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Inverno

Non possono esistere mezze misure per parlare, scrivere, dipingere l’inverno, perché questa stagione è radicale, senza compromessi, così profondamente delineata e riconoscibile nei suoi tratti che si fatica ad attribuirle risvolti diversi da ciò che ci offre. L’inverno gioca la sua partita in una dualità che alterna il calore della casa al gelo circostante, le luci delle ore centrali delle giornate più corte alle lunghe ombre che dominano gran parte della nostra quotidianità, le albe siderali ai tramonti di fuoco, la vita vivace sulle nevi al bisogno di introspezione.
I mesi invernali trovano le loro forme più movimentate e festose nei dipinti fiamminghi e olandesi di Hendrich Avercamp, Jan Griffer, Isaack van Ostade, popolati di pattinatori sui canali, bambini su rudimentali slitte, barche a vela trascinate sulla superficie cristallina cariche di legna, carbone e altra mercanzia, carri incagliati nel ghiaccio e ruote di mulini coperte di ghiaccioli, ricchi signori impellicciati che passeggiano sulla lastra sdrucciolevole e improvvisati giocatori di curling che colpiscono i sassi con bastoni. E ancora, quei cacciatori circondati da una muta chiassosa, che al ritorno a casa osservano dall’alto la folla vivace sul ghiaccio, come li ha voluti dipingere Pieter Bruegel il Vecchio.
Inverno aspro, invece, quello con cui i romantici tedeschi e inglesi identificavano lo spirito nordico. Nel dipinto dell’inglese William Turner ‘Bufera di neve: Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi’ (1812), viene rappresentata la potenza distruttiva della natura invernale che domina la scena, eclissando gli uomini. Un inverno a volte desolante e straniante, altre impetuoso e aggressivo, compare nei dipinti del tedesco Caspar Friedrich. ‘Il mare di ghiaccio’, conosciuto anche come ‘Il naufragio della speranza’ (1811), infonde un immediato senso di sopraffazione davanti a un ammasso irregolare, incontenibile e pericoloso di acuminate lastre di ghiaccio in movimento; mentre in altre opere, come ‘Paesaggio invernale con chiesa’ e ‘Paesaggio d’inverno’ (1811), le ombre scure rimangono sullo sfondo e l’atmosfera cupa viene attutita dal candore della neve in primo piano.

Un inverno eccezionale viene magistralmente descritto in letteratura, nell’affascinante romanzo di Virginia Woolf ‘Orlando’ (1928), nelle pagine in cui si parla del Grande Gelo, una piccola era glaciale a tutti gli effetti. Tra il 1608 e il 1695 il Tamigi gelò completamente bel dodici volte e il pack ghiacciato raggiunse i 30 cm di spessore. Era talmente resistente da permettere la creazione di grandi ‘Fiere sul ghiaccio’, con percorsi, luoghi di commercio e divertimento. In quel secolo l’ondata di gelo si fece sentire in tutta Europa e sulle Alpi i ghiacciai raggiunsero il massimo della loro estensione. Molte popolazioni della Savoia e del Tirolo dovettero spostarsi dai loro villaggi. A Londra, l’eccezionalità dell’evento diede vita ad attività di ogni genere sul fiume gelato: si aprirono negozi di barbieri, si crearono barche a slitta, si arrivò ad organizzare le tradizionali caccia alla volpe lanciando sul ghiaccio le prede, ci si dilettava al gioco delle bocce e del pallone, ci si ubriacava con bevande alcoliche calde, oltre che pattinare e passeggiare. Scrive la Woolf: “Il Gran Gelo fu, secondo quello che tramandarono gli storici, il più rigido che mai avesse colpito le nostre isole. Gli uccelli gelavano a mezz’aria e cadevano a terra come sassi. A Norwich, una giovane villana, la quale si era accinta ad attraversare la strada in ottima salute, fu vista dagli astanti andar in polvere e volare in un angolo al di sopra dei tetti, all’urto del vento gelido. Immane era la moria negli ovili e nelle stalle. I cadaveri gelavano e non potevano essere rimossi. Non era raro imbattersi in interi branchi di porci che il freddo aveva colto e solidificato in mezzo alle strade, una specie di pietrificazione”. Le cronache dell’epoca aggiungono ancora che il fiume luccicava alla luce dei falò che non riuscivano a sciogliere il ghiaccio che aveva la durezza dell’acciaio ed era talmente trasparente che si poteva scorgere sul fondo qualche imbarcazione affossata e imprigionata.
Lunghi inverni rigidi, dai contorni tragici, difficili ma familiari sono i protagonisti dei romanzi russi. ‘La tempesta di neve’ (1831) di Alexander Pushkin descrive la tormenta, ambientazione del racconto: “Il vento ululava, le imposte tremavano e sbattevano, tutto pareva minaccia e triste presagio”. E infatti la bufera interviene nei destini dei protagonisti e cambia le loro vite. Mur’ja non riuscirà a sposare il fidanzato perché il giovane, bloccato dalla neve alla vigilia delle nozze, non trova la via della chiesa. E ancora di inverno russo si parla nel romanzo ‘Il dottor Zhivago’ (1957) di Boris Pasternak, dove la tundra coperta di neve scintilla al sole e ci fa sognare. Troike che corrono veloci sulla superficie innevata, l’ululato dei lupi, i colbacchi di folta pelliccia e il silenzio che solo l’inverno sa reggere sono quasi vivi e palpabili, mentre il freddo e il gelo sono in contrasto con il calore delle relazioni umane.

L’inverno è amato da pochi, è una stagione solitaria, senza fronzoli e attrattiva immediata, quasi incolore, zitto e sfuggente da ogni percezione di movimento e vitalità ma il suo fascino discreto e pudico ha dato origine a molte pagine di letteratura, dipinti, brani musicali che ne hanno colto i segreti trasformandoli in emotività pura. Marcela Serrano scriveva: “Mi sono affezionata all’inverno perché sento che è vero, non come l’estate che vola via e sembra così divertente e allegra ma non lo è, perché il sole è sempre di corsa e lascia tutti con l’amaro in bocca. L’inverno non pretende di confortare, ma in fin dei conti sento che è consolante, perché una si raggomitola su se stessa e si protegge e osserva e riflette, e credo che soltanto in questa stagione si possa pensare per davvero”.

PER CERTI VERSI – D’alberi e magia

A partire da oggi, ogni domenica Ferraraitalia ospiterà “Per certi versi”, angolo di poesia curato dal professor Roberto Dall’Olio, all’interno della sezione “Sestante: letture e narrazioni per orientarsi”.

Roberto Dall’Olio

Roberto Dall’Olio insegna Storia e Filosofia al liceo classico “Ariosto” di Ferrara. Nativo di Medicina, è attualmente anche assessore all’Intercultura, valorizzazione dei beni culturali e sport del Comune di Bentivoglio, ove risiede, nel cuore della pianura bolognese.
Poeta e autore dal forte impegno civile, ha vinto il concorso nazionale di poesia va pensiero a Soragna (Parma).Tra le sue pubblicazioni: Entro il limite. La resistenza mite in Alex Langer (La Meridiana, 2000); Per questo sono rinato (Pendragon, 2005, con una nota di Roberto Roversi); La storia insegna (Pendragon, 2007); Il minuto di silenzio (Edizioni del Leone, 2008), La morte vita (Edizioni del Leone, 2010);  La notte sul mondo. Auschwitz dopo Auschwitz (MobyDick, 2011); Viole d’inverno. Canzoniere d’amore (Edizioni Kolibris, 2013, con note di Giampiero Neri e Umberto Piersanti). Sue poesie sono apparse su riviste e in antologie. Ha pubblicato il saggio Entro il limite. La resistenza mite in Alex Langer (La Meridiana, 2000). E’, inoltre, redattore della rivista “Inchiesta” diretta da Vittorio Capecchi e membro del Direttivo bolognese dell’Anpi.

Ecco, dunque, le prime tre composizioni liriche che l’autore ha riservato ai nostri lettori.

 

Alle nostre foreste

Cadono gli alberi
sradicati
dal vento
un crudo barbiere
taglia la gola
ai tronchi
come peli oziosi
dei monti
delle valli
sconvolte
sembra fuoco
che rade
è sangue
di fango
la memoria
atterrita
mai accaduto
non chiediamo
aiuto
cambiamo la vita

 

***

Tutto è magico intorno a noi

Tutto è magico
Intorno a noi
La fumana dalla terra
Avvolge in una pellicola
il cielo
E si srotola il film
della nostra vita
Un abbraccio
Nell’abbraccio
Quel grigio
Sfumato di bianco
Che pittura e sfiamma i mondi
Che abbiamo attraversato
È tenero ricordare coi passeri
Che l’amore è tutto
La sorgente
La foce
La pioggia
Valliva
La saliva che dipinge
Il tuo corpo
Nella mia tela
Tu la sfiori
Io accorro
E trovo
La melagrana aperta
La lingua
Dei baci
Solo noi
Ne siamo capaci

 

***

Mi dai lezioni

Ci amiamo tanto
e da così tanto
che abbraccciarci è
Già fare l’amore
Che baciarci le mani
Accarezzarle
È già fare l’amore
Che parlarci
Rilascia un lieve profumo
di una vita
Di due vite
Avvitate
Come dei filari
Diseguali
Che a te piacciono
Per la geometria
Nodosa
Tu mia Yin
Amorosa
Mi emozioni
sempre
E sempre la nostra pianta
Si disseta
Rimane umida
La terra
Tutte le volte
Che sto con te
Che ti penso

Mi dai lezioni

 

***

L’Emilia crocevia della droga, anche Ferrara nella rete del narcotraffico

“Rimanendo invariato l’attuale trend ci porterà a mercati nei quali, progressivamente, i beni ed i servizi che acquisteremo ed il lavoro che avremo, ci saranno, in larga parte, forniti dalla emanazione di associazioni criminali. Dunque, il rischio è che la nostra democrazia liberale si trasformi in democrazia criminale, nella quale, le persone oneste che vogliono mettersi sul mercato ed iniziare una qualsiasi attività economica parteciperanno ad una gara truccata”.
Democrazia criminale: dovrebbe essere un ossimoro. Eppure è l’allarme lanciato nell’ultima relazione della Direzione Nazionale Antimafia a inizio 2018. Basta riflettere solo un momento sulla capacità corruttiva che una liquidità “quasi illimitata” può garantire. Una liquidità assicurata dal narcotraffico, come sostiene l’ultima relazione della Commissione parlamentare antimafia (febbraio 2018): “l’economia illecita delle mafie si alimenta in primo luogo dei lucrosi proventi del narcotraffico”. Secondo i dati 2016 di Unodc – United Nations Office on Drugs and Crime – il giro di affari del narcotraffico supera i 560 miliardi di euro a livello globale e in Italia i 30 miliardi di euro, circa il 2% del Pil nazionale.

Ma cosa c’entra la ridente, benestante Emilia Romagna con questi loschi scenari del crimine internazionale? C’entra perché, come ha dimostrato il processo Aemilia conclusosi lo scorso ottobre, i nostri territori ormai sono ‘fortini’ conquistati alle organizzazioni mafiose e Bologna è “crocevia dei traffici di droga”.
‘Bologna crocevia dei traffici di droga’ è il titolo di un dossier, a cura di Libera Bologna e Libera Informazione, uscito nello scorso maggio, che evidenzia alcuni dei maggiori cambiamenti avvenuti negli ultimi anni. Il settore del narcotraffico, insieme a quello dei giochi e delle scommesse illegali, è una delle attività economico-criminali ad alta complessità organizzativa. Inoltre la portata degli interessi in gioco è tale da far prevalere, tra camorra, ‘ndrangheta e cosa nostra, la convenienza di una spartizione concordata dei profitti illeciti piuttosto che puntare a posizioni monopolistiche che potrebbero determinare situazioni di contrasto” (fonte: relazione della Direzione investigativa antimafia al 1° semestre del 2016). Infine si è creata una sinergia tra diverse organizzazioni criminali con ramificazioni internazionali per la gestione delle fasi di approvvigionamento delle droghe che rende ancora più complesse le attività investigative. Per esempio, la ‘ndrangheta vive di rendita, non organizza neanche più i trasporti: è un broker. Le poche volte in cui sono direttamente gli ‘ndranghetisti a comprare, le condizioni sono di assoluto favore: possono pagare dopo oppure non pagare il carico se viene sequestrato, due privilegi enormi per il narcotraffico, perché si azzera il rischio d’impresa. È accertato poi che la ‘ndrangheta, per ridurre i rischi di sequestro della merce nei porti calabresi, sottoposti a pressanti controlli delle forze di polizia giudiziaria, si avvale sempre più di gruppi criminali stranieri che controllano le aree portuali di altre regioni italiane. Quali sono? Per esempio l’Emilia Romagna, dove c’è una nuova rotta marina tracciata dalla criminalità organizzata albanese: tra la fine di ottobre e i primi giorni di novembre 2017, in due distinte operazioni antidroga effettuate dai Carabinieri, sono state sequestrate complessivamente oltre 5 tonnellate di marijuana trasportate su gommoni e scaricate lungo il litorale di Ferrara e di Ravenna. Insomma, la costa adriatica romagnola, dopo quella pugliese e marchigiana, sta diventando di particolare interesse.

Premettendo che i sequestri operati dalle forze di polizia territoriali rappresentano, mediamente, una percentuale di circa il 15-20% del totale delle droghe immesse sul mercato nazionale, questi sono i dati dei sequestri di stupefacenti (sia pure provvisori) effettuati nella prospera Emilia Romagna nel 2017: 15.334,09 kg. Un dato decuplicato rispetto solo all’anno prima. E nel 2018, stando ai primi dati ‘in lavorazione’ alla Direzione Centrale per i servizi antidroga, “la situazione in regione sul narcotraffico è destinata a peggiorare e non si vede, allo stato attuale, nessuna ragionevole iniziativa per arginare un fenomeno criminale così devastante”. A scriverlo, nel dossier di Libera Bologna, è Piero Innocenti, ex dirigente della Polizia di Stato, direttore del Servizio Affari Internazionali e Servizio Operazioni Antidroga della Dcsa.
A Bologna nel 2017 alla data del 1 ottobre sono 1.281,835 i kg sequestrati, di cui circa 30 kg di cocaina, 12 kg di eroina e la parte restante di hashish (oltre 900 kg) e di marijuana. Sul dato del 2017 incidono però notevolmente i sequestri avvenuti sulle coste di Ravenna, di Ferrara e nel territorio di Parma: tre ingenti quantitativi di marijuana in buona parte di provenienza albanese per complessive 12,5 tonnellate circa destinate ai ‘rifornimenti’ di altre piazze.
E, infatti, se il primato 2017 spetta alla provincia di Parma con 8.323,390 kg di merce sequestrata, di cui 8.153 kg di marijuana, intercettati a febbraio, e la seconda posizione va a Ravenna con 2.561,541 kg – in prevalenza di marijuana (2,4 ton) ma anche 5,5 kg di eroina, 4,5 kg di cocaina e 236 piante di cannabis – la ‘nostra’ Ferrara si colloca al terzo posto con 2.243,621 kg di cui circa 1 kg di eroina, poco più di mezzo chilogrammo di cocaina, 912 piante e 147 persone denunciate all’autorità giudiziaria, di cui 71 stranieri (il 48%).

Cosa fare poi di questa enorma quantità di denaro a disposizione? Una volta soddisfatte le esigenze di finanziamento delle attività criminali tout court, le mafie hanno la necessità di ripulire i fondi illeciti per ricollocarli nell’economia legale, e parallelamente, quella di occultarne la provenienza delittuosa. L’ammontare delle segnalazioni di operazioni sospette di riciclaggio trasmesse alla Unità di Informazione Finanziaria (UIF) da parte di intermediari, professionisti ed altri soggetti obbligati nelle sole province dell’Emilia Romagna per l’anno 2017 è stato il seguente: Bologna 1.502; Modena 991; Reggio Emilia 830; Parma 804; Rimini 622; Ravenna 470; Forlì Cesena 482; Piacenza 382. Ferrara, questa volta, è fanalino di coda con 255 segnalazioni.
Le modalità di infiltrazione nell’economia legale sono diversificate. Accanto alle imprese mafiose, sorte ab origine da fondi illeciti, esistono e hanno ormai un ruolo di canale di riciclaggio privilegiato, soprattutto al Centro-nord, le imprese a partecipazione mafiosa, cioè quelle che pur essendo nate nel rispetto della legalità hanno visto in seguito una compartecipazione criminosa oppure hanno acconsentito all’entrata nella compagine sociale di ‘soci occulti’. C’è poi il settore degli appalti pubblici: l’organizzazione non si serve della forza intimidatoria di uomini armati, ma ricorre all’enorme quantità di denaro accumulato per foraggiare funzionari compiacenti e per pagare l’assistenza di soggetti che non appartengono direttamente al sodalizio criminale, ma che rivestono ruoli chiave nelle società, nella finanza e nel commercio. Aemilia docet.
Oggi inoltre la criminalità organizzata può giovarsi di opportunità e tecniche di riciclaggio mai sperimentate nel passato, favorite soprattutto dall’integrazione dei mercati, dalla liberalizzazione della circolazione dei capitali e dalle potenzialità offerte dal web: le valute virtuali, come per esempio bitcoin, forniscono un nuovo strumento di riciclaggio per i criminali, consentendo loro di far circolare e conservare fondi illeciti, nell’assoluto anonimato. Urge una regolamentazione legislativa del settore, possibilmente a livello internazionale, anche e soprattutto penale.

Ecco che dall’economia si passa alla democrazia. Dalla democrazia liberale alla democrazia criminale. E allora la domanda diventa: quanto il narcotraffico incide non solo a livello economico, ma anche a livello di democrazia?
E la risposta la si può leggere ancora nella relazione della Dna: “la partita del contrasto al narcotraffico rimane decisiva. Non solo perché è indispensabile frenare e contenere un fenomeno, quello della diffusione degli stupefacenti, che ha riflessi assai rilevanti su beni di primario rilievo costituzionale quali la salute e l’ordine pubblico”, ma perché “contrastando il narcotraffico, in modo adeguato, si prosciuga la principale risorsa finanziaria delle grandi organizzazioni criminali e, fra queste, di tutte le mafie e di vari sodalizi terroristici […] si diminuisce la forza, l’efficienza, la capacità criminale, la capacità corruttiva, in una parola, la ricchezza, di tali organizzazioni e di tutta la complessa filiera che vi gira intorno”.

Per leggere il dossier ‘Bologna crocevia dei traffici di droga’ clicca QUI

Di narcotraffico in Emilia Romagna si parlerà lunedì 26 novembre alle ore 21 a Factory Grisù nell’incontro “Droghe: tra narcotraffico e spaccio in Emilia-Romagna” organizzato da Libera Ferrara.
Clicca QUI per visualizzare la locandina dell’iniziativa e QUI per la pagina fb dell’evento

Dal bagno alla stanza da letto la strada non sempre è breve

Il water-closet così come lo conosciamo oggi è stato inventato intorno al 1885, quando Thomas Crapper aggiunse alla tazza lo sciacquone. Un’invenzione rivoluzionaria in quanto l’acqua permetteva di pulire il gabinetto consentendo di liberarsi in modo efficiente di materiali ad alto contenuto batterico che altrimenti avrebbero potuto favorire l’insorgenza e la diffusione di malattie e infezioni. Come non ricordare che tutto questo, nell’indimenticato film ambientato nel medioevo “Non ci resta che piangere”, terrorizzava il compianto attore napoletano Massimo Troisi.

Per noi occidentali, europei e nord americani, rappresenta una realtà scontata e i più giovani, e più abituati alle comodità della nostra vita moderna, faranno molta fatica ad immaginare che circa 4,5 miliardi di persone non hanno ancora accesso alla toilette. In realtà, fuori dal cerchio magico, l’accesso all’acqua è una realtà fatta di file e di lunghe passeggiate e il problema è particolarmente acuto nel continente africano. Più della metà della popolazione di Eritrea (76%), Niger (71%), Ciad (68%) e Sud Sudan (61%), ad esempio, non ha accesso a servizi igienici di base. In altre parole defecano all’aperto.

Anche in India si vive lo stesso dramma, rappresentato tra l’altro in un film bolliwoodiano dal titolo “Toilet: a love story”. In questo caso un dramma dovuto più a scelte legate alla tradizione che alle possibilità economiche. Costume indiano vuole, infatti, che gli escrementi in casa ne deturpino la purezza per cui meglio andare per campi e magari di notte.

In Africa il problema è un po’ più variegato e sotto certi aspetti ci interessa anche di più dovendo convivere con i suoi flussi migratori. Nel 2015 l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha classificato il Ghana come settimo paese più sporco del mondo, e questo dovuto proprio alla pratica della defecazione all’aperto. Secondo David Duncan, responsabile di Wash (Water, Sanitation and Hygiene) nell’ufficio dell’Unicef in Ghana, la maggior parte delle persone nelle tre regioni del Nord del paese non vede un bagno come una necessità perché la defecazione all’aperto è una pratica diffusa da generazioni.

In ogni caso, al di là di tradizioni o sentimenti, l’accesso all’acqua e alla toilette vanno di pari passo con il dramma della mortalità per malattie dovute alla carenza di igiene. Secondo i dati dell’Unicef e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità l’accesso all’acqua in questo continente avviene come da tabella di seguito:

Regione Da fonte: gestita in modo sicuro di base limitata Non controllata Da acque di superfice
Middle East and North Africa 77% 16% 4% 2% 1%
Eastern and Southern Africa 26% 28% 18% 16% 12%
West and Central Africa 23% 40% 10% 20% 7%

che rapportato a quanto succede dalle nostre parti dà l’idea del dramma

Regione Da fonte: gestita in modo sicuro di base limitata Non controllata Da acque di superfice
North America 99% 1%
Western Europe 96% 3% 1%

Secondo il World Economic Forum, l’acqua rappresenta un rischio globale tra i più importanti a livello mondiale anche dal punto di vista economico. Infatti stima che ogni anno si perdono 260 miliardi di dollari a causa della mancanza di acqua di base e di servizi igienico-sanitari. Per il Ghana, che abbiamo citato sopra, il costo fu stimato nel 2012 dalla Banca Mondiale in 79 milioni di euro l’anno. Un accesso universale a questi servizi porterebbe invece benefici per quasi 18,5 miliardi di dollari.

Garantire l’accesso all’acqua, scrive il W.e.f, ha profonde conseguenze. Per ogni dollaro investito in acqua e servizi igienico-sanitari, c’è un ritorno di 4 dollari dovuti a costi sanitari più bassi, maggiore produttività e meno decessi.

Ma passiamo alla buona notizia.

Bill Gates, l’inventore del Dos prima e del Windows dopo, ha presentato a Pechino il water del futuro, che funziona senza acqua né fognature. La ‘Reinvented toilet’ grazie a una reazione chimica trasforma i rifiuti umani in acqua pulita, elettricità e fertilizzante. Per il progetto la Fondazione Bill e Melinda Gates ha stanziato 200 milioni di dollari in sette anni, meno di 30 milioni l’anno.

L’idea della fondazione è di destinare questo water in particolare ai paesi poveri dove le scarse condizioni igienico-sanitarie uccidono ogni anno quasi mezzo milione di bambini di età sotto i cinque anni, dice la pubblicità.

Certo sapere che meno di 30 milioni l’anno in ricerca potrebbero salvare la vita a milioni di bambini africani e creare migliori condizioni igieniche e di vivibilità in un intero continente dovrebbe far venire i brividi. Pensare a quanto la tecnologia stia andando avanti, a quanto il futuro sia già alle porte, al fatto che forse siamo già noi il futuro dovrebbe porci domande molto intriganti, sollevare dubbi riguardo al nostro modello di sviluppo e persino avanzare accuse rivolte ai padroni del progresso.

Mentre milioni di bambini, donne e uomini soffrono e muoiono per malattie legate alle condizioni igieniche scopriamo che modesti investimenti potrebbero risollevare le loro sorti. Abbiamo la tecnologia per andare avanti ma rimaniamo ancorati a concetti vecchi come l’attesa dell’iniziativa privata, della carità e dei tempi del ricco uomo d’affari.

Discutiamo su che tipo di politica dobbiamo applicare nei confronti dei migranti ma non ci chiediamo come aiutarli davvero e questo perché la risposta passa sempre dagli interessi economici nonostante sia anche provato che a far stare bene l’Africa ci si potrebbe anche guadagnare. Si guadagnerebbe di più portando sviluppo e donando condizioni migliori di vita attraverso il progresso tecnologico piuttosto che essere costretti ad inviare aiuti, cibo e medicine.

Ma se il dibattito fosse approfondito si rischierebbe di scoprire che le spese degli aiuti sono a carico della collettività mentre i guadagni dello sfruttamento a beneficio di azionisti di multinazionali, petrolieri, finanzieri e grandi società (mi permetto di consigliare la lettura di “Confessioni di un sicario dell’economia. La costruzione dell’impero americano nel racconto di un insider” di John Perkins).

Il punto, come sempre, è che noi (gente comune con molto cuore e pochi soldi) ci guadagneremmo mentre tutti gli azionisti che operano, a volte inconsapevolmente, in questi Paesi e in compagnia dei Paesi occidentali che trovano più comodo sfruttare (vedi Francia) che cooperare, ci perderebbero.

Che sforzo sarebbe stato per uno Stato investire 30 milioni all’anno per creare un oggetto salva vite del genere? E forse ci sarebbero voluti anche meno di 7 anni se avessero partecipato tutti insieme i paesi europei. Avrebbero creato ricchezza anche da noi, pagando ricercatori e dando contributi alle università e si sarebbero meritati quel premio Nobel 2012 per la pace che ad oggi risulta un po’ “rubato”, viste le troppe partecipazioni ad interventi armati e la continua vendita di armi all’estero.

Da una parte gli stati africani non possono spendere perché hanno debiti da ripagare, non hanno personale specializzato né un sistema per poter arrivare ad invenzioni di tale portata. Dall’altra la ricca Europa dell’euro non può spendere per le regole di Maastricht e di Lisbona che impongono austerità, anche questa per ripagare i debiti. L’Africa accomunata all’Europa, entrambe carenti di sovranità, entrambe avviluppate nell’incubo del debito mentre aspettano l’autorizzazione alla sopravvivenza, allo sviluppo, al progresso.

Sempre di più il nostro futuro dipenderà da un ricco privato, da una multinazionale o da qualche lobby. Questo è il mondo senza sovranità, ovvero senza la possibilità di decidere in autonomo la propria evoluzione oppure attraverso libere istituzioni, rappresentate da persone liberamente elette dai popoli. Un mondo privato dello spazio dove poter esercitare la democrazia, globalizzato d’imperio, finanziarizzato per legge, povero e senza futuro per scelta.

Giuliano Gallini presenta il libro “Il secondo ritorno”

Da: Organizzatori

Mercoledì 21 novembre incontro con l’autore alla libreria Feltrinelli

Mercoledì 21 novembre alle ore 18 Giuliano Gallini presenterà alla libreria Feltrinelli il suo ultimo libro “Il secondo ritorno” (Edizioni Nutrimenti). Modera l’evento Sergio Gessi.

Giuliano Gallini è nato a Ferrara e vive a Padova. È sposato e ha una figlia. È direttore marketing strategico e comunicazione di Cir food dalla fondazione del gruppo (1992). Precedentemente ha lavorato a Conad. Tra i suoi maggiori interessi, la lettura e la scrittura. Nel 2017 è stato pubblicato il suo primo romanzo, Il confine di Giulia, che ha avuto un grande successo di critica.

BORDO PAGINA
Wall Street 2019, intervista al Maestro d’Arte Daniele Carletti da Ferrara

Protagonista sempre raffinatissimo tecnicamente (una neometafisica o neopop anche molto molto Personal…) di lunga data a Ferrara e non solo, il Maestro d’arte Daniele Carletti ha appena pubblicato Wall Street 2019, Asino Rosso ebook, sorta di microcatalogo web, tra opere e rassegna stampa fin dagli anni novanta, impreziosita dalla cover con il grande Pavarotti (con dedica) conosciuto a suo tempo per la sua partecipazione a ‘Pavarotti International’.
Carletti vanta mostre anche in Usa, Francia e in Italia (Artisti in Fiera, Torino 2002) e numerose altre città (ai tempi di Don Patruno, Casa Cini a Ferrara).
Una presenza ancora recente e costante nella Galleria d’Arte Il Rivellino, curata dal ben noto Emidio De Stefano, e diverse iniziative, stage per giovani artisti e anche diverse mostre collettive.
Soprattutto in questo 2018, dopo una certa assenza per questioni extra artistiche, è ritornato alla ribalta su scala nazionale partecipando a Lucca (Villa Bottini) a un importante edizione del Festival del Nuovo Rinascimento a cura del fondatore e curatore Davide Foschi, gruppo in cui è coinvolto attualmente e in forte progress nella cultura italiana nuova e creativa (non solo Arte, una visione neorinascimentale 2.0 di speciale effervescenza).

Maestro, un suo nuovo percorso artistico di ampiezza nazionale, neorinascimentale come focus del festival, un approfondimento?
Lucca è stata una grande opportunità. Ringrazio innanzitutto il curatore Davide Foschi e tutto il suo staff che mi hanno permesso di poter esporre e confrontarmi con gli altri artisti del nuovo rinascimento. Esperienza questa importante che allarga il mio percorso artistico.

Daniele, una ormai lunga e nota carriera come artista, uno zoom autobiografico?
Il mio percorso artistico parte nel 1992, dopo avere svolto esposizioni importanti in buona parte del territorio nazionale e non. Ad oggi con l’esplosione di Lucca mi ha ulteriormente stimolato alla ricerca di nuovi orizzonti.

Daniele Carletti, l’arte contemporanea oggi, come la vedi?
Molte sono le espressioni artistiche oggi, facilitate da supporti tecnici infiniti. In questa società apparentemente libera ma appannata da falsi valori ,l’artista contemporaneo, ha il dovere di rilanciare con il proprio lavoro, un messaggio forte e di scuotere gli stati d’animo dell’osservatore, è ribadire con forza il suo valore sociale.

Daniele… Lucca neorinascimentale… e Ferrara?
Due città apparentemente uguali, ma con qualche differenza. Lucca città aperta alle opportunità e preparata con occhi di riguardo verso artisti, poeti e scrittori che hanno accolto il nuovo rinascimento. Ferrara purtroppo ancora no.

Info
Ferrara Italia Festival del Nuovo Rinascimento, Lucca, 2018
Ferrara Italia eBook Asino Rosso – Wall Street 2019 (2018)
Mondadori eBook

Circolo Unione Ferrara – Film “Il Crollo di un Impero” di Massimo Sani, 1968

Da: Circolo Unione Ferrara

Venerdì 23 novembre alle ore 17,30 -Circolo UnioneVia Lollio 15, Ferrara

Nel centesimo anniversario della caduta dell’impero austro ungarico il Circolo Unione di Ferrara invita la città ad assistere alla proiezione del film inchiesta “Il crollo di un impero” realizzato nel 1968 per la RAI dal regista ferrarese Massimo Sani, recentemente scomparso.
Il film, di proprietà della Fondazione Sani, dura 70 minuti. La proiezione sarà preceduta da una presentazione della Prof. Anna Maria Quarzi, presidente dell’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara, con la partecipazione del Prof. Andrea Baravelli, professore di Storia Contemporanea presso Unife.
La proiezione si terrà venerdì 23 novembre alle ore 17,30 presso la sede del Circolo Unione in via Lollio 15, Ferrara. Gli interessati possono accedere liberamente al Circolo, fino ad esaurimento dei posti disponibili.

Il film
Il crollo di un Impero è un docudramma realizzato nel 1968 da Massimo Sani in collaborazione con il regista tedesco Pierre Hoffmann per la rubrica «Almanacco» della RAI-TV, in occasione delcinquantesimo anniversario della fine della prima guerra mondiale. Il lavoro, della durata di 70minuti, esplora le cause della caduta della monarchia austro-ungarica al termine del conflittoconcentrandosi in gran parte sulla ricostruzione dell’ultima seduta della Camera dei Deputati (Abgeordnetenhaus) del Parlamento austriaco ( Reichsrat), apertasi a Vienna l’1 ottobre 1918 etrasformatasi ben presto in un accesissimo terreno di scontro tra la cancelleria asburgica e ideputati appartenenti ai vari territori dell’Impero sulla questione dell’autonomia delle nazionalitàdal governo centrale, che di lì a poco avrebbe condotto alla dissoluzione di quella articolatacompagine statale. A distanza di cinquant’anni da quei fatti Massimo Sani è tornato all’interno delParlamento di Vienna servendosi di una serie di attori professionisti, ai quali ha affidato il compito difar rivivere, attenendosi fedelmente ai verbali originali delle sedute, la rovente atmosfera diquello storico dibattito dando così vita ad un vero e proprio lavoro di teatro-inchiesta televisivoin bianco e nero di rara efficacia.
In allegatoalcune foto dello storico edificio del Parlamento di Vienna al cui interno Massimo Sani ha girato le sedute del Crollo di un Impero nel 1968 per la RAI-TV.

Congresso nazionale Arcigay Macario nella segreteria nazionale

Da: Argigay Ferrara

Si è svolto a Torino il 16-17-18 Novembre, il XVI Congresso Nazionale di Arcigay che ha proclamato Gabriele Piazzoni Segretario Generale e Luciano Lopopolo neo Presidente al posto dell’uscente Flavio Romani, ferrarese di adozione e al suo secondo e ultimo mandato.
Ma Ferrara rimane protagonista della scena nazionale di Arcigay, giocando un ruolo impotante nella governance dei futuri quattro anni di mandato dell’associazione. Manuela Macario, attuale Presidente di Arcigay Ferrara è stata eletta componente della Segreteria nazionale con la delega al Lavoro e Marginalità. Un compito che la vedrà impegnata sul fronte dei diritti sociali e civili. nella lotta alle discriminazioni nei contesti lavorativi, nel contrasto alla marginalità ancora troppo spesso conseguenza del proprio orientamento sessuale e identità di genere. Anche Eva Croce, attuale Vice Presidente di Arcigay Ferrara rivestirà un ruolo nazionale come componente del Collegio dei Revisori dei Conti, mentre Simone Buriani, attuale responsabile del tesseramento del comitato ferrarese, è stato eletto Consigliere nazionale di Arcigay.
Un successo per il comitato di Arcigay Ferrara che è il risultato di tre anni di intensa attività, di crescità dell’associazione che conta oggi più di duecento tesserati e una cinquantina di attivisti che sono il cuore, l’anima e il motore di un’associazione giovane e dinamica.
Ora si apre per Ferrara una nuova fase congressuale locale che sì concuderà il 12 Gennaio 2019 con il Congresso Provinciale per il rinnovo delle cariche sociali.Dopo tre anni di presidenza Manuela Macario passerà il testimone anche a fronte di questo nuovo incarico nazionale e si avvicenderà alla guida del comitato ferrarese Eva Croce, attuale vice presidente e coofondatrice del Gruppo TransFer.

Asino Rosso Ferrara – Ebook, Wall Street 2019 di Daniele Carletti, Maestro d’Arte ferrarese

Da: Asino Rosso Ferrara

On line per la ferrarese Asino Rosso eBook, Wall Street 2019 di Daniele Carletti, Maestro d’Arte e storico Pittore ferrarese contemporaneo.
” Protagonista sempre raffinatissimo tecnicamente (una neometafisica o neopop anche molto “molto Personal…” di lunga data a Ferrara citta d’arte e non solo, il Maestro d’arte Daniele Carletti nasce a Porotto (Ferrara) nel 1952. Attratto fin da piccolo dalle arti plastiche e figurative, dopo la scuola dell’obbligo si iscrive Bologna, dove si diploma brillantemente in pittura nel 1975, sotto la guida del maestro Walter Lazzaro. Numerosi i suoi quadri acquistati da collezionisti e amatori, Tra le mostre più importanti, ricordiamo: Jacob Javits Centre di New York (Artexpo 1994), Sala Zanolini di Ferrara (1994,1995 e 1997), Sala Marta del Comune di Ivrea (1995); Pavarotti International (1996), Galleria Oreste Marchesi di Copparo (Ferrara, 1997), Saturnia, Comune di Manciano (Grosseto, 1997 e 1998), Torre Matildea di Viareggio (Lucca, 1998), Castello di Capalbio, (Grosseto, 1998) , Bnl di Ferrara per Téléthon 1998, Trofeo “Art & Golf’ a Franciacorta (Brescia, 1999), Chiesa di Santa Lucia a Macerata Feltria (Pesaro 1999), Sala “Loggia Amblingh” di Vasto (Chieti, 1999), Galleria “Préau des arts” a Nyons (Francia, 1999), Saturnia(1999), Biblioteca comunale di Peschiera del Garda, Galleria “Marchesi” di Rovigo, Circolo culturale “Vincenzo Civerchio” (Crema, 2001), Art Gallery di Pienza (Siena, 2001 e 2002), Villa Pomini in Città di Castellanza (Varese, 2001), Artisti a Torino (2002), Galleria Via Maestra di Poggibonsi (Siena, 2002), Castello di Lerici (La Spezia, 2003), Casa Ariosto (Ferrara, 2004), Villa Bottini con il movimento Nuovo Rinascimento (Lucca, 2018, a cura di Davide Foschi). Questo microcatalogo web cristallizza per la prima volta il suo percorso artistico, tra mostre, opere in “versione digitale” e puntuali note critiche.

“Sulla Mia Pelle”… e sulla nostra: l’inadeguatezza del ministro Salvini

da: Alessandra Tuffanelli

Alla presenza della famiglia Cucchi, ieri pomeriggio a Roma, c’è stata una proiezione del film “Sulla Mia Pelle”, organizzata e fortemente voluta dal Presidente della Camera Roberto Fico. Un evento ufficiale, pubblico e aperto a cui erano stati invitati in primis tutti i membri del governo, i responsabili istituzionali, i parlamentari, e tutti i cittadini che avessero sentito il desiderio di presenziare.
Clamoroso assente Salvini, che ha liquidato la questione con un: “Sono troppo impegnato per andare al cinema”. Gesto gravissimo, che denota tutta la sua inadeguatezza a ricoprire il ruolo di vicepremier, ma soprattutto di Ministro degli Interni, che avrebbe dovuto presenziare, attento e rispettoso, in prima fila.
Mostra tutto lo spregio e la mancanza di rispetto verso la vittima di uno dei più gravi fatti italiani degli ultimi decenni, e verso la sua famiglia, che dopo 10 anni ancora attende verità e giustizia, risposte che proprio lui, in virtù del suo ruolo, dovrebbe garantire venissero date.
Dimostra il totale disinteresse e la mancanza di condivisione, da parte del Ministro, dei principi fondanti della nostra Costituzione e che stanno alla base della nostra idea di civiltà e di comunità.
Atteggiamento gravissimo, dunque.
92 minuti, invece, di (simbolici) applausi per il Presidente della Camera Fico, che nonostante le evoluzioni funamboliche del governo, tira dritto, perfettamente consapevole del suo ruolo, rispettoso dei principi costituzionali e di quel bagaglio di valori e di idee che ha promosso e promesso per tutta la campagna elettorale e a cui ora continua a restare saldamente legato, a differenza di tanti dei suoi. Sinceramente non capisco come possa ancora riconoscersi e rimanere all’interno di quel carrozzone dai mille e opposti volti che alcuni ancora si ostinano a chiamarsi movimento politico.

Presentata la nuova stagione del Teatro Comunale di Occhiobello

Da: Teatro Comunale di Occhiobello

Si è svolta venerdì mattina, alla presenzadel SindacoDaniele Chiarioni, dell’Assessore alla Cultura del Comune di Occhiobello Silvia Fuso edel Direttore Artistico del Teatro Comunale Marco Sgarbi,la presentazione della stagione teatrale 2018/2019, giunta quest’anno alla diciottesima edizione.
L’Assessore ha sottolineato l’importanza che la programmazione riveste nel panorama culturale del territorioche,per il secondo anno consecutivo, prevede anche una stagione dedicata ai ragazzi grazie al progetto Next Generation sostenuto da Funder35, bando nazionale vinto dall’associazione Arkadiis nel 2016. “ L’aspetto più innovativo di questa edizione – ha detto l’Assessore – è il contributo economico che la regione del Veneto ha stanziato a favore della manifestazione. Abbiamo sempre creduto in questa programmazione e sapere che ci sono altre istituzioni che hanno deciso di investire parte delle loro risorse, per noi fondamentali, a favore del nostro territorio, ci rende orgogliosi. Importante è stato anche l’intervento degli sponsor Wavin Italia, Selecta e Unaway Hotel.”
“È il diciottesimo anno che si svolge la stagione teatrale – ha detto il Sindaco Daniele Chiarioni – siamo partiti nel 2001, con una rappresentazione ideata dallo stesso Marco Sgarbi sull’alluvione del ’51. L’esperienza di direzione è iniziata come esperienza solitariapoi cresciuta; attorno a Sgarbi è nata l’associazione, Arkadiis, fatta da tanti giovani che hanno collaborato con lui in questi anni. Se c’è un rammarico personale che ho, è che in questi anni l’amministrazione comunale non è riuscita a costruire un vero e proprio luogo dedicato esclusivamente al teatro, ma la sede attuale è rimasta una sala utile a tante altre attività. Spero che le prossime amministrazioni si pogano l’obiettivo di realizzare una vera sede teatrale, che questo territorio merita”.
La parola è passata poi al Direttore Artistico Marco Sgarbi che ha presentato i vari appuntamenti in cartellone, a partire dallo spettacolo fuori abbonamento andato in scena venerdì sera, ‘Stabat Mater’ con Maria Paiato, che ha riscosso grande successo e apprezzamento da parte del numeroso pubblico presente in teatro.
Si è poi entrati nel vivo della programmazione in abbonamento, che inizierà il 14 dicembre con il ritorno di Davide Enia, attore, drammaturgo che porterà in scena ‘L’Abisso’,spettacolo che tratta i temi scottanti dell’immigrazione, vissuti da Enia insieme al padredurante il loro viaggio sull’isola di Lampedusa.
Uno spettacolo che tratterà temi analoghi, ma attraverso un altro punto di vista, sarà ‘Albania Casa Mia’,con AleksandrosMemetajin scena il 18 Gennaio. Il protagonista,29 annidi origine albanese, arrivò in Italia all’età di sei mesi,nel 1991, su un barcone. Insieme alla sua famiglia si trasferì in Veneto, in un contesto sociale allora intriso di paura verso tutti coloro che provenivano dall’altra parte dell’Adriatico.
L’1 febbraio sarà la volta del Teatro dei Gordi che porterà in scena uno spettacolo singolare: maschere contemporanee di cartapesta, figure familiari che racconteranno, senza parole, i loro ultimi istanti, le occasioni mancate, gli addii;storie semplici con ironia ‘Sulla morte senza esagerare’.Il 15 Febbraio Gaetano Colella, attore pugliese,porterà inscena ‘Icaro Caduto’ per la regia di Enrico Messina. La storia ripercorre le vicende di Icaro che precipita in mare dopo essere fuggito col padre Dedalo dal mitologico labirinto di Minosse. Lo spettacolo racconta ciò che accadde a Icaro dopo la caduta, nella travagliata ricerca della madre e del padre.
L’1 marzo, torna a Occhiobello una grande interprete:Anna della Rosa andrà in scena con un monologo,tratto dal romanzo di da Michela Murgia,‘L’Accabadora’; storia di una ragazzina cresciuta accanto all’antica figura sarda che accudisce le persone nel fine vita,accompagnandolealla morte.La stagione si chiuderàil 15 marzo con Eugenio Allegri, attore che per il venticinquesimo anno consecutivo porta in scena‘Novecento’,esordio teatrale che consacrò Alessandro Baricco, che nel 1994 scrisse appositamente il monologo per il regista Gabriele Vacise lo stesso Allegri.
Prosegue anche quest’anno‘Next Generation’,la programmazione dedicata alle suole dell’Istituto Comprensivo di Occhiobello. Cinque gli spettacoli in cartellone, quattro organizzati da Arkadiis e uno dalla compagnia il Baule Volante che da anni lavora con le scuole del territorio. Una stagione ricca di appuntamenti che a tutti gli effetti rappresentano un’offerta di teatro contemporaneo unica all’interno del panorama culturale della provincia, una scelta che da anni caratterizza questa programmazione.“Abbiamo deciso di parlare della difficoltà del cambiamento nel quale tutti noi siamo immersi” – ha concluso Marco Sgarbi – “stupisce e affascina che il luogo della finzione per antonomasiasia diventato nel tempo un avamposto della verità. Proprio questa apparente contraddizione ci offre lo spunto per riflettere ancora una volta sulla nostra condizione umana”.
Abbonamenti disponibili fino al 30 novembre. Prevendita singoli spettacoli dall’1 dicembre.Per informazioni 349.8464714 – 0425.76611www.teatrocomunaleocchiobello.it

Rassegna della storica e nuova canzone d’autore: musica come impegno ed emozione

Storie che ti portano in viaggio nel tempo e nello spazio attraverso parole e musica: sono quelle che entrano nella testa e nel cuore con la Rassegna della storica canzone d’autore, a Ferrara per la sua settima edizione, andata in scena nella sala Estense di Ferrara nelle serate di venerdì 2 e sabato 3 novembre 2018. E non poteva essere altrimenti per questa carrellata di concerti all’insegna di uno dei cantanti più impegnati nella musica d’autore come Claudio Lolli e il suo album ‘Aspettando Godot’ che dà il titolo all’associazione che, per il settimo anno, è riuscita a organizzare queste serate musicali ferraresi con grandi nomi che negli anni sono diventati meno presenti sulle scene e anche con nomi di talenti emergenti.

I Cranchi  in sala Estense a Ferrara, venerdì 2 novembre 2018 (foto Luca Pasqualini)

Ad aprire le due serate il gruppo dei Cranchi composto da musicisti trentenni che vivono tra Mantova e Ferrara. Tra gli altri, i Cranchi hanno presentato un brano originale intitolato proprio “Ferrara” [clicca sul titolo del brano per ascoltarlo], dove ci si immerge tra la Darsena e corso d’Este, Savonarola ed Ariosto.

Beatrice Campisi con i suoi musicisti sul palco della Rassegna ferrarese, venerdì 2 novembre 2018 (foto Luca Pasqualini)

Capace di conquistare cuore e orecchie del pubblico Beatrice Campisi, cantautrice di origini siciliane che dà il meglio di sé nell’esecuzione di un brano tutto in dialetto siciliano, come “Luna Lunedda” [clicca sul titolo del brano per ascoltarlo].

Beatrice Campisi (foto Luca Pasqualini)

Una piccola riscoperta Max Manfredi, apprezzato anche da Fabrizio De Andrè, che con le sue canzoni spazia dal porto di Atene alla stazione ferroviaria di Asti facendo ironia sulle strane suggestioni che possono uscire da un inceppamento del tele-indicatore a palette. Così l’errore finisce per indicare come destinazione del viaggio un surreale ed esotico “Kukuvok” che magari era solo un domestico Sanremo.

Max Manfredi (foto Luca Pasqualini)

Travolgente, infine, Francesco Baccini, che rivela non solo le note capacità trainanti e pop, ma anche un risvolto critico e impegnato.

Francesco Baccini – Rassegna storica e nuova canzone d’autore – Ferrara, venerdì 2 novembre 2018 (foto Luca Pasqualini)

Proprio la verve dissacrante di Baccini, si capisce così, ha contribuito a renderlo una voce inaspettatamente scomoda e quindi sempre meno presente sulle scene, dal momento in cui – come ha raccontato con la consueta ironia – ha fatto un album dove faceva letteralmente nomi e cognomi (da “Giulio Andreotti” a “Renato Curcio”).

Francesco Baccini (foto Luca Pasqualini)

La seconda serata della Rassegna – sabato 3 novembre 2018 – si è aperta con il cantante-mattatore Leonardo Veronesi.

Leonardo Veronesi (foto Luca Pasqualini)

Ad accompagnare sul palco Veronesi due ottimi musicisti e la coppia di performer usciti dalla scuola di danza di Silvia Bottoni, a commentare visivamente i brani dell’album “Non hai tenuto conto degli Zombie”.

Leonardo Veronesi in scena – Rassegna storica e nuova canzone d’autore – Ferrara, sabato 3 novembre 2018 (foto Luca Pasqualini)

Occhi e orecchie sono così appagati dallo spettacolo con Silvia Marcenaro concentrata al violino ed Eugenio Cabitta alla chitarra.

Leonardo Veronesi in scena – Rassegna storica e nuova canzone d’autore – Ferrara, sabato 3 novembre 2018 (foto Luca Pasqualini)

Di grande impatto il duo che si presenta in scena come Canzoni da Marciapiede, formato dalla cantante Valentina Pira e dal pianista Andrea Belmonte.

Duo Canzoni da Marciapiede – Rassegna storica e nuova canzone d’autore – Ferrara, sabato 3 novembre 2018 (foto Luca Pasqualini)

Il duo ha fatto ascoltare in particolare un brano composto proprio a Ferrara, “16 luglio 1809” [clicca sul titolo del brano per ascoltarlo], dedicato all’insurrezione dei contadini negli anni della dominazione francese. Con ritmi epici e impegno sociale, la canzone riporta in auge la forza e il coraggio dell’impegno di chi decide di opporsi all’oppressione a costo della sua stessa vita: seimila persone che marciano dalla campagna verso la città, provati dalla carestia e decisi a protestare contro le tasse che li affamano e li schiacciano, come è il caso della terribile tassa sul macinato.

Duo Canzoni da Marciapiede (foto Luca Pasqualini)

Un capitolo a sé Giorgio Conte, musicista e cantante con quella voce roca e accento piemontese, capace di fare un’autoironia esilarante sul fatto che ogni volta la sua fama sia ricondotta a quella del noto fratello Paolo Conte, con errori o aggiunte buffe, tipo quando la titolare di un bed&breakfast si raccomanda di salutare da parte suo anche l’assonante Carlo Conti.

Giorgio Conte – 7.a Rassegna storica e nuova canzone d’autore – Ferrara, sabato 3 novembre 2018 (foto Luca Pasqualini)

Molto coinvolgente – oltre ai testi – l’accompagnamento musicale dei fenomenali Alberto Parone alla batteria e al basso vocale, Bati Bertolio alla fisarmonica e alle tastiere a fiato e Alessandro Nidi al piano.

Giorgio Conte – 7.a Rassegna storica e nuova canzone d’autore – Ferrara, sabato 3 novembre 2018 (foto Luca Pasqualini)

Anche testi semplici come quello di “Stringimi forte, abbracciami/Stringimi un po’ di più” [clicca sul titolo del brano per ascoltarlo] finiscono per diventare davvero un abbraccio che avvolge tutto il pubblico in un’emozione collettiva grazie alla musica travolgente e alla capacità di coinvolgere il pubblico a fare da sostegno canoro.

Giorgio Conte con i suoi bravissimi musicisti a Ferrara, sabato 3 novembre 2018 (foto Luca Pasqualini)

Musica che diventa narrazione poetica, infine, quella di Mario Castelnuovo, che in occasione di questa tappa ferrarese ha presentato anche il suo secondo romanzo “La mappa del buio” in un’affollata e attenta sala della caffetteria del Castello Estense.

Mario Castelnuovo con i suoi musicisti – Rassegna storica e nuova canzone d’autore – Ferrara, sabato 3 novembre 2018 (foto Luca Pasqualini)

“Stella del Nord” di Goran Kuzminac la canzone con cui Castelnuovo ha aperto il suo concerto ferrarese  [clicca per ascoltarlo], per chiudere con il lungo racconto “Michel” del cantautore recentemente scomparso Claudio Lolli, a cui appunto è stata dedicata la rassegna. In scena al suo fianco Giovanna Famulari al violoncello e Stefano Zaccagnini alla chitarra.

Mario Castelnuovo sul palco della Sala Estense, sabato 3 novembre 2018 (foto Luca Pasqualini)

Pubblico partecipe in un’atmosfera che sa sempre sorprendere con brani noti e piccole rivelazioni inaspettate per una Rassegna che sarebbe bello potesse continuare a portare a Ferrara cantanti da riscoprire e un impegno a cui non bisognerebbe mai rinunciare né sul piano degli interessi del tempo libero né su quello della vita di ogni giorno.

Foto-servizio è di Luca Pasqualini. Clicca sulle singole foto per ingrandirle

Pubblico sabato 3 novembre 2018 (foto Luca Pasqualini)
Serata di venerdì 2 novembre 2018 (foto Luca Pasqualini)
Beatrice Campisi coi suoi musicisti (foto Luca Pasqualini)
Max Manfredi dietro le quinte (foto Luca Pasqualini)

 

 

Ferraraitalia al Lucca Comics & Games

E’ calato il sipario sul Lucca Comics & Games 2018, forse la massima kermesse europea del settore, che è arrivata quest’anno alla sua cinquantesima edizione.

Tantissimi gli ospiti di caratura internazionale che hanno contribuito a decretare anche quest’anno il successo della manifestazione che dal 31 ottobre a l 4 novembre ha invaso le strade di Lucca. Il nome che spicca su tutti è sicuramente quello di Leiji Matsumoto, papà di Capitan Harlock, Yellow Kid Maestro del Fumetto 2018, a cui Lucca ha dedicato una mostra, con suoi disegni originali, e che ha posato le impronte nella Walk of Fame di Lucca Comics & Games.

251 mila le presenze registrate nei cinque giorni di kermesse, superando il dato del 2017, con oltre 2.000 eventi, più di 700 espositori e 102 location.
Ecco il fotoreportage del nostro Valerio Pazzi

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Destra e sinistra, dall’analogico al digitale e ritorno

In questa società liquida, magistralmente descritta da Bauman nei suoi libri, anche i partiti le cui origini risalgono al secolo scorso sono diventati liquidi, almeno quelli del campo progressista. In questa liquidità sociale la destra, invece, resta ancorata alla solidità della presenza sul campo, alla vicinanza fisica alle persone, al presidio del territorio. Hanno ascoltato gli umori delle persone e li hanno tradotti secondo la loro impostazione ideologica.
Mentre i partiti liquidi si ritiravano dal campo, loro sono rimasti, da qui il crescente consenso della destra. Insomma, è un po’ come nel passaggio dall’analogico al digitale: la sinistra è passata al digitale, la destra è rimasta all’analogico. Sembra, dunque, che in questo mondo liquido e digitale ci sia ancora molto bisogno di solidità, di presenza fisica, di vicinanza, di analogico. La destra lo ha capito e ha capitalizzato il consenso.
Diverso il discorso sul M5S. Nasce digitale, riempie prima le piazze virtuali del web, poi quelle reali delle città e torna nel mondo virtuale rivolgendosi prevalentemente ad un elettorato giovane, appunto la generazione digitale. Ogni tanto Beppe Grillo ha bisogno di radunare il popolo del web nelle piazze reali perché questo serve al movimento per tenere il polso al suo elettorato. E così via in un’andata e ritorno dal digitale all’analogico.

Il Pd e gli altri satelliti di sinistra, invece, hanno smobilitato sia nell’analogico che nel digitale. Ora, dopo la sconfitta, sembrano tentare di recuperare nell’uno e nell’altro campo, ma il ritardo accumulato nella conoscenza dei meccanismi di funzionamento digitale e l’essersi disabituati alla presenza in quello analogico sul terreno reale li fa essere in affanno, persino invisibili. Il massimo che riescono a fare e organizzare, male, flash mob, confondendo il flash con l’improvvisazione. Molto meglio quelli organizzati dal M5S che li ha inventati. E così si espongono ad un costante flash… flop che gratifica solo gli organizzatori. Tutto ciò, a mio parere, è il risultato di una chiusura nei palazzi del potere, soprattutto da parte del Pd partito di governo, con la convinzione di avere come missione prioritaria quella di stare all’interno delle compatibilità imposte dall’Europa sposando una logica più finanziaria che attenta allo stato sociale su cui l’Europa unita è nata per garantire pace e stabilità. Se si smantella lo stato sociale; non si fa una politica occupazionale seria, ma anzi si aboliscono le garanzie per un lavoro stabile; non si prevede una politica economia e industriale di lungo periodo; si smantella il sistema previdenziale allungando l’età pensionabile e quindi impedendo l’ingresso di forze giovani nel mondo del lavoro; si approva una legge Costituzionale sull’obbligo del pareggio di bilancio, come espressione lampante di una scelta di campo precisa dalla parte dei conti economici più che delle persone in carne ed ossa, è evidente che si è alzato un muro tra sé e la vita reale delle persone. Per lo meno della maggioranza delle persone. Perché tutto ciò a Confindustria e alle banche, invece, andava benissimo.

La conferma la si trova nelle nostre città. Basta fare un esperimento per rendersene conto: girate per le città e fate un censimento di quante sezioni dei partiti di sinistra trovate e quante di queste sono aperte come luogo di socialità. Una volta le sezioni di partito erano aperte tutti i giorni, soprattutto quelle dei partiti più grossi, Pci in testa. I compagni si ritrovavano a giocare a carte, a discutere, incontravano i dirigenti, scambiavano opinioni. Oggi non è più così. È più facile che troviate aperta una sezione della Lega, o che vi imbattiate, per quanto non possa piacervi, in gruppi di cittadini che cercano di presidiare il loro territorio contro il degrado (non chiamatele ronde, anche se la sinistra preferisce le etichette alla comprensione dei fenomeni) piuttosto che una sezione di uno qualsiasi dei partiti di sinistra, Pd in testa che in teoria dovrebbe essere quello con più risorse economiche da potersi permettere qualche sezione.

Disastri naturali campanello d’allarme per un’umanità che non ascolta

Il rumore del torrente che diventa rombo, un’anomala aria calda, pesante, umida che porta l’odore intenso di terra smossa, una pioggia battente che insiste senza tregua. E il livello di quell’acqua che sale, sale rapidamente a vista d’occhio mentre il fluire assume una potenza furiosa e travolge tutto ciò che trova sul suo percorso, precipitando a valle, assumendo sempre più velocità e portata. Erode argini, ruba spazio ai prati e ai campi, si innalza in onde spaventose che qualche passante guarda affascinato come fosse uno spettacolo allestito per quella sera.
Poi cominciano a passare gli alberi divelti con le zolle in cui erano ben piantati e i tronchi che galleggiano seguono la furia dell’acqua sembrando tante navi fantasma su quella superficie liquida che ormai non conosce limiti. E dopo la notte insonne a fissare il livello che non smette di salire, arrivano i conti del day after, come in quei film post apocalittici dove il paesaggio non è più lo stesso e non sarà mai come prima.
La montagna che si vedeva e respirava aprendo le finestre la mattina, appare tristemente spelacchiata dopo lo schianto di moltissime piante, perdendo la sua identità e disorientando chi si riconosceva in essa; frane sulle arterie di comunicazione, allagamenti e crolli di tetti e caseggiati più vetusti, cumuli di detriti depositati sulle strade, cambiano anche l’aspetto urbano. Mentre squadre di operatori e volontari danno il meglio del volto umano, di quella solidarietà e partecipazione fattiva di cui c’è estremo bisogno, instancabili, presenti, rassicuranti. Ma questo non è un film e la realtà supera per certi versi di gran lunga la fantasia. E se non si parla della montagna, è il mare il protagonista di altrettanti cataclismi con maremoti, tsunami e tempeste che invadono e colpiscono coste e litorali lasciando dietro di sé relitti e devastazione.

Alluvioni, terremoti, eruzioni, ondate di calore, drastici cambi climatici: non siamo mai completamente pronti ad affrontare questi eventi perché, come scriveva Seneca, “Nessuna cosa privata e pubblica è stabile: il destino corre veloce e imprevisto per gli uomini e per le città. Proprio mentre tutto è calmo e placido sorge il terrore […]. Quante volte le città dell’Asia, le città dell’Acaia crollarono per un solo tremito della terra? E quanti paesi in Siria e in Macedonia furono inghiottiti dal suolo? […] E non soltanto cadono le opere innalzate dall’ingegno dell’uomo: si disgregano giogaie di montagne, si abbassano intere regioni, si trovano esposte alle onde terre che prima erano lontane anche al cospetto del mare e del fiume […]. Un qualsiasi accidente può togliere te alla patria o la patria a te, può gettarti nella solitudine di un deserto e fare il deserto in un luogo dove ora c’è la folla”.
L’Italia è un Paese fragile, esposto per sua conformazione – e troppo spesso per l’errato intervento umano – a terremoti e disastri idrogeologici e altre situazioni di rischio, per il 77% conseguenza diretta dei cambiamenti climatici, come ci ricordano i dati Unisdr, l’agenzia delle Nazioni Unite per la riduzione dei rischi catastrofe, la quale rileva anche come le catastrofi naturali siano triplicate negli ultimi 30 anni. Nessuno può negare che i segni di rapidi cambiamenti in atto siano ormai evidenti e se teniamo conto delle recenti dichiarazioni dell’Economist, condivise dagli scienziati, le prospettive diventano ancora più catastrofiche. Il Mediterraneo, scrive la prestigiosa testata, scomparirà riducendosi a una pozzanghera d’acqua. Nascerà un solo continente abnorme, l’Eurafrica, una massa di terre emerse. In alternativa al corrugamento della crosta terrestre – e sarà ancora più spaventoso – nascerà una catena montuosa alta come l’Himalaya e le Alpi non saranno che minuscoli contrafforti. Un mondo che emerge dagli studi geologici del movimento delle placche terrestri. Altre ipotesi portano a considerare una frattura asiatica che spaccherà in corrispondenza di India e Pakistan oppure finiremo tutti a Nord, a ricreare un maxicontinente dove ora regnano solo iceberg. Se consideriamo proiezioni possibili riferite all’Italia, Luca Mercalli, presidente della Società Meteorologica Italiana, lancia un grido d’allarme: il nostro Paese è a rischio desertificazione nell’arco di un secolo, con la Pianura Padana come il Pakistan e la Sicilia deserto africano.

Questo lo scenario, se non applicheremo subito gli impegni dell’accordo di Parigi sul clima. Nel frattempo, le coste del Mediterraneo si stanno avvicinando l’una all’altra di due centimetri all’anno, i cataclismi diventano frequenti, irrompono nella nostra vita quotidiana e richiedono sempre più preparazione nella gestione dell’emergenza. I nuovi obiettivi tassativi del millennio e dello sviluppo sostenibile evidenziati dall’Unisdr devono indurre tutti gli Stati e la comunità internazionale a collaborare a uno sviluppo in funzione dei rischi, affrontando seriamente le tematiche della comprensione dei rischi di disastro, il potenziamento della governance dei rischi stessi, l’investimento per la riduzione del rischio ai fini della resilienza, il miglioramento nella preparazione alle catastrofi, la capacità di dare risposte efficaci e realizzare pratiche di ‘Build Back Better’ nelle fasi di recupero, ripristino e ricostruzione.

Nota Stampa Insorgenti Ferrara – 27 ottobre 2018

Da: Articolo 1 – MPD Ferrara

Oggi nella nostra città un gruppo di cittadini sedicenti Insorgenti, accompagnati da striscioni raffiguranti guerrieri in armatura e figure banditesche, ha manifestato contro l’Arcivescovo Perego, a difesa di una inesistente e incontaminata ferraresità. Ci preoccupa che posizioni di tale natura, razziste, xenofobe, violente, antiscientifiche e di chiaro stampo fascista, possano ottenere qualche diffusione, complici la continua propaganda che grida all’invasione e l’immotivato sentimento di insicurezza che ne deriva.

Le parole pronunciate da alcuni partecipanti, “abbiamo già respinto orde di barbari” o “dovremmo riallestire i forni”, risuonano come un allarme che non può più essere ignorato dalla parte democratica, solidale e pacifica, che vogliamo credere prevalente nella nostra realtà comunale. Opporsi a queste aberrazioni risolutamente e in forme unitarie è un dovere civile.

Fortunatamente anche in questa triste occasione si è visto un gruppo di oppositori, che ricordando che il cosiddetto meticciato è già presente in ognuno di noi, ha dimostrato che un’altra Ferrara è ancora possibile.

Tuttavia affinché tale prospettiva si affermi occorrerà presidiare ogni frazione, ogni quartiere, recuperando un rapporto sentimentale con chi ha paura o vive serie difficoltà e per questo è maggiormente esposto a mistificazioni di tale pericolosità. Non esiste alcuna specificità biologica da custodire, bensì una città da salvare da chi la vorrebbe deprivare della vivacità culturale, della gentilezza e dell’accoglienza che sinora ha saputo garantire.

Delibera rifiuti. Alcune necessarie precisazioni da Ferraraincomune.

Da: Associazione Ferraraincomune

Ci tocca tornare sulle vicende relative alla delibera in tema di studio di fattibilità volto alla ripubblicizzazione del servizio rifiuti approvata lunedì in Consiglio comunale e sulle polemiche che ne sono seguite. Lo facciamo perchè ci sembra utile rimettere al centro il merito della questione, che si rischia di perdere quando prende il sopravvento la politica “urlata”, che sembra andare molto di moda in questi tempi, fatta più di insulti, demonizzazione dell’interlocutore e giudizi sommari piuttosto che di valutazioni precise.
La delibera approvata lunedì sera con gli emendamenti “pesanti” introdotti dal PD è distante e non corrisponde al senso profondo della delibera di iniziativa popolare su cui abbiamo raccolto 955 firme. Infatti, pur notando che l’oggetto dello studio di fattibilità volto alla ripubblicizzazione del servizio rifiuti, va almeno parzialmente nella direzione indicata da noi, il fatto di assegnare lo studio ad Atersir significa svuotare l’effettiva possibilità di partecipazione dei vari soggetti presenti nel territorio all’impostazione dello studio di fattibilità. In questo quadro, il tavolo partecipativo si riduce ad essere un puro elemento di contorno e di commento da quanto prodotto da Atersir. In più, la scelta di far svolgere ad Atersir lo studio di fattibilità si scontra con il dato che Atersir non è propriamente un soggetto terzo ed autonomo nei confronti di Hera e delle scelte di privatizzazione del servizio dei rifiuti. Infine, non possiamo sottacere che l’ipotesi di affidare lo studio di fattibilità ad Atersir non è mai stata avanzata nel corso dei due confronti avvenuti tra noi e il Gruppo consiliare PD, prima della seduta del Consiglio comunale ed è apparsa solo in quella sede. Nè possiamo non rilevare l’atteggiamento dell’opposizione che, nei fatti, si è dimostrata impreparata e conseguentemente poco disposta a sostenere la nostra proposta di delibera di iniziativa popolare.
In quanto alle prese di posizioni di Paolo Pennini, non solo non concordate con noi, ma inviate alla stampa senza tener conto di quanto avevamo convenuto tra la nostra associazione e il comitato Mi rifiuto nell’esprimere un giudizio di merito e privo di polemiche e attacchi di carattere personalistico, dobbiamo necessariamente prenderne le distanze, non riconoscendoci nei toni e nelle modalità di discussione. La nostra concezione della politica, anche nei momenti di contrapposizione più aspri, non prescinde dal rispetto delle persone e delle opinioni avverse alle nostre.
Per quanto ci riguarda, continueremo la nostra battaglia per arrivare alla ripubblicizzazione della gestione del servizio dei rifiuti e degli altri servizi pubblici, che hanno a che fare con i beni comuni, a partire dall’acqua. E continueremo a farlo con una modalità che appartiene alla “buona politica”, quella interessata alle scelte di merito che riguardano la nostra comunità locale e non ai toni urlati e che non sono utili per svolgere una discussione produttiva.

Giardini rubati negli scatti di Paolo Zappaterra per una Ferrara lunare e nascosta

“Giorgio Bassani non era simpatico, come non lo sono io; era un originalissimo, un anticonformista, quando io l’ho letto mi sono detto ‘qua ci siamo’”. Non ti annoi mai quando parla Paolo Zappaterra. Ti spiazza e ti accorgi che hai teso i muscoli e stai in guardia, come sul tappeto davanti al maestro di Ju-Jitsu. Forse è per ciò che intorno a questo fotografo coi baffi e i capelli bianchi ci sono sempre tanti giovani. Così è avvenuto martedì sera per la serata intitolata ‘Giardini trasparenti’, dedicata alla visione dei suoi scatti realizzati a partire dagli anni Settanta e conservati su diapositive mai presentate in pubblico. Organizzata dai ragazzi dell’associazione IlTurco, l’iniziativa fa parte del festival ‘Itacà migranti e viaggiatori’, manifestazione unica a livello nazionale, che da dieci anni si dedica al turismo responsabile e che per il terzo anno approda anche a Ferrara (da martedì 23 a sabato 27 ottobre 2018).

Serata col fotografo Paolo Zappaterra all’associazione IlTurco e in alto il pubblico che guarda le sue diapositive (foto Luca Pasqualini)

Tra gli eventi in programma c’era appunto la visione di queste immagini realizzate da Zappaterra “infilandosi nei portoni lasciati aperti, citofonando agli sconosciuti, cercando i balconi giusti su cui salire per catturare in un’immagine l’anima verde di una città solo apparentemente rossa di muri e mattoni”.
Cosa sono queste foto di giardini proiettate sul foglio bianco appeso nel cortile dell’associazione IlTurco, nella viuzza omonima dentro al cuore vecchio e scrostato di Ferrara? Le guardi e stringi gli occhi per capire, cercando di mettere a fuoco quello che lui cerca di stanare, quello che c’è e quello che manca. L’atmosfera è quasi carbonara nel cortile chiuso da muri di mattoni a vista, con la grande luna velata di foschia che fa da spot a questo un evento notturno e pieno di suggestione. Spiega il fotografo: “Sono voluto andare a fondo, cercare Ferrara oltre lo stereotipo del duomo e del castello, ho voluto aprire le porte che erano chiuse. È un atto d’amore per la mia città”.

Il fotografo Paolo Zappaterra (foto Luca Pasqualini)

Parlando con Paolo Zappaterra ho sempre l’impressione che la sua visione del mondo si basi sull’essere ferraresi o non esserlo. Un’idea che trova conferma mentre il video su Bassani non parte subito e la colpa viene data al giovane assistente teutonicamente biondo “che ha un nome stranissimo sctrinzantzag che non riesco a pronunciare”. Poi quando la padrona di casa Licia Vignotto presenta l’iniziativa, Zappaterra le chiede se può cercare di tramutare la sua nordica erre moscia in una esce e magari in una grassa elle ferrarese.

Pubblico per Zappaterra (foto Giorgia Mazzotti)

Alcuni non possono fare a meno si invocare il nome di dio, lui evoca sempre quello di Ferrara: nelle parole, negli spazi, nelle inquadrature, come se non potesse avere altro io di questa città. Incalzato, chiedendogli del suo rapporto con Ferrara – però – prende le distanze pure da questo, dicendo che lui ha origini romagnole.

Diapositive in esposizione (foto Giorgia Mazzotti)



Dopo la proiezione del video con la sequenza di foto tutte dedicate ai luoghi ferraresi legati a Bassani e alle sue poesie, Zappaterra chiede: “Lo conoscete Bassani, ragazzi?”. E davanti al silenzio della platea allarga le spalle: “Allora non è poi così famoso”. Poi spiega: “La curiosità è importante da matti, non basta trovarsi tutti le sere a bere e chiacchierare. Fanno i film e dentro ci mettono Berlusconi. Che ce ne frega di Berlusconi a noi?! La democrazia si regge sulla partecipazione, non si può accettare tutto quello che ci propongono. Noi siamo nati unici, non possiamo seguire quei percorsi che altri hanno deciso per noi, perché questo porta alla farmacia, agli psicofarmaci. Non dovete lasciare che vi incanalino”.

Tra il pubblico l’attore Giulio Costa del teatro Ferrara Off (foto Giorgia Mazzotti)

Pungente ma poi pieno di slanci, come nelle sue riprese fotografiche a caccia di dettagli sfuggiti, Zappaterra si lascia alla fine andare. E al pubblico, che ha un po’ provocato e strattonato, confessa: “Con voi giovani io faccio benzina tutti i giorni; più uno è giovane, più dentro ha speranza, ha il fuoco”. E i ragazzi che evidentemente lo conoscono e apprezzano, gli rispondono con i loro diversi accenti di studenti fuori sede, ammaliati dalla sua dialettica volutamente provocatoria come da questa città lunare e inafferrabile che rimbalza dai suoi “Giardini trasparenti” per cercare di raccontare quello che sfugge, quello che si rifugia negli angoli, nell’ombra.

Serata col fotografo Paolo Zappaterra nel cortile di via del Turco a Ferrara (foto Luca Pasqualini)

Un’altra occasione per guardare Ferrara da un punto di vista inedito la offrirà l’iniziativa MigranTour Experience Ferrara: una visita nel centro della città estense con il ruolo di guida affidato ai cittadini stranieri che ci vivono e che la mostreranno secondo i loro punti di riferimento. I migranti-ciceroni saranno affiancati da una guida ferrarese, che potrà inquadrare i luoghi indicati anche da un punto di vista storico-artistico. L’appuntamento, in programma nella mattinata di sabato 27 ottobre 2018 alle 11, è gratuito ma solo su prenotazione (con email all’indirizzo camelot@coopcamelot.org) per la giornata finale della tappa ferrarese del festival ‘Itacà – migranti e viaggiatori’.

Sprofondo nord: anche sul Trentino si abbatte la valanga leghista

Terremoto politico in Trentino Alto Adige, dove si è votato per il rinnovo del governo delle due province autonome di Trento e Bolzano. In Trentino la destabilizzazione, rispetto lo status quo che ha caratterizzato gli ultimi vent’anni, preceduti da una lunga fase presidiata dall’inamovibile feudo di potere democristiano, è stata totale: la Lega ha fatto man bassa di consensi e il suo leader, il deputato e attuale sottosegretario della Sanità, Maurizio Fugatti, ha raccolto il 46.7% delle preferenze correndo con ben 9 liste di sostegno, lasciando alle spalle Giorgio Tonini (25,4), candidato Presidente del Pd e più volte parlamentare, con un abissale margine di distacco. Regge bene il Patt, partito autonomista, anche se la sua corsa solitaria non è stata d’aiuto. Il Trentino vira a destra (o verso il centro-destra, dice qualcuno per edulcorare la pillola). Il dato emerso dalle urne resta significativo non solo in termini di leadership politica, quanto come indice di cambiamento epocale socioculturale da valutare attentamente e monitorare nel tempo.
Uno scossone c’è stato anche in Alto Adige, dove la solidissima Sudtiroler Volkspartei, tradizionale forza trainante locale perde due consiglieri e non raggiunge il 40%, pur rimanendo primo partito. Sfonda invece, in modo del tutto inatteso, la lista guidata dall’ex pentastellato imprenditore Paul Koellensperger, con una civica costituita quasi in sordina solo un mese fa e lontana, nelle previsioni, all’exploit che ha colto tutti di sorpresa. Qui la Lega è terzo partito e fa il suo ingresso nel bolzanino con un buon risultato. Un segnale di ‘italianizzazionedel voto in un territorio che storicamente si è sempre orientato verso modelli nordeuropei a matrice austriaca e tedesca perché il senso di identificazione ha sempre portato a questo.

Per molti è storia di una morte annunciata. Le cause: litigiosità, frammentarietà, poca lungimiranza delle forze alleate di sinistra, affermano gli elettori delusi. Ma la conclamata nettezza dei risultati dei due blocchi a confronto lascia lo sbigottimento in un Trentino che si risveglia il giorno dopo toccato nel profondo, stravolto nel suo percorso lineare e perciò rassicurante, messo in discussione negli indirizzi strategici che riguardano ogni aspetto della sua lunga vita di terra di centrosinistra.

Voto di pancia sulle ali dell’acrimonia, la protesta, l’insoddisfazione? Voto che costituisce il riflesso della lunga onda delle elezioni politiche nazionali? La storia di questa regione è lunga e non scevra da profonde tribolazioni, come tutte le terre di confine, con le influenze, le peculiarità culturali e le responsabilità che investono le ‘terre di mezzo’. Una terra autonoma a statuto speciale, sospesa tra il mondo mediterraneo e il Nordeuropa, importante snodo tra Italia e Mitteleuropa, che ha sempre viaggiato su binari propri perché le è stata storicamente riconosciuta e conferita la proprietà di legiferare nella specificità del territorio, e lo ha sempre fatto bene.
Gente di montagna, abituata all’accoglienza, alla solidarietà, all’aggregazione, alla cooperazione perché la vita nella valli non era facile, l’ambiente impervio e le risorse da utilizzare in comune, perché ‘insieme era meglio’. Questi tratti sono rimasti nel tessuto sociale, perché non è facile sbarazzarsi della propria storia, del proprio passato e delle intime vocazioni di una popolazione, anche se atrofizzati, spesso inespressi, fuorviati e contaminati dalle ondate esterne di ostilità e chiusura verso ciò che si teme, nascosti per la vergogna di dover ammettere di essere controtendenza, manifestati con circospezione e cautela. Voglio credere che l’orgoglio dei trentini non venga accantonato e che quello che inizialmente era un ‘canto delle sirene’ o il timido soffio del ‘pifferaio magico’, trasformatosi ora in un forte vento travolgente generale, non affossi definitivamente quei valori e quelle azioni che hanno sempre accompagnato la gente comune, in buonafede, desiderosa di promuovere benessere e giusto progresso per le comunità. “E ora espugniamo la Toscana”, ha dichiarato subito tra il serio e il faceto Matteo Salvini, in una delle sue battute, neanche tanto battute, dopo il voto trentino. Spero nessuno si stia sentendo terra di conquista…

Le bravate leghiste nella Ferrara distratta

Ho dedicato all’osservazione e alla decifrazione di Ferrara ben quattro lunghi anni di scrittura e documentazione fotografica. Ne è venuto fuori un reportage strampalato, d’accordo, ma quello che ho appreso, in questi anni, è quanto, al di là delle continue e meritevoli occasioni di dialogo offerte dalla città, sia lo spazio pubblico a parlarci delle nostre condizioni odierne. Ed è in grado di farlo con una sincerità che abita tra le maglie, che va scrutata nei gesti, nell’apparenza, per essere poi tradotta, con abnegazione e fatica.

Ebbene, questa volta l’occasione per interrogarci sulla città viene da una serie di filmati che girano in rete dal 16 ottobre scorso. Ritraggono alcuni leghisti ferraresi, i quali strumentalmente radunano clochard nel centro storico, li prendono in via Beretta convincendoli, con vaghe promesse d’aiuto, a seguirli davanti alla sede dell’arcivescovado.
Le persone in questione sono in evidente difficoltà psico-fisica e il chiaro intento dei leghisti è usarli per attaccare il vescovo Perego, l’amministrazione, e strizzare l’occhio all’elettorato di questa città in qualità di partito d’ordine, del ‘fare’ a favore esclusivo e indistinto degli ‘italiani’.
Se si osservano i filmati con cura, si capisce che il raid dei leghisti è un’operazione elettorale a sfondo razzistico e discriminatorio, fondata cioè sulla dicotomia italiano-straniero. E non c’è dubbio che l’operazione si annidi negli interstizi lasciati aperti da una politica per troppo tempo realmente distante dai problemi della gente comune.
Tuttavia la scena finale, proprio lì, sul corso intitolato ai martiri della libertà, è squallida e umiliante per tutti. E parla di noi.

“Questa gente continua a dormire nel centro di Ferrara e nessuno muove un dito”, dice il leghista rubicondo e tarchiatello, protagonista dei filmati. Ma al di là dei proclami, si intuisce che il problema vero è la visibilità dei clochard, il fatto che siano nel salotto buono e deturpino, con la loro presenza, il decoro dei luoghi cittadini.
Il vero consenso, beninteso, verrà dalla semplice cacciata dei barboni: si tratta della politica di breve raggio a cui i leghisti ci hanno abituato, quella di allontanare i problemi, non certo di risolverli con dignità.
La preoccupazione per le sorti dei ‘senza tetto’, poi, non è che mera finzione scenica al punto che, in un attimo di lucidità sospettosa, uno dei protagonisti, il clochard-panettiere, colto da dubbi, si arresta, lancia le sue coperte sul marciapiede e chiede: “Aspetta, perché io non capisco, questa è una tua cosa che ci tieni veramente o la fate per…”. In un altra ripresa lo stesso clochard-panettiere dirà: “Sai cosa mi fa incazzare: che stiamo dando spettacolo!”. Oppure sempre più consapevole della strumentalizzazione: “Vi siete divertiti stasera? Avete passato una serata differente?”.

Insomma, i filmati sono in rete e ognuno ne potrà trarre le proprie conclusioni.

Quello che vorrei fare qui, dicevo in principio, è isolarne lo sfondo. E sullo sfondo di questi filmati, nello spazio in cui la pagliacciata prende forma, si scopre una città distratta.
Mi interessa, dell’accaduto, la città gremita di gente del mercoledì sera, mi interessano i passanti, la folla vociante della movida a pochi passi. Si tratta di una città svagata e impolitica come il resto del Paese, che magari osserva incuriosita la scena e procede con una disarmante indifferenza. Nessuna attenzione, nessun coinvolgimento, a parte una donna che chiede se sono autorizzati a filmare delle persone in evidente difficoltà e viene per questo zittita dai leghisti con slogan preparati ad arte.
Anzi, ad aggiungere amarezza all’immagine, c’è lo schieramento di forze dell’ordine, il quale a sua volta manda un messaggio chiaro. Già, quella presenza sproporzionata, dispiegata grazie alle telefonate fatte in diretta video dal tozzo e rubicondo leghista, ci dice che non c’è nulla di cui preoccuparsi, che lo Stato è lì con ‘loro’, col raid xenofobo e strumentale, di ordine e pulizia cittadina. L’igiene è salva.

Forse allora è da questo sfondo notturno che occorre ripartire. Sì perché qualsiasi spazio pubblico vissuto da semplici estranei può trasformarsi in uno spazio privato, in uno spazio chiuso, ideale per la sospensione dei diritti e per i soprusi. E oggi a Ferrara i leghisti si muovono negli spazi pubblici come fossero a casa loro. La disinvoltura, l’uso di strumenti istituzionali e mediatici, lo sprezzo ostentato, non possono che esser generati dalla certezza di non essere mai massicciamente contestati nei loro arbìtri da chi li circonda.

Da qui l’invito a tutti quelli che hanno a cuore la città, a lavorare per costruire una città fieramente antifascista in ogni sua piega, in ogni piazza e vicolo. Questo potrebbe essere il proposito più importante dei prossimi decenni. Fare di Ferrara una città aperta, in cui lo spazio pubblico sia tutelato anche attraverso l’attenzione e il coinvolgimento di ogni singolo cittadino.
Fare politiche per radicare le persone, affinché il corpo della città sia quanto di più simile a un unico luogo di cura reciproca, di partecipazione e relazione, perché la vera sicurezza è sapere di non essere soli tra estranei, ma circondati da con-cittadini. Questo aiuta e facilita enormemente, benché gravemente sottodimensionate, anche il lavoro delle forze dell’ordine.
Se il tempo delle deleghe è concluso e direi fallito del tutto, e se il pericoloso allineamento tra pratiche di repressione e rigurgiti fascisti in Italia non è mai stato così vergognosamente ostentato, allora la prima difesa della città viene dal civismo diffuso, dalla coesione sociale, che costringe alla trasparenza, spegne la violenza e assicura diritti.

Vigliacchi

Il foro nel vetro
Il pallino rinvenuto in casa
raffaele-rinaldi
Raffaele Rinaldi, direttore dell’associazione Viale K

Questa notte qualcuno ha sparato un piombino contro una delle finestre dell’abitazione di Raffaele Rinaldi, direttore dell’associazione Viale K, attiva da anni nell’accoglienza dei senzatetto e dei migranti. E’ un evidente atto di intimidazione che impone una risposta forte, chiara e immediata dalla città (non avvezza a questo genere di barbarie), dalle sue componenti associative, dalle istituzioni che la rappresentano.
Se qualcuno pensa di trasformare Ferrara in un Far West sappia che troverà questo giornale in prima fila a contrastarlo
A Raffaele, con un fortissimo ideale abbraccio, esprimiamo la nostra piena e totale solidarietà. Siamo con te

DIARIO IN PUBBLICO
Ma i comunisti han sempre fame di bambini

Non inganni la seriosità con cui ho svolto il ‘tema’ della Storia nell’ultima puntata di ‘Diario in pubblico’. Il tempo che viviamo e non certo il ‘disio d’onore’ mi hanno indotto a qualche nota accademica necessaria di fronte alla minaccia dell’abolizione all’esame di maturità della traccia di Storia. Pericolo rientrato? Non so. In questi tempi agitati dai Dioscuri gialloverdi escono continui proclami e immediate ritrattazioni, mentre caterve di bene informati tendono a spiegarci ciò che forse loro stessi non hanno ben chiaro o non hanno capito; come del resto gli stessi Dioscuri.

Cominciamo tuttavia con una immagine consolatoria apparsa su un quotidiano cittadino. Una coppia scende dallo Scalone di Palazzo Comunale, dopo essersi sposata, accompagnata non solo da parenti e amici, ma dai loro fidi pelosi. Lo trovo confortante e amicale.
L’amicizia tra umani e pelosi è un segno di civiltà.
Altrettanto se non più confortante la splendida iniziativa di Monumenti Aperti, la presentazione di diciotto monumenti, novecenteschi in gran parte, spiegati da ragazzi e bambini che, ottimamente preparati dai loro insegnanti, hanno fatto da guide a un flusso ininterrotto di visitatori che hanno affollato quei luoghi. Ho assistito alle presentazioni fatte a Casa Minerbi. Solo qui, in due giorni, 1150 visitatori, e 100 rimandati per eccessivo affollamento, sono stati intrattenuti da piccoli Giorgio Bassani e Giuseppe Dessì che si sono alternati mostrando ottima preparazione e capacità di spiegazione, ma soprattutto assimilazione di ciò che gli insegnanti hanno loro comunicato.
Poteva mancare la polemica? No certo! In questo caso innescata dal portavoce di Fdl Mauro Malaguti che così scrive su un quotidiano cittadino:
“Sabato e domenica scorsi, c’è stata l’iniziativa ‘Monumenti aperti’ in cui si potevano visitare palazzi del ‘900 solitamente chiusi al pubblico. Una iniziativa che mirava a riscoprire un patrimonio architettonico poco conosciuto, con l’opera divulgativa assicurata dagli studenti delle scuole elementari e secondarie di primo grado, che dovevano guidare il pubblico in un percorso di valorizzazione dal punto di vista turistico del nostro patrimonio architettonico e culturale del Novecento, in un programma che prevedeva di approfondire l’evoluzione e la nascita delle correnti artistiche […] Eppure, in tale ‘programma’ i ragazzini di 8-10 anni si sono prodigati, evidentemente ben istruiti, nel recitare anche le aberrazioni della dittatura fascista che, credo, poco abbiano a che vedere con arte e tecniche architettoniche. Per altro, proprio il 16 ottobre ricorre il giorno del rastrellamento nel ghetto ebraico di Roma, ed è sacrosanto ricordarlo, magari nelle opportune sedi e non per bocca di bambini di 8 anni. […] Ennesimo episodio, evidentemente, in cui la sinistra non perde l’occasione per infarcire una iniziativa di stampo culturale con i richiami storici che più gli sono congeniali, evitando accuratamente ogni riferimento contestuale gli sia sgradito […]”.

Non mi sarei permesso di riportare questa sgradevole protesta se l’evidente faziosità con cui è stata scritta non m’inducesse a controbattere come del resto ha fatto un lettore sulla ‘Nuova Ferrara’. Ma davvero si può pensare che i giovani protagonisti di questa ottima iniziativa siano stati indottrinati dai cattivi comunisti che mangiano i bambini? O che gli insegnanti diretti dal Minculpop ferrarese avessero così ben indottrinato i poverini, inducendoli a pericolose dichiarazioni politiche e ad altrettante dimenticanze ‘dell’altra parte’. Ormai la disconnessione tra parole e pensiero induce a sostenere affermazioni che se non avessero un risvolto etico potrebbero apparire ridicole. Proprio sicuro il signor Malaguti che ai bambini di 8 anni (in realtà le guide quasi tutte erano di 12-13 anni) non si possa spiegare la Storia? E che non abbiano diritto di sapere che nelle carceri di Ferrara, ora sede del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah venisse rinchiuso Giorgio Bassani perché ebreo? E che a Ferrara, se ci fossero stati reperti sulle foibe e sulle atrocità commesse dai titini, gli insegnanti non avessero compiuto con eguale competenza e serietà il compito che si erano ripromessi di fare? Fossi in loro, a qualsiasi credo politico appartenessi, mi risentirei della nota del solerte politico.

Altrettanto significativo della piega politica a cui ormai rivolgiamo ogni pensiero, compreso quello delicatissimo e assai complesso della nozione di cultura in una città che si fregia del titolo di ‘città della cultura’, il fondo apparso in un quotidiano cittadino. Leggo infatti l’editoriale del ‘Resto del Carlino’, Cronaca di Ferrara del 14 ottobre 2018. Una piccata protesta per l’accoglienza riservata alla mostra in Castello della collezione Cavallini-Sgarbi; protesta che, secondo l’estensore, “smaschera, al di là delle positive intenzioni di Tagliani, la reale ostilità del mondo culturale ferrarese ufficiale non solo per gli Sgarbi – visti come un corpo estraneo – ma anche per quella straordinaria mostra, a mala pena tollerata. Insomma, una figura un po’ da provinciali nei confronti di due personaggi, magari ingombranti e sopra le righe rispetto allo standard ferrarese, ma protagonisti assoluti della scena culturale, artistica, politica e mediatica italiana”. Non esprimo giudizi sulla mostra – non è qui né il caso né l’intenzione, ma resto assai stupito che l’estensore della nota poco ricordi (o conosca) dello “standard ferrarese” culturale. Forse sarebbe ingeneroso ricordargli le strepitose mostre organizzate da Farina ai Diamanti che portavano a Ferrara le più audaci proposte del mondo contemporaneo o le compagnie più all’avanguardia nel rinnovato teatro comunale poi dedicato ad una delle figure più importante del Novecento culturale: il maestro Abbado. Quindi non sarei così sicuro che lo standard ferrarese sia così provinciale come si vorrebbe far intendere. Un pochino di conoscenza da parte dell’editorialista della storia culturale ferrarese avrebbe evitato un imbarazzante – per lui – giudizio.

Attendo la macchina che mi porterà a Mantova per presentare il bellissimo volume scritto da Andrea Emiliani su Canova ambasciatore del Papa che si reca nel 1815 a Parigi a recuperare le opere d’arte trafugate da Napoleone. Accanto a casa arrivano gli studenti per prendere il bus. Ogni parola è condita col termine forse più diffuso oggi in Italia: c…o, disinvoltamente usata da ragazzi maschi, ma soprattutto femmine che, intendo le ragazze, lo intercalano con la frase “non rompermi i c…i”, quasi un’invidia freudiana per l’organo sessuale maschile. Del loro organo non c’è traccia tra un battere il cinque e abbracciarsi come fanno i giocatori. Mi spiace che vivendo al Nord non venga usato il termine più gentile ‘minchia’ forse sconosciuto a questa eroica gioventù.
Giungiamo a Mantova dopo un’avventurosissima traversata perdendo a ogni svolta la strada e andando dalla parte opposta indicata dal severo tom tom.
Poi il premio. La squisita direttrice dell’archivio in nostro onore estrae dalle segrete stanze dell’edificio la bozza della lettera che Baldassar Castiglione scrisse a Leone X. Un tesoro acquisito dallo Stato l’anno scorso e che qui è stato depositato.
Ci troviamo di fronte al documento che sancisce l’istituzione della cura delle opere d’arte.
Consolati, dopo averla accarezzata, ovviamente con i guanti bianchi, cominciamo il nostro lavoro. Culturale, mi si permetta.

Chi ha dormito nel mio letto?

Chi ha dormito nel mio letto?

Chi ha bevuto dal mio bicchiere, chi ha mangiato nella mia scodella, chi si è seduto sulla mia poltrona? Chi ha usato il mio spazzolino. Chi ha fumato la mia pipa. E soprattutto (quella cosa lo faceva veramente imbestialire) chi ha dormito nel mio letto.
Tutte le notti era la stessa storia.

Piano, ragioniamo, mi chiamo Guido Torelli e questa è la mia casa, di mia esclusiva proprietà, me l’ha lasciata mio zio. Sono figlio unico, niente moglie e niente figli. Cioè a dire che nessuno, dico nessuno, può vantare un qualche diritto sulla mia bellissima casa. Ora, date un’occhiata ai catenacci, alle chiavi (ma chiavi sul serio, non delle yale da due soldi), controllate le sbarre di ferro, le inferriate doppie, i cancelletti di maglia d’acciaio davanti alle portefinestre; insomma, credetemi, in casa mia non entra nemmeno un topino, figuratevi un ladro, un intruso, un vagabondo. Eppure non si riesce a stare in pace. Tutte le notti è la stessa storia.
Ma non era un problema solo del fu ingegner Guido Torelli. Gli altri la pensavano esattamente come lui. Anche gli altri, una trentina o qualcuno in più, gridavano, minacciavano, sbattevano i piedi. Ognuno protestava il suo sacrosanto diritto sul proprio bicchiere (e tutti il medesimo bicchiere), e sulla scodella, la poltrona, lo spazzolino da denti, il vecchio letto di noce. Al numero civico 43 di via Fondobanchetto tutte le notti c’erano discussioni. E non era la solita animata, rissosa, tipica assemblea di condominio, vi giuro, era mille volte peggio.

Fino a mezzanotte filava tutto liscio. Era una zona tranquilla della città, la più antica, il cosiddetto “castrum bizantinum”. Ma ecco, a mezzanotte in punto, l’ora canonica dei fantasmi, iniziava la baraonda. Che durava per ore. Le voci si spegnevano, di colpo, solo con il primo raggio dell’aurora.
Se pensate che tutti i fantasmi, tutte le anime dei trapassati, siano presenze diafane, timide e discrete, malinconiche e amanti del silenzio, siete fuori strada. Questo non era comunque il caso dei proprietari della casa di via Fondobanchetto 43. La quale casa, dall’anno di costruzione ad oggi, era stata ripetutamente oggetto di atti di successione, e donazioni, compravendite, addirittura di un paio d’aste giudiziarie a seguito del fallimento del proprietario.
Non si scappa, de jure tutti i fantasmi inquilini erano titolari del medesimo titolo di proprietà. Il punto era fargli capire che tale titolo, esclusivo fin che si vuole, poteva e doveva essere esercitato in comunione con tutti gli altri aventi diritto. Macché, abituati in vita a disporre di quel bene – dico la casa e tutto ciò in essa contenuto – in modo totale, senza restrizioni di sorta, non gli entrava in testa che il loro nuovo status imponeva un diverso comportamento.

Io, vivo e vegeto se dio vuole, visitando per conto di una stimata agenzia immobiliare la casa infestata (così era rinomata per quel fastidioso baccano notturno e per questo preciso motivo non trovava punto un acquirente) mi sono apposta trattenuto oltre il tramonto, per tutta la notte, fino all’alba. Per spiegare la situazione. Per farli ragionare. Sono un buon parlatore, un ottimo agente, ma non c’è stato verso. Allo scoccare della mezzanotte, non un minuto più tardi, una donna dalla voce stridula si è messa a gridare come un’ossessa: Chi ha mangiato nel mio piatto? Alla sua, si è sovrapposta la voce per me irriconoscibile dell’ingegner Torelli (da vivo ci frequentavamo, era persona mite e dai modi cortesi) sbraitando: Chi ha bevuto dal mio bicchiere? E una terzo, totalmente fuori di sé: E chi ha dormito nel mio letto?
Niente. Non mi hanno fatto nemmeno parlare.

 

Cover: via Fondobanchetto Ferrara – foto dell’autore

Gemellaggio Ferrara – Riace
La lettera aperta della società civile e del mondo del volontariato sociale

A Ferrara – lo scrivevo qualche giorno fa –  continuano i contatti sottotraccia, i messaggi incrociati, le proposte di alleanze elettorali. Qualcuno comincia già a fare il nome del “candidato ideale”: chissà se per lanciarlo o per bruciarlo. Ma è proprio questa la politica? Forse la politica vera, quella fatta di contenuti, di idee, di proposte, magari anche di provocazioni, abita altrove: sempre a Ferrara, ma nel vivo della società, lontano dalle piccole strategie dei partiti e degli schieramenti politici. Basta guardarsi intorno; la città è tutt’altro che addormentata, anzi, è una città che si interroga sul nuovo, si riunisce in assemblea, parla, discute, chiede, propone. Gli esempi virtuosi sono davvero tanti.

Un bell’esempio, molto significativo – nuovo nel merito ma anche nel metodo –  andrà in scena tra un paio di giorni. Lunedi 22 ottobre il Consiglio Comunale di Ferrara, per la prima volta nella sua storia, si troverà a discutere una proposta di delibera di iniziativa popolare. Il testo, che reca la firma di 955 cittadini, chiede di istituire un tavolo partecipato per produrre uno studio di fattibilità finalizzato alla ripubblicizzazione del Servizio di Raccolta dei Rifiuti. Vedremo come andrà a finire.

C’è però un’altra iniziativa, direi clamorosa, che circola in queste ore nelle vene della società ferrarese. Simbolica? Certo, ma tutta politica, che chiede a Ferrara di compiere una precisa scelta di campo. Un gran numero di gruppi, associazioni di volontariato, sindacati, movimenti ed  enti laici e di ispirazione cattolica, sindacati, ong, cooperative sociali (l’elenco, già nutritissimo, è destinato ad allungarsi nelle prossime ore) ha sottoscritto una lettera aperta  indirizzata al Sindaco di Ferrara, alla Giunta e al Consiglio Comunale.  Chiedono di fare qualcosa  per salvare “il modello Riace”: dare la cittadinanza onoraria al Sindaco Mimmo Lucano e di gemellare la Città di Ferrara con il Comune di Riace.

In cosa consista il “modello Riace” si può dire in poche righe. Ed è un racconto che assomiglia a una favola. C’era una volta un sindaco, una persona normale – non un intellettuale, o un politico di rango, o un capopopolo –  a cui viene un’idea normale, tutt’altro che “rivoluzionaria”. Ha visto che anche a Riace arrivavano profughi, disperati, richiedenti asilo. E ha visto diminuire anno dopo anno gli abitanti del paese, le tante case vuote, i campi lasciati andare alla gramigna. Nasce così, dal riempire di vita il vuoto di un paese morente, dall’inversione del circuito tra una (secolare) emigrazione e una dolente (nuova) immigrazione, un modello di accoglienza e integrazione che ha fatto il giro del mondo, ricevendo premi e riconoscimenti internazionali.

Ora la favola si è spezzata. Qualcuno ha deciso di “rompere la favola” –   non è un reato previsto dal codice penale ma se vi è capitato di essere stati bambini sapete bene che si tratta di un peccato mortale. Mimmo Lucano, indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e per abuso d’ufficio, è stato sottoposto prima agli arresti domiciliari e quindi allontanato (ma perché?) dal suo paese. Intanto con una circolare il Ministro dell’Interno (di cui ora non ricordo il nome) ha deciso di smontare pezzo per pezzo il modello Riace, tagliando tutti i fondi al Comune e sloggiando i “clandestini”. Siamo così al colpo mortale. Se l’esperienza di Riace era un modello riuscito di umanità e convivenza, il suo azzeramento suona come un monito (e una minaccia) per tutti gli immigrati e per coloro – Chiesa compresa – che in tutta Italia si adoperano per l’accoglienza, il dialogo, l’integrazione.

Forse Domenico Lucano è colpevole di “disubbidienza civile”. Seguendo la sua coscienza ha disobbedito a norme ingiuste in nome di leggi superiori: il dettato della nostra Costituzione, la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, le leggi non scritte del diritto naturale. Solo per questo merita la Cittadinanza Onoraria di Ferrara. Ma in gioco c’è molto di più, salvare cioè quella straordinaria esperienza di umanità e solidarietà, salvare un paese come Riace che era tornato a vivere e che ora rischia di morire del tutto, tendere la mano ai nuovi arrivati come ai vecchi abitanti di Riace. Decidere di gemellare Ferrara con Riace non è quindi un semplice segno di vicinanza, ma comporta l’impegno a sostenere concretamente le tante iniziative – economiche, sociali, culturali –  che in questi anni erano fiorite a Riace. Se il governo italiano ha azzerato i fondi, quell’esperienza potrà continuare grazie al sostegno di Ferrara, delle sue istituzioni come della sua cittadinanza. Ferrara e tutte le città che vorranno seguire questa strada.

Il Sindaco, la Giunta, il Consiglio Comunale di Ferrara riceveranno a breve la Lettera Aperta. C’è da sperare che ne facciano motivo di attenta riflessione. Questa volta il gemellaggio non sarà l’occasione di piacevoli e spensierati viaggi in comitiva, ma qualcosa di molto impegnativo. Un impegno che tanti ferraresi sono pronti ad assumersi in prima persona: “Per favore, non rompeteci la favola”.

 

Continuano ad arrivare le adesioni alla Lettera Aperta. Dal GAD-Gruppo Anti Discriminazioni (che ha lanciato la proposta) alla Cgil, dalla Rete per la Pace ad Arci a Unicef,  da Pax Christi al Arcigay, dal CISV alla Coop. Meeting Point. Tantissime le associazioni:  Viale K, Cittadini del Mondo, Ferraraincomune, Orto condiviso, Filippo Franceschi. Papa Giovanni XXIII …

 

Sessantotto, le pagine dell’anno che ci ha cambiato la vita

Il titolo del libro allude alle favole, ma la storia che Maura Franchi e Augusto Schianchi ci raccontano ha molto a che fare con le nostre vite e la realtà dell’Italia di ieri e di oggi: con “C’era una volta il ’68, prima e dopo” (Rubbettino editore) gli autori (entrambi docenti all’Università di Parma) conducono una ricerca – e coerentemente sviluppano una riflessione di alto profilo – sui presupposti che hanno originato il movimento che ha squassato tutto il mondo occidentale, e ne valutano gli effetti attuali.

A base della rivolta indicano “un vago senso della giustizia sociale” saldato a “un forte desiderio di libertà”. Ricordano le gesta di una generazione “che pensava davvero di fare storia”, e che in parte, nel bene nel male, c’è riuscita. “Non era una domanda di sicurezza né tantomeno di benessere a guidare le attese future, ma un generale bisogno di una verità diversa che consentisse di descrivere il mondo con un linguaggio originale”.
Ecco perché anche semplici marcatori di stile, come il vestiario e gli atteggiamenti, risultavano fondanti dell’identità di quella generazione. La giovinezza era un valore in sé perché si contrapponeva all’obsolescenza della tradizione. E così la contestazione del principio di autorità significava il rifiuto di accogliere la lezione e i valori dei padri. Lo stesso impulso si traduceva nel respingimento del nozionismo scolastico, nell’esaltazione della democrazia diretta priva di capi e fondata su ascolto, partecipazione ed egualitarismo…
La strenua difesa dei diritti civili e l’insofferenza verso qualsiasi forma di gerarchia sono il collante che tiene insieme un movimento in sé variegato, al punto da esplodere negli anni seguenti in tanti rivoli orientati verso differenti approdi. Ma, appunto, quella che si può definire spinta alla libertà è il legame forte che tiene salda l’unione fra le giovani generazioni protagoniste della fase nascente di un movimento che, già agli albori del ’68, comincerà ad essere percorso da aneliti contraddittori, come la simultanea esaltazione del collettivo e insieme della soggettività; la domanda di partecipazione e la strenua difesa della libertà individuale, il noi e l’io.

A consentire l’affermazione del protagonismo di quella generazione, e il tentativo di compiere un salto in avanti, è il potente sviluppo economico che l’Italia conosce nel decennio precedente. Giovani e donne sono i principali protagonisti della fase nascente della nuova stagione, che lascerà tracce incancellabili nei decenni seguenti.
Il cinema, la musica, la narrativa non solo accompagnano ma spesso trascinano, con la loro forza evocativa e suggestiva, la marcia verso il cambiamento. Le avanguardie intellettuali, che si esprimono attraverso le poliedriche forme dell’arte, accendono la luce che rischiara il movimento, di cui il libro traccia i più significativi passaggi.

Tra le positive eredità che il ’68 ci consegna, Franchi e Schianchi indicano l’universalizzazione dei diritti, l’autodeterminazione degli individui (in particolare in riferimento agli stili e alle condotte di vita), la trasformazione dei modelli familiari e dei rapporti di coppia, la liberazione dai tabù sessuali, la spinta verso modelli inclusivi (specie nell’ambito del sistema scolastico ed educativo), la tutela di diritti fondamentali quali la salute e la parità di genere, la ricerca e la creazione di canali di controinformazione, il rifiuto dell’autoritarismo.
Fra le negative ricadute, gli autori indicano anche l’attuale deriva populista, intesa come moderna e deviata riproposizione dell mito della democrazia diretta. In ogni caso, affermano, “il 68 segna un prima e un dopo, per cui niente resta più com’era”.

Il volume di Maura Franchi e Augusto Schianchi “C’era una volta il ’68. Prima e dopo” sarà presentato domani alle 17 all’Istituto di Storia contemporanea di Ferrara, in vicolo Santo Spirito 11. Interverranno l’autrice Maura Franchi, Fiorenzo Baratelli direttore dell’istituto Gramsci di Ferrara. Introduce Sergio Gessi direttore di Ferraraitalia

APPUNTI SUI POLSINI
Il nuovo sindaco di Ferrara? Speriamo che sia femmina

Mancano ormai meno di sette mesi alle elezioni, in Europa, ma anche a Ferrara. In un clima sempre più confuso, e che presto diverrà rovente, c’è per ora una sola cosa certa: non saranno elezioni normali. C’è un terremoto in atto e in tanti prevedono un cataclisma.
A Ferrara significa che, per la prima volta in settanta e più anni di storia repubblicana, il governo della città appare contendibile. Di più: per la prima volta il Centrodestra, e segnatamente la Lega, sembra essere la grande favorita alle amministrative di maggio. Viva l’alternanza? Purtroppo non si tratta di una Destra moderata, ma di una formazione con valori e umori estremi, decisa a ‘ruspare’ via le molte buone cose che una città civile e democratica ha costruito dal Dopoguerra a oggi. Per questo, quale che sia il giudizio anche critico sulla giunta uscente, la vittoria di Alan Fabbri e di Naomo Lodi segnerebbe per Ferrara un drammatico passo indietro. Quanto indietro lo lascio alla fantasia dei lettori.

Mentre ascolto la preoccupazione di tante persone impegnate nel sociale, incominciano ad arrivare le voci (ancora sommesse) di alcuni che, nel frastagliato campo della Sinistra, stanno pensando a nomi, liste, alleanze per arrivare a maggio con le carte in regola per contendere alla Lega e ai suoi alleati il futuro governo della città. Va bene, siamo ancora all’inizio, la campagna elettorale non è ancora incominciata, ma posso confessare tutta la mia delusione?
Pare che il problema, l’unico problema – fuori e dentro il Pd – sia individuare un ‘nome buono’, il personaggio ‘attrattivo’, il capolista potenzialmente vincente. Anche sui media locali si rincorrono nomi e profili, candidature offerte o rifiutate. Come se tutti avessimo introiettato la medesima filosofia: che in politica si vince solo con ‘un uomo solo al comando’.
Non sento invece parlare, discutere, proporre contenuti concreti, un cambio di passo nelle scelte politiche locali, una idea nuova (di Sinistra) per la Ferrara futura. Come se per vincere bastasse la strenua difesa dell’esistente e lo spauracchio di una Ferrara in mano alla Destra. Invece, oggi più che mai, “far quadrato” attorno a un leader non basterà. Dentro quel “quadrato” bisogna metterci qualcosa.

Ma vogliamo parlare del candidato possibile per l’area progressista? Non mi va di partecipare al giochino del totonomi, registro però anche in questo campo il conservatorismo, una specie di senescenza della classe politica locale. Di tutti i nomi proposti o ventilati, politici o esterni, nessuno si è sognato di fare il nome di una donna.
Servirà allora un ripasso di storia patria. Andando indietro negli anni – nei decenni, anzi, nei secoli – Ferrara ha avuto solo una volta un Primo Cittadino donna. Se volete levarvi una curiosità, cercate “Sindaci di Ferrara” su Wikipedia e date un’occhiata a quel lunghissimo elenco di personaggi illustri: da un certo Guido (Console di Ferrara dal 1105) a Antonio Montecatini (Giudice dei Savi 1598), da Giovanni Roverella (Confaloniere 1831) a Anton Francesco Trotti (Sindaco dal 1867 al 1870), da Michele Rinaldi (Regio Commissario 1919-20) a Renzo Ravenna, Podestà di Ferrara dal 1926 e allontanato nel 1938 dopo le ignobili leggi razziali.
Nel dopoguerra la lista degli uomini reggitori della città continua, da Giovanni Buzzoni (1946-48) fino al sindaco in carica Tiziano Tagliani. Con un’unica eccezione, e non di poco conto, perché Luisa Gallotti Balboni, sindaca dal 1950 al 1958, antifascista e in seguito Senatrice della Repubblica, non fu solo l’unica sindaco donna di Ferrara, ma anche la prima sindaca di una città capoluogo di provincia in tutta Italia.
Se per vincere la Destra non serve sostenere le vecchie politiche ma occorre pensare e proporre il nuovo, cominciare da una candidata sindaca sarebbe finalmente un buon segno.

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