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San Giorgio, il Drago, la Principessa

San Giorgio, il Drago, la Principessa

La storia che segue, ambientata nella città Estense, è poco più di una favola. I tre protagonisti nascono e vivono nel fumo della fantasia, ma per qualsiasi ferrarese sarà facile scoprirne il vero volto e dargli un nome.

San Giorgio

Il 23 aprile è San Giorgio, a Ferrara è festa. Probabilmente questo Giorgio (George il Cavaliere) non è mai esistito, dubbia comunque  la sua efficacia come santo protettore, visto l’inarrestabile declino della città. Non fa niente, Giorgio continua a uccidere il drago e a liberare la principessa in un’infinita iconologia: ovviamente il mio preferito è il San Giorgio di Cosmé Tura al museo del Duomo .

Cosmé Tura, San Giorgio e il drago, particolare

Stringi stringi, la cosa che più conta – almeno finché qualche governo non deciderà di abolirla – è LA FESTA. Il 23 aprile è la festa di tutta la comunità cittadina: la Fiera del Montagnone, il riposo da scuola e dal lavoro, e il passeggio, le bancarelle, le giostre, lo zucchero filato… spero proprio non abbiano smesso di filarlo: sento ancora la voce di mio padre: “Attento Checco, che plicca!”.
La Fiera di San Giorgio, per me e credo per tutti i ferraresi, è quindi sinonimo di infanzia, di un’ora serena. Oggi, nel delirio del consumo, la Fiera non è più la grande attrazione. Siamo diventati grandi, irrimediabilmente. Ma c’è di peggio: da tempo è proprio la serenità che ci ha abbandonato. Ha imboccato via Piopponi, raggiunto la Casa del Boia e valicato le Mura. Addio. Scappata. Sparita.
Oggi a Ferrara nemmeno un’oncia di serenità. Ferrara va alle elezioni sempre più povera, più divisa, più disillusa, più indifferente.

Il Drago, il prode Anselmo e la principessa Anna

Quando è successo questo disastro umano ed urbano? Non saprei mettere una data precisa, ma sono anni, almeno vent’anni che la città scende la china. Come abbiamo vissuto? Maluccio, senza lode e senza infamia, ma Ferrara in qualche modo tirava avanti, la testa appena fuori dall’acqua. Poi un giorno è arrivato il Drago. Un giorno di giugno di 5 anni fa, lo ricordo come ieri, quando ho visto per la prima volta il nuovo signore e padrone di Ferrara. Non sembrava neppure feroce, era un Drago vestito di modernità, che non sputava fuoco, ma raccontava balle e distribuiva favori. Gli piacevano i brindisi e le feste. Ma intanto diventavamo sempre più poveri. Per Ferrara non era più decadenza, era la notte della democrazia.

Sarà possibile cacciare da questa landa il Drago con il codino? Assisteremo a un coraggioso duello, a uno scontro frontale, al miracolo di un lieto fine per un popolo stanco di feste e di menzogne. Speriamo. Sarebbe anche già pronto il posto giusto dove alloggiare il Drago sconfitto. Non la solita caverna ma un nuovissimo vulcano, simbolo dell’ultimo orrendo insulto edilizio.  Dentro quel comodo buco potrebbe dormire un paio di secoli: dicono che i draghi abbiano il sonno pesante.

L’intervento in piazza Cortevecchia, in pieno centro storico

Improvvisamente ho visto stagliarsi all’orizzonte e scendere in campo due prodi volontari. Ecco il prode Anselmo, ed ecco la principessa Anna. Il primo ha voce tonante, dichiara un battaglione al seguito, anche se la ruggine non fa risplendere la sua armatura e appare un po’ ingobbito da un pesante bagaglio. La principessa Anna invece sta già correndo incontro all’avversario, ha deciso di liberarsi  dalla schiavitù che opprime lei e tutto il suo popolo. Senza armatura. E senza l’aiuto di San Giorgio.

Per conoscere l’esito di un duello ancora incerto e il nome della vincitrice o del vincitore, basta attendere poche settimane. Sarà allora il momento di scegliere il proprio eroe e la propria insegna per amore di Ferrara.

In copertina: Cosmé Tura, San Giorgio e il drago, La principessa, particolare

Per gli articoli di Francesco Monini su Periscopio clicca sul nome dell’Autore

Diario in pubblico /
Canfora-Scurati. 2 alla volta

Diario in pubblico. Canfora-Scurati. 2 alla volta

 Ancora una volta la “guerra ideologica” si svolge coinvolgendo i cosiddetti intellettuali che, come è stato e sarà, rimangono la cartina di tornasole necessaria a confrontarsi con la politica come e comunque spiri il vento. Stupisce però che l’alzo zero della destra al governo si rivolga a due popolarissimi e da tutti stimati pensatori che non rappresentano solo la posizione di una fantomatica sinistra che fino a questo momento sembra se non disorientata certamente cauta, troppo a mio parere, nel denunciare l’accaduto.
E ciò che mi stupisce che in una città coinvolta nelle imminenti elezioni non si sia presa una decisa e chiara presa di posizione in vista proprio delle imminenti elezioni. Un importante rappresentante della sinistra mi bofonchia che è molto meglio non usare troppo il termine “Pd” e scivolare sul pericoloso versante usando semmai solo il termine sinistra. Non so se in questa domenica (il natale di Roma….) in cui si svolgono importanti manifestazioni la “ sinistra” avrà il coraggio ( almeno così lo ritengo) di sollevare la questione, Oppure sarà più utile tacere? Ai posteri l’ardua sentenza.

Ancora una volta devo citare l’esortazione dell’amico Fiorenzo Baratelli che scrive oggi:

“Abbiamo letto il testo di Scurati, e comprendiamo l’ira di ‘questa’ destra sciagurata che non ne vuole sapere di riconoscere l’antifascismo come fondamento della nostra democrazia repubblicana, nata dalla Resistenza e dal sacrificio di tanti partigiani e dei loro dirigenti martiri: Giacomo Matteotti, Giovanni Amendola, Piero Gobetti, i fratelli Rosselli, Antonio Gramsci, Leone Ginzburg, Eugenio Curiel.” Dunque, una destra “sciagurata” ma perché l’uso di questo aggettivo? Dove sta la sciagura? E qui non si tratta di un film dove un personaggio porta quel nome ma di un giudizio democraticamente espresso su un’azione politica. E allora?

Ma vediamo da vicino dove sta il “peccato” commesso dai due pensatori.

Di Luciano Canfora basta leggere il suo curriculum per capire l’importanza scientifica del suo pensiero. E anche l’aspetto fisico conferma questa sua qualità. L’ho conosciuto proprio qui a Ferrara nonostante che nessuno lo abbia per ora ricordato. E dove? al Meis quando il 21 settembre 2021 presentò la Festa del libro ebraico e tenne una fondamentale Lectio magistralis. Un dato curioso che serve almeno ad alleggerire la questione è nei nomi (Nomina sunt numina!) con cui Canfora si è confrontato e si confronta: Carlo Sisi, Carlo Greppi, Carlo Ginzburg, Carlo Maria Cipolla! La squadra dei Carli….

Antonio Scurati venne al Libraccio a presentare il suo libro che ottenne molto successo anche di vendite.

Ora resta da concludere come e perché la destra abbia così pesantemente agito in una ristrutturazione delle reti pubbliche che sembra abbiano rafforzato invece il sistema di un terzo polo. E i “nomi” che hanno affrettato il trapasso hanno reso più probabile la profonda trasformazione della informazione televisiva che presso i giovani diventa sempre più obsoleta.

Purtroppo, il traino è dato da altri sistemi che le giovani generazioni inseguono e frequentano. Però che si trascuri la conoscenza per la moda helas! fa soffrire chi scrive queste note.

Per leggere gli altri articoli di Diario in pubblico la rubrica di Gianni Venturi clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

Appendice

Il testo di Scurati censurato

Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro.

Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania.

In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944.

Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati.

Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia?

Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via.

Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023).

Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana.

Cover: Antonio Scurati – foto da radiopopolare.it

Elezioni a Ferrara: Fabbri non è sostenibile!

Lunedì 22 aprile, in occasione della Giornata della Terra, a Milano si sta tenendo una iniziativa molto importante sul diritto di tutte e tutti a respirare un’aria pulita. A lanciarla sono stati congiuntamente i sindaci di Milano, Bologna, Torino, Venezia e Treviso, con una lettera invito a partecipare, indirizzata ai Primi Cittadini e alle Prime Cittadine dei comuni della Pianura Padana.

I Sindaci ricordano che quello dell’inquinamento è un tema urgentissimo perché ne va della salute delle cittadine e dei cittadini. Va affrontato con rigore e a partire dai nostri territori, consapevoli che “quando parliamo di aria non possiamo limitarci ad indossare le lenti del perimetro comunale, ma dobbiamo necessariamente considerare l’intera Pianura Padana”.

Il Sindaco Fabbri? Non ci risulta a Milano e questo ci sembra davvero grave!


C’è urgenza di accelerare la transizione
attraverso il protagonismo dei Comuni e delle Comunità locali e con azioni di sistema.
Per questo motivo, nel mio programma, è già tracciato il percorso per “mettere a terra” i grandi obiettivi dell’agenda 2030 (www.lacomunediferrara.it )in particolare punto 4) e per questo ho ricevuto il logo di Candidata Sostenibile da parte della Rete dei Comuni Sostenibili, l’associazione nazionale più grande in Europa di Comuni, Province, Città Metropolitane e Regioni che si dedicano al raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica.
Mi sono impegnata alla realizzazione del Rapporto di Sostenibilità e dell’Agenda 2030 attraverso il monitoraggio volontario delle politiche locali, la pianificazione della strategia, la definizione degli obiettivi di miglioramento, azioni e progetti concreti, il coinvolgimento delle comunità locali.

Anna Zonari
Candidata a Sindaca di Ferrara

I fanatici della vita, purché non sia la vita delle donne

I fanatici della vita, purché non sia la vita delle donne

La stampa del 17 aprile riporta lo scontro fra la ministra delle pari opportunità spagnola Ana Redondo e Giorgia Meloni sull’emendamento al dl sul Pnrr che prevede il coinvolgimento nei consultori di “soggetti del terzo settore  che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità”, intendendo, ovviamente, le associazioni pro-life contrarie all’aborto. Alla logica accusa di pianificare “pressioni organizzate contro le donne che vogliono interrompere una gravidanza”, la Meloni risponde sprezzante: gli “ignoranti non diano lezioni”. A dimostrazione di aver perso una buona occasione per tacere e per praticare la virtù di cui è più carente, l’umiltà, la premier italiana si è beccata immediatamente una lezione di gestione politica dall’Unione Europea, che le ha ricordato di non inserire nel Pnrr “norme che le sono estranee, come ad esempio la legge sull’aborto”. L’emendamento, cioè, pur non prevedendo un finanziamento diretto con i fondi del Next Generation Eu, non è in linea con quanto concordato per il Piano nazionale di ripresa e resilienza finanziato dall’Unione Europea.

La Meloni non è sola nelle figuracce politiche che riempiono di commenti i quotidiani, ma le condivide con Bruno Vespa, che ha avuto il pessimo gusto di dedicare la puntata del 18 aprile di Porta a Porta ai temi dell’aborto e della legge 194, invitando sette uomini e nessuna donna. La “distrazione” gli è costata la lettera di richiamo della presidente della Rai Marinella Soldi che gli ha ricordato il rispetto delle norme di equilibrio di genere nel dibattere qualsiasi tema, “in particolare su un tema così sensibile e che chiama direttamente in causa direttamente il corpo delle donne”.  La mancanza di stile di Vespa merita la risposta ironica della giornalista Assia Neumann Dayan che scrive scherzosamente sulla Stampa di essere stata invitata dal servizio pubblico a parlare di andropausa, insieme a sei sue amiche, mettendo in rilievo quanto la trasmissione si sia rivelata più ridicola che minacciosa per le donne.

Entrando nel merito della pericolosità dell’emendamento di FdI al Pnrr, si può concordare sul fatto che la legge 194 necessiti di una piena attuazione, ma per motivi diametralmente opposti a quelli presentati dal governo. Innanzitutto i luoghi deputati all’applicazione della legge, i consultori, sono il 60% in meno di quelli necessari, secondo l’indagine più recente dell’Istituto superiore di Sanità del 2018-1019. A fronte del numero stabilito dalla legge 34 del 1996, che ne prevede uno ogni 20.000 abitanti, sono attualmente uno ogni 32.325 residenti, per un totale di 1.800 sul territorio nazionale. A fronte del progressivo accorpamento, smantellamento, impoverimento di personale dei consultori pubblici, si moltiplicano quelli privati, sulla base della rete di mobilitazione ispirata dal Vaticano in “Agenda Europa” .

All’interno dei consultori pubblici rimanenti il numero di obiettori di coscienza, fra medici, assistenti sociali e psicologi, spesso raggiunge quasi la totalità del personale. Da notare, in tema di prevenzione dell’ interruzione volontaria di gravidanza, prevista dalla legge, che gli antiabortisti sono contrari anche alla somministrazione alla pillola del giorno dopo (o dei cinque giorni dopo). La somministrazione immediata eviterebbe molte interruzioni di gravidanze indesiderate, sventando il pericolo dell’introduzione dell’orribile legge di iniziativa popolare (per fortuna ferma) che introduce nell’art.14 della legge 194 del 22 maggio 1978 il comma 1-bis: “Il medico che effettua la visita che precede l’interruzione volontaria di gravidanza ai sensi della presente legge, è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso”. Chi riesce comunque a pervenire alla pillola del giorno dopo la trova in commercio al prezzo di 26,85 euro, una cifra molto alta perché considerato farmaco non essenziale, con un prezzo difficilmente accessibile, specialmente per giovani ragazze. Da sottolineare, come afferma Graziella Bastelli, attivista di Non una di meno, che nei consultori non sarebbe prevista l’obiezione, come stabilisce una sentenza del Tar del Lazio del 2016, opzione possibile solo per il personale che opera negli ospedali pubblici. Questo sta a dimostrare che, al momento attuale, l’iter che intraprende una donna per interrompere volontariamente una gravidanza è già abbondantemente costellato di figure che tentano di dissuaderla. Se l’intento del governo fosse coerente con quanto afferma, cioè di voler dare piena applicazione a una legge già esistente da decenni, come la 194, avrebbe cominciato con il contrastare la china del sottodimensionamento dei consultori pubblici e a dare piena attuazione al dovere dei medici che lavorano nei consultori di fornire i certificati necessari per l’interruzione di gravidanza e/o i contraccettivi di emergenza (pillola del giorno dopo) che permettono di evitarla.

Risulta invece evidente un subdolo e continuo attacco al diritto di autodeterminazione delle donne, colpevolizzate in modo esclusivo nel momento estremamente difficile della scelta. Dal punto di vista culturale, in tema di prevenzione, l’educazione affettiva o sessuale prevista nelle scuole, in cui siamo in notevole ritardo rispetto agli altri Paesi europei, dovrebbe responsabilizzare all’uso degli anticoncezionali anche i maschi, alleggerendo le donne dalla responsabilità integrale della tutela da malattie sessualmente trasmissibili e gravidanze indesiderate. L’arretratezza culturale che contraddistingue la politica familista del governo italiano risulta, fra l’altro, in netta controtendenza rispetto all’Unione Europea, dove la Francia mette il diritto di aborto nella propria Costituzione e l’Europarlamento ha votato una risoluzione per inserire il diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.

 

Photo cover repertorio LaPresse

 

Per certi versi / IL MESE DELLA LIBERAZIONE

IL MESE DELLA LIBERAZIONE

al cimitero
Solo
Con gli uccellini
L’ombra
E la luce
Colorata di aprile
Il nostro mese
Babbo
Il mese della Liberazione
Parlo con te
Ricordo
I tuoi ricordi
Il tuo nonno
Trafitto dai neri
Una pozza
Rossa
Diventò
Un garofano
È anche questo
il segreto
Della nostra
Vita
Tutti i
Fabbri del pensiero
Di fronte
Al mistero
Della sorte
Sono un pugno
Di sabbia
Nel deserto
Senza fine

 Cover: immagine storica tratta da www.studenti.it

Ogni domenica Periscopio ospita Per certi versi, angolo di poesia che presenta le liriche di Roberto Dall’Olio.
Per leggere tutte le altre poesie dell’autore, clicca [Qui]

LA CASA, GLI ANZIANI, IL COHOUSING: I NOSTRI ULTIMI TRENT’ANNI

LA CASA, GLI ANZIANI, IL COHOUSING: I NOSTRI ULTIMI TRENT’ANNI

Sono sollevata di invecchiare, mi godo ogni momento di questi anni; ho avuto storie, figli; ora ho dei nipoti, e davanti a me forse ancora un paio di decenni da trascorrere in autonomia e libertà. Ho scelto di vivere in un Cohousing qui a Ferrara, ossia in un condominio con spazi comuni, dove persone giovani e anziane condividono la vita di tutti i giorni in un giusto mix di autonomia e socialità. Ogni settimana riceviamo da tutta Italia almeno due o tre telefonate di persone anziane che cercano una soluzione abitativa simile, disposte anche a cambiare abitudini, amici, città pur di vivere in modalità comunitaria. Sono quasi tutte persone comprese nella fascia di età che va dai 60-65 anni (l’età della pensione) agli 85-90 (cioè il momento in cui si perde l’autosufficienza): sono circa trent’anni di vita. Trent’anni in cui, pur dedicandosi ad attività di volontariato e di svago, si teme la solitudine e si vorrebbe condividere il tempo rimasto, sostenendosi a vicenda in amicizia e serenità.

Ferrara è una delle città italiane con il maggior numero di anziani. L’Italia, insieme al Giappone, detiene il primato di nazione più vecchia del mondo: ciò significa che tra dieci anni gli asili e le scuole ferraresi caleranno a vista d’occhio, e che la popolazione sarà costituita in maggioranza da anziani, molti dei quali soli, per vedovanza o per scelta.

In molti paesi europei il governo ha stanziato dei fondi per costruire piccole strutture in centro città, strutture che permettono alle persone anziane di mantenere la loro indipendenza vivendo una vita dignitosa e a costo calmierato. L’idea alla base di questa iniziativa è quella di recuperare l’investimento fatto riducendo i costi della salute, perché più si è soli più ci si ammala; la solitudine infatti non costituisce soltanto uno status sociale problematico, ma incrementa il rischio di morte prematura.

Ferrara ha una grande domanda abitativa inevasa. Tra le case popolari ci sono centinaia di alloggi di vecchia costruzione vuoti, che necessitano di una profonda ristrutturazione. Per restaurarli e renderli disponibili, serve l’impegno di Comune e Regione.

Il Comune di Ferrara potrebbe creare dei Bandi per case popolari in cui unire l’Housing sociale al Cohousing, come ha fatto il Comune di Bologna con Porto15”, esperienza fantastica e interamente pubblica che ha portato all’assegnazione di 18 alloggi a chi, oltre a soddisfare altri requisiti, ha dimostrato di essere disposto a condividere il proprio tempo con i vicini per migliorare i rapporti interpersonali. L’esperimento, molto ben strutturato, ha avuto grande successo ed è stato copiato da altre Amministrazioni, come ad esempio quella di Albiano in Trentino.

I destinatari del Bando potrebbero essere gli anziani ma anche soggetti più giovani, come le famiglie monoparentali o gli studenti: un condominio intergenerazionale è sempre una ricca fonte di scambi reciproci. Sono indispensabili spazi comuni di aggregazione, interni ed esterni, e un percorso di formazione prima dell’ingresso e durante la permanenza negli alloggi, perché l’arte del vivere insieme non si può mai dare per scontata. Un percorso impegnativo, che però funziona – lo dimostrano i tanti esperimenti, anche privati, in atto in tutta Italia – e che porterebbe a un rinnovamento positivo delle politiche abitative del Comune di Ferrara, per regalare a noi anziani trenta ultimi, splendidi anni di vita.

Alida Nepa
Cohousing ‘Solidaria’ – Ferrara

In lista per la candidata sindaca Anna Zonari

Laboratorio di poesia in carcere:
le parole per dire il “dentro” e il “fuori”

Laboratorio di poesia in carcere: le parole per dire il “dentro” e il “fuori”.

di Roberta Barbieri, Lucia Boni, Angela Soriani

Parafrasando Patrizia Cavalli possiamo affermare che sì, le poesie non salveranno il mondo, ma ci offrono spiragli di senso sulla sua complessità. Attraverso le sue molteplici e innumerevoli forme si dispiegano strade aperte o sentieri segreti,  possibilità di racconto o di gioco, deflagrante musicalità, sfogo, ribellione, ironia. Libertà insomma.

È su queste basi che come volontari di Ultimo Rosso, tra Febbraio e Aprile 2024, abbiamo proposto un percorso sulla poesia nella Casa Circondariale di Ferrara: sei incontri aperti a detenuti interessati all’argomento. Con la collaborazione di Annamaria Romano e delle altre educatrici della struttura, e con la consulenza di Mauro Presini,  le attività sono state condotte da Roberta Barbieri, Lucia Boni,  Cristiano Mazzoni, Francesco Monini, Angela Soriani.

A rimarcare che la poesia “è inseparabile compagna”, come ricorda Andrea Zerbini (“Le ceneri della poesia” in Periscopio, Febbraio 2024), le sue tematiche generali sono state affrontate in cerchio per irradiare la relazione, mescolando i “dentro” e i “fuori” e  inframmezzando le conversazioni con letture di autori più o meno noti. I testi che proponiamo sono stati realizzati dai partecipanti nelle attività  delineate di volta in volta, tenendo anche conto con particolare considerazione delle richieste formulate dagli stessi.

Riportiamo di seguito, in forma anonima, alcuni testi particolarmente significativi realizzati in ognuna delle attività affrontate. Vorremmo che trasparissero la qualità e l’originalità dei testi come frutto della coesione del gruppo, del rispetto e della disponibilità reciproca.

Testi dopo la cancellazione (esercizi di poesia visiva: da una pagina stampata si scelgono poche parole cancellando tutte le altre, si combinano liberamente quelle prescelte per  comporre la nuova immagine che contiene il testo poetico) 

La scultura:
il tempestivo utilizzo della scultura fornisce
una intensità di espressione
nella scuola d’arte ‘dei Pagliai’.
Dall’esercizio della scultura
derivano momenti con gesti e spazio
e variazione che equilibrano l’armonia
nella realizzazione di una chiocciola, con sequenza di un flusso vibrante.

La fortuna è insolenza
deliberata.
Audacia è un’arte fuori del tempo.
Ambizioso, ingenuo, affascinante,
intelligente l’esposizione dell’ironia.

Umana aura.
Sentimentali etiche teologiche geometriche.
Tra la chioma degli alberi resta buia.
È una rivoluzione.
Fiori divengono fiumi in movimento
A guidare il pensiero di un popolo.

L’Arte
queste parole
scienza, positivismo …
Mio scopo
Pensano regolare.

Labile eternità
ritmo alieno
frenetica illusione
indistinto, trionfale, febbrile
privilegio.

Pseudo HAIKU (dal componimento classico giapponese si trae ispirazione per nuove composizioni)

fotografare
rivedere la foto
sconvolgimento

sole a quadri
bisturi che mutilano
un mondo negato

abbraccio scuro della notte
con silenzio, sugli alberi
il sonno presto ci cullerà

il suono del vento
nei campi di neve
delle erbe nuove

farfalle di polvere
danzano in una luce
che entra, o forse esce?

c’era una volta tapine tapù
sotto il ponte di legno tapine tapù
due ragazze tapine tapù.
La polizia espose un cartello tapine tapù
che era scritto così:
Tapine tapù.

Parole esplose (si compone il campo semantico di una parola-chiave trascritta su un supporto di carta colorata a forma di raggera)

ONDE – profumo dune segni che svaniscono capelli lingua del vento colline marea cerchi nell’acqua sonore non si trasmettono nell’aria

Con le parole “d’affetto” salvate nel cestino (si pescano a caso alcune parole scelte e trascritte dai partecipanti in ogni incontro, poi collocate in forma anonima in un contenitore; la tessitura delle parole estratte porta a comporre testi poetici, alcuni con la struttura in strofe della canzone)

Rinascere da un comune caos
Caos comuni dai quali rinascere
Essere caos e rinforzarsi
Rinforzarsi ed essere: Matriarca

Ad un mondo mi incita
il torpore dell’anima.
Preferisco una scultura
ancora viva.
Alla conoscenza del nulla
preferisco la visione ardita
della
Nike di Samotracia

A CASO
Paci e baci
Baci e abbracci
Sangiovese
Son già prese
Son già spese
Apparendo
Solo aprendo
Ali di farfalle
Stracci di canaglie
Si sta bene
Meglio insieme
Ugo Foscolo
Al crepuscolo
Col ciauscolo
E il coniglio
Del carrello sono sveglio
Notte fonda
Scrivo meglio
Sopra l’onda
Sulla scia
Di amore e di follia

BLACK FRIDAY
Ci sono paci e paci
Quelle belle e quelle che ti dispiaci
Quelle che si stappa il Sangiovese
E quelle tese che apparendo paci sono spese
Sono prese
Sono intrise
Son finite
Sono sconfitte

Ci sono insieme e insieme
Quelli belli che stai tanto bene
Quelli stupendi come stormi di farfalle
E poi quelli stretti, che pesano alle vene e sulle spalle
Come ammucchiate
Come cataste
Con i conigli nelle gabbie
O il consumismo di etichette
Il crepuscolo della gente.

Roberta Barbieri, Lucia Boni, Angela Soriani

Quella cosa chiamata città /
La città corpo

La città corpo

Immaginiamo la città come un corpo che nella fase iniziale della sua vita si comporta come un organismo sano, plasmato dai fisiologici processi vitali associati all’accrescimento. Ad un certo punto, tale processo di crescita viene depistato da qualcosa che altera le relazioni tra le componenti che hanno dato forma e struttura all’organismo.

Collochiamo, per comodità, l’avvio di questo processo alterante al tempo della rivoluzione industriale e prendiamo atto che la causa sia dovuta all’accrescimento di parti spesso discontinue che, pur dichiarando l’appartenenza al corpo primigenio, non evidenziano chiare relazioni con esso. Ad uno sguardo analitico ci rendiamo conto che tale corpo non si può più definire “città” nel senso originario del termine, poiché assume sempre più la conformazione di una agglomerazione, o di una urbanizzazione, in ogni caso di un fenomeno non sinonimico rispetto all’organismo che l’ha generato (una città, un insediamento compatto).

Questo passaggio da città a urbanizzazione attraverserà diverse fasi e momenti della storia degli insediamenti urbani dando vita a diverse configurazioni o fenomenologie, sia morfologiche che sociali (metropolizzazione, periferizzazione, diffusione urbana, informalità, marginalità, ecc.).

In ogni caso, pensando alla mutazione climatica che stiamo vivendo e al fatto che questa si avvia con la rivoluzione industriale e accelera nel XX° secolo con l’emissione massiccia di CO2 in atmosfera, la città da organismo compatto e sano si trasforma in organismo informe che inizia ad evidenziare delle metastasi composte di cellule malate eppure vive, che ne attivano altre, in altre parti dell’organismo, mentre in alcuni casi si atrofizzano e muoiono, restando ferme al loro posto, abbandonate e dismesse.
I circuiti che creano le connessioni tra queste parti iniziano a perdere di fluidità a causa di emboli probabilmente generati, nel corso degli anni, da un difetto di manutenzione dell’organismo e da un sovraccarico di flussi, in particolare in alcuni nodi.
Per usare un’espressione comune stiamo parlando di un fenomeno (urbano) che continua a crescere, in dimensioni e percentuali variabili a seconda delle città e dei paesi e che potremmo, con termine tecnico, definire “consumo di suolo”.  Un processo fondato su alcuni ossimori non dichiarati ma evidenti, quali “progresso-miseria” o “ordine-disordine”. Del resto, secondo Pier Paolo Pasolini, non vi è nulla di più intrecciato che “ordine” e “disordine”.

Questa breve e incompleta riflessione per ribadire che il progresso che abbiamo ereditato dalla rivoluzione industriale si fonda ancora oggi su due assunti: agire come se le risorse naturali del pianeta fossero illimitate negare il tema delle diseguaglianze e della redistribuzione della ricchezza come aspetto strutturale del modello neoliberista globale.

Il minimo comune denominatore dell’evoluzione delle nostre città, dall’età Vittoriana ad oggi, è pertanto individuabile nel rapporto “miseria/opulenza” che riscontriamo nelle metropoli europee e occidentali nel corso dell’Ottocento e a inizio Novecento, e che oggi segnala una stabile condizione dei processi di metropolizzazione in corso nel mondo. Il tema della città sana e/o malata costituisce una delle manifestazioni più evidenti di tale rapporto e conflitto. Perché dentro una città malata e disordinata si può vivere in bolle sane e ordinate, basta non guardare ciò che ci sta attorno.

Cover: La prima rivoluzione industriale

Per leggere tutti gli articoli e gli interventi di Romeo Farinella, clicca sul nome dell’autore

Aperte le iscrizioni per partecipare alla 7ª edizione del Ferrara Film Corto Festival

La 7ª edizione del Ferrara Film Corto Festival (FFCF) si terrà dal 23 al 26 ottobre 2024 nel centro storico di Ferrara: al via il bando per l’invio dei cortometraggi

Tutti, autori di cinema, filmmaker indie e semplici appassionati che arricchiscono la cultura del cinema possono partecipare a un festival nazionale e internazionale diventato un importante appuntamento e occasione di incontro. Quest’anno saranno molte le novità.

La 7a edizione del Festival si svolgerà dal 23 al 26 Ottobre 2024 presso la Sala dell’ex refettorio di San Paolo, in via Boccaleone 19, sala che, dopo i restauri, il FFCF ha avuto l’onore di inaugurare ad ottobre 2023 per la 6a edizione, e presso la rinnovata Sala Estense, entrambe nel centro storico di Ferrara, città patrimonio dell’umanità UNESCO.

Queste le categorie per la partecipazione, con premi in targhe e danaro.

AMBIENTE È MUSICA

Categoria aperta ad autori nazionali e internazionali di qualsiasi età, che dovranno interpretare il tema “Ambiente è Musica”. La categoria è aperta a ogni genere di cortometraggio (max 25 minuti)

BUONA LA PRIMA

Categoria aperta ad autori italiani, o residenti in Italia, di qualsiasi età e dedicata unicamente a opere prime, a tema libero. La categoria è aperta a ogni genere di cortometraggio (max 25 minuti).

INDIEVERSO

 Categoria aperta ad ogni genere di cortometraggio, a tema libero, purché di produzione indipendente. La categoria è aperta ad autori nazionali e internazionali di ogni età (max 25 minuti).

FFCF è gestito da una squadra giovane e attenta alle tematiche ambientali, tema principale dei cortometraggi in gara e degli eventi collaterali. In questi anni ha instaurato collaborazioni con importanti festival italiani e stranieri e ha partecipato ad altri appuntamenti di prestigio, tra cui la Biennale di Venezia, il Sondrio Festival, il Caorle Film Festival, il Roma Film Corto, il Filmzeit Kaufbeuren, il Festival della Terra e lo European projects festival, primo festival della progettazione europea che si è svolto a Ferrara dal 4 al 6 aprile. Con questa realtà emergente si è avviata un’importante e fattiva collaborazione, volendo ora dare maggior risalto alla prospettiva europea del cinema.

Per dettagli e modalità di partecipazione: https://www.ferrarafilmcorto.it/

Parole a Capo /
Vincenzo Russo: “L’eterno sognatore” e altre poesie

“Beati coloro che si baceranno sempre al di là delle labbra, varcando il confine del piacere, per cibarsi dei sogni.”
(Alda Merini)

L’eterno sognatore

Odo il lamento del vento
che cavalca stanco
abbraccio la sua innocenza
ne accolgo i sussurri muti
come un vecchio albero,
orfano di freschi fiori,
sono un Re
in questo deserto infuocato
e sotto un cielo terso
è Principe il silenzio.
Errante e malandato
seguo la mia barca di carta
che questo cuore di eterno sognatore
ha inventato

 

Grazie Mamma

 

La vita, le origini, le nostre radici
non esisterebbero senza di te!
Sempre pronta ad aspettarci sull’uscio di casa,
con le tue ansie, paure, preoccupazioni.
In qualsiasi momento ti abbiamo cercata,
ci sei sempre stata,
puntuale come un battito di cuore.
Difficile il tuo mestiere, vero Mamma?
Dimmi, qual è il tuo segreto?
Come hai fatto a rimanere sempre
così bella, giovane e forte?
Il tempo non ti ha sfiorato!
Le tempeste che ci hanno colpito,
si sono infrante sul tuo scudo d’amore.
Dimmi Mamma,
ancora oggi saresti gelosa dei tuoi bambini?
Quante storie abbiamo vissuto,
quante amarezze ti abbiamo dato.
Nei nostri occhi riposerà il tuo ricordo,
brillerà, come il sole al mattino, la tua luce.
Sei la rosa dorata della nostra esistenza.
Grazie Mamma!

 

Come uragani

 

Come uragani tornano i pensieri,
tramortiscono
non chiedono il permesso,
Mi sento indifeso
Senza armatura
Vorrei entrare nel tuo intelletto
Carpirti le emozioni.
Il cuore è ferito, ricucito
Ma le tue gemme gli danno ancora luce
Occhi che piangono tristezza
Vita che ha sete di speranza
Non correggermi se il respiro diventa affannoso
Non chiedermi il perché
Ho solo voglia di abbracciare l’aria,
sentirla sulla pelle,
ho solo voglia di sapere
che so ancora amare

 

Auschwitz

 

In questa gelida notte
sono qui
A pugni chiusi
martello i sofferenti legni
da stazione a stazione
da dolore a dolore
mescolo sangue e sudore
avanza funesto il carrozzone
calpesta gli affetti
cancella i ricordi
ferreo e tedioso
il rumore delle rotaie
domina la mente,
di freddo inchiostro mi marchieranno
un granello di cenere nel vento sarò
non riesco a sorridere
il fumo sale lento
il viaggio è quasi finito
prossima fermata Auschwitz

 

Vincenzo Russo nasce ad Aversa l’8 marzo 1966. Nel luglio del 1990 si trasferisce, per motivi di lavoro, a Ferrara. dove tutt’ora risiede. La sua passione per la letteratura e la poesia si manifesta fin da ragazzo, quando inizia ad esprimere su carta i propri pensieri di poeta.
Si laurea in scienze dell’amministrazione presso la facoltà di giurisprudenza dell’università La Sapienza di Roma. È agli inizi degli anni 2000, quando partecipa a diversi concorsi letterari nazionali che le sue poesie prendono vita, ricevendo alcuni importanti riconoscimenti. Nel giugno 2022 realizza il suo primo libro, dal titolo “Quando il cuore sfugge”, dedicandosi ad un progetto destinato ad alcune associazioni locali senza fini di lucro. Nel 2023 esce l’opera letteraria/fotografica “Poeti al trivio – Dissonanze”, realizzata in collaborazione con gli scrittori Rita Consiglio e Nicola Corrado; organizza e coordina, altresì, l’iniziativa “Fantasie tricolori”.
Per il successo acquisito da quest’ultima, ottiene dall’editore Pasquale Gnasso la pubblicazione dell’opera omonima, contenente, tra l’altro, sei suoi componimenti all’uopo realizzati.
Nel 2024 organizza e coordina l’iniziativa poetica/letteraria “Il Giardino dei versi”. Sulla rubrica “Parole a Capo” sono uscite altre poesie di Vincenzo Russo il 31 marzo 2022 e l’8 giugno 2023.

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio. Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.

Crisi climatica: le nonne della svizzera vincono una battaglia

Crisi climatica: le nonne della svizzera vincono una battaglia

Martedì 9 aprile la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha stabilito che il Governo della Svizzera ha violato i diritti umani di un gruppo di anziane cittadine riunite nell’associazione delle Klimatseniorinnen, letteralmente “anziane per il clima”.
Da molte parti la sentenza viene definita storica, perché è la prima volta che la Corte annovera il diritto a un clima stabile tra i diritti umani, anche se nello stesso giorno ha respinto, per questioni procedurali, analoghi ricorsi promossi da sei giovani portoghesi e dall’ex sindaco di una cittadina francese. Le questioni affrontate nelle 260 pagine della sentenza della CEDU sono molte e complesse, ma vale la pena di soffermarsi su alcuni punti chiave, per le loro possibili ripercussioni che vanno ben oltre al caso specifico.

Il primo punto è il riconoscimento della crisi climatica come questione che mette in pericolo i diritti umani dei cittadini e delle cittadine dei 46 Paesi che aderiscono alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sul rispetto della quale vigila la CEDU. Si tratta del primo pronunciamento in tal senso, che ha un grande potenziale di essere replicato in casi analoghi. Per questo la Corte ha voluto delimitare il perimetro di coloro che possono ricorrere su questa questione, accettando il ricorso dell’associazione ma non quello di quattro singole cittadine. La sentenza riassume in modo molto efficace i passaggi chiave della scienza sul clima, discute le cause e le conseguenze del riscaldamento globale e descrive il complesso sistema di accordi e convenzioni internazionali costruito per affrontarle. Da questa analisi trae una serie di conseguenze sul dovere degli Stati aderenti di agire per ridurre le emissioni di gas climalteranti nella misura e con i tempi concordati dagli accordi via via sottoscritti, dalla Convenzione quadro sui cambiamenti climatici del 1992 all’Accordo di Parigi del 2015. La sentenza è molto chiara nell’individuare l’obiettivo generale di questi accordi (mantenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5°C rispetto all’epoca preindustriale) e nel definire il riferimento temporale entro il quale le emissioni di gas climalteranti devono essere del tutto eliminate. Coerentemente essa stabilisce che gli Stati devono definire un vero e proprio “budget di carbonio” (cioè un tetto alle proprie emissioni coerente con quanto stabilito dai rapporti del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) e che i governi devono adoperarsi affinché le emissioni restino all’interno di questo budget.

Uno secondo punto saliente della sentenza è il riconoscimento del margine di discrezionalità dei governi nella loro azione di contrasto al cambiamento climatico, margine che viene però precisato in due modi diversi. La CEDU, infatti, da un lato riconosce l’ampio margine di discrezionalità dei governi nella definizione delle modalità con cui affrontare il problema, ma dall’altro stabilisce che tale margine è molto stretto per quanto riguarda il raggiungimento degli obiettivi derivanti dagli accordi internazionali sottoscritti. Detto in altri termini, la Corte definisce in capo agli Stati un “obbligo di risultato” e stabilisce che il dovere dei governi non si esaurisce nella firma di accordi internazionali ma si materializza nella predisposizione di atti legislativi coerenti e nella messa in pratica di misure concrete ed efficaci. È importante soffermarsi su questo punto anche in relazione alle posizioni espresse nel nostro Paese in merito alle sempre più numerose iniziative legali sul clima e sull’ambiente da alcuni commentatori i quali paventano il pericolo che alcune “toghe verdi” possano sindacare la discrezionalità politica dei governi nazionali e regionali e delle amministrazioni locali. La sentenza della CEDU fa sul punto una chiarezza indispensabile: la discrezionalità di chi governa è massima sulle modalità con le quali si persegue un risultato ma è minima rispetto all’obbligo di ottenere il risultato, soprattutto quando sono in gioco diritti fondamentali come quello alla salute: la nostra e quella delle generazioni future. Vale la pena notare che a sostegno del Governo svizzero si sono pronunciati i governi di diversi altri Paesi, dall’Irlanda all’Austria, dal Portogallo alla Norvegia e, naturalmente, anche quello italiano. Ciò testimonia la preoccupazione diffusa di chi detiene il potere politico che l’azione giudiziaria dei cittadini possa arrivare laddove non arrivano le proteste e la normale dialettica tra i partiti.

Merita una riflessione, infine, il fatto che l’iniziativa legale sia stata condotta da un’associazione di 2500 anziane signore, che rivendicano il diritto alla propria salute appartenendo a una categoria particolarmente esposta ai rischi dovuti alle ondate di calore, sempre più frequenti e intense. Dopo anni nei quali giovani e giovanissimi hanno riempito le piazze di tutto il mondo e sono diventati protagonisti della lotta al cambiamento climatico, sono ora le loro nonne ad aver registrato uno dei risultati più importanti, almeno sul piano del diritto internazionale. È un messaggio straordinario, che dimostra l’importanza di far uscire la lotta per il clima dalla dimensione generazionale nella quale è stata confinata dalla retorica del “mondo salvato dai ragazzini” (retorica che, peraltro, non li salva dalle denunce e dalle manganellate quando il potere di turno li ritiene troppo fastidiosi). Non potremo mai ringraziare abbastanza i giovani che si sono spesi e si spendono ogni giorno per tenere viva e alimentare questa lotta e senza di loro la Commissione europea non avrebbe trovato la spinta necessaria per far partire il Green deal. Tuttavia, senza una chiara presa di responsabilità degli adulti che occupano oggi tutte le posizioni di potere, non esiste alcuna possibilità di fermare il riscaldamento globale.
Abbiamo un disperato bisogno di un patto tra generazioni: nonne e nipoti ci sono, ora tocca ai padri e alle madri.

Roberto Mezzalama
Roberto Mezzalama è laureato in Scienze Naturali e ha un Master in Ingegneria Ambientale. Da oltre 30 anni si occupa di gestione ambientale e ha lavorato per progetti in oltre 20 Paesi del mondo. Per oltre dieci anni ha collaborato con l’Università di Harvard, attualmente è consigliere di amministrazione del Politecnico di Torino e docente a contratto dell’Università di Torino. Nel 2017 ha fondato il Comitato Torino Respira che si occupa di inquinamento dell’aria. Per Einaudi ha pubblicato “Il clima che cambia l’Italia”.

Parole e figure / Essere pesci fuor d’acqua

“Un pesce fuor d’acqua”, di Mamiko Shiotani, è una delle novità presentata da Kira Kira edizioni alla Bologna Children’s Book Fair appena conclusa con grande affluenza di pubblico. Un albo che parla di diversità e amicizia.

La giapponese Mamiko Shiotani firma un delicato albo illustrato, “Un pesce fuor d’acqua”, con la casa editrice bolognese Kira Kira, cui abbiamo già presentato “Il Kappa della pioggia e L’atelier sul mare”.

Oggi è il turno di Pesciolino che va alla scuola elementare. Tutto nella norma se non fosse che lui è un pesce, quindi, ogni giorno, deve indossare pantaloni e scarpe di gomma e un pesante casco pieno d’acqua, facendo passare le pinne attraverso i fori. Che fatica!

Per andare a scuola, a piedi (le sue pinne sottili non sono certo fatte per camminare), deve, infatti, uscire dall’acqua, è fuori dal suo ambiente naturale.

Quanti di noi lo sono stati o continuano ad esserlo, ma per amore di qualcosa o di qualcuno si fanno cose speciali che gli altri non sono costretti a fare? Il mondo di Pesciolino è così diverso ma, allo stesso tempo, così simile al nostro.

Pesciolino ama le sue scarpe di gomma che fanno gnic gnic, adora tutto della scuola, perché qui s’imparano tante cose nuove, si gioca con gli amici e si pranza tutti insieme. Ma odia l’ora di educazione fisica, soprattutto la staffetta (come non capirlo…). Lui ci prova comunque, non molla! Cade, inciampa e ricade. Nessuno si accorge che piange, con l’acqua nel casco, chi potrebbe vederlo. Tutti però corrono in suo soccorso, gli si raccolgono intorno, la pinna si è gonfiata, che dolore!

Solo nella sua stanza, arriva anche il malumore, quello che prende i pesci fuor d’acqua, gliene capitano davvero di tutti i colori. Per lui è molto difficile camminare, figuriamoci correre! Per fortuna i suoi amici Lucertola e Bambino hanno un’idea brillante…

Una bella storia di diversità, inclusione, amicizia, complicità, accettazione, comprensione, rispetto, caparbietà, forza di volontà e fiducia in sé stessi.

Mamiko Shiotani è nata a Chiba nel 1987, a sud-est di Tokyo; laureatasi alla Joshibi University of Art and Design, dopo aver lavorato presso una società di produzione artistica, ha iniziato a scrivere e disegnare per bambini. Ha vinto vari premi, tra cui la medaglia d’oro alla Biennale di illustrazione di Bratislava nel 2021. Si è classificata due volte al premio assegnato dai librai specializzati giapponesi, prima come artista emergente e poi con “Un pesce fuor d’acqua”.

I Comuni d’Italia in campo per il salario minimo

I Comuni d’Italia in campo per il salario minimo

La nostra Costituzione, all’art. 36, stabilisce che: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Un articolo che, al pari di altri, resta purtroppo ancora ‘lettera morta’ per tanti lavoratori.
L’Italia,- come è possibile leggere nel rapporto OCSEè il Paese che ha registrato il calo dei salari reali più forte tra le principali economie”. Alla fine del 2022, i salari reali nella penisola erano calati del 7,5% rispetto al periodo precedente la pandemia contro una media Ocse del 2,2%. Una risposta al “lavoro povero” e sfruttato potrebbe essere senz’altro il salario minimo legale, che è già una realtà in 22 Paesi europei su 27, dove ha dimostrato di contribuire all’aumento degli stipendi dei lavoratori che venivano pagati di meno.

Tutte le opposizioni parlamentari (ad eccezione di Italia Viva) avevano avanzato una proposta di legge per introdurre “una soglia minima inderogabile di 9 euro all’ora nel senso che, “se in un contratto collettivo il minimo tabellare è fissato a 11 euro lordi l’ora, questo resterà tale; laddove, invece, un contratto preveda una paga oraria di 6 o 7 euro, essa sarà alzata a 9 euro.
Potere al Popolo e Unione Popolare lo scorso novembre avevano invece consegnato in Senato oltre 70 mila firme raccolte in calce e validate per l’introduzione di un salario minimo di 10 euro l’ora.
E anche la Cassazione di recente ha sancito il diritto del lavoratore al salario minimo costituzionale, congruo e dignitoso, proporzionale e sufficiente a garantire gli standard minimi di legge. Stiamo parlando della possibilità, qualora fossa approvata una legge di introduzione nel nostro Paese del salario minimo, di aumentare di 804 euro in media le retribuzioni di 3,6 milioni di lavoratrici e lavoratori.

Purtroppo, le Destre al potere (ben consigliate dal CNEL) del salario minimo non ne vogliono sapere e hanno di fatto affossato la proposta di salario minimo a 9 euro l’ora, trasformando la proposta delle opposizioni in delega al governo in materia di “retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva nonché di procedure di controllo e informazione” ed eliminando comunque i riferimenti a un salario minimo legale.

Mentre a livello nazionale resta per ora stoppato dal Governo Meloni, il salario minimo si sta  facendo lentamente strada a livello locale.
Nello scorso settembre il Consiglio regionale della Toscana ha approvato due mozioni, presentate sia dal Movimento 5 Stelle che dal Partito Democratico, che chiedono di sostenere, in Conferenza Stato-Regioni e in tutte le sedi opportune, di concerto con le parti sociali, tutti gli atti e le misure volti a promuovere l’avanzamento con urgenza della proposta di legge per l’istituzione del salario minimo.
Poi è stata la volta del Consiglio comunale di Livorno che l’11 dicembre scorso ha approvato (voto favorevole di tutte le forze presenti tranne il centro destra), l’emendamento che Potere al Popolo ha fatto alla mozione dei Cinque Stelle sull’istituzione di un salario minimo legale, introducendo  ladeguamento a una paga base di 9 euro l’ora per tutti i dipendenti del Comune e per coloro che lavoreranno in un appalto comunale: ottenendo in questo modo che nella stesura degli appalti comunali venga inserita una precondizione obbligatoria affinché tutti i lavoratori abbiano diritto al salario minimo di 9 euro.
Anche Firenze ha approvato una delibera presentata dalle assessore al Welfare e all’Educazione per un salario minimo in tutti gli appalti del Comune, nella quale si stabilisce che nessuno dovrà guadagnare meno di 9 euro l’ora negli appalti in cui il Comune è stazione appaltante.

(NB il comune di Firenze ha previsto che, qualora l’impresa chieda in sede di offerta di applicare un contratto diverso da quello indicato nel bando di gara, l’amministrazione effettuerà un’analisi integrale del contratto, comparando il contratto indicato con il contratto offerto, per verificare l’equivalenza sia delle tutele economiche, in particolar modo il rispetto del trattamento minimo 9 euro, sia delle tutele normative. E per fare questa verifica dettagliata, denominata ‘giudizio di equivalenza’, l’amministrazione seguirà le indicazioni fornite dall’Anac e dall’ispettorato nazionale del lavoro).

Il comune di Milano ha approvato durante una seduta del Consiglio comunale un ordine del giorno, col quale si chiede il salario minimo per i lavoratori del Comune meneghino.
In tal senso si è mosso anche il Comune di Modena e da ultimo anche il Consiglio comunale di Napoli, che ha approvato a maggioranza un emendamento che introduce un salario minimo di 9 euro e che coinvolgerà appaltatori del Comune e fornitori di servizi.
Non mancano anche esperienze di piccoli Comuni come, per esempio, Pellezano e Bacoli che hanno deliberato nel medesimo senso.

Queste importanti iniziative locali in tanti Comuni d’Italia hanno trovato, com’era ovvio, le obiezioni dei detrattori, secondo i quali le delibere adottate difetterebbero di un fondamento giuridico, visto che la legge non conferisce alcun potere agli organi amministrativi locali di stabilire trattamenti economici e normativi diversi da quelli previsti dall’art. 11 del d.lgs. n. 36 del 2023 (meglio noto come Codice degli appalti pubblici), arrivando ad etichettarle come strumentali e poste in essere per fini politici.
Tali obiezioni non tengono conto del fatto che il tema del salario minimo orario per i lavoratori – sia nel settore pubblico che in quello privato –  investe in pieno l’interesse e quindi la competenza dell’ambito Comunale, sia in termini di miglioramento delle condizioni di lavoro, sia sul versante della riduzione delle disuguaglianze economiche all’interno di una comunità.

Il salario minimo è un tema politico che i Comuni hanno il sacrosanto diritto-dovere di affrontare a livello locale, innanzitutto per non essere indirettamente fautori di “lavoro povero”. Decidere a livello locale che in tutti gli appalti (per lavori e servizi e nelle forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni) dovrà essere indicato il contratto da applicare, individuato prioritariamente tra quelli sottoscritti dalle organizzazioni datoriali più rappresentative e scegliendo un contratto che preveda un trattamento economico minimo inderogabile pari a 9 euro l’ora, significa stare come amministrazioni locali al fianco delle lavoratrici e dei lavoratori, facendo buona amministrazione. E significa fare qualche importante passo in avanti – partendo dai territori e dalle Comunità – sulla strada di un salario dignitoso per tutte e tutti.

La Rete Giustizia Climatica Ferrara incontra i candidati a Sindaco/a

La Rete Giustizia Climatica Ferrara incontra i candidati a Sindaco/a

 

La Rete Giustizia Climatica promuove per martedì 16 aprile alle ore 18 c/o Sala della Musica in via Boccaleone 19 un incontro pubblico con i candidati a sindaco al Comune di Ferrara.

Rivolgeremo ai candidati a sindaco domande sugli interventi affinché Ferrara diventi una città più vivibile e attiva nel contrastare l’emergenza climatica.
Chiederemo di rispondere alle questioni che riguardano la gestione del ciclo dei rifiuti, il verde urbano, le scelte in materia di energia, mobilità cittadina e tutela delle acque.

Lo stesso giorno / Maria Antonietta Macciocchi, una donna libera

Maria Antonietta Macciocchi: diario di un’eretica, la storia di una donna libera

Il 15 aprile del 2007 muore a Roma, all’età di 84 anni, Maria Antonietta Macciocchi, scrittrice, giornalista e politica italiana, esponente del Partito Radicale e membro del parlamento italiano ed europeo.

La sua storia di scrittrice e politica nasce all’interno del Partito Comunista. Appena ventenne, nel 1942 aderisce al partito in clandestinità, partecipando ad azioni di propaganda a favore della resistenza.
Nel 1945 si laurea in Lettere e Filosofia all’Università “La Sapienza” di Roma.

Nel 1956 assume la direzione del settimanale del Partito Comunista “Vie Nuove” dove, da pubblicazione prettamente propagandistica di partito, in nome della libertà di pensiero, costruisce un periodico con una matrice fortemente critica verso il partito stesso.
Gli scritti di Pier Paolo Pasolini e Curzio Malaparte contribuiscono fortemente alla “rivoluzione” del settimanale. Nel 1961 diviene inviata de l’Unità come giornalista e firma numerose interviste a personaggi come Tito, Gandhi e Khrushchev.

Nel 1968 per il PCI conquista un seggio in Parlamento.

La sua forte critica rispetto alla visione politica comunista italiana, rispetto a quella cinese da lei sostenuta, la metteranno in forte contrasto con il comitato centrale.

Lei stessa racconta: “subii le critiche del Comitato federale napoletano per aver scritto un libro bellissimo che si chiamava “Lettere dall’interno del PCI a Louis Althusser” (filosofo francese, principale teorico del marxismo strutturale, ndr).

La storia della pubblicazione delle lettere è alquanto controversa. Sta di fatto che il PCI ne era fortemente contrariato. Siamo negli anni duri del ’68, il Partito Comunista è attraversato da molte correnti trasversali.

“Contro di noi ci fu una censura e una persecuzione implacabili, di una Sinistra stremata, sull’orlo dell’allucinazione, con la paura costante di doversi misurare con chi pensava altrove, oppure contro il potere cieco degli apparati, dei governi, delle potenze stabilite.”

Macciocchi proseguì per la sua strada e affidò la pubblicazione a Feltrinelli.

Nel 1977, per avere sostenuto e accompagnato la lotta degli universitari bolognesi che, come quelli di Parigi, volevano una diversa identità culturale, fu espulsa dal partito.
Tornerà a far politica subito dopo all’interno del Partito Radicale.

“Duemila anni di felicità: diario di un’eretica” è la sua autobiografia; la sua storia raccontata con passione, con fedeltà.
La storia di una donna libera.

 

L’assalto dell’Eolico Industriale all’appennino toscano
Intervista agli amici del Comitato Crinali Bene Comune sugli impianti eolici della Valmarecchia e Montefeltro.

L’assalto dell’Eolico Industriale all’appennino toscano.
Intervista agli amici del Comitato Crinali Bene Comune sugli impianti eolici della Valmarecchia e Montefeltro

In Toscana, negli ultimi anni, sono stati presentati numerosi nuovi progetti per altrettanto numerosi mega-impianti eolici industriali, che per dimensioni, localizzazione e impatto sul paesaggio e l’ambiente si rivelano devastanti: scomparsa della biodiversità, scomparsa e inquinamento delle risorse idriche, moltiplicazione del rischio idrogeologico e maggior pericolo per la stabilità dei versanti, produzione di rifiuti come terre di scavo e da costruzione, taglio definitivo di ettari di bosco. Ma non solo la vita naturale è messa a seria prova, anche la vita degli abitanti di questi territori è in pericolo. Le vere risorse economiche qui sono il paesaggio, la natura, i prodotti del bosco e i prodotti agricoli tipici, il turismo. Gli impianti eolici industriali che si vogliono costruire ne decretano la morte, causando l’ulteriore spopolamento di zone già in grande difficoltà per l’abbandono e il trasferimento in città della popolazione giovane che non trova nè servizi nè lavoro.

Con la nostra esperienza in Mugello, dove siamo in lotta contro l’impianto Monte Giogo di Villore, abbiamo rilevato la necessità di conoscere le altre realtà territoriali che si costituiscono a difesa dell’ambiente e dei cittadini ove sono presenti e progettati nuovi impianti eoloici industriali per scambiare esperienze e costituire un coordinamento regionale che ci rafforzi nelle nostre battaglie.

Approfondendo la conoscenza anche sugli altri progetti di impianti eolici industriali presentati in Regione ci siamo resi conto che i problemi rilevati da chi si oppone a queste mega-pale sono i nostri medesimi, perché comunque i progetti sono tutti molto simili e devastanti, e non risolvono comunque, come sappiamo, il problema energetico globale.

Abbiamo incontrato il Comitato Crinali Bene Comune che si è costituito in Valmarecchia e Montefeltro (sull’Appennino in provincia di Arezzo al confine con l’Emilia Romagna e le Marche) e gli abbiamo fatto alcune domande sui progetti dei i mega-impianti eolici industriali e sulla battaglia che stanno portando avanti per fermarne l’approvazione e la realizzazione.
Potete raccontarci cosa incombe sull’Alta Valmarecchia e il Montefeltro??

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L’11 aprile c’è stata la terza Conferenza dei Servizi per il progetto di mega eolico industriale Badia del Vento (della potenza teorica di 29,4MW, 7 pale da 180 metri, Badia Tedalda), presentato alla Regione Toscana.

E’ il primo di due progetti della ditta FERA, già sospettata nel 2009 dalla DIA di legami con Cosa Nostra, nell’ambito di un progetto di mega eolico costruito nel trapanese in territorio dei Messina Denaro, progetto realizzato da Fera ed ad oggi ancora gestito da essa [Vedi qui].
Il secondo progetto, della medesima ditta, di uguale potenza e dello stesso numero di aerogeneratori, è l’impianto del Passo di Frassineto. Questo secondo impianto è in perfetta continuità territoriale con il primo, tanto da rendere palese l’unicità dello stesso che però così diviso diventa di competenza regionale in quanto la potenze di ciascuno risulta inferiore al massimo ammesso per i progetti a carattere regionale, mentre se fosse stato presentato come un unico sarebbe stato di competenza ministeriale. Questi due progetti sono a pochi metri dal confine con la Regione Emilia-Romagna. Gli altri 8 progetti sono presentati da ditte diverse: sei riguardano mega impianti eolici industriali, quindi di competenza del Ministero dell’Ambiente, localizzati in prossimità dei primi. Gli ultimi due sono progetti minori, uno da una mega pala e uno da due mega pale (Poggio dell’Aquila proposto da Orchidea Preziosi SPA) anch’essi di competenza regionale della Regione Toscana.

Tutti i dieci progetti di mega pale, per un totale di 60, sono localizzati sul crinale compreso tra Montefeltro, Alta ValMarecchia e Alta ValTiberina: un’area che si estende tra il Parco interregionale dei Sassi Simone e Simoncello, la Riserva Naturale Alpe della Luna, la Zona Speciale di Conservazione Balze di Verghereto-Monte Fumaiolo Ripa della Moia e diverse altre Zone Natura 2000 tutt’intorno al crinale. Sul confine regionale tra Toscana ed Emilia-Romagna, lungo il tracciato dell’Alta Via dei Parchi, Gea00, E1, Sentiero di San Francesco, Sentiero di San Vicinio. I comuni interessati in modo diretto ed indiretto sono: Badia Tedalda, Sansepolcro, Sestino, Pieve Santo Stefano, in Toscana; i comuni di Casteldelci, Pennabilli, Verghereto in Emilia-Romagna.

Tutta quest’area appenninica è caratterizzata da altissima criticità idrogeologica, uno dei motivi principali per cui già in passato sono stati scartati progetti di mega eolico industriale su gli stessi crinali.

Il Montefeltro (dall’antico nome del monte sopra all’abitato di San Leo, Mons Feltrum) per la gran parte si trova in Emilia Romagna, una parte in Toscana ed una nelle Marche. Nel 2010, con un referendum popolare alcuni comuni cambiarono di Regione, passando dalle Marche all’Emilia-Romagna.

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Per tutti questi progetti, come succede per tutti i progetti di produzione di energia eolica presentati in regione, vengono mostrati solo i valori di massima producibilità con un vento che varia da 10 a 12 metri al secondo, ma in pratica, con il vento mediamente presente ed indicato dall’Atlante Eolico pari a 6-7 metri al secondo e consultabile online, i valori reali sono molto più bassi. Considerare i valori teorici come reali, rende raggiungibili gli obiettivi energetici fissati dall’UE (nonostante debbano essere fatti i rilievi anemometrici in loco, tali valori vengono secretati perchè considerati segreto industriale n.d.r.).

Tutti gli impianti sono a ridosso di beni tutelati. Per esempio, per quanto riguarda il progetto Badia del Vento, la Sovrintendenza di Arezzo ha fatto presente che a meno dei 3 km (considerati fascia di rispetto dalla legislazione vigente) ci sono almeno i beni tutelati del borgo storico e torre di Gattara, il borgo di Casteldelci, la Chiesa di Roffelle, la Chiesa di Badia Tedalda.

Il crinale appenninico, infatti, in questo tratto è stato fin dal passato antico una via di grande comunicazione con numerosi insediamenti e borghi popolosi e culturalmente rilevanti. Il territorio è da sempre zona di confine e d’incontro nell’antichità tra Etruschi, Celti, Piceni e Umbri; poi terra contesa nel Medioevo e Rinascimento (ricordiamo che la Toscana ancora oggi possiede un piccolo territorio all’interno dell’Altavalmarecchia, completamente circondato dal territorio dell’Emilia-Romgna. Questa ‘isola geografica’, detta di Cicognaia dall’antica torre bizantina ancora presente, è posta al centro dell’Altavalmarecchia, i Medici lo acquistarono durante la loro non riuscita espansione verso il Mare Adriatico; nello stesso periodo edificarono una città sulla cima del Sasso di Simone, poi abbandonata, ma di cui ancora esistono reperti in loco), oggi diviso tra Emilia-Romagna, Marche e Toscana, sembra dover subire le mire espansionistiche energetiche toscane che non si cura per nulla dei vicini di casa, considerando che la Regione Emilia-Romagna, l’Unione dei Comuni della Valmarecchia, l’Unione di Comuni della Valle del Savio, la Provincia di Rimini, la Provincia di Forli-Cesena, tutti i parlamentari eletti in Valmarecchia e Rimini (di tutti i Partiti, da Fratelli d’Italia al PD alla Lega) si sono espressi in modo nettamente contrario a Badia del Vento.

sasso-simone-Montefeltro

Tutto il crinale interessato da i 10 progetti e dalle 60 mega pale è un paesaggio bellissimo che porta da anni turismo, un paesaggio dipinto in diversi quadri di Piero della Francesca (vedasi I Balconi di Piero, luoghi dell’Alta Valmarecchia segnalati, da cui Piero della Francesca dipinse quadri ora conseervati nei maggiori musei del mondo), un paesaggio che giustifica una delle maggiori teorie esistenti sul paesaggio della Gioconda di Leonardo da Vinci (vedasi gli studi a riguardo dell’Università di Urbino) , un paesaggio che richiamò a viverci dentro il noto sceneggiatore e poeta Tonino Guerra, un paesaggio che richiamò a viverci dentro il noto semiologo e scrittore Umberto Eco, un paesaggio presente in diversi film alcuni dei quali con attori famosi come Omar Sharif e Philippe Noiret, un paesaggio che per ben due volte ha visto al presenza del Dalai Lama (a Pennabilli, in uno dei luoghi più turistici, la Rupe dove vi è in cima la campana tibetana posta dal Dalai Lama, saranno visibilissime le pale).

Quando si è costituito il vostro comitato?

Abbiamo iniziato a incontrarci nel dicembre del 2022.

In parole semplici, perché vi opponete alla realizzazione dell’impianto eolico?

Obiettivo comune di fermare i progetti perchè incidono in modo drammatico su un territorio normalmente soggetto a frane ma molto importante per il suo paesaggio. Gli impatti principali: fisico ambientale per i pascoli appenninici, ambiente che deve essere tutelato, e per i boschi di faggi; avifauna anche protetta che utilizza quest’area anche come corridoio tra i Parchi e aree protette che sono tutte intorno al crinale stesso (nel 2020 gli allora Sindaci di Rimini e Sestino, da questo crinale oggi interessato dalle pale, fecero un incontro pubblico con la presenza fisica e in collegamento audio con i Presidenti delle Regioni Toscana Giani ed Emilia-Romagna Bonaccini, in cui si affermò l’interesse comune ad un eventuale futuro Parco Nazionale); l’impatto paesaggistico con le pale visibili non solo in Altavalmarecchia, ma anche da molto più lontano (il crinale del Montefeltro è visibile da una buona parte della Pianura Padana, nonché dalla costa marchigiana e dall’entroterra toscano; per esempio le pale del progetto Passo di Frassineto saranno visibili molto bene dal Monastero de La Verna); impatto sulla vita quotidiana delle persone e sui turisti, danneggiando il turismo ecologico dell’area con i lavori diretti ma anche il rumore delle pale in funzione. Il paesaggio è una risorsa economica fondamentale per questo territorio che vive principalmente di turismo. I turisti vengono qui per godere della bellezza del paesaggio. L’alta Valmarecchia senza più il paesaggio è finita. Tutta la popolazione ha questo paesaggio nel cuore. Ricordiamo il bellissimo abitato di Pennabilli.

Come pensate si debba fare per superare il problema dell’energia fossile, prima causa del cambiamento climatico?

Noi siamo per le rinnovabili però non ha senso distruggere la natura per vivere meglio. O si cambia paradigma o si va a distruggere la natura stessa. Le persone hanno molto bisogno di natura. Qui abbiamo un turismo ecologico, e su questo il sindaco di Casteldelci ha deciso d’investire, un uomo che 10 anni fa era a favore delle mega pale vedendovi una possibilità economica per la comunità, oggi lo avversa con grande determinazione perché distruggerebbe quello che si è costruito negli ultimi 5 anni: un turismo ecologico, che funziona, con investimenti importanti e una Cooperativa di Comunità che gestisce l’EcoPark meta di persone che fuggono dalla città la domenica.

Quali azioni avete intrapreso per far conoscere alla popolazione del peogetto e della vostra opposizione?

Si è puntato molto sulla visibilità verso la stampa locale, per sensibilizzare la cittadinanza; sono state fatte alcune iniziative: volantinaggi, due convegni uno a Pennabilli e uno a Casteldelci su le diverse criticità che può avere l’argomento del mega eolico in Appennino ed ad uno di essi ha partecipato la Presidente dell’Assemblea Regionale dell’Emilia Romagna. Abbiamo pazientemente informato e dialogato con tutti i rappresentanti politici del territorio; è stata fatta una video istallazione artistica sull’importanza del paesaggio e la sua tutela, diverse camminate con Guide Ambientali professioniste, un’asta di quadri donati da artisti per autofinanziare le azioni contro i progetti eolici su i crinali.

Con la parte della popolazione locale rurale che non sembra interessata, abbiamo lavorato per informare su tutti gli aspetti negativi dei progetti (per esempio la non accessibilità delle zone dopo la costruzione degli impianti, il rumore delle pale, il riflesso del sole sulle pale, le luci notturne delle pale, l’impatto dei trasporti…) Comunicare alle persone la verità su cosa succederà, informarle correttamente.

Quali azioni avete in proposito di mettere in atto per fermare la realizzazione degli impianti eolici?

Se I progetti saranno approvati noi faremo ricorso al TAR competente e stiamo già raccogliendo i soldi per questo. Anche se per ora non abbiamo ancora avviato un progetto vero e proprio siamo convinti dell’utilità di una rete nazionale dei comitati territoriali contro l’eolico su i crinali appenninici.

L’Associazione Italia Nostra è stata ed è importantissima, fondamentale a darci supporto in questa battaglia. Anche il Comitato del Mugello, senza la loro inziale informazione ed aiuto avremmo perso molto tempo prezioso.

Foto In copertina: sasso-simone-Montefeltro

Sull’eolico industriale in appennino leggi anche su Periscopio:
20 dicembre 2024 , Tommaso Capasso: https://www.periscopionline.it/la-follia-del-progetto-industriale-eolico-sui-crinali-del-mugello-e-alcune-riflessioni-sulla-cultura-del-profitto-e-i-suoi-disastri-287980.html

Per certi versi / ODE AL MIELE 

ODE AL MIELE 

Portare alle labbra

Assaggiare

Il miele

Vario nei generi

È come sentire

Quante voci

Diverse

Stanno in un coro

Non c’è dolcezza

Più primitiva

Raffinata e grezza

Al mondo

Che venga

Da una società

Più che da uno solo

Il miele

Non è melenso

Falso

Seduttore

Ha qualcosa

Di immenso

E tenace frutto

Raccolto

In un vaso

Come un tutto

Ogni domenica Periscopio ospita Per certi versi, angolo di poesia che presenta le liriche di Roberto Dall’Olio.
Per leggere tutte le altre poesie dell’autore, clicca [Qui]

TERZO TEMPO
En er mundo, il coro ufficioso del Roland Garros

Chi di voi segue il tennis da un bel po’, o comunque ha assistito da spettatore a qualche partita sulla terra rossa, si sarà imbattutto/a prima o poi nell’incipit di un brano spagnoleggiante che negli ultimi vent’anni è diventato il coro più gettonato sugli spalti del Roland Garros.

Quel brano si intitola En er mundo ed è un famosissimo paso doble, ossia una danza di origine spagnola che si balla in coppia: la musica è solitamente ritmata e coinvolgente, e i movimenti teatrali dei due ballerini si ispirano alle performance dei toreri. Non a caso, il primo utilizzo di questo tipo di musica non avvenne nelle sale da ballo, bensì durante le corride, e precisamente nel momento della sfilata iniziale delle cosiddette cuadrillas, che in pratica sono le squadre di aiutanti dei singoli toreri.

Il pezzo in questione fu scritto nel 1930 dal pianista, nonché compositore per il cinema, Juan Quintero Muñoz e dal violinista Jesús Fernández Lorenzo; pare inoltre che fosse dedicato a un sassofonista cubano con cui lo stesso Muñoz condivideva, spesso e volentieri, il palco nei teatri di Madrid. Se cercate En er mundo su YouTube o su Google ne troverete tantissime versioni, anche se una delle più conosciute e apprezzate dal pubblico spagnolo è quella che accompagna due scene di un film del 1983 intitolato El sur, diretto dal regista Víctor Erice

Detto ciò, la domanda sorge spontanea: come ha fatto questo benedetto paso doble ad arrivare fino agli spalti del Roland Garros, e di conseguenza a diventare uno dei cori di incitamento più riconoscibili del tennis contemporaneo?

Innanzitutto, c’è chi sostiene che il paso doble derivi da una marcia militare francese di fine 1700 chiamata pas redoublé, che vuol dire infatti “a passo raddoppiato”. L’origine francese del paso doble sarebbe comprovata dal fatto che i nomi dei passi che lo caratterizzano sono per l’appunto in lingua francese; anche se poi, come abbiamo già osservato, la danza di per sé trae ispirazione dalla teatralità della corrida. È per questo che negli stadi e nelle arene del tennis, al “popporopo” lanciato dal singolo spettatore, o dalla singola spettatrice, segue sempre un “olé”.

In alcune regioni del sud della Francia, dove tutt’oggi vanno in scena delle corride, il paso doble è ben presente nella cultura popolare; così come lo era nella vibrante e avanguardista Parigi di inizio 1900, in cui i cabaret e le sale da ballo proponevano i primi spettacoli di paso doble in Europa. Quindi, c’è un legame tra questo tipo di danza e la Francia, così come c’è un legame tra il brano En er mundo e gli stadi francesi.

Tutto è cominciato durante la Coppa del Mondo di Rugby del 2007, svoltasi per la maggior parte nel paese transalpino: durante quel torneo l’incipit di En er mundo divenne sempre più popolare, non solo tra il pubblico francese, ma anche, ad esempio, tra quello neozelandese e soprattutto quello gallese – che con il passare degli anni l’ha adottato in pianta stabile, ed è oggi una presenza fissa al millenium stadium di Cardiff.

Ovviamente, durante una partita di rugby o di calcio non c’è lo stesso silenzio che vige sui campi da tennis; quindi, il già citato “popporopo” non può essere lanciato a voce da una singola persona poiché in pochi lo sentirebbero: viene riprodotto dagli altoparlanti dello stadio durante le pause e i festeggiamenti in caso di meta, oppure da un tifoso o da un tifosa che si porta dietro una tromba e suona quel benedetto incipit al momento giusto.

Insomma, è un modo come tanti altri per fare un po’ di festa e coinvolgere il pubblico, e da quasi vent’anni ci fa compagnia, o ci dà fastidio – dipende dai punti di vista – perlopiù durante la stagione sulla terra rossa.

Presto di mattina /
Olio di letizia, rugiada di fraternità

Presto di mattina. Olio di letizia, rugiada di fraternità

Olio di letizia, rugiada di fraternità

Come «l’alba è brizzolata di rugiada» (Adam Zagajewski), come rugiada generata dal seno dell’aurora, prima della stella del mattino (cfr. Sal 110, 3), così è l’unzione di fraternità.

«Ecco come è buono e quanto è soave / che i fratelli vivano insieme! Là il Signore dona la benedizione / e la vita per sempre. È come olio profumato. È come rugiada dell’Ermon» (Sal 132/133,1.3 e 2.3). In questo salmo ricorre una duplice simbologia. Anzitutto quella dell’olio profumato, che impregna indumenti e corpo e vi penetra in profondità, ma irradia pure all’esterno sino a risvegliare i dormienti e trasformare la vita in benedizione.

In secondo luogo, la rugiada mattutina dell’Ermon − il monte settentrionale innevato della Palestina (2760 metri) che evoca un’immagine di freschezza in un mondo assolato e bruciato − simboleggia il germogliare inatteso della fraternità e diventa fluente fiume che arriva fino a Gerusalemme, al monte Sion, per ricevere la sua benedizione.

In queste immagini il salmista canta quindi l’amicizia; di più l’amore fraterno come benedizione di Dio, fonte di ospitalità per sempre in un mondo chiuso, dissacrato e morto.

Il giovedì santo è stata la giornata della fraternità sacerdotale nella quale si benedicono gli oli: quello dei catecumeni, in vista del battesimo, il profumato crisma, che rende testimoni di Cristo e del suo vangelo, e l’olio per gli infermi, a sostegno di ogni fragilità, a consolazione non solo dei morenti, ma per tutti coloro che pur feriti, mortificati continuano a lottare e a far argine e resistenza al male.

Sono questi ad un tempo gli oli della vigilanza e della compassione, dell’amore e della gratuità. Quel giorno vengono consegnati dal vescovo a coloro che moderano e guidano le comunità cristiane per diffondere in esse e attorno ad esse il buon profumo di Cristo, la fragranza della sua amicizia e santità ospitale condivisa e da condividere con tutti.

L’olio di letizia è un’unzione nel suo Spirito che, come ricorda il profeta Isaia, chiama i battezzati e in particolare i presbiteri allo stesso compito del Cristo mandato «per consolare tutti gli afflitti, per allietare gli afflitti di Sion, per dare loro una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, canto di lode invece di un cuore mesto» (Is 61, 2-3).

È stato il vescovo Cirillo di Gerusalemme, autore delle catechesi mistagogiche, il cantore dell’olio di letizia: «Anche a voi, dopo che siete emersi dalle sacre acque (del battesimo), è stato dato il crisma, di cui era figura quello che unse il Cristo, cioè lo Spirito Santo. Di lui anche il grande Isaia, parlando in persona del Signore, dice nella profezia che lo riguarda: “Lo Spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri” (Is 61, 1)

… Egli fu unto con spirituale olio di letizia, cioè con lo Spirito Santo, il quale è chiamato olio di letizia, perché è lui l’autore della spirituale letizia. Voi, invece, siete stati unti con il crisma, divenendo così partecipi di Cristo e solidali con lui» (Catech. 21, Mistagogica 3, 1-3; PG 33, 1087-1091).

Rugiada notturna, «rugiada del cuore» (Marie Nöel)

Rorida rugiada che stilla nella notte è detta pure l’unzione dello spirito d’amore, la sua attesa, nel Cantico dei cantici. L’Amata dorme, ma il suo cuore veglia. Giunto alla porta è l’Amato, di gocciole notturne i riccioli impregnati (Ct 5,2), picchiettando le sussurra lievemente: «Aprimi, sorella mia, compagna mia, Perché il mio capo è coperto di rugiada, i miei riccioli di gocce notturne!».

Come non ricordare qui il testo dell’Apocalisse, è il Cristo che parla: «Ecco sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui e cenerò con lui ed egli con me» (3,20).

Desiderante, mistica rugiada è quella del Cantico pregna dell’amore di Dio per il suo popolo: «Io li guarirò dalla loro infedeltà, li amerò di vero cuore. Sarò come rugiada per Israele» (Osea 14, 5-6). Questa rugiada diviene così sorgiva immagine della carità pastorale dei presbiteri e anche di ogni battezzato.

Lo Spirito, “vento pieno di rugiada”, li fa essere rugiada in terra arida, che mitiga l’arsura, notturna guazza che annuncia la stella luminosa del mattino, carità pastorale che si fa tutto a tutti; ricorda Paolo (1Cor 9,19): «pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti» ed esorta noi: «Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto» (Rm 12, 14-16).

Nel Talmud la rugiada è presa a simbolo delle lacrime e dell’afflizione del popolo in esilio, di cui sono intrisi i riccioli del capo di Dio che viene a visitare il suo popolo: «Perché i capelli del mio capo sono pieni delle tue lacrime, come un uomo che abbia i capelli del suo capo intrisi della rugiada del cielo; e il ricciolo è pieno delle gocce dei tuoi occhi, come un uomo che abbia il ricciolo pieno delle gocce di pioggia che cadono nella notte»; come se − aggiungo io − le lacrime del suo popolo e quelle di tutti i popoli fossero tra i suoi occhi e nei suoi occhi, le sue stesse lacrime.

Profetizza Isaia: «e di nuovo vivranno i tuoi morti. Svegliatevi ed esultate voi che giacete nella polvere. Sì, la tua rugiada è rugiada luminosa, la terra darà alla luce le ombre» (Is 26, 19).

Mandati a costruire un ‘noi’, a costruire fraternità

Quest’anno si è celebrato il Triduo pasquale nella Cattedrale cittadina, riaperta dopo cinque anni dovuti ai restauri, e le parole del vescovo Gian Carlo Perego all’omelia della messa crismale di giovedì santo le ho sentite vive, motivanti nel profondo il mio ministero tra la gente, per le parrocchie dell’unità pastorale e per la nostra città.

Questi orientamenti pastorali rilanciano sinteticamente i contenuti della sua Lettera pastorale Insieme sulla strada di Emmaus e si intrecciano con lo slancio e l’invito pastorale di papa Francesco per una riforma ecclesiale, per una chiesa in uscita, delineate sia nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium sia in Fratelli tutti.

Dopo aver raccomandato di porsi sempre in ascolto della Parola di Dio, commentando il testo di Isaia egli ha ricordato a coloro che si pongono al servizio del Vangelo, che sono chiamati «ad avere e a diffondere un’attenzione particolare nell’annuncio della Parola di Dio e nella promozione umana, con un’attenzione ai ‘miseri’, a chi ha ‘i cuori spezzati’, agli ‘schiavi’, agli ‘afflitti’, ai ‘carcerati’ per dare loro libertà, consolazione, fasciare le ferite con ‘olio di letizia’».

Tra la Prima e Nuova Alleanza vi è infatti una continuità nell’opzione preferenziale per i poveri, confermata nelle parole programmatiche di Gesù nella sinagoga di Cafarnao all’inizio del suo ministero: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18).

“Di chi mi devo fare fratello?”

Il vescovo Perego ricorda poi che la Fratelli tutti inizia con una domanda concreta: «“Di chi mi devo fare fratello?” L’obiettivo è che − scrive Papa Francesco − “alla fine non ci siano più “gli altri”, ma solo un “noi”» (FT.35).

Non solo il presbiterio deve divenire il luogo del “noi”, ma le stesse comunità cristiane, «l’Unità pastorale, come prima la parrocchia, deve conservare questo obiettivo di costruire un ‘noi’, costruire fraternità».

Facendo proprio l’interrogativo di papa Francesco in Fratelli tutti anche il vescovo Gian Carlo si domanda quali siano gli ostacoli che sono di impedimento alla costruzione di questo “noi” anche nella città; cosa impedisce la fraternità?

La prima difficoltà è da vedersi nella distanza tra il singolo e la comunità (F.T. 12), perché l’individualismo ha fatto perdere il senso della storia, riproponendo chiusure, violenza, trasformando le persone in consumatori. L’amore per la città chiede l’educazione alla politica come la più alta forma di carità, divenendo un compito delle comunità cristiane.

Ostacola pure la costruzione della fratellanza nelle città quella che papa Francesco chiama la cultura dello scarto, una cultura corporativa, senza memoria storica, interessata a salvaguardare ciò che è utile più che ciò che è bello. Contro questa cultura è necessario favorire la cultura dell’altro, che valorizza la diversità, che promuove l’unità, che salvaguarda la bellezza delle cose e del creato.

In ogni unità pastorale un Centro d’ascolto Caritas

Questo inderogabile invito ci è chiesto dal vescovo Perego per il determinarsi sempre più evidente «dell’«indebolimento dei diritti e della loro esigibilità». Questo implica «un impegno serio di advocacy, di tutela delle persone, che chiede la presenza di un Centro di ascolto Caritas in ogni unità pastorale, per cogliere le ingiustizie o anche solo per indirizzare le persone a ciò che è a loro dovuto».

Un’altra difficoltà sta nella «debole cultura dell’accoglienza dei migranti, campo quotidiano di sfida delle Beatitudini e del discorso della montagna. L’illusione che la chiusura preservi dal male che solo gli altri portano segna profondamente anche le nostre comunità e non le rende capaci di un’accoglienza fraterna intelligente».

Dallo stile comunicativo infine dipende la capacità di costruire fraternità dentro e fuori le comunità cristiane, che accorci le distanze, riprendendo nelle relazioni lo stile narrativo del vangelo che è lo stile del samaritano, parabola decisiva che papa Francesco rilegge nell’enciclica: «Abbiamo bisogno – dice il Papa – di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo, tremito delle mani, rossore, sudore, perché tutto ciò parla e fa parte della comunicazione umana» (n. 42).

«Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino» (Lc 10, 34)

Così «il Buon Samaritano – prosegue Perego – diventa un modello sociale e civile, ma anche lo stile di ogni cristiano, ma soprattutto del presbitero, oltre che il criterio con cui giudicare tutti i progetti economici, politici, sociali e religiosi. Il crisma unge il battezzato e il cresimato come il presbitero, ricordandoci il sacerdozio comune dei fedeli, a cui è ordinato il sacerdozio ministeriale».

Il vescovo infine ha ricordato le parole di Paolo VI, che nel discorso dell’ultima sessione conciliare, identificava la spiritualità stessa del Concilio Vaticano con quella del Buon Samaritano:

«l’olio e il crisma che oggi consacriamo ci sono consegnati dal Signore risorto come segni e strumenti per costruire fraternità e cura dei più deboli (olio degli infermi), per accogliere nella Chiesa catecumeni e battezzati, per un ministero “consacrato con l’unzione”, di cui rinnoviamo oggi le promesse. Nella nostra vita diffondiamo con questi oli e con il crisma il “profumo di Cristo”, Buon Samaritano, perché la Chiesa e la città vivano, risorgano. Così sia».

E così la rugiada…

È come l’amicizia scrive p. David Maria Turoldo proprio a commento del salmo 132 dell’inizio. «Il sangue non conta niente da solo. La linea del sangue può essere una trincea di oscuri istinti, di interessi a volte mortali.

Solo l’amicizia ha il divino potere di superare il sangue, il censo, la classe, la razza, e fare che due esseri veramente si amino, confortati dalla stima dell’uno per l’altro, accettando tutti e due la rinuncia a prevalere, e a espropriarsi l’uno per l’altro.

E ho scritto che anche la chiesa, se vuole essere vera, non può essere che una chiesa di amici. Così la città, se vuole essere umana» (Turoldo-Ravasi, “Lungo i fiumi”… I Salmi, San Paolo Cinisello Balsamo, 1987, 455).

 

Dimmi: “sono io il tuo amico”

Col suo olio delizioso mi ha unto il capo,
col suo calice di vita ha inebriato il mio cuore,
migliori del vino sono le sue misericordie…
Gesù è mio e io sono suo.
Egli si compiace di me, s’è rivestito di me
e io mi sono rivestito di lui.
(F. Graffin, in Orient syrien, 3/1958, 319).

Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica quindicinale di Andrea Zerbini, clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

La vicenda di Luigi Spera, l’attivista politico di Antudo incarcerato “per atti di terrorismo”: così il reato di terrorismo viene usato come repressione di ogni dissenso

La vicenda di Luigi Spera, l’attivista politico di Antudo incarcerato “per atti di terrorismo”: così il reato di terrorismo viene usato come repressione di ogni dissenso.

(articolo originale su pressenza 11.04.24)
Si moltiplicano le iniziative in favore di Luigi Spera, attivista politico di Antudo, incarcerato a Palermo per atti di terrorismo a seguito di una azione dimostrativa contro la Leonardo spa, industria produttrice di armi, usate oggi anche a Gaza contro il popolo palestinese.

La cosa va spiegata bene poiché l’accusa, che in concreto riguarda il lancio di una bottiglia incendiaria, può far pensare all’uomo della strada che il presunto autore se l’è cercata. D’altra parte è vero che una simile azione sarebbe comunque considerata reato in qualunque parte del mondo. Ma non è questo il problema.

La vera questione è l’aggravante di atto con “finalità di terrorismo”. Non si tratta solo di una iniziativa giudiziaria sproporzionata rispetto ad una azione puramente dimostrativa che si guardava bene dal colpire persone fisiche e che ha pure provocato danni irrilevanti alle cose. Dietro questa vicenda ci sta piuttosto, da parte della magistratura, l’uso sempre più spregiudicato e repressivo della “finalità di terrorismo”, grazie anche ad un disposto legislativo che ne rende possibile una applicazione sempre più espansiva e generalizzata. In particolare la materia è regolata dall’art. 270 del Codice Penale.
Vediamo nello specifico.

L’articolo in questione è molto lungo. A noi in particolare interessa la parte iniziale del dispositivo dell’art. 270 sexies che recita in questo modo:
“Sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un paese o ad una organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto…

Due cose saltano subito agli occhi.
La prima è che per definire l’ipotesi di reato di terrorismo viene usato il termine “condotte”, molto più ampio e molto più generico rispetto ad “atti”, e quindi molto più facilmente applicabile a situazioni anche molto diverse e distanti tra loro.
La seconda questione riguarda il fatto che, mentre nelle precedenti parti dell’articolo 270 (che per brevità non abbiamo riportato) si parla esplicitamente di “atti di violenza con finalità di terrorismo”, qui improvvisamente la parola “violenza”, come elemento essenziale per definire l’atto di terrorismo, scompare del tutto, e la finalità terroristica viene invece riferita, come dice esplicitamente il testo, a condotte valutate innanzitutto per la loro intrinseca “natura” e attraverso il “contesto” in cui vengono messe in atto. Come si può facilmente constatare i concetti di “natura” intrinseca e di “contesto” sono di una tale vaghezza da non significare praticamente nulla di preciso, lasciando al magistrato una amplissima possibilità interpretativa e di applicazione ai casi specifici.

In pratica l’unico limite per definire “le condotte con finalità di terrorismo”, non sono le azioni in sé, ma le finalità delle stesse, non solo quando tali finalità siano esplicitamente dichiarate dagli autori, ma anche, e con ogni probabilità molto più spesso, quando esse vengano liberamente presunte da colui che giudica.
Dette finalità sono elencate nella parte dell’art. 270 sexies del Codice Penale che abbiamo riportato sopra. Tra di esse una appare particolarmente significativa e “impressionante”, ed è quella che viene indicata come l’insieme di condotte che sono (citiamo ancora letteralmente) “compiute allo scopo di…costringere i poteri pubblici o una organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto…”.

Volendo dare di questo testo una interpretazione estrema (ma tutt’altro che impossibile, e forse neppure improbabile, visto l’attuale clima politico del nostro paese) si potrebbe ipotizzare la possibilità che una organizzazione politica, che, mettiamo caso, proponesse una manifestazione di piazza (magari senza neppure riuscire a realizzarla) contro l’invio di armi all’Ucraina o contro l’appoggio ad Israele, venisse processata e condannata per avere posto in essere, come dice la legge, delle condotte allo scopo di cercare di impedire al nostro governo, o per esempio alla NATO, di mettere in atto una qualche scelta politica o militare o di altro genere che era nelle loro intenzioni. Una follia! Un reato di opinione, già in sé inaccettabile, che in quanto capace di esercitare pressione politica si fa reato di terrorismo.

Come detto, il nostro esempio può anche apparire estremo. Resta tuttavia il fatto che la criminalizzazione del dissenso politico è un processo attualmente ampiamente in atto, ed è un piano inclinato di cui non si può conoscere la fine. Ancora più grave il fatto che le norme del nostro codice penale sembrano essere state scritte apposta per rendere possibile un tale processo degenerativo.

Qualcuno di recente mi faceva notare come la gravità del momento repressivo si possa anche desumere dalla nascita della unificata “Procura antimafia ed antiterrorismo”, una sorta di super “tribunale speciale” fondato su una moderna visione del “diritto penale del nemico” in cui le figure del “terrorista” e del “mafioso” possano venire unificate, ma anche amplificate e generalizzate a puro scopo repressivo, facendovi convergere, in una sorta di “impero del male”, chiunque appaia scomodo anche se mai nulla ha avuto a che fare né con la mafia né col terrorismo. E qui il discorso si potrebbe approfondire con tanto altro da dire, che ci riserviamo per altri luoghi.

 

Edicole mon amour: in mostra un reportage sui luoghi di vendita dei giornali a Ferrara

Visitabile fino a sabato 20 aprile 2024 il progetto fotografico “Vado a prendere il giornale” di Ulrich Wienand alla Biblioteca comunale Bassani, via Grosoli 42, quartiere Barco, Ferrara

Una novantina le edicole che ancora nel 2022 erano presenti a Ferrara, in un territorio che tra città e frazioni supera i 130mila abitanti. “E nell’ultimo anno una ventina di queste ha chiuso”. Lo spiega il segretario del Sindacato nazionale giornalai d’Italia (Sinagi) di Ferrara Antonio Palazzi durante un incontro organizzato alla Biblioteca comunale Bassani a corredo della mostra intitolata “Vado a prendere il giornale”. L’esposizione – visitabile fino al 20 aprile 2024 – mette in sequenza gli scatti di Ulrich Wienand, medico psichiatra tedesco, poi dirigente nel servizio sanitario italiano che ha scelto Ferrara come città di residenza, dove coltiva la sua passione per la fotografia e per la cultura visiva in particolare, anche in veste di consigliere dell’associazione di promozione sociale Accademia d’arte città di Ferrara che cura le attività della Galleria del Carbone.

Ulrich Wienand con Paolo Volta alla Biblioteca Bassani di Ferrara

“Il progetto fotografico – dice Wienand – è iniziato nel 2019 con l’idea di raccontare la vita intorno alle edicole e la loro collocazione nell’ambiente urbano di Ferrara, dedicando uno sguardo particolare alle persone in relazione al luogo e fra di loro. Durante il lockdown poi la coda di attesa a prendere il giornale era rimasta fra le poche occasioni di contatto sociale”. Così il reportage è andato avanti focalizzandosi su diversi aspetti. “In alcuni degli scatti – racconta l’autore – il contesto urbano ferrarese fa da meravigliosa cornice: il campanile di San Giorgio, la Cattedrale, una gigantesca magnolia in fiore, e così le biciclette e la nebbia sottile”.

Una delle foto di Ulrich Wienand in mostra alla Biblioteca Bassani di Ferrara

L’edicola ha un grande fascino, legato prima di tutto alla particolarità dei contenuti di parole, storie e immagini che costituiscono la merce in esposizione e in vendita. Ma l’attrattiva sta anche nella sua meravigliosa capacità di farsi cornice o, forse meglio, piccola scatola teatrale all’interno della quale interagiscono le parole, le storie e le immagini della vita concreta in cui è inserita.  Come in uno di quei piccoli teatri di strada in cui andavano in scena le storie di burattini o in un teatro-giocattolo. L’edicola offre infatti ogni giorno la messa in scena dei personaggi che in veste di acquirenti abituali o occasionali si rapportano con il personaggio giornalaio, a sua volta incorniciato dal collage di copertine variopinte. Una rappresentazione materiale e tangibile delle rappresentazioni illustrate, documentate e narrate.

Piazzale dei giochi: l’edicola davanti alla magnolia in fiore – foto di Ulrich Wienand

“L’edicola – sottolinea infatti il fotografo – è una struttura che ‘avvolge’ i clienti e la persona del giornalaio completa l’accoglienza”. L’attenzione del fotografo che già ha immortalato il connubio tra i chioschi, l’ambiente urbano circostante e la variabilità delle stagioni, finisce per focalizzarsi sull’umanità che ravviva e contribuisce a modificare in ogni istante la composizione. Appostato per due o tre ore davanti all’edicola con la sua Leica in cima a un cavalletto, Ulrich immortala le persone calamitate dalla presenza dell’edicola: un ragazzino allunga il braccio per dare i soldi, una edicolante esce in strada per servire un cliente anziano. Il fotografo finisce per affezionarsi e incaponirsi a catturare e fare suoi dettagli che lo colpiscono, come il saltello che caratterizza l’arrivo di un certo cliente o un movimento tipico dell’aprire il giornale del cliente che fa i primi passi di allontanamento dopo l’acquisto.

Acquisto con saltello
Accoglienza del cliente – foto Ulrich Wienand

Un dibattito molto interessante a corredo dell’esposizione è stato ospitato giovedì 4 aprile 2024 nell’ariosa biblioteca comunale di Barco.

Pubblico alla Biblioteca Bassani di Ferrara per l’incontro sulle edicole – foto Marco Bigoni

Un’occasione per fare riflettere su editoria e informazione, dare numeri, ma raccogliere anche spunti e suggestioni sui punti deboli di questo mestiere che va via via scomparendo e sugli eventuali punti di forza su cui si potrebbe far leva per rivitalizzarlo.

Edicola di via Pomposa in versione notturna – foto Ulrich Wienand

Nella mostra non manca l’aspetto di documentazione, che lancia infatti un piccolo allarme sul cambiamento e la crisi radicale in cui i giornalai si trovano evidentemente a convivere. “Vediamo sparire un’edicola dopo l’altra – ricorda, e immortala con il suo obiettivo, Ulrich – dapprima compaiono i cartelli ‘in vendita’ o ‘cedesi attività’, poi abbondano le scritte dei writer, infine rimane un basamento vuoto ma ben riconoscibile. In mostra ci sono alcuni scatti dell’edicola prima e del vuoto poi, presi dallo stesso punto con la stessa focale”.

L’edicola che c’era in via Padova, a Ferrara
Via Padova, a Ferrara, senza l’edicola
L’edicola che c’era in via Marconi, a Ferrara
Via Marconi, a Ferrara, senza l’edicola

Completano la mostra alcune immagini dedicate all’arte urbana dei graffiti che, secondo Wienand, a modo loro fanno risaltare le particolarità dei manufatti chiamate edicole, e una piccola sezione è dedicata ad aspetti storici delle edicole a Ferrara.

La bibliotecaria Elisa Galeati
Macke con Malaguti e Wienand
Il dibattito (foto Marco Bigoni)

Una mostra molto piacevole, che mette in fila davanti agli occhi del visitatore questi luoghi di vendita così affascinanti, che catturano da sempre anche la mia attenzione e quella – ho scoperto – di diversi colleghi. Come il giornalista sportivo del Resto del Carlino Mauro Malaguti che insieme a Eugenio Ciccone, grafico e fondatore delle riviste Listone Mag e Filo Magazine, sono intervenuti portando dati e riflessioni sul tema. Con qualche proposta, tipo quella di dare la possibilità al cliente che compra il giornale di avere una piccola distesa dove fermarsi a leggerlo e magari a discuterne.

“Vado a prendere il giornale” di Ulrich Wienand, Biblioteca comunale Bassani, via Grosoli 42, quartiere Barco, Ferrara – Visitabile da sabato 23 marzo a sabato 20 aprile 2024, negli orari di apertura della biblioteca (dal martedì al sabato ore 9:00- 13:00, martedì, mercoledì e giovedì anche 15:00- 18:30) con ingresso gratuito
Info anche su Cronacacomune 

Strage della Diga di Suviana: tutti fermi per la salute e la vita: sciopero 11 aprile

Tutti fermi per la salute e la vita

di Roberta Lisi 
da Collettiva del 10.04.24

Il governo si ostina a non dare le risposte necessarie sulla sicurezza. Cgil e Uil scioperano l’11 aprile, gli edili per 8 ore. Genovesi, Fillea: “Non ci fermeremo”

NULLA È PER CASO

È netto il segretario generale della Fillea Cgil Alessandro Genovesi, ragionando sulle cause degli incidenti: “Il costante stillicidio di operai morti nei cantieri, nelle fabbriche, nei campi sono l’esatta fotografia di un modello di sviluppo e di impresa che ha assunto il profitto come variabile indipendente e la svalutazione dei fattori di produzione come leva di competizione per tenere bassi i prezzi e massimizzare i guadagni”. Forse, aggiungiamo noi, è per questo che nonostante l’aumento degli infortuni e delle morti, nonostante l’aumento altrettanto impressionante delle malattie professionali, il governo Meloni sembra sordo a qualsiasi richiesta di confronto – se non di facciata – su come migliorare la legislazione in materia di salute e sicurezza.

LA PATENTE A PUNTI

In origine, l’articolo che la prevedeva era nel decreto legislativo 81 del 2008, Il Testo unico per la salute e la sicurezza sul lavoro, aveva un titolo esplicativo e significativo: “Sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi tramite crediti”. Non si limitava infatti a introdurre un punteggio e delle soglie sotto le quali l’impresa non poteva lavorare, ma prevedeva un sistema di qualificazione, appunto, che serviva a migliorare le condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro. In tutti i luoghi di lavoro, non solo in quelli dell’edilizia. Peccato che non sia mai stato attuato.

UNA RICHIESTA UNITARIA

Già nel 2011 non solo le tre confederazioni, ma anche alcune organizzazioni datoriali a partire dall’Ance, hanno sottoscritto un Avviso Comune che riponeva il tema e la richiesta della patente a punti, di strumenti e procedure per ridurre incidenti e malattie professionali. Richiesta inascoltata. Si è dovuti arrivare a poche settimane fa, quando cinque operai edili, ma non tutti con il relativo contratto, sono morti in un cantiere di Esselunga a Firenze. Ai fiori e alle parole ufficiali – forse un po’ stantie – di cordoglio è seguito l’impegno a introdurre la patente a punti.

In copertina: foto di Simona Caleo (Collettiva)

Parole a Capo /
Fabio Vallieri: “Poesie in tempi di attesa”

Tornate non dovete fare altro. Qui se ne sono andati tutti, specialmente chi è rimasto.”
(Franco Arminio)

 

Non mi è dato sapere
d’essere vivo né
so per certo
se io muoia tra i vivi,
davvero,
ignorando lo spasmo
accentuato del cuore,
il magma di refusi
che scuote le sorde
sembianze incorporee –
poiché noi: si viene, si va
annullandoci.
(Poesia tratta da “Come Ruggine” Book Editore, 1997)


*

 

Possiedo un coltello
per la crosta dei giorni.
Di nuovo nebbia e torba (gradite)
scovando l’edera sotto i calcinacci.
Ho provato l’assedio
fiutando lo stato abrasivo degli oggetti,
in testa uno spazio diluito oltre i tappeti.
“Puoi scegliere la luce più bianca
della lampada” mi dici
lenendo con garza la pelle ustionata.
La notte, veglierò l’esodo dei bagliori
nel silenzio della neve che dorme sulle ortiche.
*
Così hai scelto di morire.
Poi furono le nubi limose e corrotte
dai corvi.
Si rimane ad innaffiare un ricordo
anche quando piove e provare sete
è qualcosa che ci insulta.
(Poesie  tratte da “L’Urto“, Giuliano Ladolfi Editore, 2011)
*
Ormeggio
sulla battigia delle tue labbra
accovacciato
come una gazza che scruta
in attesa che il tuo risveglio
si faccia nitido e il respiro gemito,
alito caldo.
Che l’aria si fenda
sulle tue gambe nude
mentre ti apri e concedi
come al mattino,
la luce che sorge.
*
L’inverno è aghiforme al mio cuore,
ma non è il dolore della frattura che avverto
o il sentore dell’osso che va in frantumi
né lo spavento di una collisione:
è l’assenza di te che matura,
inesorabile distanza, distacco,
un soffitto che cede di schianto
o il salmodiare stanco reiterato nel vuoto.
Questo inverno è umbratile al mio umore,
lascio i pochi oggetti e gli indumenti a terra
ed i capezzoli inturgidire al sole.

(Poesie tratte da: ” Cutter (ciò che si insinua)” Puntoacapo Editrice, 2023)

 

Fabio Vallieri è nato a Ferrara nel 1971. Ha vinto, per la poesia, il Premio “Granaglione” (Bo) 1996, il Premio “Dante città di Ferrara” 1997, il Premio “Gianfranco Rossi” 2001. E’ stato segnalato al Premio “Riverart” città di Venezia 1994. E’ stato incluso nell’Opera Comune. Antologia di poeti nati negli Anni Settanta (Borgomanero, Atelier 1999).
Di “Come Ruggine”, sua opera prima, ne hanno parlato Sandro Montalto, “Il Segnale” n.56(2000); Giuliano Ladolfi, “Atelier” n.11(1998), Giorgio Manacorda, Annuario di Poesia 2002-2003 (Roma, Castelvecchi) e ancora Sandro Montalto nel volume, Tradizione e Ricerca nella Poesia Contemporanea (Novi Ligure, Joker 2008).
Di “L’Urto”(Ladolfi Editore) 2011, sua opera seconda, ha ricevuto una segnalazione di merito al Premio “Antonio Guerriero” Civetta di Minerva (Starze di Summonte, Avellino 2013).
Una selezione di testi tratti da “l’Urto” è comparsa sul numero 16 della rivista “Versodove”. Suoi testi sono stati pubblicati sulla rivista “Atelier”.
Nel 2013, assieme al cantautore Simone Beghi, ha dato vita al progetto TETRO dando alle stampe il cd autoprodotto “Dissonanze Armoniche d’Urto” proponendolo in più occasioni in set live anche presso la “Resistenza”, Circolo Culturale e Sociale ferrarese.
Cutter(ciò che si insinua), Puntoacapo Editrice, terza opera, viene edito nel marzo 2023 con una prefazione di Fabrizio Lombardo.
Lavora nello stabilimento Petrolchimico ferrarese.

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio. Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.

Officina Teatrale A_ctuar e la cecità del mondo

La cecità è andata in scena sabato 6 aprile alla Sala Estense, con Officina Teatrale A_ctuar e la colonna sonora di Lucien Moreau. Un viaggio nel mondo di ieri che è anche, tristemente, di oggi.

“Male bianco” è la rilettura del meraviglioso e celebre romanzo di José Saramago, “Cecità”. In scena i giovani attori del progetto teatrale “Mondi (IM)possibili”, curato da Officina Teatrale A_ctuar, con una colonna sonora originale di Lucien Moreau (Eugenio Squarcia) cha fa uso di elettronica generativa e sound design sperimentale.

Sperimentazione e giovani, la platea né è piena, due elementi fondamentali per successi come quello di questo incredibile, originale, e unico, spettacolo, in un percorso teatrale guidato da Sara Draghi e Massimo Festi, con la collaborazione anche della danzatrice Alessandra (Ale) Fabbri, per le coreografie.

“Siamo ciechi che, pur vedendo, non vedono” è la frase di Saramago che, immediatamente, coinvolge e tocca tutti. Se poi si aggiungono il caos della città, un ex manicomio e lo scoppio di un’epidemia improvvisa di cecità con uno Stato invadente che invita al sacrificio e mette in isolamento, che porta la mente ai momenti della recente pandemia di Covid, ci troviamo subito immersi in un mondo distopico. E in quell’esperienza collettiva globale che ci ha profondamente cambiato (si sperava in meglio, ma così non è, se vi pare).

Ci sono tutti gli ingredienti di questa società oscura: l’indifferenza, l’egoismo, il potere e la sopraffazione, le difficoltà dei giovani, l’ingiustizia, la guerra di tutti contro tutti, la violenza, il terrore, il male di vivere, il buio della ragione. La perduta via smarrita.

E se si pensa che il testo di Saramago è del 1995, in un tempo e un luogo non precisati, la riflessione e la visione profetica sono disarmanti e allarmanti.

Con sullo sfondo questo, i giovani attori di A_ctuar (che quest’anno compie dieci anni), invitati ad inserire nella pièce un monologo su sé  stessi, si raccontano, parlano delle proprie necessità, delle difficoltà di crescere, di accettarsi, di piacersi, dell’inadeguatezza che a volte si percepisce, della ricerca di un posto nel mondo dei ‘grandi’.

Un percorso bellissimo di crescita culturale condivisa, di socializzazione e di grande partecipazione. Spazio alla città, allora, spazio ai giovani.

Il progetto teatrale Mondi (IM)possibili è stato realizzato in collaborazione con Consorzio Factory Grisù e il patrocinio del Comune di Ferrara e della Regione Emilia-Romagna

Gli attori: Ada Alberti, Agata Bovolenta, Matei Covasa, Sara De Zordo, Eleonora Ferri, Giulia Guariento, Stefano Marraffa, Carolina Martinez, Valeria Miotto.

Pagina Facebook di A_ctuar

Foto Valerio Pazzi

Emergenza climatica: una sentenza storica della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

Emergenza climatica: una sentenza storica della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

Sono state emesse stamattina dalla Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo le attese sentenze sulle tre cause climatiche intentate presso il foro. I giudici erano chiamati a valutare se la mancata adozione da parte degli Stati di politiche climatiche in linea con gli impegni assunti con l’Accordo di Parigi configurasse violazione dei diritti dei loro cittadini. È la prima volta che la Corte si pronuncia sulle mancate misure per il clima.

Nel caso Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri contro la Svizzera, la Corte di Strasburgo ha condannato la Svizzera per la mancata adozione di misure in materia climatica, riconoscendo di fatto la relazione tra difesa del clima e tutela dei diritti umani. La CEDU ha stabilito che il mancato raggiungimento degli obiettivi di riduzione dI gas clima alteranti ha violato alcuni diritti umani. La sentenza dovrebbe costringere il governo elvetico a varare politiche climatiche più efficaci e può avere importanti ripercussioni su altri Paesi europei.

Non è invece positivo l’esito della causa Duarte Agostinho e altri V. Portogallo e 32 altri Paesi, presentato da 6 giovani portoghesi. I giudici di Strasburgo hanno infatti dichiarato inammissibile il ricorso: “Per quanto riguarda la giurisdizione extraterritoriale degli Stati convenuti diversi dal Portogallo, la Corte ha ritenuto che non vi fossero motivi nella Convenzione per estendere, tramite interpretazione giudiziaria, la loro giurisdizione extraterritoriale nel modo richiesto dai ricorrenti. Considerato che i ricorrenti non avevano intrapreso alcuna via legale in Portogallo in merito alle loro denunce, il ricorso dei ricorrenti contro il Portogallo è risultato irricevibile anche per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne”. La dichiarazione di inammissibilità va dunque interpretata come una devoluzione alle giurisdizioni nazionali delle cause in materia.

“In altre parole – commenta Lucie Greyl dell’organizzazione A Sud e co-coordinatrice della Campagna Giudizio Universale – la CEDU ha rimandato ai giudici nazionali il compito di pronunciarsi sull’adeguatezza delle politiche climatiche e sugli impatti che la mancata azione ha sui diritti umani. Una ragione in più per impugnare la sentenza con cui il Tribunale ha dichiarato inammissibile la nostra causa”. È di un mese fa infatti la sentenza del Tribunale Civile di Roma ha rigettato la causa intentata da 203 ricorrenti contro lo Stato Italiano per “difetto assoluto di giurisdizione”. Eppure, il contenzioso sul clima contro lo Stato italiano (A Sud et. al. contro Italia) si basa proprio sulla minaccia ai diritti fondamentali causata dall’inadeguatezza delle politiche climatiche e affronta la mancanza di un quadro normativo sul clima e l’assenza di politiche basate sulla scienza. “L’altra novità importante è che il legame inscindibile tra azioni di contrasto ai cambiamenti climatici e tutela dei diritti da oggi ha nella pronuncia della CEDU un riconoscimento fondamentale per le nostre battaglie per la giustizia climatica”.

Respinto infine il caso Carême c. Francia, riguardante il ricorso presentato da un ex abitante e sindaco del Comune di Grande-Synthe: secondo la Corte “il ricorrente non aveva lo status di vittima ai sensi dell’art. 34 della Convenzione”.

Fidest agenzia di stampa

Fidest è un’agenzia giornalistica a diffusione internazionale e generalista. È stata fondata nel 1989 e la sua sede è a Roma. Ha iniziato con periodicità settimanale e in cartaceo per arrivare on-line (nel 2002) con pubblicazione quotidiana. Il suo scopo è quello di alimentare un secondo circuito informativo riprendendo le notizie dai comunicati stampa che pervengono direttamente alla redazione da tutte le parti del mondo sia in italiano sia in altre lingue (principalmente inglese, francese e spagnolo). Le notizie riportate sono accessibili a tutti i visitatori senza limitazione e la consultazione è gratuita. Fornisce, a richiesta, note di documentazione per giornalisti e ha attivato dei centri studi per gli approfondimenti tematici su l’alto sviluppo tecnologico, la pubblicità, il marketing, il sociale e l’educazione politica, l’evoluzione scientifica e il paranormale, gli studi letterari, filosofici, psicologici e storici e la tutela dei diritti dei cittadini. Svolge attività editoriale in proprio con testi relativi agli studi svolti dai centri studi della fidest. Inoltre svolge anche la funzione di ufficio stampa e di pubbliche relazioni.

Vite di carta /
Malinverno, un eroe tardo romantico nel romanzo omonimo di Domenico Dara

Vite di carta.  Malinverno, un eroe tardo romantico nel romanzo omonimo di Domenico Dara.

16 verticale: impazzì delusa dall’amore per Amleto.
Scrivo Ofelia senza pensarci un attimo e intanto valuto che il caso è generoso nel farmela incontrare ultimamente.

Ofelia è il personaggio femminile che ho appena frequentato leggendo il corposo romanzo Malinverno, scritto da Domenico Dara e uscito presso Feltrinelli nel 2020. Corposo e pieno, pienissimo di letteratura.

Lei per prima, la Ofelia ombrosa e dal viso bellissimo che il protagonista ama fino alle vette emotive del sublime, proviene dritta dritta da precedenti letterari. Nella sua malinconia, che è propensione alla pazzia, fa rivivere prima di tutto la eroina omonima creata da Shakespeare nell’Amleto.

Il protagonista maschile, che è anche la voce narrante, si chiama Astolfo Malinverno. Intanto il nome Astolfo è un altro bel marchio letterario che viene dallOrlando furioso di Ariosto, dal paladino degli innumerevoli viaggi che va perfino sulla luna.

Ora vediamo la vita che egli conduce nel suo paese, Timpamara, un posto semi-immaginario collocato in Calabria. Astolfo conduce una vita quotidiana in apparenza monotona e abitudinaria: nelle ore del mattino è custode del cimitero locale, i pomeriggi li passa come bibliotecario a sistemare e prestare libri nella biblioteca del paese.

Per uno che è nato “tre settimane dopo Alain Delon e il giorno prima di Woody Allen” il non aver fatto centro nella vita sembra essere lo stigma inamovibile che lo relega nell’anonimato, alla periferia del vivere. E infatti lo conosciamo all’inizio nella sua quotidianità solitaria di orfano e con il limite della zoppia congenita che lo tiene ancorato ai piccoli spostamenti dentro il paese. 

Eppure dentro le giornate tutte uguali pulsa lo spessore esistenziale che Astolfo si è dato negli anni attraverso le sue letture. Astolfo è uno che si è letto infiniti libri, ha letto i classici di varie letterature, ha conosciuto storie e vite di carta e si è infiammato per i finali dei libri dove il mondo non si ricompone e il protagonista muore.

La morte e i libri sono il binomio su cui è costruita la struttura tematica del romanzo, quando Astolfo comincia il suo lavoro al camposanto le due sfere del suo interesse interagiscono e si contaminano. Si affolla dentro le sue giornate una galleria di paesani, viventi o defunti, con nomi e cognomi strampalati, in una sorta di espressionismo anagrafico che preannuncia le loro stranezze, o le manie, o i tic e le traversie esistenziali.

Le letture di Astolfo lo portano ad abbinare persone e personaggi letterari, come se i viventi fossero espressioni fenomenologiche riconducibili ognuna al proprio paradigma di carta.

Ed ecco entrare in scena Ofelia, che viene in visita alla tomba della madre. È inevitabile l’incontro con Astolfo, che in quanto custode del luogo spesso si aggira tra le sepolture per prendersene cura.

C’è di più: Astolfo si è da tempo innamorato della donna della foto a cui Ofelia somiglia come una goccia d’acqua, è stato attratto irresistibilmente dal mistero e dalla bellezza che promana dal suo volto sulla lapide senza nome e dagli occhi magnetici. Ha voluto darle un nome e ha scelto Emma in onore di Madame Bovary, la celebre eroina di Flaubert.

Lo sguardo della donna emana un mistero assoluto anche nella Testa di Ofelia pazza, il magnifico quadro di Michele Rapisardi che è il pezzo forte della collezione catanese di pittura esposta in Castel Ursino. Giorni fa cercavo i voli per Catania e, eccolo il caso, mi è apparsa la schermata con gli orari di visita al castello e la raffigurazione del volto di Ofelia. 

Davanti a due occhi così si entra nel libro e si comprende come la sensibilità tardoromantica di Astolfo venga travolta dall’amore per la versione vivente di Emma.

L’amore di Astolfo fluisce presto su Ofelia, e Ofelia ama lui: sono compagni nel ricostruire la vicenda triste della madre di lei, ricoveratasi nel vicino manicomio in età ancora giovane e con la figlia piccola da proteggere. Il viaggio dentro al passato serve a Ofelia per comprendere che la madre non l’ha abbandonata: facendosi rinchiudere spontaneamente l’ha salvata  dalle cure inadeguate che poteva darle e dalla sua follia.

La morte e l’amore divengono l’altro binomio che fissa le coordinate della vicenda narrata, e insisto sulla morte non volendo svelare la fine della storia d’amore. 

Mi limito a richiamarli come categorie dello spirito romantico che Dara ha voluto assegnare al suo protagonista, e aggiungo l’estenuazione nel dolore e la propensione alla malattia mentale e fisica come elementi di una sensibilità tardoromantica che affiora tra i personaggi del libro e tra le tombe del cimitero. Con la matita ne ho segnati non pochi di passi così, durante la lettura.

Verso la fine della storia lo stesso Astolfo richiama le sottolineature che ha tracciato nei libri, in un passo che da solo mi rende questo romanzo degno di essere letto:

“Pensai prima di addormentarmi che il libro letto è tutto racchiuso nelle sottolineature. Pensai prima di addormentarmi che un giorno qualcuno avrebbe potuto fare un libro dei libri in cui riportare tutte le frasi sottolineate. Pensai prima di addormentarmi che anche la morte è una immensa sottolineatura, in cui il Grande lettore decide cosa è degno di essere ricordato e cosa invece può scivolare nel fondo del dimenticatoio universale”.

Nota bibliografica:

  • Domenico Dara, Malinverno, Feltrinelli, 2020

Cover : Michele Rapisardi, Testa di Ofelia pazza (1865)

Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

A scuola da don Milani (Seconda parte)

A scuola da don Milani. Seconda parte

Don Milani la pace e le mille sfumature del pacifismo, il militarismo, la patria

Non saprei dire se è giusto mettere don Milani nella folta, variopinta, talvolta ambigua, schiera dei pacifisti.

Oggi personalmente tenderei ad escluderlo. Di sicuro si può dire che era per la non violenza. Di ispirazione gandhiana. E quindi contro la guerra (come diceva della sua posizione, lo stesso Gino Strada, che di guerre se ne intendeva, e che non amava il termine “pacifista”).

Era contro la guerra, don Lorenzo, e tutto quel mondo di militari e paramilitari, che campava di retorica bellicista e militarista, convinti che solo la guerra è la levatrice della storia. Quei cappellani che, più militari che preti, pretendevano pure di imporre il loro militarismo alle libere coscienze, abusando delle insegne sacerdotali. Andavano pure avvertiti, questi residui bellici, che i tempi delle crociate erano passati da molto!

Oggi in presenza di due tragiche guerre vere, in Europa e dintorni, la nostra coscienza è tormentata da molti dubbi e poche certezze.

Abbiamo così un triplice confronto morale:

  1. quello contro la guerra, distinguendo fra i carnefici e le vittime (che, come dice don Milani, sono sempre i più poveri) e stare senza esitazione dalla parte delle vittime;
  2. quella contro la retorica intorno al concetto di nazione, indicata come la “patria” e assunta come criterio identitario di appartenenza, ideologica ed etnica;
  3. quello del rapporto fra coscienza libertà e obbedienza.

È la storia che ci insegna che il nazionalismo, frutto dell’idea esasperata di nazione, associato sempre a patria, è la prima causa ideologica delle guerre. Ed è proprio questa associazione, fra patria e guerra, che don Milani rompe, clamorosamente, enunciando la sua originale idea di patria.

Un certo uso dell’idea di patria, diceva il priore di Barbiana ai cappellani militari, ha legittimato, come è stato ricordato, “armi che sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, fare orfani e vedove”, al seguito della retorica imperiale, per la grandezza della patria e della razza.

Nel contempo riafferma la lotta, non violenta, dei poveri. “le armi che io riconosco sono lo sciopero e il voto”….“ e se voi dividete il mondo in italiani e stranieri, io reclamo il diritto di dividerlo in diseredati ed oppressi da una parte, e privilegiati ed oppressori dall’altra”.

Morti e massacri, si diceva, sempre servendosi dell’obbedienza. Quell’obbedienza “che voi esaltate senza nemmeno domandarvi, come fa san Pietro, se dobbiamo obbedire agli uomini o a Dio”. Cosa c’è di più evangelico, di più sacro di queste parole di don Lorenzo?

Che definisce coraggiosi, i pochi che vanno in prigione per fare, come san Pietro: “aspettate a insultarli, dice ancora a loro. Domani forse scoprirete che sono dei profeti.…  che, come sempre, i profeti stanno in prigione…e non è bello stare dalla parte di chi ce li tiene.”

“Nelle figure di Socrate e del Gesù dei vangeli, si incarnano i modi dell’obbedienza e della disobbedienza in quanto entrambi espressione della libertà” nota Maisto.

Difende così la libertà di coscienza don Milani, ma in effetti prende di petto la guerra. “Apertamente antimilitarista e contrario ad ogni guerra” ci dice Gaccione “senza inutili sofismi su quella pratica criminale”. Con una grande novità: l’avvento del nucleare. Una svolta storica che ha cambiato radicalmente anche la posizione della Chiesa verso la guerra, come ci ricorda Davigo.

Ma un contributo fondamentale su questo punto cruciale, ci è dato da padre Balducci con il suo “uomo planetario”, d’accordo perfino con lo stesso Darwin (“una volta che la specie umana si percepirà un tutt’uno, i rapporti di simpatia fra gli uomini si sarebbero estesi fino all’estremità del pianeta”).

“L’uomo planetario” di Balducci, supera non solo ogni distinzione bizantina, soprattutto identitaria, portata dalla storia fino ad oggi. “Anche la qualifica di cristiano mi pesa”, scriveva padre Balducci, perché divisiva degli esseri umani, come ogni qualifica identitaria. Ma spazza via tutto l’armamentario sovranista.

Non sono che un uomo, espressione neotestamentaria in cui la mia fede meglio si esprime”.

Ma la novità più grande che porta Balducci, è che da questa nuova identità sarebbe derivata una “cultura della pace” basata su due pilastri: la politica e l’ecologia. La pace fra gli esseri umani con la politica, la pace con il pianeta con l’ecologia.

È profezia? È utopia? Utopia è anche quella di Kant nella sua “pace perfetta”. Eppure è un contributo importante al pensiero sul tema. Quel pensiero che, come dice Vito Mancuso, ha il compito di indicare l’ideale verso cui camminare, “e senza profezia e utopia non c’è neppure teologia”. Del resto l’alternativa, dice ancora, è il blut und boden, “sangue e suolo” che i nazisti amavano evocare. Un’alternativa tragica molto praticata ancora oggi.

Ebbene questo il milieu intellettuale del laboratorio fiorentino. E non è un caso che Balducci entri, anche lui, come imputato nel processo a don Milani.

Don Milani però va oltre, nelle sue motivazioni contro la lettera ai cappellani militari.

Introduce il principio di responsabilità solidale: chiunque partecipi a una azione collettiva, ne è responsabile morale. L’obbedienza alla legge ingiusta, o a un ordine ingiusto, non deresponsabilizza. Perché allora anche l’olocausto è solo colpa di Hitler che, essendo pazzo, non è responsabile neanche lui. E così l’uccisione di 6 milioni di ebrei non ha colpevoli. Non più l’obbedienza cieca, quindi, ma l’obbedienza consapevole.

Così il principio di responsabilità personale, è la cifra che definisce in positivo la posizione di don Milani sul rapporto con la legge, la coscienza e il militarismo.

E proprio rispetto alla legge, e il costante riferimento alla costituzione, è cruciale l’insegnamento del priore di Barbiana. Intanto la distinzione fra legge e legalità.

Si deve essere sempre dalla parte della legalità, e dalla parte della legge se giusta. E se giusta non è, occorre battersi per cambiarla. Questo insegna ai suoi ragazzi. Non un sovversivo, quindi, ma un educatore che afferma la supremazia della coscienza e della responsabilità, civica e politica. Quella “da esercitare non da soli, il che è egoismo, dice, ma insieme ad altri, che è invece la politica”. “Esortando alla non collaborazione col male” dice Maisto.

La sua radicale avversione alla guerra, come alla povertà, alle ingiustizie, ne fanno un difensore dei poveri, della legalità, di leggi giuste, che sono quelle a tutela dei più deboli. E non è che tutto questo si può cambiare con le giaculatorie.

“Un sistema può cambiare solo se si sconvolgono le sue regole” diceva padre Turoldo. E don Milani ammoniva ancora che “bisogna rimboccarsi le maniche, perché bisogna essere noi a cambiare il sistema, e non aspettare che il sistema cambi noi”.

Don Milani e la scuola classista

Per don Lorenzo la scuola è la via obbligata per la cultura, indispensabile a ciascuno per realizzare la propria umanità. Ed è per questo che, per i suoi poveri la sceglie come progetto centrale della sua missione formativa, ma anche evangelica. Via di uscita dalla emarginazione, attraverso una emancipazione culturale.

Ma che scuola era quella offerta dalle istituzioni? Che scuola è tuttora? Intanto molti ne erano esclusi, e molti erano discriminati in base al censo e alle condizioni di vita. “Un ospedale, quindi, che cura i sani e respinge i malati”. E quanto è vero ancora oggi, soprattutto per i poveri “migranti” universitari.

Gli stessi criteri di giudizio erano intrinsecamente discriminatori. “Se il compito è da 4, io do 4.’ …”, diceva la professoressa della lettera, credendosi giusta cosi. Obbiettiva, pur trascurando del tutto la condizione di vita del ragazzo. Ma questo, era del tutto in linea con i criteri di giudizio allora correnti. Un modo di pensare condizionato dal famoso “velo di ignoranza” di Rowels, che induce a valutare impersonalmente i principi di giustizia.

Una scuola “duramente selettiva”, quindi, come ci ricordano Ichino e Lizzola, che hanno visto perdere quasi tutti i compagni di classe, via via che passavano alle scuole superiori. Un abbandono che contraddiceva quella che pure era una diffusa aspirazione, anche nelle famiglie povere.

Come non ricordare la canzone iconica del sessantotto, Contessa di Paolo Pietrangeli, così ironicamente vera e ficcante. La pretesa indecente, la definirei io, ”….ma pensi, contessa,…del figlio dell’operaio che vuole diventare dottore”.

Ebbene, quel modello, Milani lo ribalta intanto con tre principi basici:

  1. quello di combattere la dispersione scolastica. Cercava i ragazzi, convinceva i genitori
  2. quello di personalizzare l’insegnamento, l’antico adagio che “per insegnare il latino a Giovanni, bisogna conoscere Giovanni, ancora prima del latino” era per lui un must…. Pierino il privilegiato e Gianni lo sfigato, racconta, non sono uguali. “E trattare da uguali i disuguali, è profonda ingiustizia”. E qui si apre tutto il discorso su cosa vuol dire “merito”.
  3. quello di dare un insegnamento vivo, aperto nel mondo, capace di leggere la realtà, conoscere i propri diritti, usare gli strumenti per affermarli e difenderli.

Formare delle personalità che abbiano dignità e autostima. Da sudditi della povertà a cittadini a pieno titolo. Togliendo “questo veleno della educazione all’umiltà degli umili perché è ciò che permette di asservirli…” (Lizzola). E questo attraverso un impegno duro di 12 ore al giorno, per 365 giorni l’anno.

In questo impegno, don Lorenzo parte da una grande scoperta: l’importanza della parola, del linguaggio, che è il fattore discriminante. Il figlio del contadino non aveva meno conoscenze del figlio dell’avvocato (pensiamo al rapporto con la natura). Ma non aveva il linguaggio, e questo lo teneva ai margini, penalizzato da un sistema di giudizi “oggettivi” e quindi “giusti”, tecnicamente, ma non moralmente.

Don Milani organizza un processo formativo/educativo, per dare ai suoi ragazzi il linguaggio. Quello che fa “la saldatura fra la scuola e l’evangelizzazione”, dice Bettoni, che ricorda anche come, ogni rivoluzione di cambiamento che è avvenuta nella storia della Chiesa, “non ha mai fatto riferimento a modelli sociologici, organizzativi, ma al vangelo sine glossa”.

Però la scuola del priore vuole dare anche la conoscenza, il senso critico, la coscienza civica, il senso di giustizia e la solidarietà. Non senza affrontare, in ciò, ostacoli, pregiudizi, ostilità. Ma lui va avanti, e fa, così “una vera rivoluzione didattica, che è una grande battaglia per l’uguaglianza, utilizzando la lingua come strumento”, ci dice Diana De Marchi.

Una uguaglianza che sembra un valore/obiettivo oggi dimenticato. Un clima politico che, rispolverando l’ambiguo termine “meritocrazia”, promuove una ideologia che, ci ricorda Gad Lerner: “Papa Francesco dice che serve a giustificare le disuguaglianze”.

Una scuola che, così invece di essere sul “filo del rasoio fra presente e futuro” come dice Ivo Lizzola, si colloca nostalgicamente fra presente e passato. Con il solo obiettivo di “distribuire potere senza… sapere”.

Pur fra le molte difficoltà, a Calenzano prima e Barbiana poi, don Lorenzo procede con la sua scuola. Una scuola moderna e innovativa. Un lavoro duro, impegnativo, ma anche piacevole e divertente, come dice un suo allievo.

Anche perchè “meglio la scuola che la merda”, (delle stalle ovviamente), scrive un ragazzo nella lettera. Impegnativo e divertente il lavoro della scuola, perché scandaglia il mondo: geografia, storia, materie classiche, ma anche lingue, studio dei classici a partire da Socrate non a caso, pittura, musica, lavoro manuale, esperienze all’estero, i grandi che insegnano ai piccoli, una ricchezza di esperienze insomma, esercitando e stimolando costantemente l’immaginazione.

Una qualità che lui apprezzava molto (che gli stessi Eistein e Fellini consideravano un attributo della genialità). E dalla quale nasce il carattere visionario di chi la possiede.

Si potrebbe dire che Barbiana è un modello, ma non è vero. Lui peraltro lo contesterebbe.

Però è una esperienza ispiratrice di valori e di criteri di comportamento, come dimostra il successo nel mondo.

Studio severo, studio della realtà, a partire dalla lettura dei giornali… il giornale a Barbiana!

Precursore della scuola a tempo pieno, di una didattica creativa, di un modello nel rapporto scuola-lavoro, dello stesso Erasmus.

Corollario importante nella rivoluzione della scuola di Barbiana, e anche centro del processo educativo, è il messaggio che aveva posto all’ingresso “ I care “,  mi importa, mi sta a cuore. Enfatizzando, ma neppure tanto, mi verrebbe da dire che è lo slogan con cui la meglio gioventù americana, ha fermato la guerra del Vietnam.

In tempi nei quali c’è così tanta voglia di tornare al “me ne frego”, e l’egoismo imperante induce, oggi ancor più di allora, all’indifferenza più smaccata, questo anatema dell’indifferenza è anch’esso particolarmente attuale.

Non a caso papa Francesco e un personaggio di grande statura morale come Liliana Segre, battono spesso sul tema dell’indifferenza come uno dei mali del nostro tempo. Anticipatore, don Milani, anche in questo  caso,

Di un tema di prima grandezza, colto dalla realtà della tanto discussa “contestazione” della gioventù americana, e non solo.

Don Milani, un personaggio del paradosso, dei paradossi

Nasce ebreo, diventa prete cattolico. E che prete con la sua radicalità evangelica.

Ama appassionatamente la sua Chiesa. E ne è ricambiato con cattiverie e ostilità.

Nasce ricco borghese e sposa totalmente la miseria contadina montanara.

È il ricco che va in paradiso: attraverso la scelta della povertà.

È il cammello che passa dalla cruna dell’ago

“Uomo di grande cultura, intelligenza, forza polemica passa per la non cultura di un popolo di montanari” (Ronchi)

Cresce fra Firenze e Milano e finisce esiliato in un luogo insignificante dove resterà ben 13 anni fino alla morte.

Anticipa, da profeta, battaglie di civiltà e di liberazione delle coscienze e viene punito come uomo e come sacerdote.

Insegna il rispetto della legge, viene condannato dalla legge.

Di carattere rude (“urticante” dice Ichino, ”duro come il diamante” dice il papa) ha sentimenti e gesti di affetto dolcissimi.

Come si fa a non essere affascinati da una personalità così ricca e poliedrica?

“Come si può non amare un uomo come te, Lorenzo”!

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