.

 

Zebra. Sogni da realizzare

ZEBRA. SOGNI DA REALIZZARE

Zebra. StanleySognavo di diventare giornalista. Amo conoscere, visitare posti nuovi e tracciare le mie scoperte. Quando ne ho la possibilità mi piace contribuire anche a Zebra, condividendo alcuni spunti e riflessioni con la redazione del giornale.

Purtroppo però le condizioni nel mio Paese, la Nigeria, rendono molto difficile la realizzazione dei propri sogni. La situazione politica è disastrosa, ci sono molti conflitti interni e, spesso, per i*le giovani non ci sono prospettive future.

Chi è povero diventa sempre più povero, mentre chi è ricco si arricchisce sempre di più. Se hai un sogno e lo vuoi realizzare devi essere benestante o avere contatti con i “piani alti” della società, altrimenti non hai chance. È a causa di tutto ciò che, undici anni fa, ho deciso di lasciare la Nigeria per venire in Europa e costruirmi un futuro migliore, anche con l’intento di sostenere la mia famiglia.

Sono l’ultimo nato di sette fratelli e sorelle. Ero un po’ il principino di casa, il figlio a cui veniva riservato un trattamento preferenziale. Ricordo che da bambino ero un bravissimo giocatore di calcio, amavo fare le partite con i miei amici. Questo però non mi ha impedito di essere uno studente molto diligente: ho studiato economia e arte, invece le materie scientifiche non sono mai state il mio forte.

Ho sempre coltivato una grande passione per la musica, specialmente le canzoni d’amore. Non sono bravo a cantare, ma adoro farmi trasportare totalmente dai testi e dalle melodie per liberare la mente. Amo la musica che porta un significato, come quella di Céline Dion, una tra le mie artiste preferite.

Ho conosciuto Zebra. otto anni fa grazie a Georg, che all’epoca scattava le foto per il giornale, e che ancora oggi è un mio caro amico. È lui che mi ha introdotto a questa realtà, con cui ho potuto collaborare quasi dagli albori. Di ciò sono molto grato, però vorrei tanto trovare un lavoro stabile. Nonostante il sostegno nella ricerca fornitomi degli*lle operatori*rici sociali del progetto, è estremamente difficile: in questi anni ho svolto diverse mansioni, ma tutte a breve termine o stagionali.

Ciononostante, vendo Zebra. con passione. Ho imparato che vendere il giornale è un’arte: sta tutto nella maniera in cui si interagisce con il*la cliente. Il modo in cui ci si presenta, in cui si parla, le informazioni che si è in grado di fornire. Nel tempo si riesce anche a costruire una bella relazione con i*le lettori*rici.

Mi impegno sempre in ciò che faccio e lavoro continuamente su me stesso per migliorarmi come persona. Tutto ciò lo faccio tenendo a mente i sogni per i quali ho cercato terreno fertile e che so, un giorno, vedrò realizzati.

Stanley Kelechi Ekechi – È un pozzo di idee!

CIT.

“Amo la musica che porta un significato, come quella di Céline Dion, una tra le mie artiste preferite.”

Per maggiori informazioni in italiano: www.oew.org/zebra   In tedesco: www.oew.org/zebra

Nelle prossime settimane Periscopio ospiterà la voce di Zebra, attraverso gli articoli dei suoi redattori e collaboratori. 

Istruzioni per l’uso di un’Intelligenza Artificiale sociale, democratica e civile

Istruzioni per l’uso di un’Intelligenza Artificiale sociale, democratica e civile

di Emiliano Sbaraglia
Pubblicato da Collettiva il 13 aprile 2025 

Pubblicato da Rubbettino l’ultimo volume di Vanni Rinaldi dedicato all’utilizzo delle nuove tecnologie per creare beni comuni digitali. Ne parliamo con l’autore

Le nuove tecnologie sono appannaggio di un potere sempre più elitario e spietato, che domina incontrastato usufruendo dei vantaggi forniti dalle stesse. Ma un cambio di rotta è ancora possibile, e proprio l’Europa potrebbe essere protagonista di una trasformazione in senso sociale e democratico riguardo l’utilizzo dell’IA. Di questo si occupa l’ultimo lavoro di Vanni Rinaldi Intelligenza artificiale sociale (Rubbettino editore, pp.122, euro 15), al quale abbiamo rivolto alcune domande.

Da fantasia a realtà, in poco tempo il fenomeno dell’IA sembra ormai far parte della nostra vita. A che punto siamo arrivati?
In effetti si tratta di una realtà virtuale, ma anche sociale. Siamo in una fase in cui davanti ai nostri occhi si confrontano due modelli: da un lato un’evoluzione tecnologica partita ormai da mezzo secolo, ora guidata da una capacità di calcolo enormemente aumentata negli ultimi anni; dall’altra il fenomeno protagonista di questo cambiamento, immensi giacimenti di dati dovuti non soltanto ai vari device che utilizziamo, per lavoro o divertimento, ma dall’aumento della raccolta dati anche attraverso la sensoristica: penso alle automobili ma anche alle fabbriche, luoghi dove si accumulano grandissime quantità di informazioni riutilizzabili.

Quanto incide tutto questo sulla vita degli esseri umani?
In sostanza, le macchine che prima avevano bisogno di essere programmate oggi in parte si programmano da sole, svolgono funzioni che non hanno più bisogno di intervento umano, e si tratta di un cambiamento enorme, significativo e pervasivo, che riguarderà qualsiasi attività tra uomo e macchina. Per questo si deve trovare un modo di istituzionalizzare tale trasformazione, che produrrà determinate conseguenze in virtù di come la società la recepisce, perché è a seconda di come viene recepita che si producono determinati effetti.

Chi gestisce questa trasformazione oggi?
Ci troviamo di fronte a un modello tecnocapitalista, responsabile di un utilizzo oligopolista della potenza tecnologica, e questo è un grande rischio: abbiamo visto con Donald Trump quanto sia facile influenzare anche il potere politico. Se il modello tecnocapitalista diventa dominante, come loro stessi dichiarano (lo ha fatto recentemente Peter Thiel) il dominio del tecnocapitalismo non avrà più bisogno della democrazia.

Una dichiarazione che preoccupa…

E che fa il paio con il modello centralizzato della Cina, che ottiene lo stesso risultato in altro modo, nel rapporto tra impresa e potere politico unificato alla radice e guidato dal partito comunista. Ma il risultato è lo stesso, sono due modelli che fanno a meno della democrazia.

La forza di questo libro, oltre all’analisi, è però anche nella proposizione di un modello alternativo a quelli appena descritti.
Di fronte a un’Europa immersa dentro una crisi gravissima l’idea è proporle allo stesso tempo la visione di una grande opportunità: riflettere sull’IA in maniera diversa rispetto ai modelli citati. In Europa siamo dotati dei computer più potenti al mondo, compresi quelli utilizzati in Italia da Cineca. Abbiamo a disposizione algoritmi, ricercatori universitari d’eccellenza, e una legislazione vigente in grado di mettere a disposizione di tutti la materia prima dell’IA per processare dati. E i dati in Europa sono prodotti anche da giornalisti, ingegneri, professori universitari, lavoratori delle fabbriche, materiale che può essere utilizzato in quanto beni non rivali, e gestibili grazie alla legislazione europea.

Quali differenze garantisce?
Le normative europee consentono di riutilizzare questi dati a chi li richiede, e questo può favorire un mercato democratico dei dati stessi, perché basato sulle regole della democrazia. Da qui si potrebbe creare un modello di IA inverso da quelli statunitense e cinese, gestito secondo regole per l’appunto democratiche, che produca beni comuni.

Beni comuni?
Esatto. Si tratta di un sistema già usato oggi per i beni comuni: penso all’Auser, che si avvale dell’IA per analizzare le telefonate nei call center del “Filo d’argento”, per raccogliere i segnali premonitori di situazioni che possono peggiorare nell’immediato futuro. Per fare un esempio, in una famiglia ormai basta poco a far scattare fattori che la riducano sotto il livello di povertà, e ci sono segnali premonitori che possono essere intercettati per intervenire prima e combattere una soglia di povertà sempre più diffusa. Un altro esempio di IA sociale ci arriva dal Politecnico di Milano, che attraverso l’IA ha intercettato quegli elementi che precedono l’abbandono universitario, dimezzandolo in poco tempo dal 20 al 10 per cento.

Ci sono possibilità per un’IA sociale anche in altri settori?
Penso al campo dell’energia. Ci sono comunità energetiche che possono attivare forme di produzione e consumo di energie rinnovabili con strumenti in grado di valutare maggior efficienza e consumo per i valori prodotti, che possono essere trasferiti nel territorio.

In che modo?
Per esempio si potrebbero effettuare scambi solidali di energia con gli imprenditori locali, perché un tetto di casa produce energia quando magari sei al lavoro, e si può scambiare con il tessuto imprenditoriale locale favorendo un’azione di sviluppo del territorio, attraverso strumenti di IA che analizzino la produzione e il bisogno di energia all’interno della rete indicata, secondo dopo secondo. Poi penso anche al sistema sanitario, come scritto nel libro.

Quale potrebbe essere il vantaggio in questo settore?
L’IA è prodotta da noi, e credo ci possa aiutare anche monitorando i nostri consumi alimentari, le abitudini di vita, costituendo così nuove basi da cui far scaturire una medicina preventiva virtuosa.

Come realizzare concretamente tutte queste proposte?
C’è bisogno di creare questi nuovi modelli e, ripeto, in Europa abbiamo tutto per farlo. Ma agli strumenti bisogna che si aggiungano i soggetti collettivi, quelli che nell’ultimo capitolo vengono raccolti alla voce “corpi intermedi”. D’altronde è già accaduto nella seconda industrializzazione di metà Ottocento, quando per mitigare e in alcuni casi contrastare gli effetti dell’industrializzazione i corpi intermedi del tempo furono determinanti.

Uno sguardo al passato per realizzare un nuovo futuro?
C’è bisogno di nuova linfa e nuova volontà di agire e organizzarsi, parafrasando Antonio Gramsci. Nel corso di questo passaggio all’industrializzazione digitale si deve fare in modo che gli stessi corpi intermedi, che contengono e raccolgono una grossa quantità di dati con i loro associati, diventino protagonisti e controllori dei processi di trasformazione in atto. In questo senso mi rivolgo anche al sindacato.

In che senso?
Mi riferisco in particolare, ma non solo, al grande patrimonio rappresentato dai Caaf, che conoscono nel dettaglio gran parte delle tendenze sociali nel Paese, come le pensioni, rispetto ai sussidi che lo stato eroga. Con i loro dati diviene possibile un’analisi non solo ex-post, perché quegli stessi dati possono diventare analisi predittive e influenzare un determinato percorso istituzionale. Utilizzate in questo modo, le potenzialità di un’IA sociale aumenterebbero in maniera esponenziale, mettendoci in grado di realizzare una società più giusta e riducendo le disuguaglianze crescenti.

Cover: Istruzioni per l’uso di un’Intelligenza Artificiale sociale, democratica e civile

Per certi Versi / Mani d’argilla

Mani d’argilla

Sto dalla parte del tempo che passa
è lui il viandante vestito
con un abito nuovo
coperto di pezze

Mai vorrei tornare indietro
non saprei rivivere l’ingenuità
della fanciulla senza spalle
e senza seno

Sto dalla parte del tempo che passa
a lui concedo di modellarmi
con mani d’argilla
che sanno dove toccarmi

In copertina: immagine da pixabay

Nel 2025 la storica rubrica domenicale di poesia Per certi versi è affidata a Maria Mancino (Maggie)  

Una Camminata e un’Assemblea per difendere i Crinali Mugellani

Una Camminata e un’Assemblea per difendere i Crinali Mugellani

Domenica 6 aprile a Corella una Camminata e un’Assemblea utili e importanti per le osservazioni dei luoghi e la qualità degli interventi dei relatori e delle presenze, quasi interamente appartenenti al territorio.

Il tema centrale della Camminata e dell’Assemblea: le criticità emergenti dai lavori dell’impianto industriale eolico Monte Giogo di Villore e le alternative alla devastazione del patrimonio comune dell’Appennino Mugellano, proprio sui confini del Parco Nazionale Foreste Casentinesi su crinali in continuità funzionale con il Parco e per questo ricchi di biodiversità in quanto meno disturbati da infrastrutture, antropizzati  e urbanizzati.

La viabilità di accesso all’impianto presenta numerose criticità segnalate da chi frequenta i luoghi e vede il progressivo degrado degli ecosistemi naturali, dell’ambiente e dei paesaggi.

La deforestazione, gli allargamenti del Sentiero 12, gli sbancamenti della montagna alti alcune decine di metri, gli slittamenti dei parapetti dopo le piogge e il materiale che scivola a valle sono emblematici della invasività e della ferita inferta al territorio: talmente profonda, ripida ed estesa che è visibile ad occhio nudo perfino dalla Statale che da Dicomano sale a San Godenzo.

Una variante al Progetto iniziale: una strada aperta in forte pendenza direttamente nella faggeta con perdita di splendidi esemplari ad alto fusto ed ettari di consumo di suolo vergine salendo verso il Giogo di Corella, efficienti magazzini di CO2, di fertilità e di biodiversità, di permeabilizzazione e assorbimento idrico durante la piogge, anche le più intense, dove i versanti della montagna sono in forte pendenza.

Ben 14 chilometri di Sentieristica nazionale ed europea interrotti, deforestati, sbancati, allargati e coperti da enormi tabelloni di cemento posati su teli sintetici e ricoperti di terra: uno spettacolo surreale e inverosimile per chi ama la natura, i sentieri, i cammini, per chi ama semplicemente la propria terra e conosce i crinali.

Eventi di erosione e franosi, anche di grave entità, sono presenti lungo la viabilità, causati dai lavori per l‘impianto industriale eolico dopo la deforestazione a raso che ha prodotto movimento franoso significativo sul Sentiero 00 Italia e sul Sentiero Europa E1 in prossimità del gasdotto SNAM.

I tagli forestali sono giunti in prossimità del grande faggio sul Sentiero 00 sul limite di un luogo incantevole attraversato dal Sentiero 00, circondato da alte faggete dove è stata presentata un’altra variante, nell’avvallamento dove dovrebbe sorgere una delle 7 torri eoliche previste dal Progetto.

Proseguendo, incontriamo il meraviglioso torrente del Solstretto, alimentatore dell’acquedotto pubblico del Comune di Vicchio e habitat di specie protette, tra cui i preziosi crostacei Austropotamobius pallipes, bioindicatori di acque di eccellente qualità, prive di inquinamento, monitorati da Ricercatrici dell’Università di Firenze.

Forte criticità il tombamento del torrente del Sostretto e il suo attraversamento dall’infrastruttura che sopra il suo letto e dentro la faggeta deve essere completamente realizzata ex novo cantierizzando l’intera area di alta valenza naturalistica e da tutelare secondo le Direttive Comunitarie e Regionali.

Dopo un ottimo pranzo al sacco, condiviso sotto il grande faggio che ci ha accolto con la sua potente e benefica energia, siamo risaliti dalla transizione all’inferno dei sentieri e dei crinali devastati verso l’agriturismo Universal Harmony a Corella, sede della Mostra espositiva e dell’Assemblea aperta a tutti organizzata dal Comitato Tutela Crinale Mugellano Crinali Liberi aderente alla Coalizione Ambientale TESS Transizione Energetica Senza Speculazione.

Durante l’Assemblea sono intervenuti: Luigi Lastrucci Presidente del CAI sezione Mugello, Carlo Visca Responsabile del Centro Visite Parco Nazionale Foreste Casentinesi Castagno d’Andrea nel Comune di San Godenzo, Cristina Tani dell’Archivio di Stato di Firenze, Luca Vitali Editore della Casa editrice Montaonda, Valle del Falterona, Crinali Liberi, Valeria Uga per il Comitato Tutela Crinale Mugellano, Fabrizia Laroma Jezzi per la Coalizione Ambientale TESS, Saverio Zeni, Consigliere comunale del Comune di Dicomano e Direttore di OK Mugello, Paolo Pucci Referente per Democrazia sovrana e popolare del territorio, Enrico Bianchi Avvocato di Firenze, Monica Fagioli, attivista del Movimento della Decrescita, ha contribuito fornendo spunti sul risparmio energetico e una visione economica che non sia fondata sui consumi e gli sprechi.

In successione, gli interventi hanno messo in luce la grande rilevanza della Sentieristica nazionale ed europea che viene compromessa in modo irripristinabile e permanente senza possibilità di sostituzione alternativa, andando contro a tutto quel movimento di espansione del turismo lento ed escursionistico che ha portato e sta portando ricchezza e benessere lungo la Via degli Dei.

Lastrucci ha ribadito che il CAI, pur favorevole alle rinnovabili, è del tutto contrario all’interruzione del Sentiero Italia di 8000 km che attraversa 20 regioni con 500 tappe significative per la storia, la memoria, l’identità, la cultura e la bellezza dei luoghi.

Sia Lastrucci che Uga hanno evidenziato come gli interventi per l’eolico stiano già provocando dissesto idrogeologico, erosione, frane e degrado del territorio con ripercussioni negative a valle.

Carlo Visca ha approfondito l’importanza dell’area Corella Villore per l’alta concentrazione di biodiversità presente, dovuta alla prossimità dei territori con Zone a speciale conservazione, Aree Natura 2000 tra cui la confinante ZSC Muraglione Acquacheta. La prossimità delle Foreste Sacre e dell’Alta Via dei Parchi rende inidonea quest’area all’industrializzazione, la rende idonea invece al suo riconoscimento ad area protetta.

Cristina Tani ha riportato le Leggi che a partire dal 1559 Cosimo I aveva posto a protezione dei crinali vietando rigorosamente il taglio delle foreste a partire da un miglio dai crinali (1,609 chiometri) per salvaguardare la valle del Mugello da rischi idrogeologici, erosivi, franosi ed alluvionali.

Fabrizia Laroma Jezzi ha esposto le attività della Coalizione Ambientale Tess che ha oltrepassato ormai le 110 Associazioni fra Associazioni e Comitati regionali e interregionali per una Transizione Ecologica senza speculazione che veda partecipi attivamente le comunità dei territori, gli operatori turistici con i produttori locali che vivono della campagna e della montagna e se ne prendono cura.

Le alternative alla devastazione dell’Appennino e alla copertura di suolo e di campi sono possibili e realizzabili conseguendo gli obiettivi energetici previsti per la Toscana nei luoghi già cementificati e urbanizzati senza frammentazione degli ecosistemi naturali, deforestazione di ettari di foreste, senza consumo di suolo e cementificazione e uso di fossili per lo sbancamento delle montagne, la realizzazione di ampie strade per i trasporti eccezionali delle pale e le decine di interventi di modifica alla viabilità ordinaria. Un costo ambientale che è contrario alla Transizione ecologica e ne vanifica gli obiettivi.

Luca Vitali ha ripercorso la storia della resistenza dei movimenti del territorio contro l’industrializzazione eolica dei crinali dal 2009 ad oggi.

Saverio Zeni e Paolo Pucci, da due parti politiche diverse, hanno evidenziato l’importanza della partecipazione attiva dei cittadini e del senso di appartenenza identitaria ai luoghi, per contrastarne la svendita e la svalutazione a beneficio e profitto di grandi Multinazionali e Multiutility finanziarie che si impongono cercando di soffocare da subito la voce di chi si esprime in modo contrario a progetti di impianti industriali che privano i territori dei vincoli paesaggistici, delle tutele ambientali, della vocazione turistica e produttiva autoctona di qualità,  declassandoli ad aree industriali idonee alla implementazione e al potenziamento di torri eoliche con procedure veloci e semplificate.

Saverio Zeni e Paolo Pucci, da due parti politiche diverse, hanno evidenziato l’importanza della partecipazione attiva dei cittadini e del senso di appartenenza identitaria ai luoghi, per contrastarne la svendita e la svalutazione a beneficio e profitto di grandi Multinazionali e Multiutility finanziarie.

Esse si impongono cercando da subito di soffocare le voci sul territorio che legittimamente esprimono contrarietà a progetti di impianti industriali che privano i territori dei vincoli paesaggistici e delle tutele ambientali, snaturandoli e declassandoli ad aree industriali idonee alla implementazione e al potenziamento degli impianti con procedure veloci e semplificate.

A conclusione dell’Assemblea l’Avvocato Enrico Bianchi ha esposto alcune pratiche che tutelano i singoli e le comunità nella difesa dei territori.

Una cena condivisa ha completato la giornata intensa e costruttiva lasciandosi con l’impegno di un nuovo evento a Corella presso Universal Harmony, tra il Falterona e i crinali di Corella Villore, a metà maggio al quale vi aspettiamo numerosi.

Comitato Tutela Crinale Mugellano Crinali Liberi
Coalizione Ambientale TESS Transizione Energetica Senza Speculazione

Presto di mattina /
Verso la Pasqua dei poveri

Presto di mattina. Verso la Pasqua dei poveri

La Pasqua dei poveri

Forse per noi, che non abbiam che pane,
forse più bella è la tua Santa Pasqua,
o Gesù nostro, e la tua mite frasca
si spande, oliva, nelle stanze quadre.
Povero il cielo e povere le stanze,
Sabato Santo, il tuo chiaror ci abbaglia,
e il nostro cuore fa una lenta maglia
col cielo, che ne abbraccia le speranze.
Semplice vita, alle nostre dimande
tu ci rispondi: Su coraggio, andate!
Noi t’ubbidiamo; e questa povertà
non ha bisogno più d’altre vivande.
Noi siamo tanti quanti alla campagna
sono gli uccelli sulle mosse piante,
cui sembra ancor che le parole sante
giungan col vento e l’acqua che li bagna.
A noi, non visti, nelle grigie stanze,
miriadi in mezzo alla città che fuma,
Sabato Santo, la tua luce illumina
solo le mani, unica festa, stanche:
a noi la pace che verrà, operosa
già dentro il cuore e sulla mano sta,
che ti prepara, o Pasqua, e che non ha
che il solo pane per farti festosa.
(Carlo Betocchi, Tutte le poesie, Garzanti Milano 1996, 79-80).

Questo testo poetico bene introduce l’invito di papa Francesco ad andare verso la Pasqua «invocando speranza per i poveri», virtù che si pratica tenendo tutti e due i piedi per terra. Un’espressione, quest’ultima che mi ricorda il pastore protestante Dietrich Bonhoeffer − di cui il 9 aprile è stato l’80° anniversario del martirio, assassinato dalle SS nel carcere di Flossemburg – il quale intendeva la fede che spera, «non come quella virtù che fugge dal mondo, ma quella che resiste nel mondo e ama e resta fedele alla terra malgrado tutte le tribolazioni che essa ci procura… Temo che i cristiani che osano stare sulla terra con un piede solo, staranno con un piede solo anche in cielo» (Lettere alla fidanzata, Cella 92 [1943-1945], Queriniana, Brescia 2012, 48).

Rileggendo alcuni passaggi nel testo di Francesco per l’indizione del Giubileo credo di poter dire che questa virtù ci chieda di non dimenticare i poveri e ci inviti a condividerne il cammino verso la Pasqua.

Su questa via già il Concilio Vaticano II aveva incamminato la chiesa sessant’anni fa quando affermava nella Lumen gentium: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, i lutti e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».

Invocando speranza

Oggi Francesco ritorna a indicare questa strada invocando speranza per i poveri: «Speranza invoco in modo accorato per i miliardi di poveri, che spesso mancano del necessario per vivere. Di fronte al susseguirsi di sempre nuove ondate di impoverimento, c’è il rischio di abituarsi e rassegnarsi. Ma non possiamo distogliere lo sguardo da situazioni tanto drammatiche, che si riscontrano ormai ovunque, non soltanto in determinate aree del mondo.

Incontriamo persone povere o impoverite ogni giorno e a volte possono essere nostre vicine di casa. Spesso non hanno un’abitazione, né il cibo adeguato per la giornata. Soffrono l’esclusione e l’indifferenza di tanti. È scandaloso che, in un mondo dotato di enormi risorse, destinate in larga parte agli armamenti, i poveri siano “la maggior parte”, miliardi di persone.

Oggi sono menzionati nei dibattiti politici ed economici internazionali, ma per lo più sembra che i loro problemi si pongano come un’appendice, come una questione che si aggiunga quasi per obbligo o in maniera periferica, se non li si considera un mero danno collaterale. Di fatto, al momento dell’attuazione concreta, rimangono frequentemente all’ultimo posto” (Laudato Si’, 49). Non dimentichiamo: i poveri, quasi sempre, sono vittime, non colpevoli».

Una questione di amore

«Per conoscere veramente i poveri, per parlarne con competenza, bisognerebbe conoscere il mistero di Dio, che li ha chiamati «beati» riservando loro il suo regno.

Chi ha poca carità vede pochi poveri: chi ha molta carità vede molti poveri.
Ci sorto troppi avvocati dei poveri, che non conoscono “il povero”.
La conoscenza faziosa del povero è preparata
da una conoscenza astratta.
Chi conosce il povero?
Chi ne ha sentito il cuore?
Chi lo segue nella sua quotidiana “via crucis”?
Senza una conoscenza umana del povero, non si arriva alla conoscenza fraterna.
(Primo Mazzolari, La parola ai poveri, La locusta, Vicenza 1959, 22-23; 45; 47)

“Conversione della fede alla speranza”

È stato questo il filo conduttore che ha guidato la Giornata giubilare dedicata a tutte le forme di povertà, che è stata promossa il 9 marzo scorso dall’Ufficio della Pastorale sociale, lavoro, giustizia, pace e custodia del creato e dalla Caritas Diocesana di Ferrara-Comacchio. Un’iniziativa rivolta alle comunità cristiane e parrocchie cittadine, finalizzata alla rilettura degli stili di vita personali e delle strutture di peccato che influenzano le scelte personali e comunitarie.

In quella occasione in S. Maria in Vado a me era stato chiesto di offrire una traccia per una verifica di coscienza circa i nostri atteggiamenti e pensieri che ripropongo qui.

Omissioni

Partiamo dalle “omissioni” circa il nostro rapporto con la povertà e con le situazioni di povertà e ci domandiamo: “Conosciamo i poveri? Francesco d’Assisi aveva fatto della sua vita una conversatio cum pauperibus. Un andare incontro, un convenire dialogante e operante, un’opzione preferenziale del cuore la sua perché, se non si conosce con il cuore, non si ama e senza amore si resta indifferenti, lontani.

Ha scritto il vescovo Gian Carlo Perego: “Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Dio concede loro ‘la sua prima misericordia’. Questa preferenza divina ha delle conseguenze nella vita di fede di tutti i cristiani, chiamati ad avere “gli stessi sentimenti di Gesù” (Fil 2,5). Ispirata da essa, la Chiesa ha fatto una opzione per i poveri intesa come una “forma speciale di primazia nell’esercizio della carità cristiana, della quale dà testimonianza tutta la tradizione della Chiesa”.

Da dove parte l’alleanza con i poveri?

 Conosciamo la realtà che ci circonda? la realtà di povertà e di emarginazione che vive nelle nostre parrocchie, nelle nostre comunità, nella città? Domandiamoci poi come viviamo l’alleanza con la parola di Dio, con Vangelo.

Come ci lasciamo evangelizzare dai poveri? Riceviamo il vangelo dai poveri?

Non dimentichiamo che per le loro sofferenze essi conoscono il Cristo paziente e sofferente al vivo. Egli sta sconosciuto in mezzo a loro, intimo ad essi. Pertanto abbiamo coscienza che incontrare i poveri ci fa camminare verso la Sorgente stessa del Vangelo, ci fa pellegrini di speranza?

«Il Convegno della CEI Evangelizzazione e promozione umana (1976), preparato anche da una meticolosa inchiesta nelle Chiese locali, ha coniugato l’evangelizzazione con l’attenzione ai poveri, ai mali delle nostre città, che dipendono dal peccato dell’uomo: egoismo, potere più che servizio, sfruttamento» (G. C. Perego).

Alleanze solidali

Per fare fronte alla povertà servono alleanze solidali, credere nella ricchezza e nei valori presenti nelle diversità di persone, culture, popoli e nazioni. “Chi non è contro di voi è per voi” si legge nel Vangelo.

Collaboriamo non solo tra parrocchie, tra unità pastorali, ma pure tra istituzioni pubbliche con le realtà presenti nel territorio e nella città? Senza queste alleanze restiamo soli, isolati, ciechi, impotenti di fronte alle fragilità e inconsapevoli delle possibilità e risorse presenti negli altri e tra noi. Come affrontiamo e vinciamo la paura dello straniero? Da soli o in un confronto dialogico con gli altri per fare argine alle derive ideologiche?

Forte poi è la tentazione di delegare la povertà agli addetti ai lavori a coloro che si interessano dei poveri, alla Caritas.

Ci chiediamo allora che conoscenza e che legami abbiamo con la Caritas diocesana, e con le istituzioni sociali e con i servizi del terzo settore che si prendono cura delle persone della nostra città? «La Carta pastorale della Caritas, sottolinea che i poveri sono ‘luogo teologico’ per scoprire il volto di Dio e che partire dai poveri non è una scelta escludente perché di parte, né impegno di pochi, ma fedeltà al progetto di Dio. Il n. 3 è dedicato alla ‘scelta preferenziale dei poveri» (G. C. Perego).

Pietre d’inciampo

«Il povero — ogni povero — si presenta al cristiano con un diritto di precedenza: col volto e il diritto di Cristo: «Avevo fame, avevo sete, ero senza casa… ».

Chi non capisce il povero non capisce Cristo: chi lascia fuori il povero lascia fuori Cristo, che ancora una volta va a morire fuori delle mura. Noi abbiamo cattedrali magnifiche, insegne cristiane ad ogni passo, ma se Cristo è in agonia fuori delle mura, coloro che costruiranno la nuova città sono fuori delle mura dove Cristo è in agonia» (Mazzolari, La parola ai poveri, 55).

I poveri sono pietre d’inciampo per ricondurre il nostro cuore al cuore del Vangelo. I poveri sono una “memoria sovversiva”, ci ricordano la Pietra scartata dai costruttori divenuta Pietra angolare: «Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un ministero ospitale (1Pt 2, 4-5) e chiediamoci su quale fondamento noi edifichiamo la nostra fede, la speranza e la nostra carità, il senso dell’umano e il riconoscere la sua dignità negli altri per non trovarci a costruire invano?

Rilanciare un tavolo delle povertà per la città

Non solo per una maggiore collaborazione tra volontariato e istituzioni ed approfondire la conoscenza delle povertà sul territorio: le sue risorse e le fragilità, ma per andare alle radici etiche alle cause dei mali che affliggono le nostre relazioni interpersonali, di cittadinanza e il nostro vivere civile, sociale ed ecclesiale.

C’è al fondo un male di carattere globale che è la mancanza del senso della dignità umana e dei diritti fondamentali, del senso della legalità, del senso della cura e dello sviluppo del bene comune o del disprezzo della dignità umana a favore dell’acquisizione fraudolenta di potere e di risorse da parte di singoli o comunità, gruppi multinazionali e stati nazionali verso popolazioni sempre più impoverite e gente spinta ai margini e rinchiusa in confini reticolati.

«Dove passa la pietà passa la Pasqua»

«La vita è sopra l’uomo: egli l’ha ricevuta e non può garantirla, anche se giura per essa.

L’uomo è in grado di assicurare soltanto la morte perché la morte è cosa sua, lo stipendio del suo peccato. Può quindi custodire, sigillare un sepolcro fin quando è sepolcro di morte.

Quando albeggia la pasqua, l’uomo ridiventa la creatura che adora il mistero di quella Bontà, che costruisce sulle rovine del nostro egoismo.

Un sepolcro che si spalanca per lasciar passare la vita ci dà la certezza che l’ultima parola anche quaggiù è detta da Cristo.»

(Mazzolari, Via crucis del povero, Dehoniane, Bologna 1983, 125).

 

La Pasqua del Cristo è la garanzia della Pasqua del povero perché l’una e l’altra sono la Pasqua del povero.

Egli è venuto per insegnarcene la strada e anticipare i nostri destini.

Chi l’avrebbe potuto seguire nell’esempio (“vi ho dato un esempio affinché voi facciate come ho fatto io”), se non ci fosse anche la promessa “che dove è il Maestro ci sarà anche il discepolo?”.

La sua pasqua è la primizia della pasqua di tutti! La pasqua di tutti!

Perché nessuno è fuori del dolore.

Perché nessuno è fuori della povertà.

Tutti poveri, gli uomini, irrimediabilmente poveri! Perciò la rivolta dell’uomo contro l’uomo non ha senso»
(ivi, 133; 128-129).

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“Felci in rivolta”. In memoria di Francesco Benozzo

«Felci in rivolta». In memoria di Francesco Benozzo

Proprio in questi giorni sono avvenute due cose completamente slegate l’una all’altra ma significativamente connesse da una parola: “rivolta”.

La candidatura di Fossili di rivolta al Premio Strega del giovane poeta Giorgio Maria Cornelio e la scomparsa improvvisa di un “antico bardo contemporaneo”, Franceso Benozzo, autore di un poema dal titolo Felci in rivolta.

Le parole del saggio-poetico di Cornelio mi sembrano davvero appropriate per accompagnare il presente ricordo del poeta doctus, arpista e filologo in quanto, “…rompere con l’arida purezza delle cose, riattivare sentieri che deviano dalla regola del già deciso,…del presunto naturale…”, sono state le caratteristiche di Benozzo quasi anche lui fosse parte delle figure descritte nel libro di Cornelio.

Benozzo è stato (e sarà) un autentico fossile di rivolta (e in rivolta)  “…abbandonato da un patto d’incuria, sorpreso da un’archeologia del possibile, cantore contrario a ogni fine prestabilita, profeta di una rinascita immaginativa…”.  Un fossile che, per sua propria natura, “…alimenterà fioriture percettive, mobiliterà stupori…” e s’aprirà a metamorfosi e rinascite future.

Si deve a Chiara De Luca e alla sua piccola e preziosa casa editrice ferrarese la scoperta e la custodia di questa “felce fossile”,  che oggi abbiamo modo di poter rigirare tra le mani; è alla De Luca che dobbiamo dire grazie se oggi possiamo leggere e ascoltare la intera opera vocale di Benozzo.

Francesco Benozzo (22 febbraio 1969 – 22 marzo 2025) è stato un bardo, musicista e antropologo. Ha lavorato come professore di filologia presso l’Università di Bologna ed è stato Visiting Professor presso la Bath Spa University, nel Regno Unito. Ha fondato L’Osservatorio contro la sorveglianza statale, sponsorizzato dal Centro europeo per la scienza, l’etica e il diritto.

Nella concezione di Benozzo, la poesia è stata essenzialmente considerata uno strumento di dissidenza capace di scardinare le percezioni abituali del mondo e di restituire la libertà individuale a ogni essere vivente. È stato autore di lunghi poemi epici sui paesaggi naturali e l’origine dell’universo, tutti pubblicati per la Edizioni Kolibris e recentemente raccolti in un’edizione bilingue dal titolo Sciamanica. Poesie dai confini dei mondi (Forum  Edizioni, 2023).

Dal 2015 in poi è stato presente nella Lista dei candidati al Premio Nobel per la Letteratura, con nomination rese pubbliche dal PEN International per la sua poesia in difesa dei luoghi naturali e dei popoli indigeni, e per il suo peculiare uso di tecniche poetiche appartenenti all’antica tradizione della poesia orale e dello sciamanesimo.

Nel 2016, sulla pagina ufficiale dell’Accademia di Svezia, è stato consacrato dalla Giuria Internazionale dei Lettori come l’autore più meritevole del premio stesso.

Nel 2022 gli è stato conferito il Premio Internazionale “Poeti dalle frontiere”. La commissione del premio ha così descritto la poesia di Benozzo:

Visionario, inquietante, epico, ventoso, Benozzo ha l’inimitabile capacità di riprendere la parola originale quando ha dato il nome al mondo. […]. Poesia dopo poesia, immancabilmente e sorprendentemente questo poeta mette in atto una rivoluzione dell’idea stessa di poesia: con la sua dimensione atemporale e universale, è l’Omero della post-modernità”.

Documentare l’intera vita di un poeta scomparso è come studiare una stella perché , vuol dire provare a tenere conto di tutta una evoluzione, per così dire, cosmologica. Come si sa il nostro stesso Sole è una stella di seconda generazione!

E niente altro, come la morte di un poeta, ci riporta, davvero, alla vita e all’evoluzione di una stella. Le stelle vivono anche quando sembrano finire come nane bianche o, addirittura, scomparire come buchi neri. Riflettendo si intuisce che le stelle, in realtà, non muoiono mai perché, anche in queste loro forme estreme di massa fortemente compatta da non lasciar scappare neppure la luce, continuano ad emettere calore e a lasciare un segno, per così dire, una firma di ferro, di silicio oppure di ossigeno, carbonio ed elio.

Prima di arrivare alla loro interminabile fine la stella deflagra come supernova e appare nel cielo notturno (se non diurno) come un avvento. Un’annunciazione. Così sono state viste e ancora oggi vengono viste le stelle che iniziando a morire spuntano improvvisamente nel cielo come novae o supernovae.

Eppure sono state sempre là, presenti nella vita di ognuno di noi contemporanei a loro, a illuminare debolmente le nostre vite, ad emettere luce in modo discreto e, il più delle volte, impercettibile. Alla fine, BOOM, esplodono e lasciano un… residuo. Nessun oroscopo può tenerne conto e, anzi, questo dimostra l’incongruità di qualunque oroscopo perché, nei cieli natali, queste stelle dovrebbero “pesare”, sul destino di ciascuno, più di quanto potrebbero fare dei semplici e piccoli pianeti.

Così succede che qualcuno, invisibile ai più – come lo sono normalmente i poeti – muoia; ecco che anche questa sua “morte” ci racconta, come accade per la stella, la sua vita passata e quella futura e cioè se, la sua, sia stata una esistenza da “stella” di ferro e di silicio o semplicemente da “stella” di carbonio e di ossigeno e se il suo residuo – la sua cenere – sarà un buco nero o una nana bianca.

Ma soprattutto, questa sua “scomparsa”, illumina qualcosa di noi, del nostro oroscopo : non immaginavamo quanto fosse stata importante nel nostro cielo natale la presenza di Francesco Benozzo e quanto il nostro destino potrebbe venire condizionato dalla sua morte e quindi dalla conoscenza della sua vita.

Così al pari di una stella che inizia a morire, apparentemente, quando smette di emettere luce, un poeta inizia -anche lui apparentemente – a farlo quando si finisce di citarlo e per questo, oggi, noi… iniziamo a non finire…

Il poeta ama i versi che lo uccidono
il marinaio annegato ama quel mare
da sempre esiste un cuore tormentato
disposto a tutto per la fiamma che lo annienta

non lascia tracce l’isola del mio corpo
i miei poemi non viaggiano su rotte vaste
e il mio sangue è soltanto una scusa.

Ma in fondo, usciti da Firenze e Smirne
raggiunte le ottantuno lingue del mondo
e i milioni di case e di scaffali

Omero e Dante hanno lasciato tracce?
debellato i latrati dell’inferno?
o le combriccole, ad Itaca, di proci?

Ho perso fede in barche controvento
nella parola che rifonda il mondo

un solo ramo che si allunga nell’aria
risuona e plasma più di cento canti.

Ma un poeta ama i versi che lo uccidono
e il marinaio annegato ama quel mare

non vivo in quanto uovo fecondato
non mi muovo o sto in piedi in quanto scheletro
non amo ho o nostalgia per via di un cuore
e il mio sangue è soltanto una scusa.

Io sono ancora un poeta in carne ed ossa
che sopravvive a stento tra i suoi simili,
bipedi che leccano vetri sbriciolati
ciclicamente amandosi tra loro
condividendo fatue migrazioni.

Da due milioni di anni – uomini-gregge –
si muove in branco homo tra gli ominidi
da due milioni di anni – scheletri e voci –
sopravvive lontano dalle stelle.

L’unica cosa che so è la poesia:
grandinata inattesa che devasta
mattanza di balene – mare rosso –
sillabe-fiocine per spiaggiare l’abitudine
felci in rivolta alle frontiere dei villaggi.

Dopo ogni mia parola
vorrei soltanto pioggia
e furie di boscaglie
dopo ogni fuoco di grotta

dopo ogni sogno cattivo
vorrei storie di alche
e decine di inverni
nel vento dei versanti.
[da Felci in rivolta, Parte terza L’invettiva perenne del corallo]

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Le voci da dentro /
Lettera aperta dei giornali delle carceri italiane

Un nutrito gruppo di direttori, caporedattori, giornalisti e volontari che si occupano di informazione dal carcere ha inviato una lettera al Ministero della Giustizia e al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per chiedere che il diritto ad una libera informazione da parte delle persone detenute possa essere davvero reso tale. Nonostante la legislazione nazionale sia unica, l’applicazione di tale norme varia molto da Istituto ad Istituto. Ci sarebbe bisogno di uniformità e di coerenza affinché le persone ristrette possano esprimere le proprie opinioni e diffondere i propri pensieri e gli operatori o i volontari messi in nelle condizioni migliori per rendere concreto questo diritto.
(Mauro Presini)

Lettera aperta del Coordinamento dei giornali e delle altre realtà dell’informazione e della comunicazione sulle pene e sul carcere

Al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Lina Di Domenico

Al Direttore della Direzione Generale Detenuti e Trattamento, Ernesto Napolillo

Al Direttore Generale del personale, Massimo Parisi

All’amministrazione penitenziaria chiediamo rispetto della libertà di espressione, autorizzazione all’uso di tecnologie, tempi rapidi nelle risposte, adeguata considerazione dell’attività svolta dai volontari operatori della comunicazione

L’articolo 18 dell’Ordinamento penitenziario, dando concreta applicazione all’art. 21 della Costituzione, così recita al comma 8: “Ogni detenuto ha diritto a una libera informazione e di esprimere le proprie opinioni, anche usando gli strumenti di comunicazione disponibili e previsti dal regolamento”.  Ma le cose non sono così semplici, e questo diritto delle persone detenute a esprimere le proprie opinioni è tutt’altro che rispettato.

In questi anni di vita dei giornali e delle altre realtà dell’informazione e della comunicazione dalle carceri, noi che in numerose realtà lavoriamo da tempo, ci siamo presi l’impegno di raccontarle con onestà, e non abbiamo mai taciuto le difficoltà, le criticità, i percorsi finiti male, le ricadute, le sconfitte. Abbiamo cercato con senso di responsabilità e professionalità di fornire una informazione attenta, precisa, documentata sulla realtà carceraria, proprio perché la sfida è rispondere con precisione e sincerità a una informazione spesso imprecisa e menzognera che arriva dal mondo “libero”. Ma ci scontriamo ogni giorno con ostacoli e barriere che in vario modo condizionano pesantemente il nostro lavoro.

Chiediamo al DAP e al Ministero della Giustizia chiarimenti sui seguenti punti:

  • Se l’Ordinamento penitenziario riconosce alla persona detenuta il diritto a esprimere le proprie opinioni, è ammissibile che sulle pagine dei giornali di alcune carceri quella persona non possa firmare, se lo desidera, i suoi articoli con nome e cognome visto che il suo diritto alla privacy è già assicurato dalla direzione del giornale?
  • Se la persona detenuta ha diritto a esprimere le proprie opinioni, e i giornali realizzati in carcere hanno un direttore responsabile che ne risponde anche penalmente, come si spiega che in alcuni istituti sia d’obbligo una “pre-lettura” degli articoli da parte delle direzioni dell’istituto e delle eventuali “Istanze superiori”?
  • Se i volontari e gli operatori che, insieme a tanti redattori detenuti, si occupano di informazione e comunicazione dal carcere sono persone autorizzate in base all’art. 17 O.P. che consente l’ingresso in carcere a tutti coloro che “avendo concreto interesse per l’opera di risocializzazione dei detenuti dimostrino di poter utilmente promuovere lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera”, è possibile che queste stesse persone non siano considerate affidabili e responsabili di tutto il materiale informativo che i giornali e le altre realtà dell’informazione producono nelle carceri?
  • Com’è possibile effettuare il lavoro redazionale senza poter usare, almeno in presenza e sotto la responsabilità di operatori volontari, elementari strumenti tecnologici come registratore, macchina fotografica, connessione Internet?  Si ricorda che la circolare del DAP del 2 novembre 2015 prevede espressamente la “possibilità di accesso ad Internet da parte dei detenuti”, e riconosce che “l’utilizzo degli strumenti informatici da parte dei detenuti ristretti negli Istituti penitenziari, appare oggi un indispensabile elemento di crescita personale ed un efficace strumento di sviluppo di percorsi trattamentali complessi. (…) L’esclusione dalla conoscenza e dall’utilizzo delle tecnologie informatiche potrebbe costituire un ulteriore elemento di marginalizzazione per i ristretti”. Queste parole così chiare e inequivocabili possono finalmente tradursi in concrete autorizzazioni ai nostri giornali e gruppi di lavoro a usare questi indispensabili strumenti tecnologici per dare valore e qualità alle nostre attività?
  • L’attività di redazione ha comunque necessità di tempi di risposta adeguati da parte dell’amministrazione penitenziaria.  Articoli che parlano del caldo asfissiante nelle celle e vengono autorizzati alla pubblicazione a Natale, richieste di permessi di ingresso di ospiti significativi che arrivano a volte con lentezza esasperante, attese snervanti per introdurre materiali indispensabili per il nostro lavoro, sono tutte situazioni che oggettivamente finiscono per vanificare il lavoro delle nostre redazioni. Se l’attività giornalistica nei penitenziari è ritenuta una risorsa importante per il dialogo tra realtà detentiva e società esterna, perché le Istituzioni non semplificano le procedure e accorciano i tempi di tante estenuanti attese?

Giornali, podcast, trasmissioni radio-TV, laboratori di scrittura sono una ricchezza culturale che va salvaguardata e facilitata: per questo chiediamo che il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ci riceva e affronti con noi i temi che abbiamo sottoposto alla sua attenzione.

  • Ristretti Orizzonti, periodico dalla Casa di reclusione di Padova, direttrice Ornella Favero, giornalista
  • Ristretti Parma, periodico dalla Casa di reclusione di Parma, responsabile Carla Chappini, giornalista
  • Cronisti in Opera, periodico della Casa di Reclusione di Milano-Opera, direttore Stefano Natoli, giornalista professionista
  • Voci di dentro, direttore Francesco Lo Piccolo, giornalista professionista
  • Non tutti sanno, periodico della Casa circondariale di Roma Rebibbia, responsabile Roberto Monteforte, giornalista professionista
  • Carte Bollate, periodico dalla Casa di reclusione di Milano Bollate, direttrice Susanna Ripamonti, giornalista professionista
  • Web radio http://www.caffeitaliaradio.com, responsabili Davide Pelanda e Dario Albertini,
  • Liberi dentro Eduradio&TV, responsabile Antonella Cortese, giornalista
  • Salute inGrata 2 CR Milano Bollate, responsabile Nicola Garofalo
  • Sito laltrariva.net, responsabile Francesca de Carolis, giornalista
  • Non solo Dentro, inserto di Vita Trentina dal carcere di Trento, direttore Diego Andreatta, giornalista
  • Mondo a quadretti, periodico dalla Casa di reclusione di Fossombrone (PU), responsabile Giorgio Magnanelli,
  • Ristretti Marassi, responsabile Grazia Paletta coordinatrice con Arci Genova
  • “Altre Storie”, Inserto dalla Casa circondariale Lodi, pubblicato all’interno del giornale Il Cittadino di Lodi.
  • Astrolabio, giornale della Casa Circondariale di Ferrara, curatore Mauro Presini
  • Patrizia Ferragina, volontaria Gruppo Carcere Mario Cuminetti Milano Opera

Anche noi sottoscriviamo la lettera:

1) Annalisa Grillo, volontaria della redazione “Ne Vale La Pena” – associazione “Il Poggeschi per il carcere”, presso la Casa Circondariale di Bologna “Rocco d’Amato

2) Asia Mariani, volontaria della redazione “Ne Vale La Pena” – associazione “Il Poggeschi per il carcere”, C.C. di BO “Rocco d’Amato

3) Bianca Chierici, volontaria della redazione “Ne Vale La Pena” – associazione “Il Poggeschi per il carcere”,   C.C. di BO “Rocco d’Amato

4) Carla Ianniello, volontaria della redazione “Ne Vale La Pena” – associazione “Il Poggeschi per il carcere”,  C.C. di BO “Rocco d’Amato”

5) Carlotta Carollo, volontaria della redazione “Ne Vale La Pena” – associazione “Il Poggeschi per il carcere”, C.C. di BO “Rocco d’Amato”

6) Chiara Giannelli, volontaria della redazione “Ne Vale La Pena” – associazione “Il Poggeschi per il carcere”, C.C. di BO “Rocco d’Amato”

7) Federica Lombardi, volontaria della redazione “Ne Vale La Pena” – associazione “Il Poggeschi per il carcere”, C.C. di BO “Rocco d’Amato

8) Padre Marcello Matté, giornalista pubblicista e volontario della redazione “Ne Vale La Pena”, C.C. di BO “Rocco d’Amato”

Andrea Ferrari, volontario CC Lodi

Grazia Grena

Anna Lisa Sordi, volontaria

Angela Bianco, volontaria

Maria Grazia de Carolis, volontaria

Luciana Tonarelli, volontaria

Luigi Rocca, volontario

Angelo Ferrarini – volontario presso il Laboratorio lettura scrittura ascolto di Ristretti Orizzonti, Casa di reclusione, Padova

Anna Corsini, Casa circondariale di Verona Montorio

Maria Voltolina Presidente di Il Granello di Senape OdV Venezia, editrice di Ponti, Periodico dalla Casa circondariale di Venezia

In copertina: immagine da www.pequodrivista.com

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Contro la banalità del Male

Contro la banalità del Male

“Quel che ora penso veramente è che il male non è mai radicale, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso sfida, come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua banalità. Solo il bene è profondo e può essere radicale.”
Hannah Arendt, La banalità del male

Nel 1961, tra aprile ed ottobre, una non più giovane Hannah Arendt assistette al processo, tenuto in Israele, ad Adolf Eichmann, l’uomo che aveva realizzato la logistica dello sterminio di massa, del genocidio pianificato e sistematico, di cui il popolo ebraico fu vittima durante tutta la seconda guerra mondiale. Non ho usato, e non userò, la parola Olocausto, in quanto – come ha suggerito Natalia Ginzburg – essa significa: sacrificio in nome di una divinità, e in nome di quale divinità, sarebbero stati sacrificati gli ebrei?

Durante il processo Eichmann si rivelò, agli occhi della Arendt, un banale contabile, in quanto capace di calcolare, senza alcuna emozione apparente, il numero dei litri di gas Zyklon B necessari per uccidere un determinato quantitativo di individui; quanti vagoni sarebbero serviti per trasportarli nei campi, e così via. La giornalista ebbe allora un’intuizione: costui pratica il male senza rendersene conto, senza dargli nessuna connotazione, positiva che, forse, da un convinto nazista, ci si poteva aspettare, ma nemmeno, rievocando quei terribili avvenimenti, mostra apparenti segni di colpa o pentimento. Egli, interrogato in proposito, ribadisce più volte che, essendo un soldato, doveva semplicemente obbedire agli ordini. Quindi, il Male, e la relativa consapevolezza di averlo perseguito, in lui, sembra non essere nemmeno penetrata. Sarebbe dunque rimasto in superficie, come il fungo che serve da esempio nella frase qui citata come incipit, dove la Arendt riassume il concetto di banalità del male

Il Male dunque non avrebbe alcun spessore, e quando il pensiero cerca di andare nel profondo, nello speculativo, troverebbe una sorta di “nulla”, tanto da restarne frustrato ed aderire, per reazione, al banale.

Non sono affatto d’accordo. Persino l’esempio adottato dalla scrittrice americana, il paragone tra il Male ed un fungo, sembra contraddire, più che confermare, la tesi della Arendt. 

Oggi sappiamo infatti che il fungo non è soltanto ciò che si vede in superficie, quanto piuttosto la vasta rete del micelio, che può estendersi anche per decine di metri sottoterra, mettendo in collegamento altri funghi con gli alberi nelle vicinanze. Il paragone dunque, finisce per essere, suo malgrado, corretto, poiché dimostra sì una tesi, ma quella opposta, ovvero come il Male sia capace di estendersi, in modo poco evidente dall’esterno, restando sotto traccia, tra le anime che lo perseguono.

L’atteggiamento di Eichmann è spiegabile con la pratica costante ed assidua del male. In questi casi, l’Anima si atrofizza, le emozioni si appiattiscono fino a scomparire, come in alcuni disturbi della personalità, di cui forse il gerarca nazista soffriva.

Banalizzare o, peggio ancora, negare l’esistenza del male, è un errore grave, non soltanto dal punto di vista teologico. Anche senza volerlo personificare, al fine di poterlo rendere più tangibile, come è stato fatto sin dall’antichità, il demonio, Satana, o come lo si voglia chiamare, esiste purtroppo, ed è una delle forze che compongono l’Universo.
Poco importa la correttezza della metafora simbolica scelta: se sia stato precipitato sulla Terra, angelo caduto, come vuole la tradizione giudaico-cristiana, o che esso esista dall’alba dei tempi sotto forma di 
Caos primigenio, contrapposto ad Eros, la forza vitale generatrice (Esiodo, Teogonia). Esiste eccome, ed è ben presente attorno a noi, pronto ad entrare nella nostra anima, qualora se ne presenti l’occasione, come recita benissimo il Vangelo di Giovanni: “allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui” (Gv 13,27), un passo che è stato spesso usato per sostenere come Giuda Iscariota fosse semplice strumento nelle mani di Dio, ma che qui, ci interessa soltanto poiché rivelatore di come il male possa effettivamente entrare dentro di noi. Forse Giuda, sino a quel momento, non aveva effettivamente maturato la convinzione di tradire Gesù, ma da quando il demonio entra in lui, non può evitarlo. Questo perché, al di là del boccone dato dal Cristo che, in teoria, dovrebbe sortire l’effetto opposto – l’Eucarestia stava infatti per essere istituita, secondo i tre sinottici – Giuda aveva già dentro di sé l’idea di tradire, ed esistono pensieri che avvicinano al male più di altri.   

Tutto questo non toglie affatto la responsabilità individuale, anzi, la amplifica, poiché senza il nostro consenso il Male non può nulla. Il consenso non è mai esplicito, completamente consapevole, almeno agli inizi, assomiglia piuttosto ad una adesione graduale, uno scivolamento progressivo dell’Anima verso l’oscurità, che lentamente si spegne, perde la capacità di provare emozioni, rendendo così possibili le azioni più efferate ed inumane. Ecco allora spiegato il caso di Eichmann: la sua anima era completamente annichilita dal male, che non è affatto “banale”, se non nel suo nucleo essenziale di assenza d’Amore, ma capace di agire in grande profondità, di compiere il delitto peggiore: spegnere la luce dell’Anima. Si potrà obiettare che il male è banale, in quanto semplice. Non lo è affatto. Esistono infinite sfumature e gradazioni del male: dall’istintiva antipatia verso il prossimo, che ci allontana dalla fratellanza universale e fa da anticamera all’odio, fino all’omicidio di massa, al genocidio. Il Male sa dunque radicarsi sin nel profondo, creando reti molto estese, specie in determinati periodi storici, proprio come fa il micelio del fungo, lavorando in modo sotterraneo.

A dimostrazione della forza e della profondità che riesce a raggiungere il Male, occorre poi notare come, nonostante le persone votate completamente al Male siano davvero poche al mondo, queste possiedono grande capacità di attrazione sull’Umanità. La frase: “non abbandonarci alla tentazione”, contenuta nel nuovo Padre Nostro, ha si corretto un’evidente stortura – il Male non viene da Dio – ma ha anche introdotto l’idea che la tentazione di praticarlo, sia ben presente nella nostra quotidianità. Oggi più che mai.

In copertina: Nannah Arendt, immagine da Testimonianze, rivista fontata da Ernesto Balducci

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Caos dazi e guerra commerciale? Un'occasione storica per l'Europa

Caos dazi e guerra commerciale? Un’occasione storica per l’Europa

Caos dazi e guerra commerciale? Un’occasione storica per l’Europa

Gran parte degli analisti, le banche d’affari e gli oppositori considerano i dazi di Trump una follia che porterà solo danni a tutto il mondo. Ma prima di tutto agli Stati Uniti. Se così fosse alle elezioni di mid term (novembre 2026), Trump subirebbe una sconfitta e farebbe la fine dell’ex prima ministra inglese Liz Truss che dopo aver tagliato le tasse ai ricchi ha prodotto un danno economico senza pari al suo paese per cui è stata defenestrata dagli stessi tory dopo 3 mesi.

Tuttavia sono tra chi non crede che il neo protezionismo di Trump (avviato nel 2017 e proseguito da Biden) sia una follia senza metodo. Perché creare un caos con le borse che crollano e una rivolta dell’establishment globalista e del business prima di tutto americano? Negli ultimi anni ci si è divisi tra una maggioranza che pensano che l’America sia sempre il n.1 del mondo e una minoranza (Emmanuel Todd, Massimo Cacciari,…) che pensa che sia un gigante dai piedi di argilla, avamposto di un declino dell’Occidente e dei suoi valori. Credo che Trump la pensi allo stesso modo e che se la globalizzazione ha arricchito una ristretta élite, ha impoverito milioni di americani e indebolito i fondamentali dell’economia americana insieme alla sua manifattura. Cose che ha sempre detto anche Sanders, l’ala sinistra dei Dem.

Un protezionismo sui generis lo ha seguito anche la Cina non rispettando le regole del WTO e piegandole ai suoi interessi strategici, erigendo una grande muraglia cinese agli occidentali che volevano acquistare le loro imprese strategiche.
I consiglieri di Trump pensano che un dollaro sopravalutato abbia favorito tutti i paesi e penalizzato la manifattura made in Usa (imprese e lavoratori). Se i dazi porteranno maggiori entrate fiscali e maggiore competitività delle merci prodotte in Usa, allora faranno tornare “grande” la crescita economica.

Trump punta quindi a svalutare il dollaro e a una politica monetaria espansiva (ha chiesto a Powell –Fed- di abbassare i tassi di interesse).

E l’inflazione? La speranza è che le aspettative positive la facciano tenere bassa, anche se un Iphone Apple coi dazi costerebbe 2.300 dollari e non più 1.600 (fonte: Reuters).
C’è poi un enigma: chi lavorerà nella manifattura americana se si blocca il flusso degli immigrati? Saranno solo legali ben pagati?

Nonostante il crollo delle borse, gli ammonimenti che vengono dalla Federal Reserve Usa e da esperti di tutto il mondo del business, Trump tira diritto, mostrando che ha una strategia di lungo termine per cui è ragionevole pensare che i dazi non verranno ritirati, pur scontando nel breve termine un aumento dell’inflazione e un rallentamento del Pil.

Re-industrializzare l’America

Il principale obiettivo è re-industrializzare l’America per evitare un indebolimento del dollaro come moneta internazionale, la cui percentuale negli scambi continua a essere altissima (88% rispetto al 5% del renmimbi cinese). Per fare ciò bisogna che non ci siano scricchiolii negli acquisti dei Treasuries da parte del Resto del mondo, ma soprattutto di Europa e Cina (la Cina ne possiede 800 miliardi), visto lo stratosferico debito pubblico Usa che comporta un costo di 952 miliardi di interessi all’anno.

Un indizio dell’indebolimento del dollaro è che dal 1989 il debito pubblico USA è cresciuto a un ritmo tre volte superiore a quello del PIL. L’Italia paga interessi annui per il suo debito 100 miliardi, gli Usa 952 (9,5 volte di più, nonostante gli americani siano 5,7 volte gli italiani). Una spesa monstre, maggiore di quella militare (925 miliardi).

Se la re-industrializzazione funzionerà tutto si mette a posto: calano deficit commerciale e debito pubblico. A quel punto il dollaro ritorna ad avere quel ruolo di “privilegio-vantaggio” che consente di disporre di merci ottenute dal lavoro degli altri popoli del mondo in cambio di pezzi di carta verde con scritto “Novo ordo seclorum”, come disse l’ex presidente della Repubblica francese Giscard d’Estaing, europeista convinto, ma critico della strategia di Prodi che considerava l’Europa in costruzione una “tela di Penelope”.

Una questione monetaria

Si parla di dazi ma la questione è “monetaria”: il dollaro è minacciato non solo dalla fragilità dei suoi fondamentali economici, ma dalla disgregazione sociale americana e dalla Cina che punta sullo yuan digitale cinese, quale moneta alternativa, o meglio (via Brics), ad una sorta di new Bancor, progetto che Keynes propose alla fine della 2^ guerra mondiale, cioè di sostituire il dollaro con un paniere di monete forti e di materie prime e che gli americani respinsero. Sono già 10 i paesi asiatici e 6 quelli del Medio Oriente che vi partecipano e che hanno abbandonato il sistema dei pagamenti Swift a regia americana.

Il dollaro rimarrà la moneta internazionale fintantoché il debito Usa sarà sostenibile. Per ora non dovrebbe essere messo in discussione per cui la domanda di dollari (e di titoli in dollari) rimarrà alta per cui è difficile pensare ad una svalutazione del dollaro, che è una via per Stephen Miran per riequilibrare lo squilibrio della bilancia commerciale che oggi è finanziata dagli ingenti flussi di capitali verso gli Usa e che consente agli americani di usare il risparmio mondiale per acquistare merci che determinano il loro attuale forte squilibrio commerciale. Il problema è che un dollaro svalutato mina il suo ruolo come valuta di riserva globale e i picchi raggiunti da oro e bitcoin chiariscono che del dollaro ci si fida meno.

Tutto ciò sarà modificato in profondità dai dazi? Nessuno davvero lo sa. I dazi accrescono le entrate del fisco Usa ma il successo di Trump dipenderà da molte incognite tra cui: a) quanto aumenteranno i prezzi interni (inflazione); b) quanto forte sarà la re-industrializzazione.
Se l’inflazione crescerà molto si deprimerà la domanda interna e le entrate dagli stessi dazi. A quel punto la politica monetaria Usa potrebbe apprezzare il dollaro e quindi sterilizzare l’impatto dei dazi sui prezzi, ma in tal caso l’effetto “barriera” all’import cadrebbe e nessun vantaggio ci sarebbe sulla bilancia commerciale.

Potrebbe poi essere che Trump voglia usare i dazi anche per ottenere “favori”, per esempio chiedere/imporre a europei e cinesi di continuare ad acquistare un debito che si fa sempre meno solvibile (finché non ritorna a calare).

Trump e i suoi consiglieri non sono troppo preoccupati delle perdite a breve di Wall Street, anche perché il 40% degli americani non ha azioni e dei 48mila miliardi di titoli posseduti, il 93% è nelle mani del 10% più ricco. E’ vero che la pensione è tutelata dai fondi azionari, ma gran parte degli operai che ha votato Trump lo abbandonerà se le borse calano nel lungo periodo.
Gli interessi della finanza e di Wall Street non coincidono con quelli dell’industria e degli operai e lo si può ben dire oggi dopo 30 anni di finanziarizzazione e globalizzazione. Una storia simile gli Stati Uniti l’avevano conosciuta negli anni ’80 col Giappone (dollaro forte, alti profitti finanziari, crisi della manifattura, segretario Fed Volcker).

Trump ha scelto di privilegiare le fabbriche perché da lì vengono i voti e buona parte della forza dell’economia americana (soprattutto nel caso di un conflitto militare convenzionale…do you remember il Pentagono ad agosto 2023…non ci sono più munizioni per l’Ucraina). Poiché però dollaro moneta di riserva mondiale non va d’accordo con dollaro svalutato si potrebbe dar vita ad un dollaro digitale che coesiste con un dollaro tradizionale svalutato (un’idea che circola anche nella BCE con l’euro digitale).

Il terzo obiettivo dei dazi è continuare ad attrarre, negli Stati Uniti, risparmi e investimenti (specie europei). Ogni anno, infatti, finiscono all’estero, soprattutto in America, 300 miliardi di investimenti finanziari europei. Gros-Pietro (Intesa Sanpaolo), rammenta che l’Europa è l’area che risparmia di più: 30mila miliardi di euro di risparmi. Non è un caso che l’obiettivo indicato dal Libro Bianco sul ReArm sia la mobilitazione di 10mila miliardi di risparmi, né che i fondi finanziari Usa (BlackRock,…) puntino sull’Europa e il suo enorme risparmio. Prima di dire, come scrive Federico Fubini sul Corriere della Sera, che Trump è “un morto che cammina” vedrei cosa succede tra un anno. Non è la prima volta che la nostra élite prende cantonate.

Come può reagire l’Europa

Fin qui sono i problemi degli americani. E l’Europa come deve reagire?

L’Europa ha un’occasione storica: fare di necessità virtù, recuperare gli enormi ritardi, cambiare a partire dall’abolizione del Patto di stabilità che impone una austerità della domanda interna, avviando la costruzione di un 3° polo nel mondo tra Usa e Cina, che è la sua missione spirituale e diventare punto di riferimento per il Resto del mondo di un nuovo modello di sviluppo.

La Cina ha scelto di rispondere “occhio per occhio” cioè dazi contro dazi. Ma se i dazi Usa danneggiano gli Usa, non si vede perché i dazi della Cina non danneggino anche la Cina. Idem dicasi per l’Europa: coi dazi gli europei pagheranno le merci estere a più caro prezzo (crescita dell’inflazione), ci sarà meno export e meno occupati, in cambio di maggiori entrate fiscali. Se poi l’Euro si rivaluta sul dollaro (come sta avvenendo) allora l’effetto caro prezzi (inflazione) si attenua, ma si indebolisce anche l’export.

In ogni caso avremmo due effetti negativi:
1. Dazi USA che danneggiano il nostro export,
2. Dazi Europa che danneggiano i nostri consumatori, importando inflazione da tutto il mondo, che sono poi gli effetti delle svalutazioni competitive. Della serie “perdenti+perdenti” anziché “win+win”, cioè danneggiare l’Europa per danneggiare gli Usa. La risposta “muscolare” assomiglia a quella dell’invio di armi all’Ucraina, serve per motivi politici (avere consensi), più che per vincere la guerra.

Un’altra via sarebbe svalutare l’euro sul dollaro per attenuare l’impatto dei dazi Usa sui consumatori e le imprese americane, ma pagheremmo di più tutto l’import e le materie prime energetiche di cui siamo debitori.

Che fare?

Nel caos è assennato mantenere una politica monetaria prudente e non giocare al gioco protezionistico di Trump. Semmai togliere i nostri “dazi” interni alla UE e mantenere buone relazioni commerciali col Resto del mondo. La cautela è d’obbligo perché, essendo il dollaro la moneta di riserva mondiale (ancora), una caduta di fiducia dei mercati finanziari sul dollaro nel breve periodo innesca una recessione mondiale.

La seconda via l’ha indicata Mario Draghi nel suo intervento al Senato il 18 marzo 2025. Riporto il passaggio chiave: “l’Europa trae il proprio prodotto dal 50% dell’export rispetto al 26% degli USA e 32% della Cina. Pertanto una guerra commerciale con dazi e contro dazi rende l’Europa più vulnerabile degli altri paesi. Gli USA sono il principale partner commerciale dell’Europa (oltre il 20% dell’export). In presenza di dazi la prima via è quella di sviluppare il commercio con altri paesi, la seconda è quella di interrogarsi se sia opportuno mantenere questo gigantesco surplus commerciale col resto del mondo oppure concentrarsi maggiormente nello sviluppare la domanda interna, spendere per l’innovazione, il clima,…. Non è stato sempre così lo squilibrio commerciale (in Europa) si accentua dopo la crisi del 2008. Noi abbiamo contratto il credito bancario più degli Stati Uniti, compresso la spesa pubblica e i nostri salari anche perchè noi eravamo in quegli anni in competizione con gli altri paesi europei. Austerità e salari bassi hanno compresso la domanda interna e non abbiamo fatto nulla per aprire il mercato interno e consentire alle nostre imprese di vendere in particolare i servizi (che sono il 70% del PIL). Il FMI stima le barriere interne all’Unione del 40-45% ma per i servizi del 110%. Ciò impedisce, specie alle piccole imprese più innovative a causa della eterogeneità di normative, di crescere e solo i Big Tech come Google, Amazon e così via lo possono fare. Nonostante questo gigantesco surplus siamo diventati sempre più poveri mentre gli Stati Uniti hanno seguito una via di sviluppo puntando sul loro mercato interno. Allora forse l’export non era la strada più giusta per noi. Oggi è venuto il momento di pensare alla crescita interna. Questa è la storia e la narrativa macroeconomica del mio Rapporto”.

Per completare questo quadro rammento che nel 2023 l’export della Germania è stato pari al 43% del suo PIL (Francia 33,7%, Italia 34,2%), negli Stati Uniti è 11%, in Cina 19%, in calo da 20 anni, mentre in Europa cresce costantemente, come fossimo in un paese in via di sviluppo che punta la sua crescita non sulla domanda interna e i suoi salari ma sull’export. La Germania ha contribuito con la sua ansia del pareggio di bilancio, ma le politiche di austerità sono una scelta della UE (BCE inclusa).

Ora l’Europa dovrebbe avere il coraggio di fare un “passo indietro per farne due avanti”: ammettere i propri errori, rivedere i Trattati, creare le condizioni di una Statualità federale tra i primi fondatori, in cui c’è difesa e politica estera comune, rilancio del welfare e della domanda interna, indipendenza dai giganti digitali americani, dai suoi prodotti agricoli inquinanti, dal suo stile di vita consumistico, diffusione guidata dalle Istituzioni, come ha fatto l’India, di software alternativi, euro digitale. In sostanza la via umanistica di “Venere” in contrasto alla via di “Marte” di americani e cinesi.

Se gli Usa mettono dazi alle merci, l’Europa tassi i servizi dematerializzati digitali dei Big tech su cui la bilancia commerciale USA è in attivo. Si tratta del Pillar 1 OCSE tutt’ora fermo per le pressioni americane, a differenza del “cugino” Pillar 2 (partito di fatto solo nella UE) per imporre la global minimum tax del 15% a tutte le multinazionali tradizionali. Si tratta di tassare l’estrazione di valore (i dati dei clienti del web) che è valutabile in base agli incassi pubblicitari e che i Big Tech negano sia imponibile (c’è una causa in corso a Milano tra Agenzia Entrate e Meta per 887 milioni di Iva non versata dal 2015 al 2021).

Se l’Europa si pone in un’ottica di giustizia, troverà l’appoggio del Resto del mondo (anche di quel Sud globale che fino ad oggi ci ha visto con diffidenza perché prima colonialisti e poi vassalli degli Usa).
Trump dà all’Europa un’opportunità storica: diventare indipendente e avviare una vera Europa, che sviluppa il suo mercato interno ed è alleata con tutti. E’ dal caos che nasce un nuovo mondo.

Cover: immagine da Odysseo su licenza Wikimedia Commons

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LIBERIAMO FERRARA DA HERA
Una Petizione da Firmare e da Diffondere

LIBERIAMO FERRARA DA HERA
Una Petizione da Firmare e da Diffondere

La petizione

Hera è una società per azioni quotata in Borsa, a proprietà mista tra soggetti privati e pubblici (i Comuni che stanno nell’area che va da Modena alla Romagna, passando per Bologna, part del Triveneto e Ferrara) e adesso i privati detengono la maggioranza assoluta delle azioni, pari al 54,2%.

La quotazione in Borsa e la maggioranza in mano ad azionisti privati fa sì che Hera persegua interessi aziendali finalizzati ad aumentare i propri profitti e distribuire lauti dividendi ai soci privati e pubblici, non a produrre un servizio pubblico efficiente e ambientalmente orientato.

Per stare solo al 2023, Hera, complessivamente intesa, per i vari servizi che svolge (acqua, rifiuti, distribuzione gas e elettricità) e nell’insieme dei territori in cui è insediata, ha realizzato profitti per circa 375 milioni di € e distribuito dividendi per 205 milioni di €, in crescita progressiva rispetto agli ultimi anni.

Con riferimento solo al servizio dei rifiuti urbani nel Comune di Ferrara, Hera tutti gli anni ha un profitto garantito di circa 700.000 €, cifra che i cittadini ferraresi pagano nelle bollette e che potrebbe invece essere utilizzata per diminuirle e/o fare investimenti.

Un esempio clamoroso della logica privatistica e persino speculativa di Hera ci viene dalla vicenda delle tariffe del teleriscaldamento a Ferrara: ultimamente l’AGCM ( Autorità Garante della Concorrenza e del mercato) ha erogato una multa di quasi 2 milioni di € ad Hera, perché ha impedito ai consumatori di beneficiare dell’uso di fonti rinnovabili disponibili a costi contenuti per produrre un bene essenziale come il calore e ha imposto prezzi iniqui ed eccessivi rispetto ai costi.

Persino il tanto decantato risultato del forte ricorso alla raccolta differenziata viene depotenziato, vista la scelta di Hera di continuare la raccolta differenziata con i cassonetti che comporta una scarsa qualità della raccolta stessa e non tramite il modello porta a porta.

In compenso, secondo i dati raccolti da Cittadinanzattiva, nel 2024 la tariffa di una famiglia-tipo (3 componenti e un’abitazione di 100 mq) a Ferrara risulta essere di 298 €, a fronte di una media regionale di 273 €, il penultimo peggior risultato tra i Comuni capoluoghi di provincia in Emilia-Romagna.

Insomma, bisogna cambiare strada e uscire dal monopolio di HERA.

La gestione del servizio dei rifiuti urbani nel Comune di Ferrara è scaduta dalla fine del 2017. Hera sta continuando la gestione in proroga da quel momento.

Si sta avvicinando il momento di decidere quale sarà il gestore del servizio dei rifiuti urbani per i prossimi 15-20 anni.

L’Amministrazione Comunale di Ferrara sembra intenzionata a procedere ad una gara per affidare il servizio. Non ci vuole molto a realizzare che, andando su questa strada, Hera continuerà ad essere il gestore del servizio.

Questa sarebbe una scelta sbagliata, deleteria sia dal punto di vista ambientale, sia per gli interessi generali dei cittadini.

Chiediamo che l’Amministrazione Comunale di Ferrara affronti questa discussione in Consiglio comunale in tempi brevi e, anziché mettere a gara il servizio, lo affidi direttamente ad un’azienda pubblica, appositamente costituita. La scelta che, negli anni scorsi, è stata compiuta a Forlì e da altri 12 Comuni di quel territorio, dando vita ad ALEA, società a totale capitale pubblico, che sta realizzando i risultati migliori in Emilia-Romagna per quanto riguarda la riduzione nella produzione dei rifiuti, il minimo di rifiuti avviati a smaltimento e anche una buona situazione tariffaria (256 nel 2024 per la famiglia-tipo).

Ripubblicizzare la gestione del servizio dei rifiuti urbani è anche la premessa per poi passare al sistema di raccolta porta a porta e realizzare lo stesso dimezzamento dell’incenerimento, obiettivi possibili da realizzare e che chiediamo vengano, anche questi, progettati.

Questa petizione, proposta da Forum Ferrara Partecipata e Rete Giustizia Clilmatica Ferrara, serve a far presente alle istituzioni quanto sia importante per le cittadine e i cittadini cambiare direzione e imboccare la strada della ripubblicizzazione, a vantaggio della collettività e non più dei profitti delle multiutility. Potrà essere anche di esempio per altre città che vogliano intraprendere lo stesso percorso.

FIRMA ORA!

La petizione si può firmare andando al seguente link http://www.change.org/Liberiamo_ferrara_da_hera

 

Vi chiediamo  non solo di sottoscriverla, ma anche di diffonderla a tutti i vostri contatti e promuovere la raccolta firme, via mail, social ( wa e pagine Fb). Pensiamo abbiate presente l’importanza di raccogliere migliaia di firme sotto la stessa, visto che il risultato che raggiungeremo costituirà non solo una verifica del consenso della nostra iniziativa, ma anche la possibilità che l’Amministrazione comunale riveda la propria posizione a favore della gara, e cioè riconsegnare ad Hera la gestione del servizio per i prossimi 15-20 anni.

Inoltre, venerdì 11 marzo dalle 11 alle 12 organizziamo un nuovo flash mob sotto il Volto del Cavallo per dare ancora più forza e risalto alla nostra iniziativa: vi invitiamo ad essere presenti e a far partecipare anche altre persone ( vedi volantino in allegato).

Parole a capo
VERNICE: «Viaggi di versi»(2)

A Forlì nella cornice di VERNICE: «Viaggi di versi» (2)

Alla 22a Edizione di “VERNICE – Art Fair alla Fiera di Forlì, allo stand dell’artista ferrarese Isabella Guidi, l’Associazione Culturale Ultimo Rosso ha realizzato il Reading poetico “Viaggi di versi”. Dopo la prima uscita della scorsa settimana, pubblichiamo un secondo gruppo di poesie lette durante l’evento.

 

 “Che sia benedetto chi non conosce la rotta. Il futuro è di chi sa affrontare il mare nero inseguendo un miraggio”
(Paolo Rumiz)

 

PENDOLARI

 

I tulipani si inchinano alla sera
il pane odora le case
e il treno sui binari ozia
Sui campi di spalle curve
il vento incalza
dentro i vagoni
il tepore del pianto
nell’ansia di essere vivi
Vite segnate in giallo
flash di oggetti smarriti
La mente a pugno chiuso
fa rumore di rabbia antico

(Rita Bonetti)

 

*

 

BARCA

 

Suonano a vuoto
i miei passi sulla tolda di
questa barca solitaria e deserta
La cambusa è vuota e le
macchine sono ferme
Non avverto più quel ronzio familiare
che favoriva il mio sonno
nelle sere lunghe dopo le ore trascorse
a studiare la mappa
a individuare la rotta e
pensare qualche cambiamento
La barca fila via senza timone
solo la corrente
Le grandi vele non schioccano
E non servono.
Mi porta la corrente
Verso una parvenza di terra
Una sagoma nella nebbia
forse il molo di un porto
o un’altra barca simile a
questa, senza timoniere.

(Elena Vallin)

 

*

 

 PARTENZE

 

Un vento leggero
mi solleva da terra
sono in cerca delle mie ali
perdute un tempo
quando il mondo
intorno a me
era libero da amarezze
e io annegavo felice
nella luce.

(Silvia Lanzoni)

 

*

 

 NEL VIAGGIO L’INFINITO

 

Mentre il tempo stringe da ogni lato
beffardo inadeguato
insufficiente sempre all’infinito
che la mente contiene e il cuore spera
si sta sospesi tra la realtà
e tutte le astrazioni che il pensiero
può concepire: gli universi ignoti
fantasie fedi libertà dei sogni.
L’infinito nel tempo e nello spazio
muove una guerra dolorosa al battito
di ciglia che è il cammino di una vita.
Ma l’anima in dissidio trova pace
nel viaggio che dilata
la mia dimensione col suo limite.
Luoghi e passaggi
profumi e colori
tramonti e albe e golfi
montagne e fiordi
cattedrali e spiagge
e le innumerevoli
isole tra gli oceani battute
dalle maree e le infinite specie
e ogni angolo diverso
e ognuno un mondo a parte, una cultura
Qualunque cosa che mi porti a bere
un pezzetto di questa Madre Terra
e nutra la memoria e riempia gli occhi
mi regala un respiro
di eternità.

(Marta Casadei)

 

*

 

 TRAMONTO AFRICANO

 

Il cielo azzurro s’incupisce
vasta distesa scura
il sole, una palla arancione,
ora tocca la linea viola;
rinfresca l’aria
decorano lievi nuvole
arancio ocra rosso.

Nera si staglia
tra noi e l’infinito
una sagoma: un elefante,
eterna memoria

Ritornerà la luce
sfileranno le figure verso il destino:
antico ciclico ritorno.

Costretti a ripararci torniamo:
ci guardiamo sorridere, complici.

(Cecilia Bolzani)

 

*

 

 Legàmi scorsoi
attorcigliati a Capo Fragile
meta di bambini
vecchi e del mondo
dei dispersi viaggiatori

(Pier Luigi Guerrini)

 

*

 

NAVIGARE A VISTA

 

Esistenza,
oceano d’incertezza.
Lo solchiamo in piccoli vascelli
occhio alle mappe
e agli strumenti
illusi di poter
sempre
controllare la rotta.
Radici come àncore
germogliano isole
disperse
di terraferma sicura,
approdo per raggrumare
saperi e forze.
Bisognerà imparare
l’accomodarsi ai venti
fluire in traiettorie
inaspettate e nuove
lasciare aperta un poco
la porta del mistero.

(Anna Rita Boccafogli)

 

(In copertina, foto della Bretagna di stbucher da Pixabay)

 

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La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio. Questo che leggete è il 279° numero. Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.

Cosa c’è dentro il ddl sicurezza: la parola d’ordine è reprimere

Cosa c’è dentro il ddl sicurezza. Proteste, carcere, cpr e cannabis: la parola d’ordine è reprimere

Il disegno di legge voluto dal governo Meloni e dai ministri Piantedosi, Nordio e Crosetto, introduce nuovi reati e prevede pene più pesanti per chi protesta, con l’obiettivo di mettere a tacere ogni forma di dissenso. Tra le proposte, il permesso alle forze di polizia di detenere armi senza licenza

Pene più severe per chi contesta e blocca la strada, maggiori poteri alle forze di polizia, stretta sulla cannabis legale e una serie di provvedimenti che puntano a sedare sul nascere le proteste in carcere e all’interno dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Sono alcuni degli argomenti contenuti nel ddl sicurezza proposto dal governo guidato da Giorgia Meloni, approvato dalla Camera o ora in discussione al Senato.

In questo articolo, in cui iniziamo ad esplorare alcune parti del disegno di legge, proponiamo l’elenco dei temi dal nostro punto di vista più significativi contenuti nel ddl:

  • Repressione del dissenso
  • Stretta su carcere e cpr
  • Maggiori tutele per le forze di polizia
  • Revoca della cittadinanza, niente sim senza permesso di spggiorno 
  • Limitazioni all’uso della cannabis legale
  • Benefici per le vittime delle mafie, pentiti più protetti

Repressione del dissenso

Il ddl (art. 14) vuole punire i manifestanti che bloccano con il proprio corpo le strade o le ferrovie, trasformando quello oggi è un illecito amministrativo in illecito penale. E quindi, ad esempio, gli attivisti del clima che agiscono in gruppo rischiano ora la reclusione da 6 mesi a 2 anni, oltre al pagamento di una multa fino a 300 euro.

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Condanne più pesanti anche per chi, durante le manifestazioni che si svolgono in luoghi pubblici o aperti al pubblico, si rende colpevole del reato di danneggiamento. Nello specifico, il ddl (art. 12) prevede due diverse fattispecie di danneggiamento: la prima, “semplice”, è punita con la reclusione da 1 a 5 anni; l’altra, con violenza alla persona o minaccia, è punita con la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 5 annie con la multa fino a 15mila euro.

Il testo (art. 19) prevede una circostanza aggravante dei delitti di violenza o minaccia e di resistenza a pubblico ufficiale se il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza. Un’ulteriore aggravante è prevista se il fatto è commesso per impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica, come ad esempio il ponte sullo Stretto di Messina o la linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione, Tav.

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Pugno di ferro anche per chi occupa un immobile di proprietà altrui, con il ddl (art. 10) che mira a introdurre il nuovo reato di occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui, oltre a una procedura d’urgenza per il rilascio dell’immobile e la sua restituzione.

Stretta su carcere e cpr

Un nuovo reato, il delitto di rivolta, mira a punire chi organizza e partecipa a proteste e rivolte dentro carceri o Cpr

L’articolo 26 del ddl prevede una serie di misure per garantire “maggiore sicurezza” nelle carceri. Fra queste, l’aggravante del reato di istigazione a disobbedire alle leggi (se commesso all’interno di un istituto penitenziario o a mezzo di scritti o comunicazioni diretti a persone detenute) e, soprattutto, l’introduzione nel codice penale (art. 415-bis) di un nuovo reato: il delitto di rivolta all’interno del carcere. Ciò significa che i detenuti che facciano “resistenza, anche passiva, all’esecuzione degli ordini impartiti”, anziché ricevere provvedimenti discliplinari, come avviene ancora oggi, saranno punibili sul piano penale. Perché scatti il reato, basta che al gesto parceipino almenotre detenuti.

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La pena “base” è la reclusione da 2 a 8 anni, che in determinate circostanze aggravanti può aumentare. E così, l’aver commesso il fatto con uso di armi è punito con la reclusione da 3 a 10 anni;  l’aver causato una lesione personale implica l’aumento della pena fino ad un terzo; l’aver causato la morte è punito con la reclusione da 10 a 20 anni. È inoltre specificato che le stesse pene si applicano anche se la lesione personale o la morte avvengono immediatamente dopo la rivolta e in conseguenza di quest’ultima. La sola partecipazione alla rivolta è invece punita con la reclusione da 1 a 5 anni.

Riguardo ai Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), l’articolo 27 introduce anche in questo caso un nuovo reato finalizzato a reprimere gli episodi di proteste violente. È punito con la reclusione da 1 a 6 anni chi promuove, organizza e dirige una rivolta, mentre la sola partecipazione prevede una pena da 1 a 4 anni. Nel caso in cui vi sia un utilizzo di armi, si rischiano da 2 agli 8 anni, mentre se nel corso della rivolta qualcuno rimane ucciso o riporta lesioni gravi o gravissime (anche nel caso in cui l’uccisione o la lesione personale sia avvenuta immediatamente dopo la rivolta e in conseguenza di quest’ultima) la reclusione prevista va dai 10 ai 20 anni.

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Il ddl sicurezza intende anche semplificare le procedure per la costruzione di nuovi Cpr, nonché quelle per la localizzazione, l’ampliamento e il ripristino dei centri esistenti. Il primo passo per la costruzione di nuove strutture di detenzione amministrativa, già promesse dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.
Non sono risparmiate neppure le donne incinte o madri di figli che hanno meno di un anno. L’articolo 15 apre la possibilità del carcere anche per chi prima ne era esclusa: non sarà più automatica l’esclusione della detenzione per donne incinte e madri, che quindi potranno scontare la pena istituti a custodia attenuata per detenute madri (Icam). Nessuna possibilità di evitare il carcere, invece, se per la giustizia esiste il grave rischio che la donna commetta altri reati. In questi casi i neonati resteranno in carcere con le loro madri.

Maggiori tutele per le forze di polizia

Il ddl prevede una serie di misure che tutelano le forze di polizia. L’articolo 20, in particolare, vuole introdurre il nuovo reato di lesioni personali a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza che svolge le sue funzioni, con pene da 2 a 5 anni nel caso di lesioni semplici; da 4 a 10 anni nel caso di lesioni gravi; da 8 a 16 anni nel caso di lesioni gravissime. Una differenza sostanziale rispetto a oggi, con il reato circoscritto alle sole lesioni personali subite da agenti di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive. Inoltre, viene introdotta una specifica sanzione (da 2 a 5 anni) per le lesioni semplici.

Stanziamento per le bodycam degli agenti

Il governo ha intenzione di stanziare più di 23 milioni di euro nel triennio 2024-2026 per dotare le forze di polizia (polizia di Stato, carabinieri, guardia di finanza, polizia penitenziaria) di dispositivi di videosorveglianza indossabili – le cosiddette bodycam – per registrare l’attività operativa e il suo svolgimento durante i servizi di mantenimento dell’ordine pubblico, di controllo del territorio, di vigilanza di siti sensibili, nonché in ambito ferroviario e a bordo treno. La novità (art. 21) rischia di ledere il diritto alla privacy, tant’è che già nel 2021 il garante per la protezione dei dati personali aveva precisato che le videocamere indossabili potevano essere attivate solo in concrete situazioni di pericolo di turbamento dell’ordine pubblico.

I codici identificativi in polizia sono ancora un tabù

Il garante aveva quindi aggiunto che non è ammessa la registrazione continua delle immagini, né quella di episodi “non critici”, fissando a sei mesi il periodo massimo di conservazione dei dati. Vietato, invece, dotare i dispositivi di tecnologie che consentano il riconoscimento facciale della persona. Il comma 2 dell’articolo prevede poi che i dispositivi di videosorveglianza possano essere utilizzati nelle carceri e nei cpr. In questo caso la strumentazione può essere sia portatile che fissa.

Più fondi per le spese legali degli agenti

Per le forze di polizia e le forza armate il ddl mira a introdurre, a partire dal 2024, un beneficio economico per le spese legali sostenute da ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria, nonché dai vigili del fuoco, indagati o imputati nei procedimenti riguardanti fatti accaduti in servizio. Il beneficio ha un importo massimo di 10mila euro per ciascuna fase del procedimento e in caso di condanna, chi ne usufruisce può essere costretto a restituire il denaro ricevuto. La norma specifica poi che possono accedere al beneficio anche il coniuge, il convivente di fatto e i figli del dipendente deceduto. Per la copertura legale, lo Stato ha previsto di stanziare 860mila euro all’anno.

L’articolo 28, che ha scatenato un acceso dibattito, autorizza gli agenti di pubblica sicurezza (carabinieri, poliziotti, finanzieri e agenti penitenziari) a possedere armi senza licenza quando non sono in servizio. È curioso come il riferimento normativo sia il Regio decreto n. 773 del 1931, che comprende “arma lunga da fuoco, rivoltella e pistola di qualunque misura, bastoni animati con lama di lunghezza inferiore ai 65 centimetri”. Fra le altre figure che possono detenere armi senza alcuna licenza per la difesa personale vi sono il capo della polizia, i prefetti, i viceprefetti, gli ispettoriprovincialiamministrativi, gli ufficiali di pubblica sicurezza, i pretori e i magistrati addetti al pubblico ministero o all’ufficio di istruzione.

Infine, l’articolo 24 prevede pene più severe per chi deturpa e imbratta beni mobili e immobili adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche. Più nel dettaglio, qualora il fatto abbia la finalità di “ledere l’onore, il prestigio o il decoro” dell’istituzione, il colpevole rischia la reclusione da 6 mesi a 1 anno e 6 mesi e la multa da 1.000 a 3.000 euro.

Revoca della cittadinanza, niente sim senza permesso di soggiorno

L’articolo 9 intende revocare la cittadinanza italiana in caso di condanna definitiva per i reati di terrorismo, eversione e altri gravi reati. La norma stabilisce che non si può procedere alla revoca nel caso in cui l’interessato non possieda un’altra cittadinanza. Inoltre, si estende da 3 a 10 anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna il termine per poter adottare il provvedimento di revoca.

In tema di diritti, l’articolo 32 modifica l’articolo 30 del codice delle comunicazioni elettroniche, disponendo la chiusura dell’esercizio o dell’attivitàda 5 a 30 giorni per i negozianti che vendono schede sim senza procedere all’identificazione dei clienti. Ma, soprattutto, il ddl dispone che il cittadino di un paese che non fa parte dell’Unione europea, sprovvisto di permesso di soggiorno in Italia, non possa stipulare un contratto di telefonia mobile. In altre parole, un migrante in condizione di irregolarità viene privato dell’unico strumento che gli permette di comunicare con la famiglia lontana.

Limitazioni all’uso della cannabis legale

Il governo ha precisato che “il ddl sicurezza non criminalizza né incide sulla coltivazione e sulla filiera agroindustriale della canapa”. Produttori e commercianti però non la pensano così e hanno già preannunciato azioni legali per tutelare i loro affari

L’articolo 18 prende di mira la canapa legale – con thc al di sotto dello 0,2 per cento – e mette al bando i cannabis shop attraverso il divieto di importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa, anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti le infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli olii derivati.

Per i trasgressori si applicano le pesanti sanzioni previste dal Titolo VIII del dpr n. 309/1990 (che, ad esempio, punisce con la reclusione da 8 a 20 anni chi coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, sostanze stupefacenti o psicotrope). Il governo ha giustificato il provvedimento, spiegando che “l’assunzione di prodotti da infiorescenza della canapa possa favorire, mediante alterazioni dello stato psicofisico, l’insorgere di comportamenti che possono porre a rischio la sicurezza o l’incolumità pubblica o la sicurezza stradale”.

Caos cannabis

Un chiarimento del Ministero datato 10 settembre 2024, ha quindi aggiunto che “il ddl sicurezza non criminalizza né incide sulla coltivazione e sulla filiera agroindustriale della canapa, in quanto non vieta, né limita la produzione della cannabis”. Nello specifico, dal Dipartimento per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri sostengono che “con l’entrata in vigore della legge 242/2016 è stata avviata, illecitamente, anche la produzione e la commercializzazione, nei cosiddetti ‘cannabis shop’, di inflorescenze e suoi derivati, acquistati per un uso ricreativo, insinuando nella collettività la falsa idea di legalizzazione di una cannabis definita, erroneamente, ‘light’”. Secondo il ministero, l’emendamento al ddl non rischia di limitare la produzione dei derivati dalla cannabis e non incide sul mercato, consentendo la prosecuzione delle attività di chi ha investito nel settore. Produttori e commercianti però non la pensano così e hanno già preannunciato azioni legali per tutelare i loro affari.

Benefici per le vittime delle mafie, pentiti più protetti

L’articolo 5 del ddl, accogliendo la sentenza della Corte costituzionale dello scorso 21 maggio, stabilisce che i parenti delle vittime innocenti delle mafie e del terrorismo possano accedere ai benefici economici previsti dallo Stato, anche se hanno rapporti di parentela con persone condannate o coinvolte in un procedimento penale. “Con questa pronuncia lo Stato non ha più scuse – aveva commentato dopo la sentenza Daniela Marcone, responsabile dell’area memoria di Libera – ora c’è una carta d’appoggio e nessuno può ignorarla. Attraverso i benefici alle vittime si riconosce il diritto al lutto e al dolore, non si tratta come dice qualcuno soltanto di soldi”.

Il disegno di legge contiene una serie di provvedimenti che offrono maggiori tutele ai collaboratori di giustizia. In particolare, al fine di garantire la sicurezza, la riservatezza dei pentiti e il reinserimento sociale delle persone sottoposte a uno speciale programma di protezione, che non sono detenute o internate, viene consentita l’utilizzazione di un documento di copertura, nonché di identità fiscali di copertura, anche di tipo societario.

Il documento di copertura potrà essere utilizzato anche dai collaboratori (e loro familiari) che si trovano agli arresti domiciliario che fruiscono della detenzione domiciliare. È utile chiarire che mentre gli arresti domiciliari intervengono prima della sentenza definitiva di condanna, la detenzione domiciliare interviene dopo e rappresenta una misura alternativa alla detenzione carceraria.

Articolo originale su Lavialibera.it

In copertina: Roma. La protesta di Exctintion Rebellion. Foto di Ylenia Sina.

Elin e gli altri: un libretto con figure e parole,
Sabato 12 aprile alle ore 10.30 alla Biblioteca Niccolini

Elin e gli altri: un libretto con figure e parole

Care scrittrici e scrittori,

finalmente Elena ed io abbiamo realizzato un libretto con le immagini e le storie del nostro laboratorio Elin e gli altri.

Racconti scritti attraverso le suggestioni del gioco dei tre cappelli associato ai ritratti dei bambini: ricordate vero?!

Lo presentiamo sabato 12 aprile alle ore 10.30 alla Biblioteca Niccolini, dove tutto è iniziato.

Ci piacerebbe tanto che voi ci foste in questa occasione per ritrovarci e perché possiate leggere il vostro racconto o quello di un altro/a partecipante.

Il libro è dedicato a Daniele Lugli, uno degli autori del nostro laboratorio, maestro di pace e di nonviolenza caro a tanti e tante di noi.

Durante la presentazione sarà possibile acquistare il libro. Il ricavato andrà al Movimento Nonviolento, di cui Daniele è stato tra i fondatori, per sostenere la Campagna di obiezione alla guerra, cioè poi gli obiettori di coscienza e i resistenti nonviolenti in Russia, Ucraina, Bielorussia, Israele, Palestina.

Che dite?

Vi aspettiamo numerosi nonostante il tempo passato.

Vi preghiamo di rispondere a questa mail e… passate parola! Amici, familiari, appassionati di storie saranno i benvenuti.

Un abbraccio,

Elena Buccoliero e Miriam Cariani 

“Voci e suoni da un’avventura leggendaria”:
dal 7 al 12 aprile al Centro Teatro Universitario di Ferrara

Lo spettacolo di Teatro Ragazzi “voci e suoni da un’avventura leggendaria” alla conclusione del progetto teatrale “Sguardi Diversi” 2024 – 2025.

Giunto alla conclusione la dodicesima edizione del progetto teatrale “Sguardi Diversi”, finanziato con i fondi regionali dei Piani di Zona, promosso dal Comune di Ferrara, Assessorato alle Politiche Giovanili e la collaborazione del Centro Teatro Universitario di Ferrara. Il percorso ha coinvolto gli alunni delle prime classi medie della scuola secondaria “T. Tasso” ed è stato condotto da Michalis Traitsis, regista e pedagogo teatrale di Balamòs Teatro.

Il progetto “Sguardi Diversi” si concluderà con cinque repliche dello spettacolo voci e suoni da un’avventura leggendariariservate alle scuole di Ferrara e Provincia e una replica riservata ai familiari e il pubblico adulto. Tutte le repliche si svolgeranno presso il Centro Teatro Universitario di Ferrara (via Savonarola 19).

Lo spettacolo di Teatro Ragazzi voci e suoni da un’avventura leggendaria è diretto da Michalis Traitsis con le musiche a cura di Martina Monti, ed è tratto dall’incredibile avventura di Odisseo e i suoi compagni all’isola dei Ciclopi. Eroiche avventure, miti e leggende senza tempo raccontate con leggerezza e ironia dagli allievi del laboratorio: Lena Abate, Ziyu Chen – Matthew, Ada Colombari, Pietro Gilioli, Claudia Grechi, Niccolò Grechi, Luca Pistone, Edwin Yesid Menegatti Fregnan.

il programma delle repliche:

Lunedì 7 Aprile, ore 10.15, Centro Teatro Universitario di Ferrara, scuole di Ferrara e provincia

Martedì 8 Aprile, ore 9.45, Centro Teatro Universitario di Ferrara, scuole di Ferrara e provincia

Giovedì 10 Aprile, ore 09.45, Centro Teatro Universitario di Ferrara, scuole di Ferrara e provincia

Venerdì 11 Aprile, ore 9.45, Centro Teatro Universitario di Ferrara, scuole di Ferrara e provincia

Sabato 12 Aprile, ore 17.00, Centro Teatro Universitario di Ferrara, replica per adulti e familiari

Il progetto di pedagogia teatrale di Balamòs Teatro attuato alla scuola secondaria “T. Tasso” di Ferrara a partire dall’anno scolastico 2013-2014, nonostante tutte le difficoltà che affronta il mondo della scuola oggi, rappresenta un’ottima opportunità di formazione attraverso le pratiche di laboratorio teatrale per le giovani generazioni.

L’anima della proposta è il desiderio di stare insieme, di raccontarsi più che mostrarsi, di mettersi alla prova, di navigare insieme per scoprirsi e scoprire altri orizzonti possibili, di affrontare insieme paure, giudizi, conflitti.

Con una metodologia che tende, attraverso stimoli precisi, a rendere ciascuno protagonista del proprio percorso, dei propri personaggi e delle proprie interpretazioni.

Con il regista che si propone come pedagogo teatrale, accompagnatore, facilitatore, disponibile a navigare con i ragazzi tra i moti calmi e ondosi del lavoro teatrale, tra scoperte e frustrazioni, tra le bonacce e tempeste della crescita.

Lo spettacolo voci e suoni da un’avventura leggendaria con gli alunni delle seconde classi medie della scuola “T. Tasso” di Ferrara e un gruppo di persone detenute, è stato presentato Giovedì 27 Marzo 2025 alla Casa Circondariale Santa Maria Maggiore di Venezia nell’ambito del progetto teatrale Passi Sospesi di Balamòs Teatro negli Istituti Penitenziari di Venezia e in occasione della Giornata Mondiale del Teatro (International Theatre Institute – Unesco) e la Giornata Nazionale di Teatro in Carcere (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Coordinamento Nazionale Teatro in Carcere).

Locandina voci e suoni da un’avventura leggendaria – Aprile 2025

programma di sala voci e suoni da un’avventura leggendaria – Ferrara – Aprile 2025

Vite di carta /
Anno 2025: quanta povertà

Vite di carta. Anno 2025: quanta povertà

Palazzo Naselli Crispi, sabato 5 Aprile: Monsignor Gian Carlo Perego, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio, sta esponendo il recente Rapporto sulla povertà di Caritas Italiana e vengono i brividi a sentire certi numeri e a condividere le relative riflessioni. Il titolo del rapporto, Fili d’erba nelle crepe, mi pare indicativo dell’opera che svolge la Caritas a livello nazionale.

A fine mattinata alla Caritas Diocesana verrà assegnato il Premio Stampa 2025, a cura della Associazione Stampa Ferrara che celebra i 130 anni dalla fondazione.  Nel seminario che precede il momento della premiazione, intanto, viene posto al centro del dibattito cittadino il tema delicato delle vecchie e nuove povertà e il ruolo svolto dalla informazione.

Nel primo dei quattro interventi previsti tocca a Monsignor Perego fornire le cifre e fornirne una prima lettura critica: un dato nazionale vale per tutti e riguarda il numero record di famiglie, oltre due milioni e duecentomila, che vivono in condizioni di povertà assoluta.

Segue l’ intervento di Monsignor Massimo Manservigi sulla attività svolta dalla Caritas di Ferrara dalla sua fondazione nel 1973 a oggi, nel ricordo particolare di Don Paolo Valenti. Non poteva mancare, conoscendo le sue competenze in fatto di cinema, un bel video che mostra il lavoro quotidiano dei volontari.

Don Marco Pagniello, Direttore della Caritas Nazionale, presenta subito dopo l’importante progetto di microcredito della Caritas per il Giubileo, Mi fido di noi, in sostegno delle persone e delle famiglie in difficoltà.

Mi colpisce la coppia di parole esclusione finanziaria, ne afferro al volo la portata e la aggiungo alle altre di cui sto sentendo parlare nella galassia lessicale della povertà. Papa Francesco chiama “lavoro povero” quello che non garantisce di vivere decorosamente a un 8% di lavoratori.

Figuriamoci quanto debbano pesare gli altri elementi che determinano la povertà, intermittente o costante che sia. Assoluta o relativa. Associata a povertà culturale, a sfiducia e depressione, attaccata a una percentuale in paurosa crescita di bambini e di anziani soli, di stranieri, di persone che non hanno una dimora fissa o hanno condizioni abitative precarie.

Mentre ascolto l’intervento conclusivo del giornalista economico Matteo Nàccari e recepisco le difficoltà in cui si dibattono molti gruppi editoriali negli anni della intelligenza artificiale e sotto la pressione della informazione digitale, realizzo in quali termini anche la qualità dell’informazione vada preservata proprio perché non è esente da rischi. Povera la retribuzione riconosciuta ai precari, ma non solo; a rischio la qualità dei testi prodotti, tra il bisogno economico che impone di puntare sulla quantità e la concorrenza di testi standardizzati creati dalla I.A.

I miei due sogni, essere insegnante e giornalista, in quali mondi mi hanno cacciata. Letteratura mia, soccorrimi.

Riportami la voce atona di Génie la mattache mi arriva dal libro che ho letto in questi giorni. L’ha scritto Inès Cagnati, l’autrice francese di origine italiana morta nel 2007 di cui Adelphi ha recentemente pubblicato due romanzi, Génie nel 2022, Giorno di vacanza nel 2023 e nel 2024 la raccolta di racconti I pipistrelli.

Una scrittrice nata nel 1937 a Monclar, figlia di contadini immigrati dal Veneto nel sud ovest della Francia insieme a migliaia di altri italiani in fuga dalle persecuzioni fasciste e senza lo sbocco dell’America in seguito alle politiche migratorie transoceaniche restrittive.

Génie la matta è il suo secondo romanzo, uscito in Francia nel 1976 e solo da poco immesso nel panorama della narrativa italiana con la traduzione dal francese di Ena Marchi. Le recensioni che ho letto esprimono l’intensità dell’impatto.

Il libro ha una scrittura essenziale e scabra e racconta il dramma di una bambina: potrebbe chiamarsi Nedda, come la protagonista della celebre novella verghiana, e invece si chiama Marie. In una natura bellissima e spietata, Marie vive esclusa dal villaggio con sua madre Eugénie, che tutti chiamano Génie la matta.

Vittima di uno stupro, Génie è stata ripudiata dalla famiglia, “la migliore famiglia del paese”, dopo che ha dato alla luce la bambina concepita da quell’abuso. Vive con la piccola in una casupola sperduta e si chiude nell’isolamento e nel silenzio. “Non ho avuto niente, io” è ciò che ripete spesso Génie la sera, prima di coricarsi sfinita dalla giornata di lavoro nei campi. Nel microcosmo crudele del villaggio e delle fattorie attorno fatica dall’alba al tramonto per un po’ di cibo e qualche abito dismesso con cui nutre e ricopre sé stessa e la figlia.

Marie la ama visceralmente. La segue come può di giorno, quando non è a scuola. La aspetta di sera lungo il sentiero della casupola, costantemente terrorizzata di non vederla tornare. Una madre anaffettiva ma adorata è tutto quello che Marie possiede per attraversare l’infanzia.

Nella storia di entrambe, narrata pagina dopo pagina con lo stile segmentato di Inès Cagnati, con frasi ripetute e immagini che tornano ossessive, non c’è possibilità di riscatto. Nessuna via di fuga verso le felicità che potrebbero realizzarsi: avere la compagnia di un animale, trovare un compagno che conosce terre bellissime in cui andare a vivere, essere oggetto di amore in seno a una famiglia.

Per fortuna, la letteratura pare farsi più alta quando dà voce allo straniamento di lingua, cultura, classe sociale e genere, come è stato per Inès Cagnati da bambina. Quando trova le parole per accedere a squarci di verità e bellezza.

Nota bibliografica:

  • Inès Cagnati, Génie la matta, Adelphi, 2022
  • Inès Cagnati, Giorno di vacanza , Adelphi, 2023
  • Inès Cagnati, I pipistrelli, Adelphi, 2024

Cover: foto dell’autrice presenta i relatori del Seminario “Vecchie e nuove povertà: il ruolo dell’informazione” – Ferrara, Palazzo Naselli Crispi, 5 Aprile 2025. Da sinistra il moderatore Alberto Lazzarini, vice Presidente dell’Ordine dei giornalisti E.R., Matteo Nàccari, giornalista economico, Mons. Gian Carlo Perego, Don Marco Pagniello e Mons. Massimo Manservigi.

Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

Parole e figure / Il Cuore e la bottiglia, di Oliver Jeffers

Isolarsi per un grande dolore non è mai la soluzione. Il Cuore e la bottiglia, di Oliver Jeffers, edito da Zoolibri, ci spiega il perché.

Il libro “Il cuore e la bottiglia” di Oliver Jeffers è una storia commovente e malinconica che affronta i temi dell’affetto e della perdita.

La protagonista è una bambina curiosa che si incanta davanti ad ogni nuova scoperta e pone mille domande sul mondo. Condivide allegramente le sue scoperte con una persona a lei molto cara, un adulto speciale. Dalla bellezza del mare ai colori dei disegni.

Un giorno, però, nel buio di una notte triste, trova la sedia di questa persona vuota e, persi ogni slancio e curiosità, il dolore la porta a isolare il suo cuore in una bottiglia per proteggersi. Meglio mettere il cuore in un posto sicuro, legandosi quella bottiglia al collo e non farlo più uscire. Almeno per un po’. Meglio smettere di prestare attenzione al mare e dimenticarsi del cielo e delle stelle.

Tuttavia, questa soluzione mostra presto i suoi limiti, poiché la bambina non riesce più a osservare il mondo con lo stesso stupore e meraviglia del passato. Nulla è più come prima. Fino a quando arriva qualcuno di più piccolo e ancora più curioso…

Il libro esplora, con delicatezza e dolcezza, il legame speciale che si instaura tra i bambini e certi adulti, e come la perdita di una persona cara possa influenzare profondamente la vita di un bambino che cresce.

Con delicatezza e tenerezza, Jeffers ci parla di come tornare a tirare fuori il nostro cuore, di come liberarlo e non isolarlo più per ritrovare la meraviglia per tutto ciò che, nella sua infinita bellezza, ci circonda. Semplicemente.

 

Dopo l’alluvione: firma la petizione per salvare il Mugello

Dopo l’alluvione: firma la petizione per salvare il Mugello

Francesco Tagliaferri, Sindaco del Comune di Vicchio, tra i più colpiti durante l’ultima ondata di maltempo, ha dichiarato che il territorio è in una situazione straordinaria e che è urgente che il Governo riconosca lo stato di emergenza nazionale: “La situazione a Vicchio e in Mugello è sotto gli occhi di tutti: alluvioni. frane e pezzi di territorio che non ci sono più, strade dissestate, cittadini isolati. Siamo stati duramente colpiti: territorio, cittadini, aziende agricole, imprese e realtà produttive. I danni sono ingenti, incalcolabili al momento, siamo in ginocchio.”

Il Comitato Tutela Crinale Mugellano Crinali liberi, Coalizione Ambientale TESS Transizione Energetica Senza Speculazione, si associa al Sindaco nella sua urgente e accorata richiesta dello stato di emergenza e si appella a tutte le Istituzioni perché si fermi la cementificazione dei crinali di Monte Giogo di Villore Corella, Vicchio e Dicomano, per l’impianto industriale eolico Monte Giogo di Villore, ai confini del Parco Nazionale Foreste Casentinesi.

I crinali fragili e franosi, se deforestati e cementificati, rappresentano un disastro ambientale che porta visibilmente ad una catastrofe i cui danni non sono controllabili né calcolabili. Inutile e tragico invocare l’emergenza dopo, quando non si è più in grado di fare le scelte giuste atte a prevenire i danni alla collettività.

Nei giorni del 14 e del 15 marzo il Mugello è andato sott’acqua.

Alluvione-crinali-coperti-da-cemento
Alluvione-frana-Villore
Alluvione-crinale-con-plocche

La Sieve che attraversa la valle è esondata e i torrenti sono tracimati; la viabilità principale interrotta in più punti e le linee ferroviarie ferme.

Infrastrutture sono franate lasciando isolate abitazioni e interrompendo collegamenti viari.

Abitazioni, aziende, centri commerciali, campi agricoli e campi sportivi alluvionati, veicoli danneggiati.

Frane ovunque, ben visibili anche ad occhio nudo sull’Appennino mugellano.

In molte abitazioni è mancata l’elettricità, anche l’acqua, perché gli impianti hanno riportato criticità a causa dell’alluvione.

Il Mugello mostra in questi giorni la sua estrema fragilità e vulnerabilità.

Dai crinali scivolano smottamenti e frane, fiumi di fango e acqua si riversano rapidi, impetuosi e veloci a valle alimentando i corsi d’acqua.

I crinali boscati dell’Appennino Mugellano sono soggetti a tutele e vincoli perché data la loro natura fragile e instabile, non franino a valle, causando morte e distruzione.

I vincoli paesaggistici esistono per la sicurezza del territorio e della popolazione, per fini ambientali e culturali, che hanno rilevanza turistica e ricaduta sociale ed economica. Non sono inutili lacci e vincoli, come vengono troppo spesso definiti, da chi orbita negli interessi degli speculatori.

A Vicchio si contano oltre 30 frane, 11 sfollati e 32 persone che sono rimaste isolate. Molte imprese sono state sommerse dall’acqua e dal fango.

E’ esondato il torrente Arsella nella zona del Mulino e si è prodotta una frana sulla strada per Rupecanina, oltre a varie altre frane e smottamenti.

Il Sindaco lancia un appello alle Istituzioni per la richiesta dello stato di emergenza nazionale.

A Ponte a Vicchio la Sieve è esondata allagando le abitazioni e la zona artigianale all’ingresso del Paese.

A Corella e a Villore, territori del Comune di Dicomano e Vicchio, frazioni interessate ai lavori per l’impianto industriale Monte Giogo di Villore, si sono verificati numerosi eventi franosi.

Sulla  strada da San Bavello a Corella movimenti franosi per i quali la strada è stata chiusa per alcuni giorni e la circolazione è stata deviata da Pruneta a Corella.

A Villore sono state evacuate 6 persone dalla loro abitazione; si sono verificate numerose frane segnalate sia sulla viabilità principale che secondaria di accesso alle marronete dove una  frana ha ostruito il passaggio verso le marronete del Solstretto che, già dal maggio 2023, hanno segnalato una frana a meno di 800 metri dal luogo dove il Progetto prevede un’enorme torre eolica di 170 metri (alta come due Campanili di Giotto uno sopra l’altro) e un ampio basamento di cemento armato e fondazioni prossima alla rete idrografica del torrente del Solstretto che alimenta l’acquedotto pubblico comunale di Vicchio.

La drammatica situazione del Mugello e dei territori interessati al Progetto eolico ci conferma nel richiedere l’urgente tutela del Monte Giogo di Villore dalla cementificazione di grandi opere per la realizzazione dell’impianto industriale eolico che comportano deforestazione, declassamento e degrado di preziosi ecosistemi naturali a siti industriali, causa di erosione e consumo del suolo e di grave conseguente dissesto idrogeologico.

 Gli eventi attuali ci consegnano visibilmente e indiscutibilmente un Appennino instabile, fragile e franoso i cui crinali devono rimanere boscati, non modificabili, soprattutto non industrializzati, a tutela degli ecosistemi naturali, delle comunità montane e della popolazione a valle.

Per tali motivi vi invitiamo

a firmare subito la Petizione per salvare il Monte Giogo di Villore sui confini del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi al seguente link:

https://www.openpetition.eu/…/fermiamo-la-devastazione…

E per chi non l’avesse già firmata nei giorni scorsi la Petizione della Coalizione Ambientale TESS – Transizione Energetica Senza Speculazione –

Sventiamo Gli Inganni Nel Disegno Di Legge Della Toscana Sulle Rinnovabili in Unione europea:

https://www.openpetition.eu/%21wzssv

Comitato Tutela Crinale Mugellano Crinali Liberi – TESS Transizione Energetica Senza Speculazione.

In copertina: Mugello, montagna sbancata dall’alluvione

Gli effetti dei dazi di Trump

Gli effetti dei dazi di Trump

Coi dazi sembra sia davvero finita la globalizzazione americana, la delocalizzazione di molte imprese in Cina e altri paesi poveri per fare più profitti, ma che ha reso anche più poveri gli operai americani e quasi completamente dissolto la manifattura in patria. Trump cerca di tornare al passato: far tornare le fabbriche.

I dazi sono calcolati in base al rapporto tra surplus commerciale del singolo Stato con gli Usa (export meno import) e l’import dagli Usa. L’Italia esporta in Usa 76 miliardi, ne importa 22 e il suo surplus è di 54. Se fosse da sola avrebbe un dazio del 24%. Poiché siamo nella UE è di 20. Una formula che avrebbe l’intento di portare il surplus a zero. Come? Facendo tornare molte imprese che se ne sono andate.

Dalla tabella dei dazi si capisce dove è avvenuta la delocalizzazione delle imprese americane: Cina, Vietnam, Cambogia, Messico, Irlanda, India, SriLanka, Bangladesh, Taiwan,...

I dazi dovrebbero fornire circa 500 miliardi di maggiori entrate agli Stati Uniti (80 dalla UE). Secondo le banche d’affari e molti economisti faranno crescere anche l’inflazione (fonte Università di Yale) del 2,3%, circa 3.800 dollari a famiglia e si ridurrà il PIl di un punto nel 2025.
Molto però dipenderà da quanti continueranno ad acquistare merci straniere e quante imprese torneranno. Un azzardo enorme e senza confronti storici.

Per fare un esempio, il parmigiano italiano sale da 44 euro al kg. a 52 (da noi costa 15 euro al kg.), ma se le ditte straniere calano i prezzi, l’inflazione sale meno. Sostituire con beni americani l’agroalimentare straniero di qualità è impossibile, ma per altri prodotti (come le auto) è più facile, anche se per le stesse ditte americane ci saranno aumenti in quanto molti semilavorati provengono dall’estero.

Per questo l’obiettivo vero pare sia riportare più lavoro possibile delle stesse ditte americane negli Stati Uniti. Ciò spiega il calo del 44% in borsa di Nike nell’ultima settimana, ma anche di Apple e molte altre. Un secondo obiettivo è avere delle concessioni negoziali o assicurazioni di acquisto dello stratosferico debito pubblico americano che ha raggiunto i 23mila miliardi e che necessita ogni anno di una sottoscrizione monstre.

La speranza è che altre imprese estere investano negli Stati Uniti pur di vendere e non subire i dazi, bloccando la crescita mostruosa del deficit commerciale salito dai 396 miliardi del 2016 ai 1.130 del 2024, causato dalla globalizzazione americana, ma anche dalle politiche di austerità dell’Europa che da 20 anni basa la sua crescita su export e austerity (contenimento dei redditi, della domanda interna e dell’import).

Se funziona nel medio periodo (non certo subito) ci sarà un aumento dell’occupazione e della manifattura made in Usa, la riduzione del deficit commerciale, del debito pubblico, maggiori entrate. Molto dipenderà dal livello dell’inflazione e se il dollaro si svaluterà, come, peraltro, sta avvenendo, (passato da 1,08 a 1,10 euro).

I dazi nascono dagli effetti disastrosi descritti dal vicepresidente USA J. Vance nella sua autobiografia di successo (Hillbilly, Elegia americana) che racconta le sofferenze degli operai della “rust belt”, la periferia americana colpita dalla globalizzazione e delocalizzazione della manifattura industriale. Questo spiega perché erano presenti operai e sindacalisti all’annuncio dei dazi.

La finanza (borse e Wall Street) non tifa certo per i dazi e hanno avuto un forte calo nei primi due giorni dall’annuncio, ma è curioso che molti (anche a sinistra) tifino per le borse e la finanza che ci “penserà lei a far rinsavire Trump con un bagno di realtà”. Il calo delle borse è una minaccia seria per Trump in quanto molti americani, investendo i propri risparmi in finanza (molto più di europei e italiani), possono avere perdite che incidono sulle assicurazioni sanitarie, i mutui casa, le pensioni.

Nessuno sa davvero cosa succederà nel medio periodo anche perché dazi universali di questa entità sono una novità storica (la legge protezionistica Smoot-Hawley Act del 1930 aveva dazi molto minori). In Europa i paesi più colpiti saranno Germania e Italia che hanno un surplus in USA di 83 e 54 miliardi nel 2024. Molto dipenderà anche dalla capacità di trovare altri mercati. L’Italia nel 2024 aveva già perso (sul 2023) 2,4 miliardi di fatturato in Usa, 3,8 in Cina, 5 in Germania, ma aveva guadagnato altri 12 miliardi di export sul 2023, in quanto era cresciuto verso altri paesi meno “avanzati”: Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Messico, Brasile, etc. e anche in occasione dei primi dazi di Trump del 2018 l’export italiano era cresciuto negli stessi Stati Uniti, a dimostrazione della grande flessibilità dei nostri imprenditori nel diversificare le esportazioni.

Potrebbe quindi essere che alcune previsioni pessimistiche (per Italia: Pil -0,6%, recessione, 60mila occupati in meno, imprese che chiudono; per USA recessione e inflazione alle stelle) si rivelino fallaci. Di certo è che si avvia una nuova fase commerciale nel mondo del tutto inedita in cui c’è minor libero scambio, ma non è detto che ciò incida negativamente sull’occupazione in quanto potrebbe crescere il consumo dei prodotti del proprio paese. E’ anche la prima volta da 30 anni che la “Politica” prende decisioni in contrasto con l’élite finanziaria ed economica che ha guidato la globalizzazione e che puntava sul libero scambio.

L’idea di ritorsioni europee immediate (altrettanti dazi) non è buona, in quanto gli Stati Uniti sono una sorta di “monopsonio” (monopolio dal lato del consumatore), esportano molto meno rispetto all’Europa (10% del loro Pil rispetto, per esempio, al 30% dell’Italia). Il saldo commerciale (export USA meno import da tutto il mondo) è negativo per 934 miliardi, ancor più per le sole merci, mentre in attivo è l’export di finanza e tecnologie digitali (anche verso l’Europa).

Gli effetti della globalizzazione si sono tradotti in una devastazione di intere comunità industriali (Hillbilly…), mentre il surplus di finanza e digitale ha arricchito una ristretta oligarchia di ricchi (passata dai Democratici a Trump) che non sarà molto contenta, da qui il possibile licenziamento, prima che poi, di Elon Musk. E’ sulla base di ciò che il “bullo” Trump piace ai suoi elettori (per ora).

Per l’Europa (se si fosse costruita come Stato federale) sarebbe stata un’occasione straordinaria di accrescere la propria indipendenza, il proprio mercato interno aumentando i salari (a partire dalle fasce più povere), avvantaggiando le proprie imprese, l’occupazione, i redditi, le entrate fiscali e il proprio welfare. Ma questo implica una visione del bene comune e della comunità locale (che usa anche Trump) su base umanistica, egualitaria alla Adriano Olivetti e Jacques Maritain e non individualistica e “funzionale al sistema” come nella cultura anglosassone.

La Commissione europea ha deciso di rispondere ai dazi entro un mese, evitando ritorsioni immediate, cercando di negoziare e rafforzando i rapporti commerciali con altri paesi (Brics inclusi che ora diventano una risorsa) e decidere solo dopo aver visto quello che accadrà.

Si è aperta una nuova era internazionale cui sono in discussione non solo la pessima globalizzazione americana, ma una nuova regolazione dei mercati, le valute di riserva, la sicurezza reciproca e la necessità di creare nuove Istituzioni a livello internazionale di cooperazione e multilateralismo in cui non ci siano solo i 5 Stati vincitori della 2^ guerra mondiale (Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Cina e Russia, membri permanenti dell’ONU), ma anche altri (l’Europa dov’è?).

Una fase in cui la via diplomatica è la più saggia per evitare una escalation della guerra commerciale.
L’Europa, in enorme ritardo per farsi Statualità, anziché riarmare i singoli Stati nazionali, potrebbe favorire l’enorme domanda interna europea inevasa (investimenti in infrastrutture, dissesto idrogeologico, politiche di risparmio energetico -dalle case al resto-, salute, scuola,…).

Cover: immagine da The Watcher Post

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La Passione: Il concerto nel mio flusso di coscienza

La Passione – Oratorio Laico-Spirituale
Musica e Pensieri dal Carcere in tempo di Quaresima
Il concerto nel mio flusso di coscienza

Sono seduta su un gradino, c’è tanta gente, tantissima. Chi arriva dopo di me fa una barriera di corpi che non mi permette di vedere l’orchestra. Pazienza. L’importante questa sera non sono gli occhi ma “sentire”.
Inizia il concerto, un’Ave Maria struggente, in questa chiesa affollata, che affascina. Un pianoforte, un violoncello. Rapita dalla musica e dalla voce non c’è posto per pensare che sono commossa dal risultato di una bugia. Un falso storico, una bugia ben orchestrata che è diventata più potente della verità.

Hosanna a daJesus Christe Superstar, potente, gridato. E’ una folla che grida :
Osanna, ehi sanna, sanna sanna oh
(…)Ehi, GC, moriresti per me?
Sanna oh, sanna ehi, superstar!

Parole sul carcere di San Vittore ma non riesco a seguire bene. Testimonianze, rispecchiamenti tra i carcerati e il vangelo della passione

Vincent_Willem_van_Gogh, La ronda dei carcerati

Il sax, un assolo, la chiesa si riempie di un suono caldo, profondo. Poi una voce femminile e il coro dietro lei. Il sax non li abbandona, protettivo.
Un organo?
Osanna!
L’ultima cena…
Testimonianze
E adesso un tenore Nelle tue mani “ Credi in te, in ogni attimo tu potrai scegliere e non dimenticare che dipende da te.”
Forse mi sbaglio, delirio onirico ma il canto mi porta ad immaginare la disumana condizione degli schiavi il riscatto del gladiatore. All’interno di ognuno di noi vi è la possibilità di creare la pace e la felicità, ma anche il potenziale per creare dolore e sofferenza. Da che parte andare?

La punteggiatura è fatta di testi scritti dalle persone detenute.

E Giuda che ritorna nelle letture, misero!

Sascha Schneider – Judas Iscariot, 1923

Una affermazione :“Noi insegniamo ai bambini la nostra morale” ma, ci dice Gaber:
“Non insegnate ai bambini
(…) la vostra morale
è così stanca e malata
potrebbe far male
se proprio volete
insegnate soltanto la magia della vita.”
Violini che si librano e archi come in paradiso.
“Giro, giro tondo casca il mondo” No. Insiste la canzone Giro giro tondo cambia il mondo.

Lacrymosa di Mozart, le lacrime sono anche le mie.

Un violino adesso, che canta dolente: morte, dolore, schiavitù senza redenzione.
In carcere si muore, suicidi che non cessano anzi crescono per la disperazione. Non è il corpo ma la mente che non ce la fa più. Non è fuga, è ricerca di pace, finalmente. Amen.

Un soprano, gorgheggi barocchi, il pubblico è in silenzio, le viole abbracciano consolatorie.
“Misero in croce Gesù”, Barabba vs il re dei Giudei
Ecce homo. Anche noi vogliamo lavarcene le mani?
Batteria insistente, il parlato del coro: “Dio è…” le parole si perdono, rimane l’interrogativo.
La paura del giudizio degli altri.

La tastiera batte i bassi, inizia un blues. La voce solista intona, il coro risponde a bocca chiusa e con ripetuti ostinati.
“Senti la libertà che chiama?
Continuerò ad andare avanti
Mi alzerò”
Poi si cambia ancora, un assolo di chitarra prepara il crescendo, le percussioni lo sostengono “tengo la musica al massimo”
“E il tempo scorre di lato ma non lo guardo nemmeno
E mi mantengo sedato per non sentire nessuno
Tengo la musica al massimo
E volo
Che con la musica al massimo
Rimango solo”

La crocifissione.
E quando il mio corpo morirà
fa’ che all’anima sia data
la gloria del Paradiso.
Amen.
Gesù tra i due ladroni. “Dio mio, perchè mi hai abbandonato”, “Tutto si è compiuto”

Niccolo dell’Arca, Compianto sul Cristo Morto-Bologna, Santuario di Santa Maria della Vita

Canto di donne, lamento di dolore e sconforto.
“Pio Gesù, Signore, dona loro il riposo Pio Gesù, Signore, dona loro il riposo Dona loro il riposo Signore, dona loro il riposo Riposo eterno”

Ancora Bach solenne e tragico come solo i tedeschi e un coro sanno essere.

“Gli stranieri”, il sogno d’oro dei migranti che non porta a vivere onestamente
Adesso si sente nuovamente il violino.

La deposizione, solo un’immagine, Mascagni l’ Ave Maria :Ave Maria! In preda al duol, Non mi lasciar, o madre mia, pietà!
O madre mia, pietà! In preda al duol, Non mi lasciar, non mi lasciar.Dicono:“Nessuno deve finire nella tomba o in carcere”

Mission esplode.
L’orchestra rompe il silenzio con un crescendo, in pochi secondi l’ingresso del coro e l’oboe che tesse commosso l’armonia del brano.
Testi in latino e percussioni tribali, musica coraggiosa, è l’incontro, lo scontro tra due culture: si chiude il cerchio laico-spirituale del concerto.
Vita, castigo,grida, punizione, rabbia, le nostre lacrime, la nostra fede.

Sulla scena:


Ex detenuti, Pazienti SerD, Volontari
Accademia Corale Vittore Veneziani
Coro Amici della Nave
di San Vittore
Coro I Cantori del Volto
Orchestra Antiqua Estensis
Concerto nella Chiesa della Conversione di San Paolo (FERRARA)Solisti
cantanti:
Francesca Cavallini,,Viviana Corrieri, .Raffaele Talmelli,
chitarra: Roberto Formignani,
sax:Roberto Manuzzi,
oboe: Roberto Valeriani,
violino: Paolo Ghidoni

 

 

Nota:
Il flusso di coscienza (noto come stream of consciousness in lingua inglese) è una tecnica narrativa consistente nella libera rappresentazione dei pensieri di una persona così come compaiono nella mente, prima di essere riorganizzati logicamente in frasi Consiste in frammenti di pensieri e salti associativi, cerca di catturare la spontaneità e il disordine della coscienza umana, che non segue una logica lineare ma si muove in modo fluido tra ricordi, sensazioni e riflessioni. Si intuisce la correlazione con le libere associazioni nella psicoanalisi.

Cover: Chiesa-di-San-Paolo – Ferrara

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In bilico

Per certi Versi / In bilico

In bilico

Forse meglio cadere che rimanere in bilico
mi aggrappo all’illusione
non cado
mi lego all’orizzonte marcio della sera
è forse meglio un orizzonte corrotto dagli occhi
che una certezza marcia

corteggiata da un immaginare
che distorce anche l’aria
i colori
la luna

La luna

lei è sola in bilico sul mio sguardo

Nel 2025 la storica rubrica domenicale di poesia Per certi versi è affidata a Maria Mancino (Maggie) 

 Cover: da pixabay

La stoffa delle donne /
Carmen Mondragon “Occhi color smeraldo”

Carmen Mondragon “Occhi color smeraldo”

Lei è Carmen Mondragon, in arte Nahui Olin. E’ stata una pittrice, poetessa e modella messicana, considerata la donna più bella di Città del Messico, dove era nata nel quartiere di Tacubaya.
Siamo nel 1893, figlia di un ricco generale messicano, Manuel Mondragon,  progettista del primo fucile semiautomatico della storia. Fu una bambina precoce, dotata di un’intelligenza fuori dal comune, ebbe il privilegio di ricevere una buona educazione scolastica, leggeva i Classici, suonava il pianoforte ed andava a cavallo.

Provocatrice nata, da giovane cavalcava nuda nella tenuta di famiglia al solo scopo di scandalizzare i parenti. Nonostante il suo carattere indomito, a vent’anni si fidanza senta trasporto alcuno, con il cadetto Manuel Rodriguez Lonzano, pur così diverso per carattere e stile di vita. Convoglieranno a nozze ma non sarà il classico “e vissero felici e contenti”. La morte misteriosa di un figlio appena nato, getterà ombre su Carmen, che verrà ingiustamente accusata di infanticidio.

La sua vita da romanzo è appena all’inizio, quando decide di trasferirsi a Parigi, dove convergono gli spiriti migliori della sensibilità creativa, per dedicarsi alla pittura e dove frequenta artisti del calibro di Matisse, Man Ray e Pablo Picasso, che unitamente a celebri fotografi fanno a gara per immortalare la sua bellezza e catturarne la magia dello sguardo.

Anticonformista, libera e consapevole della potenza espressiva che spigionava il suo corpo, nel 1927 presenta nella sua casa-studio di Parigi una scelta di foto di suoi nudi molto audaci per quel periodo, amando dare scandalo nel mostrarsi in tutta la sua conturbante bellezza.  Gli uomini cadevano ai suoi piedi, i più affascinanti bohemien di Montmartre erano letteralmente stregati dai suoi occhi color smeraldo.

Carmen però è una donna irrequieta, curiosa e desiderosa di sperimentare, forse Parigi nel le basta e sente il forte richiamo del Messico, ben più stimolante dell’ambiente artistico del vecchio continente. Riapproda definitivamente ai luoghi d’origine, desiderosa di rinascere a nuova vita. Ed ecco che il destino la porta ad incontrare il vulcanologo, pittore, romanziere e rivoluzionario Gerardo Maurillo, in arte Dr. Atl. Ebbe con lui una passionale e scandalosa storia d’amore, una relazione tormentata, fatta di passione, tradimenti e violente scenate di gelosia. Fu lui a darle il nome di Nahui Olin, che nell’ antica lingua Nahuatl sta a significare il “quarto movimento rinnovatore dei cicli del cosmo” ossia il moto perpetuo, un’energia che irradia luce e la diffonde attorno a sé secondo l’antica cultura precolombiana.

L’epoca in cui si trova a vivere Nahui Olin è il Messico in fiamme dei tumulti operai e contadini, delle rivoluzioni tradite di Zapata e Pancho Villa. L’arte fa da ecco a questi fermenti, uscendo dai musei e dagli atelier, riscoprendo le tradizioni indigene, i muri e le strade si colorano di splendidi Murales, diventando strumenti e testimoni di lotta.  L’arte è concepita per il popolo, sono gli anni di Frida Kalo, Tina Modotti e Diego Rivera. Quest’ultimo immortalò Nahui promettendole “l’eternità in un affresco”.
E’ un’epoca di straordinaria creatività culturale, in cui le donne erano protagoniste della vera rivoluzione. La stessa parola “femminismo” nasce in Messico, quando si formano le prime Ligas Feministas., “non ricordateci tristi: ci siamo divertite, nei nostri giorni luminosi. Abbiamo appassionatamente preso a morsi la vita”.

Dopo aver trascorso una vita di eccessi e provocazioni, iniziò a sentirsi sola, le donne che avevano condiviso con lei la stagione dei tabù infranti e della libertà sessuale, erano volate altrove, Carmen uscì di scena prima della fine dello spettacolo. Si trasferì a Veracruz, armata solo di un cavalletto, di colori e pennelli. Inizia a ritrarre la vita quotidiana dei villaggi, le case umili, i pescatori, le feste patronali, donne e uomini dai volti allegri, cogliendo gli aspetti più semplici e diretti della realtà circostante.

Ben presto si ritrovò avvolta dal tepore di rapporti umani veri e genuini, iniziarono a chiamarla “La Pintora”, la bella pittrice arrivata da Città del Messico. Finalmente Carmen si sta riappacificando con il Mondo intero, assapora la vita lentamente, senza più quella voracità che ne aveva contraddistinto gli anni giovanili. E’ in questo ritrovato clima di pace interiore che un giorno, mentre era intenta a dipingere sul molo di Veracruz, vede scendere da una grande nave da crociera un uomo elegante, impeccabile nella sua uniforme blu oltremare. Grandi occhi scuri, il viso dai tratti marcati, lo sguardo abituato a scrutare orizzonti oceanici.

Era il Capitano di lungo corso Eugenio Agacino, una forza sconosciuta fece incontrare i loro sguardi, gli occhi color smeraldo di Carmen possedevano ancora la potenza di un tempo. Il loro fu un amore intenso, totalizzante e gioioso, che a causa di un destino infausto duro solo cinque anni. La notte di Natale del 1934 il Capitano Eugenio Agacino purtroppo non sopravvisse ad un’intossicazione da ostriche avariate, gettando nella disperazione assoluta la sua Carmen. Da quel momento si aggira per il molo di Veracruz aspettando di veder spuntare la nave del suo Capitano.

Con l’aria di chi ha perso tutto dopo aver posseduto molto, decide di ritornare a Città del Messico, si circonda di gatti, alcuni vivi ed altri impagliati, che accudisce quotidianamente.  Per raccimolare qualche soldo vaga per le strade sonnambolica, dentro un abito logoro, i capelli tagliati alla garçonne, gli occhi color smeraldo “abbastanza grandi da contenere tutto il mare”, avvicinando i passanti e vendendo per pochi pesos vecchie foto in bianco e nero che la ritraevano nuda e bellissima.
La notte la trascorre avvolta in un lenzuolo, nel quale lei stessa ha dipinto a grandezza naturale il suo Capitano, che la cinge così in un eterno abbraccio.

 

Gian Carlo Suar: dalla “Maremma amara” alla Solvay a Ferrara, una storia che attraversa quasi un secolo

Cosa ci rende un paese in crisi demografica e come provare a uscirne

Cosa ci rende un paese in crisi demografica e come provare a uscirne

Di Alessandro Rosina*
Pubblicato da Comune-info il 2 aprile 2025

La transizione demografica si è trasformata in crisi, in Italia, dal 1984. Invecchiate anche le “generazioni abbondanti”, abbiamo pochi potenziali genitori e pochi potenziali lavoratori. Per uscirne, ci sono due strategie, da attuare contemporaneamente.

La transizione demografica

Per un lungo periodo nella storia dell’umanità, fino a poche generazioni fa, il tasso di fecondità è stato attorno o superiore alla media dei cinque figli per donna. Un valore elevato? No, necessario per dare continuità alla popolazione compensando gli elevati rischi di morte. Al momento dell’Unità d’Italia, oltre un nato su cinque non arrivava al primo compleanno e solo meno della metà dei figli raggiungeva l’età dei propri genitori.

Il passaggio dagli alti livelli di mortalità e natalità del passato a quelli bassi attuali è noto come transizione demografica. Si tratta di un cambiamento di coordinate del sistema demografico a cui corrisponde un abbassamento da cinque (e oltre) a due del livello di fecondità necessario per un equilibrato ricambio generazionale. Quando i rischi di morte dalla nascita fino all’età adulta scendono su livelli molto bassi, infatti, sono sufficienti due figli in media per sostituire i due genitori.

I paesi con tasso di fecondità sceso a due figli per donna e stabilizzato attorno a tale soglia tendono a perdere la struttura per età fatta a piramide (molti giovani e pochi anziani) e ad acquisirne una con base e parte centrale simile a un rettangolo. La punta in età avanzata si allarga e si alza, per effetto della longevità, ma la base rimane solida. Questo consente di investire risorse sulla qualità degli anni in più di vita grazie a una popolazione in età lavorativa che non si indebolisce.

Lo stesso risultato si può ottenere anche con un tasso di fecondità che scende poco sotto i due figli per donna, se la riduzione delle nuove generazioni è efficacemente compensata dall’immigrazione.

Da transizione a crisi

La “transizione” (passaggio da un vecchio a un nuovo equilibrio) diventa “crisi” demografica (squilibri crescenti) quando il numero medio di figli scende su valori molto bassi (sotto 1,5) e rimane a lungo sotto tale soglia. In tal caso, gli squilibri nel rapporto tra generazioni diventano sempre più ampi, dato che le nascite, oltre a diminuire per la fecondità molto bassa, vengono depresse dal fatto che i potenziali genitori sono sempre di meno. La struttura demografica perde la sua stabilità con una base che diventa via via più stretta rispetto alle fasce più mature.

L’Italia è in crisi demografica dal 1984, ovvero da quando il tasso di fecondità è sceso persistentemente sotto 1,5. L’impatto del crollo è stato tale che attorno alla metà degli anni Novanta siamo diventati il primo paese al mondo in cui gli under 15 sono scesi sotto i 65enni e oltre. Al centro dell’età adulta c’erano però ancora le generazioni abbondanti nate quando il numero medio di figli per donna era sopra a due. L’abbondanza di popolazione in età lavorativa ha portato la politica, anzi la classe dirigente in senso ampio, a sottovalutare la crisi demografica. Ma era evidente che a un certo punto le generazioni abbondanti sarebbero diventate anziane e quelle demograficamente deboli sarebbero entrate in età lavorativa.

Fonte Istat

Quel momento è ora arrivato. Lo scenario però nel frattempo è ulteriormente peggiorato per due motivi. Il primo è che le dinamiche più recenti della fecondità anziché evidenziare una risalita verso e sopra 1,5 figli per donna, hanno visto una nuova diminuzione (da 1,44 del 2010 a 1,18 del 2024).
Il secondo è l’entrata in età riproduttiva delle generazioni figlie della denatalità passata, se così si può dire. La crisi demografica è, infatti, soprattutto crollo dei genitori, sia perché si riduce il numero delle persone in età da esserlo sia perché si riduce la quota di chi lo diventa. Ne derivano ancor meno nascite e genitori futuri.

Due strategie concomitanti

La riduzione dei potenziali genitori è anche riduzione dei potenziali lavoratori. La prima strategia da mettere in atto è quindi quella di consentire alle generazioni che entrano in età adulta e nel mercato del lavoro di trovare condizioni adeguate a realizzare in pieno i propri progetti professionali e di vita.
È un dato di fatto che sulle politiche che favoriscono tali condizioni (formazione professionale e terziaria, politiche attive del lavoro, investimenti in ricerca e sviluppo, costo degli affitti, strumenti di conciliazione tra vita e lavoro) i giovani italiani si trovano in situazioni sensibilmente peggiori rispetto ai coetanei europei. E il risultato è quello di accentuare nel paese non solo squilibri generazionali, ma anche di genere e sociali.

La seconda strategia è l’immigrazione, che consente di rafforzare la platea degli occupati, rispondendo alla carenza di manodopera in molti settori.

Non si tratta di due strategie alternative, ma concomitanti. Da un lato, l’immigrazione solo in parte è in grado di compensare gli squilibri nel rapporto tra popolazione anziana e attiva. D’altro lato, se non migliorano le politiche generazionali e di genere, giovani e donne con background migratorio si troveranno ancor più in difficoltà. I dati mostrano, del resto, una tendenziale convergenza della fecondità dei cittadini stranieri verso i bassi valori italiani.

Dobbiamo soprattutto essere consapevoli che finché rimarrà più debole la condizione delle nuove generazioni e (ancor più) delle donne in Italia rispetto al resto d’Europa, non solo la natalità rimarrà più bassa, ma saranno anche sempre più coloro che sceglieranno di diventare lavoratori e genitori altrove. I recenti dati pubblicati dall’Istat sono semplicemente coerenti con questo quadro.

Alessandro Rosina*
Alessandro Rosina è professore è ordinario di Demografia e Statistica sociale alla Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano, dove dirige il “Center for Applied Statistics in Business and Economics”. E’, inoltre, Consigliere esperto del CNEL, coordinatore scientifico dell’”Osservatorio giovani” dell’Istituto Toniolo, co-coordinatore di Alleanza per l’Infanzia, membro del comitato di direzione di Osservatorio senior e di Futura Network (ASviS).

LIBERIAMO FERRARA DA HERA
Rifiuti: arriva la Petizione. Firmiamola!

Care cittadine e cittadini di Ferrara,
continua la nostra iniziativa per sostenere la ripubblicizzazione del servizio rifiuti e, successivamente, il passaggio alla modalità di raccolta porta a porta e il dimezzamento dell’incenerimento.

Dopo la campagna di comunicazione, il flash mob realizzato il 22 febbraio scorso davanti allo sportello di Hera e l’importante convegno di approfondimento del 27 marzo, lanciamo ora una petizione online per dare forza a quegli obiettivi. 

La petizione si può firmare andando al seguente link http://www.change.org/Liberiamo_ferrara_da_hera

Vi chiediamo  non solo di sottoscriverla, ma anche di diffonderla a tutti i vostri contatti e promuovere la raccolta firme, via mail, social ( wa e pagine Fb). Pensiamo abbiate presente l’importanza di raccogliere migliaia di firme sotto la stessa, visto che il risultato che raggiungeremo costituirà non solo una verifica del consenso della nostra iniziativa, ma anche la possibilità che l’Amministrazione comunale riveda la propria posizione a favore della gara, e cioè riconsegnare ad Hera la gestione del servizio per i prossimi 15-20 anni.

Inoltre, venerdì 11 marzo dalle 11 alle 12 organizziamo un nuovo flash mob sotto il Volto del Cavallo per dare ancora più forza e risalto alla nostra iniziativa: vi invitiamo ad essere presenti e a far partecipare anche altre persone ( vedi volantino in allegato).

Infine, vi informiamo che abbiamo chiesto all’assessore Balboni, a mezzo stampa e direttamente a lui, che l’Amministrazione comunale organizzi un’assemblea pubblica rivolta a tutta la cittadinanza per discutere sulla politica dei rifiuti e sul futuro della gestione del servizio. L’abbiamo fatto anche perchè, nonostante l’invito che gli avevamo rivolto, l’assessore ha preferito non venire al nostro convegno del 27 marzo. Vedremo la sua risposta e così potremo valutare anche l’interesse che l’Amministrazione dimostra nel coinvolgimento della cittadinanza.

In attesa di una vostra forte partecipazione alle varie iniziative, un caro saluto.

FORUM FERRARA PARTECIPATA
RETE GIUSTIZIA CLIMATICA FERRARA