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Il corpo racconta: a villa Mensa yoga e prove di recitazione nello spazio mistico della tenda

“Il Teatro rappresenta sul palco l’essenza dell’uomo, riflette ciascuno nei personaggi. Ed è proprio questo l’spetto più faticoso del Teatro che va amato e non capito.” Gabriele Lavia

Ricetta: Tenda Summer School. Ingredienti: una tenda di medie dimensioni, un giardino di un edificio rinascimentale nel ferrarese, un sogno di fare l’attore, tre bravi insegnanti, sé stessi, fantasia e creatività q.b. Preparazione: mescolate il tutto delicatamente, ma con energia, e il gioco è fatto.

E’ una ricetta semplice, ma particolarmente deliziosa, quella che ha preparato per noi Foné Scuola di Teatro, in collaborazione con la Escuela de Artes Escènica di Santiago di Compostela e la compagnia scozzese Teatro Replico: la Tenda Summer School. A parte il percorso in sé e il tema, molto stimolanti e interessanti per i giovani fra i 14 e i 22 anni (perché a loro è indirizzata questa scuola estiva), quello che mi ha maggiormente incuriosito è l’uso della tenda e il ricorso allo yoga.
La simbologia della tenda è varia e complessa, non vogliamo farne una storia, che lo sarebbe già di per sé, ma solo ricordarne alcuni riferimenti alle pagine evangeliche, alla tradizione degli scout, al suo ruolo nella cultura nomade mongola della steppa o nella vita quotidiana e avventurosa degli indiani d’America, per citarne alcuni. Gli studiosi del Vangelo ritengono che la tenda possa essere il simbolo dell’avventuroso rapporto tra Dio e l’umanità. Stabile e fragile insieme. Percepibile e no, oggi qui e domani là, misterioso sempre. Se, invece, ci soffermiamo a riflettere sulla tenda nel mondo scout, eccoci davanti al simbolo di una vita all’aperto, a contatto con la natura. Anche qui i gruppi scout spesso richiamano la Bibbia, se ci si ricorda della tenda e della vita all’aperto è più spontaneo pensare che tutte le nostre doti non ci appartengono ma che vanno messe al servizio degli altri. Allo stesso tempo, la tenda rappresenta la libertà, le prime notti passate fuori casa, nelle vacanze con gli amici del gruppo, il contatto puro e vero con la natura, una prova di coraggio e, magari, di critica alla società consumistica. Nella tenda si può anche essere soli con sé stessi, a contatto solo con il nostro io. In momenti preziosi di silenzio. La leggerezza di questo abitare temporaneo, efficiente, economico e facilmente trasportabile, era stata voluta e percepita da molti popoli, a partire dai nomadi della steppa del condottiero e sovrano mongolo Gengis Khan (1162-1227), fino ad arrivare agli indiani d’America nel XV secolo, che vivevano in tende chiamate “tepee” (da “te”, abitare e “pee”, usata per) fatte di pelle di bisonte conciate e dalla forma circolare. La storia sarebbe lunga (tutti da bambini abbiamo avuto una tenda colorata, soprattutto indiana) e, per rimanere alla nostra ricetta iniziale (e non portarvi troppo lontano solo con la tenda), abbiamo parlato con (il poliedrico e creativo) Massimo Malucelli, presidente di Foné Scuola Teatro e del Centro di Preformazione Attoriale, per soddisfare alcune nostre curiosità. Subito gli abbiamo chiesto come è nata l’idea della Tenda Summer School (4-8 agosto 2015) e perché si è voluto fare riferimento (e uso) proprio alla tenda.
L’idea, ci ha detto, nasce per dare continuità estiva all’attività del Centro di preformazione attoriale (www.centropreformazioneattoriale.it) che ha suscitato grande entusiasmo nei ragazzi, i quali hanno richiesto di poter fare analoga esperienza durante il periodo estivo. La scuola (sette ore al giorno per 5 giorni) vuole fornire grammatiche, tecniche e approfondimenti della didattica per la scena e strumenti pre-professionalizzanti e orientativi, allenare o ‘liberare’ le proprie capacità espressive e soprattutto fare un’esperienza creativa che prepari ad affrontare la dimensione del palcoscenico. E’, dunque, pensata per offrire ai ragazzi il giusto mix tra studio e divertimento. Gli allievi avranno infatti la possibilità di lavorare con un team di docenti internazionale e contemporaneamente di svagarsi approfittando dello spazio-ricreativo e rilassante, che favorisce la condivisione e la socializzazione fra i protagonisti dell’esperienza. Perché la tenda? La tenda ha un fascino straordinario e permette di condividere con i propri compagni di corso le emozioni e le scoperte fatte durante le giornate di studio. In questo modo, si entra in una dimensione di totale immersione e magia dell’esperienza che si sta vivendo, una condivisione che passa per il contatto umano diretto, lontano, per una volta e per un periodo, dalla dimensione di condivisione spesso forzata dei social network. Ci sono poi tende e tende…

Vista la sua dimensione internazionale, il corso sarà tenuto in inglese? E come è caduta la scelta sulla splendida location rinascimentale di Villa Mensa?

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Villa Mensa, delizia estense nella campagna ferrarese.

Il corso sarà tenuto in italiano, con traduzioni in inglese e spagnolo, quando necessario.
La location ci è stata proposta e l’abbiamo accettata volentieri. Come hai detto tu stessa, è bellissima, in effetti, lo scenario è davvero unico: Villa Mensa, delizia estense, campagna ferrarese, nel comune di Copparo. Edificio rinascimentale voluto nel 1480 dai Della Rovere e costruita nel 1480 dal vescovo Bartolomeo della Rovere, diventa residenza di villeggiatura vescovile dell’epoca. Ospitò Tommaso Ruffo e Ippolito d’Este. La Villa è ubicata sulla sinistra del Po di Volano, vicino a Sabbioncello, in località San Vittore, piccola frazione a otto chilometri da Copparo, sulla strada verso Formignana. E’ un complesso monumentale di grande importanza, dove soggiornarono i vescovi di Ferrara fino al tempo delle soppressioni napoleoniche (1797). La grande villa fu fatta costruire da Bartolomeo della Rovere, nipote di papa Sisto IV e fratello di papa Giulio II, tra il 1474 ed il 1495.

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Villa Mensa si trova a Sabbioncello San Vittore, Copparo.

La facciata, rivolta ad occidente, si prolunga con due muraglie merlate che immettono nei cortili di servizio ai lati della villa; la muraglia verso la strada termina con una piccola cappella. Dal portone centrale ci si immette in un cortile nel quale si prospetta il porticato di sei archi, con colonne e capitelli; sul lato sinistro si eleva la torre di scolta, destinata a colombaia alla fine del XIX secolo. Da vedere). Le tende egli alunni saranno adagiate nel giardino interno, a guardare il cielo, la luna e l’antico loggiato.

“Dalla commedia dell’arte alla comicità contemporanea”, questo il titolo del corso, come mai questa scelta?

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L’attore nel suo teatro

Il tema è un mio pallino. Sto partendo, infatti, per l’Università di Vigo, in Spagna, per tenere una conferenza-spettacolo e un master sul tema. Qui presenterò vari esempi di personaggi tradizionali che, legati al cinema, alla commedia e alla televisione di oggi, sono figli della commedia dell’arte. Penso a Charlot, Totò o Peter Sellers, versione moderna di Pantalone e di altri personaggi della commedia dell’arte, archetipi fondativi della nostra possibilità di raccontare storie. Credo che la comicità, e in generale il grande spettacolo, cinema compreso, si fondi su archetipi universali che affondano le radici nella commedia dell’arte. Ricordo che la commedia dell’arte è nata in Italia, nel XVI secolo. Si trattava di una diversa modalità di rappresentazione teatrale, non di un genere, si basava su canovacci o scenari, ed era tenuta, inizialmente all’aperto, con pochi oggetti a scenografia. Si parlava spesso anche di “commedia improvvisa” o “a braccio”. La definizione di commedia dell’arte si ritrova, però, per la prima volta, nel 1750, nella commedia “Il teatro comico” di Goldoni. Partire dalle radici di quella che era conosciuta, all’estero, come “commedia italiana”, e studiare quegli archetipi significa affondare in un terreno ricco di stimoli e di potenzialità per le creazioni contemporanee e dar vita a personaggi attuali forti e profondi. Dovendo tenere il corso a una facoltà di lettere, tradizionalmente più legata alla teoria di quanto non lo sia ovviamente io, partirò dal canovaccio inteso come la struttura in cui si muove il personaggio e che porta avanti la storia. Il filo conduttore. Ho dovuto proporre un compromesso. Per me resta fondamentale far comprendere come ogni personaggio rappresenti una condizione umana con il suo terrore della fine (della morte), e come il comico ribalti questo in vitalità… Ciò che davvero importa è che la commedia non scada a fenomeno di tipo folcloristico o che corrompa in una versione che non corrisponda alla sua natura originaria. La commedia è immaginazione che si fa concreta. Il corpo è la dimensione interconnessa con il pensiero, non si può prescindere da questo legame indissolubile, una distinzione che in realtà non esiste. E’ difficile perché siamo tutti mentali, molto testa e ragione.

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L’attore Massimo Malucelli e Villa Mensa, luogo in cui si svolge la Tenda Summer School

Quando l’attore entra in scena, spesso basta un gesto per definirlo nel suo intero, attraverso il corpo si manifestano i prodotti della fantasia. Il corpo deve diventare qualcosa di più di un semplice strumento meccanico, mai si deve dividere tra anima e corpo. Vale la pena riprendere un concetto del regista e teorico del teatro russo, Kostantin Stanislavkskij, quello del “come se io fossi”. Sebbene Stanislavkskij fosse il teorico del metodo e del rigore (per questo mi si potrebbe prendere per un “eretico” nel fare un accostamento tanto azzardato), con poco spazio lasciato alla recitazione istintiva, il suo ruolo lasciato all’immaginazione, a una fantasia attiva e allenata e alla domanda che l’attore si deve fare “se io fossi in quella situazione”, sono un reale e importante insegnamento. Perché la libertà intellettuale creativa è nel mezzo, nel grigio. Sono grande partigiano, quindi, avrai capito, dell’unione fra le cartesiane res cogitans e res extensa. Galimberti diceva che il sorriso non è solo un insieme di muscoli, conta l’intenzione al sorriso. In questa senso la connessione fra attori e yoga. Anche quando scrivo ho sempre bisogno di visualizzare la situazione, devo vedere la scena. La Vita è fatta di eccezioni e di fluidità e il fantastico non ha limiti purché sia fisico.

Ci piacerebbe saperne qualcosa di più sul gruppo di docenti, ci incuriosisce la portata internazionale…

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Escuela de Artes Escènica di Santiago di Compostela

A parte me, presidente di Foné e del Centro preformazione attoriale e insegnante internazionale di commedia dell’arte (aggiungerei laureato in filosofia con tesi sul canovaccio nella commedia dell’arte, sceneggiatore, autore teatrale, regista, attore e direttore artistico), vi saranno Marcos Grande Pazos, docente spagnolo e direttore artistico dell’Escuela de Artes Escènicas Pabulo di Santiago de Compostela [vedi] e Joe Gallagher, specialista di teatro shakespeariano, direttore della compagnia scozzese Teatro Replico [vedi].

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Teatro Replico, compagnia scozzese

Marcos insegna “espressione corporale” e cerca di far apprendere agli allievi come incarnare un personaggio, come mettersi nella sua pelle, come crearlo, capirlo, essere lui. A partire dalla sua maniera di muoversi, fino al suo pensiero e al suo carattere. Il corpo è lo strumento di lavoro dell’attore, bisogna allora conoscerlo, esplorarlo, capirlo, guidarlo, modellarlo, dominarlo nel suo movimento, nella sua capacità espressiva. Perché il corpo comunica, ognuno in maniera diversa (non c’è un modello universale), ognuno con il suo, ciascuno con specificità e espressività differente.
Joe ha una vasta esperienza come attore classico, avendo lavorato con molti di primi attori e registi scozzesi. Con Teatro Replico ha prodotto presentazioni e risorse online di qualità, volte a sostenere lo studio del dramma inglese nelle scuole e nei college. E’ laureato all’University College London e ha oltre 25 anni di esperienza in teatro, tv e radio.

Molto interessante l’inizio del programma con alcune ore di yoga. Essendo yogi convinta (anche se da poco) mi piacerebbe capire perché, quale il legame…
Noi raccontiamo storie con il corpo. Tutto ciò che aiuta a percepirci come potenziale espressivo, capace di far vivere, concretamente, l’immaginario che si contrappone al nostro comune concetto di corpo versus anima (tipico del nostro Occidente dissociato), aiuta la nostra arte. Anzi, le fornisce proprio il “materiale creativo”. Ben vengano dunque yoga, Tai Chi, danza. Il ritmo è quello che conta. Gli storici delle religioni pensano poi che il termine yoga derivi dalla radice “yuj-“, unire. Ci siamo già spiegati…

Avete adesioni ad oggi e da dove? E come sta reagendo Ferrara, all’esperienza della scuola in generale?
Oltre ai nostri allievi, abbiamo già varie adesioni dall’Italia, dalla Spagna e dall’Inghilterra.
Ferrara sta reagendo molto bene, abbiamo il pieno supporto delle istituzioni a partire dal Comune. Anche la cittadinanza è partecipe; quest’anno abbiamo 22 allievi giovani per un totale di 40. Ammetto che il passaparola sta funzionando bene, il pubblico ci sta conoscendo sempre di più, anche grazie al ruolo di un mio ex allievo, oggi collaboratore, Stefano Muroni, che dalle mie aule è partito con il sogno di diventare come Benigni e che sta facendo una brillante carriera. Stefano, con il quale ho portato avanti questo progetto, ha sempre riconosciuto l’importanza dell’improvvisazione che ha sviluppato studiando con me. Brillante allievo del Centro sperimentale di cinematografia di Roma, mi ha “convinto”, dicendomi, di fronte al mio tentennamento iniziale dovuto ai tempi attuali di crisi, che questa scuola serve proprio a evitare quello che questa crisi ha portato, l’impedimento sognare. A questi giovani bisogna ridare la possibilità di farlo, con la consapevolezza che può non andare bene ma che si può e ci si deve provare. I giovani ferraresi stanno comprendendo questo messaggio, e con la scuola stanno già avendo molte opportunità: chi parte per lo stage di Marcos Grande Pazos, spesato dalla scuola stessa, e chi farà parte della giuria del Giffoni Film festival. Altri hanno già avuto esperienza con Telestense.
I giovani partecipanti alla summer school, invece, per tornare a essa, potranno produrre scene originali che saranno filmate e consegnate su Ddv, il che sarà per loro anche un buon curriculum, una sorta di provino, un capitale utile a proporsi in seguito. Le cinque migliori saranno subito presentate da Telestense, una buona occasione per vedersi e rivedersi. Una riconoscibilità mediatica che possa portare materiale da spendere in audizioni, provini, pagine web e presso compagnie e altri circuiti televisivi. Un buon inizio. Per parte nostra, solo un augurio sincero, allora: buon sogno!

I corsi inizieranno il 4 agosto e si concluderanno, con le riprese finali, l’8 agosto. Dureranno 5 giorni con il seguente orario: dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19 L’ultimo giorno sarà organizzata una serata di festa e spettacolo, con la presentazione dei personaggi creati, in forma di “work in progress” . In alcune delle altre sere vi sarà la proiezione di film inerenti il lavoro svolto e sulla dimensione della comicità (La Commedia dell’Arte nel cinema italiano e nella comicità contemporanea). Iscrizioni entro il 30 Maggio.

Foné Scuola di Teatro e il Centro di preformazione teatrale sostengono la campagna di crowdfunding “Una redazione condivisa per Ferraraitalia” [vedi], partecipa anche tu! Vedi la clip di Massimo Malucelli girata da Luca Pasqualini per il crowdfunding di Ferraraitalia cliccando qui.

Per maggiori informazioni sulla Tenda Summer School, visita il sito del Centro di preformazione teatrale [vedi] e la pagina Facebook [vedi].

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Il teatro dell’inclusione. A Ponte performance, incontri e spettacoli comunitari

Carceri, ospedali psichiatrici, scuole, strutture terapeutiche: luoghi non convenzionali di messa in scena. Sono passati ormai quasi quarant’anni da quel 1976, quando il Teatro Nucleo – allora Comuna Nucleo – è arrivato in Italia da Buenos Aires, costretto all’esilio dal golpe di Videla. Fondato nel 1974 da Horacio Czertok e Cora Herrendorf, nel 1978 il Teatro Nucleo si stabilisce definitivamente a Ferrara, chiamato dallo psichiatra basagliano Antonio Slavich per collaborare nel processo di chiusura dell’ex-ospedale psichiatrico della città, che diviene anche la sua prima sede. Alla base dell’attività del Nucleo c’è la concezione del teatro non come puro intrattenimento, ma come portatore di un’etica sociale, come momento di profonda condivisione di un’esperienza fra attori e spettatori. E se, come fa il Teatro Nucleo, al centro si pone il rapporto con l’essere umano in quanto tale, il teatro diventa un potente strumento di inclusione e trasformazione sociale. È con questo spirito che negli anni sono nati spettacoli per gli spazi aperti e i tanti progetti di teatro in carcere, nelle scuole, nelle strutture terapeutiche e nelle istituzioni legate al lavoro sulla salute mentale e all’integrazione sociale. Il progetto Teatro Carcere, nel quale Horacio Czertok lavora con alcuni detenuti della Casa circondariale di Ferrara, insignito nel 2012 con la medaglia premio di rappresentanza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il progetto Arte e salute mentale con pazienti psichiatrici del Dipartimento salute mentale di Ferrara e la Scuola di formazione per operatori teatrali nel sociale, diretta da Cora Herrendorf, sono solo alcuni esempi.
Nel 1981, dopo un seminario con Horacio Czertok e Cora Herrendorf, entra a far parte del Teatro Nucleo anche Antonio Tassinari, che ne diventa da subito elemento fondamentale. È lui a ideare e coordinare il Teatro Comunitario di Pontelagoscuro, un’esperienza nata anche dai legami mai del tutto recisi del Teatro Nucleo con l’Argentina. È qui che il teatro comunitario nasce negli anni Ottanta, forma teatrale della e per la comunità, basata sull’integrazione intergenerazionale e su un’idea di recupero della memoria collettiva, non la storia scritta sui libri, ma la narrazione costituita dai ricordi delle persone che la comunità la costituiscono e la vivono.
Nel frattempo il Teatro Nucleo diventa organismo stabile riconosciuto dalla Regione Emilia Romagna e, nel 2003, riceve dal Comune di Ferrara una nuova sede a Pontelagoscuro, due anni dopo intitolata allo scrittore Julio Cortázar, in onore delle proprie radici argentine.

Teatro Nucleo, 'Quijote!', con Horacio Czertok e Antonio Tassinari.
Teatro Nucleo, ‘Quijote!’, con Horacio Czertok e Antonio Tassinari.

Guardando indietro, a tutto ciò che ha costruito in questi quarant’anni, la cooperativa Teatro Nucleo ha pensato di festeggiare questo suo quarantesimo compleanno e di cogliere l’occasione per rendere omaggio alla memoria di Antonio Tassinari, scomparso un anno fa lasciando un grande vuoto nel mondo culturale e teatrale ferrarese e non solo. Così è nata “La Primavera del Teatro”, che arriverà al Teatro Julio Cortàzar a Pontelagoscuro da domani 22 maggio al 7 giugno 2015. Un assaggio lo si potrà avere già stasera alle 18 a Ferrara Off Teatro con la presentazione in anteprima di due volumi: “Pasado y presente de un mundo posible. Adhemar Bianchi y Ricardo Talento: del teatro independiente al comunitario”, a cura di Mónica Berman, Ana Durán e Sonia Jaroslavsky (edizioni Leviatan) e “Un’avventura utopica. Teatro e trasformazione nell’esperienza del Gruppo Teatro Comunitario di Pontelagoscuro”, a cura di Greta Marzano ed Erica Guzzo (edito da Titivillus).

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‘Los Calandracas’, Circuito Cultural Barracas

Dal 22 al 31 maggio il Teatro Julio Cortázar ospiterà “L’Eredità Vivente”, progetto di formazione artistica e culturale con gruppi di spicco della scena teatrale internazionale, che in questi anni hanno intrecciato le proprie vicende e la propria ricerca con quelle del Nucleo.
Dall’Argentina saranno a Ferrara Ricardo Talento e Ana Serralta, esponenti del Circuito Cultural Barracas e del Gruppo di Teatro Catalinas Sur, due realtà con sede a Buenos Aires legate all’impegno nel Teatro comunitario.

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Teatr Osmego Dnia
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Cathy Marchand

Dalla Polonia arriverà Teatr Osmego Dnia: fondato nel 1964 da un gruppo di studenti universitari della città di Poznan, con la proclamazione dello stato di assedio e la legge marziale, la sua attività viene pesantemente compromessa e una parte del gruppo nel 1985 deve emigrare, facendo tappa a Ferrara, dove viene accolto dal Teatro Nucleo. Infine in rappresentanza del Living Theatre, l’attrice Cathy Marchand, allieva dei maestri fondatori Judith Malina e Julian Beck. “Presupposto del progetto, da cui il titolo – afferma Horacio Czertok, presidente di Teatro Nucleo – è che l’eredità umana e artistica dei Maestri non possa essere sostituita dallo studio in differita sui libri di testo o altri materiali tramandati. L’unico vero spazio in cui si può ricevere un’eredità artistica, umana e spirituale come quella di cui sono portatori i gruppi invitati, è quello dell’esperienza condivisa, dell’incontro e della relazione tra allievi e Maestri”.

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Teatro Catalinas Sur

Fra gli eventi aperti al pubblico al Teatro Cortàzar si segnalano: il 26 maggio alle 20:30, in anteprima nazionale, “I Dossier”, nato dalla scoperta da parte degli attori e delle attrici della compagnia Teatr Osmego Dnia, dei loro fascicoli personali redatti dalla polizia segreta tra il 1975 e il 1983, durante il regime totalitario in Polonia (ingresso a offerta libera); il 28 maggio alle 16:00 l’incontro aperto al pubblico con i maestri de “L’Eredità Vivente”, seguito dalla presentazione di “Living Theatre nelle immagini di Marco Caselli Nirmal 1977-2013”; infine il 29 maggio alle ore 21:00 il “Tributo a Judith Malina”, video e testimonianze della maestra Cathy Marchand (Living Theatre).

Dal 5 al 7 giugno toccherà poi al Totem Arti Festival animare il Teatro Julio Cortazar e il parco Tito Salomoni, luogo della memoria della Pontelagoscuro prima dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Giunto alla sua terza edizione conserva intatta la volontà di creare uno spazio di condivisione e partecipazione, per coinvolgere la comunità e i giovani avvicinandoli alla fruizione di sperimentazioni artistiche e culturali. L’inaugurazione sarà venerdì 5 alle 18:30 con aperitivo e performance nel parco: la Compagnia Iris presenterà “Segni particolari: un segno sul cuore”, l’esito del laboratorio condiviso sulla performance contemporanea, condotto in collaborazione con Alice Bariselli e A/M Project, Natasha Czertok con Greta Marzano e fannybullock. Si proseguirà alle 21 con la danza della Compagnia Simona Bertozzi/Nexus che presenta “Bird’s Eyes View”.
Sabato 6 giugno alle 21 la danza lascerà spazio alla prosa per uno spettacolo che, con profonda ironia e cinica leggerezza, affronta il dramma del futuro negato: “Mio figlio era come un padre per me” dei Fratelli Dalla Via, vincitore del Premio Scenario 2013.

Foto del Totem Arti Festival edizione 2014. Clicca sulle immagini per ingrandirle.
Foto di Daniele Monatovani.

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Domenica 7 alle 17 Irene Guerrini terrà una lezione gratuita della disciplina circense del tessuto aereo, per tutti coloro che al circo non possono fare a meno di rimanere con il naso all’insù, affascinati da quelle figure che sembrano fluttuare nell’aria. Alle 18.30, direttamente dal Freak’s Puppet Circus delle Officine Duende, nel Parco Tito Salomoni verrà esibito, come nelle fiere d’altri tempi, il “fenomeno” delle sorelle siamesi: un unico corpo con due cuori separati o due corpi uniti da un amore unico e indissolubile? A chiudere il Totem Arti Festival sarà alle 21 “Memorie dal reparto n°6 di Teatro Nucleo/Sfumature in atto, liberamente tratto dal racconto di Anton Checov.
Da venerdì a domenica il parco Tito Salomoni si riempirà di musica: dalle 19 alle 21 con Radio Strike, le sue selezioni musicali e le sue interviste agli artisti. Inoltre venerdì 5 dalle 22 nel parco si esibiranno i Jessica Hyde, mentre sabato 6 dalle 22.30 toccherà a Voodoo Sound Club.

Link correlati:
Programma L’Eredità Vivente [vedi].
Programma Totem Festival [vedi].

Primi mattoni per la coop di Ferraraitalia. E al festival di Altroconsumo si potrà aderire al crowdfunding

Un solido futuro per Ferraraitalia e un’opportunità di lavoro per alcuni giovani collaboratori che con passione si sono impegnati in questi mesi nello sviluppo del progetto. Lunedì 11 maggio è iniziata l’avventura di “Una redazione condivisa per Ferraraitalia”, la campagna di crowdfunding lanciata con l’obiettivo di favorire il passaggio dalla fase del puro volontariato a quella dell’impresa, che vede nella nascita di una cooperativa una concreta opportunità occupazionale. E’ un passo importante quello che ci accingiamo a compiere, ben ponderato. Un passo, però, che necessità del contributo della nostra comunità di lettori ai quali abbiamo rivolto l’invito ad accompagnarci in questo cammino.

Dopo poche ore dall’avvio della campagna, ecco già i primi sostenitori. I contributi sono affluiti regolarmente e in appena dieci giorni di raccolta abbiamo raggiunto la ragguardevole quota di finanziamento di 1.360 euro pari al 27% del budget previsto, grazie allo slancio di 40 sostenitori.

La durata inizialmente prevista per la campagna è di 90 giorni, 80 sono quelli residui, si potrà dunque concorrere al consolidamento di Ferraraitalia sino al 9 agosto.
Versare un contributo è semplice, basta andare sulla piattaforma Ideaginger.it, cliccare sul nostro progetto [vai] e scegliere fra le ricompense definite in collaborazione con i partner che ci sostengono in questa campagna: a ognuna è associata una cifra, commisurata al valore della proposta. Oppure si può optare per una donazioni libera, svincolata da doni e importi predefiniti. Gli amici che ci affiancano sono Altra qualità, Ferrara Off, Hostaria Savonarola, Foné, Delta ciclando, Bao publishing, Holiday village Florenz.

Abbiamo denominato il progetto “Una redazione condivisa” perché immaginiamo Ferraraitalia come laboratorio aperto alla partecipazione, all’incontro e al confronto con i lettori, attento alle loro esigenze, capace dunque di orientare il proprio lavoro in un’ottica di autentica condivisione comunitaria. L’obiettivo è rafforzare la rete di relazioni che si è creata in questi mesi e irrobustire sempre più la base sociale di Ferraraitalia. Anche per questo abbiamo scelto il crowdfunding, una forma di finanziamento dal basso per sviluppare progetti di riconosciuto interesse collettivo.

crowdfunding-altroconsumoIl nostro cammino interseca quello del festival di Altroconsumo, che si svolgerà in città nel fine settimana. I temi della ‘sharing economy’, fra i quali rientra anche la riflessione sul crowdfunding, saranno al centro di alcuni dei numerosi incontri del festival.“Dire, fare, cambiare”, è il titolo-slogan dell’iniziativa che esprime un orientamento che ci sentiamo idealmente di sottoscrivere. Le iniziative di questa che è la terza edizione si rivolgono principalmente ai consumatori, con lo scopo di favorire corretta informazione e consapevolezza. Ma l’intento programmatico ha un valore più ampio e generale e parla ai cittadini, al di là del loro ruolo di consumatori.
Sabato 23 maggio ti aspettiamo alle 10.30 a Palazzo della Racchetta per l’incontro-caffè “L’informazione indipendente e il senso del consumo (critico)”. Rosanna Massarenti, direttore di Altroconsumo, intervisterà Maura Franchi, sociologa, esperta dei comportamenti di consumo, che per Ferraraitalia redige la rubrica “Elogio del presente”.
E poi saremo alle 17.30 al Chiostro di San Paolo, per la presentazione del libro “Mi fido di te” di Gea Scancarello sulla sharing economy, per comprendere come creare relazioni ci permette, per esempio di girare il mondo gratis. Saranno presenti i ferraresi Simone Chiesa e Anna Luciani, la cui vicenda è stata raccontata da Ferraraitalia [vedi], che esplorano il mondo utilizzando il Couchsurfing.

Durante entrambi gli eventi chi lo desidera potrà fare la propria donazione per la campagna di crowdfunding in forma semplice e diretta, senza l’ausilio di strumenti informatici.

Link correlati:
“Una redazione condivisa per Ferraraitalia” [vedi]
Programma del Festival di Altroconsumo a Ferrara [vedi].

 

Bahamas, dietro la cartolina l’isola dei cristiani e degli obesi

“Bahamas”, già il nome fa venire voglia di vacanza e di mare. Visitare questo vastissimo arcipelago del Centro America, composto da circa 700 isole, di cui solo una trentina abitate, è desiderio di molti. Di recente sono stata a Grand Bahama, la più settentrionale delle grandi isole del Paese, e da quando sono rientrata in Italia desidero solamente una cosa: tornarci.
Atterrata al piccolo e tipicamente coloniale aereoporto di Freeport, il tempo non era dei migliori, il meteo aveva previsto una settimana di pioggia, ma ho presto imparato dai locali che il clima delle Bahamas è pazzo. Le isole risentono infatti della vicinanza del Tropico del Cancro e dell’influenza della corrente del Golfo, che fa sì che la temperatura del mare si aggiri sempre intorno ai 25-26 gradi. Il clima è tropicale, caratterizzato quindi solamente da due stagioni, invernale ed estiva. Io sono stata alle Bahamas ad aprile, durante il periodo umido: chi si lamenta dell’umidità di Ferrara non dovrebbe recarsi in questo paradiso nei mesi di maggio-giugno, periodo in cui inizia anche il pericolo di tornadi.

Per chi ama le spiagge bianche e il mare cristallino allora le Bahamas sono la meta di destinazione ideale. Il turismo è infatti una risorsa fondamentale per il Paese, la principale fonte economica dell’intero arcipelago. C’è chi vi si reca per visitare la capitale, Nassau, e le principali città del territorio come Freeport, West End e Coopers Town, perchè ogni cittadina è legata al passato da una storia personale e piuttosto unica; c’è chi invece sceglie le Bahamas per le molteplici attività acquatiche che è possibile praticare, come lo snorkeling, le immersioni nella barriera corallina, le gite in barca o il kayak in mezzo alle mangrovie; c’è anche chi va alle Bahamas per giocare a golf o a tennis, per lo shopping o per i Casinò; e infine chi, come me, vi si reca per godere dei panorami che l’arcipelago offre, per le passeggiate su soffici spiagge bianche, per le albe e per i tramonti.

Le Bahamas, pur essendo ex colonia inglese, sono isole dell’America Centrale e di essa rispecchiano un aspetto in particolare, l’alimentazione. Il tasso di obesità è molto elevato, sia tra la gente locale, sia tra i turisti che vi soggiornano. Gli alberghi definiscono i propri ristoranti “internazionali”, ma ciò che va per la maggiore sono hamburger, hot dog, pizza e patatine fritte.
Ricordo di aver visto clienti dell’hotel mettere nello stesso piatto uova, bacon e pancake al cioccolato. E’ vero che ognuno ha i propri gusti, ma le conseguenze di tale alimentazione sono gravi ed evidenti. L’aspetto positivo di queste persone in sovrappeso è che non si preoccupano minimamente di ciò che gli altri possono pensare di loro; lo si intuisce dal modo in cui si vestono e da come si atteggiano. Che per loro sia un problema o meno, la problematica resta: l’obesità in America raggiunge picchi preoccupanti.


Grand Bahama è un’isola che offre moltissimo, sia dal punto di vista naturalistico che culturale.
Nel Parco Nazionale della cittadina di Lucaya si può visitare una delle più grandi caverne sottomarine del mondo. Questo è un luogo molto importante per la storia dell’isola: nelle grotte e nel parco furono infatti rinvenuti numerosi teschi e manufatti delle antiche tribù che per prime si stabilirono a Grand Bahama. Altro sito archelogico importantissimo per l’isola è Deadman’s Reef, punto ideale per lo snorkeling. E’ un’isola meravigliosa dove mi è capitato di vedere una razza a tre metri dalla riva, dove si può nuotare con i delfini o, per chi è in cerca di adrenalina, immergersi con gli squali.
Il Giardino delle Mangrovie invece permette di esplorare una sorta di labirinto tra vegetazione esotica e nativa, stagni, cascate e numerose specie di uccelli e farfalle.
L’Heritage Trail è invece un percorso di 5 miglia che una volta veniva utilizzato per i principali trasporti dell’isola. Successivamente abbandonato, la natura ha fatto il suo corso e oggi ospita una vastissima varietà di fauna e flora rigogliosa.

Ma l’isola merita di essere visitata anche per la sua cultura e le numerose gallerie d’arte con tipici dipinti, come quelli dell’artista locale Leo Brown, che raffigurano la vita dei bahamensi. Il luogo ideale per immergervisi è il mercato di Port Lucaya, una baia piena di ristoranti, bar, pub, negozi con marche internazionali e bancarelle locali. Port Lucaya Marketplace è una zona coloratissima dove si incontrano persone di ogni nazionalità, dove si possono ammirare splendidi yacht ancorati al porto e comprare diamanti a prezzi estremamente convenienti.

Altro elemento caratteristico dell’isola sono le tante chiese dislocate su tutto il territorio. Il 90% della popolazione è infatti cristiano. Ogni volta che passeggiavo lungo la spiaggia del resort in cui ho soggiornato, mi fermavo ad ammirare una chiesetta con una torre fatta di pietre arrotondate e all’improvviso mi sentivo fuori dal mondo. Un luogo di culto a pochissimi metri dalla riva del mare ha decisamente qualcosa di magico che ti fa sentire libero, spensierato, in pace con il mondo.
Grand Bahama è l’isola ideale per rilassarsi, ma anche per divertirsi e festeggiare con gli abitanti locali. Oltre a celebrare le principali ricorrenze dell’America, due date sono molto importanti per i bahamensi: il 10 luglio si festeggia l’indipendenza delle Bahamas dalla Gran Bretagna, mentre il 1° agosto è noto come il Giorno dell’Emancipazione: il 1834 è infatti l’anno che marca la fine della schiavitù nell’Impero Britannico.

Vi sono inoltre molti eventi locali, come gli “Spettacoli Nativi” che si tengono a Port Lucaya, con danzatori, giochi con il fuoco e performer di diverse arti. Ma il più importante e noto, dal punto di vista culturale e storico, è il “Junkanoo Festival”, una sorta di carnevale che rimanda all’era pre-emancipazione: agli schiavi venivano dati 3 giorni di libertà durante i quali si travestivano e festeggiavano andando di casa in casa. La ricorrenza viene celebrata sia il 25-26 dicembre e il 1° di gennaio, sia nel periodo estivo da metà luglio a metà agosto. A East Mall Drive si tengono sfilate con maschere e costumi tipici e coloratissimi, tamburi, fischietti, campanacci, trampoli, il tutto accompagnato da musica indigena.

Grand Bahama è davvero una meta in grado di soddisfare tutti i gusti. Per chi ama l’architettura, sull’isola si possono trovare strutture molto diverse tra loro, dalle casette in legno tipicamente locali che costeggiano le strade, ai villagi dei pescatori, fino alle ville super lussuose costruite soprattutto sulle spiagge. Percorrendo i chilometri di sabbia, a destra e a sinistra dell’hotel in cui ho trascorso una meravigliosa vacanza, ricordo di essere rimasta scioccata nel passare davanti ad una delle “case” di Jhonny Depp, ma soprattutto nel vedere la residenza dell’attore statunitense Jamie Foxx, più simile a una reggia che a una villa.
Parchi nazionali, tesori ecologici incontaminati, grotte sottomarine, immersioni, eco-avventure, jeep safari ed escursioni in mountain bike; storia, cultura e tradizioni che si fondono in un mix vincente; spiagge infinite e acque color verde-smeraldo in grado di togliere letteralmente il fiato. Una vacanza meravigliosa, un luogo che consiglierei a chiunque, una meta che merita di essere visitata, almeno una volta nella vita.

L’EVENTO
Dalla poeta alla cheffa: nomi che creano fatti.
Piccolo tour tra le parole di una città

Viaggiare tra le parole. Anche attraverso il vocabolario si può visitare una città, guardarla da un punto di vista inusuale, che è quello dei nomi disseminati tra spazi fisici e di tempo. Lo spunto lo dà oggi il Teatro Ferrara Off. Questa sala con tante seggiole tutte diverse una dall’altra, invita nel pomeriggio a un incontro a ingresso libero che si intitola “Se lo nomini, esiste”. Un’occasione per chi si vuole interrogare su quale linguaggio usare per parlare di stati un po’ fuori dal comune, come sono, in questo caso, le situazioni social-familiari che non rientrano in modelli tradizionali ben precisi. Il confronto-spettacolo fa parte del percorso dedicato a “Nuovi diritti e nuove famiglie”, organizzato dall’assessorato alle pari opportunità del Comune. Ma l’appuntamento in teatro ha caratteristiche poetiche, oltre che giuridiche. Per affrontare questi temi l’autrice, traduttrice nonché presidente del Teatro Off, Monica Pavani, partirà infatti da una poesia di Emily Dickinson, che dà il senso anche al cammino. Scrive la Dickinson: “Muore la parola/ appena è pronunciata:/ così qualcuno dice./ Io invece dico/ che comincia a vivere/ proprio in quel momento”.

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Gli spazi del Teatro Ferrara Off in via Alfonso I d’Este 13

Da questo spazio teatrale, in fondo a viale Alfonso d’Este, chi ha voglia di proseguire alla ricerca di parole significative potrà continuare un piccolo tour linguistico a spasso per Ferrara tra nomi e termini particolari e attenti. Parole che descrivono cose e fatti in maniera significativa e rispettosa: rispetto per la lingua italiana e per persone e cose di cui – appunto – parlano. Ma come si fa a trovarle, le parole? In scena (come al Teatro Off) ma anche su insegne, diciture, menù, nelle persone che le usano, nei luoghi che le definiscono, arrivando fino alla rete, nei collegamenti virtuali che rimandano a tutto questo.

Da qualche anno, ad esempio, si parla e si discute di una grammatica al femminile, che altro non è che la spinta a usare parole che indicano ruoli, mestieri e persone, tenendo conto anche del fatto che appartengono a un certo genere anziché a un altro. Questa esigenza si sente in particolar modo per quelle professioni e attività che, tradizionalmente, sono state praticate da uomini e che, pian piano, si sono aperte anche alle donne. O viceversa. Prima, di solito, avviene il cambiamento, sia quello giuridico che consente di cambiare sia quello reale di chi, il rinnovamento, lo mette in pratica. Dopodiché la lingua registra la novità, si adegua e si modifica inserendo il nuovo termine nel suo vocabolario. Anche la parola “computer”, per dire, mica esisteva, prima; e dopo, visto che l’apparecchio è arrivato dal mondo anglosassone, ha preso anche la definizione in lingua inglese.

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La cheffa Maya, all’anagrafe Maura Ferrari nella cucina di DiCibo

Adesso il cambiamento riguarda il fatto che ci sono persone a fare cose che, normalmente, non facevano. Come donne che diventano ministro, avvocato, chef. Proprio da quest’ultima parola, può riprendere il giro nella città di Ferrara. A colpire è la scritta a gessetto che c’è sulla lavagna del piccolo ristorante di via Carlo Mayr, al numero 4, che si chiama in modo semplice e diretto, DiCibo. Sulla lavagnetta appoggiata all’esterno c’è scritto quello che “oggi la cheffa Maya propone”. “Cheffa”, però! Entri e chiedi al proprietario del locale, che è un uomo, la storia di questa scelta. Matteo Musacci spiega che lui e i suoi collaboratori sono rimasti colpiti dal racconto di una signora che si chiama Roberta Corradin, che ha deciso di mettersi ai fornelli per mestiere e in quel momento si è chiesta cosa sarebbe diventata, visto che si parla sempre di chef evocando immagini maschili col cappellone bianco in testa. Su questo, la Corradin ci ha scritto un libro che si intitola “Le cuoche che volevo diventare”. Partendo da quelle parole scritte, Matteo e i ragazzi del suo staff hanno deciso di andare a trovarla nel ristorante dove lavora, in riva al mare della provincia siciliana di Ragusa. “Siamo rimasti conquistati”, dice il ristoratore 29enne. Conquistati dalle sue parole, dalla sua cucina, dalla sua riflessione. Ecco, quindi, attraverso quale lungo giro di pagine e luoghi ci è arrivata qui – in pieno centro storico – la parola “cheffa”, che serve a definire un’altra signora che fa da mangiare ogni giorno con creatività, sbuzzo, professionalità e attenzione per il benessere di chi sceglie i suoi piatti.

Un giro ancor più lungo – sempre in tema di alimentazione e lingua – l’ha fatto il titolare del ristorante che si chiama, con curiosa analogia, Cibò: riferimento tutto italiano a quello che, per vezzo o moda o chissacché, spesso invece si definisce “food”. Per aprire il locale nel pieno centro cittadino di via Voltapaletto 5 quasi all’angolo con Bersaglieri del Po, c’è lui Amin Ramadan, 30enne di origini libanesi e accento tutto ferrarese. Un mix che è la messa in pratica della buona convivenza tra culture e pensieri diversi e che ritrovi nei sapori. Cibò mette insieme la cucina fatta con parole locali come cappelletti e cappellacci di zucca con piatti vegetariani e vegani e specialità libanesi tradizionali, che si chiamano shawarma, kefta, hommus.

Dal ristorantino esci, ti dirigi a destra lungo via Adelardi e in due passi sei già accanto al Duomo. Vai ancora avanti, sotto al Volto del Cavallo, e c’è il palazzo Municipale, ex sede ducale estense, e sempre e ancora centro di governo cittadino. Qui trovi un’altra parola: assessora. Ce ne sono quattro su nove, qui dentro. Nel senso che il sindaco di Ferrara – rieletto nel maggio 2014 – ha una giunta composta da nove assessori, 5 uomini e 4 donne. Ma, perché valga la pena di una visita in questo tour linguistico, serve più che il fatto, il termine che lo definisce. E le parole ci sono: sono dentro i comunicati e le note dell’Ufficio stampa comunale che, in cima allo scalone, ogni giorno racconta quello che succede a livello di amministrazione. E, quando parla di una donna che ha la delega all’urbanistica, alla sanità, alla pubblica istruzione o all’ambiente, usa la parola “assessora”. A supporto di ciò il quotidiano online del Comune di Ferrara allega anche una documentazione che supporta questa scelta. Nel link ci sono le “Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo” di Cecilia Robustelli, raccolte in collaborazione con l’Accademia della crusca, e il vademecum all’uso di femminile e maschile scritto da Luciana Tufani, editrice, ideatrice e coordinatrice del Centro documentazione donna che è a Ferrara in via Terranuova 12.

Per tornare alle letture liriche da cui parte questo viaggio, è proprio la Tufani che, in quel manualetto, parla di una poeta. Ma come, non poetessa? “Sì – ti spiega Luciana Tufani – il termine poetessa è ormai entrato in uso, però è stato inventato per sottolineare in modo sprezzante la femminilità di chi scriveva versi, che fino ad allora erano composti perlopiù da penne maschili. Ma a voler essere precisi la lingua italiana prevede la definizione di un poeta e una poeta, che significa colui o colei che poeta, cioè che fa poesia”. Quindi è più corretto parlare di una poeta, ma chi dice poetessa può farlo perché, ormai, la parola è entrata nell’uso e ha perso la connotazione negativa. Sempre lei ti spiega, poi, che quando qualcuno ti fa una multa, e la faccia che vedi sopra la divisa è femminile, si tratta di una vigile, non vigilessa. “La parola – dice – deriva dal verbo vigilare, come dirigente deriva da dirigere. La femminilizzazione con finale in ‘essa’ non è filologicamente corretta e, anzi, viene usata proprio per sottolineare qualcosa di anomalo”. O, in caso di multa, diciamo anche per dar voce a un sentimento risentito.

Il riferimento al codice della strada ci fa posare gli occhi su un fuoristrada vistosamente parcheggiato sul marciapiede. Ostentazioni e mancanza di modestia che – per contrasto – vanno a esaltare il nome che si è dato un gruppo di persone che viaggia sottotono, si interessa di narrativa, ideologia e discorsi letterari, ma con parole terra a terra e simpatica autoironia. L’idea ce l’ha avuta già qualche tempo fa Gian Pietro Testa che, per mettere insieme i suoi colleghi e amici romanzieri, pensatori o anche solo amanti di cose interessanti e belle ha creato l’Accademia degli umili. “In diversi, all’inizio – racconta il giornalista-scrittore con l’atteggiamento un po’ disincantato e irridente che lo contraddistingue – mi hanno detto che, insomma, non è che gli piaceva tanto questa cosa”. La definizione può sembrare, in realtà, anche un po’ snob. Ma evviva tutti quelli che si vantano di scegliere una bandiera come quella dell’umiltà!

E magari con curiosa umiltà continuiamo questo cammino, a spasso tra parole che dicono le cose e le fanno esistere. A partire da questo pomeriggio. Dove, prendendo a prestito quello che dice la poetessa (o poeta) contemporanea Chandra Livia Candiani, si riparte da una delle principali missioni della cultura, che è quella di “mantenere viva la parola, fare ancora della parola innanzi tutto una presenza; vibrante, vera, che pulsa e intimorisce”. Perché “forse – nota poeticamente la Candiani –  la cultura ha bisogno di sapere che le culture sono tante e deve lasciarsi mutare, parlare con le altre, fare l’amore e lottare, convivere e trasformarsi, come fa l’aperto, la natura, bestie, rocce e alberi”.

“Se lo nomini, esiste”, oggi – mercoledì 20 maggio 2015 – ore 17, Teatro Ferrara Off, viale Alfonso I d’Este 13.

IL CASO
La biblioteca scomparsa di Celio Calcagnini, custodiva anche le opere di Savonarola

Dove sono finiti gli oltre mille libri della biblioteca di Celio Calcagnini? E’ questa l’interrogativo girato ai ferraresi da Oliviero Diliberto, che nei panni dello storico e giurista ha svelato un inedito ritratto dell’illustre umanista ferrarese vissuto alla corte degli Estensi tra il Quattrocento e la metà del Cinquecento (1479-1541). Citato come “dotto” nell’opera di Ludovico Ariosto, Calcagnini, figlio illegittimo ma riconosciuto di una famiglia facoltosa, il padre era un protonotaro al servizio del papa distaccato presso gli Este, viene ricordato soprattutto per un trattatello di astronomia “Quod caelum stet, terra vero moveatur”. “In realtà ha lasciato ben quattro trattati di diritto e numerosissimi scritti, tra cui uno sull’alchimia, che in vita non pubblicò”, ha spiegato il professore durante l’incontro organizzato da Associazione culturale democratica.

Abbracciata la carriera ecclesiastica, Calcagnini fu al servizio del cardinale Ippolito d’Este, fu amico dei più affermati poeti e scrittori dell’epoca e diplomatico presso corti europee cosmopolite con cui gli Este intrattenevano rapporti. Numismatico, storico, dottore in diritto canonico, fu un innovatore ai limiti dell’eresia. “Prese le difese di Erasmo da Rotterdam con il quale aveva uno scambio epistolare di cui resta traccia nell’inventario della sua biblioteca privata, lasciata in eredità al Convento dei Domenicani con la clausola di aprirla a tutti – ha raccontato Diliberto – Purtroppo dei libri non v’è traccia”.

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Oliviero Diliberto e (alla sua sinistra) Roberto Pazzi

A stilare l’inventario fu un inquisitore di Santa Romana Chiesa, sicché qualche sospetto sulla figura dell’illustre ferrarese aleggiava sicuramente tanto più, ha ricordato Diliberto, che le sue opere postume furono pubblicate a Basilea, terra di eretici, da Johan Froben il medesimo editore di Erasmo.

Era un pensatore moderno, forse troppo per la chiesa, ma aveva amicizie importanti e, soprattutto, era il segretario del cardinale Ippolito d’Este. “Morto Ippolito si ritirò a vita privata per una ventina d’anni. Ciò non impedì ad Enrico VIII d’Inghilterra di spedire a Ferrara una delegazione per chiederne il parere giuridico circa la possibilità di divorziare dalla regina. E Calcagnini diede ragione al re. I documenti sono microfilmati e conservati all’Università dei gesuiti in Michigan”, ha spiegato. Non era certo cosa di tutti giorni spostare un re per consultare un luminare del diritto, il che la dice lunga sulla fama di Calcagnini purtroppo offuscata dai secoli. “Stavo facendo delle ricerche nell’antico repertorio bibliografico di giurisprudenza dell’800 e mi sono imbattuto nel Calcagnini giurista – ha spiegato – Mi sono incuriosito, poi appassionato e ho consultato l’inventario del suo lascito ai domenicani, conservato alla biblioteca di Modena nell’Antico fondo degli Estensi. A quel punto si è aperto un mondo, più di mille volumi, una divina commedia miniata, le opere di Savonarola, piuttosto impegnative per l’epoca, tantissimi inediti e molto altro. Se è vero che la biblioteca di un uomo è il ritratto della sua personalità, Calcagnini vale la pena di essere svelato”.

Ora l’inventario diventerà un libro commentato in via di pubblicazione entro l’anno, resta però il mistero dei libri scomparsi.

LA SEGNALAZIONE
Ecco i nazionali di Uguale od opposto, lo sport inventato a Ferrara

di Alice Pelucchi

Sarà capitato a molti, da bambini, di iniziare a inventare un gioco insolito, con regole bizzarre, strani strumenti, avversari immaginari… Per quasi tutti la fantasia si è però esaurita lì. Poi si cresce e magari ci si dedica allo sport, ma a uno che esiste già, ben chiaro e definito. Per qualcuno invece quel semplice gioco diventa qualcosa di più complesso, la fantasia si fa reale e si iniziano a contagiare anche altre persone. È quello che è successo a Mattia Micai, un ragazzo ferrarese che, da un divertimento d’infanzia, è riuscito non solo a creare uno sport vero e proprio, ma a farlo in modo collettivo, con il contributo di tutti quelli che negli anni hanno voluto farsi coinvolgere. “Uguale od Opposto è nato proprio qui, a Vigarano Pieve, sotto un rusticano”, racconta Mattia. “Era il 1989 e da allora di difficoltà per lo sviluppo di questa idea ne abbiamo incontrate e ne incontriamo sempre di nuove. Il regolamento, ad esempio, è in fase di definizione continua. Ma l’ascolto delle opinioni e dei suggerimenti delle persone che negli anni sono venute in contatto con questa disciplina rappresenta uno dei nostri punti di forza.”

Nonostante sia nato proprio a Ferrara, Uguale od Opposto, non è però forse così conosciuto da tutti qui in città. In sintesi, si tratta di un duello con bastoni gommati lunghi un metro, metà bianchi e metà rossi (i “bacchi”), nel quale il punto viene assegnato a chi colpisce l’avversario quando i bastoni sono girati all’estremità favorevole: dello stesso colore per chi dei due ha scelto di essere Uguale e di colori diversi per chi ha scelto Opposto. Può sembrare complicato e macchinoso detto così. E in effetti lo è.
Come spesso accade, il modo migliore per conoscere davvero qualcosa è andare a vederla e provarla. Una buona occasione sarà il 17 maggio, alla palestra comunale di Pontelagoscuro, quando si terrà il loro annuale Torneo Nazionale, giunto già alla quinta edizione. “Nazionale” perché Mattia è riuscito a portare il suo sport anche in altre città italiane.
“Abbiamo aperto diverse scuole negli anni. Ora ce ne sono a Cento, a Bologna, a Milano e recentemente ne è nata una anche a Verona. Da Padova verrà poi a trovarci Giovanni Rapisardi con i suoi allievi di scherma.” Uguale od Opposto ha infatti molto a che vedere con la scherma , pur mantenendo una propria identità nelle regole e nei movimenti, e può anche essere vista come un valido supporto per la più “nobile” e consolidata arte. “Molti maestri di scherma hanno visto in questo sport un esercizio propedeutico alla loro disciplina, in grado di far crescere il livello di preparazione dei propri atleti. A breve abbiamo in programma un progetto che vedrà integrate le due attività. Si tratta di un campus estivo, organizzato con il maestro Federico Meriggi di Ferrara, in cui si incontreranno e confronteranno schermidori e “bacchiatori”, con esercizi di scherma, Yoga e Uguale od Opposto.”

La difficoltà di creare qualcosa di nuovo è proprio nel riuscire a integrarsi con quello che preesiste, dando però una struttura propria e definita, che possa essere condivisa dagli altri e appresa. “La nostra disciplina è concepita come un albero”, spiega Mattia, “suddiviso in tre rami principali. Nel ramo della Tecnica, il “bacchiatore” si esibisce in movenze, chiamate “Cicli”, equivalenti ai Kata giapponesi, mentre il ramo della Pratica riguarda la crescita attraverso il combattimento. C’è poi il ramo della Teoria in cui ci si forma prima come animatore, poi come istruttore e infine come Maestro.” Un percorso lungo e difficoltoso, che offre soddisfazione a chi riesce a proseguire e si impegna, come nella tradizione delle arti marziali. Non è detto, però, che sia per forza questa l’estrazione di chi inizia: c’è un lato legato alle evoluzioni della giocoleria che risulta subito divertente anche per chi non ha la minima esperienza in ambito schermistico.
Ma quanto ci si mette, partendo da zero, per iniziare a sostenere un combattimento in maniera dignitosa? “Impossibile dirlo. Abbiamo visto la più grande varietà: c’è chi arriva e già in mezza giornata è in grado di fare delle mosse di media difficoltà e di metterle in pratica in un contesto di combattimento. Infatti un conto è studiare una mossa, in allenamento, un’altra cosa è unirla al combattimento in cui non si tratta più unicamente di introspezione, ma anche di fare attenzione al tuo avversario”.

Alla base di questa disciplina c’è quindi la ricerca di un confronto non violento con l’altro. Sono perciò previsti falli per i colpi portati con troppa forza, ma è anche scoraggiata la violenza di qualsiasi altro genere, come quella psicologica del vincitore che infierisce sul perdente. E’ infatti considerato fallo chiamare il punto che si è appena messo a segno; è invece compito di chi lo subisce ammetterlo. Il tutto contribuisce a cambiare il proprio atteggiamento verso gli altri, anche e soprattutto nella vita quotidiana. “Spesso un modo per dirimere le questioni che abbiamo in sospeso tra di noi è proprio rappresentato da una sfida ad Uguale od Opposto”, conclude Mattia, ”così si incanalano le energie per essere motivati e combattivi, sempre con il massimo rispetto, in un duello che sia il più possibile avvincente e reale”.

IL FATTO
Castello in lutto: Unesco lancia #Unite4Heritage, Ferrara si associa

Oggi il Castello Estense è listato a lutto. Chiunque, un po’ attento, vi passi davanti si chiederà perché e troverà la spiegazione nel pannello antistante. Certo, perché anche la nostra bella città sostiene la campagna Unesco contro la distruzione del patrimonio storico-artistico che si sta perpetuando in Nord-Africa e in gran parte del Medioriente. E una città che è stata inclusa nella lista dei Siti patrimonio dell’umanità dell’Unesco (al centro storico di Ferrara il prestigioso riconoscimento è stato conferito nel 1995, con la denominazione “Città del Rinascimento” ed, esteso, nel 1999, al territorio del Delta del Po e alle Delizie estensi) non poteva non unirsi all’appello. Un drappo nero cingerà i più significativi monumenti del Patrimonio Unesco italiano per testimoniare lo sconcerto e lo sgomento conseguente alla sistematica e brutale distruzione di beni storico-culturali in Medio Oriente, molti dei quali inclusi nella lista del Patrimonio mondiale dell’umanità, ad opera delle falangi armate dell’Isis. L’associazione Beni italiani patrimonio mondiale Unesco manifesta così il suo cordoglio per le vittime civili e lo sdegno della comunità internazionale di fronte a questa incivile e insensata barbarie. Il Direttore Generale dell’Unesco Irina Bokova, ha, infatti, lanciato ieri, al Cairo, la seconda fase della campagna “#Unite4Heritage dal Museo di Arte Islamica (Mia) di Babul Khalq, danneggiato da un’autobomba nel gennaio 2014, durante l’anniversario della rivoluzione del 2011. Si vuole rinnovare l’alleanza tra società e patrimonio storico-artistico e lanciare un forte e preoccupato grido di allarme contro la distruzione della storia che sta avvenendo in Iraq, in Nord-Africa e che ora minaccia anche la stupenda Palmira, in Siria. La scelta del Museo del Cairo non è casuale, se si consideri non solo la ferita da esso subita nel 2014, ma il ruolo di culla della civiltà e della cultura che da sempre l’Egitto ricopre, nella storia.
Anche il nostro Castello Estense è solidale, allora, lui stesso simbolo della storia e dell’identità di ogni ferrarese oltre che di ogni italiano che si specchi nelle sue sale e nelle sue dolci acque. Ferrara c’è.

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L’APPUNTAMENTO
Ferrara a tre anni dal terremoto, il punto sulla ricostruzione del patrimonio monumentale

Sono passati tre anni dal terremoto che ha duramente colpito l’Emilia-Romagna, molti hanno ancora nelle orecchie lo spaventoso boato di quella notte. La paura e la disperazione di chi ha perso la casa, visto crollare capannoni, negozi, edifici monumentali. Ferrara è apparsa meno colpita, forse perché dopo il sisma da cui fu investita nel Cinquecento adottò tecniche di costruzione più sicure, ma lo sfregio alla Torre dei Leoni, orgoglio del Castello Estense, ha sorpreso la città e ha aperto in modo emblematico il capitolo della ricostruzione del suo patrimonio monumentale. A che punto sono i lavori? Saremo un cantiere infinito? Ne parleranno lunedì 18 maggio, alle ore 17, in Biblioteca Ariostea, Virna Comini, presidente dell’Associazione guide turistiche di Ferrara e Provincia, l’architetto Andrea Malacarne di Italia Nostra, il professor Aniello Zamboni e l’ingegner don Stefano Zanella, rispettivamente direttore e vice dell’ufficio per i Beni culturali ecclesiastici.

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L’incontro “Ri-Scossa, Ferrara a tre anni dal terremoto fra ricostruzione e ripensamenti”, organizzato dal nostro giornale in collaborazione con la Biblioteca Ariostea, vuole essere un momento di riflessione su un capitolo importante per la nostra economia che, si sa, è giocata in gran parte sulla cultura e sul turismo da essa generato. L’inagibilità di molte chiese e palazzi è un freno per lo sviluppo, ci impoverisce e ci mette in condizioni di subire la concorrenza di vicini capoluoghi emiliani e veneti il cui investimento su un maggior numero di mostre di richiamo e l’ampia offerta monumentale erode la nostra ricchezza.

LA SEGNALAZIONE
Corsi di maglia al bar

Lavorare a ferri, o all’uncinetto, al bar. Facendo quattro chiacchiere, imparando ‘punti’ nuovi e soprattutto consumando, con soddisfazione dei gestori che offrono lo spazio. Così, i rassicuranti gomitoli di lana e cotone, diventano il simbolo di un’alleanza. Succede a Ferrara, alla Pasticceria San Giorgio, dove Claudia Guarnieri e Giovanna Cappello hanno lanciato il Knit Cafè. Dopo un primo appuntamento sperimentale, che ha raccolto una quindicina di partecipanti, il via ufficiale sarà domani, sabato 16 maggio, alle 16. Un vero e proprio debutto per la città estense. Il tam tam sui social è già partito. E Guarnieri, visto il valore aggregativo, vorrebbe addirittura chiedere il patrocinio del Comune. L’interesse in effetti non manca. Sarà sufficiente presentarsi, con tutti i propri strumenti, e metterci la disponibilità ad imparare e insegnare. «Gli incontri sono gratuiti – spiega Guarnieri – l’unica condizione è consumare, nel rispetto di chi ci accoglie». Nessun limite anagrafico e di genere, anzi. Le giovanissime «sono più che mai gradite, tanto più perché questa è un’arte da divulgare». E le signore con più esperienza sono felici di poterla trasmettere. Se poi volesse partecipare qualche maschietto… non sarà certo buttato ‘fuori’. Trecce, coste, punto inglese, non avranno più segreti. «E’ un modo diverso per coltivare una passione – rimarca Guarnieri – e trascorrere qualche ora in compagnia, instaurando nuove amicizie». Senza dimenticare la solidarietà. «L’obiettivo è dare vita a lavori comuni, come coperte, da poter poi vendere dando il ricavato in beneficenza». Guarnieri, il cui gruppo è in contatto con quello copparese e codigorese, non manca di ringraziare la Pasticceria San Giorgio. «Trovare questa disponibilità non è stata cosa semplice. E’ un segnale di grande apertura al ‘nuovo’ o comunque a ciò che esce dai canoni tradizionali. Perché parliamo di un’arte antica, ma tutta da riscoprire. E poterlo fare in un locale, invece che nella cucina di casa propria, è tutta un’altra storia». Info, 340-2833970.

Canapa alla riscossa: dai tessuti all’edilizia il rilancio di un prodotto pulito ed economico

Oggi che si parla tanto di ambiente, si parla troppo poco di canapa. Ma a Ferrara, dal 15 al 24 maggio, si vuole colmare questa mancanza con l’organizzazione della “Settimana della canapa”. E seriamente.
I più giovani non sanno molto sulla canapa e spesso ignorano che, con le sue materie prime, si possono produrre, in modo pulito ed economico, tessuti, carta, plastiche, vernici, combustibili, materiali per l’edilizia e un olio alimentare di altissima qualità. La sua produttività e crescita veloce (una coltivazione di tre mesi produce una biomassa quattro volte maggiore di quella prodotta dalla stessa superficie di bosco in un anno) permettono anche di liberare il terreno da tutte le erbe infestanti meglio di qualsiasi diserbante.

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Lavorazione della canapa nel ferrarese

La canapa è stata, tra le specie coltivate, una delle poche conosciute fin dall’antichità, sia in Oriente che in Occidente. In Cina, era usata fin dalla preistoria per fabbricare corde e tessuti, e più di 2000 anni fa è servita per fabbricare il primo foglio di carta. Nell’area del Mediterraneo, già i Fenici usavano vele di canapa per le loro imbarcazioni, nella pianura padana la canapa è stata coltivata per la fibra tessile fin dall’epoca romana e abbandonata solo negli anni Cinquanta, perché non più conveniente rispetto al cotone e alle fibre sintetiche in arrivo. Di fatto, questa lunga interruzione della coltivazione rende difficile oggi il suo rilancio, anche perché sono necessarie nuove tecnologie. La macerazione per il distacco della fibra, ad esempio, deve essere fatta in appositi impianti ai quali i contadini conferiscano il prodotto dopo averlo essiccato. Questi impianti si possono già costruire, i processi sono stati quasi completamente individuati.
E’ necessario, pertanto, assemblare l’intera filiera dal produttore agricolo al prodotto finito e avviare il meccanismo. Sia in Europa che nel Nord America, i coltivatori sono da tempo alla ricerca di nuove colture che possano ampliare il mercato in settori diversi, a partire da quello alimentare. Anche l’Unione europea è interessata a promuovere coltivazioni a destinazione non alimentare e ha individuato nella canapa una delle colture più interessanti, sovvenzionando i suoi coltivatori e sostenendo la ricerca per mettere a punto i processi di lavorazione. Il mercato è pronto a ricevere i prodotti della canapa; esistono già molte ditte in tutto il mondo che, usando materie prime provenienti dai paesi che non hanno mai interrotto la coltivazione (come l’Ungheria), fabbricano articoli a base di canapa: tessuti e capi d’abbigliamento, olio di semi e prodotti alimentari che li contengono, saponi, cosmetici, vernici, carta, detersivi, tavole e altri materiali per l’edilizia, legni compensati, oggetti d’arredamento. Alcune di queste ditte hanno recentemente visto il loro fatturato crescere in maniera esponenziale, ma, nonostante ciò, la domanda continua a essere superiore all’offerta e i prezzi alti. Alcuni prodotti poi, come i tessuti, sono quasi introvabili. Mercato e opinione pubblica sono, dunque, pronti. In Italia, tuttavia, ancora non esistono ditte che producano o vendano prodotti di canapa, e il Paese è ancora indietro sul piano culturale e informativo. Per colmare, almeno in parte, questa lacuna, e per far conoscere lo straordinario museo privato rappresentato dal Centro documentazione mondo agricolo ferrarese (Maf, www.mondoagricoloferrase.it) che da sempre parla il linguaggio della canapa, è stata organizzata appunto organizzata “La settimana della canapa”, che si terrà fra Langelo Atelier (il 15 maggio), Casa Cini (il 16 maggio) e il Maf (dal 17 al 24 maggio).

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Guercino da casa Pannini a Cento

L’evento si aprirà con l’inaugurazione della mostra sui paesaggi d’acqua nei dipinti di Otello Ceccato, presso Langelo Atelier di via Centoversuri 6a, che si protrarrà fino al 31 maggio. Qui verranno esposti 20 dipinti sul tema dell’acqua (soprattutto il Po), tema centrale nel lavoro di Ceccato, intitolata “paesaggi d’acqua”. Otello Ceccato, artista padovano ma ferrarese d’adozione, aveva affrontato il tema dell’epopea della canapa in una mostra nel 1978, svoltasi al Centro attività visive del palazzo dei Diamanti, con venticinque tele che raccontavano le vicende della popolazione agricola ferrarese, che da quella coltivazione, fino agli anni ’60, traeva importante sostentamento. Le opere originali di Ceccato sono disperse in collezioni pubbliche e private.

Paesaggi d’acquariprende il titolo di una mostra dedicata ad Antenore Magri circa 10 anni fa. Antenore era stato per una breve tempo collega di lavoro di Ceccato alla Berco e gli aveva trasmesso il modo di guardare la calma e placida pianura, le distanze, i suoi silenzi, la sua terra e la sua acqua. Le tele raccontano la pianura padana nord orientale da Ferrara a Venezia; in particolare saranno esposti due dipinti della mostra del 1980, “Viaggiando lungo il Po e il suo delta”, dipinti da Ceccato imbarcato sul motoveliero Isabella II del Gruppo ecologico padano Riccardo Bacchelli, durante una crociera sul fiume organizzata per realizzare una serie di studi e di analisi delle acque. Un viaggio nelle care e dolci acque. Il rapporto dell’artista con il soggetto acqua è intimo, ma quella che compare nei suoi dipinti è prevalentemente un’acqua cheta, sia essa di fiume, di macero, di valle o di laguna. L’acqua è costante, scaturisce dal richiamo dell’inconscio, l’essenziale tavolozza delle trasparenze, dell’effetto specchio, delle iridescenze. Ma l’elemento amniotico incomprimibile e immanipolabile è sempre forza e vita, realtà e apparenza.

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Centro etnografico del mondo agricolo ferrarese
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Ha sede a San Bartolomeo in Bosco

A seguire l’inaugurazione della mostra su Ceccato, il 16 maggio, a Casa Cini, dopo l’introduzione di Pier Carlo Scaramagli, presidente del Maf, vi saranno due interventi di rilievo, quello di Francesco Fabbri (ex direttore del museo di San Marino di Bentivoglio, l’altro grande museo agricolo regionale) sull’economia della canapa tra otto e novecento nel territorio emiliano-romagnolo e quello di Corrado Pocaterra, sulla canapa nella storia dell’arte. I primi interventi di Scaramagli e Borghi vogliono ricordare al pubblico l’importanza del MAF, oltre che presentarlo a chi ancora non lo conosca.

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Il Centro Maf nasce, infatti, agli inizi degli anni ‘80 grazie alla collaborazione tra Guido Scaramagli (agricoltore e appassionato raccoglitore delle testimonianze della cultura e del lavoro contadino) e il Centro etnografico del Comune di Ferrara (fondato, nel 1972, da Renato Sitti e Mario Roffi). Nel 1978, Sitti e Franco Farina organizzano una grande esposizione sulla lavorazione della canapa, che assegnano a Ceccato. L’artista crea ventisei grandi tele, e, dopo il 1978, elabora venti acquerelli dai disegni preparatori delle tele, dai quali sono stati ricavati le litografie esposte, appunto, al MAF. La base di partenza. Creato per offrire una documentazione sul lavoro e la vita nella campagne da fine ottocento a prima metà del novecento, oggi il centro conta oltre 10.000 visitatori annui e 30.000 oggetti esposti. Non solo “museo agricolo” ma anche delle tradizioni e dei costumi del nostro passato e punto d’incontro culturale tra generazioni. Si divide in tre sezioni: una sulla meccanizzazione agricola, che documenta i più importanti cicli di lavorazione, una sulla casa rurale, ricostruita nelle sue espressioni di vita quotidiana del mondo rurale, e una sul borgo. La struttura ha una mostra permanente sui mestieri ambulanti (seggiolaio, segantino etc.), sulla storia della frutticoltura, e una dedicata ai burattinai Ettore Forni e Pompeo Gandolfi.

Galileo Cattabriga, ‘Macerazione della canapa’
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Otello Ceccato, ‘Ciclo della canapa’

Nell’intervento di Pocaterra, invece, vengono valutati due aspetti, quello della canapa come supporto (tela) che inizia a diffondersi in Europa nel ‘400, con il perfezionamento da parte dei pittori fiamminghi della pittura a olio (Van Eyck, Van der Weyden, Campin) e quello strettamente iconografico che, con la spinta degli Umanisti, avvicina i potenti dell’epoca avvicinarsi alla vita nei campi. Per raccontare questa storia, viene presa ad esempio la corte di Ferrara nella prima metà del ‘400, in stretti rapporti con le Fiandre e con Guarino Veronese, tutore di Leonello, che porta via via gli Estensi a stabilire la corte in estate a Belriguardo. La storia prosegue con alcuni dipinti in villa raffiguranti la canapa, i dipinti settecenteschi inglesi con i velieri (una pubblicità della canapa ferrarese), i tessuti futuristi, l’iconografia del ventennio, la pubblicità. Fino a tre pittori che più si sono occupati della canapa: Galileo Cattabriga, Nino Zagni, e, appunto, Otello Ceccato.

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Museo di San Marino di Bentivoglio

Francesco Fabbri, presenterà il grande museo agricolo regionale di San Marino di Bentivoglio [vedi]. A 15 km da Bologna, nel cuore di un parco storico all’inglese, l’ottocentesca Villa Smeraldi è, infatti, sede, dal 1973, del Museo della civiltà contadina: oltre 2000 mq di esposizione e 4 ettari di parco offrono al visitatore una testimonianza unica sul lavoro e la vita nelle campagne tra Otto e Novecento: la sezione dedicata alla canapa è la più importante in Italia. Il Museo è gestito, assieme alla villa e al parco, dall’Istituzione Villa Smeraldi costituita nel 1999 dalla Provincia di Bologna e sostenuta dai Comuni di Bologna, Bentivoglio e Castel Maggiore. Contiene sezioni dedicate alla preparazione del terreno, alla raccolta e alla lavorazione della canapa, alle pianure dei mezzadri, le case coloniche e alla cucina contadina. Molto curato e ben documentato.

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Mostra fotografica al Maf

Domenica 17, sempre al Maf, Maria Roccari, l’animatrice del museo, presenta una ricca mostra fotografica sulle fasi di lavorazione della canapa, preparata sulla base dell’esperienza di anni di racconti e di ricordi dei visitatori che hanno vissuto i tempi della canapa e attingendo al ricco materiale iconografico d’epoca del Centro. Il convegno di chiusura di domenica 24 vuole portare una riflessione sulle prospettive e sugli utilizzi possibili della canapa (con i tentativi di rilancio falliti e le prospettive) oltre che sull’aspetto tossicologico incombente. Alessandro Bruni, già preside di Farmacia all’Università di Ferrara, ne introdurrà gli aspetti alimentari e gli utilizzi nell’edilizia e in campo energetico. Fabrizio Angelini e Fabio Schiavina parleranno della canapa nell’alimentazione odierna e prepareranno davanti al pubblico un gustoso piatto a base di questo alimento.

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Olio di canapa

E’ importante ricordare, al consumatore attento e salutista (ma non solo), che, nel campo dell’alimentazione, i semi di canapa, in particolare, originariamente tipici dei consumi della cultura Orientale, India e parte della Russia, hanno un elevato valore nutrizionale, per via dell’alto contenuto proteico; negli ultimi anni, il loro consumo in cucina è in sensibile aumento, soprattutto nelle diete vegetariane e vegane. Si tratta, in questo caso, di proteine cosiddette ad alto valore biologico, in quanto facilmente assimilabili. Dai semi si ottengono poi farine e olio e da tali trasformati principali derivano a loro volta tutti gli altri ingredienti gastronomici. Dal punto di vista nutrizionale, diversi autori definiscono l’alimento canapa quale sintesi nutrizionale fra i legumi, i cereali e la frutta secca, per il fatto che, nel loro ambito organolettico, hanno un alto tenore di carboidrati e un altrettanto importante tenore di proteine, di amminoacidi, di vitamina E, di fibra, di omega 3 e 6.
Ma quali sono gli utilizzi gastronomici? I semi interi, integrali o decorticati, tostati, possono essere usati per insaporire insalate o verdure cotte; le farine sono ottime per produrre pasta, pane, dolci e biscotti; l’olio, ottenuto dalla spremitura a freddo per semplice lesione dei semi, è forse il più salutare, poiché fonte di omega 3 e 6, indispensabili per lo svolgimento corretto delle funzioni metaboliche indispensabili. Verranno illustrate la produzione, in diretta, della pasta fresca con farina di canapa e la ricetta della degustazione. Buon divertimento, allora, e buon appetito. In salute.

Le giornate del 17 e del 24 maggio sono inserite nell’iniziativa Fattorie aperte della Regione Emilia-Romagna [vedi].

Si ringraziano Langelo Atelier, Corrado Pocaterra e Fabrizio Angelini per la disponibilità nel fornirci il materiale e  raccontarci alcuni particolari dell’evento.

Per informazioni sui centri citati:

Centro di Documentazione del Mondo Agricolo Ferrarese – Museo Etnografico [vedi].
Via Imperiale, 265, 44040 San Bartolomeo in Bosco (FE)
www.mondoagricoloferrase.it

Città metropolitana di Bologna – Istituzione Villa Smeraldi Museo della civiltà contadina [vedi].
Via Sammarina 35, 40010 San Marino di Bentivoglio (BO)

Attentati alla libertà di stampa: il giornalista Cipriani condannato come la De Gregorio, ma lui rischia il carcere

Il caso di Concita De Gregorio, rivelato da Report, ha fatto rumore. All’ex direttrice dell’Unità sono stati notificati una quarantina di pignoramenti (fra cui redditi e abitazione), imposti per fare fronte a debiti di cui avrebbe dovuto rispondere l’editore del giornale, che però è fallito.
Ma c’è un’altra vicenda, per molti versi analoga, della quale la stampa si è occupata solo marginalmente. E’ quella di Antonio Cipriani, ex direttore della catena di giornali free-press E-Polis, condannato addirittura a cinque mesi di carcere per omessa vigilanza. La sua responsabilità si estendeva sui 15 giornali del gruppo. Anche in questo caso c’è di mezzo un fallimento e l’assenza dell’editore. Così ad andarci di mezzo è il giornalista, anch’egli, curiosamente, ex dell’Unità, che scrive in proposito: “Fa un certo effetto aprire una mail e scoprire che contiene un ordine di esecuzione per la carcerazione: cinque mesi e qualche giorno per aver omesso, come direttore responsabile del quotidiano E Polis, il controllo su un articolo scritto da un giornalista professionista. Questo dice la sentenza del tribunale di Oristano. Cinque mesi da fare in carcere e in subordine – se verranno accolte come spero le richieste della mia difesa – in affidamento in prova al servizio sociale o ai domiciliari”. Se verranno accolte le richieste del condannato, appunto: perché, diversamente, le manette scatteranno fra un mese. “È solo l’ultimo tassello – aggiunge Cipriani – di una storia assurda e travagliata che va avanti da quattro anni. E mi vede ostaggio di una serie di incongruenze nelle leggi che regolano la professione giornalistica”.

Quel che è accaduto fa riferimento ai tre anni di direzione di E-Polis da parte di Cipriani, fra l’ottobre 2004 e il dicembre 2007. La testata vieni distribuita gratuitamente sino al 2011 quando fallisce sommersa dai debiti. La procedura fallimentare si rivale anche sui giornalisti e Cipriani si ritrova imputato in trentaquattro processi sparsi in tutt’Italia, “perché E-Polis – spiega – usciva e veniva stampato ovunque. Ho cercato di difendermi alla meno peggio – aggiunge – facendomi aiutare da avvocati amici, cercando di evitare il più possibile condanne, cercando di non pagare tutte le spese giudiziarie, rateizzando i debiti con Equitalia, inseguendo gli indulti”. Un calvario fatto di “mattinate passate in questura o dai carabinieri, di carte da leggere, di avvocati da nominare, di udienze”.
Senza nessun editore alle spalle, Cipriani è costretto a fare ricorso ai risparmi di una vita, “perché alla fine tutti si riduce a questo. Se hai i soldi paghi, chiudi con un accordo, ed eviti problemi. Se non hai soldi e combatti, alla fine non puoi che perdere. Perché anche se riesci in tre gradi di giudizio a prevalere, le spese sono talmente alte che quasi conviene accordarsi preventivamente e pagare il riscatto dall’omesso controllo. Anche l’ultima condanna, quella assurda al carcere per un omesso controllo (neanche a scomodare il reato d’opinione, cosa che per altro si tratta) è arrivata per la mancanza di soldi. Perché non avevo denaro per pagarmi un avvocato”.
I costi di un processo sono alti, quelli di trentaquattro processi sono insostenibili, “la partita è persa in partenza. Il rischio è che la libertà di stampa diventi una questione di reddito e di protezioni”. Per scongiurare le conseguenze molti si adattano a fare i ‘violinisti’.

Cipriani amaramente denuncia l’assurdità della legge. “Gli effetti di un fallimento, in alcuni casi a seguito di azioni non proprio limpide degli editori, ricadono sulle fragili spalle di chi invece pensava di poter esercitare la libertà di stampa e di garantirla ai suoi colleghi”. La legge prevede che il direttore responsabile eserciti il controllo preventivo su tutto ciò che ogni giorno viene pubblicato sul suo giornale o, come nel caso di Cipriani, sui suoi giornali. “Ne dirigevo 15 per circa 800 pagine sfornate ogni giorno, come si fa? Eppure, in 33 dei 34 processi mi sono dovuto difendere dall’indifendibile, senza responsabilità dirette sugli eventuali errori. Certo, potevo censurare qualche cronista. Sarebbe stato accettabile? Quando ho bloccato pezzi che contenevano evidenti caratteristiche di diffamazione, sono fioccate le accuse di censura… Figuriamoci”.
Questi i fatti, che potrebbero preludere a un amarissimo epilogo. “La condanna al carcere per omesso controllo mi pare davvero sproporzionata. Già si contesta la carcerazione per un reato d’opinione, in questo caso le responsabilità personali sono davvero minime”. Eppure la libertà di Antonio Cipriani è legata a un esile filo e sta nell’accoglimento della suo ricorso avverso alla sentenza già pronunciata che incombe su di lui.

Al festival di Altroconsumo il focus è sull’economia di scambio

Si preannuncia un week end interessante e ricco di appuntamenti quello che a partire da venerdì 22 maggio vedrà Ferrara teatro del festival di Altroconsumo. “Dire, fare, cambiare” non è solo il titolo di questa terza edizione, ma rappresenta anche il proclama degli organizzatori secondo i quali i tre giorni nella città estense sono una tappa importante nel percorso di emancipazione di una nuova generazione di consumatori sempre più informati, attivi e consapevoli. Sarà quindi un’occasione di confronto, di scambio, di conoscenza. Fra i temi centrali di riflessione c’è la nuova economia di scambio, la cosiddetta ‘sharing economy‘ che si basa non sulla proprietà ma sulla condivisione dei beni. Racconteranno in proposito la loro esperienza i couchsurfer ferraresi Anna Luciani e Simone Chiesa, la cui storia è stata recentemente resa nota proprio dal nostro giornale [leggi].
Rosanna Massarenti direttrice della rivista Altroconsumo, intervistata da Ferraraitalia [leggi] ha sottolineato la necessità “di attrezzarsi per affrontare il mercato con consapevolezza”. In questo senso l’associazione e la rivista sono da sempre all’avanguardia nella battaglia per un’informazione libera e trasparente a per l’affermazione dei diritti dei consumatori.

Fra gli ospiti anche la ‘nostra’ Maura Franchi, sociologa  esperta dei comportamenti di consumo, con particolare attenzione alle scelte alimentari, che su Ferraraitalia tiene larubrica Elogio del presente, che sarà intervistata dalla direttrice di Altroconsumo. Da segnalare anche la presenza di uno dei maggiori studiosi contemporanei di psicologia, Paolo Legrenzi, che si annuncia protagonista di una vivace conversazione e di una serie di divertenti esercizi con il pubblico per imparare a pensare, ad affrontare e risolvere i problemi guardandoli da prospettive diverse.

Curiosa e stimolante appare la la mostra esperienziale interattiva “Dire, Fare, cambiare” allestita negli Imbarcaderi dopo il grande successo riscosso dalla precedente mostra che ha visto fra l’altro il coinvolgimento dei mentalisti.

Momenti forti di quest’edizione sono certamente quattro dibattiti su altrettanti temi di grande attualità e rilevanza: “Il Trattato Ttip: rischi e vantaggi. Sui diritti e sul cibo si può trattare?”, “Il consumatore al centro della Rete: diritti, doveri e opportunità in Internet”, “Da €-Medicine a We-Medicine” e “L’età della Sharing Economy”. Sul palco di Altroconsumo nomi eccellenti del panorama italiano e internazionale, rappresentanti di realtà innovative: Google, Blablacar, Airb&b, Granarolo si confronteranno su diritti, insidie e opportunità della rete, come tutelare la salute con una medicina che rispetti i cittadini-pazienti, come salvare le garanzie sul cibo conquistate a fatica nel mercato europeo e messe a rischio proprio dal trattato Ttip con gli Stati Uniti. L’ultimo evento (domenica 24, tardo pomeriggio) sarà dedicato alla sharing economy, filo conduttore di tutto il Festival, perché esprime proprio un nuovo modo di concepire i consumi e la capacità dei cittadini di fare rete nel mondo e di farsi parte attiva del mercato, mettendo in comune cose, servizi, idee.

Non mancheranno momenti di intrattenimento e divertimento. sabato 23, alle 21.15, nella piazza del Castello il duo comico Ale&Franz si esibirà in uno spettacolo irriverente e divertente, tra lo stralunato e il surreale.
Moltissimi anche gli approfondimenti culturali, i laboratori formativi, le degustazioni e i gruppi d’acquisto che saranno aperti a tutti coloro che vogliono saperne di più su alimentazione, salute, risparmio, sicurezza, energia e scelta dei prodotti migliori.

A Palazzo della Racchetta, dove sono in programma tutti gli eventi dedicati al cibo, la redazione di Altroconsumo racconterà anche com’è possibile fare informazione indipendente, libera dai vincoli della pubblicità. Al Chiostro San Paolo ci sarà, invece, la possibilità di usufruire delle consulenze di giuristi e fiscalisti e, novità di quest’anno, anche dei dentisti dell’Accademia italiana di odontoiatria protesica.

Esperti e consulenti di Altroconsumo aiuteranno il pubblico anche a scegliere e a usare al meglio tantissimi prodotti (dai cosmetici agli smartphone) e lanceranno anche due nuovi gruppi d’acquisto, uno sulla benzina e uno sui pannolini per bambini.

Da non perdere gli eventi ospitati nel Castello Estense, ad iniziare dalle visite guidate alla mostra di Boldini per ri-scoprire fascino e splendori della Belle Époque, al workshop ‘E tu hai stoffa per i tessuti?’ con Aurora Magni, docente universitaria che dialogherà sui temi della sostenibilità del tessile, ovvero come scegliere vestiti sicuri, ecologici e socialmente responsabili. Per i bambini, invece, iniziative e laboratori nell’area dedicata nel Cortile delle Duchesse.

Il festival ha il patrocinio del Comune e della Provincia di Ferrara e vedrà come partner Ferrara Fiere Congressi e Ferrara terra e acqua. Il programma dell’evento è consultabile sul sito altroconsumo.it.

 

Diogene Magazine, la luce della filosofia per rischiarare l’attualità

Non è l’ennesima rivista di sport, di gossip, di moda o di cucina. Da questa settimana, nelle edicole delle province di Ferrara e Rovigo, esce Diogene Magazine, trimestrale di filosofia e arte della casa editrice Diogene Multimedia di Bologna. E già dal prossimo numero la rivista sarà distribuita in una decina di province tra Marche, Emilia Romagna, Veneto e Friuli. Ne parliamo con il direttore Mario Trombino.

Operazione ardita quella di uscire in edicola con una rivista di filosofia. Cosa vi ha mosso?
Si tratta di un’operazione complessa che abbiamo deciso di portare avanti perché vogliamo dialogare con un pubblico più vasto, e solo la distribuzione in edicola lo consente. Per noi è una sfida: trattare dell’attualità attraverso l’ottica della filosofia, mantenendo il rigore tipico di questa disciplina, ma scrivendo in modo chiaro, comprensibile da tutti. L’obiettivo è di passare da una periodizzazione trimestrale ad una mensile, a partire dal 2016.

Cosa possono leggere i lettori nel numero appena uscito?
Il numero appena uscito in edicola è il 38 e in copertina abbiamo proposto il motto “Il sonno/sogno della ragione genera…?” in riferimento alla situazione attuale, gravida di pericoli sotto ogni aspetto, sia economico che sociale e politico. La copertina è stata affidata ad una giovanissima artista, Clelia Rainone. Guai se la ragione dorme! I temi degli articoli della rivista spaziano dal nichilismo, ai festival della filosofia, al delicatissimo tema del rapporto tra etica ed economia.

Quali temi trattate nel complesso?
In estrema sintesi, trattiamo temi legati all’attualità, letti attraverso l’ottica della filosofia. Il motto che la redazione ha scelto e che compare in copertina è “Leggere la realtà con gli occhi dei filosofi”. Come è ovvio, la realtà non è fatta solo di cronaca, ma ha uno spessore storico e teorico, dunque i temi trattati possono essere distinti in questo modo: temi legati all’attualità, ad esempio un certo modello di Europa; temi che sono sempre di attualità, perché ‘perenni’, radicati nell’identità dell’uomo e della natura; e poi l’interesse per le basi filosofiche dell’economia e della politica sta prendendo spazio per l’urgenza della crisi.

Cosa intendete con “Leggere la realtà con gli occhi dei filosofi”?
Su tutti i temi trattati, Diogene Magazine propone strumenti di lettura utilizzando il patrimonio della
filosofia: se una nozione di Aristotele è utile a “leggere” la realtà del nostro tempo, è utilizzata come lo è una nozione filosofica elaborata da filosofi contemporanei. La redazione utilizza l’intero patrimonio della filosofia nella sua storia come qualsiasi professionista nel proprio campo utilizza la “cassetta degli attrezzi” della sua professione.

Quali i destinatari privilegiati?
Qualsiasi persona abbia interesse a utilizzare gli strumenti della filosofia per leggere la realtà. In ogni caso, nessuno escluso a priori.

Come fate per renderla fruibile ad un variegato pubblico di lettori?
Utilizziamo vari tipi di linguaggio. Oltre a quello verbale (utilizzando tutti generi letterari che sono stati utilizzati nel corso di ventisei secoli di storia), dedichiamo un’attenzione particolare al linguaggio iconico, in tutte le sue espressioni (arti figurative, grafica, fotografia), con forte accentuazione dei significati simbolici ed evocativi. Nel n.38 adesso in edicola abbiamo utilizzato, a commento dei testi, una grande varietà di strumenti visivi: fotografie, quadri, prodotti grafici, tutto pur di rendere comprensibile i concetti della filosofia.

Diogene Magazine è una rivista trimestrale di filosofia “per tutti” al suo nono anno di vita, progettata nel 2005 a Pavia da un gruppo redazionale promosso da un professore e giornalista, nonché saggista, Ubaldo Nicola. Era edita dalla Casa Editrice Giunti di Firenze. A partire dall’autunno del 2012 la rivista è stata rilevata da un gruppo redazionale con sede a Bologna che nel luglio 2015 ha dato vita alla Casa editrice Diogene Multimedia, specializzata in filosofia e arte, diretta da Mario Trombino. Con una tiratura di circa 2.000 copie, distribuite in abbonamento, la rivista ha una forte presenza nelle scuole in cui si insegna la materia scolastica “Filosofia”. È distribuita in libreria da Pde. La rivista costa 5 euro, l’abbonamento annuale 18.
Per saperne di più visita il sito di Diogene Magazine [vedi].

Il ritorno al futurismo della nuova Ferrara

Bellissima iniziativa lanciata in questi giorni dal quotidiano cartaceo La Nuova Ferrara, a cura dell’associazione culturale StileItalico: ovvero il noto animatore culturale Alberto Squarcia, comitato scientifico Renzo Orsini e Arianna Fornasari [vedi].
Da domenica scorsa fino al 14 giugno, destinata poi a culminare in una mostra in municipio, retrospettiva sul futurismo storico ferrarese, nello specifico focalizzata sulla “Rivista di Ferrara” a suo tempo (anni’ 30) Ferrara, caratterizzata dalle splendide cover, 35 tavole realizzate e-o curate dal 1933 al 1935 da Mimì Quilici Buzzacchi di esplicita matrice futurista. Ogni giorno inserto delle copertine su La Nuova Ferrara. Della serie, anche nella Ferrara città metafisica, eppur si muove, anche a livello istituzionale: il futurismo è tornato alla ribalta internazionale con la grande mostra retrospettiva al Guggenheim Museum di New Work, nel 2014, a cura di Vivien Green. In micro StileItalico riflette anche in Italia la nuova ormai conclamata attenzione e recupero della memoria e dell’antitradizione futurista, in progress dallo stesso Centenario del 2009 e dopo decenni di revisioni critiche creative del Futurismo storico.
Soprattutto in Italia, invero, tutt’oggi restano sacche acritiche ancora fissate sulla vecchia equazione futurismo-fascismo, parzialmente almeno sconfessata dalla moderna critica d’arte sul futurismo. Più nello specifico, la stessa mostra e iniziativa in questione riflette il cosiddetto secondo futurismo (definizione pure oggi contestata dai critici più recenti), quello più – si diceva – colluso con il ventennio, che coincise storicamente con il trasferimento del futurismo anarchico rivoluzionario delle origini e di Marinetti stesso, in certo senso, come geopolitica ante litteram e sede ufficiale, da Milano a Roma. Invece, il secondo futurismo stesso (Depero, Tato, Fillia, Prampolini, Diulgheroff, Delaunay, Thayat, Benedetta Cappa, Enzo Benedetto, Peruzzi, Delle Site, persino Sironi e nella fase finale lo stesso Fontana, Belloli, ecc.), oggi è giustamente interpretato come la fase in certo senso costruttiva e strettamente estetica del movimento: con particolare attenzione alla nascente cultura di massa, dalla moda alla pubblicità all’illustrazione alla radio alla fantascienza ecc. Il futurismo da arte d’avanguardia rivoluzionaria a avanguardia di massa, solo in parte colluso con il cosiddetto regime e comunque secondariamente, pur in non esorcizzabili evocazioni simboliche nella stessa produzione artistica pittorica e architettonica, ecc.
D’altra parte, chi scrive ha spesso sottolineato nello specifico: specularmente… che facciamo, bruciamo il capolavoro poetico di Majakowsky, “Lenin” o certo suprematismo/costruttivismo Malevjc- Tatlin ecc., per l’evocazione comunista sovietica dichiarata? Negli anni della rivista stessa focalizzata da StileItalico, inoltre, si ricorda il passaggio nel 1929 (pare l’unico) di Marinetti a Ferrara per le celebrazioni su Ludovico Ariosto, quarto centenario, con una memorabile rilettura del poeta sulla Mura degli Angeli, quasi postmoderna (poi nel volume in merito “L’Ottava d’oro“, Mondadori edito per le celebrazioni complessive, testo di Marinetti da chi scrive parzialmente riprodotto nel nostro “Il Futuro del Villaggio”, Liberty House, 1991), come sottolineato recentemente dallo stesso Antonio Saccoccio, promotore contemporaneo con il sottoscritto del futurismo (si veda “Marinetti 70. Sintesi della critica futurista“, Armando editore, 2015, a nostra cura , tra gli autori G. B. Guerri, E, Crispolti, G. Antonucci, G. Di Genova, M. Duranti, G. Carpi e altri).
E sempre in quegli anni, non a caso a Ferrara, fu lanciata dallo stesso Nello Quilici con Italo Balbo, il Corriere Padano, oggi assai meno, con il senno di poi, un foglio di regime che un esempio della complessità stessa della fu rivoluzione/dittatura fascista. Quotidiano che coagulò all’epoca la migliore intellighenzia letteraria nazionale, fascista culturale o meno. Sul fascismo anche come Cultura, non solo Regime, si vedano i diversi volumi del celebre storico insospettabile Emilio Gentile oltre al ben noto Renzo De Felice; sul futurismo storico anche tecno anarchico di sinistra, si veda Riccardo Campa, sociologo della scienza, autore di “Trattato di filosofia futurista“, Avanguardia 21, 2012.
Più nello specifico, Alberto Squarcia da diversi anni si occupa, in Italia e all’estero del futurismo, come collezionista e animatore culturale e artista d’avanguardia, mail art e video, azioni performative, curatore di Porta degli Angeli, ecc. Nel 2009 partecipò inoltre a Futurismo Live, centenario convegno video svoltosi a Ferrara, curato dal sottoscritto con l’associazione Ferrara Video e Arte di Vitaliano Teti, segnalato poi in “Il Futuro del futurismo-palco e retropalco” (Rai due) di F. Cappa, tra le principali celebrazioni [vedi].
Renzo Orsini, critico d’arte e curatore di eventi, collaborazioni anche internazionali, stesso è stato protagonista nel 2007 nella stessa anteprima del Centenario, mostra al Bar Tiffany, “Futurismo Renaissance“, a cura sempre del sottoscritto: nell’omonimo video, sua l’ampia nota critica, video poi proiettato a Roma a un festival del Cinema indipendente a cora di Consequenze, sempre nel 2007 [vedi]. Arianna Fornasari è storica d’arte e scrittrice, autrice di una recente biografia documentaristica sul noto scultore novecentesco Giuseppe Virgili. Sul piano storico pubblicistico, infine, il principale esperto sul futurismo ferrarese, è certamente il critico d’arte Lucio Scardino, con diverse mostre su artisti specifici che hanno almeno attraversato il futurismo storico, non ultimo con il suo libro “Elettriche linee estensi. Piccolo dizionario del futurismo ferrarese” (Liberty House, 1995) [vedi]. Oltre, naturalmente a varie celebrazioni su Corrado Govoni, negli anni ’80, un noto convegno, ricordiamo i contributi di Antonio Caggiano e nel 1996 per il trentennale il volume poetico, tributo contemporaneo a cura del sottoscritto e della rivista Poeticamente di Lamberto Donegà, “Elettriche Poesie” (Librit edizioni, nel volume gli stessi Riccardo Roversi e Marco Tani).

Ferrara Off, al baluardo del teatro tutto il meglio della stagione

Si sente già il profumo dell’estate nell’aria, ma l’associazione Ferrara Off per il momento non sembra voler rallentare il ritmo anzi ha appena dato il via al suo “Best Off” per il pubblico ferrarese. È questo il titolo della terza rassegna organizzata nella sala di viale Alfonso I d’Este, dopo “Ricomincio da uno” e “Luci d’Inverno”. Per il nuovo ciclo di appuntamenti, che è iniziato lo scorso week-end e andrà avanti per tutto il mese di giugno, il direttivo dell’associazione – Giulio Costa, Beatrice Furlotti, Monica Pavani, Roberta Pazi e Marco Sgarbi – ha pensato di proporre il meglio delle rassegne di Ferrara Off, così chi ha perso qualche spettacolo potrà recuperare, e chi non è mai andato potrà curiosare e conoscere meglio quello che succede sul baluardo del Montagnone. Come ci spiega Marco, “siamo spinti dal desiderio di continuare a solleticare il pubblico ferrarese e non con le nostre produzioni, per farlo affezionare al nostro lavoro e il rischio di avere anche serate meno affollate non ci spaventa”.

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Le giovani interpreti di ‘Ci si vede ancora’

“Best Off” è iniziato lo scorso fine settimana con quattro repliche di “Ci si vede ancora”, quella di sabato mattina dedicata alle scuole in occasione della Giornata dell’Europa è stata “affollatissima” ci dice Marco con orgoglio. Lo spettacolo è un adattamento teatrale di “Presque jour” dell’autrice svizzera Sylvie Neeman Romascano. Per continuare il lavoro di sperimentazione con Roberta Pazi e le giovani attrici del Laboratorio teatrale per ragazzi, il regista Giulio Costa ha deciso di amplificare il personaggio dell’adolescente Marie, facendo comparire le tre protagoniste dell’allestimento precedente tutte insieme sulla scena, “senza avvertirmi prima”, ha scherzato sabato sera Roberta Pazzi.

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Giulio Costa in ‘Senza titolo’

Venerdì 15 e sabato 16 maggio sarà proprio Giulio Costa ad andare in scena con “Senza titolo”, Premio Eceplast Festival Troia Teatro 2011, premio del pubblico Finestre di teatro urbano 2011. Il fine settimana successivo (22 e 23 maggio) toccherà a Marco Sgarbi reinterpretare il padre del socialismo in “Marx a Soho”, l’irriverente e umanissima versione del filosofo dello storico Howard Zinn: non solo il teorico di economia politica, ma il rivoluzionario che si appassiona ai moti del 1848 in Europa, alla lotta dell’Irlanda contro l’Inghilterra, che si indigna nel vedere quotidianamente il decadimento morale e materiale cui sono sottoposti gli uomini, nella Londra della sua epoca come nella New York odierna.

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Giulio Costa e Elsa Bossi in ‘Immobili’

Il 5 e 6 giugno Elsa Bossi e Giulio Costa con “Immobili” racconteranno da due punti di vista diversi, a volte dissonanti a volte no, un pezzo di Novecento italiano attraverso la costruzione e decostruzione della casa del popolo “Rinascita” di San Vito di Spilamberto. Last but not least, ogni giovedì di giugno Jorge Alberto Pompé e Marco Sgarbi saranno l’uno di fronte all’altro per il loro “Finto contatto”. “Essendo basato su un canovaccio sul quale si inserisce la nostra improvvisazione, è uno spettacolo sempre in evoluzione – ci spiega Marco – e poi iniziamo le prove dal 24 maggio, quindi tutto può ancora succedere!” E secondo quanto ci ha anticipato Marco potrebbero esserci sorprese sul baluardo del Montagnone anche per i mesi dell’estate inoltrata, perché “è bello sapere che in città c’è qualcosa da fare anche in piena estate per chi non va al mare”.

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Marco Sgarbi in ‘Marx a Soho’

Al termine di tutti gli spettacoli, come è ormai tradizione nella dimensione raccolta della sala di viale Alfonso I d’este, registi e attori incontreranno il pubblico perché Ferrara Off vuole essere non solo un luogo di fruizione, ma anche di incontro e di confronto sull’esperienza teatrale, in cui il pubblico possa sentirsi parte di una comunità. “In fondo – afferma Marco – è questo il nostro modo di concepire il lavoro di compagnia: stare a stretto contatto con gli spettatori, anche di più rispetto al teatro tradizionale, e sottoporci al loro giudizio”. Un impegno con il proprio pubblico che viene premiato dal costante aumento dei tesserati dell’associazione: il 2014 si era chiuso con 470 tesserati, “ad oggi tra rinnovi e nuovi iscritti, siamo intorno alle 750-800 persone”.
Secondo Marco, “L’idea di una comunità in cui incontrarsi e confrontarsi e il rispetto e l’impegno verso il proprio pubblico è ciò che abbiamo in comune con Ferraraitalia, che ci sta aiutando a far conoscere il nostro lavoro e che abbiamo deciso di sostenere nella sua campagna di crowdfunding”.

La campagna “Una redazione condivisa per Ferraraitalia”, iniziata lunedì 11 maggio, ha l’obiettivo di reperire le risorse necessarie perché la nostra redazione possa crescere e rispondere sempre meglio alle sollecitazioni dei lettori che si sentono coinvolti. Per tutte le info sulla campagna di crowdfunding “Una redazione condivisa per Ferraraitalia” clicca qui.

Per saperne di più sulla rassegna “Best Off. Il meglio delle rassegne di Ferrara Off” [vedi].

Foto di © Daniele Mantovani

 

A Trieste approda la magia del cinema latino-americano

Il cinema è uno dei tre linguaggi universali; gli altri due sono la matematica e la musica.” Frank Capra

Abbiamo il piacere di incontrare Rodrigo Diaz, che dal 1996 dirige il Festival del cinema latino-americano di Trieste, una delle vetrine europee più prestigiose di una cinematografia rigogliosa e variegata, che, sia pure non ancora ampiamente distribuita, ha un appeal sempre più ampio tra il pubblico europeo.

Possiamo affermare che esiste un solido collegamento tra il cinema europeo e italiano e la cinematografia del continente latino-americano ?
Il cinema latinoamericano nasce da registi europei, francesi e italiani, autentici pionieri: il primo lungometraggio di animazione della storia del cinema è opera di un italiano originario di Pavia, Quirino Cristiani , emigrato in Argentina, che nel 1917 realizzò El Apóstol, una satira sull’allora Presidente Hipólito Irigoyen. Come se non bastasse, nel 1931 realizzò il primo lungometraggio animato con sonoro Peludópolis. Tanto per sottolineare le caratteristiche innovative del nostro cinema.

Esiste un filone del cinema italiano che ha influenzato il vostro?
Certamente il neorealismo italiano è stato per molto tempo l’ispirazione principale per il nostro cinema: “Roma città aperta” di Rossellini è stato, per tutti e per tanto tempo, il paradigma a cui ispirarsi. Un aneddoto: Aldo Francia, un pediatra di Viña del Mar, emigrato in Cile dopo aver terminato il Liceo a Torino, nei primi anni ’60 in viaggio in Europa vede a Parigi appunto “Roma città aperta”; ne resta così impressionato che, tornato in patria, si reinventa cineasta, e fonda quello che ancora oggi è il più importante Festival di cinema esclusivamente dedicato al cinema latinoamericano, appunto il Festival di Viña del Mar. Una piccola curiosità: nel 1969 Ernesto Che Guevara, ucciso l’anno precedente in Bolivia, fu nominato presidente ad memoriam del Festival.
Lo stesso Aldo Francia realizzò due classici del nostro cinema: “Valparaíso mio amor”, omaggio alla città, e “Ya no basta con rezar”, che fu un manifesto dell’impegno sociale dei cattolici per il superamento delle ingiustizie sociali.

Altre influenze tra il nostro e il vostro cinema?
Il Centro sperimentale di cinematografia è stato da sempre un punto di riferimento per i nostri autori: figure note a chi conosce la nostra storia, personaggi come Fernando Birri, i cubani Julio García Espinosa eTomás Gutiérrez Alea, coscienza critica delle Revolución, autore tra l’altro di “Fragole e cioccolato”, abbastanza distribuito in Europa, sulla repressione della omosessualità, e dello spassoso e grottesco “La morte di un burocrate, un carro funebre in giro per Cuba”, si sono tutti formati al Centro, come anche il Nobel Gabriel García Márquez. Evidenzio infine la grande influenza di Cesare Zavattini sui nostri cineasti, per quanto riguarda le tecniche di sceneggiatura e di ripresa.

Quale è lo stato del vostro cinema?
A mio parere è un cinema con una grande varietà tematica; vedi, per troppo tempo in Europa si pensava a noi come un cinema ‘impegnato’, con una spiccata vocazione sociale, insomma a un cinema monotematico. Invece il nostro è un continente con una grande vitalità, e il nostro cinema attuale rispecchia questa varietà e questa esuberanza. Anche i festival europei hanno grande attenzione; Cannes in primis, ma non dimentichiamo al Festival del cinema di Roma l’affermazione di “Un cuento chino” di Sebastián Borensztein.

Per finire, notizie sulla prossima edizione del Festival?

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La locandina dell’edizione 2014

Il Festival del cinema latinoamericano, nato nel 1985, ha trovato, dopo qualche peregrinazione, la sua sede di elezione a Trieste; un contesto favorevole e ideale per la bellezza della città, crocevia internazionale di cultura, con un pubblico attento e competente; possiamo vantare infine sulla ottima e fattiva collaborazione con le istituzioni locali. Dal 17 al 25 ottobre dunque appuntamento a Trieste, nelle prestigiosi sedi del Museo Revoltella e del Teatro dei Fabbri, per un Festival dedicato a Gabriel García Márquez, del quale stiamo ricostruendo le sceneggiature originali tratte dai film, che andranno ad arricchire l’archivio del Festival, realizzato in collaborazione con la Università di Trieste.

 

Per saperne di più sulla prossima edizione del Festival del cinema latino americano di Trieste clicca qui.

Oltre il Circolo polare artico alla scoperta del popolo Sami

2. SEGUE – Dopo quasi 2000 chilometri dalla partenza dal sud Norvegia, lasciamo il parallelo del Circolo polare artico per salire ancora più in alto. Circa 600 chilometri ci dividono ancora dal nostro obiettivo. Il panorama cambia in continuazione o perlomeno così appare in quanto il sole è tornato a splendere con forza.
Riprendiamo a percorrere i fiordi in una serie infinita di curve e controcurve, e dopo ore di guida realizziamo che la costa opposta è lì, a pochi chilometri di mare davanti a noi. Meglio a questo punto provare l’esperienza dei traghetti navetta che attraversano quel braccio di fiordo e che puntualissimi ci raccolgono ad un molo e ci lasciano a quello opposto; il tempo globale è lo stesso ma almeno ci siamo riposati.

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Sole di mezzanotte

Ciὸ che sorprende noi mediterranei in questa stagione estiva all’estremo nord è che passano le ore serali, notturne, ma c’è sempre luce; in questa parte boreale artica del globo, nel periodo estivo (da circa metà maggio a fine luglio) il sole non scende mai sotto l’orizzonte, fenomeno chiamato nel suo culmine sole di mezzanotte, pertanto la luce naturale pare non venga mai spenta, un interminabile tramonto. In inverno la situazione si capovolge. Non nascondo che dopo diversi giorni, questa ‘anomalia’, per noi comporti qualche fastidio; in pratica per poter dormire qualche ora ci si deve barricare in albergo, chiudere perfettamente le finestre affinché il chiaroscuro delle due, tre di notte, ci consenta di riposare per alcune ore.

Ripartiamo verso Narvik una piccola cittadina con un passato minerario visibile dai ricordi sparsi in città che raccontano di miniera. Per diverse centinaia di chilometri la strada diventa uno stretto nastro a saliscendi sulla quale è impossibile superare code di autotreni che vanno e vengono. I limiti di velocità sono severi o almeno la polizia ha la reputazione di essere severa, pertanto superiamo i limiti dove la piatta strada ci consente di vedere almeno 2 km avanti; un altro vantaggio è rappresentato dal fatto che non vi sono case sul bordo strada, non c’è nulla per chilometri e chilometri.

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Renne al pascolo

Finalmente incontriamo il primo assembramento di renne al pascolo (una è bianca, una vera rarità) governate dai primi Sami o Lapponi. Il popolo Sami, nomade, si suppone abiti la parte nord della penisola scandinava, Lapponia o Sapmi in lingua Sami, da circa 10.000 anni. A Drag piò essere interessante visitare il Circolo culturale lappone, ma ciò che colpisce è l`apparente normalità esistente nei rapporti fra la cultura norvegese e quella nomade dei Lapponi. Alcune persone che abbiamo incontrato ci confermano che l’allevamento delle renne e il profitto conseguente ricavato, riconosciuto al popolo Sami, è la ragione di questa pacifica convivenza.

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Allevatore di renne Sami
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Allevatrice di renne Sami

Ci fermiamo per i rituali acquisti sotto le tende Sami (praticamente le stesse che siamo abituati a vedere nei film western) che si possono trovare lungo la strada. Artigianato in legno, pelle di renna e osso gli oggetti da acquistare, abiti manufatti da loro, ma il trofeo più ambito è l’impalcato delle corna delle renne. Nulla di crudele o violento in quanto è lo scarto della macellazione degli animali allevati, ma più è ramificato e più ti inorgoglisci. Anche noi cadiamo in questa trappola e ne compriamo tre, pagate con carta di credito sotto le tende! (fra i due rami di corna rimane un pezzo di osso di scatola cranica con un ciuffo di peli originali).
Non rimane che salire ancora a nord e deviare a sinistra verso le isole Lofoten di un fascino unico per la loro morfologia e disposizione, con montagne appuntite che circondano mini villaggi di case rosse e gialle. Di nuovo sul continente per riprendere il viaggio verso nord fra alte piramidi di grigliato in legno sui quali ancora vi sono le aringhe da essicare e tanti magazzini nei quali sono depositati milioni di stoccafissi, i quali irradiano in alcuni punti del percorso un odore insopportabile.
Superata Alta, l’ultimo centro abitato importante, siamo veramente a tiro. Poche decine di chilometri nel Finmark e apparirà l’isola di Magerøia, che raggiungiamo con l’ultimo traghetto e sulla quale si trova, all’opposto della stessa isola, Capo Nord.

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Honningsvåg

Approdiamo a Honningsvåg, poche case colorate e poi attraversiamo l’isola in un clima veramente emozionante. Sarà anche che il tempo è peggiorato ed è freddo, circa 5 °C, e poi le nuvole basse e grigio plumbeo con un vento fortissimo, ma ciὸ rende il contesto come avremmo voluto trovarlo qui all’estremo nord europeo. Non ho dimenticato l`equipaggio familiare che decisamente ha sopportato con pazienza un lungo percorso. E i motociclisti? Non ne abbiamo incontrati moltissimi, loro pare preferiscano affrontare il viaggio in un clima estremo, quello invernale per godersi le aurore boreali. Dopo una lunga ultima porzione di strada in salita, finalmente a Capo Nord, che parrebbe voler svelare il nostro agognato imponente globo terrestre in acciaio simbolo di NordKapp proprio all`ultima curva.
Capo Nord 71° 10′ 21″ di latitudine nord e 25° 47′ 40″ di longitudine est (comune di NordKapp) é una falesia alta 307 metri a strapiombo sul mare che si affaccia sul Mare Glaciale Artico.

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Mappa della Norvegia

Circa 2500 chilometri da Lindesnes nel sud Norvegia e circa 5000 da Bologna e dove la luce non scende. Di fronte solo il mare aperto senza confine fino al vicinissimo Polo Nord. Scrive l`esploratore e naturalista italiano Francesco Negri arrivato qui nel 1664 nel suo resoconto di viaggio “Viaggio settentrionale fatto e descritto da Francesco Negri da Ravenna”: “Mi trovo qui a Capo Nord, al punto estremo del Finmark alla fine del mondo. Qui alla fine del mondo finisce la mia curiosità, torno a casa soddisfatto.” Noi invece rimaniamo curiosi.

FINE

Leggi la prima parte.

OPERAZIONE CROWDFUNDING
In due giorni, dieci percento dell’obiettivo raggiunto

Siete sintonizzati? Siete crowfundizzati? Pare proprio di sì. Davvero. Grazie a tutti. A due giorni dal lancio della nostra campagna di raccolta fondi dal basso, pensata con l’obiettivo di ottenere i finanziamenti necessari alla costituzione di una cooperativa e dell’avvio di una sede che non sia più solo virtuale, ecco una prima valutazione.
Stiamo andando bene, ci siete, cari lettori, ci seguite, ci sostenete. Credete in noi. In due giorni, 15 sostenitori e il 10 percento dell’obiettivo raggiunto. Già. Sorridiamo, sentiamo la vostra presenza forte e calorosa. I nostri fedeli lettori. Presenti e costanti.
Quando siamo partiti, sapevamo di poter contare sul nostro e il vostro entusiasmo, sulla forza dei nostri convincimenti, sulla volontà di condividere e scambiare opinioni con un lettore attento e critico.
Continuate a sostenerci, per dare voce e forza alle idee e solide basi a questo progetto di informazione indipendente.

LA NOTA
Sostieni Ferraraitalia, partecipa al crowdfunding

Un anno fa alcuni amici, incontrandosi, si sono chiesti: perché Ferraraitalia? Quel giorno ci siamo risposti cosi:
“Il giornalismo online in questi ultimi anni ha innescato una profonda trasformazione del nostro modo di informarci. Le notizie sono immediatamente disponibili attraverso la rete, continuamente aggiornate, facilmente reperibili. L’informazione è abbondante, la cronaca è ampiamente garantita. Quel che risulta carente è una chiave di interpretazione dei fatti, uno strumento di analisi capace di fornire una lettura che si spinga oltre la superficie degli avvenimenti. FerraraItalia ha questa ambizione: offrire commenti, analisi, punti di vista che contribuiscano alla formazione di una più consapevole coscienza del reale da parte di ciascuno e a vantaggio di tutti, come imprescindibile condizione per l’esercizio di una cittadinanza attiva e partecipe. Ferraraitalia è un quotidiano indipendente globale-locale che sviluppa un’informazione verticale tesa all’approfondimento, perseguito con gli strumenti giornalistici dell’inchiesta, dell’opinione, dell’intervista e del racconto di vicende emblematiche e in quanto tali rappresentative di realtà più ampie, di tendenze, di fenomeni diffusi”.

Alcuni, anziani come me ma giovani dentro, e tanti giovani veri avevano il sorriso di chi ci voleva provare.
In verità già da alcuni mesi si stavano ottenendo importanti risultati (oltre 80.000 prime visite) e attenzione diffusa. Già molte rubriche e importanti adesioni a scrivere, a partecipare, a contribuire. Ci presentavamo con queste slide.

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Ora quei numeri si sono triplicati. FerraraItalia è un quotidiano letto e riconosciuto da molti. La cosa che mi piace di più quando ne parlo è il sorriso di simpatia e l’apprezzamento ad uno stile condiviso. Cosa chiedere di più? in basso a destra compariva la criticità: risorse economiche.

Oggi si chiama crowdfunding ma si legge: aiutate questi ragazzi a crescere, a fare nascere una cooperativa, a realizzare un sogno. Ora frullano in testa tante belle idee che nei prossimi mesi si possono attuare.
Con l’aiuto di tutti. Grazie

IL FATTO
Crowdfunding per Ferraraitalia. Stavolta la notizia siamo noi

Ferraraitalia ha scelto la strada del crowdfunding e ha avviato una campagna di finanziamento che durerà 90 giorni, sino al 9 agosto. L’obiettivo è raccogliere cinquemila euro per strutturare il giornale in uno cooperativa-laboratorio che possa rappresentare una concreta opportunità occupazionale per alcuni dei giovani collaboratori che con intelligenza e passione si sono impegnati nello sviluppo del progetto. Al contempo vorremmo dotarci di uno spazio redazionale che ora non c’è, idealmente aperto al contributo dei lettori, che sia luogo di elaborazione materiale e intellettuale, di incontro e di confronto. La piattaforma che ci ospita è quella di Ideaginger [vedi la nostra pagina]. Il crowdfunding è anche una cartina di tornasole per verificare tangibilmente il grado di affezione dei nostri lettori.

Chiedo scusa se in questo frangente compio uno strappo all’etichetta giornalistica e parlando di noi mi esprimo in prima persona. Confesso che per me è un momento bello e anche un po’ emozionate. E’ come vedere crescere una creatura e all’improvviso ritrovarsela alle soglie della maturità. Non siamo ancora al diciottesimo anno, ma al diciottesimo mese sì: per un giornale non sono pochi. Ferraraitalia si è sviluppato in fretta, siamo un gruppo saldamente coeso e unito da vincoli sinceri di amicizia e lealtà. Mi stoppo, non vorrei scivolare in accenti deamicissiani. Però è vero: siamo tanti e ci vogliamo bene. Della nostra comunità sentiamo parte anche i lettori. In questo anno e mezzo abbiamo pubblicato quasi diecimila articoli e ci hanno letto in circa 240.000 persone in tutto il mondo.

Ora vorremmo trasformare il nostro impegno in un’impresa-laboratorio aperta alla partecipazione dei lettori e attenta alle loro esigenze, che possa con continuità, organicità e sistematicità sviluppare il proprio lavoro in un’ottica di autentica condivisione comunitaria. Per questo chiediamo un contribuito a chi apprezza ciò che stiamo facendo. Abbiamo dunque avviato la campagna di crowdfunding. Ci hanno già dato fiducia e supporto alcune importanti realtà attive nel territorio, che hanno deciso di aiutarci nella campagna e hanno per questo messo a disposizione le ricompense per i sottoscrittori del crowdfunding: corsi, libri, quaderni, cene, escursioni, soggiorni…

Si può contribuire anche con 10 euro, che significano 3 centesimi al giorno a sostegno della libertà di informazione di un quotidiano web che attraverso inchieste, opinioni e interviste offre chiavi di interpretazione del mondo in cui viviamo. Cerchiamo, attraverso il peculiare modello che abbiamo definito di ‘informazione verticale’, di sollecitare la formazione di autonomi e consapevoli punti di vista, a vantaggio di ciascuno e nell’interesse della collettività: perché è solo da un confronto aperto, privo di pregiudizi e da un inesausto dialogo che si può generare il vero progresso.
Chi è in linea può concretamente aiutarci a proseguire la marcia.

EVENTUALMENTE
‘Ossi di seppia’, novantesimo della pubblicazione

da organizzatori

Martedì 12 maggio alle ore 17 (Sala Agnelli, presso la biblioteca Ariostea) incontro organizzato dall’Istituto Gramsci e dall’Istituto di Storia Contemporanea per il novantesimo della pubblicazione della raccolta di poesie di Eugenio Montale “Ossi di seppia”: un capolavoro assoluto del novecento. Ne parleranno Gianni Venturi e Fiorenzo Baratelli. L’intento dei relatori sarà quello di inquadrare “Ossi di seppia” nel contesto di una sintesi della vita del poeta genovese e della sua poetica. La speranza è di incentivare la lettura di un testo tra i più belli della nostra tradizione letteraria.

ossi-seppia-novantesimo
Prima edizione, Gobetti editore, 1925
ossi-seppia-novantesimo
Carabba edizioni, 1931
ossi-seppia-novantesimo
Edizione Einaudi, 1942
ossi-seppia-novantesimo
Mondadori, 2003

PAGINE DI GIORNALISMO
Quando ci illudevamo di poter cambiare il mondo con un articolo

9. SEGUE – Era il 21 dicembre del 1976, si sentiva già da molti giorni l’odore di Natale, in pratica psicologicamente eravamo in festa. Milano, dominata dalla splendente Madunina, aveva acceso ogni possibile luce, ma non ci si vedeva niente, la nebbia, quella di una volta, copriva tutto: uomini, cose, palazzi e alberi natalizi. Ricordo che, entrando al giornale (Il Giorno), il portiere canticchiava ridendo “… e la nebia che belessa la va giò per i pulmùn”. Nebbia e Milano formavano allora una coppia di sposi inseparabili, oggi meno, ha vinto il divorzio, fortunatamente. Presi l’ascensore e salii al secondo piano, piano nobile, direzione, segreteria, redazione grafica. Come succede spesso in Italia, la proprietà, l’Eni, quando fu il momento di costruire la sede del giornale, mandò l’architetto negli Usa a vedere com’erano edificate le sedi dei quotidiani, gli architetti tornarono e dissero che erano tutte in orizzontale: perfetto, si misero al lavoro e costruirono un piccolo grattacielo di nove piani di vetro, tutto verticale, una redazione a ogni piano, il grande lavoro dei redattori era andare su e giù: “c’è il tal dei tali?”, “è in ascensore”. Al secondo piano, il segretario di redazione mi accolse con un sorriso poco confortante, mi sembrava di scherno: io ero tranquillo, di solito mi telefonavano per andare in qualche posto, spesso assurdo, quando stavo per mettere in bocca la prima forchettata di spaghetti, la mia minestra: quel giorno era ormai pomeriggio e, quindi, il pericolo doveva considerarsi superato. Sempre con il sorriso a fior di labbra, il segretario De Monticelli, mi informò che a Vienna gli anarchici avevano occupato la sede dell’Opec, l’organizzazione dei principali Paesi produttori di petrolio, e sequestrato una ventina di ministri arabi. E allora?, chiesi, “roba tua – rispose – vai a Vienna, dice il direttore”, e il sorriso si accentuò, “vai dalle segretarie, prendi il biglietto, l’aereo rulla sulla pista”. Lo guardai con odio, “te set on pirla” gli dissi, il suo sorriso si allargò. L’autista del giornale mi accompagnò a Linate, mi chiesi se l’aerostazione esistesse ancora o fosse stata mangiata dalla nebbia, era stata mangiata dalla nebbia, nessun volo fino… non si sapeva. Tornai al giornale. In segreteria dissi che sarei partito in treno, ma l’ultimo treno possibile era già partito, il prossimo mi avrebbe sbarcato a Vienna dopo mezzogiorno del 22 dicembre, tanto valeva rimanere a Milano e inventare un pezzo da inviato in redazione. E in auto?, chiesi a una delle segretarie. La risposta fu immediata: con questa nebbia gli autisti non s’azzardano a partire. Cominciavo già ad accarezzare l’idea di andare a preparare l’albero di Natale per mio figlio Enrico, quando il collega Enzo Lucchi romagnolo pataca ma grande giornalista, mi disse “dài, ti accompagno io, guidiamo un po’ per uno, vado a casa, faccio una borsa e arrivo”. Ero incastrato. Lucchi era il motociclista vestito di pelle nera che attraversa di tanto in tanto la scena di “Amarcord” di Fellini, Scureza era il personaggio. Con Fellini, Lucchi aveva abitato a Roma, entrambi lavoravano per pochi soldi a Paese Sera, poi ognuno aveva fatto carriera, Fellini più di Lucchi. Arrivò, Enzo, dopo una mezzora, aveva una sacca da marinaio norvegese e una pelliccia bianca, di orso?, anche questa è della marina norvegese, mi spiegò. Inutile dirgli che non c’era tanto freddo, non si sa mai, disse. Lucchi era così, pensava ancora al giornalismo romantico, un cocktail composto da fantasia, avventura, coraggio e buona scrittura. Era davvero un altro giornalismo, allora avevamo ancora l’illusione di poter raccontare le cose come se i padroni non ci fossero, pensavamo ingenuamente di poter cambiare il mondo con un articolo o un’inchiesta. Eravamo un po’ coglioni, ma preferisco ancora oggi i pataca ai lacchè brutalizzati al computer da piloti ignoti, noi le cose le vedevamo e le toccavamo, mica ce le raccontava il computer (scusate, considerazioni da vecchio, ogni tanto mi scappa).
Partimmo con l’auto del giornale. Se possibile, la nebbia diventava sempre più fitta, il nostro doveva essere l’unico automezzo in circolazione. Mentre guidavo, Enzo Lucchi leggeva ad alta voce il dispaccio dell’Ansa sui fatti di Vienna: una ventina di ministri dell’Opec prigionieri nella sede dell’organizzazione di un commando guidato da un famoso terrorista, rimasto sempre abbastanza misterioso, Ilich Ramirez Sanchez, noto col nome di battaglia “Carlos”. Quando arrivammo alla frontiera austriaca, la polizia ci chiese dov’eravamo diretti, poi uno domandò “ciornalisti?”, “ya” risposi. “Vienna? Die grosse katastrofen”. Giungemmo nella capitale austriaca alle sette del mattino. Noi non lo sapevamo, ma in quel momento un aereo con a bordo Carlos e il resto della banda, decollava. L’attacco, con sparatoria, di quella che si definiva “braccio armato della rivoluzione araba”, aveva raggiunto un accordo con le autorità viennesi. Nella sede dell’Opec rimanevano soltanto tre cadaveri, un libico, un iracheno e un vecchio poliziotto austriaco. Noi scrivemmo due povere cronache, un vero flop giornalistico, riprendemmo la macchina e tornammo: nel baule rimaneva il pelliccione bianco: Lucchi non l’aveva indossato.

9. CONTINUA [leggi la decima puntata]

Leggi la prima, la seconda, la terza, la quarta , la quinta, la sesta , la settima , l’ottava puntata.

L’APPUNTAMENTO
“Democrazia in musica”. Mauro Rolfini porta sul palco mezzo secolo di note libere

Il suo viaggio è la musica. Contemporanea, libera da pentagramma e tonalità, ma supportata dalla tecnica. E’ con questo spirito che il compositore e musicista Mauro Rolfini, ha sposato la ricerca proponendo tre concerti organizzati in collaborazione con l’Associazione Olimpia Morata, nella sala della Musica di via Boccaleone 19. L’ultimo degli appuntamenti autoprodotti e legati tra loro da un percorso storico che va dalla fine degli anni Sessanta ai giorni nostri, è per sabato, 9 maggio, alle 21.

sextetLa minirassegna chiude con il sestetto Cercando il Caso di cui fanno parte oltre a Rolfini (sax), Silvia Bolognesi (contrabbasso), Natalie Peters (voce), Simone Sferruzza (batteria), Walter Prati (violoncello) e Giancarlo Schiaffini (trombone/conduction). “Al pari delle altre l’esibizione sarà registrata e sarà prodotto un cd, che chi desidera può acquistare da Pistelli e Bartolucci”, spiega. “Non credo nell’e-commerce, il rapporto diretto con il cliente finisce con l’arricchire solo il gestore del servizio on line, nelle cui tasche va una percentuale troppo alta”, dice. Il giudizio è definitivo, ma fa parte del personaggio insofferente ai troppi lacci di un mercato, che ritiene irrispettoso degli artisti. Rolfini fa un altro mestiere, è un commerciante, proprio per questo quando non lavora cura con passione la musica, mantenendola al di fuori e al di là della scena musicale.

“Non avere committenti significa non subire le esigenze altrui e poter proseguire in una ricerca personale che, passando per la conoscenza di differenti artisti, mi porta ad apprezzare l’improvvisazione, il dialogo paritario tra musicisti – spiega – non sto parlando di suonare da autodidatti, ma di farlo insieme, senza sostenere alcun leader. Nessuno suona sopra gli altri, tutti lo facciamo disponendo della tecnica, ma senza tener conto delle regole imposte da mille anni di storia, laddove la musica è stata codificata nel pentagramma da Guidone d’Arezzo”. Nessun leader, niente vincoli né simboli, anarchia dunque? “Direi democrazia in musica. Cultura e tecnica restano nel dna di chi cerca nuove proposte, non stiamo parlando di spontaneismo, bensì di piccoli gruppi consapevoli e desiderosi di dare un’idea sonora diversa. E’ un po’ come sottrarsi a una dittatura di simboli sopravvissuti nei secoli, tra l’altro a dirla tutta, le persone hanno sempre fatto musica anche prima della comparsa pentagramma”.

La prende da lontano, ma a interessarlo maggiormente sono gli artisti internazionali poco frequentati dal grande pubblico, che dalla fine degli anni ’60 hanno esplorato linguaggi e panorami sonori inusuali. Lo dimostrano i precedenti appuntamenti della minirassegna, intitolati rispettivamente Ballet for Anthony Braxton e To be Ornette dedicati a due maestri del free jazz. Ed è comunque un’espressione riduttiva per definire dei giganti: “Possono piacere o meno, ma restano dei ricercatori a cui si deve molto, hanno aperto la strada anche alla musica contemporanea – conclude – Chi parla di musica d’elite, omette di pensare alla cultura musicale nella sua interezza, nel mio piccolo cerco di produrre qualcosa che vi rientri. Certo lo stimolo dovrebbe arrivare anche da chi è deputato politicamente a sostenere la cultura, si dovrebbe avere il coraggio di favorire la sperimentazione oltre che il business”. Per info

LA SEGNALAZIONE
Corpo, voce, spazio: la scena teatrale come laboratorio educativo

Cicimbù – Zona Teatrale, laboratorio di sperimentazione educativa della Fondazione teatro comunale Claudio Abbado di Ferrara, è una realtà vivace e in continua crescita, che quest’anno festeggia i dieci anni dalla nascita. Durante il laboratorio, i partecipanti sperimentano, attraverso giochi individuali e di gruppo, l’espressività del corpo, della voce, dello spazio, della luce e del colore. Grazie alle sue fondatrici, Cristina Gualandi, drammaturga e formatrice, e Lorenza Rizzatti, illustratrice di libri per bambini e formatrice, Cicimbù ogni anno coinvolge nelle sue attività un centinaio di famiglie (con ragazzi fra i 7 e i 18 anni), e, dopo aver partecipato a festival nazionali di Teatro dei ragazzi, oggi si propone di creare legami con realtà che svolgono attività simili alla sua, nella provincia e nella regione. Con questo obiettivo, il gruppo teatrale ha programmato l’evento “Teatro dritto e rovescio”, che si terrà domani (sabato 9) alle 17 al teatro Comunale, coinvolgendo altri 4 gruppi simili della città: oltre a due gruppi di Cicimbù (uno di 8 alunni delle scuole medie e uno di 9 alunni delle scuole superiori), vi sono il gruppo Teatro Cosquillas (misto di scuola elementare e medie, con 12 ragazzi) e il gruppo di 31 allievi del progetto Dante laboratorio, di Eugenio Sideri, del liceo sociale Carducci di Ferrara che ha un indirizzo dedicato a musica e spettacolo. Abbiamo chiesto a Cristina Gualandi come si svolgerà il pomeriggio di sabato. E ci ha incuriosito. A inizio anno è stato definito un tema sul quale i gruppi si sarebbero dovuti cimentare per creare, in maniera indipendente, una performance di 10-15 minuti. Il tema era quello del volto. Sabato pomeriggio, alle 14.30, a porte chiuse, i gruppi condivideranno i loro lavori, un’occasione per i ragazzi per conoscersi fra di loro e familiarizzare. Dopo lo scambio, verrà fatto entrare il pubblico. Interessante sarà la coda del progetto che prevede che i gruppi si esibiscano nelle scuole della città durante l’intervallo dalle lezioni, per condividere esperienze didattiche ed emozioni, e la pubblicazione di un quaderno che documenti l’educazione attraverso il teatro, in una rete allargata, oltre Ferrara.
Infatti, questo evento vuole dar vita a una rete di confronto e di scambio tra le molte realtà stabili di sperimentazione educativa che usano gli strumenti del teatro, nella regione Emilia Romagna, a partire dalla provincia di Ferrara. Perché, secondo i promotori, e’ necessario avere momenti di condivisione con chi si impegna sullo stesso terreno, per dare nuovi stimoli e nuova vitalità al lavoro teatrale ed educativo che viene svolto da questi gruppi, un lavoro importante che affianca le famiglie e la scuola, e che spesso rimane invisibile. Da vedere.

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E alla Biagio Rossetti preside, genitori e insegnanti ridipingono la scuola

Sono stati giorni impegnativi per i docenti d’Italia, uniti (quasi) tutti contro la “buona scuola” del presidente Renzi. Tra il tanto parlare, cortei e minacce, ho avuto la possibilità di capire come dovrebbe realmente essere una scuola degna di definirsi buona. L’esempio di unione e cooperazione per lo svecchiamento di un edificio scolastico pubblico, per il bene dei più piccoli, è stato dato dal preside, dalle insegnanti e dai genitori della Scuola primaria “Biagio Rossetti”, in via Valle Pega. Lo scorso settembre, rientrati dalle vacanze estive, i docenti ebbero una triste sorpresa, perché, a causa di alcuni tagli comunali, i lavori di imbiancamento promessi erano stati rinviati. La maestra Laura Lodi, referente del plesso, mi racconta che, stanchi di vedere le mura imbrattate e le aule spente e senza vita, in collaborazione con le altre maestre e con il preside Massimiliano Urbinati, decisero di contattare i genitori dei bambini per trovare insieme una soluzione.

“E’ stato un progetto sviluppato in poco tempo – spiega Cristina Pellicioni, mamma e presidente del Consiglio d’istituto – ma studiato nei minimi particolari. Innanzitutto, serviva il consenso dei genitori, che sono stati subito entusiasti dell’idea, e anche tutte le autorizzazioni dal Comune, perché volevamo esser certi di fare tutto secondo le norme”.
L’ultimo fine settimana di settembre il gruppo di docenti e genitori, che si sono autotassati per poter acquistare tutti i materiali e le vernici, grazie alla gentilezza di un padre, Loris Rambaldi che le ha fornite a prezzo di costo, hanno iniziato i lavori. Donatella Rambaldi e Laura Lodi mi raccontano che i bambini, dopo i primi lavori, non avevano notato grandi differenze.
“Durante le prime due giornate ci siamo concentrati sulle grandi pulizie e abbiamo imbiancato le aule, quindi il lunedì successivo le classi erano più pulite ma sempre spoglie. I bambini forse si aspettavano subito dei risultati. La vera sorpresa per loro è stata a lavori finiti, dopo il primo fine settimana di ottobre. Erano estasiati, volevano essere accompagnati nelle aule dei loro compagni e vedere cosa cambiava. Hanno amato i nuovi colori e il loro atteggiamento nei confronti dell’ambiente è cambiato: si curano sempre che i banchi non tocchino le pareti e cercando di mantenere tutto pulito”.
Immaginate delle aule tutte uguali, spoglie, con le pareti macchiate dagli anni e tinte di un marroncino spento e cupo. Ecco, ogni stanza adesso racconta una storia: le porte colorate ti invitano ad aprirle per scoprire piccoli mondi tinti di lilla, verde, giallo e turchese, pieni di vita e di disegni. Il lavoro di coordinamento e di mano d’opera più complessa è stato gestito da Loris, esperto nel settore.
“Ci siamo occupati anche degli arredi di ogni stanza, perché volevamo che anche gli armadi e la cattedra fossero ben integrati con il resto della stanza. Io ho un colorificio e negli anni mi sono appassionato alla bioedilizia e al restauro, quindi sono stato ben felice di partecipare al progetto “Over the rainbow”, perché so bene che i bambini reagiscono ai colori in modo diverso dagli adulti. I docenti hanno scelto la tinta della loro aula con cura, basandosi sugli studi dei colori per stimolare l’attenzione dei più piccoli. E’ stato possibile acquistare una nuova libreria grazie alla donazione dell’associazione Auser e speriamo di ricevere delle donazioni anche per il prossimo progetto”.
I lavori non sono ancora terminati: dopo l’aula giardino, in cui i bambini curano le piantine portate dalla maestra o dai genitori, e l’aula “arcobaleno”, il prossimo passo è dedicarsi agli spazi comuni, come corridoi, bagni e la mensa scolastica e il preside Urbinati vorrebbe estendere il progetto al di fuori della scuola primaria.
“Io vedo la scuola come una cooperativa, in cui c’è collaborazione tra coloro che ci lavorano e i genitori, perché l’educazione che si impartisce in queste stanze ha successo solo se combacia con quella insegnata a casa. Abbiamo deciso di creare il progetto “Over the rainbow” perché ripristinare la qualità della vita nell’ambiente di lavoro significa migliorare le prestazioni. Sono compiti che spetterebbero alle istituzioni pubbliche ma o si aspettano gli enti locali o si cerca di creare qualcosa da soli. Secondo me la buona scuola è proprio quella che parte dal basso e, con questi gesti, cerca in tutti i modi possibile di migliorarla. Spero che il progetto venga accettato con lo stesso entusiasmo e partecipazione anche dai genitori del Bombonati e della Dante Alighieri”.

Tracce degli Scrovegni a Ferrara nel ‘giardino segreto’ di palazzo Scroffa

Per una curiosa come me, amante dei giardini, lo scorso fine settimana nella mia città, Ferrara, era un’opportunità troppo ghiotta. Un’occasione da non lasciarsi assolutamente sfuggire, per nulla al mondo, come si direbbe. La manifestazione sui Giardini estensi, di cui abbiamo parlato [vedi], avrebbe, infatti, avvolto la città di colori e di profumi. Le avrebbe dato quella luce che un po’ mancava, perché le nuvole passeggiavano per un cielo imbronciato che, tuttavia, si manteneva silenzioso e discreto e non osava piangere. Il tempo reggeva, qualche nuvoletta non avrebbe fermato la mia avanzata verso il verde. Fra una peonia, una margherita, una rosa, una petunia e un’orchidea, volevo assolutamente vedere uno dei giardini privati aperti per l’occasione, uno di quei posti che mi attirava come il miele un un orso, un miele dolce e profumato. Quel giardino m’incuriosiva, in tanti anni non ero riuscita mai a entrarvi. Dovevo vederlo, ora. Parlo del bellissimo giardino di palazzo Scroffa, in via Terranuova, che nel week end sarebbe stato aperto al pubblico per una mostra di quadri di Ludovica Scroffa, una dei proprietari di quella meraviglia.

Il palazzo era stato edificato fra la fine del ‘400 e gli inizi del ‘500, come testimonia l’iscrizione di Giovanni Bellaja, datata 2 agosto 1503, rinvenuta nel sottotetto dell’edificio durante i lavori di ristrutturazione resisi necessari dal terremoto del 2012. Si estendeva da via Terranuova a via Vecchie, includendo abitazioni e scuderie. A metà del ‘600, parte del complesso fu acquistato dal conte Giuseppe Scroffa, trasferitosi da Vicenza. Alcuni studiosi di araldica ritengono che la famiglia derivasse dallo stesso ceppo degli Scrovegni di Padova. Quello che è certo è che un ramo di essa si trasferì a Ferrara nel XVII secolo, e qui, l’8 maggio 1677, un conte Giuseppe, con deliberazione del magistrato decemvirale, ottenne la cittadinanza ferrarese. Agli inizi del ‘900, la famiglia Scroffa divenne proprietaria dell’intero stabile di via Terranuova e ridisegnò il giardino nella configurazione attuale.
Qui si possono ammirare piante secolari, il Gingkobiloba e il folto Cercis Siliquastrum (o albero di Giuda), dal diametro di oltre 4 metri e dai fiori color rosa vivace, oltre che piante di ogni tipo, amorevolmente e attentamente curate dal proprietario, il conte Francesco. Rose, iris, glicini, sicomori, peonie, agapanti, nasturzi, tulipani, camelie, plumbago, orchidee e gardenie.
In questo posto magico, incontro sia Francesco che Ludovica, entrambi molto gentili e disponibili, come solo le persone dal cuore generoso sanno essere. Francesco cura personalmente questo giardino, che lui stesso definisce il giardino segreto. E questo mi fa tornare alla memoria uno dei miei libri preferiti, l’omonimo racconto di Frances Hodgson Burnett. Come non innamorarsi subito di questo posto…

Documentandomi un po’, scopro che i due fratelli sono i nipoti di Edoardo Scroffa, penultimo Conte di Pentolina, borgo medievale a sud-ovest di Siena. In effetti, Ludovica, con la quale mi sono intrattenuta a chiacchierare nel mezzo di quel giardino magnifico, mi ha parlato di Pentolina, e di quando, da piccola, con la nonna, aveva imparato a dipingere la natura in quella tenuta estesa della campagna toscana. Nel tono della sua voce e nei suoi occhi, ho percepito la forza di quei colori e di quei ricordi. Me la sono immaginata giovane, bella, serena e tenace, intenta a dipingere i suoi fiori con la leggerezza dei suoi pensieri e il vento fra i lunghi capelli chiari. L’ho vista correre fra le colline sinuose, alla ricerca di un fiore prezioso da pressare per riprodurlo fedelmente qualche settimana dopo. Sì, perché la tecnica di Ludovica, oggi, parte proprio dalle foglie e dai fiori pressati, colorati nella parte posteriore e appoggiati delicatamente sulla tela, per lasciare un’impronta reale ma arricchita da una fantasia molto personale. Quasi una traccia leggera che vuole lasciare un ricordo di sé che può, però, variare le sensazioni dello spettatore, perché lui saprà cogliere le proprie sfumature e tracce, quelle a lui più congeniali. I quadri che Ludovica Scroffa espone nel suo giardino ferrarese, un’artista che vive tra la città estense e Firenze, sono immersi in esso, quasi a perdersi con esso. Infinitamente.

Quando si varca la soglia dell’imponente portone, si è affascinati da colonne, antichi porticati e lanterne che accolgono il visitatore e lo introducono in un mondo incantato.

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Giardino di palazzo Scroffa – Foto FeDetails

L’esplosione di colori è immediata, colpisce subito il violetto, e gli alberi imponenti che guidano verso un angolo nascosto. Rose rosse ci attraggono, quello che meraviglie è che vicino ad esse, piantine di pomodori fanno capolino quasi a volerci dire che il rosso è sempre rosso, poco importa da dove arriva. Ludovica, mentre mi parla, mi offre delle fragole (e questo mi riporta ancora al colore rosso, un gesto gentile e spontaneo che mi piace davvero tantissimo). In una bella corrispondenza di sensazioni e dolce armonia, mi confessa di avere iniziato a dipingere con la voglia di portare la natura nelle case, lei che è natura pura nelle curve di pennellate delicate che disegnano ombre di storie felici. Anche la sua piccola pronipote pare avere ereditato quella passione per la pittura, e per mano, così come avevano fatto con lei, passeggiano per il giardino fiorito, in cerca d’ispirazione. Un’ispirazione che arriva a chiunque voglia entrare in quella favola. Su un tavolino di una delle sale che si affacciano sul giardino, vi è un libro per lasciare firme e commenti. Mi sono permessa di annotare una sola cosa: “Un angolo di paradiso, dove un angelo dipinge”. Questo è, se vi pare.

Galleria fotografica a cura di Simonetta Sandri.

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L’APPUNTAMENTO
Ri-scossa: Ferrara a tre anni dal terremoto, fra ricostruzione e ripensamenti

A tre anni dal sisma che ha squassato le nostre vite, ci interroghiamo sul presente e il futuro della città. Stanno arrivando i finanziamenti per il ripristino degli edifici pubblici danneggiati e l’occasione è propizia a cittadini e amministratori per valutare le linee di intervento in funzione di ciò che Ferrara vorrà essere nei prossimi anni: spazi e luoghi, laddove è possibile, non vanno semplicemente ripristinati, ma concepiti e plasmati in coerenza con un progetto di sviluppo organico.
Con l’ausilio di esperti, lunedì 18 maggio alle 17 in biblioteca Ariostea, nell’ambito del ciclo “Chiavi di lettura: opinioni a confronto sull’attualità“, organizzato da Ferraraitalia, faremo la radiografia dello stato del patrimonio artistico e architettonico, valuteremo le oscillazioni dei flussi turistici e sentiremo il racconto di chi ancora è costretto a vivere fuori casa.