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“La buona scuola siamo noi”. Il fotoracconto della protesta degli insegnanti contro il governo

“No alla buona scuola di Renzi”. Erano più di trecento i partecipanti alla manifestazione indetta per protestare contro il disegno di legge predisposto dal governo per stabilire le nuove regole che disciplineranno l’istruzione pubblica. Il flash mob si è tenuto in piazza in occasione dello sciopero generale di martedì. Sul Listone erano presenti soprattutto insegnanti. Sui loro striscioni e palloncini un’affermazione: “La buona scuola siamo noi”.

Ecco il racconto per immagini del fotoreporter Luca Pasqualini.

Il museo vivo della conoscenza

Sono piccoli gioielli, creati da maestri artigiani a partire dalla fine del’400, e poi diventati oggetti di moda e di collezioni-culto nel corso dell’800. Poi basta; c’è stato un lungo oblio. Adesso queste opere a smalto su rame del Rinascimento italiano diventano oggetto di nuovi studi, catalogate per la prima volta in maniera sistematica grazie a una collaborazione internazionale. In campo il museo del Louvre e la fondazione Cini di Venezia. Con Ferrara – già culla del Rinascimento, dove li si modellava, acquistava e desiderava – che torna a puntare i riflettori su questi piccoli capolavori di artigianato artistico. Il salone del Restauro, dal 6 al 9 maggio a Ferrara Fiera, ospiterà infatti lo studio del progetto e il lancio di un nuovo museo che renda la conoscenza viva all’interno della comunità. Lo racconta per noi Letizia Caselli dell’Università Iuav, Istituto universitario di architettura di Venezia.
Appuntamento venerdì 8, ore 10,30-12,30 nella sala Diamanti, alla Fiera di Ferrara, via della Fiera 11.

di Letizia Caselli*
Con gli auspici del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo sarà promosso a partire da maggio 2015 il progetto internazionale “La città dei musei. Le città della ricerca”, con l’idea di un nuovo museo, il museo della viva conoscenza.
Un luogo in cui si incontrano e discutono le intelligenze di Paesi diversi legati da progetti comuni. In cui proprio le intelligenze, le persone sono il vero capitale sociale.
In un momento in cui si pone l’urgenza di riflettere assieme su un futuro possibile fatto non solo di grandi mostre e di consumo effimero, ponendo il giusto accento sullo status e il ruolo del “patrimonio comune” pressoché dimenticato o dominato dalla retorica della globalizzazione, nel più vasto contesto delle preoccupazioni politiche e culturali delle società e dei differenti Paesi.
Aspetti che dialogano con l’esigenza accademica “aperta” che cerca di ripensare i valori da tramandare, il canone scientifico da proporre proprio a partire dagli oggetti del patrimonio comune con una nuova e ritrovata funzione per l’istituto museale
Tutto questo mentre il mondo dei musei italiani ha risorse drasticamente ridotte, personale scientifico insufficiente, terziarizzazione spinta non solo dei servizi ma anche della produzione culturale drasticamente tagliata. Un mondo in cui le opere “giacciono”.
L’occasione del progetto internazionale dedicato al corpus mondiale degli smalti su rame detti veneziani del Rinascimento italiano promosso dal Département des Objets d’art del Musée du Louvre in collaborazione col Centre de Recherche et de Restauration des Musées de France e la Fondazione Giorgio Cini di Venezia, consente di mettere in campo sul territorio la presenza di uno dei più grandi musei del mondo insieme a istituzioni italiane di prestigio – presenza che può essere opportunamente indirizzata alla creazione di ulteriori scambi e progetti – dato il percorso già tracciato ad opera solo delle singole volontà e soprattutto dagli stessi temi e metodi di ricerca innovativi proposti ad ampio raggio, in chiave risolutamente interdisciplinare.
Testimonianza di squisita raffinatezza nel più ampio contesto della produzione culturale e sociale del Rinascimento italiano, tali opere d’arte suscitano oggi una collaborazione di alto livello tra ricercatori francesi e italiani.
Si tratta di una produzione esclusiva e rara – ci sono pervenuti meno di trecento oggetti in rame smaltato – tradizionalmente riferita a Venezia da Émile Molinier già nel 1891 e negli anni venti da Lionello Venturi, che l’ha immessa nell’asse della storiografia italiana.
Il metallo, che dà la forma all’oggetto, fa da supporto ad una decorazione riccamente colorata, formata da vetri bianchi, blu, viola o verdi, posti a strati su un fondo di vetro bianco opaco o su una miscela di colore bianco e traslucido. Il tutto è ornato da lumeggiature in rosso e turchese e la doratura assume un ruolo molto importante in questa decorazione caratterizzata da un fantasioso repertorio floreale e vegetale.
Ammirati e collezionati nell’Ottocento – periodo in cui si formarono le principali collezioni europee –, questi oggetti, la cui origine risale alla fine del Quattrocento, furono poi dimenticati.
La maggioranza dei pezzi, presenti nei principali musei e collezioni del mondo, è formata da servizi composti principalmente da coppe a volte con coperchio, piatti, bacili, saliere, brocche e fiaschette. Altre tipologie includono cofanetti, candelabri e uno specchio mentre alcune paci, ampolline e reliquari attestano anche un uso religioso.
Mai catalogati e pressoché inediti sono stati studiati scientificamente, con gli orientamenti della ricerca ora rivolti a studiare la datazione, a impostare i criteri della la cronologia, delle forme e della decorazione ripensando la questione dei luoghi o del luogo di produzione, con il ruolo di Venezia da approfondire e indagare.
Lavoro proposto per la prima volta al grande pubblico italiano insieme all’aspetto tecnico e materico che caratterizza la preziosa tipologia artistica.
Un’esperienza forte questa della ricerca sugli smalti detti veneziani, che pone alla comunità scientifica internazionale, pur senza alcuna sponsorship, la necessità e l’urgenza di porre la cultura e la conoscenza – e al massimo grado – al centro dei grandi processi di trasformazione del nostro tempo.
Si tratta di cogliere la felice ma piccola circostanza di un movimento “vivo” e nuovo di studio tra Italia e Francia, di intrecci di alto e vario livello, per lanciare e discutere un modello di sviluppo a scala più grande insieme a una contaminazione positiva e a una visione costruttiva del futuro.
Visione in cui istituzioni, università e musei devono innanzi tutto formarsi e formare per poter affrontare una realtà in cui sono richieste figure diversamente tornite da quelle di oggi, in cui vanno declinati e focalizzati nodi specifici di ricerca poi condivisi tra Paesi diversi, in allineamento con le tendenze che si stanno affermando nelle principali città europee anche in funzione di finanziamenti e progetti concreti.
Dimensioni infine che andranno ricercate e individuate singolarmente – da ognuno – per essere poi conosciute, elaborate, trasmesse in una prospettiva culturale evoluta e poste all’intera collettività sociale e istituzionale.
Una città dei musei dunque non separati dalla vita normale di tutti i giorni – “musealizzati” e “tombificati” – ma musei come elemento dinamico, essenziale del tessuto urbano animato da un movimento d’insieme alla scoperta della sua propulsione conoscitiva.

* Letizia Caselli è ricercatrice dell’Università Iuav

Programma Seminario di studio

VENEZIA E PARIGI. GLI SMALTI DIPINTI SU RAME DETTI VENEZIANI DEL RINASCIMENTO ITALIANO
MUSEI E RICERCA INTERDISCIPLINARE. UNA NUOVA ALBA DEL PATRIMONIO CULTURALE

Lancio del progetto internazionale
“La città dei musei. Le città della ricerca”
Ferrara, Salone dell’Arte del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali e Ambientali XXI edizione
Venerdì 8 maggio 2015
Sala Diamanti – Padiglione 5
Ore 10.30-12.30

Indirizzi di saluto

Alto rappresentante del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo

Introduce e coordina Letizia Caselli, responsabile scientifico del progetto internazionale “La città dei musei. Le città della ricerca”

Françoise Barbe, Le corpus mondial des émaux peints sur cuivre dits vénitiens de la Renaissance italienne, conservatrice, Département des Objets d’Art, Musée du Louvre, Paris

Béatrice Beillard, Les altérations des émaux avec une approche détaillée sur les émaux dits vénitiens du Musée du Louvre, restauratrice al Musée du Louvre, Paris

Discussione

Introduce e coordina Ileana Chiappini di Sorio, presidente onorario Amici dei Musei e Monumenti Veneziani e Università Ca’ Foscari di Venezia

Prolusione di Tommaso Montanari, Università degli Studi di Napoli Federico II
Musei: luoghi di pensiero o di intrattenimento?

Discussione e conclusioni

Interviene Giovanni Alliata di Montereale, nipote di Vittorio Cini

Servizio di traduzione simultanea

“Alimentarsi di beni culturali, energia per il cervello”. Aperta la ‘cucina’ al salone del Restauro

“Nutrire il pianeta, energia per la vita”, questo è lo slogan di Expo 2015 che ha appena aperto le proprie porte a Milano. Marcello Balzani – professore del dipartimento di Architettura dell’ateneo ferrarese e responsabile scientifico del Teknehub di Ferrara – ha coniato per noi lo slogan “Alimentarsi di beni culturali, energia per il cervello”: ecco così spiegato il patrocinio di Expo alla XXII edizione di “Restauro. Salone dell’arte del restauro e della conservazione dei beni culturali e ambientali”, che si svolge a Ferrara Fiere fino al 9 maggio.

salone-restauro“Centocinquantaquattro fra convegni, seminari e incontri in 4 giorni”, “uno dei rarissimi casi di connubio tra parte espositiva e parte convegnistica”, così descrive “Restauro” l’architetto Carlo Amadori di Acropoli srl, il capo progetto della manifestazione. Quest’anno il consueto appuntamento con il mondo del restauro e della conservazione dei beni culturali e ambientali a Ferrara apre le proprie porte al pubblico più tardi rispetto al solito proprio in ragione dell’importante riconoscimento arrivato dalla manifestazione milanese: “Abbiamo colto questa occasione per poter avere un aumento di internazionalizzazione”, spiega Amadori.

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Lo scalone monumentale in stato di degrado del convento di Santa Maria in Vado

Il patrocinio di Expo si affianca così al sostegno che “Restauro” fin dall’inizio riceve dal Mibact, anzi quest’anno l’economia della cultura, da sempre “il nostro orientamento e il nostro programma, viene a coincidere con la linea assunta dal ministero per i Beni e le attività culturali e il turismo”, sottolinea Amadori. Proprio la riforma attuata dal Mibact troverà a “Restauro” numerosi momenti di approfondimento. Altro tema molto sentito, questa volta per quanto riguarda l’Emilia Romagna, è la ricostruzione post-sisma, a cui “Restauro” rivolge fin dal 2013 una doverosa attenzione. “Stiamo entrando nella fase di ricostruzione e rivitalizzazione dei centri storici colpiti – ci spiega l’architetto – e “Restauro” è l’occasione per fare il punto della situazione soprattutto su quest’ultimo tema che è fondamentale, dopo la prima fase della messa in sicurezza”. Per questo “ci sarà un padiglione intero dedicato al post-terremoto con una mostra specifica chiamata “Terreferme. Emilia 2012: il patrimonio culturale oltre il sisma”, curata dal segretariato regionale per l’Emilia-Romagna: la narrazione di ciò che è stato fatto e di come sono state rese più efficienti le procedure di intervento per la salvaguardia del patrimonio culturale, ma soprattutto un racconto rivolto al futuro perché la condivisione della conoscenza è lo strumento più forte per la tutela del patrimonio culturale.
Al termine della nostra conversazione non potevamo non chiedere all’architetto perché all’inizio di questa avventura, che ha portato il Salone del restauro a diventare un’eccellenza a livello nazionale e internazionale, la scelta è caduta su Ferrara. “Il primo anno tutto è partito da un’iniziativa coordinata da me e dall’Istituto dei beni culturali della Regione Emilia Romagna. Abbiamo chiesto alla Regione quale poteva essere la sede ideale per il tema che volevamo trattare e da subito l’indicazione è stata Ferrara, che in quel periodo aveva tra l’altro appena terminato il nuovo quartiere fieristico su progetto di Vittorio Gregotti. Da allora siamo rimasti anche in forza dell’importanza via via data dalla città al ruolo dei beni culturali: Ferrara è stata dichiarata patrimonio dell’Unesco non solo per il centro storico, ma anche per il territorio circostante e ha un’attività culturale di tutto rispetto. Non si può poi dimenticare l’importante presenza della facoltà di Architettura e del Teknehub, che sono partner fondamentali della manifestazione”.
Proprio con il professor Balzani, responsabile scientifico del Teknehub, abbiamo parlato di due degli appuntamenti più importanti di questa edizione: Smart museum e Inception, candidato in uno dei rami di finanziamento del programma quadro europeo Horizon 2020 e ammesso al finanziamento dalla Commissione.

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Restauro conservativo della ‘Madonna del cardellino’ di Raffaello Sanzio (150)

Partendo dalla riforma del ministero, “che sta mettendo al centro il tema del museo e una politica di riconfigurazione dei ruoli museali, abbiamo individuato questo tema trasversale dello Smart museum: “una sorta di logo per varie iniziative per comprendere la problematica museo a 360°, non solo a livello nazionale, ma anche europeo e internazionale”. Uno degli aspetti più interessanti, secondo quanto ci spiega Balzani, è che la prospettiva si allarga al sistema museo: “dalla politica conservativa alle possibilità di sviluppo nel e per il territorio”. Il tutto con l’obiettivo di uscire dal luogo comune per molti italiani che il museo sia solamente “un edificio”, una specie di “zoo dei beni culturali”, dove si ammirano per esempio quadri e pale d’altare fuori dalla loro collocazione originale e quindi, per forza di cose, risemantizzati: il museo è “un’idea”, che entra in relazione “con lo spazio, con il territorio” e, non ultimo, con la comunità e con essi può e deve trovare “intersezioni”, per esempio con il turismo e con le industrie dell’artigianato artistico, mettendo insomma “a sistema lo straordinario patrimonio artistico e culturale diffuso italiano”.

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Marcello Balzani

A questo punto Balzani rientra nel suo ruolo di professore e ci domanda: “Perché l’Italia ha un patrimonio culturale così imponente?” “La risposta che non si dà mai, ma anche la più indiscutibile, è che li abbiamo conservati e protetti, altrove li hanno abbandonati, persi, distrutti. L’Italia da almeno 200 anni percorre la strada della conservazione”, ora la nuova grande scommessa è “mettersi insieme agli altri, uscire dai confini italiani e sforzarsi di creare rapporti internazionali. Il Salone del restauro di Ferrara rappresenta un’occasione in questo senso perché crediamo che non si può essere bravi da soli, si è più bravi insieme agli altri”.
Arriviamo così a Inception. “Inclusive cultural heritage in Europe through 3D semantic model”, questo è il suo nome per esteso, si è classificato primo su 87 partecipanti alla call di Horizon 2020 per le tecnologie applicate ai beni culturali. Verrà sviluppato da un consorzio di quattordici partner provenienti da dieci paesi europei, guidato però dal Dipartimento di architettura dell’Università di Ferrara. Per questo, per Balzani, è l’“occasione per dire che gli italiani sono bravi, perché vincere una call europea non è una cosa banale: abbiamo lavorato intensamente e fatto un progetto di grande serietà. Il messaggio positivo da lanciare è: mettendoci insieme e facendo squadra possiamo vincere”.

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Elaborazione in 3D della Piazza dei Miracoli a Pisa

Tra le principali innovazioni proposte: le metodologie innovative per la realizzazione di modelli 3D e lo sviluppo di una piattaforma open standard per contenere, implementare e condividere i modelli digitali. Il progetto risponde al tema dei “contenuti” che si trovano sul web a proposito dei beni culturali, che “spesso sulla rete sono banalizzati e diventano strumenti di consumo per poi fare altro”. Per quanto riguarda la tecnologia con Inception “abbiamo spostato l’attenzione dall’idea del bene culturale come oggetto allo spazio in cui si ritrovano le persone: ci siamo detti analizziamo anche lo spazio dei beni culturali e lo spazio come bene culturale in se stesso. Pensandoci bene è un’interpretazione molto italiana: l’Italia è piena di grandi spazi d’arte non solo di grandi opere d’arte, viviamo in centri storici e vicino ad aree archeologiche, siamo sempre immersi in una qualità del paesaggio che unica al mondo”.
Tutto ciò avendo sempre in mente “un approccio inclusivo ai beni culturali”: “quando i cittadini si avvicinano alle piattaforme web affrontando il tema dei beni culturali si devono ritrovare”, in altre parole bisogna superare la dinamica dualistica banalizzazione-iperspecializzazione. “Dobbiamo trovare i significati corretti per definire i contenuti dei beni culturali”: “la cultura è sempre una scelta che non deve essere contaminata dalla superficializzazione del sistema attuale dell’on-line”. “Inception – conclude Balzani – può essere una grande opportunità per far emergere questi temi e risolverli attraverso la tecnologia stessa, orientata finalmente a dare un significato e un contenuto” che devono essere spiegati, capiti, condivisi e utilizzati, uscendo dalla logica degli effetti speciali e da “un rapporto di consumo a basso livello di interazione formativa”.
A “Restauro” saranno presentati, come da tradizione, numerosi casi di restauri eccellenti: lo stato di avanzamento del progetto di risanamento della Domus Aurea sotto la guida della Soprintendenza archeologica di Roma e il progetto di illuminazione a led della Cappella Sistina a cura del professor Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, sono solo due esempi. A questi bisogna aggiungere la delegazione scientifica costituita in collaborazione con il Louvre di Parigi, che porterà a Ferrara la presentazione ufficiale del progetto internazionaleLa città dei musei. Le città della ricerca”, promosso dal Mibact e coordinato da Letizia Caselli. Infine l’importante appuntamento con Icom (International council of museums) in vista della 24° Conferenza generale, che si terrà a Milano nel luglio 2016 e tratterà il tema del rapporto tra musei e paesaggi culturali.
Proprio in ragione della grande attenzione riservata in questa edizione 2015 al tema del museo e del suo rapporto con il territorio e la comunità, a “Restauro” non poteva mancare l’Anmli – Associazione nazionale dei musei di enti locali e Istituzionali. Sono circa tremila in tutta Italia, molto diversificati fra loro, “rappresentano l’ossatura del sistema museale italiano”, come sottolinea Anna Maria Visser, presidente dell’Associazione fino al 2006, e in ragione di questa loro diffusione capillare “hanno un fortissimo legame con il territorio, le città e le comunità, di cui sono espressione e specchio”. In altre parole il loro è un “ruolo importante, ma allo stesso tempo delicato e mutevole perché svolgono una funzione di cerniera fra diversi aspetti e istanze”.
Il convegno AnmliMuseo e comunità”, che si svolgerà nel pomeriggio di venerdì 8 maggio, arriva in un “momento molto delicato di trasformazione perché la riforma del Mibact ormai sta per partire. “Ponendo al centro i musei, anche con i poli museali regionali – spiega la professoressa Visser – offre la possibilità di integrare le realtà museali sul territorio con un mandato forte per una gestione sinergica”: insomma “può essere la chiave di volta per cercare di porre fine alla separatezza che è esistita fino ad ora”.

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Anna Maria Visser

Lo scopo dei vari interventi sarà fornire spunti di riflessione sulla partecipazione degli utenti, soprattutto quelli più prossimi ai musei, “non solo in termini di audience e turismo, ma in un’ottica più ampia di fruizione critica”. Verranno anche portati esempi concreti di musei chesono usciti dalle proprie mura, andando a cercare il territorio”: la loro “capacità di innovazione” risiede nella ricerca di “fruizione partecipata e costruzione di nuovi significati e appartenenze”. “In fondo non è che il ritorno al “museo civico” nel senso proprio di questa espressione”, conclude Anna Maria Visser.
Come avrete capito a “Restauro” il cibo per la mente a disposizione è veramente molto, al pubblico rimane la scelta se assaggiare un po’ di tutto o scegliere oculatamente alcune prelibatezze.

Il programma della manifestazione in continuo aggiornamento è consultabile al sito [vedi].

‘World fair trade week’: all’anti-Expo con ‘AltraQualità’ Ferrara è nel mondo del commercio etico

Tra due settimane inizia la World fair trade week, il ‘contraltare’ di Expo 2015 Milano. Dal 23 al 31 maggio infatti Milano diventerà capitale mondiale del commercio equo con 300 delegati da tutto il mondo, 240 espositori, oltre 100 ricercatori. A promuovere l’evento mondiale sono Wfto – World fair trade organization (Organizzazione mondiale del commercio equo), il suo corrispondente italiano Agices – Equo Garantito (Assemblea Generale Italiana del Commercio Equo e Solidale), in collaborazione con il Comune di Milano. Ma tra gli effettivi ideatori, promotori e organizzatori anche una delle maggiori cooperative di commercio equo italiane, AltraQualità di Ferrara. Il presidente David Cambioli ci racconta come è nato e come si svolgerà questo evento di portata internazionale che ha una forte matrice ferrarese.

E’ un caso che la Settimana del commercio equo mondiale sia stata organizzata proprio in concomitanza con Expo o è stata una scelta?

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World fair trade week, Rio da Janeiro 2013

Non è un caso, all’ultima edizione della World fair trade week, nel 2013 a Rio de Janeiro, noi come Agices abbiamo proposto di organizzare l’edizione del 2015 in Italia, affiancandola ad Expo che per i temi affrontati, il diritto al cibo e alla sovranità alimentare, si sposava particolarmente bene con il commercio equo e solidale, noi da sempre ci occupiamo di queste tematiche, anche se da una prospettiva piuttosto diversa. La nostra proposta è stata accettata e anche il periodo era perfetto perché la World fair trade week si svolge abitualmente tra maggio e luglio. Abbiamo quindi coinvolto il Comune di Milano che ha mandato un suo funzionario già a Rio de Janeiro, siglando di fatto il passaggio ufficiale delle consegne. Da allora è partita la nostra macchina organizzativa e la World fair trade week 2015 [vedi] rischia di diventare l’evento più importante che ci sia mai stato al mondo sul commercio equo.

In cosa consiste l’evento e cosa potremo trovare alla World fair trade week?

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Calendario eventi della Settimana mondiale del commercio equo e solidale

Oltre alla consueta Conferenza biennale del Wfto (24/27 maggio) [vedi] a cui parteciperanno oltre 300 delegati delle organizzazioni di commercio equo provenienti da ogni parte del mondo, abbiamo organizzato altri eventi collaterali di grande interesse: il “Fair & ethical fashion show” (spazio ex Ansaldo di zona Tortona, 22/24 Maggio) [vedi], tre giorni di esposizione dove il mondo della moda coniugherà tessuti, stili, tendenze con la responsabilità della filiera produttiva; la “Fair cuisine” (evento diffuso, 16/31 maggio) [vedi], settimana in cui una settantina dei migliori ristoranti della città e non solo proporranno menù con prodotti equosolidali; poi la “Milano fair city” (Fabbrica del vapore, zona Garibaldi, 28/31 maggio) [vedi], che è l’evento centrale della manifestazione, prima fiera mondiale del commercio equo, con circa 240 espositori di cui 70 produttori provenienti da tutto il mondo, Africa, Asia, America latina (mai tanti produttori sono stati raggruppati insieme), organizzazioni di commercio equo e associazioni di economia sociale e solidale italiane e un nutrito programma culturale. Infine, un Simposio al Politecnico di Milano Bovisa (29/31 maggio) in cui interverranno professori e ricercatori da tutto il mondo che si confronteranno su tematiche relative al commercio equo [vedi].

In che termini ha contribuito AltraQualità nell’organizzazione dell’evento?

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Locandina dell’evento

Per quanto riguarda l’aspetto organizzativo siamo completamente coinvolti, perché siamo tra gli organizzatori della World Fair Trade Week 2015. Inoltre abbiamo proposto l’evento sulla moda etica, personalmente sono anche il responsabile dell’organizzazione del “Fair & ethical fashion show”. Per quanto riguarda iniziative particolari, assieme ai nostri partner di Scambi Sostenibili (centrale equosolidale di Palermo) e a ChocoFair (organizzazione che costruisce progetti di filiera equosolidale sul cacao), abbiamo organizzato un incontro per presentare un nuovo prodotto, la crema spalmabile “Sabrosita” realizzata in Italia da Nco Nuova cooperazione organizzata con il cacao prodotto dalla Cooperativa colombiana Asoprolan. Nco lavora su terreni confiscati alla criminalità organizzata nelle aree del casertano, mentre Asoprolan si occupa di convincere gli agricoltori ad abbandonare la coltivazione della coca, sostituendola con il cacao di elevata qualità.

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Nando Dalla Chiesa

All’incontro, oltre ai rappresentanti delle nostre cooperative, abbiamo invitato il presidente di Asoprolan, una delle responsabili colombiane di Unodoc, l’agenzia delle Nazioni unite che lotta contro il traffico di stupefacenti e che sostiene i produttori in questione, e Nando Dalla Chiesa, professore associato di Sociologia della criminalità organizzata e presidente onorario di Libera.

Quindi non solo commercio equo in senso stretto, ma etica, rispetto per l’ambiente, cooperazione e legalità…

Sì, abbiamo cercato di dare un taglio ampio per mostrare tutti gli aspetti cha possono contribuire a creare un’economia alternativa. Il focus della settimana consisterà nel rendere evidente l’impegno di cooperative, imprese ed organizzazioni che a vario titolo vincolano la propria attività produttiva e commerciale al perseguimento di una giustizia economica che rispetta persone e ambiente, contribuendo alla riduzione di povertà, esclusione sociale e dissesto ambientale.

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Il logo della Fiera mondiale della moda etica

Per quanto riguarda il “Fair & ethical fashion show” l’idea è stata quella di mettere insieme a Milano, capitale della moda in Italia e non solo, diverse esperienze di moda gestite con criteri etici, secondo diverse declinazioni. Questo per capire e mostrare qual è lo stato dell’arte, quali sono gli attori che ci lavorano e quelli che se ne stanno interessando, e stimolare la creazione di una rete di rapporti tra di essi. Come AltraQualità ci siamo sentiti di lavorare all’organizzazione di questa fiera perché promuovere un discorso di moda etica è uno dei nostri interessi principali: insieme ad Altromercato, siamo le sole cooperative in Italia a sviluppare collezioni di abbigliamento e accessori equosolidali. Come AltraQualità abbiamo creato un marchio di abbigliamento etico che si chiamaTrame di storie”[vedi] creato dalla nostra stilista Maria Cristina Bergamini [vedi]. In questo senso, Milano sarà una grande vetrina per noi operatori di moda etica dato che non abbiamo molte occasioni per farci conoscere e nemmeno grosse risorse da investire in piani di comunicazione e marketing del prodotto.

Il 24 aprile scorso si è svolto il Fashion Revolution Day [vedi], organizzato a livello mondiale in occasione dell’anniversario della strage di Rana Plaza. Il tema della moda etica è di estrema attualità.
E’ così, la nostra idea è sempre stata quella di far uscire la moda etica dall’ambito ristretto del commercio equo e coinvolgere tutti gli operatori della moda e dell’abbigliamento per mostrare loro che un abito può essere bello ed etico allo stesso tempo: sono ormai passati i tempi in cui l’abbigliamento etico era considerato un prodotto per cooperative e associazioni del settore; ora ci sono invece marchi che si sono specializzati e fanno prodotti di alta qualità sia dal punto di vista del design che dei tessuti.

In un certo senso quindi ogni azienda potrebbe fare moda etica, giusto?

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Modello di Yoj di Laura Strambi, marchio italiano che utilizza tessuti di produttori di commercio equo

Assolutamente sì, tutte le aziende di abbigliamento possono fare moda etica, anche le grandi firme se lo fanno con determinati criteri, come garantire una giusta retribuzione e ambienti di lavoro decenti, evitare il lavoro infantile, porre un’attenzione particolare al fattore ambientale perché, in pochi lo sanno, ma l’abbigliamento ad oggi è purtroppo il settore che genera il maggiore impatto negativo sull’ambiente, sia a livello di produzione (colori e tinte), sia a livello di coltivazione delle fibre (utilizzo enorme di acqua), sia a livello di rifiuti: negli ultimi quindici anni la quantità di rifiuti tessili è cresciuta in maniera esponenziale, milioni di tonnellate gli scarti prodotti ogni anno. Questo perché l’abbigliamento da una trentina d’anni funziona con l’idea dell’‘usa e getta’, con collezioni che cambiano molto spesso, inducendo la gente ad acquistare e buttare, comprando e indossando capi a buon mercato, che durano poco perché di qualità pessima, prodotti senza nessun rispetto per i lavoratori e per l’ambiente. E’ chiaro che seguendo criteri etici forse alcuni dovranno rinunciare a profitti enormi così come non si potranno più vendere magliette a pochi euro. Fare moda etica è ormai un’esigenza imprescindibile per tutti coloro che lavorano nel settore, perché la sensibilità sta crescendo a livello internazionale e ci sono sempre più persone che chiedono una particolare attenzione alle modalità di produzione.

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Maglie di Yoj di Laura Strambi, stilita di grandi marche

Per concludere, penso che moda etica non sia un settore o una nicchia, si tratta di moda tout court. Forse più che di moda etica dovremmo parlare di etica nella moda. Un abito di un grande stilista può essere etico se segue i criteri di cui sopra. Ad esempio, all’interno del “Fair & ethical fashion show” saranno esposti abiti disegnati e confezionati appositamente con i tessuti di produttori di commercio equo da una casa di moda che da anni lavora nell’ottica della sostenibilità, Yoj di Laura Strambi, una nota stilista milanese che ha lavorato per grandi firme. Questo è il futuro della moda che vogliamo indicare attraverso il Fair & ethical fashion show”.

La luce di mezzanotte all’incrocio dei ghiacci. Viaggio a Capo Nord fra fiordi, trolls e renne

Il sogno inseguito, la meta agognata di ogni motociclista? Intervistateli e in maggioranza vi diranno Nordkapp, in italiano Capo Nord, il lembo estremo superiore del mondo scandinavo, oltre il Circolo polare artico dove si incrociano Norvegia, Svezia, Finlandia.
Perché proprio Capo Nord? Da secoli, da quando nel 1533 l`esploratore inglese Richard Chancellor vi approdò nel suo viaggio alla ricerca del passaggio a nord-est verso il Pacifico, rappresenta per gli amanti della scoperta e degli avventurosi di ogni rango e appartenenza un luogo simbolo; nel linguaggio dei bikers è uno di quei posti che non possono mancare nelle mète di un uomo, di un motociclista.

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Vista aerea dei fiordi norvegesi

Noi, la mia famiglia di tre persone più il sottoscritto, nell’agosto di circa vent’anni fa non siamo partiti in moto (non siamo motociclisti), ma abbiamo percorso le tappe in aereo, in aliscafo, in pullman super lusso, di notte, noleggiato un’auto nell’ultimo tratto prima della meta, e ancora in treno con il vagone letto. Obiettivo, conquistare il luogo più a nord dell’Europa o perlomeno, dalle mappe, il luogo abitato più a nord, e così vorremmo rimanesse.
Ma andiamo per ordine. A quel tempo il volo utile era Bologna-Stavanger via Copenhagen. Stavanger è una media città di mare che si trova sulla costa sud-ovest della Norvegia, nella regione del Rogaland, sulla stessa latitudine di Oslo e Stoccolma. Bastano pochi giorni, passeggiando e curiosando, per orientarci ed ambientarci in un altro mondo fra case basse in legno colorato e tetti spioventi, fiori ovunque e candele accese alle finestre la sera, anche in agosto (nelle cantine degli abitanti vi sono scorte inimmaginabili di candele multicolori e nei dintorni molte originali fabbriche di candele).

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I fiordi, specchi d’acqua

Fra i piccoli giardini molto ben curati che contornano le case, notiamo la raccolta differenziata due decenni prima che in Italia e, con somma meraviglia e anche con invidia, osserviamo il pennone conficcato nel prato verde che porta l’immancabile bandiera norvegese. In alcune escursioni nel territorio siamo continuamente circondati da fiumi con acque limpide e ruscellanti, medie formazioni rocciose spoglie, colline basse verdi punteggiate da case rosse, alcune con un consistente tappeto erboso e alberi sul tetto, ma in maggioranza le case sono bianche, costruite con tavole di legno poste in orizzontale sovrapposte. E ci accompagna sempre durante il viaggio, l’immancabile fortissimo vento.
Visitiamo a Flekkefjord il quartiere olandese con le sue ordinatissime case dalle moltepici finestre e poi Farsund e Lindesness, il punto più a sud della Norvegia a migliaia di chilometri dal nostro traguardo, con il faro biancorosso da scalare carico di fascino.

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Il Preikestolen

È qui che arriviamo al primo fiordo, il Lysefjord. Questi bracci di mare si incuneano nell`entroterra per diversi chilometri, fino ad alcune centinaia, occupando perlopiù valli glaciali che trasformano la costa norvegese in un esteso e bizzarro pizzo di origine naturale. Impressionano le verdi pareti scoscese che circondano il lento avanzare del traghetto; in particolare segnalo il Pulpit Rock o Preikestolen in norvegese, un balcone naturale a sbalzo sul fiordo posto ad una altezza di 604 metri sull`acqua.
Incontriamo colonie di foche, case isolate, cascate e infine avviene l’atterraggio dove i traghetti terminano la loro corsa in questo imbuto naturale, per portare non solo i turisti ma anche tutto ciὸ che è indispensabile alle piccole comunità impiantate sul percorso e al terminal, Lysebotn, dove invece si è sviluppato un nucleo abitato consistente.

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Solbakk, incisioni rupestri

Da non perdere la spiaggia di Solbakk con le enormi rocce scolpite da iscrizioni vichinghe e i boschi circostanti fra i quali si muoverebbero liberamente, come vuole la tradizione norvegese, i trolls. Chi sono i trolls? La loro leggenda prende corpo nell`atmosfera fiabesca dei boschi norvegesi, quando la luna è in alto nel cielo e tutto può accadere; queste strane creature escono dai loro nascondigli solo dopo il tramonto, per ritornarci al mattino prima che sorga il sole, in quanto i raggi solari potrebbero pietrificarli. Alquanto bruttini, vagamente simili agli umani, con lunghi nasi e quattro dita per mano e piede, questi abitanti imprendibili sono di natura estremamente timidi e buoni, ma meglio rispettarli e rispettare il loro habitat.

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Sognefjord

Lasciamo Stavanger, che ritroveremo al ritorno, per la prima tappa verso nord navigando sull’aliscafo di linea destinazione Bergen, una deliziosa cittadina con case multicolori in legno e tetti spioventi. Atterriamo nel vivacissimo vecchio porto, il Bryggen, sotto un sole splendido, dove ci attende un mercato stupendo di fiori e pesci di ogni razza e colore, i giganteschi granchi, fiori e sopratutto fragole, tante fragole ovunque, per strada, nei mercati, nei costosi ristoranti. Da qui si entra con una escursione nel Sognefjord lungo 203 km, il più lungo della Norvegia.
Una nota di colore, a Bergen sono ubicate la casa di Babbo Natale e la casa dei Trolls, che rappresentano per la città una curiosa attrattiva.
La seconda tappa è percorsa in pullman granturismo di notte, il Nor-Way Bussekspress. Attraversiamo una zona impervia dove per circa 750 chilometri si entra all’interno della Norvegia. Le fermate sono diverse e frequentate anche perché il pullman pare il mezzo di trasporto più comodo e sicuro per spostarsi in questa parte del Paese. Il bus è dotato di un bar rifornito di bevande calde e fredde, di servizi igienici comodi e i sedili sono distanziati in modo tale che sia possibile potersi addormentare pur nella difficoltà della situazione.
Dopo 14 ore di curve, tornanti, strapiombi mozzafiato, caffè e un incontro ravvicinato con un’alce gigante che ci attraversa la strada all’improvviso, arriviamo a Trondheim. Sono circa le sette del mattino, quando il pullman ci lascia alla stazione ferroviaria principale e, fortunatamente, in queste città del profondo nord la vita è già in forte movimento. Trondheim, posizionata a circa un quarto del nostro percorso, è una città di origine vichinga risalente a circa l`anno Mille, possiede una università famosa in Norvegia e consiglio una visita all’imponente cattedrale.
Ci aspetta ora per la tappa successiva un’auto prenotata dall’Italia: una Volvo familiare decisamente capiente e ci auguriamo comoda. Siamo in quattro con diversi bagagli e dobbiamo affrontare un percorso lungo, armandoci di pazienza e di spirito di adattamento: più facile a dirsi che a farsi.
Guidiamo lentamente verso nord per l’impossibilità di sorpassare a causa della strada stretta (l’unica disponibile) e per i continui saliscendi.
Abbiamo perduto la vista del mare tranne che per alcuni piccoli tratti, in realtà sono le rientranze di piccolo fiordi. Dopo una notte passata a Mo I Rana riprendiamo la guida verso nord. Il panorama è cambiato: dalle gole montane passiamo alla collina in alcuni casi verde e con punte rocciose che si specchiano nei fiordi che sfioriamo, per poi apparire nel proseguo decisamente brullo e piatto.

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Polarsirkel

Intorno non si vede un albero, solo una strada stretta e diritta mentre la luce si è fatta plumbea; entriamo nella zona del Nordland, la Norvegia artica, e varchiamo il Circolo polare artico o Polarsirkel a 66° 33` 39“ di Latitudine nord.
Il primo obiettivo é centrato, ci immortala nella foto ricordo un cicloturista tirolese al quale ricambiamo il favore. Capo Nord è ancora lontano lassù in alto.

1. CONTINUA

Punte-Alberte

IL FATTO Punte Alberete, abbattuti alberi secolari. Gli ambientalisti: “Sfregio all’oasi”

Certe storie non si vorrebbero raccontare, ma si deve. Da qualche tempo Punte Alberete è stata sfregiata, settecento dei suoi alberi, soprattutto farnie e pioppi bianchi “cittadini” dell’habitat europeo, sono stati tagliati con la sega a motore. Molti erano secolari e sani, come rivelano i ceppi mozzati e conficcati nella terra a testimonianza di uno scempio di cui l’Europa potrebbe presto chiedere conto. “L’assurdità è che moltissime delle chiome erano rivolte verso l’oasi, interne rispetto alla statale. La paventata pericolosità per il traffico stradale e per chi percorre il sentiero interno, non giustifica il taglio indiscriminato che, se non fosse stato per gli ambientalisti, sarebbe toccato a duemila piante”, dicono dall’argentana Ardeola birding association di cui fanno parte ornitologi, esperti ambientali, guide escursionistico ambientali e appassionati. “Quanto è successo coinvolge tre enti, il Parco del Delta del Po, il Comune e la Provincia di Ravenna, che hanno dato il nullaosta all’operazione – dicono – Tutto è partito da una segnalazione arrivata in Prefettura, rimbalzata in Comune dove si è deciso di procedere al taglio. La Provincia ha dato l’ok facendo riferimento al Ptcp (Piano territoriale di coordinamento provinciale e il Parco ha detto sì: è stata una strage eseguita in assenza del controllo di esperti”. Nella denuncia c’è amarezza, rabbia e preoccupazione.

“Ci lascia di stucco la superficialità e la cecità con cui è stato autorizzato il disboscamento, che potrebbe rivelarsi un grave precedente utile a legittimare azioni analoghe in altri luoghi di pregio naturalistico attraversati da strade carrabili. Pensiamo alle foreste del Casentinese, al Bosco di Mesola, ma anche a tante altre zone di pregio di tutto il Paese – dicono – In questo specifico caso le maestranze hanno fatto piazza pulita di alberi sui quali bastava intervenire in maniera diversa e facendo riferimento alle valutazioni previste per ogni singola pianta. Alcuni alberi potevano semplicemente essere regolati, invece è stato un macello”. Piante secolari buone oramai solo da bruciare e chissà dove sono finiti tutti quei tronchi.

“Non si può trattare una risorsa ambientale e socioeconomica, unica per le sue caratteristiche, come un viale cittadino piantumato artificialmente – continuano – Stiamo parlando di un’altra cosa, di angoli irripetibili in Europa e forse anche nel mondo”. L’indignazione è alle stelle per quell’atto di violenza alla natura che, a detta degli associati, ha scavalcato le normative europee in vigore nelle zone di protezione speciale (Zps) di cui Punta Alberete è un gioiello nello scrigno del Parco e di Rete Natura 2000, lo strumento dell’Unione Europea di conservazione delle biodiversità. “Abbiamo scritto una lettera di biasimo al sindaco di Ravenna, ma non c’è stata ancora nessuna risposta”, concludono con desolazione.

Il costo del taglio del bosco pare abbia comportato un esborso di circa 200 mila euro, attinti dai proventi degli indennizzi versati da Eni per l’emungizione di gas, recuperato attraverso le trivellazioni nel Parco, più volte denunciate dagli ambientalisti come un’aggravante dello sprofondamento delle sue valli (subsidenza, ndr). Come dire: il danno e la beffa a scapito di un bene comune del cui valore naturalistico e socioeconomico, evidentemente, non ci si è ancora resi conto.
Per esigenze di marketing si fa del parco il fiore all’occhiello del turismo internazionale, si punta sulla riserva della biosfera Unesco del Delta del Po con l’intento di attirare gli appassionati di un habitat unico e poi lo si trascura al punto da non riconoscergli neppure una dignità interregionale, impigliata da decenni in differenti orpelli politici. Le due regioni cui fanno capo i due versanti del Parco diviso dal Po, si dicono ambientaliste, ma non si fanno scrupoli di guardare ciascuna al proprio business: l’Emilia-Romagna è stata l’unica a non dichiararsi contraria al capitolo trivellazioni del decreto “Salvaitalia” e il Veneto, in tempi ormai andati, non disdegnava il raddoppio della centrale elettrica di Porto Tolle oramai in disarmo. Con buona pace della natura.
E’ la schizofrenia italiana. Nell’attesa di decidere cosa si vuole fare di un gioiello naturalistico, Punte Alberete è stata denudata di parte delle sue chiome. Sulla vicenda la Regione ha avviato un approfondimento: “Proprio questa mattina sono state spedite le lettere con cui interpelliamo gli enti sull’accaduto. Abbiamo richiesto copia delle autorizzazioni, della valutazione di incidenza ambientale e contemporaneamente abbiamo interessato la forestale per capire come è stato eseguito il taglio”, dice Enzo Valbonesi, responsabile del Servizio Parchi e Risorse forestali regionali.

La chiave di volta, a quanto pare, starebbe proprio nella valutazione di incidenza ambientale, che dovrebbe tener conto dello stato di ogni singola pianta per calibrare gli interventi di manutenzione nelle zone protette. Se così non fosse stato, il caso di Punte Alberete potrebbe trasformarsi nell’ennesima procedura d’infrazione mossa dall’Europa. Ormai le segnalazioni sugli sfregi ambientali sono talmente tante da aver spinto la Commissione per l’ambiente della Ue a redigere, in marzo, un pilot con il quale si richiamano gli enti competenti alla corretta applicazione del diritto comunitario.

LA SEGNALAZIONE
Il romanzo, la scoperta di un mondo. Profumo d’Australia nelle nuove pagine di Cinzia Tani

“Scrivere un romanzo significa stendere un progetto e documentarsi; significa restituire l’atmosfera dei luoghi, i gesti di una persona o un animale. Da lettrice, quando chiudo un romanzo voglio avere visitato un luogo nuovo, conoscere qualcosa in più di ciò che già sapevo prima di aprirlo. Da scrittrice, voglio trovare il ‘mot just’ che professava Flaubert, quella parola che a volte sfugge dalla rete verbale che sto tessendo e che poi, pazientando e ostinandomi, arriva. Questo vale, in generale, per l’intera resa di ciò che scrivo: in Australia ho trascorso ore sotto un albero, aspettando che un koala allungasse la zampa per afferrare una foglia, al fine di renderne al meglio la gestualità, l’impressione, come se il lettore potesse provare quello che io provavo.”

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Presentazione alla libreria Feltrinelli di Ferrara per ‘Autori a corte’

Questo è il punto di partenza con cui Cinzia Tani, autrice radiotelevisiva, scrittrice e docente in vari corsi di scrittura creativa, racconta la protagonista del suo nuovo romanzo storico “Storia di Tonia” (Mondadori, collana Omnibus) nella presentazione-intervista in compagnia del giornalista Sergio Gnudi alla libreria Feltrinelli per il ciclo “Autori a corte. Outside“.
Storia tramata nella storia, che scivola tra sentimenti di amore e rivalsa, di rancore e gratitudine. C’è la vicenda che funge da traino del romanzo: la truffa, da parte di un marchese francese, ai danni di poveri veneti che comprano lotti di terra in Nuova Irlanda con la speranza di un futuro. Così, nel 1880 si affaccia la storia di Tonia, sedicenne che insieme alla famiglia di contadini parte da Bassano del Grappa cercando fortuna.
Gli snodi del romanzo scorrono tra episodi storici – una Sydney buia, in attesa che venga illuminata dall’esperimento riuscito di Guglielmo Marconi, nel prologo; i ‘bushranger’ australiani, sorta di Robin Hood, spesso romantici; la battaglia di Gallipoli, in cui trovarono la morte più di un migliaio di giovani australiani, fieri di combattere per la prima volta per l’impero inglese – e umane passioni – la morte della madre di Tonia, il suo matrimonio con il cugino che non ama e la passione per Lester, gentile figlio della casa in cui Tonia presta servizio; dissapori tra i figli, due avuti con il marito e due gemelli con il grande amore della sua vita; il rancore del suo primogenito nei confronti di Mark, figlio prediletto di Tonia che pure gli salverà la vita inchiodando al muro le sue certezze.

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La copertina

“In un romanzo storico – precisa l’autrice – trovo che la parte più invitante siano i fatti della storia che sono poco conosciuti.” L’approccio al concreto per poi intavolare una storia romanzata fa parte anche di altri generi letterari affrontati dalla scrittrice, tra cui il fumetto “Unità speciale”, esperimento condotto per la collana “I tipi dell’Eura editoriale” e focalizzato sull’unità dei Ros.
É la realtà che diventa letteratura, sono le emozioni che devono restare impresse sulla carta attraverso le parole senza dilungarsi in eccessi, senza appesantire la scrittura pur descrivendo e dando un’anima tanto ai protagonisti quanto ai personaggi minori. Non di sole prime ballerine vivono i suoi romanzi, infatti: l’intero corpo di ballo è lungo e altrettanto interessante. “I personaggi talvolta sfuggono dalla mia penna e vivono una vita propria, attirandosi l’amore e l’attenzione del lettore. Questo accade a Pietro in “Lo stupore del mondo“, incentrato sulla figura di Federico II; questo ancora accade a Virginia in “Storia di Tonia”. É come accorgersi all’improvviso di un personaggio che è rimasto per lungo tempo in un angolo, in disparte: lo si nota e ci si innamora di lui, ci si accorge delle sue qualità.”
Il tutto attraverso una costante attività di fatica: lavoro incessante, ricerche, riletture e controlli. “Notti bianche” con un finale di soddisfatto traguardo.

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Cinzia Tani alla presentazione del suo nuovo romanzo ‘Storia di Tonia’ (Mondadori), nell’ambito di ‘Autori a corte. Outsider’, tra Vincenzo Iannuzzo e Federico Felloni (foto di Giorgia Pizzirani)

 

IL FATTO
“Non vorrei dovermene andare dall’Italia”. Lettera aperta di una giovane musicista al ministro Franceschini

E’ il ‘nostro’ ministro, perché Dario Franceschini è di Ferrara, e la città ne è orgogliosa. Ecco perché Marianna Musotto – trombettista 28enne palermitana, diplomata al Conservatorio di Trapani, laureata in Solismo a Siena, forte di corsi di perfezionamento all’Accademia di Santa Cecilia, a Roma – comparsa recentemente su diverse riviste nazionali con una esplicita richiesta al titolare del dicastero della Cultura di mostrare più attenzione per la musica classica, ha pensato di prendere le vie ‘estensi’. Non solo le scoccia un po’ essere stata ignorata – la lettera è del 5 marzo – ma soprattutto le ‘ruga’ perché dei giovani si parla sempre, dice, poi quando siamo noi a parlare… potremmo tacere. “Questa è la sensazione che riceviamo”. E a lei, giustamente, non sta bene. “Anche perché questo governo si è tanto riempito la bocca dei giovani poi nulla, col Jobs act siamo a posto”. Il suo discorso è semplice: “Capisco bene che il Ministro ha cose più importanti da fare che rispondere a me, ma a parte che un cenno si può dare, o fare dare, il punto è che io sollevo un problema reale – insiste – quello della perdita di identità del Paese su un fronte importante, la musica classica. E quello dei cervelli in fuga, che non tocca solo le discipline scientifiche. C’è anche gente, come me, che dall’Italia non vorrebbe proprio andarsene. E che in questo Paese, dove la musica classica è nata, vorrebbe rimanerci”. Tenace, Musotto ha recentemente fondato con il pianista Francois Agnello il Duo Vocalise. Insieme si sono dati una missione. “Divulgare la musica classica, che non è solo di nicchia, che non è solo per ‘vecchi’. Anzi, potrebbe offrire molto ai giovani”.

Ecco la lettera integrale, che FerraraItalia ha deciso di pubblicare.

Palermo, 5 marzo 2015

On. Dario Franceschini
Ministro Ai Beni e alle Attività Culturali e al Turismo

Gentil.mo Ministro,
mi chiamo Marianna Musotto, trombettista palermitana, ho 28 anni, un diploma al Conservatorio di Trapani, una laurea in Solismo a Siena, mi sono perfezionata con la Prima Tromba del Maggio Fiorentino, Andrea Dell’Ira, ho frequentato corsi alla prestigiosa Accademia di Santa Cecilia a Roma, ho fondato col pianista Francois Agnello il Duo Vocalise.
E vorrei non dovermene andare dall’Italia. Vorrei non dover nutrire la voce ‘cervelli in fuga’, vorrei stare qui, nel Paese in cui mi sono istruita, formata, che però troppo poco spazio lascia non tanto ai sogni, quanto a traguardi raggiungibili.
Amo la musica classica, come lei – ho letto anche i suoi libri – la narrativa. Eppure, in questo Paese, per la musica classica c’è troppo poco spazio.
Leggevo in questi giorni alcune sue dichiarazioni fatte a Bologna, a 3 anni dalla scomparsa di Lucio Dalla, in cui sostiene che i testi musicali, essendo vicini alla poesia, dovrebbero diventare materia d’insegnamento.
Ecco, nel condividerla, mi spingo oltre e le chiedo perché in Italia, dove nel 1501 è stata pubblicata la prima opera scritta su musica a caratteri mobili, c’è così poco amore e investimento verso questa disciplina.
Le parole d’ordine, anche sulla cultura, sono diventate ‘costi’ e ‘tagli’. Quasi che il grande contributo di entusiasmo, energia, professionalità che noi giovani possiamo dare, tornando a riempire i teatri, non possa tradursi in ritorno economico. Ci date una possibilità? Vi ricordate che ci siamo? La musica classica non è una sconosciuta, per nessuno.
Si vuole fare credere che è un genere di nicchia, ma non è così. Certo, va divulgata. Può essere accessibile a tutti. Deve diventare accessibile a tutti, magari portandola nelle piazze e nelle chiese. Tutti i cittadini hanno il diritto di usufruirne e tutti i giovani artisti di praticarla.
Io ho 28 anni e non vorrei andarmene da questo Paese, che è il mio. Sarebbe un fallimento.
Ma a che prezzo devo rimanere fedele a questa ‘etica’? Non ci sono audizioni, le grandi orchestre sono in crisi, non ci sono etichette di musica classica.
Si mercanteggia il business con la cultura.
Che futuro c’è? Anzi, c’è un futuro?
Io studio 5 ore al giorno, con pazienza e costanza, come me tutti i colleghi. Ma intravedere il traguardo è di una difficoltà immensa perché in realtà non c’è.
E non ne faccio una questione di genere, che sarebbe fin troppo facile, perché su questo fronte le penalizzazioni sono per tutti e sono semmai anagrafiche.
E tralascio, per evitare la ridondanza – le istanze vere, in questo Paese, vengono registrate come retorica – il discorso, completamente assente, della meritocrazia, che pare un ‘vezzo’ seppure anche il Governo di cui lei fa parte lo abbia posto tra i suoi obiettivi .
Oggi un artista, a meno che non pratici la musica leggera o abbia risorse economiche di diversa provenienza, non può vivere della propria arte.
E intanto, grazie a una produzione spropositata di talent, si consolida l’inganno sul concetto di talento, che non presuppone neppure più lo studio, se non parziale.
Io, però, a 28 anni sono stanca, sono esausta. Non voglio l’asciare l’Italia, non voglio andare in usufrutto ad altri Paesi, come la Francia, per fare un esempio, dove ci sono maggiori canali di realizzazione.
Parlate tanto dei benefici che porterà il Jobs Act, e se così sarà non posso che esserne contenta, per i miei coetanei soprattutto.
Ma anche la cultura è lavoro. Desiderare di praticare la propria arte, per cui si è investito tempo e denaro e sacrificio, non è un vezzo. L’artista, non è un mestiere di serie b.
L’arte, anche lei lo ha detto tante volte, è qualcosa che nobilita l’uomo e la società in cui vive.
Se anche noi giovani cediamo, se finiamo la benzina dell’entusiasmo, se andiamo altrove, cosa rimarrà della nostra identità? Dell’identità del nostro Paese?

Marianna Musotto

L’EVENTO
Sui muri di Bologna torna il Cheap street poster art festival

Da oggi fino al 10 maggio, Bologna ospita la terza edizione di Cheap, unico festival in Italia focalizzato sulla street art che elegge a supporto privilegiato la carta. I luoghi d’intervento sono i muri cittadini di grandi dimensioni, tendenzialmente in periferia, e le tabelle affissive in disuso del centro storico, che vengono abilmente e intelligentemente recuperate. I muri sono affidati a street artist di fama internazionale che realizzano interventi sito specifici, mentre le ex tabelle affissive di proprietà del Comune diventano una galleria a cielo aperto che ospitano opere di poster art selezionate tra tutte quelle pervenute attraverso una Open call. Tra le novità di questa edizione saranno proposti un intervento indoor totalmente in carta e un ampio e vario calendario di mostre. Tutto molto interessante e innovativo.
Per quanto riguarda gli interventi sito specifici, nei quartieri San Vitale, San Donato, Porto e Navile, operarenno i main artist invitati per l’edizione 2015: Levalet (Francia), NemO’s (Italia), Vinz Feel Free (Spagna), Madame Moustache (Francia), Bifido (Italia) e Ufocinque (Italia), tutti caratterizzati da una predilezione spesso esclusiva per l’utilizzo della carta, ciascuno con decise e precise peculiarità tecniche. Vediamoli.

Levalet [vedi]
Piazza Azzarita, Parcheggio | 1-3 maggio

cheap-festival-street-artcheap-festival-street-artInaugurera’ la serie d’interventi murari in programma, cominciando a lavorare, dall’1 maggio, all’interno del quartiere Porto. All’anagrafe Charles Leval, Levalet è un poster artist francese nato nel 1988. Cresciuto in Guadalupa, prosegue i suoi studi di arti plastiche a Strasburgo, cominciando a sperimentare interazioni con lo spazio pubblico attraverso la video installazione. Insegnante d’arte durante il giorno, Levalet inizia a intervenire nelle strade di Parigi dal 2012, proponendo paste up dal forte impatto performativo e spingendo al limite il concetto di “site specific”. Cerca accuratamente luoghi architettonicamente ben caratterizzati e spesso defilati, e, dopo questa fase esplorativa tra le strade della città, realizza in studio sagome di figure umane a grandezza naturale dipinte a mano con la china nera, ottenendo una resa di alta qualità fotografica. Le silhouettes di carta sono poi incollate sui muri, creando vere e proprie “mise en scène” che inglobano gli elementi architettonici preesistenti, talvolta integrati con i più svariati oggetti: dai libri agli ombrelli, fino alle stecche da biliardo. Percorse da un’ironia pungente che sfocia nella denuncia sociale, l’artista tratteggia un’umanità vittima della frenesia metropolitana. Per Cheap Festival, Levalet realizzerà un intervento composto da 30 sagome che verranno posizionate sull’edificio giallo di maggiori dimensioni tra i tre antistanti al Paladozza, in piazza Azzarita; i tempi di lavorazione previsti sono dall’1 al 10 maggio.

NemO’s [vedi]
Ippodromo, via dell’Arcoveggio | 2-10 maggio

cheap-festival-street-artcheap-festival-street-artIl secondo intervento sarà quello di NemO’s, che lavorerà in via dell’Arcoveggio, dal 2 al 10 maggio. Street artist italiano nemmeno trentenne, NemO’s inizia a lavorare in strada utilizzando vernici spray, poi sostituite dai pennelli; progressivamente, introduce la carta. Dopo una prima stesura di pittura acrilica su muro, NemO’s v’incolla sopra carta riciclata sminuzzata, applicata come tessere di un mosaico; spesso si tratta di vecchi quotidiani, con una predilezione per le pagine de Il Sole 24 ore, la cui tonalità rosata è funzionale alla riproduzione di una texture che mima l’epidermide umana. La terza fase di lavorazione prevede un ulteriore intervento ad acrilico sulle campiture create con la carta: NemO’s definisce a pennello i dettagli del corpo umano, al centro di tutte le sue opere. Ne risulta un intervento semipermanente, che si modifica a seconda del caso e delle condizioni atmosferiche. Progressivamente, infatti, le tessere di carta si staccano, in una sorta di decomposizione che rende mutevole l’opera, svelando lentamente lo scheletro dipinto su muro. L’immaginario creato dall’artista è popolato da personaggi impegnati in azioni poetiche e surreali, con un forte ricorso al paradosso, funzionale a una critica sociale che va dalla denuncia alla rappresentazione del disagio esistenziale dell’uomo contemporaneo.

Vinz Feel Free [vedi]
Autostazione, viale Masini | 3-10 maggio

cheap-festival-street-artcheap-festival-street-artQui, dal 3 al 10 maggio, lavorerà il terzo Main Artist invitato dall’organizzazione del Festival: lo spagnolo Vinz Feel Free. Nato nel 1979, Vinz inizia la sua attività in strada nel 2011, con il progetto “Feel Free”, che riflette sul concetto di libertà individuale inserita nel più ampio contesto della società contemporanea, considerata da diversi fondamentali punti di vista: politico, economico, massmediatico e ambientale. La base di partenza delle sue opere è un suo scatto fotografico; le immagini vengono poi stampate in bianco e nero, a grandezza naturale, su carta, ricombinate in composizioni e affisse al muro con la colla. Le testa di animali, riccamente dettagliate, vengono invece dipinte a mano con gli acrilici, creando forti contrasti cromatici che amplificano ulteriormente l’impatto delle immagini nel loro complesso per un’allegoria della società contemporanea di sapore quasi kafkiano.

Madame Moustache [vedi]
Palestra Boxe “Le torri”, via Ada Negri | 4-9 maggio

cheap-festival-street-artcheap-festival-street-artSu questi muri interverrà Madame Moustache, street artist francese nata nel 1982 e attiva in strada dal 2010. La tecnica del collage è al centro della sua produzione: partendo da vecchie riviste, principalmente degli anni Sessanta e Sessanta, e da fotografie di fine Ottocento, Madame crea composizioni di immagini e parole che fungono quasi da “prototipi”; gli originali vengono infatti successivamente ingranditi e stampati in bianco e nero in grande formato, per poi essere affissi al muro con la colla. Talvolta l’artista interviene ulteriormente sulla stampa aggiungendo un solo colore, spesso il rosso, attraverso la tecnica del pouchoir, in voga negli anni Venti per la coloritura manuale di cartoline postali illustrate o fotografiche. L’intento è di divertire. Madame crea un universo fantastico, giocoso, popolato da soggetti ricorrenti: donne con i baffi, gatti con il corpo di pesce, armi da fuoco, accompagnati da frasi che funzionano come fulminanti aforismi, in contrasto con uno stile in cui traspare una raffinatezza che si prende cura di ogni singolo dettaglio. Il muro verrà ufficialmente presentato alla città sabato 9 maggio alle 16.00.

Bifido [vedi]
Scuola dell’infanzia Mago Merlino, Via Azzo Gardino 63 | 4-9 maggio

cheap-festival-street-artcheap-festival-street-artOltre a Levalet, il quartiere Porto ospiterà l’opera di un secondo Main Artist, che interverrà nell’area attigua al polo composto dal Parco del Cavaticcio, dove si affacciano la Cineteca, il Mambo e il Cassero. Casertano d’origine, Bifido lavora esclusivamente con la carta. Il linguaggio che predilige è la fotografia, in bianco e nero o a colori, per stampare sagome di grandi dimensioni che affigge direttamente al muro con la tecnica del paste up. Corrosivo, irriverente, di grande impatto nella sua immediatezza, Bifido solleva temi sociali di attualità, prediligendo come soggetti i bambini. Significativa è una delle frasi che sceglie per definire la sua poetica: “I bambini trovano il tutto nel nulla, gli adulti il nulla nel tutto”.

Ufocinque + Werther [vedi]
TPO, via Casarini 17/5 | 2-10 maggio

cheap-festival-street-artcheap-festival-street-artPer la prima volta in assoluto nella storia del Festival un main artist invitato dall’organizzazione non realizzerà un progetto nello spazio urbano. È il caso di Ufocinque, che con il suo assistente Werther proporrà il progetto Chrono-philia: un’installazione realizzata interamente in carta che sarà inaugurata sabato 9 maggio, alle ore 22.00, in occasione del party di chiusura. In origine membro attivo della scena del writing italiano, Matteo Capobianco aka Ufocinque (Novara, 1981) inaugura a soli 13 anni la sua produzione in strada. È la scoperta della tecnica dello stencil, insieme ai suoi studi in design al Politecnico di Milano, a fare da cartina di tornasole per un cambio di rotta del suo percorso artistico. Ufocinque mette al centro della sua produzione l’utilizzo della carta, facendone rivivere la sua origine etimologica (dal greco “charássō”: incidere, scolpire).

Open call 2015
Oltre al focus sul supporto carta, il lancio di una “Open call for artist”, non esclusivamente rivolta agli street artist ma aperta anche a illustratori, fotografi e grafici, è uno degli elementi che maggiormente differenzia Cheap da altri eventi dedicati all’arte urbana. L’edizione 2015 ha visto un aumento del numero dei partecipanti, arrivato a quasi quattrocento. Si è allargato anche il bacino di provenienza delle opere, che conta 31 paesi: Italia, Brasile, Venezuela, Australia, Serbia, Belgio, Slovenia, Germania, Ecuador, Giappone, Cina, Francia, Germania, Svizzera, Messico, Repubblica Domenicana, India, Ungheria, Polonia, Grecia, Romania, Spagna, Ucraina, Croazia, Pakistan, Cile, Scozia, Hong kong, Canada, Giordania, Olanda. In totale, gli artisti selezionati sono 206. Le opere saranno installate dal 7 al 10 maggio nelle vie San Felice, Ugo Bassi, Sant’Isaia, Santa Caterina, Irnerio, dell’Abbadia, Zamboni, Mascarella, San Vitale, Ca’ Selvatica, D’Azeglio, Strada Maggiore.

Per maggiori informazioni visita il sito del festival [vedi].
Si ringrazia Elisa Visentini per il materiale gentilmente fornito dall’ufficio strampa del Festival.

L’EVENTO
La festa è in strada: grande successo per via de’ Romei

Grande successo ieri sera per la festa di via de’ Romei. Tante persone che non si sono fatte intimidire dall’aria ancora umida e fredda e dagli accenni di pioggia, si sono riversate nella via del centro che ha proposto uno street party all’insegna della creatività. Negozianti, artigiani, ristoratori, galleristi, baristi, dj, pittori, residenti hanno messo in strada i loro banchi e offerto alcune ore di piacevole intrattenimento sotto le stelle. Alle 22,30 la parrucchiera stava ancora facendo la messa in piega ad una cliente e i bambini stavano giocando a nascondino nel riconquistato vicolo Mozzo Tegola. Una bella esprienza che vi avevamo raccontato qui [leggi] e che probabilmente si ripeterà in giugno e poi a settembre.
Il 12 giugno, ha anticipato uno degli ideatori dell’iniziativa Massimiliano De Giovanni, il tema sarà quello enogastronomico e il titolo: Brew Street Market, la festa dei sapori in via de’ Romei. Una parte importante l’avrà il pub Il Molo che da anni seleziona le migliori birre del Regno Unito.

Nell’attesa vi riproponiamo alcuni momenti suggestivi attraverso gli scatti del Gruppo Igers Ferrara, immancabile, come ad ogni evento.

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Suicidio di una banca. “Carife travolta dall’ambizione di fare Gruppo. Ma può ancora tornare il gioiello che fu”

La notizia è fresca. Il sindaco ha ottenuto dai commissari di Carife la conferma che il Fondo interbancario impegnerà i trecento milioni considerati necessari per garantire l’operatività dell’istituto di credito cittadino. Dunque il fallimento, per ora, è scongiurato.
Il tema però resta incandescente. Posta in sicurezza la banca, persistono i dubbi sul suo futuro e le incognite per i piccoli azionisti. Tagliani ha chiesto che il valore delle azioni sia preservato. Per i risparmiatori, che si trovano fra le mani un titolo che a un certo punto era schizzato a 41 euro e ora è quotato a 3,18, è davvero il minimo.

Mentre si attende che si diradino le nebbie che persistono all’orizzonte, vale la pena ancora una volta volgere lo sguardo a ritroso per domandarsi come si sia potuti arrivare sino a questo punto. L’interrogativo l’abbiamo posto a un alto funzionario della Cassa di Risparmio di Ferrara che, per prudenza, ha chiesto di mantenere l’anonimato.
“La banca fino all’inizio degli anni 2000 era davvero un gioiello. Io potevo visionare i bilanci e dunque avevo la situazione precisa sotto controllo. Sussistevano tutti i presupposti perché le cose andassero avanti così, sarebbe stato sufficiente mantenere la dimensione locale.
Ricordo che le rilevazioni della Banca d’Italia ci collocavano fra le prime in Italia nella categoria delle piccole. Addirittura la raccolta superava gli impieghi”.

Chi aveva retto il timone della banca in quel periodo?
Il presidente era Bertoni che fin dal suo avvento nel 1995 aveva introdotto criteri manageriali mostrando indubbiamente grandi capacità. Si era però trovato subito in contrasto con il direttore Bianchi, che pure era un buon professionista. Lo liquidò e il suo licenziamento, a seguito di un ricorso, costò alla banca una cifra enorme, circa 4 milioni di euro di indennizzo… Al posto di Bianchi scelse Bacchelli, un commerciale puro che per aumentare la redditività ci spiegò che dovevamo aumentare gli impieghi. Ma il nuovo corso fu gestito lucidamente, le filiali di Ferrara e quelle di Rovigo si mostrarono molto efficienti e puntualmente eseguivano gli input della direzione. Allargando le maglie del credito arrivammo ad avere 100.000 correntisti, un numero enorme. Lo spread era interessante per la banca e il rientro era ottimo. In quel periodo le cose funzionavano al meglio, mantenevamo la dimensione di banca locale e lo stesso Bacchelli si mostrava prudente e talvolta addirittura frenava le filiali quando riteneva che si ponessero budget eccessivi, dunque si procedeva con giudizio nella politica di sviluppo. La raccolta continuava ad essere ancora un po’ superiore agli impieghi e a fine anno gli obiettivi erano sistematicamente centrati in pieno. Carife in sostanza realizzava quella che da sempre stata la sua missione di istituto di credito al servizio del territorio.

E che cosa è successo poi?
I guai sono incominciati con l’arrivo di Murolo, la banca fu guastata dalla sua ambizione sfrenata. Fu scelto come direttore nel 1999, un anno dopo la nomina di Santini a presidente. Era stato direttore della Cassa di Risparmio di Mirandola e coltivava amicizie influenti nell’ambiente politico modenese: intimo di Giovanardi, divenne capogruppo della Dc in consiglio comunale. Si mise in testa di trasformare Carife in gruppo bancario, attraverso la progressiva acquisizione di banche di dimensioni ridotte presenti in zone in cui la Cassa non c’era. Nel 2002 con l’innesto di Commercio e Finanza iniziammo il nuovo cammino. Secondo Murolo le banche che via via sarebbero entrate nel gruppo avrebbero dovuto mantenere la loro autonomia. Ma si scelsero istituti troppi piccoli per essere autonomi. Ricordo che il direttore sostenne che le banche che avrebbero mostrato di funzionare sarebbero rimaste, le altre sarebbero state rivendute. Solo io obiettai che se le banche sono troppo piccole non stanno in piedi se non con il supporto per la capogruppo. E segnalai che rivendere quelle zoppe non sarebbe stato semplice, sicché alla fine avremmo pagato noi il conto. Purtroppo i fatti mi hanno dato ragione.

Murolo come reagì?
Scrollò le spalle e intraprese le acquisizioni programmate: nel 2003 Banca di Treviso, Popolare di Roma, Credito veronese, poi nel 2004 la Banca Modenese dell’avvocato Samorì e la Banca Farnese di Piacenza e ancora, nel 2008, la minuscola Banca di credito e di risparmio di Romagna con sede a Forlì. L’unica che ci rendeva un piccolo utile, circa 7 milioni annui, era la società di leasing Commercio e Finanza di Napoli che, d’altra parte ci costringeva a impegnare ogni anno circa un miliardo di euro di finanziamenti a rischio.

In tutta questa vicenda qual è stato il ruolo di Santini?
Ha sempre accettato le scelte di Murolo, d’altra parte lo aveva voluto lui. Una volta ci disse che dopo sua moglie quello con Murolo era stato il matrimonio più felice della sua vita.
L’unica volta in cui forse si trovò in disaccordo fu quando direttore propose di esternalizzare alcuni servizi, se ben ricordo quelli della gestione del personale e del magazzino. Si trattava di un’operazione che non aveva senso, perché le funzioni erano correttamente assolto e all’interno e appaltandole avremmo dovuto sobbarcarci costi supplementari e ci saremmo trovati dei dipendenti da ricollocare. Quello trovata non passò.

Cosa ha determinato il crack della banca?
La vera causa dell’affondamento sono stati i costi esagerati sostenuti per il funzionamento del gruppo, rispetto all’esigua redditività assicurata dalle piccole banche che lo costituivano.

E nonostante l’evidenza nessuno ha sollevato il problema in consiglio di amministrazione?
No, perché alla fin fine ciascuno dei membri traeva qualche beneficio dalla situazione: riceveva incarichi all’interno delle banche del gruppo e girava allegramente l’Italia…

Ma i fallimenti di Coop Costruttori e Cir non hanno influito sulle sorti di Carife?
No, se non marginalmente. La Costruttori entra in crisi nel 2003 e Carife all’epoca era esposta con un finanziamento da 50 milioni di euro che rimase all’incaglio. Ma in previsione di quello che sarebbe potuto accadere erano stati fatti in anticipo gli opportuni accantonamenti e quindi il crack non ha creato particolari dissesti alla banca. D’altronde negli anni precedenti, grazie all’ingente movimentazione di soldi e ai finanziamenti concessi con relativi interessi, Carife con Coop Costruttori aveva fatto buoni affari e realizzato significativi guadagni. Ma nemmeno la vicenda di Mascellani, per quel che mi risulta, ha inciso più di tanto. Piuttosto sono pesati i 140 milioni di euro concessi in finanziamento a una stessa società, quella dei fratelli Siano. Si tratta proprio dell’operazione per la quale il direttore Murolo è stato imputato, processato e condannato in primo grado, salvo poi essere assolto in appello.
Pesanti furono anche lo scoperto di 50 milioni prestati a Caltagirone e l’esborso sostenuto per l’acquisizione della Banca Modenese, per la quale Samorì aveva chiesto un sacco di soldi che a Murolo evidentemente non parvero troppi perché glieli diede.

E poi la storia come prosegue?
Il regno di Murolo si conclude nel 2009 con l’esautoramento deciso della Banca d’Italia, al suo posto vengono designati prima Grassano, poi nel 2011 Fiorin che non riescono a invertire la rotta. La fase del commissariamento incomincia nel 2013. L’ultimo bilancio reso pubblico, quello del 2012, segnala ancora un attivo di 350 milioni di euro, verosimilmente impiegati in questi tre anni per coprire le perdite e le sofferenze.

Ora si profila la scialuppa di salvataggio del Fondo interbancario…
I 300 milioni che il Fondo si è reso disponibile a versare corrispondono alla cifra di garanzia stimata per ricapitalizzare la banca e dotarla di un patrimonio. La decisione di intervenire certo non prescinde da un’altra valutazione: se Carife andasse in fallimento lo stesso Fondo interbancario dovrebbe – per legge – rifondere i creditori, per un importo presumibile di circa un miliardo e 400 milioni di euro. Ritengo perciò che abbiano valutato più conveniente stanziare i 300 milioni per il salvataggio della banca!

Che ruolo immagina abbia avuto la Banca d’Italia in questo frangente?
È verosimile ci sia stata una pressione. Alla Banca d’Italia il fallimento non conviene, tantopiù che in una simile evenienza sarebbe particolarmente imbarazzante dover giustificare l’aumento di capitale autorizzato nel 2011, quando la situazione era già ampiamente compromessa.

Che valutazione dà delle manifestazioni di interesse dei mesi scorsi da parte della Banca Popolare di Vicenza e di Caricento?
La Popolare di Vicenza, che è banca aggressiva, è stata stoppata a seguito di verifiche contabili, ma credo nutrisse un interesse autentico. Mentre Cento ritengo sia stata semplicemente la vedetta che agiva per conto d’altri, probabilmente la Banca Popolare dell’Emilia-Romagna

In conclusione cosa ci possiamo attendere?
Appena quindici anni fa Carife era ancora un gioiello, può tornare ad esserlo se sarà riportata alla dimensione d’azione che le è propria, quella locale.

Chi può condurla su questa strada?
Le condizioni propizie per una ripartenza possono essere garantite solo da una banca forte.

Pensa a qualcuno in particolare?
Ritengo che se arrivasse banca Intesa, come ora qualcuno sussurra, si prospetterebbe la possibilità che a Carife fosse garantita l’autonomia e la salvaguardia del marchio, come è accaduto in questi anni con Carisbo. Sarebbero le condizioni migliori e i giusti presupposti per un significativo rilancio. Con il proprio consolidato marchio, Carife potrebbe ambire a riprendere il suo spazio commerciale e a un ampio recupero della clientela storica.

Fondazione Rita Levi-Montalcini: una onlus per il diritto allo studio di bambine e donne africane

di Giulia Menicucci di Ploomia

Il diritto all’istruzione è uno dei diritti fondamentali sanciti da diversi documenti nazionali e internazionali e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che infatti afferma: “Ogni individuo ha diritto all’istruzione gratuita e obbligatoria almeno per quanto riguarda le classi elementari e fondamentali; l’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali; essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace”.
Avere accesso all’istruzione non significa soltanto avere la possibilità di imparare a leggere e a scrivere, ma acquisire tutti quegli strumenti e quelle capacità che permettono di acquisire competenze professionali e formative. Non è infatti un caso che i Paesi dove il tasso di analfabetismo è molto alto le condizioni sociali ed economiche in cui verte la popolazione sono spesso critiche. Nessun Paese nella storia è infatti mai uscito da condizioni di arretratezza sociale ed economica senza passare per la scolarizzazione delle proprie popolazioni.

che impara a scrivere
Bambine africane

Nel continente africano il problema dell’analfabetismo è fortemente presente: in questo continente infatti il 70% della popolazione è analfabeta, ed in alcuni Paesi la percentuale si alza drammaticamente sfiorando i picchi del 90%. La situazione è ancora più preoccupante se prendiamo in considerazione il problema da una prospettiva femminile: per le bambine infatti l’accesso alla scolarizzazione è ancora più difficile, spesso a causa di pregiudizi culturali e di genere, e anche qualora queste riescano ad accedere agli studi, spesso sono obbligate ad abbandonarli prematuramente.

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Una mamma che impara a scrivere, con in braccio il suo piccolo

Per questo motivo la Fondazione Rita Levi-Montalcini onlus dal 2001 opera attraverso 152 progetti umanitari in 35 nazioni per sostenere e fornire istruzione e formazione alle donne africane. In questo modo la fondazione si prefigge di dare a bambine, ragazze e donne africane gli strumenti e le capacità per affermarsi a livello sociale ed economico in modo da poter contribuire in maniera attiva allo sviluppo delle sociale e culturale dei propri paesi. In Etiopia ad esempio, ad Awassa, è stato lanciato un progetto di alfabetizzazione per 150 donne. I corsi sono inseriti in un programma di promozione della salute e di formazione professionale: dopo i corsi di alfabetizzazione e approfondimento linguistico le donne potranno accedere infatti a un percorso formativo professionale a partire dalle proprie capacità e competenza come corsi di sartoria, per la trasformazione di prodotti agricoli, di panetteria, di preparazione degli alimenti, di allevamento, ed inoltre corsi sull’imprenditorialità e d’informatica.

 

Le donne dell’Isis

di Zineb Naini

Pensiamo ormai di sapere cosa gli uomini vogliano ottenere nel combattere, ma con le quotidiane notizie di schiavismo, stupro e violenze domestiche c’è da chiedersi perchè le donne avrebbero il desiderio di unirsi all’Isis.

Per ora il numero di donne e ragazze che viaggiano per raggiungere le file dell’auto proclamatosi califfato islamico (Isis) è relativamente basso. Le cifre non sono esatte, ma si valuta che tra il 10 e il 20% degli europei che si uniscono all’Isis siano donne. Queste donne sono giovani, colte e provengono dalla classe media, ma sentono comunque il bisogno di unirsi al “jihad” per vivere quella che definiscono una vita “più islamica” sotto il califfato. Tra i motivi che si possono identificare per spiegare questo fenomeno c’è sicuramente la disillusione e il disaffetto verso la società che le circonda, nonché l’accettazione e l’interiorizzazione del discorso politico occidentale caratterizzato dal “noi e loro”.

A questi si unisce anche un dose cospicua di romanticizzazione della lotta e della rivoluzione come mezzo per combattere il senso di inadeguatezza che caratterizza un grande numero di giovani e adolescenti. La religione, nel caso in questione, enfatizza questo disagio, che da personale diviene sociale, per poi andare a confinarsi nel buco nero dell’estremismo.

Gli uomini sono attratti dall’Isis, e dai fondamentalismi vari, per via di un’esagerata cultura di violenza e di appartenenza che giustifica l’odio ed un’oltraggiosa espressione di machismo. La religione, in questo rapporto di attrazione quasi passionale, si colloca tra le ultime priorità. A questo fenomeno gli esperti di sociologia e di sicurezza internazionale hanno dato il nome di “jihad cool”. Ma questo ancora non piega come una donna musulmana possa essere attratta da un ambiente così iper maschilista.

Nel complesso mondo dell’Isis le donne sono attratte dalla promessa di fare da supporto agli uomini nel loro jihad, di offrire loro conforto e di crescere ed educare la prossima generazione di combattenti; non sono semplicemente oggetti del sesso come le definisce la maggior parte della stampa. Il fatto di non riuscire a mettersi nei panni di queste donne fa si che gli analisti, per la maggior parte occidentali, non riescano a realizzare come in una realtà così estrema, violenta e maschilista, l’unico modo per le donne di prendere parte ai combattimenti e di acquisire lo stesso status che gli uomini acquisiscono, sia il matrimonio.

La storia ci insegna che le donne sanno essere crudeli e violente nella lotta per i loro ideali quanto e più degli uomini. Quindi, anche se è difficile da credere, questo fenomeno è facilmente ascrivibile all’infinita lotta delle donne per la parità dei sessi. In un modo controverso, le donne che si uniscono all’Isis aspirano proprio alla parità, come i loro colleghi uomini vogliono la gloria e, soprattutto, aspirano ad essere chiamate “jihad cool”, non oggetti del sesso.

Vivere e morire a Kabul, la discriminazione vista con gli occhi degli afgani

Ispirato ad una storia vera, “Osama” è il primo film prodotto in Afghanistan dopo la caduta del regime talebano del 2002, interamente girato a Kabul, con attori non professionisti e pochissimi mezzi. Un film duro, spietato, tragico, crudo e rigorosamente preciso nel documentare uno dei momenti storici più difficili e violenti del paese. Il regista Siddiq Barmak si ispira alla storia vera di una bambina che era stata barbaramente giustiziata dal regime talebano per essersi travestita da maschio e aver frequentato le scuole da cui le donne erano estromesse. Se la notizia fece più scalpore sulle nostre televisioni e giornali che in quel Paese abituato a storie di ordinaria violenza e di terrore, il cineasta afgano ne era rimasto profondamente turbato e aveva deciso di rielaborare la vicenda per farne un film, coraggioso e tremendo. Era il 2003, le manifestazioni in piazza delle donne venivano disperse con violenti getti d’acqua, repressioni feroci che soffocavano il grido di “dateci lavoro, non vogliamo fare politica, abbiamo fame”. Cartelli, mare di veli azzurri, centinaia di donne che marciavano lungo strade fangose e sterrate. Povertà, dolore e rassegnazione obbligavano a dover rinnegare la propria identità. Si arrivava a maledire il giorno della propria nascita, se si aveva la terribile (e temibile) sventura di venire al mondo in un mondo di uomini, dominato solo da uomini, in un mondo fatto di devastazione, ferite, dolore e grigiore. Donne cui era vietato uscire se un uomo non le accompagnava. Figuriamoci lavorare (non che oggi la situazione sia profondamente cambiata).

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La locandina

Maria (Marina Golbahari), la protagonista senza sorriso e senza amore, ha dodici anni e vive, con la madre (Zubaida Sahar) e la nonna, nella più totale miseria ed emarginazione, dopo essere sopravvissute alle dure repressioni di piazza del regime talebano. Il padre e lo zio, uniche presenze maschili in grado di assicurare la sussistenza, sono morti in guerra e così è costretta a fingersi un maschio per poter lavorare e mantenere la famiglia. Maria diventa Osama. Spaurita e sofferente, viene condotta insieme a molti suoi coetanei, nella scuola talebana, la Madrasa, per imparare il Corano e la guerra. Oltre alla sua fragile voce, sarà proprio la palese manifestazione della sua natura biologica a offrire a tutti l’inoppugnabile prova della sua vera identità e a condurla al patibolo. Continuerà a sbagliare, non riuscirà a nascondere la sua femminilità e ad adattarsi a regole, gesti, modi e pensieri da maschio. Nonostante i tentativi di aiuto di un ragazzino, amico più grande.

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Maria, la protagonista costretta a celare la sua identità

Rispetto alla bambina che ha ispirato Barmak, a Maria verrà risparmiata la vita, ma non la libertà. Una terribile condanna, infatti, la priverà brutalmente della sua infanzia e la escluderà per sempre dal mondo. Il vecchio Mullah la “salverà” barbaramente, chiudendola in casa per farne la più giovane delle mogli. Una trappola che sarà per sempre, un orrore; epilogo terrificante, che non necessita di parole. I volti dei protagonisti sono segnati dalle rughe profonde della paura, dalle lacrime della disperazione, dalla polvere di un Paese perso, dal grigio della mancanza di libertà, dal nero di una voce che non può parlare, dalla miseria creata da un regime e da una guerra che non perdonano. Intensa la recitazione degli attori che hanno ancora vivi i ricordi delle devastazioni umane e materiali patite; tra tutti, indimenticabile la protagonista, i cui occhi vitrei, persi e malinconici bastano da soli a raccontare la sofferenza delle donne oppresse, quella di un intero popolo. Una sofferenza che attraversa lo schermo, occhi senza gioco, gioventù e spensieratezza, simili a quelli di un cerbiatto ferito, che quasi rimproverano lo spettatore per restarsene lì immobile a non fare nulla. Quello sguardo scuote stanchezza, noia e indifferenza, paure, problemi, ambizioni e incertezze di ogni giorno che diventano nulla, se confrontate a quel grido di dolore. Ci si sveglia, si rimane scossi, si pensa, si riflette, non si è più come quando si è entrati in sala. Per non dimenticare, per non essere più tanto distratti, per poter riparare a quegli errori, magari, un giorno, non ripetendone di uguali.

Osama“, di Siddiq Barmak, con Marina Golbahari, Arif Herati, Zubaida Sahar, Gol Rahman Ghorbandi, Mohamad Haref Harati, Mohamad Nader Khadjeh, Khwaja Nader, Hamida Refah, Afghanistan/ Giappone/Irlanda, 2003, 82 mn

Acqua, energia e rifiuti a Ravenna2015: politiche gestionali e modelli di comportamento per garantirci un bell’ambiente

Aumentano nel tempo le occasioni di informazione e di comunicazione ambientale grazie ai molti seminari, convegni, dibattiti, fiere, eventi sui temi della sostenibilità e della gestione dell’acqua e dei rifiuti a livello nazionale. E’ un bel segnale che testimonia come sia in crescita la sensibilità collettiva su questi temi fondamentali e si stia sviluppando un importante interesse di tutti ai temi dell’ambiente. Tra queste iniziative merita una particolare segnalazione “Ravenna2015. Fare i conti con l’Ambiente” che si svolgerà dal 20 al 22 maggio. Tre giorni di incontri, di formazione e informazione, di approfondimenti e conoscenza sulle nuove tecnologie e sui processi industriali, coniugando cultura e solidarietà e offrendo eventi d’arte e spettacolo. Si aprirà così l’ottava edizione: con la riflessione sul ruolo dell’uomo e sul suo impatto sulla natura, il consumo delle risorse e la geopolitica.

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La locandina

L’evento si autodefinisce un festival formativo green a carattere nazionale con oltre 50 iniziative tra conferenze a tema, workshop e seminari di formazione chiamati labmeeting. Una interessante occasione per approfondire tematiche di attualità tecnico-scientifica nei settori rifiuti, acqua, energia, bonifiche e sostenibilità ambientale. Ma soprattutto i temi di frontiera, l’aggiornamento delle tecnologie, gli approfondimenti normativi. Il modello originale di manifestazione si basa sullo “sviluppo dal basso”, contando su una forte socializzazione e coinvolgimento dei partecipanti.
Una iniziativa che penso meriti una particolare attenzione non solo per i suoi contenuti di alto valore scientifico, ma anche perché avviene su più sedi dislocate nel centro di Ravenna. La città si trasforma in un importante salotto di incontri tra persone attente ai temi ambientali ed esperti del settore. Molti ormai si conoscono da tempo e considerano questa una occasione di amicizia e di dialogo da non perdere. Altri si aggiungono sentendosi interessati a partecipare a questo modo di dialogare e condividere imparando. Non è il classico evento di propaganda né la ormai superata occasione pubblicitaria di qualche industria. Si respira aria di onestà intellettuale, di dialogo, di confronto, di trasparenza, di piacere. Per questo mancano i grandi sponsor che cercano invano di imporre le loro strategie; chi sponsorizza lo fa perchè crede nel metodo. E questo forse è un bene, perché l’evento si mantiene su una fragile autonomia voluta dagli organizzatori.
Quest’anno si sviluppa su alcuni temi che vanno dalla complessità del danno ambientale, alla gestione dei depuratori, ai centri di riuso e ai siti contaminati, ma anche su approfondimenti di importanti progetti europei (Life Gioconda, Biolca, Emares, Prefer, Biomother, Prisca). Ma è la cultura ambientale e la comunicazione virtuosa il centro del sistema che ormai è un appuntamento seguito da bloggers e opinion leaders che si confrontano sulla delicata questione di dove sta andando il giornalismo ambientale (focus di un labcamp). In questo contesto non può mancare l’analisi dell’arte urbana con proposte di public art che rappresentano da anni un gradito e prezioso momento culturale chiamato “Emergenze creative”.
La condivisione della conoscenza e il trasferimento della informazione ambientale senza secondi fini se non quello puro e semplice del confronto e del dialogo è il principio qualitativo di riferimento.
Per questo si propongono riflessioni sulla innovazione e sulla economia (appunto fare i conti con l’ambiente) che in altre occasioni sono considerate questioni sensibili di difficile analisi. Qui se ne discute apertamente.
In fondo la discussione di modelli, la partecipazione di esperti, il dialogo e la diffusione delle questioni critiche del sistema dei servizi pubblici ambientali dovrebbe essere una buona regola da diffondere. In fondo la soluzione di partenza è semplice quanto naturale, basandosi sull’aggregazione di persone che prima sono persone e poi (forse) referenti di ruoli. Questo non banale approccio permette di abbracciare contemporaneamente più ambiti territoriali e settoriali emancipando gruppi di persone accomunate dagli stessi ambiti di conoscenza, di interessi comuni e problemi da risolvere. Alla base vi è lo stimolo di lavorare con gli altri confrontandosi e imparando continuamente. Io sono otto anni che ci vado, spesso intervengo, sempre imparo cose nuove.

“Ravenna2015 – Fare i conti con l’ambiente”, 20-21-22 Maggio 2015
Per saperne di più visita il sito del festival [vedi].

LA SEGNALAZIONE
Fumetti, mostra-mercato e un mondo di sapori per l’International week di Smiling

E’ dedicata al cibo, in perfetta linea con l’Expo di Milano, la sesta edizione dell’ International week organizzata dallo Smiling, liceo internazionale privato. Materne, primarie, medie e superiori sono impegnate fino a giovedì nel produrre, esporre e vendere i lavori realizzati nelle classi. Trecento studenti di tutte le età hanno partecipato all’iniziativa, che giovedì pomeriggio si chiude con una grande festa delle famiglie degli allievi nell’istituto di via Roversella, dove ogni classe allestisce un proprio stand. “Con gli incassi acquisteremo materiale didattico come è successo negli anni passati”, spiega la preside Caterina Azzini. Le abitudini alimentari da una parte all’altra del mondo sono state il cuore dell’International week, durante la quale i bimbi hanno realizzato diversi loghi per dare un’immagine a Food Stock, l’appuntamento con il cibo, le sue tradizioni e l’inevitabile ventaglio di temi che implica a seconda della latitudine.

“Durante la settimana il menù della scuola ha proposto prodotti a Km 0, abbiamo usato pasta di casa nostra, la Ricci, e proposto piatti a base di spezie, come patate alla curcuma, una ricetta creola e altre a base di legumi”. Un mondo di sapori, ma anche un modo per conoscere abitudini diverse dalle nostre, perché il cibo è cultura, ci rappresenta, ci descrive, ci racconta. E bimbi e adolescenti lo hanno raccontato scrivendo storie e fiabe racchiuse in libri scritti e disegnati per l’occasione, preparando mattonelle di burro alle erbe, candele di cera d’api, cioccolatini avvolti in fantasiose confezioni di carta e coltivando piante aromatiche. “Sono stati toccati moltissimi temi legati all’alimentazione e ai consumi, compreso quello della carne, che in questa parte del mondo mangiamo in quantità eccessive”, dice la preside. Tra loghi, libri e torte, sfornate dalla cucina dello Smiling, c’è anche l’esposizione delle tavole della parodia dell’Inferno di Dante, realizzate da terza e quarta delle primarie.

Quel gran coniglio di Dante

L’inferno visto dai bambini è un ospedale, il gran poeta un coniglio bianco, vestito di rosso con tratti manga e un’incurabile svenevolezza, la sua guida Virgilio è una tigre avvolta in un camice da medico, con sé ha una valigetta dentro la quale conserva diverse cose, tra cui un formaggio puzzolente da passare sotto il naso del sommo malato per farlo rinvenire, nonché la metà di un prezioso antidoto che va combinato con la parte mancante. “L’idea della parodia è nata da esigenze di programma, si dovevano spiegare il discorso diretto e il genere umoristico”, raccontano Paola Cirelli e Angela Barioni le insegnanti delle due classi coinvolte. Così, una volta la settimana, il progetto ha preso forma, si è trasformato in coloratissime vignette con i dialoghi tra i due protagonisti e i ricoverati.
Sono stati i bambini a scegliere e votare il luogo in cui collocare l’Inferno al centro del quale è posto un gran frigorifero, guardato a vista da un supercattivo, che di tanto in tanto afferra un dannato di passaggio e lo trasforma in un cubetto di ghiaccio.

Dante4 dante3La fantasia è tanta, è parte di un gioco ed è l’antidoto alla serietà con cui in futuro si dovrà affrontare il padre della lingua italiana. Nel frattempo il viaggio di Dante, alla ricerca di una cura per guarire dalla svenevolezza, si snoda tra un reparto e l’altro, dove i “maldannati” soffrono di codite, di contrariosi, di avvocatosi, di giraffite e così via. Sulle tavole, formate da quattro disegni ciascuna, spiccano ometti e animali dal collo lunghissimo sdraiti sui letti, alcuni si mordono ininterrottamente la coda, altri dicono il contrario di quello che pensano e altri ancora difendono posizioni indifendibili. Ad ogni incontro tra il poeta e un maldannato corrisponde un indizio per scoprire dove si trova parte della medicina di cui ha bisogno per rimettersi dal suo problema. Il fumetto procede via via fino al megafrigorifero nel quale è conservata l’altra metà dell’antidoto alla svenevolezza.

“Ci aspettavamo che i bambini identificassero l’inferno con la scuola, la loro scelta ci ha sorprese”, dicono le maestre. I tempi cambiano. Una cosa però resta sempre uguale: all’inferno finiscono i parenti più stretti, sorelle, fratelli e nonne. Con gran sollievo delle maestre, che pensavano di essersi guadagnate l’eterna ibernazione.

EVENTUALMENTE
La magia dei Giardini estensi

Un evento da presentare in anteprima, per darvi la possibilità di partecipare e di curiosare prima di andare, per meglio selezionare quello che più v’interessa. Un evento cui presenzieremo e di cui parleremo ancora. Perché l’idea ci piace. E il profumo, le tonalità e i colori dei fiori pure, e tanto.
Il 2 e 3 maggio, nella splendida cornice del Castello, ritorna “Giardini Estensi”, con un’edizione dedicata al fiore di peonia (“La peonia, fiore degli Dei”). Come non ricordare che il nome della Peonia deriva da Paeon, il medico greco degli dei e che, secondo la leggenda, Peone utilizzò il fiore per guarire una ferita di Plutone; e che per ringraziarlo il dio gli fece il dono dell’immortalità trasformandolo nel bellissimo fiore della peonia. Un grande privilegio, poiché, per i greci, la peonia era l’unico fiore che meritava l’ammirazione degli dei e per questo era ospitato nell’Olimpo.
Il 2 maggio alle 9.30, verrà, quindi, realizzata, nel loggiato del cortile ducale del Castello Estense, una composizione floreale di peonie recise a cura della Scuola d’arte floreale del Garden Club di Ferrara (peonie fornite dall’azienda agricola La Riniera di Castel S. Pietro Terme).

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La locandina dell’iniziativa ‘Giardini estensi’

Ci sarà poi una bella mostra mercato che presenterà espositori di qualità, con piante rare, attrezzature per il giardinaggio e la cura degli spazi verdi. Per la gioia di espositori, di appassionati del verde e della natura, di esperti e meno esperti, di coloro che vorranno immaginarsi in un giardino fiorito nel bel mezzo della città. Un’atmosfera da favola. In contemporanea, negli imbarcaderi del Castello, si realizzerà la prima edizione della manifestazioneAtmosfere Country”, mostra mercato dedicata al vivere in campagna e all’artigianato di alta qualità; le antiche sale ospiteranno raffinati arredi, accessori e oggettistica di qualità legati a un mondo che rievoca le atmosfere rurali tradizionali.

L’impiego di delicati toni pastello, di materiali naturali come il legno, la prevalenza di forme morbide e la ricercatezza dei particolari sono alcune delle caratteristiche delle creazioni che si potranno ammirare. I materiali utilizzati sono spesso di riciclo oppure sono opportunamente anticati per ottenere oggetti vintage che richiamino atmosfere romantiche e retrò. Tutte le realizzazioni sono prodotte da artigiani e vanno dai mobili agli accessori come biancheria per la casa, accessori e servizi per la cucina. Si potranno trovare anche capi di abbigliamento e oggettistica varia, tutto rigorosamente hand-made.

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Spazio espositivo in piazza Castello

Una serie di eventi collaterali vedrà la partecipazione di ospiti illustri, come la famosa giornalista del verde e blogger Mimma Pallavicini, che terrà una conferenza sull’evoluzione del giardino mediterraneo, sabato 2 Maggio alle 17.00, nella sala Alfonso I del Castello; la presentazione di libri, uno show cooking vegano, a cura della chef Annalisa Malerba (da provare), mostre d’arte e diverse conferenze, tra i cui relatori vi saranno anche il maestro giardiniere Carlo Pagani e il curatore dell’Orto botanico di Ferrara, Fabrizio Negrini.
Saranno previste, inoltre, visite guidate nei giardini storici della città (da non perdere), a cura di Guide estensi Ferrara, comprendono il giardino pensile degli Aranci e quelli del Castello, il giardino delle Duchesse, di Palazzo Massari e il parco della cinta Muraria, con gli antichi orti estensi.
Verranno anche riconfermati alcuni contributi delle scorse edizioni, come il corso di cesteria per principianti tenuto dal maestro cestaio Roberto Bottaini e la realizzazione di architetture in salice, a cura Alberto Rabitti, artigiano e ingegnere.

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Archi in salice
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Tunnel in salice

Queste ultime possono essere particolarmente interessanti, perché permettono di creare bellissime strutture semplicemente piantando e intrecciando talee di salice (solitamente), per farne un gazebo, un’area giochi per bambini, un garage, un arredo urbano o uno spazio confortevole e piacevole di relax. Da essa filtrano luce, fresco ed energia d’estate, i bagliori della neve d’inverno. Ripetendo gesti antichi, si possono realizzare architetture viventi (e vivaci), piccole o grandi, verdi e a impatto zero. Da bambini abbiamo tutti sognato una bella casetta in armonia con la natura, questa è quel sogno, tanto più che cambia aspetto, forma, dimensione e colore, a seconda della stagione. Negli anni cresce, si può modificare, intrecciare, pettinare, accarezzare, cambiare. Basta curarla, mantenerla in forza e in salute con le adeguate potature durante l’anno. Prendersene cura, insomma. Alla manifestazione, Rabitti realizzerà un esempio di recinzione e un tunnel, il 3 maggio, al giardino delle Duchesse, dalle 11.00 al tramonto. I creatori curiosi non possono mancare. Particolarmente originale sarà anche l’esposizione degli hotel per insetti a cura di Paolo Tosco Parlamento (tutta la giornata di domenica 3 maggio, nel giardino delle Duchesse).

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Hotel per gli insetti
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Realizzati a regola d’arte

Spazio all’immaginazione e alla creatività, quindi. D’inverno, quando fa freddo e il lavoro nel giardino è ridotto, quale migliore idea se non quella di costruire un hotel per gli insetti? Una casa di tal tipo serve agli insetti come sito di nidificazione. In particolare, le specie vulnerabili, come le api selvatiche, possono stabilirsi lì per sviluppare e riprodursi in uno spazio tranquillo e protetto. Molti insetti sono impollinatori e si nutrono di parassiti. Essi sono molto importanti per l’ecosistema, ma l’agricoltura moderna e la silvicoltura hanno distrutto molti habitat naturali utili a questi insetti. Attraverso l’installazione di una casa per gli insetti alcune specie possono essere sostenute nella loro esistenza e aiutati nella loro lotta per la sopravvivenza. Ma ci sono delle regole. L’hotel per insetti deve essere orientato a sud o sud-est, in modo da poter essere illuminato dal sole al mattino, deve “voltare le spalle” ai venti dominanti e trovarsi nei pressi di un bel prato di fiori selvatici e/o coltivati (il ristorante dell’hotel) ed essere sollevato da terra di una trentina di centimetri e riparato dalle intemperie. E vi sono materiali adatti. Per i calabroni, ad esempio, serve una scatola con un buco del diametro di 10 mm e una piccola “rampa di lancio”, per alcune specie di api e vespe solitarie, meglio una stuoia di legno o di paglia arrotolata, per le api solitarie, mattoni forati riempiti di argilla e paglia, per gli imenotteri, giunchi, bambù o altri bastoncini vuoti all’interno, per alcune specie di api e vespe solitarie, pezzi di legno secco con dei buchi. Anno dopo anno, l’hotel contribuirà ad arricchire la micro-fauna d’insetti ausiliari e impollinatori del giardino. Qui vi sarà insegnato tutto questo e altro.

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Piazza Castello ‘Giardini estensi’ edizione 2013

L’intento dell’organizzazione è di creare iniziative culturali di alto livello e ben coordinate per potenziare l’opportunità di sviluppo turistico della manifestazione.
La novità: è stata attivata una convenzione tra Atmosfere Country (la sezione dedicata all’artigianato all’interno degli Imbarcaderi) e il museo del Castello Estense. Per i visitatori del museo, l’ingresso ad Atmosfere Country sarà possibile al costo di 2 €.

Per i dettagli della manifestazione, l’elenco degli espositori e il programma degli eventi culturali, visita il sito [vedi].

L’EVENTO
LiberAzione, così Ferrara rivive il 25 aprile

Gli alleati che arrivano, la gioia di liberarsi dalla paura, il senso di comunità, la festa: è la Liberazione. E’ quello che si è davvero riusciti a vivere di nuovo un po’ a Ferrara, per il 70esimo anniversario della liberazione del Paese da parte degli Alleati. Il 25 aprile 2015 la festa è stata rievocata e condivisa da attori, visitatori e cittadini nelle vie del centro. A far rivivere quel momento storico e quei sentimenti l’azione teatrale intitolata – appunto – “LiberAzione”. Un corteo di uomini, donne e bambini che da piazza Verdi è sfilato fino al muro del castello estense. La celebrazione-messa in scena è stata realizzata da Anpi (Associazione nazionale partigiani italiani) e Gruppo teatro comunitario di Pontelagoscuro in collaborazione con Arci-Spi Cgil e fondazione l’Approdo. La raccontano per noi le belle immagini scattate da Luca Pasqualini.

[clic su un’immagine per ingrandirla e vederle tutte]

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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)
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LiberAzione: l’azione teatrale in scena a Ferrara per il 25 aprile 2015 (foto Luca Pasqualini)

EVENTUALMENTE
La rinata via de’ Romei in festa alla conquista del centro storico

Sonnolenta nella calda luce di un giorno feriale, via de’ Romei è in realtà una fucina di lavoro e di idee. “Nell’ultimo anno – spiega Massimiliano De Giovanni, che condivide la gestione di Pop Design con Giorgio Paparo – la via è cambiata molto: nonostante non sia ancora nella classica “vasca” dei ferraresi, è stata protagonista di una graduale riscoperta. É bello perché sempre più persone arrivano nella via quasi scoprendola per la prima volta, e nel contempo trovandone identificativi legati a stile o atmosfera: è parzialmente nascosta e ancora in via di scoperta ma già apprezzata, e questo è l’interessante double-face che la caratterizza. E’ la via di tutti noi”.
Variegata e aperta, come spesso è la porta del negozio in cui arriva la proprietaria della lavanderia per scambiare un pezzo da 50 o anche solo quattro chiacchiere. Il 29 aprile queste quattro chiacchiere si faranno direttamente nella via, pedonalizzata in occasione della seconda edizione di “Via de’ Romei in festa”.

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La locandina dell’evento

L’evento ha avuto un ottimo pregresso, quando nel settembre scorso prese il via la puntata zero della manifestazione [vedi], vero e proprio pilota di quella che si sta trasformando in una serie che promette molto bene. “L’idea – continua Massimiliano – partì dalla galleria d’arte, dalla sala da tè e da noi, per poi trovare adesione e compattezza da parte degli altri locali. Fu qualcosa che nacque da noi commercianti come nostro personale desiderio senza discorsi di associazioni di categoria né iniziativa che partisse dal comune. L’evento andò molto bene, tanto da guadagnarci la nomea di commercianti virtuosi. Questo ci convinse a strutturarci in modo tale non da lasciarlo un felice episodio isolato, bensì da farlo divenire un naturale prosieguo di quell’esperimento e dando una cadenza precisa ad altri eventi affini: la serata del 29 aprile sarà seguita da altre due occasioni, in giugno e in settembre, contando di dare una unicità a ciascuno di essi.”

Mercoledì sera, dalle 18 alle 24 dunque negozi aperti, due postazioni djset e performance live, per dare alternative a chi verrà a visitare via Romei e via Voltapaletto, in modo da poter accontentare un pubblico diversificato, trasversale ed eterogeneo, esulando da quello che è il classicissimo mercoledì sera universitario. Aperitivo lounge, esibizioni di jazz e kizomba, performance di body painting, installazioni video e 25 espositori con stand dedicati, tra cui la linea di accessori ¿Pourquoipas?, la casa editrice Kappalab, le creazioni della stilista ferrarese Elena Massari, il marchio di complementi di arredo a lampada al Led Alba Art con un occhio alla sostenibilità ambientale; creativi, artigiani e designer, con ogni sorta di oggetti handmade animeranno la strada, dal numero 13 al numero 51, in una apertura d’eccezione fino a tarda sera dove protagonisti saranno bellezza e bontà per tutti i gusti e in piena collaborazione e scambio: haircare e styling da Roncaglia Parrucchieri, cura e pulizia dei capi di abbigliamento con Lavanderia Gabriella Cavallari, aperitivi e dessert alla Caffetteria 2000, strumenti e accessori per pittura e tecniche artistiche a Michelangelo Belle Arti, colorati accessori, stilosi capi di abbigliamento e complementi di arredo a Lasciate entrare il sole, i panini gourmet del Barettino, storia e suggestione nella bottega di drogheria di Marisa Baroni, trattamenti estetici nel salone Diva, infusi e spezie nella sala da tè You and Tea, eventi e arti visive nello spazio d’arte L’Altrove, gastronomia tradizionale e mediterranea ed enoteca all’Osteria. A questi si aggiungono il ritrovo Brit-style Il Molo, gli articoli in carta e cartone di Volta la carta, i servizi di accoglienza turistica di Itinerando, promozione e sviluppo di attività apneistiche, immersione e vela con Priscilla Dive.
“L’idea di base è la mescolanza di artigiani e commercianti che creano unione dando vita a qualcosa di nuovo, senza timore di concorrenza ma privilegiando pluralità e originalità, varietà di proposte culturali e commerciali; valori che oggi, a causa della crisi economica e della imperante omologazione, si sono adombrati. Occuparsi di ambiti differenti e ben distinti e commercialmente è un vantaggio: possiamo affiancarci creando buona sinergia e soprattutto valore aggiunto per chi verrà a trovarci e a visitare de’ Romei mercoledì prossimo.”

La serata di aprile sarà la serata dedicata alla creatività. Di seguito solo alcuni assaggi delle lavorazioni originali ‘made in via de’ Romei’.

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Anelli creati con bottoni degli anni Quaranta e Cinquanta (Pop Design)

Pezzi di punta di Pop Design, i bottoni-gioiello, anelli e orecchini lavorati da Giorgio sono un ricordo montato su supporto moderno, ispirati dai bottoni che arrivano dalla bottega del padre, sarto nella Roma degli anni Sessanta e Settanta. “I bottoni sono pezzi d’epoca, modelli creati tra gli anni Quaranta e Sessanta. Il bottone, lontano dall’essere riprodotto in serie come oggi succede, era valore aggiunto del capo d’abbigliamento nonché la sua parte più pregiata, tanto che si conservava quando l’abito usciva di produzione. Questo aspetto di conservazione e riuso di un oggetto è ottimo per la filosofia eco-sostenibile, perché riutilizzato, e in una ottica affettiva, perché si può avere con sé un oggetto vissuto, portare in giro la sua storia, rimettendo in circolo una materia e una conoscenza. Non utilizzo mai bottoni contemporanei, quelli prodotti in serie, per capirci; né modifico mai la loro costruzione: quello che desidero è valorizzare questo oggetto.” Madreperla, passamaneria, legno, smalto su metallo, intrecci di corda, simboli della storia della moda e motivi variegati.

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Campanelli di bicicletta disegnati da Giorgio Paparo

Altro oggetto del quotidiano che si impone come valore artistico è il campanello per biciclette: “L’idea è nata da un bisogno reale: mi serviva un campanello per la bicicletta, ma in giro ne vedevo di tutti uguali e senza fantasia. Perciò ho contattato una azienda del territorio, dopo avere realizzato un progetto grafico legato a Pop Design. Al pari del bottone, il campanello è un oggetto piccolo ma appartenente alla vita di tutti i giorni, si fa notare senza essere invasivo. Con il vantaggio aggiunto di far riscoprire il valore della bicicletta – qui a Ferrara è già una istituzione – in una città come Milano, dove ne sono stati presentati alcuni con piantine della città e della metropolitana.”

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Abiti disegnati da Renata Bignozzi

Creativa haute couture è quella di Renata Bignozzi, stilista, ultimo negozio di via de’ Romei in angolo con via Contrari. Il suo “Cosaio”, aperto nel 1977, fu la prima esperienza in cui testò la creatività che poi avrebbe contraddistinto la sua attività nel corso degli anni, e la possibilità di trasformare un hobby in un vero e proprio mestiere. “Poteva essere la chiave della mia strada” – racconta Renata – e, di fatto, lo fu.” Nelle sue collezioni si possono ammirare completi di taglio severo ed elegante dai colori tenui e gentili, ma anche colorati pois su trench in tela cerata, sportivi e classici, ideali per la primavera piovosa e per l’estate, abbinati a borse della stessa texture, composte e minimali, pensate per la stagione primavera/estate 2015. “Ogni settimana in negozio arrivano nuove proposte, anche in base a ciò che viene maggiormente venduto, a ciò che piace alle clienti, con grande attenzione . L’impostazione del negozio è flessibile, in armonia con la mia idea della moda: non deve configurarsi come irraggiungibile meta per creatori d’élite chiusi nella propria torre d’avorio, unico porto sicuro di pochi edonisti che vedono nella moda un concetto astratto.

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Materiali sceltissimi e ricerca stilistica

Dopo gli studi all’Accademia di belle arti mi dedicai all’abbigliamento, specializzandomi nel settore del disegno, e qui sviluppai nella prassi alcune delle tesi e delle filosofie estetiche che avevo progettato durante i miei studi, tra cui la sublimazione del lavoro artigianale che diviene intimo e profondo grazie a un tempo della magia. Il prodotto artistico deve comunque possedere valore commerciale ed essere utile, così come l’autenticità della mia professione deve essere connessa al reale, al mondo in carne e ossa. Dall’artista all’artigiano deve esserci un trait d’union imprescindibile: nei miei schizzi – essenziali ma ricchi divertissement che scorrono fluidi su carta velina, ndr. – traccio elementi utili a chi andrà a confezionare il capo.”
Massima cura per i materiali è la seconda parola chiave della filosofia di Renata: “Ricerca e scelta della materia prima sono fondamentali, così come il cuore di ogni ricerca stilistica resta la spinta materica e formale. Vedere e osservare, toccare con mano resta l’imperativo categorico per poi sviluppare disegno e modello intorno a un manichino, pensandolo per una persona.”

In una ricerca instancabile ricercando la perfezione attraverso manualità, filosofia open-minded e creatività, valori che qui in via de’ Romei sono di casa.

Per saperne di più visita la pagina Facebook dell’evento [vedi].

LA SEGNALAZIONE
I paradossi del cibo

Mentre Expo 2015, con il suo tema “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, si avvicina veloce e si parla sempre di più di cibo e di alimentazione, il Barilla center for food and nutrition presenta i paradossi del cibo e come contrastarli, con la campagna di sensibilizzazione socialYes share eat!” [vedi], lanciata in occasione della Giornata della Terra. Questi paradossi sono tre, contenuti nel Protocollo di Milano [leggi], firmato il 3 aprile 2015, un accordo internazionale volto ad affrontare il problema della sostenibilità del sistema alimentare e a risolvere questi paradossi entro il 2020. Vediamo quali sono.

Primo paradosso, spreco di alimenti: 1,3 miliardi di tonnellate di cibo commestibile sono sprecate ogni anno (un terzo della produzione globale di alimenti e quattro volte la quantità necessaria a nutrire gli 805 milioni di persone denutrite nel mondo).

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I tre paradossi della campagna ‘Yes share eat!’

Secondo paradosso, agricoltura sostenibile: nonostante l’enorme diffusione della fame e della malnutrizione, una grande percentuale dei raccolti è utilizzata per la produzione di mangimi e di biocarburanti. Secondo le previsioni, la domanda globale di biocarburanti arriverà a 172 miliardi di litri nel 2020 rispetto agli 81 miliardi di litri del 2008, il che corrisponde ad altri 40 milioni di ettari di terreni convertiti a coltivazioni per biocarburanti. Un terzo della produzione agricola globale è impiegato per nutrire il bestiame. Sui circa 7 miliardi di abitanti della terra, 1 miliardo non ha accesso all’acqua potabile (il che provoca la morte di 4.000 bambini ogni giorno). In contrasto, per produrre un chilogrammo di carne di manzo servono 15.000 litri d’acqua.

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Come contrastare i paradossi del cibo

Terzo paradosso, coesistenza fra fame e obesità: per ogni persona affetta da denutrizione, ve ne sono due obese o sovrappeso (sovranutrizione): 805 milioni di persone nel mondo sono affette da denutrizione, mentre oltre 2,1 miliardi sono obese o sovrappeso. A fronte di 36 milioni di persone che muoiono ogni anno per denutrizione e carestia, 3,4 milioni muoiono a causa del sovrappeso o dell’obesità. La radice di questo problema risiede nello squilibrio globale della ricchezza e delle risorse.

Carlo Petrini, il presidente di Slow Food, usa il termine “schizofrenia” per descrivere la società contemporanea, che si muove non tanto contro-natura, ma anti-natura. E questi paradossi ne sono la prova. Come contrastarli, allora? Non sprecando, producendo di più con meno, scegliendo cibo che ne contenga e rispetti i suoi stessi valori, adottando un’alimentazione semplice, sana e variegata, facendo movimento, preferendo una filiera virtuosa (magari pure a chilometro zero), condividendo le proprie esperienze e, soprattutto, agendo nel quotidiano. Ci vuole educazione, anche per questo. Non è poi tanto difficile… vale la pena provare. Perché la libertà passa anche attraverso il cibo.

Per approfondire, “Togheter in Expo 2015” in collaborazione con il ministero dell’Istruzione, “Abbondanza e privazione: il paradosso del contemporaneo” [vedi].

LA NOVITA’
MuseoFerrara, il patrimonio della città sempre fruibile online

“Il Museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e specificamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto”: è la definizione di museo data dall’Icom (International council of museum). Proprio da qui è partito Daniele Jallà – presidente Icom Italia – per presentare MuseoFerrara, un museo vero e proprio, con l’indiscutibile vantaggio di essere sempre visitabile 24 ore su 24, senza orari di chiusura, perché è on-line. MuseoFerrara è, infatti, il nuovo museo che conserva e comunica “la conoscenza” della città e del suo territorio: la città visibile e la città invisibile, gli spazi urbani e i cittadini che li abitano e li hanno abitati, le loro esperienze e le loro memorie.

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Pagina sulla Ferrara ebraica

MuseoFerrara, ideato e diretto da Giovanni Lenzerini, è un continuo intreccio di materiale e immateriale: un museo per descrivere luoghi fisici, narrare eventi e vicende personali, ma nello spazio infinito e immateriale del web, il più adatto per ricondurre a sintesi tutte queste narrazioni in un unico affresco del ferrarese e soprattutto per consentire il processo di costruzione partecipata del sapere che è uno degli obiettivi principali del progetto. MuseoFerrara è quindi un museo diffuso perché le sue collezioni riguardano tutto il territorio, rimescola storia e geografia perché descrive la città di oggi come “frutto delle stratificazioni e ricomposizioni” vissute nel tempo, rendendo evidente come il paesaggio urbano e culturale che vediamo e viviamo oggi sia la sintesi di elementi diacronici diversi. È anche un museo collettivo, o meglio un ecomuseo, perché richiede ai cittadini di partecipare alla sua implementazione, attraverso la loro memoria e le loro esperienze personali, perché la città e la sua valorizzazione diventino veramente un patrimonio dei suoi abitanti.
Il primo cantiere, come si addice a un museo in progress, è quello della Ferrara ebraica, un viaggio fra storie, sapori, luoghi, personaggi, oggetti, fra cultura erudita e cultura materiale, da Isacco Lampronti e Giorgio Bassani, al caviale del Po di Nuta Ascoli, che verrà inaugurato nel pomeriggio di domenica 26 aprile nell’ambito della Festa del Libro Ebraico in Italia.

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Il logo

MuseoFerrara vuole essere un esperimento di politica culturale partecipativa e di costruzione partecipata del sapere: un modo diverso di guardare al nostro patrimonio culturale e naturale con l’obiettivo di incentivarne l’esperienza, che si può fare solo camminando per le vie e le piazze o esplorando il Delta. Non ultimo MuseoFerrara può diventare uno strumento di democrazia, perché conoscere la propria città, il proprio territorio, la storia, le vicende e i saperi in essi custoditi, farne esperienza e diventarne custodi consapevoli, permette ai cittadini di intervenire nelle scelte e nelle decisioni dell’amministrazione a proposito di pianificazione territoriale e salvaguardia dell’ambiente.

Per visitare MuseoFerrara clicca qui.

LA SEGNALAZIONE
Nello scapigliato Medardo Rosso la luce del Bastianino

Per uno dei tanti legami nascosti che Francesco Arcangeli – insuperabile storico dell’arte del secolo scorso (ma sembra ieri) – amava intrecciare tra esperienze artistiche distanti nel tempo ma legate da un’unica memoria evocativa, le pagine finali della monografia su Bastianino (1963), germinano suggestioni e indicano accostamenti attraverso un dialogo ininterrotto tra le arti. Con coraggio critico e metodologico Arcangeli indica un filo rosso che unisce la forma dissolta e fluida del ferrarese Filippi (1530 ca – 1602), e la forma labile ed espansa di Medardo Rosso (Milano 1858 – 1928) scultore visionario protagonista tra Otto e Novecento del rinnovamento delle forme plastiche intese non più come superfici volumetriche chiuse, bensì elementi plastici lievitanti di moti interiori per via della luce che aggruma e sfalda l’immagine reale.
Il cuore della tesi arcangeliana sta proprio nel tramando concreto dello smateriarsi delle forme attraverso la luce di Bastianino e l’indefinitezza delle forme variabili, per sentimenti e stati d’animo di alcuni artisti dell’Ottocento italiano da Ranzoni a Piccio a Medardo Rosso. Scrive infatti Arcangeli: “Egli (Bastianino) è il capostipite della tradizione intralciata ma mai interrotta dei sognatori di Padania: quei romantici interrati, che pur non avendo una poetica precisa, avevano ancora un’intuizione e, nei giorni ispirati, riaggallano improvvisi alla lucida espressione dell’umano, in quel che ha di tremante, di ineffabile, di malato […] e accostando ancora l’occhio, quegli angeli stessi del gran ferrarese, distrutti dalla luce nella loro carne antica, possono appaiarsi, sentimento puro, all’Ecce puer del grande Medardo Rosso.”

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La locandina della mostra

Ricordavo questo brano di Arcangeli passeggiando per le sale rinnovate della Galleria d’arte moderna di Milano, dove è in corso l’esposizione “Medardo Rosso. La luce e la materia” curata da Laura Zatti, conservatrice della stessa galleria e organizzata e prodotta dalla Gam di Milano e da 24 Ore cultura (Gruppo 24 Ore). Complice l’illuminazione sapiente, i riflessi delle teche e degli specchi, ho colto immediatamente quanto le sculture di Rosso siano al limite del frammento in cui tuttavia si addensa la vitalità espressiva del tutto.
Torinese di nascita e milanese di scarsa formazione accademica (verrà espulso da Brera dopo un solo anno di frequentazione ), l’artista sviluppa fin dagli esordi (1882 – 83) una personale poetica veristica e sociale in sintonia con il movimento della Scapigliatura, realizzando “Il birichino”, “Il sagrestano”, “La ruffiana”, opere che introducono la mostra. Non c’è nulla di bozzettistico e di sentimentale nel fissare i personaggi presi dalla strada e dalla quotidianità più umile, nella forma sfaldata, nella plastica grumosità della materia (bronzo, gesso, cera), sulla quale la luce crea variazioni di toni e porta in superficie valori pittorici sfumati. Nella Portinaia – in mostra la variante in bronzo del museo di Budapest – ogni intento ritrattistico è ormai lontano dalla forma vibrante e incerta in cui Rosso, più che riprodurre il ritratto di una persona o un tipo sociale ferma l’impressione di un’immagine riproposta agli occhi e alla mente. Più evidente nella fusione a cera, l’immagine diventa una superficie vibrante senza terza dimensione. Lo stesso scultore riconobbe alla Portinaia un ruolo fondamentale nell’evoluzione della sua poetica tesa a cogliere i flussi emozionali. Dalla colata liquida, trasparente, affiorano la testa reclinata con la fronte girata in avanti verso la luce, le occhiaie profonde, il naso bitorzoluto, la bocca tumefatta appena segnata da fonde ditate d’ombra. Ecco cosa significava per Rosso “sorprendere la natura”, fissare la prima emozione, la prima impressione che si trasferisce dagli occhi alla mente prima ancora di essere contaminata dall’analisi descrittiva. Anche se Rosso sarà definito dalla critica francese il fondatore della scultura impressionista al Salon des Indipéndents in occasione dell’Esposizione universale di Parigi del 1889, cui partecipò con cinque bronzi “Gavroche”, “Aetas aurea”, “Carne altrui”, “El Looch”, “La Portinaia”, tuttavia il carico delle emozioni e il valore degli stati d’animo, elementi caratterizzanti della sua arte fin dagli esordi vanno aldilà della visione impressionista e rivelano la difficoltà di catalogare la libertà inventiva sempre ricercata con ostinazione dall’artista.

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Medardo Rosso, ‘La bambina ridente’, 1889

Nella “Bambina ridente” (1889, cera su gesso, Barzio, Museo Rosso), il confronto con la scultura del Rinascimento toscano (Desiderio da Settignano), si esprime nella maggiore precisione del modellato che indica un’altra tecnica sperimentale per raggiungere l’immediatezza della visione psicologica. Proprio come nelle due Rieuses della Gam di Milano (cera su gesso, 1903-1904) e del Museo Rodin di Parigi (bronzo,1894), immagini misteriose, ineffabili nel loro sorriso quasi leonardesco, eseguite nel periodo parigino insieme alla “Dama velata” (non presente in mostra), blocco di cera in liquefazione che scopre i tratti appena accennati di un’apparizione inafferrabile. Impressioni ed emozioni colpiscono l’occhio dell’artista al ritmo incalzante del susseguirsi delle immagini come in un trailer cinematografico: dall’inquietante figura della Ruffiana (1883) alla Grande Rieuse (1892) dal volto rugoso e sconvolto dalla risata angosciante, a metà tra maschera del teatro greco e strega, le forme in divenire perdono la loro stabilità e mutano col variare dei punti di vista.
L’incrocio con la Scapigliatura e gli Impressionisti e con la statuaria rinascimentale è consapevole: nella serie di ritratti di bambini in cera, terracotta, bronzo e gesso,il processo fenomenologico si coglie nell’istantanea di un sorriso o nella fragilità di un’espressione fino a raggiungere nell’Ecce puer (1906) una fusione indefinita con l’atmosfera. L’Ecce puer nelle sue varianti è “scultura liquida che cola anima ed emozioni” allo stesso modo delle ombre e delle astratte fosforescenze delle madonne e degli angeli di Bastianino nell’età estrema ed estenuata della Maniera.

Mostra “Medardo Rosso. La luce e la materia”, Milano, Galleria d’arte moderna, 18 febbraio- 31 maggio 2015. Visita il sito [vedi].

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Comacchio, i Cinque stelle: “Con la cementificazione non si fa sviluppo”. Il sindaco: strumentalizzazioni

“Lo sviluppo non può essere considerato tale quando esiste la possibilità di gettare altri metri cubi di cemento. Ci sono strategie a impatto zero e, per quanto ci riguarda, sono le uniche da perseguire. Smetterla con il consumo del territorio è un punto di forza della nostra politica”, taglia corto Raffella Sensoli, consigliera regionale 5Stelle, che con un’interrogazione alla giunta emiliano-romagnola ha chiesto di verificare la correttezza dell’operato di Comune di Comacchio, Provincia di Ferrara e Parco del Delta del Po coinvolti nel discusso capitolo “Contratto di sviluppo – Turismo nel Delta” stretto quasi in concomitanza con il licenziamento dell’ultima stazione del Parco del Delta del Po, quella di Comacchio centro storico. “ Prima di tutto chiediamo la sospensione di qualsiasi modifica o approvazione legata a nuovi progetti. E’ un modo per cautelarsi, ci sono ancora diversi ricorsi aperti – precisa – Ci sono stati cambi di destinazione d’uso dei terreni e va da sé il dubbio legato al rischio di una cementificazione selvaggia”. Nessuna strumentalizzazione da parte di Legambiente si affretta a precisare: “Il sindaco Fabbri, che incontrerò a breve, si sbaglia. Ho letto i documenti e lavorato su dati oggettivi e, quando si parla di territorio, vorrei capire se ci sono state delle irregolarità anche nei confronti della Regione. In ogni caso, ripeto, fin quando non ci sarà la più totale chiarezza sarebbe bene sospendere qualsiasi operazione per evitare danni permanenti”.

Al centro dell’interrogazione c’è il maxi progetto giocato tra interventi edilizi e produttivi messi in campo da una cordata di imprenditori. “In testa c’è la società che fa capo al gruppo Tomasi – prosegue – i progetti presentano una serie di incongruenze formali e di sostanza che avrebbero bisogno di ulteriori approfondimenti”. L’esplorazione di leggi, leggine e normative comunali, provinciali e regionali, è d’obbligo per la Sensoli, c’è bisogno di sgomberare il campo dal caos e capire quale sia la posizione della Regione su quanto sta accadendo nel Comacchiese. “Nonostante il Comune di Comacchio nel documento preliminare del Piano strutturale comunale, abbia ammesso la presenza di un quadro complicato e contraddittorio, e forse in parte anche illegittimo, in relazione alle norme e previsioni urbanistico-territoriali – scrive Raffaella Sensoli nella sua interrogazione – il Comune sta procedendo verso la stipula di accordi con gli imprenditori dei progetti edilizi”.

Secondo la pentastellata l’approvazione di alcune delibere, oggi oggetto di 11 ricorsi, non sembra rispettare parte dei requisiti richiesti dallo stesso consiglio comunale. Motivo per cui la Sensoli è determinata ad andare in fondo. “La situazione è dominata dall’incertezza, tuttavia si stanno trattando progetti edilizi che comporterebbero varianti al Piano regolatore per trasformare le aree agricole in terreni dove ospitare strutture ricettive – spiega – Il consiglio ha approvato modifiche al regolamento edilizio con le quali si pretende di cambiare le destinazioni d’uso di terreni destinati dal Prg a soli campeggi, in terreni destinati a ‘campeggi-villaggi turistici’, variando inoltre gli usi di altri terreni destinati a ‘villaggi turistici’ in terreni per ‘centri vacanze’”. Un passaggio via l’altro per introdurre infine “strutture simili alle case mobili, ma installate fisse al suolo a cura di agriturismi in deroga alla normativa regionale”, sottolinea. “Crediamo che prima di tutelare l’interesse dei privati, la Regione si debba adoperare perché le norme di salvaguardia e tutela del paesaggio e dell’ambiente non vengano calpestate”.

La risposta del sindaco di Comacchio

La mossa della consigliera ha suscitato la reazione del sindaco Marco Fabbri, eletto in quota 5Stelle e scomunicato dal movimento di Grillo qualche tempo fa.
“L’interrogazione è un semplice copia-incolla del ricorso presentato da Legambiente lo scorso anno, il 30 luglio il Tribunale amministrativo regionale ha rigettato la sospensiva – dice – non c’erano i presupposti per sospendere il Piano di stazione del centro storico del Parco del Delta Po tuttora vigente”. Il piano, ricorda il sindaco, è stato licenziato dopo 20 anni di gestazione nel 2014. “E’ successo grazie a un forte impegno di Regione, Provincia, ente Parco e su forte impulso del nostro Comune – continua – Il piano è stato pubblicato sul bollettino ufficiale della Regione il 13 febbraio del 2013, dopo di che sono pervenute oltre 60 osservazioni di privati e interessati a vario titolo. Nonostante la forte valenza ambientale del Piano non è arrivata alcuna osservazione da parte del Movimento 5 Stelle regionale, né tanto meno risultano inviate interrogazioni al Presidente della Regione e alla Giunta”.

La questione è dunque politica? “A distanza di oltre un anno e soltanto dopo la nostra espulsione, il Movimento 5 Stelle regionale ha pensato di contestare il piano, quando avrebbe potuto farlo in tempi, modi e sedi previsti per legge”. Il tono è piccato ed è più che plausibile, gli interessi in ballo sono tanti e diversi. “Rispetto al merito della vicenda, stiamo lavorando a pieno ritmo, portando avanti con determinazione uno dei punti del programma elettorale, con la ferma volontà di arrestare il consumo del territorio, al quale abbiamo purtroppo assistito negli ultimi decenni – prosegue Fabbri – Si è data semmai un’accelerata al processo virtuoso di riconversione e riqualificazione delle seconde case con la realizzazione di residenze turistico-alberghiere, secondo la concezione dell’albergo diffuso”. Le contestazioni del Movimento 5 Stelle, lo lasciano “basito” perché sposano la tesi di una guerra contro i campeggi. “Affiancano di fatto il pensiero del circolo locale di Legambiente, che definisce consumo di suolo anche la semplice realizzazione di aree per la sosta dei camper – spiega – Ho parlato ieri telefonicamente con la consigliera regionale Sensoli alla quale esporrò la vicenda che le è stata illustrata in modo strumentale e distorto da Legambiente”. E ancora: “Dato che le strutture ricettive all’aria aperta sono la principale fetta dell’industria turistica locale, il motore dello sviluppo del territorio, vista la grave crisi della pesca, – conclude – sono certo che verranno comprese le necessità di garantire prospettive di crescita anche attraverso l’ampliamento dei campeggi, tanto più che quelli di nuova generazione sono concepiti con metodi assolutamente ecosostenibili e nel pieno rispetto dell’ambiente”.

“Ostacola i concorrenti”: anche Google accusata di abuso di posizione dominante

Dopo Microsoft, Bruxelles si è dimostrata pronta a procedere legalmente verso un altro colosso del web. Google, noto motore di ricerca, attualmente gestisce il 90% circa delle ricerche a livello europeo, vantando un totale di 60 trilioni di pagine web indicizzate dal suo dominio.
E’ proprio il gigante di Mountain View il protagonista della nuova procedura di obiezione, emessa dall’organismo Garante della concorrenza e del mercato della Commissione europea, dove è stata formalmente espressa l’accusa di abuso di posizione dominante in riferimento sia al motore di ricerca, sia al sistema operativo Android, acquisito dallo stesso diversi anni prima. L’accusa, dunque, si fonderebbe sul fatto che la forte attrazione che i prodotti dell’azienda attirano su di sé consente di detenere un potere di mercato enorme, cosa che di per sé non rappresenta un abuso, ma il fatto che grazie a questo abbiano potuto trarne un vantaggio sì.
Autopubblicizzandosi o assicurando visibiltà ai suoi prodotti, Google avrebbe recato danno ai consumatori, ingannandoli, e ai concorrenti immettendo delle barriere all’entrata, veri e proprio ostacoli alla partecipazione in quel segmento di mercato. Inoltre, si parla di impatto negativo sull’innovazione che avrebbe potuto impedire l’affermazione di nuovi mercati, processi o prodotti tramite un meccanismo di occlusione. Insomma l’azione di Bruxelles avrebbe come obiettivo principale quello di garantire il libero mercato; in attesa di una sentenza definitiva, però, si apre spazio per nuove riflessioni.
L’accezione di bisogno ha sempre rappresentato il punto di partenza di un’idea economica: fin dall’antichità, infatti, le imprese nascono per soddisfare i bisogni delle persone; col passare del tempo però, i bisogni sono stati smembrati e divorati, rendendo difficile concepirne di nuovi. L’informazione e la conoscenza allora, hanno cominciato a svolgere il ruolo di variabili economiche, sostituendo i bisogni primari, premiando chi le detiene con una sorta di capacità di plasmare e guidare il mercato.
In questo senso, la vicenda risulta emblematica, se si pensa alla quantità di informazioni che Google possiede sulle persone che lo usano, sui loro interessi, il loro stile di vita ed i loro desideri: un mercato talmente smisurato da sembrare “dominante”.

Presente precario: lo zapping del sindaco fra passato e futuro

Il mondo cambia, Ferrara anche. Lo si voglia o no, la città deve uscire dalle propria mura e trovare un nuovo equilibrio tra Bologna, Comacchio e il centro est emiliano. Tre punti cardinali di una dimensione geofisica, oltre che economica, imposta dall’abolizione delle Province e calata in una realtà ancora profondamente legata ai campanili. Restare ancorati ai propri confini è una questione culturale, d’abitudine e di organizzazione sociale, ma il modello va superato. Lo pretende il futuro, così come richiede il rafforzarsi di un’identità dei Comuni della provincia, da sud a nord, per favorire lo sviluppo e frenare il rischio di finire in coda a realtà più incisive e dinamiche, che potrebbero metterci alla corda ancora di più di quanto già non siamo. La missione è complicata, ma non si può fare diversamente.

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Il sindaco di Ferrara Tiaziano Tagliani

Lo ha spiegato a più riprese il sindaco Tiziano Tagliani nel corso del colloquio con responsabili e giornalisti dei media cittadini (Cristiano Bendin Il Resto del Carlino, Stefano Scansani La nuova Ferrara, Marco Zavagli Estense.com, Stefano Ravaioli Telestense, Monica Forti Ferraraitalia.it) organizzato da “Think Tank – Pluralismo e dissenso”. Oggi Ferrara gioca la sua partita facendo della stabilità di governo un valore indispensabile per superare lontananze e divisioni storiche, ancor più accentuate nei paesi della provincia estense, e Bologna realtà metropolitana a cui siamo legati soprattutto per la mobilità. Sono realtà lontane per cultura, ma nell’assetto politico nel quale ci stiamo addentrando, devono stare insieme e i sindaci di Comacchio e Cento, partecipare al disegno istituzionale per il bene di tutti. “E’ difficile pensare che Goro avverta un legame con la città metropolitana e lo è altrettanto credere che un sindaco metropolitano faccia gli interessi di Ferrara – ha detto – In questo quadro bisogna capire con cosa si vuole riempire l’area vasta, Merola chiederà di rafforzare la relazione con il centro-Emilia, ma se non c’è un disegno equilibrato si finirà con il sciogliere la regione”. La sfida è servita.

Due ore tra domande e risposte dalle quali sono emerse la speranza di un lieto fine della disastrosa vicenda della Cassa di Risparmio. “La cattiva gestione dell’istituto ha fallito, i contraccolpi si sono sentiti anche in altre città, Genova, Asti – ha spiegato – C’è stato un momento in cui sembrava esserci un acquirente e avevo chiesto una pluralità d’offerta, ma è tutto. Nessuna pressione, ognuno deve fare il proprio mestiere. La politica è rimasta fuori dalla Cassa da almeno 16 anni e l’attuale situazione è identica a quella di un’asta immobiliare”. Sul fronte della chimica ha sottolineato le difficoltà di realizzare un polo “verde”, l’intenzione è quella di proseguire nelle operazioni di bonifica, ma resta il problema di trovare chi investa in un settore fermo in tutt’Italia. Quanto alla possibilità di nuovi insediamenti imprenditoriali, Tagliani è stato chiaro, un sindaco può sollecitare le occasioni, snellire il più possibile la burocrazia per invogliare gli imprenditori a mettere radici nel Ferrarese, ma la decisione finale spetta sempre a chi tiene i cordoni della borsa. Qualche volta va male e qualche altra meglio come nel caso di Manifatture Berluti, scarpe artigianali di alta qualità a, che ha fatto base a Gaibanella e pensa di allargarsi in un prossimo futuro. Non è certo fabbrica dai grandi numeri, ma rientra nell’ambito di un mercato di nicchia prestigioso capace, grazie ai prodotti di lusso, di reggere le contrazioni del mercato.

Nello zapping tra passato e futuro il sindaco, ha ricordato il tramonto delle imprese di costruzioni incapaci di competere con il mercato, ma ha salvato la “buona eredità”: “Abbiamo una città della cultura che continua ad andare avanti, perché l’idea era ed è buona”, ha precisato. C’è l’intenzione di affiancare al Palazzo dei Diamanti, immagine di punta del turismo culturale, un ristrutturato Palazzo Massari da trasformare in un tempio dei “saperi” ad uso cittadino. E proprio dove la cultura s’intreccia con il turismo, sotto il cappello del riconoscimento Unesco e nell’attesa dell’approvazione del progetto Mab (Man and biosphere) del Delta, da cui a giugno dovrebbe nascere una riserva naturale, il destino di Ferrara appare legato a doppio filo con quello di Comacchio, che solo lo scorso anno, a riforma delle Province avvenuta, ha votato il referendum per passare sotto quella di Ravenna. Ma i matrimoni, si sa, alle volte sono d’interesse, superano i dissapori e sfociano in alleanze tra business e politica. Soprattutto a fronte di certi sintomi. Un esempio? La politica delle grandi mostre si scontra con budget assottigliati e rischia di andare compromessa dall’intraprendenza di altre città, che mettono in scena più di un’esposizione di richiamo a pochi chilometri da Ferrara, “rubandole” turisti, visitatori e incassi. Il valore estetico di Ferrara non si mette in discussione, ma bisogna renderla particolare, unica e vendibile.

“Allargare il centro storico riqualificandolo è una cosa di interesse collettivo – ha precisato – vorrei poter convincere i commercianti che più è grande più la città ci guadagna. Dobbiamo spingere per la sua bellezza”. Sgomberare il “listone” dalle bancarelle, polemiche o no, sembra far parte del nuovo look e di un più largo progetto nel quale storia, architettura e natura si devono mescolare e offrirsi quale sostegno all’economia ferrarese, che per ora non può contare su un vasto numero di aziende ispirate alla sostenibilità e alle energie rinnovabili come il sindaco spera al punto da spendersi perché gli spin off universitari diventino vere e proprie realtà imprenditoriali. Nel frattempo bisogna essere tanto bravi da affascinare i turisti, da essere speciali. E’ la chance più immediata. “Inutile chiedere una fermata di Italo o Frecciarossa  – ha insistito Tagliani – Prima vanno create le condizioni perché ciò avvenga”.

La vocazione culturale ha allora bisogno di un turismo tinto di naturalismo che fa del Po e del suo Delta un tesoro a cui restituire il giusto posto nel mondo e dell’idrovia, la via d’acqua degli appassionati del grande fiume la cui porta d’ingresso è la città capoluogo, l’ottava stazione del Parco. Stazione ancora lontana dall’essere istituita, specifica Tagliani, perché il Parco del Delta del Po è in sofferenza. “Ci sono delle difficoltà normative di cui sta facendo le spese, è necessaria una nuova legge regionale e bisogna lavorare bene sul Delta, che fa parte della nostra cultura e va rispettato come bene comune quale è. Il Mab Unesco, che ci trasforma in riserva, è una straordinaria occasione per tutti”, ha detto. “Il parco è un valore aggiunto, è ovvio che ci sono delle difficoltà di gestirlo dal punto di vista della sostenibilità ambientale. Abbiamo a che fare con una forte antropizzazione, a cominciare da quella dei lidi, a cui siamo abituati a pensare in termini di seconda casa. Certo negli anni ’60 l’intera partita poteva essere governata meglio. Resta il fatto che l’habitat comacchiese è una grande occasione per l’economia turistica, alcuni imprenditori l’hanno capito. Penso inoltre al cuore del lido di Volano, ha rapporti con la pineta, con le valli e si presta a una qualità edilizia nuova e diversa”. E’ evidente che l’ormai trentennale progetto di creare una struttura-villaggio nei terreni della Provincia, a ridosso della spiaggia, non è ancora tramontato.

Nel frattempo il Parco arranca, appare in disarmo, anche dal punto di vista della dirigenza tecnica, il direttore Lucilla Previati, ma non è l’unica, ha lasciato l’ente. “Per ovviare abbiamo stretto un accordo con l’Università di Ferrara, a occuparsi temporaneamente dell’aspetto ambientale, sarà Giuseppe Castaldelli del Dipartimento di biologia ed evoluzione”, ha precisato.
Parco in stand by e idrovia inceppata a nord a causa del ponte sulla ferrovia da rialzare per permettere il passaggio delle imbarcazioni di quinta classe: l’imbuto più criticato della grande opera alla cui realizzazione ha contribuito l’Europa. Ferrara città non vive l’idrovia con particolare attesa, piuttosto guarda al Sebastian, la nave-pizzeria incagliata nella darsena. “Abbiamo dei problemi tecnici, andranno risolti con il tempo come è accaduto in altre città d’Europa. E’ tutto difficile, mettere d’accordo tante amministrazioni, spostare il pub, però andiamo avanti. Intanto cerchiamo di chiudere quanto prima il cantiere ferroviario di via Bologna”.
I cantieri dell’idrovia, quelli verso il mare, sostiene, saranno ultimati entro il 2015, mentre a nord si lavora al progetto di qualificazione del canale Boicelli. Il quadro è in divenire: “In questa situazione gli imprenditori sono a rimorchio dello stato dell’arte, ma intanto è bene sfruttare quanto già c’è a favore del turismo fluviale – prosegue – Per ora passeranno le bettoline di classe inferiore alla Va. Non c’è ragione di rinunciare al progetto, si farà un passo alla volta”.

Dalla lunga conversazione non potevano mancare la vicenda del Sant’Anna di Cona e la recente sentenza emessa dal Tribunale ferrarese: “Sono in politica da 25 anni, personalmente non votai la delibera con cui se ne approvò la nascita. Sono diventato sindaco nel 2009, quando il Sant’Anna di Ferrara era già chiuso – ha ricordato – Mi assumo invece la responsabilità politica di averlo fatto aprire e aggiungo che ha retto il terremoto. Quanto alla sentenza, prendo atto del lavoro della magistratura dal quale non risultano tangenti incassate”. Insieme al lascito Sant’Anna, ha precisato, c’è anche quello del debito di 170 milioni di euro trovato al suo arrivo e che entro il 2019, alla scadenza del secondo mandato, vuole dimezzare. “Vogliamo restituire ai cittadini 90 milioni di euro per dare ossigeno alla città e agli amministratori che verranno dopo di me”, ha spiegato. Un’intenzione legata ad un modo diverso di governare senza il quale si rischia di pagare pegno: “Ci sono città ancora governate con il vecchio sistema, i buchi finanziari diventano inevitabili e quei buchi, vengono pagati anche con i soldi dei ferraresi”.

Quella al sindaco Tiziano Tagliani è l’ultima delle tre interviste con i sindaci degli ultimi 31 anni, organizzate dal Think tank ferrarese “Pluralismo e dissenso”, presentate e moderate dallo storico esponente dei Radicali cittadini Mario Zamorani.

Leggi l’articolo di presentazione dell’iniziativa [vedi].

Barcellona-Ferrara, la “Rosa di fuoco” in dodici stanze e tanti sguardi

Ferrara-Barcellona: pronti, via! La mostra è partita. Sono arrivati tanti viaggiatori di spazio e tempo a scoprirla, la “Rosa di fuoco”, dedicata alla Barcellona di Picasso e Gaudì [vedi]. Per conoscere opere e significato dell’allestimento nel Palazzo dei Diamanti un centinaio di giornalisti e addetti ai lavori in visita nel fine settimana appena trascorso. Ecco un piccolo viaggio nei viaggi di chi l’ha guardata in anteprima.

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Ricostruzione del modello di Antoni Gaudì per il progetto della chiesa della Colonia Güell, a Palazzo dei Diamanti di Ferrara

Incantata dal mega-modello, costruito con corde e catene da Antoni Gaudì, è Eleonora Sole Travagli, gionalista e addetta stampa del Jazz club Ferrara. Eleonora si affaccia allo specchio che invade quasi tutto il salone d’apertura e guarda quello che il massimo esponente del Modernismo catalano ha architettato più di un secolo fa. Per costruire la chiesa della Colònia Güell, Gaudì si inventa questo sistema di funi ed elementi penzolanti. Uno stratagemma che dà forma a corpi organici e sinuosi, che poi – capovolti – diventano torri e guglie. Sono gli elementi costruttivi per la chiesa del villaggio realizzato, a una ventina di chilometri da Barcellona, per i lavoratori delle fabbriche del mecenate Eusebi Güell. Questa chiesa, mai terminata, ricorda nelle forme organiche l’immensa e variegata Sagrada Familia. “Un anticipatore incredibile – dice Eleonora ammirata – e con un espediente come questo dimostra il suo approccio così poco convenzionale alla progettazione”. In effetti la vista del modellino in metallo, appeso al soffitto e specchiato, vale già tutta la visita. Lo specchio mostra quello che Gaudì voleva vedere, la versione capovolta delle curve sinuose. All’epoca, il rovescio dell’immagine, lui, lo realizza nello schizzo a carboncino, appeso nella stessa stanza. Insieme, il disegno e il modello ricostruito ora dal Centro di applicazione informatica dell’Università della Catalogna, materializzano la forza innovativa della sua arte, avveniristica e fuori dagli schemi.

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Disegno di Antoni Gaudì a carboncino, acquerello e gouache su carta per la chiesa della Colonia Güell

A soddisfare Carlo Valentini, giornalista e inviato per la terza rete Rai dell’Emilia-Romagna, è soprattutto il tuffo che la mostra riesce a restituire tra le atmosfere artistiche che invadono tanti generi artistici, artigianali e sociali. “Gioielli, bozzetti, schizzi – dice – una stanza dopo l’altra riescono a farti entrare nello spirito di questo movimento artistico del secolo scorso”. E’ un po’ quello che fa notare la responsabile delle Gallerie civiche d’arte moderna e contemporanea, Maria Luisa Pacelli. Davanti alla giornalista di Telestense Dalia Bighinati, la direttrice di FerraraArte spiega che “con la rivoluzione industriale arriva la modernità e si porta dietro un’effervescenza creativa unica”. Un’altra telecamera riprende il curatore Tomàs Llorens, che nell’intervista raccolta dallo studio Esseci spiega come il modernismo catalano non sia uno stile, ma “una delle pagine più eclettiche della storia dell’arte di questa regione spagnola, fatta di apertura ai grandi movimenti culturali europei, assetata di sperimentazione e di desiderio di provare accostamenti anche contraddittori”. Sullo sfondo è appesa la “Ragazza in camicia”, opera-simbolo della mostra. E’ uno degli olii su tela di Pablo Picasso che si ferma ad ammirare Marco Sgarbi, attore, anima di Ferrara Teatro Off e direttore artistico del teatro comunale di Occhiobello, in visita con bebè in passeggino.

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Il curatore della mostra Tomàs Llorens intervistato dal service dello studio Esseci

Il direttore scientifico del Mar, il Museo d’arte di Ravenna, Claudio Spadoni passa gioioso dalle sale del palazzo a quelle più intime della home-gallery di Maria Livia Brunelli, pochi numeri civici più in là, dove si svolge – come ormai consueto – il vernissage parallelo alla grande mostra dei Diamanti: è “Deflagraciòn” con le opere delle artiste Elisa Leonini e Ketty Tagliatti, ispirate dalla “Rosa di fuoco” .

Tra i cataloghi del ricco book-shop alla fine del percorso espositivo c’è Giuseppe Sangiorgi, caporedattore della rivista “EconErre” dedicata all’economia dell’Emilia-Romagna, che tra libri e oggetti ripercorre le mostre e le visite precedenti insieme alla collega Gianna Padovani, che cura la comunicazione web di Unioncamere.

Incantati, alcuni visitatori riflettono sguardi e scatti fotografici sugli specchi ondulati che Gaudì ha modellato per Casa Milà, mentre – una stanza dopo – restano catturati dal luccichio dei gioielli artistici. Sono ciondoli e monili che usano oro e pietre preziose per rappresentare le meraviglie della natura. Giardino in miniatura, ad esempio, la “Spilla con libellula”, creata tra 1903 e 1906 da Lluìs Masriera, con l’insetto sullo sfondo di soffioni in smalto. Una visione che prende vita fuori dalle sale, nel prato del cortile di palazzo dei Diamanti, dove soffioni veri spuntano nell’erba. Una bambina li raccoglie; poi soffia sui frutti essiccati prodotti dai fiori e fa volare in aria quei semi-paracadute. Gli adulti, intanto, i fiori li mangiano, nella versione a panino del buffet accanto ai bouquet di altri fiori, veri, di ispirazione Liberty.

Fino al 19 luglio a Palazzo dei Diamanti di Ferrara, corso Ercole I d’Este 21, l’esposizione continua. Tra gioielli floreali di diamanti, fiori decorativi, rosette di pane e soffi ai soffioni.

[clic su un’immagine per ingrandirla e vederle tutte]

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Marco Sgarbi, direttore artistico teatrale, in visita sala alla mostra di Palazzo dei Diamanti
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Giuseppe Sangiorgi e Gianna Padovani di Unioncamere Emilia-Romagna
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Eleonora Sole Travagli e Carlo Valentini
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Ancora la pierre di Jazz club Ferrara e il giornalista Rai
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Visitatori sullo sfondo della mitica taverna “Els Quatre Gats”
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Il modello di Antoni Gaudì per la progettazione della chiesa della Colonia Güell
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Lo schizzo a carboncino di Gaudì per la chiesa della Colonia Güell
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Gli specchi creati dall’architetto catalano per Casa Milà
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Spilla con libellula di Lluis Masriera
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Soffio ai soffioni nel cortile di Palazzo dei Diamanti
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Rose vere e di pane per il buffet dela mostra “La rosa di fuoco”
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La guardarobiera del palazzo, Germana Aguiari

Alla Festa del libro ebraico è tempo di kasherut: la cultura dalla parte dei fornelli

Dal 25 al 28 aprile torna a Ferrara la Festa del libro ebraico, un’occasione per conoscere più da vicino la storia e la cultura dei nostri concittadini ebrei, una minoranza legata da una relazione antichissima e indissolubile con il resto della popolazione italiana.
Non esiste modo migliore di conoscere una cultura se non attraverso la sua tradizione culinaria: ecco allora che, nell’anno in cui Expo affronta il tema di come nutrire il pianeta negli anni a venire, uno dei temi principali della Festa – giunta alla sua sesta edizione – è l’alimentazione ebraica, indagata sia dal punto di vista delle norma religiosa, la cosiddetta kasherut, sia dal punto di vista dei sapori e dei profumi, tanto vari quanti sono le diverse comunità ebraiche nel nostro paese.

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Kosher a Roma, festival della cultura e dell’enogastronomia giudaico-romanesca

Nell’ebraismo tutti gli aspetti della vita quotidiana dei singoli e della comunità sono scanditi dai precetti (mitzvot) della Torah (il Pentateuco): qui il termine kasher indica ciò che è buono, opportuno, adatto e con il tempo il suo significato si è esteso al cibo permesso. Nell’immaginario comune la proibizione più nota è quella di consumare la carne di maiale, ma in realtà la kasherut è un sistema più ampio che regola anche le modalità di preparazione dei cibi. La disciplina è particolarmente elaborata per i cibi di origine animale: fra i mammiferi sono permessi quelli che hanno lo zoccolo diviso e sono ruminanti, mentre gli animali acquatici devono avere pinne e squame, molluschi, crostacei e frutti di mare di tutti i tipi sono perciò proibiti; fra gli uccelli sono proibiti i rapaci perché si nutrono di carne e soprattutto di sangue. Cibarsi di sangue è, infatti, un divieto assoluto perché viene identificato simbolicamente con la vita: ecco perché la macellazione rituale, che deve uccidere l’animale il più velocemente possibile e causandogli il minimo di dolore, prevede anche una serie di procedimenti per eliminare dalla carne anche le più piccole tracce di sangue. Una delle regole più complesse da osservare nella pratica è la netta separazione fra carne e latticini, perché implica in ogni cucina la presenza di due tipi di attrezzature complete, dalle stoviglie ai piatti, alle posate. Ci sono poi anche prescrizioni specifiche per alcuni momenti particolari, come shabbat, il riposo del sabato, e Pesach, la Pasqua ebraica appena trascorsa. Durante shabbat era proibito accendere un fuoco anche per cucinare, quindi oggi non si può accendere il gas o la corrente elettrica: diventa così impossibile usare un forno, anche a microonde, come aprire e chiudere un frigorifero. Per Pesach, invece, non si può usare lievito: tutto ciò che viene usato per l’alimentazione durante la Pasqua deve essere rigorosamente riservato a quel periodo per evitare che abbia contenuto o toccato lievito durante il resto dell’anno. Tutto ciò in ricordo del momento in cui fu annunciata agli Ebrei schiavi in Egitto la fuga imminente, quando non ebbero il tempo di fare lievitare il pane.

Ci si può chiedere quale sia il significato di regole e prescrizioni così elaborate e minuziose: è una domanda che molti si sono posti anche all’interno dell’ebraismo stesso. Come scrive il rabbino capo della comunità ebraica di Ferrara Luciano Caro: “La vita dell’ebreo è impostata sulla necessità di operare continuamente una scelta tesa a valutare ogni atto e di conseguenza a ricercare costantemente il ruolo dell’essere umano nel suo rapporto con i suoi simili e con la natura” (Luciano Caro, “La Kasherut. Le norme alimentari ebraiche. Considerazioni introduttive”, p. 12).
Oggi però, con la produzione alimentare di massa, l’uso frequente di conservanti e coloranti di origine sintetica o chimica e l’utilizzo di additivi o esaltatori di sapore, la necessità di conoscere a fondo da dove proviene e come è stato preparato il cibo che si consuma, può essere considerato un grosso vantaggio. Non è dunque un caso che, secondo quanto affermato da Jacqueline Fellusconsigliere Ucei Unione delle comunità ebraiche italiane – negli Stati uniti questi prodotti sono considerati, alla stregua di quelli biologici, sinonimo di qualità. “Si calcola che nei supermercati girino il 30% più velocemente di quelli tradizionali”.

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Jacqueline Fellus al KosherFest
La chef Laura Ravaioli del Gambero Rosso
La chef Laura Ravaioli del Gambero Rosso

La Festa del libro ebraico di Ferrara sarà perciò anche l’occasione per presentare il marchio di certificazione “K.it”, dove K sta per kasher, e Jacqueline Fellus il 28 aprile parteciperà insieme alla chef di Gambero Rosso channel Laura Ravaioli alla presentazione del libroLa dieta kasher. Storia, regole e benefici dell’alimentazione ebraica”, curato da Rossella Tercatin ed edito da Giuntina. Lo stesso giorno si terrà poi l’incontro “A tavola con i patriarchi. Cibo e rito nella tradizione ebraica” con il rabbino Luciano Caro. Ma i sapori e i profumi della cucina ebraica, in cui si mescolano le pietanze dei luoghi di provenienza e di arrivo di questo popolo errante, saranno protagonisti anche di laboratori per bambini e della serataGan Eden Restaurant. Seimila anni di gioie e dolori nella cucina tradizionale ebraica”.

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Il logo della Festa del libro ebraico di Ferrara

La storia e la cultura dell’ebraismo italiano verranno poi raccontati attraverso la musica e naturalmente attraverso i libri, i veri protagonisti della Festa. Fra gli ospiti quest’anno l’appuntamento ferrarese può vantare addirittura un Premio Nobel: Patrick Modiano, Nobel per la letteratura 2014, che il 26 aprile riceverà il “Premio di cultura ebraica Pardes” insieme allo scrittore Samuel Modiano, sopravvissuto al campo di sterminio di Auschwitz, e alla storica Anna Foa. In occasione della kermesse sono anche previste aperture straordinarie della mostraTorah fonte di vita. La collezione del Museo della Comunità Ebraica di Ferrara”, ospitata nei locali del Meis, e visite guidate al cantiere del futuro Museo dell’Ebraismo Italiano e della Shoah.
Come è ormai tradizione, sabato 25 aprile il compito di inaugurare la Festa è affidato alla “Notte bianca ebraica d’Italia”, che inizierà alle 21 al Chiostro di San Paolo, e che nel settantesimo della Liberazione non poteva che essere un “Omaggio alla libertà”. Chi prenderà parte alla passeggiata riceverà un fiore nontiscordardime che potrà lasciare in uno dei luoghi della memoria lungo l’itinerario, giunti poi al termine del percorso i partecipanti riceveranno un altro fiore: questa volta una piccola spilla che rimarrà loro come ricordo della Festa del Libro Ebraico.

Festa del Libro Ebraico in Italia, Ferrara 25-28 aprile, per il programma completo e gli aggiornamenti in tempo reale [vedi].

Se il muro è pubblicità progresso

Chi ha viaggiato in Africa o conosce abbastanza bene i paesi africani, soprattutto quelli della zona sub-sahariana, avrà notato sicuramente che i manifesti pubblicitari (di prodotti o iniziative) non sono quelli tradizionali, fatti di carta stampata, ma sono dipinti sui muri stessi. I disegni danno vita a muri e pareti a volte dimenticati o abbandonati, facendoli uscire da anonimato, insignificanza e invisibilità. Quasi miracolosamente. Pubblicità viene da pubblico, da collettivo e familiare. Nulla di più naturale, quindi, del fatto che, se si vuole far conoscere qualcosa o qualcuno, o mandare un messaggio chiaro, immediato e diretto a tutti, il muro sia la vera pelle. Il contatto con l’epidermide è, infatti, il primo, la porta di accesso all’anima.

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Esempi di ‘ghost signs’ del mondo anglosassone
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Pubblicità scolorite degli anno Cinquanta

D’altra parte, se andiamo indietro negli anni, e precisamente a fine ‘800 inizi ‘900, le pubblicità si dipingevano direttamente sui muri delle città, sulle facciate delle case, nei centri industriali. E spesso sono ancora alcuni questi messaggi, i ‘ghost signs’ (letteralmente segni dei fantasmi), che oggi ancora campeggiano, scoloriti e dimenticati, sui muri del mondo. Molti di essi erano realizzati direttamente sui mattoni, nella parte alta degli edifici, chi li dipingeva si aiutava con le mascherine per tracciare linee diritte. Se ne rintracciano begli esempi soprattutto in Gran Bretagna e in Irlanda, in quantità minore anche in Francia, Belgio e Stati uniti. In questi casi si tratta di pitture del passato, ma in Messico, in India o in alcune zone dell’Africa, dove la comunicazione pubblicitaria o il messaggio sociale si basano ancora sulla pittura murale (perché l’occhio vuole la sua parte), è possibile trovare segni nuovi e aggiornati di questi curiosi manifesti. Il metodo di dipingere sui muri era sicuramente scomparso perché, dal 1950 in poi, l’economia aveva subito un grande incremento: la produzione cresceva sempre di più, le tipologie dei prodotti si moltiplicavano a dismisura e le pubblicità avevano bisogno di rinnovarsi velocemente e di continuo. Per questo, la pittura sul muro diveniva sempre più obsoleta e fu sostituita, in breve tempo, dai manifesti pubblicitari di dimensioni variabili e intercambiabili, che assicuravano un potere divulgativo più alto e la possibilità di modificare continuamente l’aspetto estetico del messaggio. Ecco perché è abbastanza raro trovare disegni dipinti a mano dopo gli anni Cinquanta. Ma se anche in Europa alcuni artisti stanno sperimentando nuovamente questa tecnica, in Africa la pubblicità non è in televisione o sui giornali (spesso scarsamente rappresentati o, comunque, di dimensioni modeste), ma ha occupato grandi spazi e grandi città. Qui, dove il tempo scorre lento, i ritmi sono diversi e il commercio tradizionale spesso sostituito a quello moderno e vorticoso, si trovano ancora disegni di bevande zuccherine e colorate o di utili e agili pneumatici, sui muri scalcinati. La pubblicità non ha bisogno di cambiare spesso, le esigenze sono sempre le stesse. I messaggi sociali, poi, da quelli relativi alla prevenzione sull’Aids fino a quelli sulla necessità di mantenere la città pulita, sono eterni. Dal Mali al Congo al Gabon, fino al Nord Africa (anche se meno), i muri parlano. Una sola voce, una sola lingua, un solo messaggio. Estesi panorami colorati vengono interrotti da colori altrettanto sgargianti. Adulti e bambini si fermano ad ammirarli, rapiti.

Libreville, Gabon, pulire e mantenere pulita la città. Clicca le immagini per ingrandirle.

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A Libreville, ad esempio, sono rimasta incantata dalla sfilata di disegni, sui muri del centro cittadino, a un incrocio trafficato non lontano dal Ministero dell’ambiente, messi lì con l’obiettivo di sensibilizzare giovani e meno giovani alla gestione della spazzatura e all’importanza di avere una città pulita. Colorati, ammiccanti e simpatici personaggi invitano a non gettare i rifiuti per strada. I bambini (ma non solo) ne restano sicuramente affascinati e colpiti. Un modo intelligente di attirare l‘attenzione. Noi siamo più veloci, forse, e spesso molto disattenti anche per questo, ma qui bei disegni educativi potrebbero stare davvero molto bene anche in alcune delle nostre strade…

Fotografie di Libreville di Simonetta Sandri.