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L’INTERVISTA
“Non solo denaro, ma relazioni e comunità”: il crowdfunding territoriale di Ginger

Quando mancano ormai pochi giorni al termine della nostra campagna di raccolta fondi dal basso “Una redazione condivisa per Ferraraitalia” (clicca qui per saperne di più progetto), torniamo a parlare dello strumento del crowdfunding e questa volta lo facciamo incontrando chi ci ha accompagnato per questo tratto di strada: Agnese Agrizzi di Ginger.

logo Ideaginger
Il logo di Ginger

Ginger, cioè Gestione Idee Nuove Geniali Emilia Romagna, è una piattaforma di crowdfunding territoriale fondata nel 2013 da Agnese, Virginia, Martina, Nicole e Caterina, cinque ragazze che hanno trovato il modo per far incontrare formazione umanistica e manageriale offrendo ad associazioni, start-up e altre realtà della nostra regione e non solo consulenze e formazione per sviluppare la propria campagna di crowdfunding. Le parole d’ordine sono territorio e comunità, mentre la filosofia che anima la loro azienda è: “Le idee non dormono mai!”

La filosofia del crowdfunding è “Non tanto da pochi, ma poco da tanti”, perché piccole somme aggregate possono fare la differenza.
Sì, la specificità dello strumento del crowdfunding, rispetto alle altre forme di finanziamento, è la richiesta di una partecipazione attiva delle persone che donano: non si tratta perciò semplicemente di chiedere una somma, ma di aprire il proprio progetto a una partecipazione collettiva, di chiedere alle persone un coinvolgimento diretto. Per questo il crowdfunding è perfetto per tutte quelle realtà che hanno non soltanto bisogno di raccogliere finanziamenti, ma anche l’esigenza di aprire le proprie porte alla partecipazione di una comunità.

Una comunità che può essere, anzi deve essere, sia sulla rete sia sul territorio di riferimento, no?
Il bello del web è appunto che non ha confini, perciò tutto il mondo virtualmente può sostenere un progetto. Allo stesso tempo nessun progetto può funzionare se rimane esclusivamente virtuale: serve un’interazione reale, la creazione di una rete di relazioni che deve uscire dal web e coinvolgere fisicamente le persone. Il crowdfunding territoriale ha dalla sua proprio questo vantaggio: può permettersi di usare sia le leve del web, sia quelle del territorio. Per questo puntiamo molto anche sugli eventi e sulla raccolta off-line nelle nostre campagne: fare eventi significa incontrare concretamente i donatori e convincerli davvero che il proprio progetto merita di essere finanziato. In altre parole, ci si mette davvero la faccia e questo è un fattore fondamentale nel crowdfunding.

Dunque il crowdfunding può essere considerato anche uno strumento per creare e consolidare il riconoscimento sociale di un progetto nella comunità di riferimento? E in questo modo diventa anche una leva di sviluppo economico e sociale…
Sì, esatto. Come Ginger in due anni abbiamo assistito alla nascita di circa 50 progetti territoriali che hanno utilizzato la nostra piattaforma per dare inizio alla propria attività, nel settore culturale e creativo ma non solo. Per farlo, hanno prima dovuto fare un’analisi di mercato confrontandosi così con quella che sarebbe stata la loro community di riferimento anche nel prosieguo della loro esistenza, hanno avuto così modo di capire quali linguaggi usare, quali domande avevano più risposta. Ecco che il crowdfunding diventa uno strumento per far iniziare un’impresa con il piede giusto, cioè una buona consapevolezza del pubblico al quale si riferisce e delle sue caratteristiche, dandole così anche maggiori opportunità di rimanere in attività sul lungo periodo.

Agnese, il crowdfunding è ancora uno strumento poco conosciuto in Italia. Da quanto è arrivato nel nostro paese?
In Italia si parla di crowdfunding da non più di tre anni. Nell’ultimo anno se ne è parlato molto più spesso, grazie anche a progetti come “Un passo per San Luca”, che abbiamo curato noi (piattaforma on-line per il finanziamento del restauro dei portici di San Luca, ndr): ha coinvolto una città intera e raccolto circa 340.000 euro, ma è anche diventato un modello di buone pratiche di cui si è parlato sui giornali e in tv. Oggi questa parola è meno straniera e più vicina alle persone, speriamo che vada sempre meglio.

Rimanendo ancora in Italia: sono più i progetti profit o no-profit a ricorrere a questo metodo di finanziamento? E qual è la quota richiesta in media?
In Italia la parte più rilevante e anche il settore che raggiunge maggiori risultati è il no-profit, quasi un progetto su due raggiunge l’obiettivo. Questo è dovuto in parte al fatto che il profit si pone spesso traguardi più difficili, mentre il no-profit riesce a sfruttare anche fattori emotivi, che per il crowdfunding sono abbastanza importanti. Per quanto riguarda la quota media di finanziamento, ti posso dire che quella dei progetti che hanno successo a livello globale è di 4.000 dollari.

A proposito, secondo te qual è il segreto perché un progetto raggiunga l’obiettivo?
Il segreto del successo è la predisposizione da parte dei progettisti ad aprire la propria idea ai donatori: più il processo partecipativo è coinvolgente, più la campagna funziona. Un altro elemento fondamentale è quanto i progettisti si divertono durante la campagna: lo noto quotidianamente, i risultati si vedono subito.

Ginger
Le ragazze di Ginger

Parliamo un po’ di voi, come e quando è nata Ginger?
Ginger è nata nel giugno 2013 a Bologna. Insieme a Virginia, Martina, Nicole e Caterina, abbiamo deciso di unirci, pur venendo da background diversi: io vengo da Lettere e filosofia, Virginia da Lingue e letterature straniere, Nicole viene dal Dams indirizzo Arte e Caterina dall’indirizzo Musica, Martina da Scienze politiche. Ci siamo conosciute durante il corso di laurea magistrale in Gestione ed Innovazione delle Organizzazioni Culturali ed Artistiche: ha un’impostazione più pragmatica che teorica, con molte esercitazioni pratiche e lavori di gruppo, quindi ci ha permesso di lavorare insieme già durante gli studi e conoscerci anche a livello professionale. Così quando abbiamo iniziato eravamo un team già testato.
La differenza rispetto ad altre piattaforme è che cerchiamo di rimanere molto vicine ai progettisti, per capire insieme a loro qual è il modo migliore di fare crowdfunding per il loro progetto. Si potrebbe quasi dire che Ginger è una sorta di progetto di ricerca perché come fare crowdfunding è una storia ancora da scrivere in Italia ed è la domanda che ci facciamo tutte le mattine andando al lavoro: poter cercare la risposta fianco a fianco con i nostri progettisti ci permette di avere una visuale molto immediata di come si stia strutturando la pratica del crowdfunding nel nostro paese. Nel giro di due anni siamo riuscite a ottenere un grado di successo di circa il 60% e ne siamo molto orgogliose: significa che 6 progetti su 10 raggiungono il finanziamento, mentre in Italia le media è del 30%.

Quanti progetti avete seguito finora? Ce ne sono alcuni ai quali siete più affezionate?
Credo siano circa una settantina in due anni, attualmente sono dieci, compreso il vostro “Una redazione condivisa”. Ammetto di sì, ad alcuni siamo più affezionate. Per esempio abbiamo curato una piattaforma di crowdfunding per conto di Fondazione Nord Est, che riunisce le tre Confindustrie del Nord Est: si chiamava Fablab a scuola e serviva per finanziare 10 fablab all’interno di 10 istituti tecnici del Nord Est.

A proposito della nostra campagna “Una redazione condivisa”, avete altri progetti ferraresi oppure legati al settore editoriale e giornalistico?
Direi che non stiamo seguendo altri progetti su Ferrara, abbiamo invece ospitato un progetto legato all’editoria: si trattava della campagna per finanziare le spese di pubblicazione di un libro inchiesta sulla morte di Francesco Lorusso. Il tema era molto sentito ed è stato un caso di grande successo.

Ora la domanda fatidica: perché avete deciso un tratto di strada insieme a noi?
Abbiamo delle perplessità rispetto al mondo dell’editoria giornalistica in Italia: dal punto di vista gestionale è un settore molto difficile, vediamo testate in difficoltà e costrette alla chiusura, mentre altre sono legate ai finanziamenti pubblici o a partiti politici. Per questo creare un gruppo libero, di qualità e legato strettamente a un territorio ci sembra una bella sfida. Se Ferraraitalia ce la farà con il crowdfunding, porrà una solida premessa per lo sviluppo delle attività della cooperativa. Insomma appoggiamo il progetto culturale, ma anche la volontà di approfondire il lavoro di squadra e il tema della comunità di lettori, tre caratteristiche fondamentali per il crowdfunding.

L’ultima domanda è sul futuro: sia per voi di Ginger, sia per quanto riguarda il crowdfunding in Italia.
I nostri obiettivi futuri sono: arrivare sempre più capillarmente nel territorio della regione, ci piace anche l’idea di poter replicare il modello Ginger su altri territori italiani, inoltre vorremmo lavorare sempre più sui beni culturali, proprio partendo dall’esperienza del Portico di San Luca, un progetto di rilievo portato avanti insieme a un’istituzione pubblica, ma che crediamo possa essere percorribile per molti altri casi. E poi c’è qualcos’altro nel cassetto a cui stiamo lavorando, ma che purtroppo non posso ancora rivelare. Per quanto riguarda il crowdfunding in Italia, io spero da un lato che aumenti la consapevolezza riguardo questo strumento da parte dei progettisti, dall’altro sono fiduciosa che la generosità degli italiani e la loro voglia di partecipare aiuterà sempre di più il successo delle campagne di crowdfunding.

Link correlati: Simonetta Sandri, Cos’è questo crowdfunding

Se vuoi partecipare al crowdfunding “Una redazione condivisa per Ferraraitalia” clicca qui.

INTORNO A NOI
Infradito da montagna

Passeggiata lungo il lago di Braies, omonima valle laterale alla Val Pusteria, il luogo incantato dove è girata gran parte della fiction Un passo al cielo per intenderci. Metà luglio, 1496 metri, un paradiso che giace ai piedi della parete rocciosa della Croda del Becco, all’interno del parco naturale Fanes-Sennes e Braies. Tanti turisti, tantissimi, molti attirati dalla casetta di Terence Hill, pochi altri guidati dall’amore per i colori di quelle acque cristalline, gli habitués che però poco alla volta scompaiono, perché travolti da masse zoccolanti e vocianti.

Lago di Braies
Il Lago di Braies

Nulla contro il turismo per tutti, per carità, ma si resta allibiti, se non basiti, di fronte a orde di turisti in infradito che percorrono i circa due chilometri di lunghezza del lago con borracce, cappellini e passeggini. Nella parte più ripida, con scalini irti degni di un colorato racconto himalayano, giovani aitanti imbracciano passeggini piegati su se stessi come poveri ombrellini stanchi e accaldati, mentre le mogli sudate (sempre in infradito dorate) portano i bambini sulle spalle. C’è anche chi carica passeggino e bambino di colpo, senza minimamente preoccuparsi dei rischi per lo stesso e per gli altri. Potete immaginare la tragedia di una caduta da un simile pendio? La mia sorpresa è grande, ma parlando con amici comprendo che i soccorsi della Val Pusteria, in particolare di San Candido, sono sempre più impegnati nel recuperare turisti avventati che affrontano impegnative ferrate con le infradito.

È apparsa su “La Repubblica” qualche giorno fa la notizia di alpinisti, avventori e famiglie che, lasciata la macchina al Pontal d’Entréves, salgono in quindici minuti di funivia sul tetto d’Europa, il Rifugio Torino sul Monte Bianco, 3466 metri. Fin qui nulla di strano, se non fosse che gli avventurieri vi arrivano senza alcuna misura di sicurezza, senza attrezzatura adeguata, ma solo con pantaloncini, scarpe da tennis e spesso sandali o infradito. Non si resiste ai selfie sul ghiacciaio, pronti a postarli su facebook agli amici che si sciolgono al caldo delle città, avvolti da umido, afa e zanzare. Ma se salire sembra facile, quasi un gioco, con il ghiaccio non si scherza e le guide alpine lanciano l’allarme: c’è chi arriva a torso nudo, armato di macchina fotografica, bibita e panino imbottito; chi vorrebbe addirittura levarsi le ciabatte, per sentire sulle piante dei piedi il freddo della neve.

“È assurdo. Noi andiamo imbragati, legati e siamo esperti, e qui la gente viene con lo stesso atteggiamento con cui andrebbe al parco giochi. Ma la montagna chiede rispetto e prudenza”, dicono alcuni esperti. Ci sono i cartelli, le avvertenze, le note informative, in molte lingue, ma a nulla servono. Ci si domanda allora, vale la pena rendere accessibile un luogo così bello ma ostile? Sì, perché tutti hanno diritto alla bellezza. Ma se volete vederlo, fatelo bene, per favore, in sicurezza, per voi e per gli altri. Non ci vuole poi tanto.

IL FATTO
Incendio della Cleprin nel casertano. Antonio Picascia: “Ma non manderete in fumo un sogno”

Abbiamo conosciuto Antonio Picascia, amministratore delegato di Cleprin, in marzo quando è venuto a parlare a Ferrara ospite della cooperativa di commercio equo altraqualità, insieme a Simmaco Perrillo di NCO-Nuova Cooperazione Organizzata: una concreta alternativa di legalità per la rinascita della provincia di Caserta (leggi l’articolo).

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Incendio alla Cleprin, fabbrica di Sessa Aurunca nel casertano (foto tratta dal sito Vita.it)

Appena due giorni fa un incendio, le cui cause rimangono per ora sconosciute ma che lasciano pensare alla pista dolosa, ha seriamente danneggiato l’impianto industriale. Come segno di solidarietà con chi quotidianamente si impegna per un cambiamento economico e culturale nella propria terra, la redazione di Ferraraitalia ha deciso di pubblicare il comunicato di Pro Loco Voghiera e del Coordinamento Provinciale di Ferrara di Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, con l’impegno di continuare a tenervi aggiornati sulla situazione.

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Uno dei post pubblicati sulla pagina Facebook della fabbrica di detersivi ecocompatibili Cleprin di Sessa Aurunca.

di Prolo Loco Voghiera e Coordinamento Provinciale di Ferrara di Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie

La scorsa notte un vasto incendio ha devastato l’area produttiva della Cleprin Srl, industria chimica casertana specializzata nella produzione e vendita di detersivi industriali e nella produzione di detergenti in eco-dosi idrosolubili e completamente eco-compatibili.

Quella del suo amministratore delegato Antonio Picascia e di tutti i lavoratori dell’azienda è una doppia scommessa: la riappropriazione e rigenerazione del territorio campano attraverso la creazione di un sistema economico legale ed etico, come antidoto all’economia criminale. Nonostante i tentativi prima di infiltrazione nella Cleprin e poi di estorsione da parte del clan di Sessa Aurunca, affiliato ai Casalesi, Antonio ha scelto, infatti, la propria dignità e la propria libertà di imprenditore, denunciando l’accaduto alle forze dell’ordine.

Appena una quindicina di giorni fa, lo scorso 7 luglio, la delegazione del Coordinamento di Ferrara Libera e di Pro Loco Voghiera – nel corso del viaggio in Sicilia per consegnare alla Cooperativa Rita Atria il camioncino destinato a lavorare su un bene confiscato alle mafie – aveva fatto visita all’azienda e conosciuto Antonio, che aveva trasmesso ai giovani volontari il proprio impegno quotidiano contro la criminalità organizzata.

Le cause del rogo sono ancora sconosciute e al momento nessuna pista viene esclusa.

“La notizia ci ha lasciato senza parole – afferma Elia Fantini, segretario Pro Loco Voghiera e volontario del Coordinamento di Ferrara di Libera – solo pochi giorni fa siamo rimasti sbalorditi di fronte alla professionalità, allo spirito imprenditoriale, alla competenza e alla serietà della ditta Cleprin, del suo amministratore e di tutti i suoi lavoratori. Abbiamo conosciuto persone e professionisti in grado di fare della legalità e dell’impegno i valori fondamentali della loro attività economica, dimostrando potenzialità che sono un esempio per tutti noi ragazzi”.

“Si tratta, purtroppo, dell’ennesima conferma – aggiunge Donato La Muscatella, Referente per il Coordinamento di Ferrara di Libera – di quanto le organizzazioni criminali temano la rivoluzione culturale che sviluppano sul territorio aziende come la Cleprin, proponendo un modello imprenditoriale virtuoso che promuove i diritti di tanti e non la ricchezza di pochi. Ora più che mai bisogna far sentire ad Antonio Picascia e a tutti i lavoratori che non sono soli”

Pro Loco Voghiera e il Coordinamento di Ferrara di Libera vogliono ribadire la propria vicinanza e il proprio sostegno ad Antonio, a Simmaco e a tutti i lavoratori e collaboratori di Cleprin e Nuova Cooperazione Organizzata in questo momento così difficile: la battaglia per un’economia e una cultura di legalità è lunga e difficile, ma vale la pena combatterla e noi siamo al vostro fianco.

Il CASO
Il primato verticale del Burj Kalifa

2. SEGUE – Fra le prime cinque torri commerciali, i grattacieli, nella graduatoria stilata in architettura dal World’s Tallest Skyscrapers Emporis, risultano in ordine crescente di altezza:

5° posto Taipei 101 Taipei mt 509
4° posto Freedom tower New York mt 541
3° posto Abraj al Bbait La Mecca mt 601
2° posto Shangai tower Shangai mt 632
1° posto Burj Kalifa Dubai City mt 828

Un primo posto esaltato dalla notte del record senza collocazione nel tempo, tanto attesa a Dubai City dopo cinque anni di intenso lavoro, e non poche traversie finanziarie. La grande torre, la torre del Califfo, o Burj Khalifa, viene letteralmente incendiata da una cascata di fuochi d`artificio dalla sommità alla base. Arricchita da fontane con giochi d`acqua lanciati fino a 150 metri intonanti Il “Nessun dorma” di Pavarotti come un tributo alla grandiosità, il capolavoro dell`ingegneria viene resa al mondo in tutta la sua potenza estetica con la livrea argentea luccicante come un abito da sera formato da 150.000 metriquadrati di cristalli specchianti ad altissima prestazione.
La notte ha stelle, tante stelle, ma lo spettacolo per noi occidentali è fissato sul palcoscenico regale quando lo sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum entra nello spazio visuale, una “Le mille e una notte”, nella sua kandhoura bianca per inaugurare il Burj che a sorpresa si chiamerà Burj Khalifa, in omaggio allo sceicco Khalifa bin Zayed Al Nahayan, anche lui presente, sovrano di Abu Dhabi e finanziatore ultimo del progetto.
Per i più distratti, la torre di proprietà di Emaar Properties e progettata dall’architetto britannico Adrian Smith, è ispirata alle forme di un fiore di Hymenocallis, molto popolare a Dubai; possiede il più veloce ascensore al mondo, manco a dirlo, che raggiunge in 50 secondi il 124° piano, circa 550 metri di altezza, l’ultimo fruibile dai visitatori. Si ipotizza che da qui si abbia un allungamento della vista fino a ottanta chilometri di fronte, ma è impressionante vedere transitare giganteschi aerei al disotto dei propri piedi posti a circa 550 metri di altezza.
Accoglie l’esclusivo Hotel Armani oltre 700 appartamenti tutti venduti, uffici, piscine e il tutto per un investimento di 1,5 miliardi di dollari. Da terra, guardando in alto, le nuvole si rincorrono e spesso gli ricoprono il puntale come un grande albero di Natale; dall`apparire del Burj Khalifa le altre torri sulla terra sono affette da nanismo, lo skyline di Dubai City ha subito un cambio senza precedenti considerato che le torri presenti nell`area misurano in altezza solo, si fa per dire, 200/250 metri.
Le critiche sulla realizzazione erano e sono taglienti. Quale sostenibilità? Contestuale-urbanistica? Ambientale? Sostenibilità sociale ? Economica?.
E` convincimento comune che oggi di una torre, vista l`importanza materica, si dovrebbe valutarne anche la virtuosità sotto il profilo dell`analisi Lca e quindi non solo misurare la propria efficienza energetica o il rapporto con le energie rinnovabili applicate, ma anche quanto abbia agito sull`ambiente la sua costruzione e quanto abbiano pesato per la sostenibilità ambientale i componenti necessari e prodotti, impiegati per la sua costruzione, nonchè la manutenzione e l`ipotetico costo energetico per la demolizione.
Si è scritto “dell’arroganza di pianificazione degli sceicchi” oppure “rappresenta un contributo difficilmente sostenibile.” “Un cattivo esempio per l’Europa che si sta concentrando sull’ ammodernamento degli edifici in chiave efficiente e sostenibile”, o ancora “un’ inutile simbolo di prestigio economico, che rappresenta solo il potere del denaro” e per altri “inevitabile la necessità di paragonare l’edificio alla torre di babele, portatrice nel libro della Genesi di odio e discordia”, fino al “monumento auto-celebrativo è un invito al disastro”.
Di certo è che nel Burj Khalifa sono state impiegate le piὺ attuali tecnologie progettuali e costruttive, tenendo anche in considerazione gli elementi ambientali come il vento pari ad una velocità di 250 km orari, le oscillazioni apicali e le differenze di temperatura fra la sommità e la base assimilabili ad un cambio di stagione. Le vetrazioni sono il meglio a disposizione, la livrea argentea del gioco pirotecnico dei cristalli specchianti è posta in funzione di un clima esterno dalle alte temperature e per le decise escursioni termiche. Un severo impegno per gli esperti del microclima avendo di fronte l`obiettivo di rendere vivibile un volume di straordinaria complessità abitativa. Ma i record, anche i piὺ estremi, hanno la prerogativa di essere abbattuti. Altre altissime torri fino a 1200 metri di altezza si stanno annunciando per i prossimi anni, in una competizione fra Paesi mediorientali, asiatici e Cina.
Sappiamo che ancora sarà un cristallo brillante e prestazionale ad oltrepassare le nuvole.
Ne seguiremo gli sviluppi aspettando la prossima notte dei record.

L’EVENTO
Ferraraitalia sono anch’io: il concorso

È arrivata l’estate e con lei gli inevitabili consigli per le letture estive da gustarsi sotto l’ombrellone o le fresche fronde di un bosco di montagna oppure seduti in un caffè durante una pausa del vostro tour in una città d’arte.

Invece di scegliere al posto vostro, noi di Ferraraitalia abbiamo pensato di chiedere a voi che ci seguite quali sono gli articoli che vi piacciono o vi sono piaciuti maggiormente in questi mesi e di consigliarli a chi come voi segue il nostro lavoro perché li possa leggere on-line dovunque si trovi quest’estate.

È un modo per tenerci in contatto ovunque siamo anche durante queste vacanze estive e dimostrarvi che per noi della redazione la vostra opinione conta. Ecco perché abbiamo scelto il titolo “Ferraraitalia sono anch’io”: da domenica fino a fine luglio ci aiuterete a scegliere gli articoli che ripubblicheremo nel mese di agosto.

Ecco come: fino al 31 luglio visitate la nostra pagina Facebook, pubblicheremo tre articoli dal nostro archivio che voi potrete votare dalle ore 7 alle ore 21 di ogni giorno semplicemente cliccando “mi piace”. Verranno conteggiati esclusivamente i “mi piace” ottenuti da ogni singolo articolo il giorno stesso della pubblicazione.

Al termine del contest, gli articoli che avranno ricevuto più voti saranno riproposti e ripubblicati sulla nostra testata durante il mese di agosto.

LETTURE
Grazie alla vita

Grazie alla vita che mi ha dato tanto
mi diede due stelle
che quando le apro
perfettamente distinguo
il nero dal bianco
E nell’alto del cielo
Il suo sfondo stellato
E tra le moltitudini
L’uomo che amo
Grazie alla vita che mi ha dato tanto (….)
Gracias a la vida”, Violeta Parra

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Le orme dell’orso

Ho atteso un po’ prima di affrontare questa lettura. Ho tentennato, ammetto, ho preso tempo. Temevo il contatto e il confronto con il dolore, con la sofferenza legata all’abbandono, con il sangue vivo di ferite non ancora ben rimarginate. Tuttavia sapevo, ne ero sicura, che vi avrei trovato coraggio, amore, ardore e passione, insieme a tanta vita vissuta intensamente e che, ancora e sempre, avrebbe cercato intensità, avventure e riscossa.
Adriana, la titolare dell’omonimo salone Valles, è tutto questo, e chi la frequenta lo sa bene. Conosco questa splendida donna da qualche anno – troppo poco – e anche per questo non osavo entrare in una simile intimità, per timore di violarla. Non osavo varcare la soglia di momenti felici e infelici, toccare la passione di qualcuno, come lei, che sfioravo ogni tanto ma che ogni volta sentivo sempre così vicino. Una corrispondenza di sentimenti e di punti d’incontro che si manifestava sempre, anche solo sfiorandosi i pensieri, scambiandosi le sensazioni di donne e di figlie. E poi ho preso il libro, mi sono decisa, mi sono detta che se Adriana aveva voluto quelle pagine era anche per dirci qualcosa, oltre che per percorrere un cammino liberatorio di pace con se stessa e i propri fantasmi. E allora l’ho sfiorato con delicatezza e con leggerezza, sottile ed esile com’era, accarezzato, girato e rigirato e… divorato. Un baleno di emozioni, un lampo luminoso di momenti unici, consapevoli, dolci e amari, autentici e indimenticabili, intensi, generosi, commoventi, toccanti, penetranti.

Ammiro Adriana per la sua bellezza, dentro e fuori, per le sue mani leggere che ti pettinano e ti fanno sentire donna, bella, elegante, sensuale, insostituibile, unica. Ogni volta che entravo nel suo salone, di rientro dai miei lunghi viaggi, avevo l’impressione di tornare a casa, di accomodarmi su una poltrona calda e comoda che qualcuno teneva li’ sempre pronta per me. E la sensazione non cambiava, anzi si ripeteva ogni volta, con sempre maggior forza. Quel salone non era e non è un luogo come tanti, qui si percepisce il calore, la complicità, la generosità, l’abbraccio, la musica, la poesia, ci si sente quasi sfiorati da una leggera bacchetta magica che accarezza i pensieri e i riflessi delle luci sui tuoi capelli. E in queste pagine abilmente ricamate dalla ferrarese Francesca Boari, subito si coglie questa voglia di Adriana di renderti unica. Perché lei stessa dice immediatamente che “mi piaceva mettere le mani tra i capelli delle donne, mi sembrava che ogni volta mi affidassero un piccolo passo verso una trasformazione, verso uno dei tanti volti che abitano in quella parte remota di noi che sveliamo piano piano, specie se riusciamo a incrociare sulle nostre strade un tramite che ci dia accesso alla nostra intimità. Le guardavo entrare nel negozio e mi piaceva ascoltare tutto quello che dicevano e anche i loro silenzi. Al lavatesta appoggiavo delicatamente le mie mani tra i loro capelli e sognavo di essere io quel tramite che le avrebbe rese anche solo per un istante felici di specchiarsi”.

La nonna Celestina illumina tutto il percorso di una donna che sa di profumo di gelsomino, di fresca acqua di colonia, di ali d’angelo. L’amore dà l’anima a tutto il resto, dal marito Sergio al figlio Giacomo, un amore per la vita stessa che accende ogni giorno a spazza via ogni nuvola. In queste pagine si percorre la bellezza, spesso messa in ombra dal grande dolore dell’abbandono materno, ma riscattatasi in un affetto ritrovato, tardi negli anni, che, in un grande abbraccio finale, avvolge magia, incanto e luce del perdono. Non una semplice storia di un salone di bellezza, nel senso più profondo della parola, ma vere meraviglie del cuore, Memorie di Adriana.

Francesca Boari
L’autrice Francesca Boari

Francesca Boari, “Le orme dell’orso”,

edizioni Esav, 2014, 63 p.

L’APPUNTAMENTO
Ferrara-New York sulle note di un pianoforte

Termina oggi il programma di Ferrara International Piano Festival, dedicato a uno degli esponenti del tardo romanticismo, il compositore russo Alexander Skriabin, di cui ricorre il centenario della morte.

logo Ferrara Piano Festival
Il logo di Ferrara Piano Festival

Ferrara Piano Festival è l’associazione fondata a New York dal pianista ferrarese Simone Ferraresi con lo scopo di organizzare annualmente il festival e rendere così Ferrara più conosciuta all’estero. Il festival, infatti, organizza masterclass con pianisti di fama mondiale per giovani talenti provenienti da Italia, Polonia, Francia, Malesia, Cina, Stati Uniti e Olanda. In contemporanea offre alla città e al pubblico ferrarese e non solo una serie di appuntamenti imperdibili per tutti gli appassionati di musica classica.

Ecco il programma di oggi:

ore 17.30 presso il Ridotto del teatro Comunale: “Alexander Skriabin, cento anni dopo”, a cura di Luigi Verdi e Roberto Becheri con interventi di Dario Favretti e Simone Ferraresi (ingresso libero).

ore 21.00 presso Palazzo Costabili, sede del Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, Firenze Piano Duo.

In occasione del concerto di chiusura dell’International Piano Festival 2015 il Museo Acheologico Nazionale di Ferrara organizza alle ore 19.30 una visita alle raccolta museali, a cura delle archeologhe Griggio e Timossi del Progetto MiBACT “1000 giovani per la cultura”.

Per maggiori info www.ferrarapiano.org oppure cicca qui

Immagini di Ferrara Piano Festival. [Clicca sulle foto per ingrandirle]

Ferrara Piano Festival edizione 2014
Un concerto dell’edizione 2014 a Palazzo Costabili
Ferrara Piano Festival edizione 2014
Un concerto dell’edizione 2014 al Ridotto del Teatro Comunale di Ferrara

SALUTE & BENESSERE
E’ tutta una questione di glutei

La sindrome emorroidale è tra le più diffuse patologie nei paesi occidentali. A favorire l’infiammazione delle emorroidi è il nostro tipico stile di vita: dieta povera di fibre, stress, cibi spazzatura, cattiva postura, obesità e scarso movimento e poca attività fisica.

Ma cosa sono le emorroidi? Ognuno di noi le ha, perché servono a migliorare la continenza anale. Sono strutture vascolari del canale anale dotate di “valvole” che, aprendosi, favoriscono l’afflusso di sangue nell’ano, parte terminale del retto, molto ricco di vasi sanguigni, arterie e capillari. Così facendo si gonfiano, chiudendo l’ano e aiutando la continenza di liquidi e gas. Le emorroidi sono sia interne, ricoperte di mucosa rettale e quindi insensibili al dolore, sia esterne, ricoperte di una strato di pelle particolarmente sensibile.

Quando c’è un malfunzionamento del sistema che regola la tensione dei cuscinetti emorroidali, questi possono rimanere gonfi per lunghi periodi e, sformandosi, non rientrare nella loro posizione originale. Non c’è una causa univoca e precisa dell’insorgenza delle emorroidi, a provocare questa patologia è piuttosto una serie di fattori legati tra loro. Alla base possono esserci fattori meccanici, che dipendono, per esempio, da un indebolimento della mucosa del canale rettale dovuto all’età oppure a stipsi cronica. Ci sono però anche altri elementi che ne possono favorire lo sviluppo:

  • familiarità o predisposizione ereditaria;
  • diarrea cronica e/o abuso di lassativi;
  • dieta povera di fibre;
  • lavoro estenuante o sforzi eccessivi;
  • obesità;
  • vita sedentaria;
  • gravidanza;
  • alcune attività sportive come ciclismo, equitazione, motociclismo.

Esiste una classificazione delle emorroidi sulla base delle manifestazioni cliniche e che deve essere sempre diagnosticata dopo un attento esame clinico da parte del medico e/o dallo specialista proctologo.

Le emorroidi hanno una serie di sintomi molto precisi, non necessariamente tutti presenti:

  • sanguinamento durante la defecazione, con perdita di sangue rosso vivo;
  • dolore, di tipo acuto o cronico, legato alle emorroidi esterne, in genere è causato dall’insorgenza di una ragade, ematomi o ascessi;
  • prolasso: le emorroidi e la mucosa rettale fuoriescono dal canale anale;
  • prurito e bruciore anale, insieme ad una produzione eccessiva di muco che può causare anche lo sviluppo di infezioni o micosi.

Nei casi meno gravi spesso è sufficiente adottare piccoli accorgimenti per prevenire le fasi acute: è consigliabile praticare attività fisica e seguire una dieta ricca di fibre, in modo da mantenere un corretto e regolare transito intestinale e, di conseguenza, limitare l’insorgenza della patologia emorroidaria. È utile anche bere almeno 1,5 – 2 litri di acqua al giorno: insieme a una dieta ricca di fibre, infatti, facilita l’evacuazione e favorisce l’equilibrio della flora batterica intestinale.

Ecco i cibi da preferire in caso di stipsi e per prevenire le emorroidi:

  • legumi freschi e secchi come fagioli, lenticchie, piselli;
  • frutta secca come prugne secche, uvetta, fichi secchi, noci;
  • pane e pasta integrale;
  • frutta e verdura fresca;
  • avena e cereali integrali;
  • yogurt

Altri consigli utili:

  • consumare i pasti senza fretta e con regolarità;
  • dedicare tempo alla colazione.
  • non fare sforzi eccessivi ed evitare una defecazione prolungata.

Infine, lavarsi con acqua tiepida e sapone acido e asciugarsi tamponando delicatamente con un panno morbido. Evitare assolutamente l’applicazione di ghiaccio, che peggiora i sintomi, meglio utilizzare alcune pomate locali, che alleviano i sintomi e aiutano il rientro spontaneo delle emorroidi.

La regolare attività fisica deve mirare a tonificare gli arti inferiori e soprattutto i muscoli dei glutei. Tra le altre attività consigliate per scongiurare l’insorgenza delle emorroidi sintomatiche ci sono: il tapis roulant, la corsa, la ginnastica posturale, lo stretching dolce, gli esercizi di fitness, lo yoga ma anche il nuoto e gli esercizi di acquagym, tutte mirno a stimolare il rilassamento e, nello stesso tempo, la tonificazione della muscolatura addominale e del pavimento pelvico, oltre a favorire una regolare circolazione del sangue. Per prevenire la formazione della patologia emorroidaria si possono poi svolgere con costanza semplici esercizi basati sulla tecnica di tensione e rilascio della muscolatura che interessa il canale rettale: consistono nello stringere i glutei per due secondi e poi rilasciarli; il movimento deve essere eseguito più volte consecutivamente, diverse volte al giorno.

LA RIFLESSIONE
Cittadini europei: tra supremazia dell’economia e dignità perduta

Chiari segnali intorno a noi raccontano della supremazia dell’economia sulla politica. La cosa è nota, palpabile, ossessivamente ripetuta in mille modi diversi dai media e a tutte le ore del giorno e per tutte le intelligenze. Diventa scontato, quindi, che un governo nulla possa contro le fluttuazioni della Borsa e, nel caso dell’Eurozona, sia pacatamente alla mercé dello Spread, della Bce e del Fmi. Ovvio anche che personaggi come Draghi o la Lagarde possano decidere della vita e della dignità di interi popoli.
Elezioni, referendum e voleri popolari sono stati del tutto accantonati in nome del dio denaro. Le politiche monetarie invadono la vita di tutti i giorni e gli umori della finanza determinano la crescita o la distruzione dei Paesi. Presidenti del Consiglio giustificano sofferenze, tagli alla spesa e ai servizi per conto dei mercati, parlano di austerità necessaria oggi per alleviare i peccati del passato in nome di una crescita futura, sempre più vaga e lontana, impalpabile ai più.
Non ricordiamo quando tutto questo sia iniziato, per i più il punto di rottura è stato il 2008 con il fallimento della Lehman Brothers ma io proverei ad andare più indietro, cercare tra le righe di innumerevoli piccole e grandi riforme che hanno visto la politica abdicare ai propri doveri. Ad esempio nel 1981 la Banca d’Italia “divorzia” dal Ministero del Tesoro ed inizia l’era del debito pubblico incontrollato. Come non ricordare il 1992 e l’allora Presidente del Consiglio Amato che in nome della salvezza della Patria regalava agli italiani le prime finanziarie lacrime e sangue insieme a un prelievo forzoso dai nostri conti correnti. E poi il Trattato di Maastricht, il Patto di stabilità e crescita, l’eliminazione della separazione delle banche commerciali e banche d’investimento, il ‘bail out’ (salvataggio delle banche attraverso l’intervento degli Stati quindi aumento del debito pubblico che pagano i cittadini) e oggi ‘bail in’ (ovvero la possibilità che anche piccoli azionisti o correntisti siano chiamati a salvare direttamente le banche, quindi pagano ancora i cittadini), limiti alla spesa pubblica e austerità a carico dei più deboli.
Comunque il 1992 fu annus horribilis. Si iniziò a interiorizzare la parola default e si partì con la storia da imparare a memoria che avevamo vissuto al disopra delle nostre possibilità e quindi iniziarono le grandi svendite del patrimonio pubblico. Ma dopo ventitré anni ancora non siamo riusciti ad espiare le nostre colpe nonostante le ricette miracolose provenienti da sinistra, destra, centro nonché dai governi tecnici. Oggi poi abbiamo una specie di ibrido al governo, dice di essere di sinistra, fa cose di destra che nemmeno alla destra piacciono ma di sicuro riceve il plauso dei grandi industriali, dei mercati e della finanza.
La gente continua ad approvare perché in fondo non c’è scelta, il dio denaro chiama e il governo deve rispondere. In natura però non è così, normalmente è l’uomo che decide come utilizzare le cose e non il contrario. In genere un metro non vive di vita propria ma ci dice esattamente quanto misura una stanza e una bilancia non impone dei chilogrammi in più o in meno all’oggetto che decidiamo di pesare. Potrebbe farlo solo se la persona che lo controlla decidesse di barare. Anche il denaro è una misura (di valore) ma sembra le abbiamo attribuito vita propria e nel nome di una misura sacrifichiamo le nostre vite, con il consenso di chi non vede altra scelta.
Ma tutto questo è una finzione, la politica non nasce subordinata all’economia o al denaro ma solo ai bisogni dell’essere umano e dei cittadini. Lo è diventata quando degli uomini hanno deciso che gli interessi di pochi dovessero prevalere sulle masse, in maniera lenta per non suscitare reazioni, abituandola attraverso proclami, gli slogan, le pubblicità ingannevoli.
Le politiche economiche e monetarie dovrebbero essere indirizzate al benessere dei cittadini, ma perché lo siano devono necessariamente essere orientate dalla politica, la buona politica, quella degli statisti che oggi purtroppo non abbiamo, ma guai a perderne del tutto la visione. Siamo in tempo per il risveglio, gli schiaffi che stanno destinando alla Grecia dovrebbero insegnarci qualcosa, aprire uno spiraglio nella nebbia dell’insofferenza e dell’accondiscendenza di questi ultimi trent’anni vissuti non al disopra delle nostre possibilità ma al disotto della nostra dignità.

Foto di Christian Hartmann/Reuters per Pri’s The World

IL FATTO
Informazione libera, gran volata per il crowdfunding

Mancano tre settimane per arrivare al traguardo del nostro crowdfunding, ma il risultato fin qui raggiunto è già un successo. Si, perché la media italiana, è di tremila euro. Noi li abbiamo oltrepassati, siamo infatti arrivati a quota tremila 150. Un bel risultato per noi e per Ferrara, che ha dimostrato davvero di essere un passo avanti. Perché il nostro è il primo esperimento di questo tipo in ambito giornalistico fatto in città e nel territorio. Speriamo di essere pionieri per altri.
Ma noi vogliamo andare oltre e arrivare entro il 31 luglio a 5mila euro. Questa è la vera sfida.

Intanto ringraziamo chi ha dato e darà il proprio contributo per un progetto di informazione libera e indipendente. Quella che a parole reclamiamo tutti e di cui oggi possiamo essere concretamente partecipi. Sostenere significa infatti partecipare. FerraraItalia nasce e vuole continuare a crescere come quotidiano che assicura ai cittadini il ‘diritto’ di essere informati e sollecita il ‘dovere’ di informarsi.

Se volete essere con noi, contribuite già oggi cliccando [qua] per un versamento online o contattandoci all’indirizzo interventi@ferraraitalia.it per un versamento diretto.
Saremo presenti con un nostro banchetto anche mercoledì 29 luglio al Giardino delle duchesse dalle 20 alle 23 nell’ambito della rassegna Autori a Corte.

FRA LE RIGHE
Dopotutto, la felicità

Spariscono le sue figlie e scompare anche lei, Irina, la mamma, assediata da una ricerca che non trova risposte. Non sa più dove siano Alessia e Livia, due gemelle di appena sei anni, partite con il padre che fa perdere le tracce. Il loro amore era finito, era finita anche quella parte di vita subìta da Irina, quando viveva le umiliazioni quotidiane di un marito che le infilava ovunque, come le più consolidate abitudine domestiche. Irina cerca le sue figlie ovunque, una madre lo fa, non cede anche quando le indagini finiscono. I minuti dell’attesa sono più lunghi degli anni passati, perché i minuti sono quel tempo in cui ti rendi conto cosa manca, specie in assenza di chi ami. Irina, questo lo pensa e lo vive ogni istante.
Poi un giorno, dall’altra parte del mondo, arriva Louis che rimette insieme i brandelli di una donna che non si riconosce più. E’ possibile che una madre sopravviva e riparta con un dolore così? Sì, è possibile. La felicità ancora esiste, Irina lo capisce quando la trova dentro di sé e non da altre parti, quando sente il tempo per quello che è: adesso, senza retrospettive, né proiezioni.
Louis è un nuovo amore che non toglie nulla a ciò che è stato, “toglie lo zaino dalle spalle quando pesa troppo”. In bilico tra ricordare (ricondurre al cuore) e dimenticare (portare lontano dalla mente), Irina trova un nuovo equilibrio, con Louis vicino.

Mi sa che fuori è primavera“, Concita De Gregorio, Feltrinelli, 2015, un libro a sostegno di Missing Children Switzerland.

IL CASO
Toccare il cielo con un cristallo

La notizia è di quelle che fanno rumore nel mondo dell`architettura, di quello industriale collegato e dei grandi record contemporanei: il principe Al-Waleed bin Talal, ricco uomo d`affari da oltre 20 miliardi di dollari e membro della famiglia reale Saudita, procederà da ora senza sosta con i lavori per la costruzione della sua futura torre in acciaio e cristallo, la Kingdom Tower, prevista a Gedda per il 2019. Una freccia scoccata nel punto più alto del mondo, pare oltre i 1000 metri, si mormora 1008 metri, ma ancora non è precisato il dettaglio finale.

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Il rendering della Kingdom Tower.

Prosegue di slancio nel terzo millennio ciò che dalla notte dei tempi è il sogno coltivato nella mente di uomini potenti, re e imperatori: ostentare attraverso il simbolo di una costruzione verticale che raggiunga e superi il cielo, oltre le nuvole, il potere inaccessibile ai più, il raggiungimento di una congiunzione tangibile fra il tempo terreno e il sovrannaturale, sospeso fra l`inquietudine, il tormento, la fama e l`insonnia degli architetti incaricati.
Gli esempi non mancano: dalla torre di Babele prepotente icona non ancora svelata appieno alta pare 90 metri, le piramidi egiziane alte oltre 140 metri o delle civiltà precolombiane nel Nuovo mondo, alle torri medievali cresciute nel tessuto urbano all`interno della competizione fra le varie famiglie nobiliari e i comitati d`affari, (a titolo di esempio fra le 100 stimate costruite in quel tempo a Bologna, la Torre degli Asinelli misura in altezza 98 metri) e, solo come modello dei tempi che stavano cambiando, la parigina Tour Eiffel alta 301 metri e simbolo dell`Esposizione Universale del 1889.
Dal XX secolo, con la costruzione delle prime torri americane, la Chrisler tower, la Trump tower, l`Empire State Building, se il successo commerciale e l`immagine rimangono la motivazione determinante, è la speculazione immobiliare che diviene trainante. Grazie al contributo delle nuove tecnologie progettuali e costruttive combinate all`innovazione dei materiali di rivestimento utilizzati nelle nuove torri, si introduce l`epopea dell`acciaio e del vetro quale abito conveniente e d`impatto, e diversi decenni dopo anche virtuoso e sostenibile.
Dagli anni Trenta del `900 le architetture verticali rappresentano i luoghi, sono i landmark per eccellenza. Archistar di tutto il mondo si sono confrontate, per la verità non sempre in modo originale, per far sì che il loro committente potesse toccare il cielo con un cristallo. Una grande emozione conquistarle queste vette e ve lo racconteremo.

Per vedere un breve video sulla costruzione delle Kigdom Tower clicca qui.

CONTINUA

L’INTERVISTA
L’AnarChic Vitaldix riporta in volo gli ‘angeli tremendi’

Vitaldo Conte/Vitaldix. Scrittore e teorico d’arte. Docente di Storia dell’arte all’Accademia di belle arti di Roma, dove vive. Come artista ha partecipato ad alcune centinaia di eventi e performance, esposizioni personali e collettive, in Italia e all’estero. Come teorico-performer ‘ri-nasce’ nel 2009 con il nome di Vitaldix.

Vitaldo, nei tuoi lavori costante l’interfaccia dell’arte contemporanea e – per dirla con lo stesso Renato Barilli o Marshall McLuhan o Carmelo Strano,dell’ estetica tecnologica? Un approfondimento?
L’arte contemporanea non può rifiutare oggi il rapporto con l’estetica, o meglio con la sinestesia tecnologica, sia in chiave di congiunzione di linguaggio e sia in chiave di riflessione critica. La tecnologia come linguaggio d’arte tende sempre più a incamerare, come nel mio lavoro teorico-artistico, le spinte visionarie e immaginali dell’essere (la spinta verso gli estremi confini del conoscibile), anche se a detrimento talvolta della sensorialità naturale che per non soccombere deve trovare in questa una propria ‘extreme extension’. Tutto ciò può divenire una meta-narrazione delle pulsioni translate nel gioco-rito della creazione.

Conte, più nello specifico, uno zoom in merito sui tuoi ultimi lavori pubblicistici?

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Opera di Vitaldo Conte

I miei attuali interessi teorici sono prevalentemente sul corpo come pagina e libro d’arte, fino alle sue estreme espressioni nel segno-ferita e nella Beauty art, presenti pure nelle sue maschere virtuali. In queste poetiche tradizione e avanguardia si congiungono nella vocazione di una scrittura che vuole evadere dai confini della pagina e tela. Un altro aspetto che sto approfondendo riguarda il Dada nelle sue molteplici anime.

Vitaldo in Vitaldix, anche costanti azioni performative, un florilegio?
Diverse sono state infatti le mie azioni performative negli ultimi tempi in rassegne varie. In queste la mia parola teorica è diventata azione-musica rituale e pulsionale di fuoriuscita espressiva, attraverso il mio avatar Vitaldix in compagnia delle T Rose. Come nel caso del mio ultimo evento: nella manifestazione sulle “Letture dell’Angelo” a Rocca Massima (Latina), ideata da Ugo Magnanti, in cui corpo e tecnologia si uniscono in un filo di una fune aerea, la più lunga del mondo, per esprimere un volo di poesia e arte. Ho dedicato il mio volo, che si svolgeva nel giorno del solstizio d’estate di quest’anno, agli “angeli tremendi” di Rilke e al Centauro auspicato da Marinetti.

Conte, riassumendo, quello che tu chiami Trans art e/o Futurdada o/e Transfuturismo, significa in un certo senso, dare un cuore e desiderio alla tecnoscienza? L’arte “elettronica” ha questo importante ruolo oggi, nonostante crisi contemporanea e economicismo dominante?
Le mie definizioni che hai citato auspicano infatti una tecnoscienza con in dotazione cuore e desiderio, che possono avere la maschera simbolica di una rosa rossa: come ho scritto in AnarChic, nel colloquio-intervista con Marco Fioramanti su NightItalia 9 (giugno 2015). Queste peculiarità sono fondamentali per esprimere una immagin/azione senza confini, che può essere un deterrente alle attuali crisi e imposizioni del cinismo economico-finanziario. La sfida alle stelle futurista può oggi essere vissuta come una reale possibilità di espressione, cercando la propria rotta nel caso come nelle vocazioni dadaiste.

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Vitaldo Conte

Fra le pubblicazioni: “Nuovi Segnali” (Antologia con audiocassetta sulle poetiche verbo-visuali e sonore italiane anni ‘70-’80, 1984); “Dispersione” (2000); “Anomalie e Malie come Arte” (2006); “SottoMissione d’Amore” (2007); “Pulsional Gender Art” (2011); “Avanguardia 21”, AA. VV.; “Marinetti 70. Sintesi della critica futurista” (a cura di A. Saccoccio e R. Guerra, Armando, 2014). Fra gli ebook: “Fuoripagina TransArt” (2014); “La Carmelina. Fra le mostre pubbliche curate: “Dispersione” (Foggia, 2000); “Malie plastiche” (Foggia, Lecce, 2002); “Anteprima XIV Quadriennale” (Palazzo Reale, Napoli, 2003-04); “Julius Evola” (Reggio Calabria, 2005-06); “Mistiche bianche” (Reggio Calabria, 2006); “DonnaArte” (Trepuzzi, 2007); “Eros Parola d’Arte” (Lecce, 2010). Poeta (lineare, verbo-visuale, video, sonoro-spettacolare) con pubblicazioni, cartelle, dvd, ecc.

Per saperne di più visita il sito di Vitaldo Conte cliccando qui.
Per vedere il video “Letture dell’Angelo” a Rocca Massima (Latina) clicca qui.

L’INTERVISTA
Simone Folletti, dalla Spal alla Juve il preparatore delle stelle

Umile e tenace, orgoglioso di aver raggiunto traguardi prestigiosi nella sua carriera. Simone Folletti è il capo preparatori atletici della Juventus. Da giovane giocava a calcio, poi è stata la pallavolo a rapirlo: “Ho fatto tutte le categorie del settore giovanile fino alla juniores in una squadra dilettantistica della provincia e poi ho virato sulla pallavolo, mi piaceva di più. La passione per lo sport me l’ha passata mio padre (giocatore di calcio a buon livello, ndr), ma fu il prof. Bellettini – mio insegnante di educazione fisica – a incoraggiarmi a lavorare nel mondo dello sport, al punto tale che già alle medie avevo in mente di fare l’Isef”. Un’idea che si è tramutata in realtà a Urbino e che si è perfezionata durante degli studi condotti al Centro biomedico diretto dal professor Conconi a Ferrara. “Ho cominciato per caso, durante il periodo universitario ho ricevuto la chiamata di un amico fisioterapista – Andrea Cavallini – e la mia avventura ha avuto inizio. Ho seguito Rudy Grazzi alla guida della Poggese. Dopo questa esperienza, e quella come coordinatore dell’attività del settore giovanile dell’Argentana, fui chiamato per svolgere la preparazione estiva alla Berretti della Spal con allenatore proprio Grazzi. Fu allora che feci colpo su Bozzao ed entrai nel settore giovanile della Spal dove ebbi modo di collaborare anche con gli Allievi nazionali guidati da Riccardo Righetti e con Fabio Mastrocinque nella stagione seguente alla Berretti… passo dopo passo sono arrivato sino alla finale di Berlino di qualche settimana fa.”
Quello del preparatore atletico è un ruolo spesso bistrattato e preso in causa solo nei momenti negativi: “È un ruolo svolto “dietro le quinte” come giusto che sia, ma spesso siamo i primi imputati quando ci sono infortuni, anche se le cose stanno lentamente cambiando. Bisogna capire che è pur sempre un incarico di supporto all’allenatore e lo considero uno dei mattoni che formano il muro di una squadra di calcio.” Un lavoro in cui Folletti crede fortemente: “Se non ci credessi non lo farei. Oltre agli aspetti tecnici, mantenere una preparazione fisica ottimale è il modo migliore per affrontare il calcio moderno che, personalmente, cerco di vivere come un gioco, pur conscio della grande responsabilità che il mio ruolo richiede. Non nego che ogni volta che indosso la divisa del club a cui appartengo le emozioni sono sempre fortissime. Mi rendo conto di far parte di una storia formata da tante storie diverse ma grandissime e sono orgoglioso di farne parte. Il ‘bambino’ in ognuno di noi è il motivo per cui ancora oggi vedo questo sport così: sono contento di condurre la mia professione in questa maniera e credo che questo si rispecchi nella quotidianità. Viviamo di emozioni e sono convinto siano queste a farci percepire l’importanza di ciò che stiamo vivendo: non è giusto abbattersi o esaltarsi nelle vicende che affrontiamo, ci vuole equilibrio”. Preparatore atletico alla vita, verrebbe da dire.
Allenare venti, trenta giocatori, e di conseguenza affrontare storie differenti non è semplice: “Abbiamo a che fare con ragazzi di estrazione e culture diverse: i più maturi capiscono e vivono l’evento sportivo nella sua totalità, altri magari faticano a capire l’utilità di uno sforzo fisico notevole e allora bisogna instaurare un rapporto di fiducia fondamentale per crescere insieme. Il contatto quotidiano con loro è il modo migliore per generare una relazione personalizzata con cui creare affettività e dar vita a legami importanti per lavorare bene. E’ un donarsi per ricevere, creando empatia. Il giusto mix, per me, è l’approccio pratico coadiuvato da conoscenze scientifiche. Le sfaccettature e i vari casi, giocatore per giocatore, si imparano strada facendo.”
La preparazione atletica rischia, di questi tempi in maniera particolare, di diventare moda: “Ogni anno sembra ci sia un nuovo modo di allenare e tutti sembrano impazzire per quello; per fare un esempio, il modo di gestione della palla degli spagnoli negli anni scorsi sembrava qualcosa di rivoluzionario. Ci sono culture che permettono un determinato tipo di preparazione con il pallone mentre credo ci debbano essere esercitazioni in cui ci sia un certo bilanciamento: lavoro con la palla e a secco, soprattutto durante la preparazione precampionato. Far fatica aiuta a sopportare le difficoltà, anche nella testa”. La parte fisica è importante, ma non bisogna dimenticare l’aspetto mentale, molto rilevante al giorno d’oggi: “E’ una delle componenti più trascurate nel quale ci sono maggior margini di miglioramento: tanti la snobbano, considerandola una debolezza, invece penso che la nostra mente abbia un potere clamoroso che nei momenti più difficili dello sforzo fisico ti possa aiutare. Il celebre motto della Juventus “fino alla fine”, nel nostro ambiente si percepisce e i giocatori l’hanno fatto loro, te lo posso garantire.“
Folletti racconta come ha variato in questi anni di lavoro pur mantenendo sempre fede alla sua indole: “L’atteggiamento professionale è sempre quello dei tempi della Spal. Quando lavoro sono un professionista e mi piace che le cose vengano fatte in un certo modo, anche se con il tempo e grazie a Mr. Allegri e Marco Landucci ho imparato ad essere più elastico: se prima imponevo un dogma, ora attraverso il dialogo con l’atleta cerco la soluzione giusta”. La capacità nel comunicare con giocatori che hanno caratteri diversi l’ha appresa col tempo: “In questo mi hanno aiutato il dott. Pecciarini e il dott. Vercelli, due esperti di psicologia applicata allo sport (in particolare quest’ultimo ha seguito atleti olimpici) che mi hanno fatto conoscere modalità e punti di vista differenti per approcciare l’atleta. È un percorso molto personale, con un continuum tra i due mental coach (prima al Milan e ora alla Juventus) che serve a me per rapportarmi meglio coi giocatori che alleno. Abbiamo trovato insieme qualche via che ci ha aiutato a raggiungere obiettivi comuni coi giocatori: quest’anno ho cercato un rapporto più personale con ognuno di loro, soprattutto con chi è predisposto alla conoscenza e si dimostra recettivo e voglioso di capire il lavoro. Credo fermamente nell’individualizzazione dell’allenamento. In base alla mia esperienza propongo esercizi personalizzati a ogni giocatore sempre nel loro interesse pur non stravolgendo coloro che hanno una tabella di marcia prestabilita da tempo che da’ loro frutti.”
Non di rado però, la preparazione atletica viene messa alla prova da fattori esterni che fanno sì che non ci sia continuità di lavoro: “Se uno potesse scegliere, credo che la montagna sarebbe il luogo più adatto: le temperature di lavoro più miti riescono a far rendere meglio gli atleti visto che sono previsti doppi allenamenti ogni giorno. Purtroppo però, gli sponsor e le tournée all’estero (sempre finalizzate ad acquisire introiti) non sempre agevolano il nostro lavoro durante la preparazione estiva. Il nostro obiettivo è mantenere un livello prestativo medio-alto per tutto il periodo della stagione: quest’anno abbiamo avuto un trend sempre positivo, testimoniato anche dal fatto che siamo stati in testa al campionato dalla prima all’ultima giornata. Non abbiamo avuto momenti particolarmente difficili, se non un lieve calo a gennaio con qualche pareggio di troppo poiché volevamo mettere benzina nella gambe dato che da febbraio avremmo giocato ogni tre giorni: abbiamo chiesto sforzi extra ai ragazzi che hanno avuto la capacità di capire che quello era il momento giusto per faticare ancora di più se volevano raggiungere risultati notevoli. Hanno caratteristiche fisico-tecniche e mentali che li rendono di un altro livello. Ci sono ragazzi che venivano da realtà (Inghilterra e Spagna) secondo cui fare la preparazione fisica non era necessario: la soddisfazione più grande è stato vedere come loro si ricredessero riconoscendo che dal lavoro, e non solo dalla parte tecnica, si raggiungono i risultati. Se riesci a piantare il seme e far crescere la pianta del lavoro dentro di te, è quello che poi ti porterà a grandi risultati per sempre: tanti sforzi e sacrifici che poi ti portano a vincere come squadra e a formarti come giocatore di livello, togliendoti enormi soddisfazioni”.
Sforzi fisici che in alcuni casi e in altre società, sono stati agevolati da sostanze non consentite: “Il doping non è una leggenda, ci sono state persone incriminate e purtroppo è, o è stata, realtà. Nelle società in cui sono stato, sarò ingenuo, non ho mai avuto sentore che ci potessero essere pasticci di questo tipo. Il reintegro idro-alimentare è normale che venga attualizzato ma che io sappia, sempre dentro la normalità delle cose”.
Riprende: “Il lavoro metabolico, legato ad un lavoro di forza, è alla base di una buona preparazione fisica. Inoltre, come club distribuiamo programmi personalizzati per prepararci al meglio durante le vacanze: ciò è frutto del lavoro di varie aree che collaborano alla gestione dei calciatori, creando un rapporto di collaborazione e sintonia. Le quattro aree principali sono: la tecnico-tattica, la performance – che è quella di cui mi occupo io – l’area medica-nutrizionale e quella mentale. Se queste aree lavorassero a compartimenti stagni il meccanismo non funzionerebbe. Anche la dirigenza all’interno del club risulta molto presente in maniera costruttiva e ciò, dal mio punto di vista, è impagabile.”
Una condivisione che, specialmente con l’allenatore, ha portato i suoi frutti: “Con mister Allegri ci basta uno sguardo per capire cosa c’è che va o che non va, la fiducia è determinante per lavorare in modo sereno. È grazie a questa che si crea affettività e di conseguenza si rende meglio anche sul lavoro. Lui è il responsabile di tutti noi collaboratori, il confronto sui programmi di lavoro è quotidiano ed è proprio durante questi incontri che si decidono le esercitazioni ed i tempi dell’allenamento.
Non c’è stato feeling immediato al suo arrivo alla Spal. Ricordo un nostro incontro in ritiro a Casole Bruzio con lui febbricitante in stanza ed io (alla prima esperienza in una prima squadra professionista) che gli spiegavo il mio modo di lavorare: da lì è stato un crescere di stima e ammirazione reciproca. Vede sempre il lato positivo delle cose – anche quando sono molto negative – e ha sempre una parola per stemperare la situazione. Io, di contro, tendo a essere iper critico in ciò che affronto e ad abbattermi un po’ e quindi ci completiamo, motivo per cui ho scelto di seguire il mister mentre qualche altro collega si lega alla società (come Tognaccini al Milan e Sassi alla Juventus). Mi piace creare rapporti con le persone e siccome ci devo lavorare a stretto contatto, non è detto che trovi sempre una persona empatica: dal momento che penso di averla trovata e lui crede in me, sono contento di rimanere dove sono, al suo fianco.”
Particolarmente carico di emozioni è stato l’anno appena passato: “Parlando di quest’anno, non abbiamo né rimpianti né rammarico: è stata una stagione straordinaria, forse irripetibile, anche se nulla è impossibile… diciamo che sarà un’altra bella sfida! Aver creato una coscienza collettiva e la convinzione di potersela giocare con tutti alla pari è stato lo ‘step’ su cui abbiamo impostato la nostra cavalcata, specialmente in Champions. Max (Allegri, ndr) ha sempre dichiarato che le potenzialità della squadra c’erano ed era fermamente convinto che potessimo arrivare fino in fondo, pur essendo l’unico all’inizio!” – ride. “E’ stato intelligente nel cambiare mentalità e gioco a piccoli passi, rendendo cosciente la squadra della propria forza giorno dopo giorno: un percorso lungo dieci mesi – probabilmente ancora più bello perché così lungo – che ci ha portato alla finale di Berlino, passando per Dortmund, vero nodo cruciale della stagione, dove abbiamo preso fiducia e abbiamo capito di essere sulla strada giusta. La sua filosofia alla squadra è piaciuta e si è visto, portando accorgimenti tattici ad un gruppo già vincente che quest’anno si è superato”.
Pur lavorando lontano da casa e avendo scisso la passione sportiva (era un tifoso del Milan) dal lavoro, Folletti ci tiene a ricordare come la Spal e la città di Ferrara siano uno dei ricordi più belli: “La Spal è sempre stata nel mio cuore, andavo allo stadio in curva ovest da ragazzo. Nella prima squadra professionista che ho allenato, ho avuto la fortuna di incontrare Ranzani e poi successivamente Bozzao che mi hanno trasmesso la storia della nostra squadra nella nostra città. Mattioli e Colombarini (membri della presidenza attuale) sono venuti a trovarci a Vinovo e poi, per uno strano caso del destino, la squadra ha inanellato le vittorie che per poco non ci hanno portato ai playoff di B. E’ una società che lavora bene e credo che alla lunga potrà portare la squadra a raggiungere risultati fino ad ora insperati. Penso che la dimensione sportiva giusta per la Spal possa essere la serie B, ma mai porre limiti ai sogni… Abbiamo avuto un grande presidente come Mazza che ha cambiato la visione del calcio moderno con l’introduzione del concetto di centro sportivo e della foresteria annessa. Quando Bozzao, mi guardò negli occhi e mi disse ‘per me sei in gamba, vuoi rimanere con noi per tutta la stagione?’ mai ci fu regalo più grande.”
Il futuro però sembra essere lontano dal calcio italiano: “Mi è sempre piaciuto viaggiare, anche con le storie dei giocatori che alleno: è un modo diverso ma pur sempre interessante per farlo. Sono molto attratto dagli sport americani, da come vivono lo sport negli States: non mi dispiacerebbe fare un’esperienza là. Mi piace il loro modo di pensare e l’opportunità di emergere che sono riusciti a dare a tante persone. Tanto è vero che la scorsa primavera, durante il periodo successivo all’esonero dal Milan, ho passato più di un mese tra Washington, Nebraska, California e Louisiana a captare qualche segreto nelle Università più importanti e nei club (soprattutto di Nba) per poter integrare la mia visione dello sport ad una modalità di lavoro perfezionista come quella americana, dove la tecnologia è più che mai al servizio dell’uomo. Se il mister venisse chiamato da quelle parti lo seguirei al volo!”, dice soddisfatto.

Foto LaPresse, si ringrazia per gentile concessione.

SALUTE & BENESSERE
Pressione alta? Consigli e suggerimenti per tenerla d’occhio

Cerchiamo di andare oltre le solite considerazioni e diamo consigli utili: è certamente importante cambiare lo stile di vita e due aspetti fondamentali sono l’esercizio motorio e un miglioramento nell’alimentazione.
L’ipertensione si associa molto spesso al sovrappeso e quindi una dieta s’impone quasi sempre. Si calcola che ogni chilo perso abbassi la pressione di 1 mm Hg. L’obiettivo è il mantenimento di un indice di massa corporea (BMI o IMC) compreso tra 18,5 e 24,9 kg/m2. Tale valore si calcola dividendo il peso in kg del soggetto con il quadrato dell’altezza espressa in metri.
Per ogni 10 chili persi, si ha una riduzione della pressione, sia massima che minima, che varia dai 5 ai 20 mmHg.
In altri termini si può considerare una riduzione di 1mmHg della pressione per ogni kg perso. Per tenere sotto controllo l’ipertensione è molto importante controllare non solo il peso corporeo totale, ma anche altri parametri come la distribuzione del grasso corporeo. Per un iperteso il grasso più pericoloso è quello che si accumula nel ventre formando il pancione tipico del sesso maschile (obesità androide o viscerale). Se questo supera i 102 cm nei maschi e gli 88 per le femmine, si può generalmente parlare di obesità androide e di conseguenza, di elevato rischio cardiovascolare.
Altro ‘must’ è limitare il consumo degli alcolici, del caffè e il fumo, anzi sarebbe meglio smettere di fumare. Le sostanze contenute nel fumo di tabacco contribuiscono a irrigidire le arterie, causando danni ai vasi sanguigni, mentre la nicotina delle sigarette provoca il restringimento dei vasi sanguigni.

Suggerimenti per una corretta alimentazione
E’ opportuna una restrizione del sodio (sale) a 4/6 grammi al giorno, ottenibile evitando di aggiungere sale nella preparazione dei cibi e insaporendoli invece con aglio, cipolla, salvia, prezzemolo, basilico, rosmarino, limone; evitare i cibi conservati e l’uso di estratti o dadi. Eliminare i salumi, i formaggi stagionati e piccanti, i cibi conservati. Certamente l’uomo moderno consuma molto più sale del passato. Ad essere in eccesso non è tanto quello che si aggiunge all’insalata e alle normali pietanze, ma quello “occulto” che si nasconde nei cibi conservati o confezionati. Addirittura anche le merendine, i cereali del mattino e altri cibi dolci di tipo commerciale contengono spesso notevoli quantità di sale. Ufficialmente si consiglia un consumo giornaliero di non oltre 5-6 g di sale, corrispondente ad un cucchiaino, mentre molti di noi viaggiano tranquillamente sugli 8-10 grammi. Infatti sappiamo che oltre la metà del sale ingerito proviene da cibi preconfezionati dalle industrie. E comunque il palato del mondo occidentale si è talmente adattato al sapore del sale, che i consumi a testa possono addirittura superare i 10 grammi al giornalieri. L’ideale sarebbe fare il sale in casa: il comune sale da tavola contiene troppo sodio, che fa trattenere i liquidi, con conseguente gonfiamento dei vasi sanguigni e innalzamento della pressione. Basta preparare allora un mix per insaporire i cibi con il 65% di sale da tavola, il 25% di sale di potassio e il 10% di sale inglese: questo cocktail può permetterti di abbassare la pressione di 6 punti, assicura uno studio australiano.

Inoltre è opportuno un buon apporto di calcio che regola la ritenzione idrica, un buon apporto di potassio che si può facilmente integrare consumando più frutta fresca e verdure (anche surgelate) e che regola la ritenzione idrica. Solitamente più alti sono i livelli di potassio nelle urine e più bassa è la pressione. Le patate o le banane ad esempio contengono potassio, un minerale che aumenta la diuresi, favorendo l’eliminazione del sodio in eccesso. Diversi studi hanno dimostrato che non è tanto un eccesso di sale alimentare (cloruro di sodio) a favorire l’ipertensione, quanto uno squilibrio del rapporto potassio/sodio nella dieta. Esiste una correlazione inversa tra l’aumento della pressione arteriosa e l’assunzione di potassio o il rapporto di escrezione urinaria sodio/potassio.
Sembra sia utile assumere magnesio. Regola la ritenzione idrica. Questo minerale contribuisce a rilassare il tessuto liscio dei muscoli situati intorno ai vasi sanguigni, consentendo a questi ultimi di allargarsi. Se prendete del magnesio, assicuratevi di prendere anche del calcio, assumendo questi integratori a un intervallo di due ore l’uno dall’altro per favorirne l’assorbimento.

Il coenzima Q-10 gioca un ruolo fondamentale nella trasformazione dei nutrienti in energia. Ogni singola cellula nel corpo necessita di questo fattore, ma le cellule dei tessuti a maggiore consumo energetico ne hanno più bisogno, come quelle del fegato, dei reni, del pancreas e del cuore.
La vitamina D stimola il corpo ad eliminare più sodio. La vitamina C aiuta a mantenere sani i vasi sanguigni messi sotto sforzo dalla maggior pressione esercitata su di essi dall’ipertensione ed è fondamentale per la salute cardiovascolare.
I bioflavonoidi riducono le emorragie cerebrali che causano la morte nelle persone ipertese. Gli omega-3 sono grassi che contrastano l’ipertensione e riducono i rischi di aritmia cardiaca. Gli Omega-3 inibiscono nel corpo la produzione di sostanze come le prostaglandine che restringono le arterie. Potete anche prendere un cucchiaio di olio di semi di lino al giorno, disciolto nel succo di frutta o aggiunto al condimento per l’insalata. Anche il pesce come nasello e merluzzo ricco di acidi grassi Omega 6 contrasta gli accumuli aterosclerotici all’interno delle arterie.
Succo di pomodoro, una ricerca che dimostra come il licopene, un antiossidante contenuto nel pomodoro, piò abbassare di 10 punti la massima e di 4 la minima nel giro di soli due mesi. Ti fa schifo il succo di pomodoro? Puoi sempre spalmare il concentrato su crostini di pane integrale: contiene il triplo del licopene del pomodoro fresco. E’ antiossidante che si trova soprattutto nei pomodori e nell’anguria.
Anche l’acido folico è utile per chi soffre di ipertensione: si trova in alimenti come piselli, carne, fagioli, frutta fresca e secca, ortaggi specie a foglia verde, etc.
La lisina e prolina sono due amminoacidi che proteggono le pareti arteriose e prevengono al formazione delle placche aterosclerotiche. La sclerosi delle pareti è spesso intimamente correlata con l’ipertensione.
L’arginina è un amminoacido che facilita l’azione di una piccola molecola chiamata ossido d’azoto, capace di aumentare l’elasticità delle pareti arteriose e aiutare a normalizzare la pressione.
Diverse preparazioni di fermenti lattici hanno mostrato effetti positivi sulla pressione e sulla prevenzione cardiovascolare. Più in generale, il consumo regolare d’alimenti fermentati è di grande aiuto nella cura e nella prevenzione dell’ipertensione.
Fare il pieno di integrali: pasta, riso, pane e corn-flakes integrali sono ricchi di fibre che abbassano il colesterolo. Dopo 8 settimane una dieta ricca di fibre consente di abbassare di quasi 2 punti la pressione (secondo le ricerche, nelle persone che già soffrono di ipertensione l’effetto è ancora maggiore: la massima scende di 6 mm/Hg e la minima di 4).
E per concludere con i consigli alimentari, un paio di rimedi della nonna: si può assumere una dose di aglio essiccato equivalente a circa 4g di aglio fresco al giorno; abbondare con le cipolle, grazie al loro contenuto di quercitina (30/50 mg per etto); e infine gustarsi un buon vino può aumentare i livelli di omega-3: all’Università di Campobasso hanno appurato che 2 bicchieri al giorno, la concentrazione degli omega-3 aumenta. Il vino, in particolare quello rosso, fa dilatare i vasi sanguigni e quindi aiuta la pressione a scendere. Oltre i due bicchieri al giorno ottieni però l’effetto opposto.

L’importanza del movimento
Per quanto riguarda il movimento, praticare un’attività fisica moderata (passeggiate, bicicletta, nuoto) è l’ideale. Le attività aerobiche come la bicicletta, il nuoto, la corsa leggera, la ginnastica dolce allenano l’organismo senza sottoporre il cuore a uno sforzo eccessivo. Sconsigliati invece tutti gli sport di potenza, che favoriscono l’aumento della pressione. Camminare, fare escursioni, nuotare, andare in bicicletta e altri sport all’aperto sono ottimi, ma se fatti con regolarità, una volta ogni tanto serve a poco.

Il consiglio dei consigli: rilassarsi ed evitare lo stress
Praticare eventuali tecniche di rilassamento. Assicurare un numero sufficiente di ore di sonno (dormire meno di 6 ore al giorno aumenta del 10 per cento il rischio di ipertensione). Seguire con costanza la terapia farmacologica prescritta dal medico e controllare periodicamente la pressione arteriosa, mantenendo uno stretto contatto con il proprio medico curante.
Infine, cercate di trovare un po’ di tranquillità: interagire con animali, che si tratti di una passeggiata con il cane, accarezzare un gatto o il solo osservare una vasca con pesciolini, porta ad un abbassamento della pressione. Gli hobby divertenti come praticare il giardinaggio, suonare uno strumento musicale o ad es. ricamare, hanno effetti benefici. Evitare di andare in giro in automobile quando c’è troppo traffico per strada: è risaputo che guidare in condizioni di traffico intenso provoca affaticamento e aumenta il livello di stress.
Si sa che lo stress cronico produce un aumento di adrenalina che è un vasocostrittore, pertanto riduce la possibilità del vaso sanguigno di dilatarsi con conseguente aumento della pressione diastolica. Stress e tensione causano la contrazione delle pareti arteriose che rimpicciolisce le arterie. Molte persone si costringono a ritmi di vita eccessivi e di conseguenza diventano ipertesi. Queste persone devono imparare ad evitare condizioni stressanti cambiando il loro stile di vita. Dovrebbero mangiare in modo tranquillo e regolare, cercare di evitare le preoccupazioni, concedersi molto tempo libero, prendere vacanze e in generale, vivere con moderazione in tutti i campi. Dovrebbero anche trovare dei modi per mitigare lo stress prolungato delle emozioni non espresse. Alcune persone, a causa delle loro caratteristiche personali, reagiscono in modo eccessivo a situazioni emotive, causando aumenti di pressione più frequenti e che durano più a lungo. Se questo fenomeno non viene corretto può provocare un’ipertensione sostenuta.

Il consiglio dell’osteopata
Provare la tecnica cranio-sacrale, basta qualche seduta per fare precipitare di 18 punti la pressione sistolica e di 8 la diastolica. Ed è anche un vero toccasana per i muscoli affaticati da sport e palestra.

 

IL RICORDO
Boldini e De Pisis in Castello: tutto iniziò con Franco Farina

di Maria Paola Forlani

Le collezioni d’Arte moderna e contemporanea di Ferrara, artefici dell’attuale evento al Castello Estense, riportano alla memoria il fondatore di tale e prestigiosa struttura: Franco Farina, e ‘l’età dell’oro’ in cui Palazzo dei Diamanti, grazie a lui, fu riconosciuto tra i musei più importanti in tutto il mondo.
Al Castello Estense di Ferrara è stata allestita una sezione di capolavori di due grandi pittori ferraresi che sono stati protagonisti della scena artistica tra Ottocento e Novecento, Giovanni Boldini e Filippo De Pisis. Il monumento simbolo della città fa da cornice alle opere dei due artisti scelte dalle collezioni delle Gallerie d’arte moderna e contemporanea di Palazzo Massari a Ferrara.
“L’arte per l’arte. Il Castello Estense ospita Giovanni Boldini e Filippo de Pisis” è un evento che intende riconsegnare al pubblico il patrimonio rimasto celato in seguito al terremoto del 2012 e sottolineare il rilievo della pittura moderna ferrarese attraverso due figure di statura internazionale. L’obiettivo degli organizzatori è quello di far vivere i musei nonostante la chiusura della sede che li accoglieva. Più che una mostra, questo magnifico percorso di splendidi capolavori, diventa un allestimento semi-temporaneo che può essere visitato sino alla riapertura di Palazzo Massari, ora in corso di restauro.
Le sale, fastosamente decorate al piano nobile del Castello Estense e i celebri Camerini di Alfonso I, sono ora la sede temporanea di due percorsi monografici che raccontano la parabola creativa di Boldini e De Pisis. I musei ferraresi conservano, infatti, i più ricchi e completi fondi dei due artisti, documentando ogni aspetto della loro ricerca: olii, pastelli e acquarelli, studi e annotazioni di Boldini, e le opere depisisiane sono messe in dialogo secondo due linee di lettura che restituiscono un intenso ritratto della personalità artistiche dei due maestri.
Il percorso espositivo si sviluppa a partire dalle sale del Governo, della Devoluzione, dei Paesaggi e delle Geografie, con dipinti opere su carta e documenti appartenuti a Boldini, dando risalto al ruolo di spicco dell’artista nel rinnovamento della pittura italiana e internazionale. Innanzitutto le prove nella Firenze dei macchiaioli, invenzioni di sorprendente immediatezza come “Le sorelle Lascaraky”; poi la produzione successiva al trasferimento nella Parigi degli impressionisti, in cui spiccano brillanti evocazioni delle atmosfere della vita moderna – da “Notturno a Montmartre” alla “Cantante mondana” – testimoni del confronto con Degas; infine, le icone della ritrattistica – come il “Ritratto del piccolo Subercaseaux”, “Fuoco d’artificio”, “La passeggiata al Bois de Boulogne” o “La signora in rosa” – che sanciscono l’affermazione della cifra stilistica con cui Boldini si impone come protagonista incontestato di questo genere in Europa e oltreoceano. L’allestimento presenta, in un affascinante sequenza, i volti delle protagoniste della Belle Èpoque, da Rita Lydig alla contessa de Leusse a Olivia Concha de Fontecilla, e gli amici artisti, come Degas, Menzel e Whisler.
I Camerini, solitamente non aperti al pubblico, ospitano la seconda parte dell’allestimento, dedicata a un altro talento ferrarese attivo sul palcoscenico parigino. A raccontare il percorso creativo di De Pisis sono le opere che sono entrate a far parte della raccolta ferrarese soprattutto grazie all’attività della Fondazione Pianori e al generoso lascito di Manlio e Franca Malabotta. Aprono la narrazione preziose testimonianze del periodo giovanile, da Natura morta col martin pescatore, dipinta a Ferrara prima del trasferimento nella capitale francese, a “Le cipolle di Socrate”, rivelatore della riflessione di De Pisis su De Chirico e la pittura metafisica. Seguono i capolavori del periodo parigino che raccontano la nascita di un linguaggio altamente personale: pure invenzioni liriche, come le nature morte marine e
“Il gladiolo fulminato”, o trascrizioni pittoriche delle brucianti emozioni che l’esperienza della Ville lumiére procura al pittore, di cui un esempio è “Strada di Parigi”. Il cerchio si chiude con la produzione successiva al rientro in Italia: penetranti effigi maschili come il “Ritratto di Allegro” e poi i commoventi capolavori dell’ultima stagione – “La rosa nella bottiglia” e “Natura morta con calamaio” – nei quali la poesia delle immagini si spoglia fino all’essenziale.
Un altro fondamentale apporto alla valorizzazione del patrimonio delle Gallerie d’Arte moderna e contemporanea è, infine, offerto dalla pubblicazione dell’edizione critica della corrispondenza boldiniana conservata presso il Museo Giovanni Boldini a cura di Barbara Guidi, che rappresenta un prezioso strumento scientifico per l’evoluzione degli studi del pittore ferrarese. Quello che succederà a questo patrimonio d’arte ferrarese, la loro permanenza nel Castello Estense, lo spostamento della Pinacoteca Nazionale è tutto da vedere…

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Franco Farina con Don Franco Patruno ad una mostra al Palazzo dei Diamanti

Ma questo omaggio alle raccolte dei Musei d’arte moderna e contemporanea, permette di rammentare il fondatore e l’artefice di questa importante struttura: Franco Farina, indimenticabile direttore ed operatore culturale. Scriveva sull’Osservatore Romano del 1, marzo 2000, Franco Patruno: “Ricordo ancora l’affollamento, nella trecentesca Casa Romei, alla prima delle grandi rassegne promosse da Franco Farina: era il 1963 e nel mirabile Palazzo dei Diamanti, vera perla quattrocentesca di Biagio Rossetti, si stavano svolgendo lavori di ripulitura interna per rendere funzionali ed agibili gli spazi per future mostre […]. La mostra era quella di Giovanni Boldini, non a caso un ferrarese sprovincializzato.”

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Andy Warhol e Liza Minelli a Palazzo Diamanti nel ’75 per l’apertura della mostra ‘Ladies and Gentleman’ curata da Franco Farina.

Fu proprio Franco Farina a raccogliere il patrimonio boldiniano ed a iniziare un fulgente caleidoscopio di mostre ed eventi indimenticabili. Palazzo Massari, quando gli fu affidato, lo restaurò lui stesso con un collaboratore interno (il pittore Giovanni Bandiera) trasformandolo in struttura “polivalente” per ospitare mostre ed eventi di “genere”. Tutto questo non va dimenticato, Palazzo dei Diamanti, a quel tempo, era diventato un museo dinamico noto in tutto il mondo come il “Beaubourg” di Parigi.

Non sarà facile ritornare agli antichi splendori, soprattutto per le attuali difficoltà economiche nel mondo dell’arte, ma quella prassi di aperture a tutti i linguaggi, a tutte le correnti, all’accoglienza di artisti e di giovani attenti al mondo della cultura e della ricerca spero possa ritornare un giorno, proprio come lo aveva ipotizzato e realizzato Franco Farina, in “quella età dell’oro estense” in cui “L’Arte per l’Arte” non era solo un motto o una sigla, ma segno di amore e solidarietà e che la città di Ferrara ha vissuto grazie ad una persona illuminata come questo “grande maestro”, carico di umanità.

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RIFLETTENDO
Crisi greca: tra vendetta punitiva e enfasi retorica

Nella vita, sarà capitato a tutti di notarlo, certe parti in commedia sono più agevoli di altre, ci si cala in un attimo e con grande con facilità nel personaggio con la recitazione che immediatamente esce fluida e naturale, quasi senza bisogno di leggere il copione. Altre invece sono tremendamente più difficili e si preferirebbe lasciarle ad altri. D’altra parte siamo un popolo di commedianti e da noi la recita a soggetto è un elemento caratterizzante dell’identità nazionale, tant’è che neanche i grandi attori la disdegnano quando capita, in cui ognuno oltre a quello che pensa di questo o di quell’argomento mette in mostra se stesso, per quello che è o, soprattutto, vorrebbe essere. I personaggi sono più o meno quelli classici: il tipo sempre pronto a menare le mani, il presuntuoso Balanzone di turno, i servi più o meno sciocchi, i cavalieri senza paura e senza macchia. Nel dibattito andato in scena nei social network sulla crisi greca, tema per sua natura carico di suggestioni, li abbiamo visti tutti: schierati sia da una parte che dall’altra, ognuno vestendo i panni della propria maschera, ingaggiare lotte senza quartiere ed esclusione di colpi coi nemici.
Alcuni ruoli si addicono a ciascuno di noi meglio di altri: in questo caso sparare ad alzo zero contro l’egoismo cieco dei più ricchi, la rapacità dei banchieri e la grettezza e la scarsa lungimiranza dei politici, descrivendo a tinte forti le condizioni di disagio in cui vive una parte del popolo greco, è una parte in cui molti si sono calati; spesso anche a ragione, finché almeno non venivano superati i limiti del buon senso. Perché è fuor di dubbio che le condizioni imposte alla Grecia, forse più ancora nella forma che non nella sostanza, hanno in sé una valenza punitiva del tutto ingiustificata, che va persino oltre la logica spietata degli affari: una sorta di vendetta compiaciuta da parte delle formiche operose sulle cicale irriverenti e scialacquatrici.
C’è tuttavia nel repertorio della nostra commedia anche la figura del bastian contrario, colui cioè che spesso per solo puntiglio, ma altre volte con piena ragione (almeno così capita nelle storie), contrasta il punto di vista prevalente e ne mette in luce le contraddizioni. Devo dire che da un po’ trovo che quel ruolo mi si addica, più di quello del capitan Fracassa o del Balanzone, che semmai in altre fasi della vita mi hanno attratto maggiormente. Senilità incipiente, dirà qualcuno brandendo una clava e forse non del tutto a torto. Però se è pur da esecrare l’insensibilità delle formiche, oltretutto fin troppo attente a curare i propri interessi, è necessario che anche le cicale ammettano senza infingimenti che con il loro stile di vita non si passa l’inverno. Che le riforme vanno fatte, non solo perché lo chiedono i creditori, ma perché altrimenti non si costruisce una società moderna. Vanno perciò non solo sfamate, ma anche aiutate a mutare le loro abitudini per quel tanto che è necessario a non dover contare in eterno sulla pubblica carità, che è il nome che dopo un po’ assume la solidarietà nei confronti di chi non fa nulla per aiutarsi.
C’è invece chi, forse preso dalla foga e dall’enfasi retorica, è sembrato considerare il sistema greco quasi come un esempio ed un modello virtuoso da difendere di fronte agli attacchi della bieca finanza neoliberista. Un sistema, ricordiamolo, che è la causa principale di una situazione economica insostenibile: debito pubblico alle stelle, pubblica amministrazione inefficiente ed ipertrofica, legislazione fiscale incongrua, welfare e sanità sperequati. Il tutto in un contesto caratterizzato da un’industria quasi inesistente, un’agricoltura spesso arretrata ed un turismo sì sviluppato, ma che grazie alla fiscalità di favore ed all’evasione non contribuisce quanto potrebbe alle casse pubbliche.
E’ però fuor di dubbio che in tutto questo l’Europa ha brillato per la propria assenza, priva com’è di strutture istituzionali in grado di assumere decisioni sulle questioni più importanti. Se il Parlamento europeo non ha avuto modo di esprimersi sulla vicenda greca e se la Commissione ha svolto un semplice ruolo da notaio, ciò non è dovuto ad un golpe messo in atto da Angela Merkel e dal suo luciferino ministro dell’economia, ma al semplice fatto che questi organismi non hanno praticamente alcuna voce in capitolo. Se non si scioglie questo nodo, riprendendo cioè le fila del processo di integrazione politica interrotto dalla bocciatura nel 2005 della bozza di costituzione europea, è ben difficile poter immaginare da parte dei governi europei e, soprattutto, dei partiti che li sostengono comportamenti che non siano condizionati pesantemente dalle loro ripercussioni nella politica interna dei rispettivi Paesi. In una fase come quella attuale che vede una crescita impetuosa un po’ in tutta Europa di movimenti e partiti anti Ue e anti euro e con elezioni alle porte in alcuni paesi era ragionevolmente difficile aspettarsi qualcosa di diverso. Se c’è tuttavia un piccolo risvolto positivo in questa vicenda è che questa necessità sia stata toccata con mano anche da chi fino a ieri riteneva che il mercato e gli accordi di Maastricht fossero sufficienti per governare l’Europa.
Nota a margine. Bisogna smettere di addebitare determinate scelte “ai tedeschi” e non al governo che regge la Germania in questo momento. La differenza non è da poco e sarebbe meglio che, al contrario di quanto è successo in questi giorni, non si manifestassero altri rigurgiti di astio anti-tedesco: rinfocolare l’odio fra i popoli in Europa non credo faccia bene a nessuno. Oltretutto, ci sono milioni di tedeschi che disapprovano il comportamento del loro governo.

ECOLOGICAMENTE
Islam e ambiente: sguardo ai principi

Dalle statistiche attuali, l’Islam è sicuramente una delle religioni più professata al mondo. Se ne parla tanto ma non si evidenziano abbastanza i suoi insegnamenti positivi.
E ora che anche papa Francesco ha toccato il tema, perché non guardare anche da un’altra parte, per capire come, in fondo, tutte le religioni abbiano a cuore lo stesso bene comune.
Ci pareva, pertanto, interessante capire un po’ di più il legame fra Islam e Natura, che ricopre un ruolo sempre di maggior rilievo, per crescita e sviluppo. Nella visione dell’Islam, il termine ambiente non si riferisce solo alla definizione ‘popolare’ del termine, come insieme di organismi viventi e fenomeni naturali, ma comprende anche gli esseri umani. Non vi è, infatti, alcuna ragione per escludere questi ultimi, essendo essi non solo parte integrante dell’ambiente ma anche uno dei suoi elementi principali. Il benessere dell’ambiente dipende dal benessere spirituale dell’essere umano e la sua degradazione costituisce la diretta conseguenza dell’incapacità dell’uomo di coltivare la propria componente spirituale, intellettuale e fisica. Dio ha conferito piena fiducia all’essere umano assegnandogli la missione di prendersi cura, in Sua vece, dell’umanità stessa oltre che delle Sue creature. Se l’Uomo ha, quindi, il diritto di godere della terra e delle sue risorse (Corano 45:13 e 6:142), natura e animali, in quanto dono di Dio, vanno tuttavia rispettati e preservati, senza sfruttare gli altri o le generazioni future. L’universo è un bellissimo, variopinto e ricco libro aperto da rispettare nel leggerlo e sfogliarlo. Dio ha nominato e indicato all’umanità di agire come suo rappresentante e guardiano dei diritti universali (“E quando disse il tuo Signore: Io porrò sulla terra un mio vicario”, Corano II:30). La dimensione spirituale dell’ambiente è davvero forte.
La visione islamica di come sviluppare ecologicamente il mondo può essere articolata su due diversi, ma inter-relazionati, livelli. Il primo riguarda la visione che descrive la relazione tra Uomo, mondo e Dio. Il secondo è rappresentato dal quadro legale che regola la relazione fra Uomo e ambiente, da un lato, e fra Uomo e Creatore, dall’altro.
Partendo da tali elementi, proviamo a esaminare alcune regole islamiche dettate per “come lavorare con gli altri al fine di mantenere un ambiente sano condiviso”. Amare il Creato come pura espressione dell’amore divino è, e deve restare, la prima regola di ogni essere umano. I disastri ecologici sono il frutto della disobbedienza alle leggi di Dio e colpiscono tutti gli uomini senza distinzioni.

La missione dell’uomo come vicario divino: diritti e doveri verso l’ambiente
La responsabilità principale dell’Uomo resta quella di prendersi cura dell’universo e di mantenerlo, come parte integrante di esso. Il fatto che il mondo sia stato messo a disposizione dell’Uomo per avvantaggiarsene comporta anche, e soprattutto, la necessità di collaborazione fra gli esseri umani, perché a tutti è riconosciuto il diritto di sussistenza, in dignità e rispetto reciproci. L’essere umano ha l’obbligo di conservare l’universo tanto quantitativamente che qualitativamente.
Il diritto islamico indirizza la relazione tra essere umani e ambiente sullo stesso binario di diritti e doveri. Così come obbliga a conservare l’ambiente e a condividerlo con gli altri, garantisce a ognuno il diritto di risiedere in una zona pulita e bella dove vivere in pace e dignità. Ognuno resta libero di usare un ragionamento indipendente (ijtihad) per promuovere il benessere generale, basta seguire corretti principi ed applicarli nella vita quotidiana. Alcune indicazioni precise sono rivolte ad acqua, aria, terra e suolo, piante ed animali. “Ogni essere vivente proviene dall’acqua” (Corano 21:30): piante, animali ed essere umani dipendono da essa per la propria esistenza e la continuazione della loro vita. Dio ha creato la terra, ha mandato l’acqua giù dal cielo, per nutrire gli esseri umani, cosi come gli ha permesso di navigare mari e fiumi (Corano 14:32). Oltre ad una funzione vitale, l’acqua ha evidentemente anche un importante ruolo socio-religioso nella purificazione del corpo e del vestiario dalle impurità esterne. La conservazione della risorsa idrica, come elemento vitale, resta, senza dubbio, fondamentale per la preservazione e la continuazione della vita nelle sue varie forme, vegetale, animale ed umana. E’ quindi un obbligo, nel diritto islamico. Ogni azione che danneggi la funzione vitale, biologica e sociale, di tale elemento, va dunque condannata. Riconoscendo l’importanza dell’acqua come base della vita, Dio ne ha indicato l’uso come diritto comune di tutti gli esseri viventi. Un diritto inalienabile, irriconoscibile e libero.
L’elemento aria non è meno importante dell’acqua nella perpetuazione e preservazione della vita umana, animale e vegetale. Tutte le creature terrestri dipendono, infatti, dall’aria che respirano. Anche i venti hanno un ruolo fondamentale come “fertilizzanti”, nel loro ruolo nell’impollinazione (Corano 15:22). L’atmosfera pulita, in generale, occupa un posto di tutto rilievo nella conservazione della vita.
La terra ed il suolo, poi, sono essenziali per la sopravvivenza delle specie, creata per esse (Corano 55:10). Piante ed animali, infine, garantiscono la sopravvivenza. Piantare un albero e dare da mangiare attraverso i suoi frutti a un essere vivente è importante per un musulmano, poiché ridare vita alla natura significa valorizzare e proteggere ciò che Dio ci ha donato. Piantare un albero è considerata opera meritoria. Le piante, oltre a costituire fonte di nutrimento, contribuiscono all’arricchimento del suolo ed alla protezione dall’erosione di vento ed acqua. Hanno un valore immenso anche come medicinale, profumo, fibra e carburante. Gli animali contribuiscono a sussistenza di piante ed esseri umani. Contribuiscono all’atmosfera tramite il loro respiro, i loro movimenti migratori contribuiscono alla distribuzione delle piante, costituiscono cibo e forniscono all’uomo pelle, lana, carne, latte e miele. “Non vi sono bestie sulla terra né uccelli che volino con le ali nel cielo che non formino delle comunità come voi” (Corano 6:38).

Protezione dell’ambiente dagli impatti umani
Abbiamo percorso rapidamente alcuni passaggi principali dei testi sacri islamici che evidenziano l’importanza dell’ambiente nella preservazione delle generazioni presenti e future, il suo ruolo vitale in generale. Vedremo ora quali principi l’Islam prevede per la protezione dell’ambiente e dell’uomo dagli impatti di fattori esterni quali prodotti chimici e rifiuti. Danni di ogni tipo e forma sono proibiti, come principio generale. Rifiuti e sostanze pericolose, risultanti da attività umane o industriali ordinarie, devono essere trattati o eliminati con massima attenzione e cura, per garantire protezione adeguata dell’ambiente e dell’uomo dagli effetti pericolosi. Ri-uso dei beni e riciclaggio di materiali e rifiuti vanno altresì incoraggiati. Stessi principi si applicano ai pesticidi, inclusi insetticidi ed erbicidi. Riduzione e minimizzazione dei rumori vanno altresì incoraggiati, così come la prevenzione volta a ridurre gli impatti delle catastrofi naturali, quali alluvioni, terremoti, eruzioni vulcaniche, uragani, desertificazione, infestazioni ed epidemie. Si pensi solo che secondo la Carta delle nazioni islamiche del 1992, la proprietà è definita come “una funzione che può essere utilizzata solo per il bene e l’interesse della collettività” e che essa “non deve nuocere al prossimo”.

Principi, politiche e istituzioni di diritto islamico a garanzia della protezione ambientale
Se la responsabilità ultima di un’azione corretta verso la preservazione dell’ambiente risiede nel singolo individuo poiché ultimo responsabile della propria condotta di fronte a Dio, le autorità hanno evidentemente un ruolo fondamentale nell’assicurare il benessere comune e nel ridurre danni e impatti negativi sull’ambiente. Si tratta anzi di uno dei loro doveri principali. I limiti di tale interferenza sono stabiliti con precisione dal principio per cui la gestione degli affari è regolata dal bene comune. Tutte le azioni sono valutate in termini di conseguenze come beni sociali e benefici (masalih) o come danni sociali (mafasid). Pianificatori e amministratori devono sempre puntare al bene comune universale di tutti gli esseri viventi, cercando quindi di armonizzare gli interessi di tutti. Ove questo non sia possibile, e nella realtà è facile che sia così, il bene comune richiede una valutazione e una prioritizzazione che deriva dal pesare il benessere del maggior numero di persone, l’importanza e l’urgenza dei vari interessi coinvolti, la certezza o la probabilità del beneficio o del danno. Beni o interessi sociali vanno valutati secondo loro necessità ed urgenza. Vi sono necessità (daruriyat) che sono assolutamente indispensabili per preservare la religione, la vita, la posterità, la proprietà; bisogni (hajiyat) che se non assicurati comportano difficoltà e disagio, e bisogni supplementari (tahsiniyat) che coinvolgono il perfezionamento dell’etica. Nella conservazione dell’ambiente, le autorità governative devono essere impegnate nella prevenzione dei danni e nel loro rimedio.

Conclusioni
La conservazione dell’ambiente è un imperativo comandato nell’Islam. La legge divina considera la natura come un elemento fondamentale della vita umana e non. Si tratta d’indicazione morale ed etica imprescindibile e di valore assoluto. Un’indicazione forte. In tale prospettiva, va assicurata un’attenzione massima alle problematiche ambientali e al rispetto della natura, in un’ottica di vero e proprio sviluppo sostenibile. Purtroppo in numerosi paesi, anche perché colpiti da guerre e povertà molto impegno resta da assicurare e da condividere, per tutti.

L’OPINIONE
I falchi della Troika umiliano la Grecia

Alcune considerazioni del giorno dopo…
1) L’accordo è bruttissimo. Il punto politico più grave è il ritorno della Troika ad Atene riducendo la Grecia ad un Paese sotto amministrazione controllata.
2) Nel documento sono scritte condizioni durissime che la Grecia deve accettare per accedere ad un nuovo programma di ‘aiuti’. Non mancano cadute nel ridicolo, come la richiesta di approvare in tre giorni un nuovo codice di procedura civile e far fronte alla crisi con l’apertura dei negozi la domenica e la liberalizzazione di panetterie e latterie…
3) Sono previste alcune misure che dovrebbero permettere all’economia greca di evitare il collasso. 4) Sei mesi di trattative non vanno considerati passati invano. Alcune verità scomode devono essere guardate in faccia senza abbellimenti retorici o autoconsolatori. Innanzitutto, l’Unione europea non esiste come federazione di Stati guidati da una concertazione politica democratica. Essa è dominata in modo assoluto dalla classe dirigente tedesca che “…punisce con il ferro e il fuoco le province ribelli…”. Inoltre, è tutta da costruire un’altra Europa politica ed economica. Il compito è difficile e non garantito. Servono nuovi soggetti politici (Podemos, Syriza ecc.) e un cambiamento di quelli vecchi (innanzitutto il Pse se è ancora in tempo e se è in grado di realizzarlo…). Le ‘nuove’ forze devono mettere al bando demagogie, promesse velleitarie, populismi che ‘saltano’ i nodi da sciogliere (rapporti di forza, analisi delle condizioni reali del proprio paese ecc.). Se non lo fanno, i ‘nodi’ si aggiungono alla corda sempre pronta degli avversari per ‘impiccare’ la vittima…
5) Infine un auspicio. Se l’obbiettivo politico perseguito dai ‘falchi’ alla Schauble è stato fin dall’inizio quello di cacciare la Grecia dall’Ue, speriamo che gli inevitabili e fondati dissensi presenti dentro Syriza non scoppino al punto da far saltare il governo di Tsipras…Se ciò accadesse, allora sì che il piano tedesco sarebbe totalmente realizzato. A proposito della Germania. Ha voluto stravincere. Ma la sua immagine ne esce male. L’arroganza, la prepotenza, il sadismo con cui ha voluto umiliare un Paese scassatissimo e in ginocchio non è detto che sia stata una mossa di lungimirante saggezza politica. Vedremo..

LA CITTA’ DELLA CONOSCENZA
Fahrenheit 451 in laguna

Cosa ha nel cervello chi pensa di togliere i libri ai bambini? Crescessero tra i libri, familiarizzassero subito con la lettura! Ormai è risaputo che da qui inizia il successo, la riuscita, l’amore per lo studio, la curiosità, la marcia in più nella vita di tutte le bambine e i bambini. Ma c’è ancora qualcuno che ritiene tutto ciò pericoloso. Ci sono gli adulti con la dittatura dei loro costrutti mentali, dei loro pensieri che anziché affiancare, accompagnare la libertà e l’autonomia dei piccoli, tagliano, proibiscono, vietano, censurano. Così a Venezia il novello sindaco, tutore premuroso dell’infanzia della laguna, mette in scena una nuova edizione di Fahrenheit 451 contro quella parte di letteratura per l’infanzia sospettata di plasmare subdolamente le innocenti menti infantili alle eretiche teorie gender, perché, dice, sono questioni di cui si devono occupare le famiglie e non le scuole. Scuole culturalmente asettiche, dunque. E allora cosa ci sta a fare l’insegnamento della religione cattolica impartito, nella scuola dell’infanzia come in quella elementare, per ben due ore settimanali “in conformità alla dottrina della Chiesa da insegnanti riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica”? Non è anche questo affare che riguarda la famiglia e non la scuola, per di più pubblica e aconfessionale? E potremmo continuare con la lista.
È preoccupante che comportamenti come quello del sindaco di Venezia, che non è il primo e neppure l’unico, vengano approcciati come una sorta di folklorismo, anziché per la gravità che in se stessi costituiscono. Sono tante lacerazioni al nostro tessuto sociale, alla democrazia, alla nostra Costituzione, in particolare al suo articolo tre. Ma preoccupa ancora di più l’assenza di anticorpi nella nostra democrazia, che nessuna autorità, a partire dal ministro che dovrebbe garantire la laicità dell’istruzione pubblica, sia intervenuta a ripristinare il diritto di tutti a non subire censure sulla base dell’ideologia di alcuni o delle promesse elettorali di un sindaco.
Se è questa la partecipazione che i genitori vogliono nella scuola, si preparano duri tempi di oscurantismo. Per favore lontano i genitori e tutti quelli che intendono condizionare la scuola pubblica, difendiamola dalle intemperanze di questo o quel sindaco, oltre che della politica.
L’istruzione è una cosa seria, in particolar modo a partire dai primi anni di vita, per cui non può essere impunemente sbatacchiata a destra e a sinistra come un oggetto qualsiasi, smettiamola di giocare sulla testa dei bambini che tutto hanno in mente fuorché le nostre farneticazioni ideologiche, i nostri pruriti morali per il colore blu e giallo che diventano verde del capolavoro di Leo Lionni. Dove sono i professionisti dell’istruzione calpestati dall’ignoranza imbecille di un sindaco a difendere la loro professionalità? Dov’è la buona scuola? Se questo è il clima cosa si potrà mai costruire nel nostro Paese?
Perché tutto questo? Perché l’educazione da sempre è potere, è controllo sulle persone. L’educazione, così come pensata e strutturata oggi, è quella che consente al sindaco di Venezia di censurare i libri nelle scuole dell’infanzia, perché è il prodotto di un’ideologia e non solo la conseguenza di una incompetenza politica. Per questo non si riesce a ripensare l’educazione, perché nessuno vuole riformarne per davvero i sistemi.
Il comportamento del sindaco di Venezia è funzionale all’obiettivo, perseguito dalla maggior parte dei sistemi pedagogici, di far interiorizzare fin da piccoli le sole norme e credenze utili a radicare una coscienza conforme al modello di struttura sociale che si vuole. Pensare invece di educare ad essere padroni di se stessi, in questo contesto ideologico sarebbe dirompente, deviante, foriero di anarchie, disordini sociali e morali. Essere padroni di se stessi è molto pericoloso, perché vuol dire essere padroni delle proprie convinzioni e delle proprie azioni, sottratte al controllo di ogni indottrinamento religioso, ideologico, politico. A nulla servono la libertà politica e l’uguaglianza di fronte alla legge, se poi le azioni di un individuo sono guidate da un’autorità interiorizzata alla quale non si può sfuggire, prodotta da un’imposizione morale di origine religiosa, dal tipo di istruzione o dal processo educativo fin dall’infanzia. L’idea d’essere padroni di se stessi, che è il compito di ogni educazione, ha radici lontane nella cultura razionalista dell’Illuminismo, è proprio ciò che gente come il sindaco di Venezia e altri cattolici come lui considerano l’origine di ogni male.
Attenti a lasciar correre o sottovalutare scelte politiche così gravi come quella di censurare i libri a partire dai piccoli, perché poco per volta si moltiplicheranno le luci da spegnere, fino ad oscurare la vita presente e futura dei nostri giovani, e non solo.

GIARDINI&PAESAGGI
Manutenzione del Verginese.
Considerazioni in ordine sparso

Alcune settimane fa, in occasione di un concerto alla Delizia del Verginese, ne ho approfittato per fare un giro nel giardino. Lo conosco abbastanza bene e in più di un’occasione l’ho usato come esempio per mostrare come le intenzioni di un buon progetto sulla carta, nella realtà, possano cambiare e diventare altro. Il nocciolo della questione è sempre lo stesso: la manutenzione. E qui apro la solita parentesi che ripeterò fino alla sfinimento. Un giardino, di qualsiasi forma e dimensione, pubblico o privato che sia, può essere progettato dal miglior paesaggista sulla piazza, ma chi fa il giardino è chi lo cura quotidianamente, cioè il giardiniere. Oggi è molto di moda improvvisarsi giardinieri, il giardino piace, è trendy, sembra la soluzione ottimale per far risorgere ogni spazio dimenticato, non importa se quel luogo con il verde non ci azzecca, basta piantare un albero e tutto per magia si “valorizza” e rinasce a nuova vita. Se poi ci mettiamo dentro un po’ di pomodori e di erbe aromatiche, mescolate ad un po’ di partecipazione, l’insalata è servita. Quasi ogni giorno leggo di iniziative bellissime, in cui persone a vario titolo, mettono sulla carta progetti per riqualificare spazi vuoti dimenticati e risulte urbane attraverso la creazione di aiuole e altre tipologie di arredo vegetale. Ormai nessuno mi chiede pareri o consulenze a riguardo, perché a nessuno piace sentirsi fare le fatidiche domande: chi farà la manutenzione? chi la pagherà? chi si prenderà l’incarico di curare queste piante quando l’entusiasmo dei volontari andrà a farsi benedire distratto da altri richiami, o semplicemente perché impegnato dal lavoro e dalla famiglia? Sembra che la cosa più importante sia partire, agire, piantare, inverdire, far fiorire, come se tutto questo spuntasse come un fungo dopo un temporale e soprattutto, si mantenesse per magia.
Al Verginese è successa la stessa cosa. Un buon progetto che non ha valutato pienamente gli effetti di una manutenzione a singhiozzo. Meglio il Parco Urbano, che nel tempo ha saputo crescere bene proprio perché aveva un impianto di base semplicissimo (molto criticato all’inizio, come spoglio, povero, ecc.) con la possibilità di essere mantenuto con interventi di manutenzione banali: annaffiature, sfalcio, potatura di controllo periodica delle siepi. Questo è quello che ci possiamo permettere. Possiamo mettere una scimmia sub-sub-sub appaltata sul trattorino e l’erba verrà tagliata.
Quante volte prima di inserire una nuova pianta in un progetto, ho pensato allo sconforto di Ada Segre, quando vide che le sue piantagioni di papaveri ornamentali, che dovevano colorare la base dei rosai prima della fioritura di maggio, erano state eliminate come erbacce dal giardiniere di turno, una persona che non avendo avuto le sue istruzioni, aveva agito secondo le regole del giardinaggio agricolo: i papaveri sono erbacce da togliere e sotto i rosai si fa terra bruciata. Lo stesso discorso vale per le bordure di perenni che circondavano le superfici a prato. Sono state pensate con varietà rustiche, ma per dare il massimo delle fioritura bisogna conoscerle, cimarle al momento giusto, togliere il secco, diradarle in tempi diversi, insomma si possono arrangiare, ma nel tempo, ci saranno quelle che prenderanno il sopravvento su altre o alla peggio, scompariranno. Il giardino del Verginese è stato inaugurato il 12 maggio del 2006, e del progetto originale rimane poco, purtroppo nessuno ci insegna a vedere i giardini, ci limitiamo a guardare, e siamo così abituati ai progetti non finiti e ai naufragi delle buone intenzioni, che un giardino, che nelle giornate di sole fa ancora la sua figura davanti alla macchina fotografica, ci sembra una cosa stratosferica. Se ad ogni stagione i giardinieri cambiano, tutte le conoscenze acquisite vanno perdute e si ricomincia daccapo, e non c’è niente di più triste che perdere le conoscenze basate sull’esperienza. Per la cura di ogni giardino, e sottolineo, per ogni spazio verde pubblico, dovrebbe essere obbligatorio un riferimento costante, una persona, o meglio ancora un gruppo di persone, responsabili, pagate e preparate, in grado di seguire la storia del giardino in modo continuativo, e in grado di fornire tutte le indicazioni necessarie a quelli che faranno la manutenzione in modo saltuario. Sicuramente ci sarà qualche avveniristica app che illude di poter risolvere tutti i problemi, ma per i giardini non funziona, quindi prima di partire con progetti, anche solo prima di farsi venire delle idee di riqualificazione “verde” ovunque e comunque, sarebbe il caso di poter contare su una risposta vera, non su promesse, per la manutenzione, altrimenti si fanno dei voli, bellissimi sogni destinati a fallire.

L’APPELLO
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LA SEGNALAZIONE
Invisibile in mostra. Profumi tra storia e chimica

Mostrare l’invisibile: profumi, essenze, sensazioni. E’ quello che vuole fare “Stazioni olfattive”. Ma cos’è che si va a vedere, sentire, annusare? Lo spiega il sottotitolo dell’esposizione, a Ferrara nel palazzo Turchi di Bagno, proprio di fronte a palazzo dei Diamanti, sede della facoltà universitaria di Biologia. L’esposizione è descritta con un elenco che sembra la formula di un alchimista, fatta di “benzoino, cannella, zibetto e ambracane”. In mostra – oltre a resina, spezie e frutti – ci sono bei vasi da farmacia decorati con la tecnica del graffito estense: sono gli albarelli, ovvero i recipienti usati per contenere spezie e preparazioni erboristiche e medicinali. Altri scaffali mostrano antiche scatole per cosmetici, cipria e sapone; poi bottiglie; e pannelli con la storia del profumo.

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I vasi delle “stazioni olfattive” (foto Giorgia Mazzotti)
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Contenitori per essenze in mostra (foto Giorgia Mazzotti)
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Scatole per cosmetici d’epoca (foto Giorgia Mazzotti)
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Il famoso “naso” Pierre Bourdon alla mostra

Nei musei, di solito, ti dicono di non toccare. Qui, invece, devi farlo. Sollevi i coperchi dei vasi in ceramica, ti avvicini, odori. E da quei recipienti, come per incanto, si materializzano boschi di cedro e sandalo, mazzi di rose e gelsomini, vaniglia d’Oriente e benzoino. “Sono le varie famiglie olfattive“, spiega Chiara Beatrice Vicentini, docente di Storia del farmaco al dipartimento di Unife. Ecco allora le famiglie degli agrumati; dei floreali; delle fougère, che in francese indica le felci, e che mette insieme tutti quegli odori freschi e amarognoli, tipici delle profumazioni maschili (lavanda, bergamotto, cumarina). Vai avanti e trovi il gruppo di Chypre, con gli effluvi cipriati; dopo ci sono i legnosi; l’Oriente degli ambrati e, infine, i Cuirs che riproducono l’odore di cuoio, tabacco, muschio.

Via dalla sala, si può uscire in giardino con ancora nel naso le essenze emanate da quei recipienti e, negli occhi, le immagini di ampolle e alambicchi che raccontano la storia del profumo. All’aperto, la mostra riprende negli spazi verdi dell’Orto botanico dell’Università, quello in cui normalmente si entra da corso Porta Mare 2. Lì c’è da seguire un itinerario di vasi, sentieri, aiuole e alberi: sono le tappe delle grandi “famiglie olfattive” vegetali. Si costeggiano alberi, arbusti, frutti e fiori da cui i profumi nascono. Si parte dai vasi di agrumi, si attraversa la distesa delle erbe odorose e si arriva fino a gelsomino, rosa, geranio. In mezzo ci sono i tunnel di rampicanti, la vasca delle ninfee pattugliata dalle tartarughe e le serre con le piante grasse. Perché, tra i meriti di questa iniziativa, va messo anche quello di rendere eccezionalmente accessibile l’Orto botanico sia in orario pomeridiano che nei giorni festivi.

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Percorso all’Orto botanico legato alla mostra (foto Unife)
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Arancio amaro che apre il percorso tra le essenze del giardino (foto Giorgia Mazzotti)
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Il gelsomino tra le essenze dell’Orto botanico universitario (foto Giorgia Mazzotti)
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Laboratorio del profumo da Venezia a Ferrara

Come i sentori aromatici delle preziose bottigliette, “Stazioni olfattive” è una manifestazione avvolgente che si diffonde come una scia negli antichi palazzi e musei cittadini.

Chi ha voglia, e magari scarpe comode, può approfondire l’argomento con una visita al Museo archeologico nazionale, in via XX Settembre 122. Qui sono stati tirati fuori gli antichi balsamari, contenitori in alabastro e pasta di vetro, con dentro unguenti ed essenze profumate per il viso e il corpo delle signore dell’antica civiltà etrusca di Spina. E se ci si allunga fino alla Biblioteca Ariostea, in via Scienze 17, nella sezione dei manoscritti e degli incunaboli si possono sbirciare dal vero i volumi riprodotti in un grande schermo della mostra, che scorre le pagine di preparati medicamentosi e abbellenti, ricette e testi che portano all’origine storica della ricerca cosmetica.

La mostra, allestita per celebrare i 35 anni del master in Scienze e tecnologie cosmetiche (Cosmast) dell’Università di Ferrara, è a cura di Sistema museale d’ateneo e Museo del profumo e del costume di Palazzo Mocenigo di Venezia in collaborazione con Farmacia Navarra, Orto botanico e Collezione di scienze fisiche, Fondazione musei civici di Venezia, Museo archeologico nazionale di Ferrara, Musei civici di arte antica di Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, Accademia italiana di storia della farmacia, Master MuSeC e Cosmast.

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Taglio del nastro con Mirna Bonazza, Angelo Beccarelli, Chiara Beatrice Vicentini, Caterina Cornelio, Francesco Bernardi
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Chiara Beatrice Vicentini, Caterina Cornelio, Francesco Bernardi, Stefano Manfredini, Ursula Thun Hohenstein alla mostra
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L’esposizione a Palazzo Turchi di Bagno (foto Unife)
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Ampolle e fragranze in mostra (foto Unife)

“Stazioni olfattive” è visitabile da lunedì a domenica ore 10-18, venerdì solo 10-17, a Palazzo Turchi Di Bagno, corso Ercole I d’Este 32, Ferrara. Fino a domenica 19 luglio 2015. L’ingresso è libero.

riciclaggio-rifiuti

ECOLOGICAMENTE
Tutte le cose finiscono.
Valutare dove per riciclare meglio

Ogni prodotto prima o poi non serve più e diventa rifiuto, per questo è importante studiarne la sua vita e soprattutto prevederne la sua fine. L’analisi del ciclo di vita di un prodotto rappresenta dunque una metodologia che consente di valutare e di quantificare l’impatto ambientale generato lungo l’intero suo ciclo di vita. Sembra un ragionamento complesso, ma vorrei proporlo perché importante e in fondo semplice.
Il “Life cycle assessment” (LCA) è un approccio fondamentale per considerare l’intero ciclo di vita del materiale basandosi sul motto “ dalla culla alla tomba” (“from cradle to grave”). Questa analisi, che di approfondire tutte le fasi in un percorso iterativo, permette di avere una visione globale del processo produttivo, scomponendolo in una serie di unità produttive (dunque partendo dall’estrazione delle materie prime, considerando le fasi di trasporto, di trasformazione, di gestione del fine vita) e considerando le emissioni, quindi gli effetti di ogni unità sull’ambiente.
Lo sviluppo di questa metodologia ha prodotto importanti scoperte e soprattutto ha spesso fornito importanti soluzioni. La struttura di LCA la possiamo suddividere in quattro momenti principali:
• la individuazione e definizione degli obiettivi (fase preliminare) in cui sono definiti il campo di applicazione, l’unità funzionale, i confini del sistema, il fabbisogno di dati, le premesse e i vincoli, chi esegue e a chi è indirizzato lo studio, quale funzioni o prodotti si studiano, i requisiti di qualità dei dati.
• la fase di raccolta delle informazioni e quindi dei dati necessari (con le procedure di calcolo volte a quantificare i flussi in entrata e in uscita rilevanti di un sistema di prodotto) in accordo all’obiettivo e al campo di applicazione.
• la valutazione dell’impatto del ciclo di vita, fase critica fondamentale, che ha lo scopo di valutare la portata dei potenziali impatti ambientali utilizzando i risultati dell’analisi di inventario del ciclo di vita.
• la sintesi della interpretazione conclusiva, che è un procedimento sistematico volto all’identificazione, qualifica, verifica e valutazione dei risultati delle fasi di inventario e di valutazione degli impatti, al fine di presentarli in forma tale da soddisfare i requisiti dell’applicazione descritti nell’obiettivo e nel campo di applicazione, nonché di trarre conclusioni e raccomandazioni.
Apparentemente complesso, ma in verità solo uno strumento di buonsenso che sarebbe bene fosse applicato in molti settori e in molte occasioni. LCA infatti è una metodologia di valutazione ambientale applicabile in ogni settore industriale o di servizi
che fornisce una visione globale e dettagliata del sistema in osservazione, perché permette di:
• evidenziare e localizzare le opportunità di riduzione degli impatti ambientali;
• supportare decisioni in merito a interventi su processi, prodotti e attività;
• informare i cittadini in merito all’impatto ambientale legato al ciclo di vita dei prodotti;
• identificare linee strategiche per lo sviluppo di nuovi prodotti o servizi;
• paragonare tra loro prodotti con la medesima funzione;
• valutare e confrontare gli effetti legati a diverse politiche ambientali e di gestione delle risorse;
• approfondire la valutazione ambientale del sistema di prodotto nel contesto della certificazione.

L’interesse per l’LCA non è storia recente, anzi risale almeno a quarant’anni fa quando si pensò di introdurre una serie di metodi per la valutazione quantitativa degli impatti riguardo a differenti tematiche ambientali (impoverimento delle risorse, riscaldamento globale, inquinamento da impianti). Si comprese subito che sarebbe stato un importante strumento di trasparenza e di informazione ai cittadini, tuttavia ci si rese anche conto che vi era in genere una scarsa uniformazione delle valutazioni.
Forse siamo ancora fermi qui. Anzi direi di più, in realtà a livello europeo esiste una schematizzazione che non è utilizzata da tutti e che anzi ognuno utilizza a proprio vantaggio per fare risultare i dati che vuole . Questa mancanza di strumento condiviso fa perdere il valore di sistema che dovrebbe avere; potrebbe invece essere lo strumento principe in molti settori, a partire anche dalla Pianificazione rifiuti (se i dati di input fossero veritieri e gli scenari pragmatici e non fantasiosi, come spesso accade).

Eppure il metodo offre numerose possibilità di utilizzo e con un poco di fiducia e di serietà potrebbe permettere:
• la valutazione dell’impatto ambientale di prodotti differenti, aventi la medesima funzione;
• l’identificazione, all’interno del ciclo produttivo o del ciclo di vita del prodotto, dei principali percorsi verso possibili miglioramenti, intervenendo sulla scelta dei materiali, delle tecnologie e degli imballaggi;
• il sostegno alla progettazione di nuovi prodotti e la segnalazione di innovative strategie per lo sviluppo, consentendo risparmi, sia per l’azienda, sia per il consumatore;
• la dimostrazione di aver ottenuto un ridotto impatto ambientale ai fini dell’attribuzione del marchio ecologico comunitario (Ecolabel);
• l’ottenimento di un risparmio energetico e il sostegno nella scelta dei procedimenti per il disinquinamento;
• il supporto nella scelta delle soluzioni più efficaci e idonee per il trattamento dei rifiuti;
• la base oggettiva di informazioni e di lavoro per l’elaborazione dei regolamenti che riguardano l’ambiente.
Insomma basta cercare l’ovvio e farlo.

L’EVENTO
Autori a Corte: al via l’edizione 2015

autori a corte
La conferenza stampa di presentazione di Autori a corte 2015

Lavorare sui libri e privilegiare le storie, le idee e i contenuti, prima ancora che gli autori: questo è l’intento della nuova rassegna di “Autori a Corte – Presentazioni letterarie con degustazione”, originale format il cui programma è stato presentato venerdì in conferenza stampa alla Sala Arengo della Residenza Comunale, alla presenza degli ideatori Federico Felloni e Vincenzo Iannuzzo (Associazione Bukowski), dell’assessore alla cultura Massimo Maisto, del rappresentante di Banca Mediolanum Cristiano Delfini e di Antonio Marchini, responsabile didattico della Città del Ragazzo, che inaugurerà la stagione mercoledì 1 luglio al Giardino delle Duchesse.

Già collaudato nelle edizioni estiva e natalizia 2014, “Autori a corte” è patrocinato da Assessorato alla Cultura del Comune di Ferrara, Istituto di Storia Contemporanea, Istituto Alberghiero Vergani Navarra, Città del Ragazzo e LILT – Sezione di Ferrara, collaborazioni che rispecchiano l’obiettivo di coniugare esigenze e interessi diversi, settore commerciale, attività extrascolastiche e letteratura di non facile fruizione: “Presentiamo anche due libri di poesia, genere oramai difficile da fare entrare nelle librerie: un progetto a cui teniamo molto”, hanno sottolineato gli organizzatori.

Cinque serate a cadenza settimanale nell’arco del mese di luglio ospiteranno tre momenti tematici, dedicati a scrittori esordienti e affermati nomi della letteratura, del giornalismo e della televisione, intervallati dalle degustazioni offerte da Panificio Dellepiane, Azienda Vitivinicola Zanatta Roberto, Caffetteria 2000, Storie di Tè e Caffè, Ristorante Cinarmonico Li Xia, Agriturismo La Strozza e Azienda agricola Corte Madonnina.

Il momento Antipasto d’Autore alle 20.00 sarà dedicato proprio libro in una formula di dialogo incrociato con moderatore.

La manifestazione vedrà così alternarsi cinematerapia (Ghila Pancera con “Farsi un film: pillole di cinematerapia”, Este Edition) e viaggi nella storia di Russia (Fabrizio Resca con “Odore di Russia – Viaggi nell’ex impero sovietico”, Este Edition) il 1 luglio; futurismo (Roberto Guerra con “Futurismo per la nuova umanità”, Armando Editore) e poesia (Rita Marconi con “Le ali di seta”, Este Edition e Cetty Muscolino con “Ti cerco”, Edizioni La Carmelina) l’8 luglio; fisica quantistica (Davide Grandi con “Dio e D’io – fisica quantistica e spiritualità”, Este Edition) e giallo (Davide Nani con “Anatema”, Este Edition) il 14 luglio; racconti nell’attesa di una saletta (Franco Mari con “Sala d’attesa”, Este Edition) e racconti su personaggi di paese (Matteo Rubbini con “Dizionario del borgo”, Edizioni La Carmelina) il 22 luglio; le anteprime nazionali Daniele Tedeschi e Samuele Govoni con “Una batteria in valigia”, Edizioni La Carmelina e Stefano Bottoni e Giorgia Pizzirani con “Per miglia e miglia”, Edizioni La Carmelina, biografie dal taglio musicale e cantautorale, il 29 luglio.

La novità, rispetto alle edizioni precedenti, è l’introduzione di uno speciale spazio dedicato ad autori emergenti che saranno protagonisti di presentazioni con performance: alle 21.00 sarà così la volta di Spazio Outsider, che ospiterà Roberta Marrelli con il fantasy “Melissa Wincher e l’ottagono divino”, Corbo Editore (1 luglio) accompagnata dal performer Andrea Poltronieri, Francesco Eleuteri con “Il sangue dei sibillini”, Capponi Editore (8 luglio), Stefano Malvestio con la guida “Anello cicloturistico dei quattro fiumi. In bicicletta per 553 chilometri lungo l’Adige, il Mincio, il Po e il Brenta”, Inveneto Editore (8 luglio); Aristide Bergamasco con il thriller storico “L’ultimo segreto di Galileo”, Leone Editore, e Vittoria Tomasi con il fantasy “Anita e la setta dei padroni del tempo”, Mannarino Editore (22 luglio); Elio Facchini, Marcella Trivella ed Elisa Pampolini con “Vegano più g(i)usto più sano”, Edizioni La Carmelina, che coniuga cucina vegana, ristorazione e naturopatia (29 luglio), altra anteprima nazionale dell’associazione che coniuga presentazioni letterarie con degustazione.

Alle 21.45 giungerà il momento degli ospiti d’onore. Il 1 luglio il giornalista Salvatore Giannella, già direttore del settimanale “L’Europeo”, presenterà “Operazione salvataggio” (Chiarelettere), racconti di eroi che hanno messo in salvo opere d’arte attraversando momenti storici di crisi e guerre, dalla Seconda guerra mondiale al conflitto afghano, e che ha ispirato “Monument Man” di George Clooney. L’8 luglio sarà la volta di Marcello Simoni, già autore di saggi storici, Premio Bancarella con il suo esordio “Il mercante di libri maledetti” e Premio Lizza d’Oro con “L’isola dei monaci senza nome” che presenterà “L’abbazia dei cento peccati” (Newton Compton), ambientato alla Corte Estense del 1300, tra sanguinose sparizioni e reliquie misteriose. Il 14 luglio arriva Magdi Allam, il controverso ex vice-direttore del quotidiano “La Stampa” che presenterà “Il Corano – spiegato da Magdi Cristiano Allam” (Il Giornale), in cui si pone l’obiettivo di far conoscere l’Islam operando un confronto tra religioni. Il 22 luglio il testimone passa a Gianluigi Nuzzi, vicedirettore di Videonews e conduttore di “Quarto grado”, già inviato speciale di Panorama, che illustra in “Sua Santità” (Chiarelettere) il dietro le quinte della Chiesa di oggi attraverso i personaggi.

Protagonista della serata finale, il 29 luglio, sarà Sammy Basso, fondatore della Associazione Italiana Progeria,a raccontare la sua esperienza attraverso gli Stati Uniti nel libro “Il viaggio di Sammy” (Rizzoli).

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Un momento della conferenza stampa di presentazione dell’edizione 2015 di Autori a Corte

Completa la scena un ricco parterre di presentatori, tra cui i giornalisti Sergio Gnudi, Leonardo Rosa, Marco Zavagli (Estense.com), Nicola Franceschini (Telestense), Riccardo Roversi (Este Edition), Riccarda Dalbuoni (Ufficio Stampa Comune di Occhiobello), Sergio Gessi (Ferraraitalia.it) e Federica Pezzoli, il Presidente dell’Istituto di Storia Contemporanea Anna Maria Quarzi; il direttore artistico della rassegna letteraria Librandosi, Leonardo Romani ,e l’operatore culturale Leonardo Punginelli.

L’APPUNTAMENTO
Emergency chiama Ferrara risponde

Ci sono cose da non fare mai, / né di giorno né di notte / né per mare né per terra / per esempio, la guerra / (Gianni Rodari)

Cinque giorni per parlare di nuove resistenze, legalità, cittadinanza consapevole, solidarietà e accoglienza: sono gli Emergency Days, che si terranno da mercoledì 1 a domenica 5 luglio in Viale Alfonso I d’Este (zona Bagni Ducali), organizzati dal Gruppo di Emergency di Ferrara con il patrocinio del Comune di Ferrara e della Regione Emilia Romagna.

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La locandina degli Emergency Days

L’associazione di Gino Strada e della figlia Cecilia non ha bisogno di presentazioni, sono i fatti a parlare per Emergency: dal 1994 al 2014 ha fornito cure e assistenza sanitaria gratuite a oltre sei milioni di persone in 16 paesi nel mondo. La prima missione è stata a Kigali in Ruanda, proprio in quel terribile 1994, l’anno del genocidio. Da allora Emergency ha costruito ospedali, centri di riabilitazione fisica e sociale, posti di primo soccorso, ha iniziato a gestire centri sanitari e pediatrici, poliambulatori e ambulatori mobili, e soprattutto ha fornito e continua a fornire formazione al personale locale. Opera in Afghanistan, Iraq, Repubblica Centrafricana, Sudan, Sierra Leone e dal 2006 anche in Italia, con l’apertura del poliambulatorio di Palermo, cui sono seguiti nel 2010 quello di Marghera e nel 2013 quello di Polistena.

A Ferrara il gruppo di Emergency si è formato nel 2001 e conta attualmente circa 30 volontari. Nella loro sede di via Ravenna, incontro Serena che a ogni mia domanda risponde con la prima persona plurale, un “noi” che rivela tutta la passione e la partecipazione con cui i volontari seguono le attività dell’associazione. Parliamo del Programma Italia: “si sta ampliando sempre più. Oltre alla necessità di accogliere il numero sempre maggiore di migranti che sbarcano sulle nostre coste, ci siamo resi conto, perché all’inizio non lo immaginavamo nemmeno noi, che anche molti italiani hanno bisogno di noi perché non hanno accesso alle cure per vari motivi. Solo per farti un esempio, al Poliambulatorio di Marghera il 20-30% dei pazienti sono italiani, spesso sono poveri perché hanno perso il lavoro e non possono permettersi le cure specialistiche che il servizio sanitario non fornisce: le protesi dentarie, le visite oculistiche o molte malattie croniche. Un altro servizio fondamentale è la mediazione culturale che offriamo negli sportelli di orientamento socio-sanitario per aiutare i malati, migranti e non solo, a far rispettare i propri diritti presso le strutture pubbliche”. Nell’estate del 2012, dopo il sisma, i loro ambulatori mobili sono arrivati anche nel modenese e nel ferrarese: “la problematica principale che abbiamo affrontato all’inizio era il disorientamento delle persone, inoltre abbiamo offerto il nostro aiuto ai medici che volevano continuare a lavorare pur avendo il proprio ambulatorio inagibile”. Parliamo anche di Ventimiglia, della stazione centrale di Milano, e della (inesistente) politica europea sull’immigrazione: “quello che penso io è che le persone dovrebbero potersi spostare liberamente. Siamo tutti esseri umani, tutti sotto lo stesso cielo, tanto più quando sono persone in fuga da guerre”.

Parliamo soprattutto della sesta edizione degli Emergency Days, che dall’1 al 5 luglio tornano in città dopo una pausa di tre anni: l’ultima edizione è stata quella del 2011, quando il gruppo ferrarese ha festeggiato anche il proprio decennale. Quest’anno i fondi raccolti contribuiranno a sostenere il Centro Pediatrico di Goderich in Sierra Leone, uno dei paesi più poveri del mondo. “Emergency è in Sierra Leone dal 2001, quando è finita la guerra civile che è durata dieci anni e ha devastato il paese, lasciandolo completamente senza infrastrutture come sempre accade. Abbiamo costruito prima un centro chirurgico e poi l’anno successivo un centro pediatrico, dove ogni giorno vengono visitati più di 70 bambini”. Da allora le visite sono state 204.735 e i ricoveri 14.969, solo nel 2014 a Goderich sono state visitate 27.443 persone e ricoverate 1.604. “Nel 2014 la situazione si è aggravata a causa dell’epidemia di ebola: entrambi gli operatori che si sono ammalati lavoravano in Sierra Leone”. A fine anno erano 1.600 i bambini colpiti dal virus, che purtroppo ha fatto anche vittime indirette: molti bambini non hanno avuto accesso alle cure perché alcuni ospedali sono rimasti chiusi per mesi dato che il personale non si recava al lavoro per paura di contrarre la malattia. “Abbiamo dovuto aprire più centri per la diagnosi e poi per la cura dell’ebola”.

Per sostenere il Programma Sierra Leone i volontari hanno organizzato questi cinque giorni di dibattiti, musica e buon cibo, “un programma a cui lavoriamo ormai da tanti mesi e del quale siamo molto orgogliosi” sottolinea Serena. Tutti i giorni dalle 16:30 inizieranno le attività per i più piccoli con Francesca Venturoli, la Bottega di Copparo, Teresa Fregola della Piccola Compagnia dell’Airone e con gli Ambulaclaun e MusicTogether Associazione Carpemira. Sarà anche aperta la libreria Libri Liberi con titoli per grandi e piccini, in collaborazione con LibrieLetture.com, e si potrà visitare la mostra fotografica “La nostra Africa” con immagini realizzate presso i Centri sanitari di Emergency in Repubblica Centrafricana, Sierra Leone e Sudan da tre fotografi del collettivo congolese “Génération Elili”, Khelly Manou de Mahoungou, Arnaud Makalou e Baudouin Mouanda. Al Barzebone gestito dai volontari dell’associazione si potranno degustare menù speciali preparati il mercoledì dal ristorante Scaccianuvole, il giovedì dalla Trattoria il Cucco, il venerdì dall’agriturismo Sapori Semplici e il sabato dalla gastronomia La Vegana, mentre domenica ci sarà un aperitivo con i prodotti di Libera.

conferenza stampa emergency
La conferenza stampa di presentazione degli Emergency Days

Ogni giorno dalle 18.30 si terranno incontri e presentazioni di libri: il primo giorno si parlerà di Resistenza e resistenze; il 2 luglio di mafia e antimafia; il 3 luglio sarà dedicato a Emergency con “Ruanda-Sierra, 21 anni di attività sociosanitarie”, mentre il 4 si tenterà di rispondere alla domanda “Italia terra di accoglienza?”. Infine dalle 21: musica dal vivo con due gruppi ad alternarsi sul palco ogni sera. Il gran finale sarà domenica 5 luglio: dalle 10:30 partiranno i “Giochi senza frontiere” organizzati in collaborazione con l’Ente Palio di Ferrara, le contrade e la Corte Ducale si sfideranno in alcuni divertentissimi giochi medioevali, dalla corsa nei sacchi al tiro alla fune, dal lancio dell’Orco alla Torre, alla palla ferrarina, fino agli scacchi giganti.

 

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Gli Emergency Days giorno per giorno

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LA MOSTRA
L’emozione è a colori per Bratti

Ancora giovani artisti ferraresi, ancora menti creative che cercano spazio. E noi a cercare di darglielo, quello che sarà dedicato a Massimiliano Bratti  da oggi, venerdì 26 giugno, all’Osteria de’ Romei. Massimiliano (Max per gli amici), classe 1994, è alla sua prima mostra, gioca a pallavolo a Ferrara e ha studiato al liceo scientifico Roiti. La sua vita, ci racconta, è sempre andata controcorrente con una grande passione per la pittura e l’arte. Fin da piccolo, la creatività, e il disegno in particolare, sono stati momenti di “distacco” e di protezione, in un certo senso, da ciò che poteva metterlo in difficoltà … Disegnare è sempre stato il suo autentico sfogo. Autodidatta, sogna di diventare art director.
Tutto parte dall’opera artistico-filosofica di Vasilij Kandiskij: “Lo Spirituale nell’arte”. L’inizio. Si tratta di una scoperta abbastanza recente, per il giovane artista, ma fondamentale. Attraverso l’uso dei colori primari rosso, giallo e blu, ci spiega Max, Kandinskij espone le sue teorie sull’uso del colore, in un nesso strettissimo tra opera d’arte e dimensione spirituale. Il colore può avere due possibili effetti sullo spettatore: un “effetto fisico”, superficiale e basato su sensazioni momentanee, determinato dalla registrazione da parte della retina di un colore piuttosto che di un altro, o un “effetto psichico” dovuto alla vibrazione spirituale, prodotta dalla forza psichica dell’uomo, attraverso cui il colore raggiunge l’anima. Esso può essere diretto o verificarsi per associazione con gli altri sensi. L’effetto psichico del colore è determinato dalle sue qualità sensibili: il colore ha un odore, un sapore, un suono. Il colore, aggiungerei, ha una sua dimensione e un suo senso. Un senso unico, nella vera accezione direzionale, ma anche in quella di una vera originalità.
Nei quadri di Max, il blu, il rosso e il giallo danno sensazioni varie e molto intense, che spaziano dall’immensità del mare e del suo infinito tendere verso un orizzonte lontano ma meraviglioso, all’intensità della passione, fino alla grandezza dell’intuizione.
Vediamo alcune opere, allora, pronti a perderci in esse e a volare con la fantasia. Lontano ma anche vicino. Sicuri di capire, ma non poi più tanto certi, dopo averli osservati bene.

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“Deep Blue” di Massimiliano Bratti

Associato al cielo e al mare, il blu evoca luce, profondità, intuizione dell’infinito, tensione verso l’ultraterreno, unione con il tutto. Siamo tutti sotto lo stesso cielo e le stesse nuvole, ci perdiamo e ci ritroviamo dentro la profondità dei nostri pensieri e della nostra esistenza.
Il “Blue” è anche musica, nostalgica e triste, come sa esserlo la musica afro-americana, dolce e straziante allo stesso tempo, coinvolgente e melodica, una ricerca di quella profondità dell’anima umana che racchiude emozioni, idee, pensieri, mistero e nostalgia.
Il blu è proiezione delle nostre più profonde emozioni, un senso di tensione verso qualcosa che va oltre noi stessi e che si perde nelle sfumature di uno spazio sicuro circondato da un metaforico mare. Un mare che ci culla e lentamente ci trasporta verso un lento naufragio tra le sue onde. Un mare che può essere infinito e sconfinato, che crea disordine.

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Passione I e II di Massimiliano Bratti

Il colore rosso, invece, ci porta nel mondo della passione. Da sempre, i due concetti sono strettamente legati. Sognare tale colore allude al bisogno di calore e di protezione, alla possibilità di resistere a difficoltà e cambiamento, ma riporta anche a un aspetto spirituale e trasmutativo. Il rosso è lo specchio delle nostre emozioni, che non sempre ci riflette un’immagine coerente con ciò che siamo veramente, o meglio, con ciò che crediamo di essere. La nostra pace interiore, la nostra sicurezza, diventano spesso schiave delle nostre passioni. Ma attraverso la passione, acquistiamo forza. Attraverso la forza, potere.
La passione è anche libido, un vero meccanismo di repressione-liberazione delle pulsioni. Un’esplosione di azioni, di sensazioni, di emozioni, che sfugge al controllo dell’essere umano, che va oltre la sua capacità di razionalizzare ciò che gli sta attorno. Un’esplosione di colore che invade la nostra mente e la nostra vita. Un vulcano in eruzione.
Un ulteriore collegamento con il mondo onirico è dato dal giallo. In genere tale colore nei sogni esprime il desiderio di riportare l’ordine nel caos, di comprendere meglio la realtà, di analizzare i dettagli con spirito critico, di ampliare le proprie conoscenze. Può indicare che si sta cercando una soluzione ai propri problemi, che si è alla ricerca della propria dimensione. Giallo è connesso alla luce del sole, è il colore dell’intuizione, dell’intelligenza che penetra a fondo le cose, del ragionamento che dissipa le tenebre e che chiarisce ciò che prima risultava oscuro e confuso. Il giallo è il colore che avverte di possibili pericoli e invita alla prudenza e alla cautela. E’ un’energia senza fine, una voglia di volare lontano.
Quest’opera riprende il concetto fisico di entropia, la teoria del disordine. Attraverso il caos abbiamo energia, abbiamo trasformazione e, in alcuni casi, paradossalmente, ordine.
Per quanto riguarda questo quadro, “esso è una rappresentazione caotica nella quale io personalmente ho ritrovato un mio ordine”, ci dice Max. “Cerco di spiegarmi meglio… Quando faccio un quadro spesso mi lascio prendere dall’ispirazione e mentre lo faccio associo a esso concetti che mi affascinano e che in quel momento ritrovo nei miei pensieri…. Avevo visto la sera prima un documentario su Discovery che parlava dello spazio e di quanto fosse infinitamente grande o piccolo, del concerto fisico del disordine, e quando mi sono messo a dipingere nella mia mente ero attratto da quello!”.
Ancora energia, cambiamento, disordine dall’ordine, ordine dal disordine.
Infine, l’ombra della luce: lo stato migliore della vita terrena è visibile come proiezione, ombra, indotta dalla luce della vita superiore, che non possiamo vedere ma solo intuire.
Voto positivo. Passaggio alla mostra meritato.

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Massimiliano Bratti

“Forma mentis”, via de’ Romei 51 a Ferrara oggi dalle 18,30

SALUTE & BENESSERE
Bebè, serenità che parte dalla testa

La terapia craniosacrale è un metodo non invasivo di lavorare sul corpo, iniziato dall’osteopata americano William Garner Sutherland all’inizio del ’900. Il terapeuta ha scoperto l’esistenza di un movimento spontaneo delle ossa craniali e ha osservato un sottile impulso ritmico che è palpabile in tutto il corpo. E’ un sistema fisiologico che è fondamentale nel mantenere la salute e la vitalità del sistema mente-corpo. Si chiama ‘Meccanismo respiratorio primario’ (MRP). A livello anatomico, coinvolge il sistema muscolo-scheletrico, il fluido cerebrospinale, le membrane dure, i tessuti connettivi, il sistema nervoso autonomo e i fluidi.

Il neurocranio è la “scatola” che contiene meningi, fluidi, cervello, cervelletto etc. La formazione del cervello nasce come un “tubo” pieno di liquido che si allarga, si inspessisce e crea da dentro il suo contenitore osseo. Ogni malformazione ossea è il riflesso di un’eventuale disfunzione che ha a che vedere con il sistema nervoso. In più, il neuro-cranio non è una noce di cocco bella compatta, ma è costituito da diverse ossa “incastrate “ tra loro. La domanda è: perché la natura ha fatto ciò? Questo punto interrogativo è il fulcro da cui partì il fondatore dell’idea di un Sistema respiratorio primario, basato sul meccanismo craniosacrale. Osservate l’osso temporale, quello che contiene l’orecchio interno ed esterno, proprio sopra la parte superiore dell’orecchio, si “articola” con l’osso parietale (se vi toccate delicatamente sopra le orecchie sentite una sporgenza) come una squama di un pesce.

La tecnica craniosacrale per i bebè subito dopo la nascita è imperiale e ne traggono un beneficio incredibile. Tutti i bebè possono trarre beneficio da qualche sessione di craniosacrale. Il processo del parto è lavoro duro per la mamma e il bambino, e anche stressante. Questo può portare come risultati a coliche, irrequietezza, e problemi di sonno. Il corpicino è estremamente flessibile, e le diverse ossa del cranio sono come delle piccole isole che si muovono molto facilmente. Insomma, siamo come una busta piena d’acqua, con qualche osso qui e là. Quando il bebè è pronto per passare per il canale vaginale, la forte compressione e le forze di decompressione possono muovere uno sopra l’altro le piccole ossa durante il parto. Se rimangono incastrate, i nervi o le vene possono bloccarsi. Il punto più vulnerabile è la base del cranio, visto che i nervi e le vene passano dentro e fuori dal cranio per quel punto — soprattutto il nervo vago, che regola le funzioni di quasi tutti gli organi — e in più la respirazione, la digestione e il rilassamento del cuore. Usando un tocco delicato alla base craniale, le forze di compressione si rilasciano e lavorando con la zona del petto, il piccolo respira meglio e le tensioni sono rilasciate.

Rilanciare il sistema nervoso ha un effetto incredibile sul benessere del bebè (e dei genitori!). Quello che cerco quando lavoro con i bebè sono dei segni molto sottili nel comportamento e riposte al trattamento, che indicano quali aree hanno bisogno di attenzione o cosa c’è bisogno di fare. Segnali come il linguaggio corporeo del bimbo, i riflessi, la sensibilità al tocco mi danno informazioni importanti. E’ molto chiaro quando un bebè non vuole essere toccato in un area specifica — lui o lei si volterà dall’altra parte o spingerà con le braccia o le gambe — e questo va rispettato. Niente viene fatto senza il permesso dei genitori e dei bebè. Come in tutto il nostro lavoro, è la persona che determina la velocità e il processo di lavoro, non il terapista.”

La terapia craniosacrale è particolarmente importante per i bambini nati con il taglio cesareo. Perché? Ci sono due tipi di parti cesarei: elettivo (quando il bebè non scende nel canale vaginale) e d’emergenza (quando il bimbo è sceso nel canale vaginale e il parto è già avviato). Nel primo caso, c’è un rapido cambio di pressione nel sistema nervoso autonomo, e lo shock parasimpatico è comune. Questi sono i bebè che dormono molto; i cosiddetti ‘bebè buoni’. Più in la nella vita, queste persone possono ritrovarsi con poca energia, fatica cronica e poca motivazione. In questo caso, cerco di orientare delicatamente il bebè alla possibilità di movimento e spinta, per poter mobilizzare una risposta nervosa più simpatica — usando contatto leggero e una pressione verso l’alto sulla pianta dei piedi. Uso anche una voce rassicurante e incoraggiante.

Altro è il caso di un parto d’emergenza. In quel caso, il sistema nervoso parasimpatico è ingaggiato, quindi le forze e i temi di un parto naturale sono presenti. Un cambiamento improvviso può causare uno schema craniale inusuale causato dalle forze che non sono quelle che il sistema è naturalmente predisposto a incontrare. Questo può risultare in un cattivo orientamento e senso dei confini nel bebè. Quando cominciamo a lavorare con questi bimbi, aiutandoli a tranquillizzarsi, mi connetto con l’osso sacro per ri-bilanciare il sistema nervoso. Siccome il processo del parto è stato interrotto, c’è stata una specie di ciclo adrenalinico e quindi questo tipo di bebè a volte esprime rabbia scalciando o spingendosi via. Con bambini di questo genere, prendo molto tempo per l’approccio, applico le mani solo per brevi periodi.

Bisogna creare e diffondere questa cultura..essenziale per i bebè e i bambini, ma che agisce anche per tutti gli stati di ansia e depressione degli adulti. Consigliato rivolgetersi sempre a osteopata regolarmente professionista e membro del R.O.I.