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Ferrara film corto festival

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Barcellona-Ferrara, la “Rosa di fuoco” in dodici stanze e tanti sguardi

Ferrara-Barcellona: pronti, via! La mostra è partita. Sono arrivati tanti viaggiatori di spazio e tempo a scoprirla, la “Rosa di fuoco”, dedicata alla Barcellona di Picasso e Gaudì [vedi]. Per conoscere opere e significato dell’allestimento nel Palazzo dei Diamanti un centinaio di giornalisti e addetti ai lavori in visita nel fine settimana appena trascorso. Ecco un piccolo viaggio nei viaggi di chi l’ha guardata in anteprima.

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Ricostruzione del modello di Antoni Gaudì per il progetto della chiesa della Colonia Güell, a Palazzo dei Diamanti di Ferrara

Incantata dal mega-modello, costruito con corde e catene da Antoni Gaudì, è Eleonora Sole Travagli, gionalista e addetta stampa del Jazz club Ferrara. Eleonora si affaccia allo specchio che invade quasi tutto il salone d’apertura e guarda quello che il massimo esponente del Modernismo catalano ha architettato più di un secolo fa. Per costruire la chiesa della Colònia Güell, Gaudì si inventa questo sistema di funi ed elementi penzolanti. Uno stratagemma che dà forma a corpi organici e sinuosi, che poi – capovolti – diventano torri e guglie. Sono gli elementi costruttivi per la chiesa del villaggio realizzato, a una ventina di chilometri da Barcellona, per i lavoratori delle fabbriche del mecenate Eusebi Güell. Questa chiesa, mai terminata, ricorda nelle forme organiche l’immensa e variegata Sagrada Familia. “Un anticipatore incredibile – dice Eleonora ammirata – e con un espediente come questo dimostra il suo approccio così poco convenzionale alla progettazione”. In effetti la vista del modellino in metallo, appeso al soffitto e specchiato, vale già tutta la visita. Lo specchio mostra quello che Gaudì voleva vedere, la versione capovolta delle curve sinuose. All’epoca, il rovescio dell’immagine, lui, lo realizza nello schizzo a carboncino, appeso nella stessa stanza. Insieme, il disegno e il modello ricostruito ora dal Centro di applicazione informatica dell’Università della Catalogna, materializzano la forza innovativa della sua arte, avveniristica e fuori dagli schemi.

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Disegno di Antoni Gaudì a carboncino, acquerello e gouache su carta per la chiesa della Colonia Güell

A soddisfare Carlo Valentini, giornalista e inviato per la terza rete Rai dell’Emilia-Romagna, è soprattutto il tuffo che la mostra riesce a restituire tra le atmosfere artistiche che invadono tanti generi artistici, artigianali e sociali. “Gioielli, bozzetti, schizzi – dice – una stanza dopo l’altra riescono a farti entrare nello spirito di questo movimento artistico del secolo scorso”. E’ un po’ quello che fa notare la responsabile delle Gallerie civiche d’arte moderna e contemporanea, Maria Luisa Pacelli. Davanti alla giornalista di Telestense Dalia Bighinati, la direttrice di FerraraArte spiega che “con la rivoluzione industriale arriva la modernità e si porta dietro un’effervescenza creativa unica”. Un’altra telecamera riprende il curatore Tomàs Llorens, che nell’intervista raccolta dallo studio Esseci spiega come il modernismo catalano non sia uno stile, ma “una delle pagine più eclettiche della storia dell’arte di questa regione spagnola, fatta di apertura ai grandi movimenti culturali europei, assetata di sperimentazione e di desiderio di provare accostamenti anche contraddittori”. Sullo sfondo è appesa la “Ragazza in camicia”, opera-simbolo della mostra. E’ uno degli olii su tela di Pablo Picasso che si ferma ad ammirare Marco Sgarbi, attore, anima di Ferrara Teatro Off e direttore artistico del teatro comunale di Occhiobello, in visita con bebè in passeggino.

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Il curatore della mostra Tomàs Llorens intervistato dal service dello studio Esseci

Il direttore scientifico del Mar, il Museo d’arte di Ravenna, Claudio Spadoni passa gioioso dalle sale del palazzo a quelle più intime della home-gallery di Maria Livia Brunelli, pochi numeri civici più in là, dove si svolge – come ormai consueto – il vernissage parallelo alla grande mostra dei Diamanti: è “Deflagraciòn” con le opere delle artiste Elisa Leonini e Ketty Tagliatti, ispirate dalla “Rosa di fuoco” .

Tra i cataloghi del ricco book-shop alla fine del percorso espositivo c’è Giuseppe Sangiorgi, caporedattore della rivista “EconErre” dedicata all’economia dell’Emilia-Romagna, che tra libri e oggetti ripercorre le mostre e le visite precedenti insieme alla collega Gianna Padovani, che cura la comunicazione web di Unioncamere.

Incantati, alcuni visitatori riflettono sguardi e scatti fotografici sugli specchi ondulati che Gaudì ha modellato per Casa Milà, mentre – una stanza dopo – restano catturati dal luccichio dei gioielli artistici. Sono ciondoli e monili che usano oro e pietre preziose per rappresentare le meraviglie della natura. Giardino in miniatura, ad esempio, la “Spilla con libellula”, creata tra 1903 e 1906 da Lluìs Masriera, con l’insetto sullo sfondo di soffioni in smalto. Una visione che prende vita fuori dalle sale, nel prato del cortile di palazzo dei Diamanti, dove soffioni veri spuntano nell’erba. Una bambina li raccoglie; poi soffia sui frutti essiccati prodotti dai fiori e fa volare in aria quei semi-paracadute. Gli adulti, intanto, i fiori li mangiano, nella versione a panino del buffet accanto ai bouquet di altri fiori, veri, di ispirazione Liberty.

Fino al 19 luglio a Palazzo dei Diamanti di Ferrara, corso Ercole I d’Este 21, l’esposizione continua. Tra gioielli floreali di diamanti, fiori decorativi, rosette di pane e soffi ai soffioni.

[clic su un’immagine per ingrandirla e vederle tutte]

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Marco Sgarbi, direttore artistico teatrale, in visita sala alla mostra di Palazzo dei Diamanti
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Giuseppe Sangiorgi e Gianna Padovani di Unioncamere Emilia-Romagna
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Eleonora Sole Travagli e Carlo Valentini
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Ancora la pierre di Jazz club Ferrara e il giornalista Rai
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Visitatori sullo sfondo della mitica taverna “Els Quatre Gats”
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Il modello di Antoni Gaudì per la progettazione della chiesa della Colonia Güell
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Lo schizzo a carboncino di Gaudì per la chiesa della Colonia Güell
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Gli specchi creati dall’architetto catalano per Casa Milà
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Spilla con libellula di Lluis Masriera
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Soffio ai soffioni nel cortile di Palazzo dei Diamanti
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Rose vere e di pane per il buffet dela mostra “La rosa di fuoco”
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La guardarobiera del palazzo, Germana Aguiari

Alla Festa del libro ebraico è tempo di kasherut: la cultura dalla parte dei fornelli

Dal 25 al 28 aprile torna a Ferrara la Festa del libro ebraico, un’occasione per conoscere più da vicino la storia e la cultura dei nostri concittadini ebrei, una minoranza legata da una relazione antichissima e indissolubile con il resto della popolazione italiana.
Non esiste modo migliore di conoscere una cultura se non attraverso la sua tradizione culinaria: ecco allora che, nell’anno in cui Expo affronta il tema di come nutrire il pianeta negli anni a venire, uno dei temi principali della Festa – giunta alla sua sesta edizione – è l’alimentazione ebraica, indagata sia dal punto di vista delle norma religiosa, la cosiddetta kasherut, sia dal punto di vista dei sapori e dei profumi, tanto vari quanti sono le diverse comunità ebraiche nel nostro paese.

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Kosher a Roma, festival della cultura e dell’enogastronomia giudaico-romanesca

Nell’ebraismo tutti gli aspetti della vita quotidiana dei singoli e della comunità sono scanditi dai precetti (mitzvot) della Torah (il Pentateuco): qui il termine kasher indica ciò che è buono, opportuno, adatto e con il tempo il suo significato si è esteso al cibo permesso. Nell’immaginario comune la proibizione più nota è quella di consumare la carne di maiale, ma in realtà la kasherut è un sistema più ampio che regola anche le modalità di preparazione dei cibi. La disciplina è particolarmente elaborata per i cibi di origine animale: fra i mammiferi sono permessi quelli che hanno lo zoccolo diviso e sono ruminanti, mentre gli animali acquatici devono avere pinne e squame, molluschi, crostacei e frutti di mare di tutti i tipi sono perciò proibiti; fra gli uccelli sono proibiti i rapaci perché si nutrono di carne e soprattutto di sangue. Cibarsi di sangue è, infatti, un divieto assoluto perché viene identificato simbolicamente con la vita: ecco perché la macellazione rituale, che deve uccidere l’animale il più velocemente possibile e causandogli il minimo di dolore, prevede anche una serie di procedimenti per eliminare dalla carne anche le più piccole tracce di sangue. Una delle regole più complesse da osservare nella pratica è la netta separazione fra carne e latticini, perché implica in ogni cucina la presenza di due tipi di attrezzature complete, dalle stoviglie ai piatti, alle posate. Ci sono poi anche prescrizioni specifiche per alcuni momenti particolari, come shabbat, il riposo del sabato, e Pesach, la Pasqua ebraica appena trascorsa. Durante shabbat era proibito accendere un fuoco anche per cucinare, quindi oggi non si può accendere il gas o la corrente elettrica: diventa così impossibile usare un forno, anche a microonde, come aprire e chiudere un frigorifero. Per Pesach, invece, non si può usare lievito: tutto ciò che viene usato per l’alimentazione durante la Pasqua deve essere rigorosamente riservato a quel periodo per evitare che abbia contenuto o toccato lievito durante il resto dell’anno. Tutto ciò in ricordo del momento in cui fu annunciata agli Ebrei schiavi in Egitto la fuga imminente, quando non ebbero il tempo di fare lievitare il pane.

Ci si può chiedere quale sia il significato di regole e prescrizioni così elaborate e minuziose: è una domanda che molti si sono posti anche all’interno dell’ebraismo stesso. Come scrive il rabbino capo della comunità ebraica di Ferrara Luciano Caro: “La vita dell’ebreo è impostata sulla necessità di operare continuamente una scelta tesa a valutare ogni atto e di conseguenza a ricercare costantemente il ruolo dell’essere umano nel suo rapporto con i suoi simili e con la natura” (Luciano Caro, “La Kasherut. Le norme alimentari ebraiche. Considerazioni introduttive”, p. 12).
Oggi però, con la produzione alimentare di massa, l’uso frequente di conservanti e coloranti di origine sintetica o chimica e l’utilizzo di additivi o esaltatori di sapore, la necessità di conoscere a fondo da dove proviene e come è stato preparato il cibo che si consuma, può essere considerato un grosso vantaggio. Non è dunque un caso che, secondo quanto affermato da Jacqueline Fellusconsigliere Ucei Unione delle comunità ebraiche italiane – negli Stati uniti questi prodotti sono considerati, alla stregua di quelli biologici, sinonimo di qualità. “Si calcola che nei supermercati girino il 30% più velocemente di quelli tradizionali”.

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Jacqueline Fellus al KosherFest
La chef Laura Ravaioli del Gambero Rosso
La chef Laura Ravaioli del Gambero Rosso

La Festa del libro ebraico di Ferrara sarà perciò anche l’occasione per presentare il marchio di certificazione “K.it”, dove K sta per kasher, e Jacqueline Fellus il 28 aprile parteciperà insieme alla chef di Gambero Rosso channel Laura Ravaioli alla presentazione del libroLa dieta kasher. Storia, regole e benefici dell’alimentazione ebraica”, curato da Rossella Tercatin ed edito da Giuntina. Lo stesso giorno si terrà poi l’incontro “A tavola con i patriarchi. Cibo e rito nella tradizione ebraica” con il rabbino Luciano Caro. Ma i sapori e i profumi della cucina ebraica, in cui si mescolano le pietanze dei luoghi di provenienza e di arrivo di questo popolo errante, saranno protagonisti anche di laboratori per bambini e della serataGan Eden Restaurant. Seimila anni di gioie e dolori nella cucina tradizionale ebraica”.

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Il logo della Festa del libro ebraico di Ferrara

La storia e la cultura dell’ebraismo italiano verranno poi raccontati attraverso la musica e naturalmente attraverso i libri, i veri protagonisti della Festa. Fra gli ospiti quest’anno l’appuntamento ferrarese può vantare addirittura un Premio Nobel: Patrick Modiano, Nobel per la letteratura 2014, che il 26 aprile riceverà il “Premio di cultura ebraica Pardes” insieme allo scrittore Samuel Modiano, sopravvissuto al campo di sterminio di Auschwitz, e alla storica Anna Foa. In occasione della kermesse sono anche previste aperture straordinarie della mostraTorah fonte di vita. La collezione del Museo della Comunità Ebraica di Ferrara”, ospitata nei locali del Meis, e visite guidate al cantiere del futuro Museo dell’Ebraismo Italiano e della Shoah.
Come è ormai tradizione, sabato 25 aprile il compito di inaugurare la Festa è affidato alla “Notte bianca ebraica d’Italia”, che inizierà alle 21 al Chiostro di San Paolo, e che nel settantesimo della Liberazione non poteva che essere un “Omaggio alla libertà”. Chi prenderà parte alla passeggiata riceverà un fiore nontiscordardime che potrà lasciare in uno dei luoghi della memoria lungo l’itinerario, giunti poi al termine del percorso i partecipanti riceveranno un altro fiore: questa volta una piccola spilla che rimarrà loro come ricordo della Festa del Libro Ebraico.

Festa del Libro Ebraico in Italia, Ferrara 25-28 aprile, per il programma completo e gli aggiornamenti in tempo reale [vedi].

Se il muro è pubblicità progresso

Chi ha viaggiato in Africa o conosce abbastanza bene i paesi africani, soprattutto quelli della zona sub-sahariana, avrà notato sicuramente che i manifesti pubblicitari (di prodotti o iniziative) non sono quelli tradizionali, fatti di carta stampata, ma sono dipinti sui muri stessi. I disegni danno vita a muri e pareti a volte dimenticati o abbandonati, facendoli uscire da anonimato, insignificanza e invisibilità. Quasi miracolosamente. Pubblicità viene da pubblico, da collettivo e familiare. Nulla di più naturale, quindi, del fatto che, se si vuole far conoscere qualcosa o qualcuno, o mandare un messaggio chiaro, immediato e diretto a tutti, il muro sia la vera pelle. Il contatto con l’epidermide è, infatti, il primo, la porta di accesso all’anima.

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Esempi di ‘ghost signs’ del mondo anglosassone
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Pubblicità scolorite degli anno Cinquanta

D’altra parte, se andiamo indietro negli anni, e precisamente a fine ‘800 inizi ‘900, le pubblicità si dipingevano direttamente sui muri delle città, sulle facciate delle case, nei centri industriali. E spesso sono ancora alcuni questi messaggi, i ‘ghost signs’ (letteralmente segni dei fantasmi), che oggi ancora campeggiano, scoloriti e dimenticati, sui muri del mondo. Molti di essi erano realizzati direttamente sui mattoni, nella parte alta degli edifici, chi li dipingeva si aiutava con le mascherine per tracciare linee diritte. Se ne rintracciano begli esempi soprattutto in Gran Bretagna e in Irlanda, in quantità minore anche in Francia, Belgio e Stati uniti. In questi casi si tratta di pitture del passato, ma in Messico, in India o in alcune zone dell’Africa, dove la comunicazione pubblicitaria o il messaggio sociale si basano ancora sulla pittura murale (perché l’occhio vuole la sua parte), è possibile trovare segni nuovi e aggiornati di questi curiosi manifesti. Il metodo di dipingere sui muri era sicuramente scomparso perché, dal 1950 in poi, l’economia aveva subito un grande incremento: la produzione cresceva sempre di più, le tipologie dei prodotti si moltiplicavano a dismisura e le pubblicità avevano bisogno di rinnovarsi velocemente e di continuo. Per questo, la pittura sul muro diveniva sempre più obsoleta e fu sostituita, in breve tempo, dai manifesti pubblicitari di dimensioni variabili e intercambiabili, che assicuravano un potere divulgativo più alto e la possibilità di modificare continuamente l’aspetto estetico del messaggio. Ecco perché è abbastanza raro trovare disegni dipinti a mano dopo gli anni Cinquanta. Ma se anche in Europa alcuni artisti stanno sperimentando nuovamente questa tecnica, in Africa la pubblicità non è in televisione o sui giornali (spesso scarsamente rappresentati o, comunque, di dimensioni modeste), ma ha occupato grandi spazi e grandi città. Qui, dove il tempo scorre lento, i ritmi sono diversi e il commercio tradizionale spesso sostituito a quello moderno e vorticoso, si trovano ancora disegni di bevande zuccherine e colorate o di utili e agili pneumatici, sui muri scalcinati. La pubblicità non ha bisogno di cambiare spesso, le esigenze sono sempre le stesse. I messaggi sociali, poi, da quelli relativi alla prevenzione sull’Aids fino a quelli sulla necessità di mantenere la città pulita, sono eterni. Dal Mali al Congo al Gabon, fino al Nord Africa (anche se meno), i muri parlano. Una sola voce, una sola lingua, un solo messaggio. Estesi panorami colorati vengono interrotti da colori altrettanto sgargianti. Adulti e bambini si fermano ad ammirarli, rapiti.

Libreville, Gabon, pulire e mantenere pulita la città. Clicca le immagini per ingrandirle.

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A Libreville, ad esempio, sono rimasta incantata dalla sfilata di disegni, sui muri del centro cittadino, a un incrocio trafficato non lontano dal Ministero dell’ambiente, messi lì con l’obiettivo di sensibilizzare giovani e meno giovani alla gestione della spazzatura e all’importanza di avere una città pulita. Colorati, ammiccanti e simpatici personaggi invitano a non gettare i rifiuti per strada. I bambini (ma non solo) ne restano sicuramente affascinati e colpiti. Un modo intelligente di attirare l‘attenzione. Noi siamo più veloci, forse, e spesso molto disattenti anche per questo, ma qui bei disegni educativi potrebbero stare davvero molto bene anche in alcune delle nostre strade…

Fotografie di Libreville di Simonetta Sandri.

Pamplona, pazza ‘Fiesta’ fra l’incoscienza e la vita

C’è un evento profondamente radicato nella tradizione di un popolo, da non perdere nel viaggio verso l’oceano Atlantico racchiuso dal Golfo di Guascogna, decisamente amalgamato al sangue di chi lì vive e che, considerato i suoi protagonisti, divide il mondo intero sul tema sensibile del rapporto fra uomini e animali.
Si celebra nella terra dei tori e di molto altre tipicità, come il Rjoca (un vino intenso principalmente prodotto nel colore tinto), compresa fra le province autonome di la Rioja, la Navarra e di Álava.
Parliamo ovviamente in Spagna, a Pamplona, città dalla fortezza pentastellata, al centro dell’ampia provincia Basca, terra di forti sentimenti autonomisti, con una propria lingua e cultura e, per decenni, al centro di un conflitto dilaniante per l’intera comunità spagnola.
La corsa dei tori (el encierro de toros) più nota al mondo, venne narrata da Ernest Hemingway nella metà degli anni Venti del ‘900 nel suo romanzo “Fiesta“, che gli è valso anche un monumento a mezzo busto nella piazza principale della città. È l`evento di richiamo internazionale che si svolge nel corso della Fiesta de San Fermín a Pamplona o Iruñea nella lingua Euskera, un condensato di religione, storia, tradizione e commercio in programma dal 6 al 14 luglio di ogni anno.

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L’attesa

Ne scrivo con piacere, come un cronista che alla sua terza partecipazione osserva lo svolgimento dell’evento da un balconcino preso in affitto al terzo piano di edifici alti almeno cinque piani, e dal quale in ottima posizione può controllare dall’alto, da sinistra a destra, circa 100 metri del percorso. Le abitazioni che fronteggio a circa 5 metri di distanza, formano un canyon urbano rispetto al piano stradale sul quale a breve scorrerà il fiume di persone e tori. La corsa prende avvio tutti i giorni della Fiesta, salvo il giorno iniziale, in una cornice di grande attesa e di trepidazione, sempre puntualissima alle 8 del mattino quando le strade in sasso sono ancora umide e scivolose.
Il lavaggio di piazze e vicoli è d’obbligo dopo l’ubriacatura notturna di alcol e di festeggiamenti che lascia sul terreno carte, bicchieri, vetri rotti e un odore inconfondibile di necessità umane.
Per pochi secondi quella mia prospettiva diventerà un osservatorio privilegiato sul genere umano lì fremente: uomini e donne, giovani, comunque creduti maggiorenni, e meno giovani, un misto di follia collettiva, di dimostrazione di coraggio individuale, di incoscienza e una sfida alla vita che in diversi casi si è risolta in gravi ferite o, fortunatamente in rare fatalità, con la morte.
Si parte! I tori, e qualche bue, vengono liberati in branco su una stretta curva e lanciati come una mandria disordinata che si rincorre all’impazzata per le strettissime strade del centro storico cinquecentesco della cittadina di origine romana, ‘las calles histὸricas’ de Pamplona, e per un percorso complessivo di 800 metri circa fino all’arena.

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La corsa vista dal balcone

I tori sono accompagnati in questa folle corsa da due ali di persone in larga parte ancora stordite dal fiume di birra e vino bevuto la notte e dall’adrenalina che emerge il mattino con il tasso emotivo e quello alcolico alle stelle. Nulla spaventa i partecipanti e anch’essi si lanciano ad inseguire o a farsi inseguire dai tori per toccarli, che nel loro impeto travolgono qualunque ostacolo si ponga dinanzi loro. Un formicaio impazzito visto dall’alto di uomini e donne esperti per aver partecipato a precedenti inseguimenti, e meno esperti, provenienti da ogni continente e tutti insieme con il completo tipico della manifestazione di maglia e pantaloni bianchi e la tradizionale fascia in cintura e fazzoletto rosso, che corrono nello stretto vicolo e confondono il movimento disordinato delle gambe, delle teste e delle braccia che si intrecciano fra loro, causando la caduta a terra dei meno fortunati che tentano di proteggersi dagli zoccoli dei tori che corrono all’impazzata.
Tori da 700 chili di muscoli arrivano da dietro il gruppo a testa bassa, malfermi sul selciato scivoloso sbandando a destra e a sinistra con le corna pericolosamente in avanti, fanno risalire dal basso un insieme di urla di timore emesse dai corridori e poi di liberazione scampata l`eventualità non remota di essere calpestati o incornati.
Tutto avviene sotto i miei occhi e piedi, là in basso, in pochi secondi, massimo 30, drammaticamente coinvolgenti anche per chi non corre e poi, in un attimo, tutto si trasferisce alla curva successiva dove si sentono ancora urla, brusio e poi più nulla. L`intero percorso urbano di chi corre e di chi insegue si esaurisce nell`arco di 3-4 minuti al massimo. I tori ormai lanciati come proiettili entrano in arena, alla ‘plaza de toros’, attraverso uno stretto portone in legno, formando spesso un tappo insieme agli uomini che cadendo provocano un groviglio che intasa l’entrata.
Il rito più cruento e fatale, non sempre per il toro, è del pomeriggio, ma la corrida, questo spettacolo popolare, non la racconto. Alla fine si ha l’impressione che le indicazioni sui comportamenti vietati da tenersi durante la manifestazione e indicate sul sito sanfermin.pamplona.es nessuno le abbia mai lette. Per chi non volesse partecipare alla corrida pomeridiana, vi è nel centro la sfilata de ‘los gigantes’, ossia Comparsa de gigantes y cabezudos de Pamplona, una intensa e pittoresca continuazione della Fiesta scandita dal ritmo della musica e dai tanti bambini e adulti con numerosi figuranti in abiti di cartapesta, accompagnata da una ottima cucina e della quale si ritrovano tracce già nel XVI secolo.
Una tranquilla conclusione per una giornata vissuta al centro di una appassionata tradizione e di una fiammata di forti emozioni.

LA RICORRENZA
Foto e video dei luoghi preferiti per la festa della Terra

Nata il 22 aprile 1970 per far comprendere l’importanza della conservazione delle risorse naturali della Terra, la Giornata della Terra o per la terra (Earth day) viene festeggiata, ogni anno, un mese e due giorni dopo l’equinozio di primavera, il 22 aprile, ufficializzata dalle Nazioni unite il 26 febbraio 1971. L’idea era stata, tuttavia, discussa per la prima volta nel 1962, al tempo delle proteste contro la guerra del Vietnam, e il senatore Nelson ebbe l’idea di organizzare un ‘teach-in’ sulle questioni ambientali. Nelson riuscì a coinvolgere anche esponenti del mondo politico come Robert Kennedy, che, nel 1963, attraversò 11 stati del Paese tenendo una serie di conferenze dedicate ai temi ambientali. L’Earth day prese definitivamente forma nel 1969, dopo il disastro ambientale causato dalla fuoriuscita di petrolio dal pozzo della Union Oil al largo di Santa Barbara, in California, a seguito del quale il senatore Nelson decise fosse giunto il momento di portare le questioni ambientali all’attenzione dell’opinione pubblica e del mondo politico. “Tutte le persone, a prescindere dall’etnia, dal sesso, dal proprio reddito o provenienza geografica, hanno il diritto a un ambiente sano, equilibrato e sostenibile”. Sarebbe nato un principio fondamentale per tutti che, dall’anno successivo, avrebbe portato alla mobilitazione di milioni di cittadini americani in favore della terra, iniziativa che avrebbe preso il nome che ha oggi.
In questa giornata, si celebrano l’ambiente e la salvaguardia del pianeta e si discutono le sue problematiche: l’inquinamento dell’aria, dell’acqua o del suolo, la salvaguardia degli ecosistemi e delle specie, l’esaurimento delle risorse non rinnovabili. Si cercano soluzioni per eliminare gli effetti negativi delle attività antropiche. Tutti insieme. Nel 2000, grazie a internet, la celebrazione dell’evento venne promossa a livello globale, arrivando a coinvolgere oltre 5.000 gruppi ambientalisti al di fuori degli Stati uniti, raggiungendo centinaia di milioni di persone in 183 paesi, fra cui noti personaggi dello spettacolo come l’attore Leonardo Di Caprio (e non solo). Negli anni la partecipazione è cresciuta e sono state avviate molte iniziative.

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#NoPlaceLikeHome è l’hashtag per condividere foto e video dei propri posti preferiti sulla Terra

Anche in Italia, Earth Day Italia [vedi], l’organizzazione italiana partner dell’Earth Day Network, nasce con lo scopo di rafforzare e promuovere la Giornata e le sue finalità su tutto il territorio nazionale, favorendo lo sviluppo di progetti e di iniziative per il pianeta. Dal 2007, è impegnata nel diffondere progetti per l’ambiente, connettere le realtà ambientaliste nazionali e locali e orientare i gesti quotidiani dei singoli cittadini. Quest’anno, la splendida Villa Borghese ospiterà l’edizione 2015 del concerto Earth Day. Musica e arte per accendere i riflettori sulle grandi questioni ambientali, coniugando riflessione e intrattenimento. All’interno del Villaggio per la Terra, che sarà allestito sabato 18 e domenica 19 aprile al Galoppatoio di Villa Borghese, si festeggerà con artisti provenienti dalle più diverse culture musicali.
Nella stessa giornata, la Nasa ha indetto un’iniziativa che coinvolgerà i social media: il pubblico è invitato a condividere foto e video dei propri posti preferiti sulla Terra, con hashtag #NoPlaceLikeHome. Uno sforzo per la terra, da parte di tuti, per tutti.

Per saperne di più sulle iniziative italiane visita il sito di Earth Day [vedi] e la pagina Facebook [vedi].

IL FATTO
“Niente fumo, tutto Ariosto”: e i ragazzi si prendono cura della piazza

“Bambini, pronti a giocare?”. Tutto è stato sistemato in tempo e, megafoni alla mano, gli scout richiamano i giovanissimi presenti in piazza Ariostea, per divertirsi e al tempo stesso insegnare quanto sia importante eliminare i rifiuti di tutti i giorni nel modo corretto. Sono le quattro di un caldo pomeriggio e gli scout del Ferrara A3 stanno ultimando la preparazione dei vari punti di gioco sistemati nel centro della piazza Ariostea, scelta dai ragazzi come luogo ideale per la giornata perché simbolo della città e luogo di cui prendersi cura.

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I ragazzi del gruppo scout A3 e i bambini mentre giocano con materiali di riciclo

“La scelta è ricaduta su questa piazza perché è un luogo che anche noi frequentiamo, soprattutto il sabato sera, e ci si siamo resi conto che non tutti si preoccupano dello stato in cui la lasciano a fine serata. La domenica mattina si notano le tracce lasciate la sera prima ed è un peccato, anche perché ci sono i cassonetti per la raccolta differenziata a lato della piazza e, con un poco d’attenzione, sarebbe facile lasciare questo luogo pubblico pulito e vivibile per tutti”:
I più giovani del gruppo A3, ragazzi dai 15 anni in su, volevano realizzare un progetto che sensibilizzasse i cittadini e fosse utile anche per i bambini, che permettesse di giocare tutti insieme e di imparare che tanti oggetti possono avere una seconda vita. “Spesso i minorenni non possono partecipare ai progetti, per questo ci siamo rivolti al Comune e, insieme all’Urban Center, abbiamo ideato questa giornata. Abbiamo scelto di dividerci in vari settori, ognuno con un metodo diverso d’apprendimento, ma tutti basati sull’idea che per imparare e interiorizzare qualcosa, bisogna farla divertendosi”.

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Si costruiscono strumenti musicali

Infatti ogni gruppo di scout, circondato da bambini sorridenti, ha progettato angoli con materiali e idee differenti: con carta di giornale colorata e buste di plastica per alimenti si possono realizzare piccoli origami e meduse svolazzanti e se la stessa carta di giornale l’appallottoliamo, colorata di rosso, sarà perfetta per un tiro al bersaglio, in cui si dovrà colpire l’umido, la carta, la plastica o il vetro. “Non sempre sappiamo con certezza dove vanno buttati i rifiuti,- mi racconta Giulia – quindi abbiamo realizzato questo gioco in cui i bambini devono lanciare la loro palla colorata sul bersaglio in cui pensano andrà l’oggetto che noi gli diremo”.
Mentre parlo con Giulia e Silvia, si iniziano a sentire fischi e cinguettii, infatti gli scout della postazione vicina sono impegnati nella realizzazione di strumenti musicali, fatti interamente di materiali riciclati, come bottiglie, tubi e cannucce, tutti scarti recuperati, puliti e, per i più piccoli, già tagliati dai capo scout. Superando il muro delle idee, fatto di scatoloni, su cui chiunque può lasciare una loro riflessione, un commento o un consiglio, arrivo alla sezione dedicata agli scatti del concorso fotograficoNiente fumo, tutto Ariosto“, dove Arianna sta appendendo le ultime stampe.

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La giornata in Piazza Ariostea
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Il tiro al bersaglio
L’angolo degli scatoloni
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Scout e bambini insieme
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Il concorso fotografico
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Le foto della città

” Abbiamo deciso di dedicare questo spazio alle foto del concorso, sia alle tre vincitrici che alle altre partecipanti, tutte immagini che mostrano una Ferrara bella, pulita e piena di storia. Non tutte le immagini mostrano solo gli aspetti positivi, ce n’è una in particolare che mostra un angolo vicino il grattacielo, in cui le rastrelliere per le biciclette sono decorate e bellissime, ma dimenticate. Vogliamo sensibilizzare chi, abituato alla città, non ne apprezza più tutta la bellezza e non ne vede i dettagli lasciati alle intemperie e alla rovina del tempo. I tre vincitori del concorso, scelti per il numero di “mi piace” ottenuti sulla nostra pagina Facebook, verranno premiati qui alle 18.30. I premi sono stati offerti dalla gelateria La Sorgente del Gelato, che offrirà un chilo di gelato al vincitore, mezzo chilo al secondo classificato e due coni al terzo.”
Man mano che il tempo passa, scout di altri gruppi arrivano in piazza, per partecipare alla giornata organizzata dai loro amici, e i bambini realizzano i loro piccoli oggetti, corrono in giro con le mani sporche di tempera e ascoltano con attenzione gli scout che gli mostrano come differenziare tutto ciò che non serve più.

La giornata ha avuto luogo nel pomeriggio di domenica 19 in Piazza Ariostea.

IL FATTO
Turisti in cerca di città

“D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.” (Le città invisibili, Italo Calvino)

Come conciliare turismo urbano, attività produttive e commerciali e valorizzazione di quel patrimonio artistico culturale e ambientale che è la cifra distintiva delle città italiane ed europee? La risposta data durante le 13° Giornate europee del commercio e del turismo urbano, tenutesi nel Salone d’Onore della Pinacoteca nazionale a Palazzo dei Diamanti il 19 e 20 aprile, organizzate da Confesercenti e Vitrines d’Europe, sembra essere il dialogo e la collaborazione fra tutti questi settori, con l’obiettivo di una continua ricerca di proposte di qualità che distinguano ciascuna città e territorio per le proprie peculiarità.
Se ciò che chiedono i turisti, in particolare gli stranieri provenienti dai mercati emergenti, è sempre più un’esperienza dell’identità culturale dei luoghi che visitano, così diversificata in particolare in Italia, l’unica strategia vincente è uscire dalla concezione della città-museo o della città-vetrina, pensando alla cultura nel significato più ampio del termine: un modo di vivere che privilegia qualità, bellezza e socialità, e quindi rende migliore la qualità della vita, un sistema che parte dai luoghi fisici – edifici, vie e piazze – per arrivare a ciò che si mangia, si guarda, si ascolta, fino alla rete di relazioni sociali che ci circonda.
“Le città non possono essere imbalsamate e mummificate – ha affermato Stefano Bollettinari, presidente di Vitrines d’Europe – devono rimanere vive e vitali, attive, accessibili” e, aggiungiamo noi, il più possibili inclusive e sostenibili. E devono essere tutto ciò prima di tutto per i propri cittadini, che sono i loro primi ambasciatori nel mondo reale e in quello virtuale oggi altrettanto importante, e poi per i turisti, che “non sono altro che cittadini temporanei”, ha concluso Bollettinari.
Il turismo urbano e culturale è un’opportunità che soprattutto un Paese come l’Italia, caratterizzato da un patrimonio diffuso e puntiforme su tutto il territorio, non può permettersi di perdere. I dati parlano di un processo di desertificazione urbana in atto in Italia, con oltre 100.000 chiusure di imprese commerciali negli ultimi due anni. È perciò evidente la ricaduta economica che potrebbero rappresentare i 54 miliardi del Pil del turismo culturale, il 33% dell’intero Pil turistico nazionale. È il direttore scientifico del Centro studi turistici di Firenze Alessandro Tortelli a raccontare in cifre cosa significhi il turismo nelle città d’interesse storico e artistico: 38.000 esercizi (24% del totale in Italia), 875.000 posti letto, quasi 39 milioni di arrivi e 103 milioni di presenze, con il 61,8% di turisti stranieri. Ma non è tutto: dal 2010 al 2014 gli arrivi sono sempre in crescita, così come la domanda proveniente dall’estero, sono 11,9 i milioni di euro spesi in vacanze culturali o in città d’arte (36% della spesa complessiva) e chi viaggia per motivi culturali spende in media il 25% in più rispetto agli altri viaggiatori.
Che la cultura sia un driver di primaria importanza per lo sviluppo territoriale è ormai un fatto acquisito, o almeno così si spera. La questione è come il tema viene affrontato da istituzioni locali e attori economici: un progetto culturale, infatti, non ha in automatico ricadute sociali ed economiche importanti. Il rapporto tra dimensione culturale, sociale ed economica deve essere progettato coinvolgendo gli operatori della società civile e del mondo economico, componendo visioni, disponibilità ad agire e interessi diversificati. Questa sinergia, non facile e non scontata, potrà favorire quel capovolgimento di visione che permetterà di concepire il denaro per la cultura un investimento e non una spesa.
Ferrara, almeno per questa volta, sembra essere un passo avanti. Non solo perché il sindaco Tiziano Tagliani, presente alle Giornate di Vitrines d’Europe insieme all’assessore alla cultura e al turismo Maisto, ha parlato di un “investimento forte” che la città sta facendo “nella valorizzazione delle peculiarità cittadine” e di “un’alleanza” fra commercio e attività produttive e amministrazione locale “per una migliore qualità della vita cittadina”. Ma anche perché, come ha sottolineato Tortelli, Ferrara è uno dei sette case studies virtuosi citati dal Rapporto 2014 “Io sono cultura” elaborato da Fondazione Symbola e Unioncamere. Ferrara città di cultura, con un patrimonio urbano e monumentale che può vantare allo stesso tempo uno dei centri medievali più estesi e uno dei primi esempi di pianificazione moderna con l’addizione erculea rinascimentale. Ferrara città di eventi e di festival, “continuativi, diversificati, ramificati e diffusi”, come ha affermato il vicesindaco Maisto: dalla grande arte di Palazzo Diamanti al Salone del restauro, da Ferrara sotto le stelle ai Buskers, dal festival di Internazionale a quello di Altroconsumo, fino alla imminente Festa del libro ebraico. L’assessore non nega che il modello che si sogna di raggiungere è Edimburgo. Ferrara città della creatività e dei mestieri creativi, che recuperano e a volte reinterpretano antichi saperi e mestieri. Senza dimenticare l’opportunità offerta dal turismo sostenibile sul Delta del grande fiume. Il prossimo passo è Ferrara città partecipata, proprio perché è dai ferraresi che bisogna partire per recuperare il concetto antico della polis, dove i cittadini partecipavano attivamente alla vita collettiva e nella costruzione del bene comune. Anche in questo caso ci sono attività in itinere, Ferrara Mia, le Social street come via Pitteri e i Future lab sono alcuni esempi. Per una volta è il caso di dire: stiamo lavorando per noi!

IL FATTO
Ferrara Mia, al via il percorso partecipato: Alietti “Determinante il passaggio da luogo a bene comune”

Beni comuni, partecipazione, cittadinanza attiva: questi solo alcuni dei temi principali attorno ai quali si è svolto il primo di una serie di tre incontri di Ferrara Mia, percorso partecipativo di Urban center Ferrara. Tanti i cittadini accorsi alla Sala della Musica sabato 18 aprile, i veri protagonisti della mattinata; essi hanno avuto la possibilità di confrontarsi tra loro, con la pubblica amministrazione e, riuniti in quattro grandi gruppi di lavoro nella prima parte dell’incontro, anche tracciare delle linee guida condivise con alcuni qualificati facilitatori.

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I gruppi al lavoro

Scopo dei lavori di gruppo è stato tracciare una mappa delle esperienze di cittadinanza attiva già presenti sul territorio del Comune di Ferrara, condividere le esperienze e le motivazioni che hanno spinto ciascuno ad impegnarsi in questi obiettivi, interrogarsi su cosa sono davvero, per ognuno, i beni comuni. Un importante occasione quindi per conoscere chi realmente si impegna da tempo come cittadino attivo per il miglioramento della città e per la riqualificazione dei suoi spazi, ma anche per scoprire nuove idee e intenzioni e capire insieme come muoversi per renderle concrete.

Tra la cinquantina di partecipanti intervenuti, le idee e le proposte emerse sono state molteplici: dai parchi alle scuole, dalle piazze alle biciclette, dalle strade alle strutture abbandonate, dal centro città alla periferia più lontana. Si è anche parlato del perché Ferrara è veramente una città “mia”, nostra, ricordando come ancora sia un centro cittadino a misura d’uomo, “un posto ancora umano” citando un intervento che ricorda e ammonisce come questi fattori siano sempre meno scontati.

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Il professor Alietti durante il suo intervento

Nella seconda metà della mattinata, dopo aver analizzato le linee guida individuate nei gruppi di lavoro (dalle quali lo staff di lavoro individuerà una definizione condivisa di “bene comune”), è intervenuto il prof. Alfredo Alietti del Laboratorio di studi urbani per parlare del passaggio da “luogo comune” a “bene comune”, affermando cioè come il primo arriva ad acquisire valore e di come possa arrivare ad essere considerato come il secondo solo grazie ai cittadini; un bene comune è veramente tale, quindi, solamente se diviene uno spazio fruibile e vissuto dagli stessi cittadini che si impegnano con responsabilità per tutelarlo e mantenerne la cura.

In chiusura, Zaira Sangiorgi ha fatto il punto sul progetto di Ferrara Mia, illustrando la mappatura delle iniziative di cittadinanza attiva e i lavori del gruppo tecnico intersettoriale, mentre l’assessore Fusari ha ricordato i prossimi eventi. Sì perché questo non è stato che l’inizio: il 15 e il 16 maggio continueranno i lavori di Ferrara Mia con altri due incontri di confronto, aperti a tutti, presso il Mercato coperto in via Boccacanale.

 

Lettura delle opinioni
Mappa della cittadinanza attiva
Zaira Sangiorgi e Alfredo Alietti
Ilenia Crema
Condivisione
Stesura delle idee

LA SEGNALAZIONE
Il museo della Frutta, un tuffo nel passato per riflettere sulla biodiversità

dalla redazione di Fuoriporta

Dal momento che l’alimentazione e la biodiversità saranno fra degli argomenti centrali dell’Expo di Milano, può valere davvero la pena fare una piccola deviazione fino a Torino, distante solo un’ora di treno: nel capoluogo piemontese, infatti, c’è un museo davvero particolare. A pochi passi dal parco del Valentino che costeggia le rive del fiume Po, infatti, la città sabauda ospita il museo della Frutta. Un luogo davvero unico che conserva la collezione di 1021 “frutti artificiali plastici” – 39 varietà di albicocche, 9 di fichi, 286 di mele, 490 di pere, 67 di pesche, 6 di pesche noci, 20 di prugne, 44 di uva, 50 di patate e un esemplare ciascuno di rapa, di barbabietola, di carota, di pastinaca, di melograno e di mela cotogna – modellati a fine Ottocento da Francesco Garnier Valletti, geniale ed eccentrica figura di artigiano, artista, scienziato. E così i visitatori possono fare un vero e proprio tuffo nel passato riflettendo, contemporaneamente, su un tema attualissimo come quello della biodiversità. All’interno della struttura la ricostruzione dei laboratori d’analisi, delle sale della collezione pomologica, della biblioteca e dell’ufficio del direttore, valorizzano il prezioso patrimonio storico-scientifico della Stazione di Chimica Agraria dal 1871 ad oggi, nel contesto dell’evoluzione della ricerca applicata all’agricoltura a Torino tra l’Otto e il Novecento.

Per saperne di più visita il sito FuoriPorta [vedi]

L’EVENTO
L’eclettismo di Picasso e Gaudì infiamma Barcellona

Tornano ad aprirsi le porte della punta di diamante – di nome e di fatto – degli spazi espositivi estensi: Palazzo dei Diamanti inaugura la nuova programmazione 2015-2016 con “La Rosa di Fuoco. La Barcellona di Picasso e Gaudì” (19 aprile-19 luglio 2015).
Dopo “Gli anni folli. La Parigi di Modigliani, Picasso e Dalí”, Ferrara Arte torna a puntare i riflettori su una grande città e i suoi cambiamenti agli albori della modernità: questa volta è la Barcellona del Modernismo catalano. “È una mostra non su un artista, ma su un’epoca che ha lasciato il segno di se stessa attraverso grandi realizzazioni culturali”, spiega Tomàs Llorens, già direttore del Museo Thyssen-Bornemisza e del Reina Sofia a Madrid e curatore dell’esposizione insieme a Boye Llorens. Un’epoca di fermenti e di forti contrasti, racchiusa fra due poli cronologici che li incarnano: il 1888 quando Barcellona ospita l’Esposizione universale, vero e proprio regno dell’esaltazione della modernità industriale, e il 1909, l’anno della cosiddetta “settimana tragica”, quando le tensioni sociali sfoceranno in uno sciopero generale e in manifestazioni represse nel sangue. Barcellona è dunque una rosa di fuoco, come viene definita nei circoli ananrchici internazionali, perché infiammata dal fermento e dal dinamismo politico, culturale e sociale che animava tutte le capitali europee della Belle Epoque. Il Modernismo catalano precisamente per la sua vocazione alla contemporaneità riflette e rappresenta la conflittualità e la violenza che la modernizzazione economica e sociale reca in sé.
“Abbiamo tentato di dare un’immagine dinamica”, afferma Llorens, perché la città metropolitana diventa “tentacolare e si insinua nella campagna distruggendo ritmi di vita secolari”. E cosa può esserci di più dinamico di un cortometraggio come quello le cui sequenze accolgono i visitatori appena entrati, mostrando loro la “Barcelona en tramvia” (1908)? Nello stesso tempo quello che si dipana nelle sale espositive è “un racconto drammatico” di un’epoca che si è aperta nel più fervente entusiasmo e fiducia verso il futuro e non può avere finale più drammatico: l’ecatombe della Grande Guerra.

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Chiesa della Colònia Güell, Antoni Gaudí (1908 – 1910).

Il primo capitolo è dedicato all’architettura e il protagonista indiscusso è Antoni Gaudì, le cui creazioni eclettiche vengono mostrate non solo attraverso foto e stampe d’epoca, ma anche attraverso soluzioni allestitive originali come la ricreazione della pavimentazione in cemento ideata dall’architetto nel 1904 e utilizzata ancora oggi per i viali della capitale catalana. Il pezzo forte però è la ricostruzione del modello di Gaudi per la chiesa della Colonia Güell a cura di Etsav-universitat politecnica de Catalunya: l’architetto aveva creato nel proprio studio un sistema di corde e contrappesi corrispondenti al carico esercitato sulle volte e sulle colonne per simulare la forma capovolta della chiesa, capovolgendo le fotografie di questo intreccio che scendeva dal soffitto aveva poi tracciato il disegno progettuale di cui due rarissimi esemplari sono esposti in mostra.
Segue la sezione dedicata allo spazio pubblico dove i manifesti esprimono nello stesso tempo la proliferazione delle immagini artistiche, che diventano strumenti commerciali, e la spettacolarizzazione della città. Si ha anche la possibilità di entrare nella taverna Els Quatre Gats, il ritrovo della maggior parte degli artisti modernisti sul modello dei caffè parigini e luogo della prima mostra personale del giovanissimo Picasso, il cui sguardo penetrante rivela già il genio creativo dell’artista.

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Spilla con libellula, Luis Masriera (1903 – 1906)

La terza sezione è dedicata allo spazio privato e introduce i visitatori nell’intimità degli interni borghesi nei quali si può liberare la fantasia, in particolare quando si tratta d’amore. Una delle parole chiave di questa sezione è ornamento: degli ambienti, come nel caso dei due specchi ideati da Gaudì per Casa Milà, e della persona come nel caso dei gioielli di Lluis Masriera, celebre per la sua sofisticata produzione che reinterpreta l’Art nouveau fra fiori, insetti e ninfe d’oro, di smeraldi, rubini, platino e diamanti.
L’immedesimazione della natura non può più essere solamente quella della resa oggettiva tipica del naturalismo, ma diventa la raffigurazione della visione soggettiva che sfocerà poi nel Simbolismo, come si avverte nei dipinti di Mir a Maiorca: “L’abisso”, “El Rovell” e “La cala incantata”. Il contrappunto a questa natura incontaminata è la ville lumière, quella Parigi che i modernisti catalani eleggono a seconda patria, raffigurandone la vita notturna allo stesso tempo ammaliante e minacciosa, come fa Anglada Camarasa nei suoi “Il pavone bianco” e “Fleur de Paris”. Emblema di questa ambiguità e delle atmosfere sordide parigine è il ritratto del critico d’arte Gustave Coquiot, che Picasso rende in modo quasi espressionista trasformandolo in una sorta di Lucifero sbeffeggiante.

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Due gitane di Isidre Nonell (1906))

Dopo la sala dedicata agli eventi della settimana tragica, dal 26 luglio al 2 agosto 1909, quando il reclutamento per la guerra coloniale in Nord Africa fa esplodere le tensioni che covavano nel degrado e nella miseria in cui viveva gran parte della popolazione, l’ultimo capitolo ha il colore blu della malinconia che rimane dopo che tutto è finito. Lo sciopero generale è stato represso nel sangue e ai modernisti non rimane che raffigurare gli sconfitti: quei miserabili e quei diseredati dei sobborghi di Parigi e di Barcellona che la trasformazione industriale ha travolto e lasciato indietro. Oltre alle gitane di Nonell, in questa sezione sono esposti “Pasto frugale”, “Povertà (I miserabili)” e la “Ragazza in camicia” di Picasso, che esprime tutta la nobile e dignitosissima rassegnazione di chi rimane ai margini dallo sfavillante scintillio della Belle Epoque.
L’allestimento è stato studiato per mettere in dialogo tecniche e materiali diversi: oltre 120 fra dipinti, disegni, manifesti, fotografie, gioielli, modelli architettonici e teatrali, ceramiche e sculture. Non si parla soltanto di uno stile perché i linguaggi modernisti si muovono nelle arti figurative tra il naturalismo e il simbolismo, anticipando a volte la spinta espressionista; in architettura e nelle arti decorative, invece, tra lo storicismo ottocentesco e le prime istanze dell’architettura organica e del razionalismo novecenteschi. Per questo visitare “La rosa di fuoco” è come aprire una finestra su un’intera epoca caratterizzata da una polarizzazione radicata: fra sogni e incubi, speranze e timori, l’euforia è sempre velata dal presentimento della catastrofe incombente.

Dopo la rassegna su Barcellona, che si chiuderà il 19 luglio, sono già in cantiere altri due appuntamenti: “De Chirico a Ferrara, 1915-1918. Pittura metafisica e avanguardie europee” (novembre 2015-febbraio 2016) e un’esposizione che celebrerà i 500 anni della prima edizione dell’Orlando Furioso (settembre 2016-gennaio 2017). “È stata una pausa più lunga di quelle a cui eravamo abituati, ma non c’è stato il tempo di annoiarsi” ha sottolineato l’assessore alla cultura del Comune di Ferrara Massimo Maisto nell’incontro di presentazione alla cittadinanza, ricordando tutti gli appuntamenti che nel frattempo hanno tenuto “alto il profilo culturale della città”: dai “Lampi Sublimi” ospitati alla Pinacoteca nazionale a “L’arte per l’Arte”, che vede il Castello Estense come sede d’eccezione per le collezioni delle Gallerie d’arte moderna e contemporanea di Ferrara. Quella del 2015-2017 è, per Maisto, “la programmazione ideale per un’istituzione come Ferrara Arte” che deve essere capace di valorizzare il patrimonio locale mostrando il suo respiro internazionale: la retrospettiva di Antonioni alla Cinémathèque française ne è una brillante dimostrazione. “Nello stesso tempo bisogna aprirsi e parlare del mondo, come è accaduto con Matisse e come accade ora con la Barcellona di Picasso e Gaudì”.

“La Rosa di fuoco. La Barcellona di Picasso e Gaudì”, Palazzo Diamanti, 19 aprile-19 luglio 2015 [vedi].

LA SEGNALAZIONE
“Ivan il Terribile” dal Bolshoi al web oggi in diretta mondiale

Oggi nei cinema russi e di tutto il mondo verrà trasmesso uno dei balletti storici più famosi del Teatro Bol’soj di Mosca, “Ivan il Terribile”. Gli utenti russi di internet potranno seguire la trasmissione online sul canale YouTube del teatro. Nexo Digital [vedi], invece, si occuperà di trasmettere il balletto in oltre mille sale cinematografiche di tutto il mondo, anche in Italia. L’evento di Nexo sarà in diretta (alle 17, ora italiana), in differita si potrà vedere in altre date. Merita davvero, ho avuto la fortuna di vederlo, dal vivo, qui a Mosca, mercoledì scorso. Gli applausi sono durati a lungo, immensi mazzi di fiori hanno salutato gli artisti (Ivan Vasiliev nei panni della zar Ivan IV, Mariya Vinogradova nel ruolo della moglie Anastasia e Artyom Ovcharenko in quello del principe Kurbsky), che hanno realizzato una performance delle più belle degli ultimi tempi. Il pubblico (e io) era in delirio. Due atti che sono volati. La musica di Sergei Prokoviev (creata oltre 70 anni fa), diretta dal maestro Pavel Sorokin, si è espressa in tutta la sua potenza. La forza della Russia e della sua storia è emersa in tutta la sua energia. Le acrobazie e l’atletismo di Vasiliev hanno completato un quadro che già da solo era dipinto magistralmente. Scene e costumi sono altrettanti imponenti, curati e lussuosi. Energia pura. Ovunque. Con tanto di tripudio finale.

Lo spettacolo che vediamo oggi è una rielaborazione, effettuata nel 2012, del libretto originale del noto e leggendario coreografo Yuri Grigorovich, del 1975. Quell’anno la rappresentazione aveva ottenuto un successo straordinario (ora come allora, aggiungerei) al punto che la compagnia organizzò una tournée negli Stati uniti, dove suscitò entusiasmo di stampa e spettatori. L’anno successivo, sarebbe apparsa all’Opera di Parigi è portata in scena anche al museo del Louvre. Da allora il teatro Bol’soj lo ha mantenuto regolarmente nei suoi programmi.
La storia, una lirica potente e ricca di colore, ambientata nella Russia medievale e nel regno di Ivan IV. Tempi incerti, turbolenti, di ribellioni, lotte, guerre, battaglie, sconfitte, vittorie, trionfi, amori. Incoronato zar con il nome di Ivan IV, nel 1547, e sposata Anastasia, Ivan combatte i Boiardi, i nobili di corte che contrastano il suo potere, guidati dalla zia di Ivan, Starickaja, che vuole porre sul trono il proprio figlio Vladimir. Sconfitti i Tartari, Ivan fa ritorno a Mosca trionfante. Mente sia ammala gravemente, Anastasia viene avvelenata dai Boiardi e Ivan si ritira in un convento dove raccoglie la dimostrazione di fedeltà del popolo di Mosca. Gli ostacoli continuano dopo il suo ritorno a Mosca, nel 1563, dove però la vendetta dei Boiardi ricade per errore sul figlio di Starickaja. Così “Ivan il Terribile” diventa la storia appassionata di un popolo, di una nazione e della forza del potere. Al suono di potenti campane e trombe di guerrieri e di angeli.
Da vedere. Anche per comprendere meglio molte cose della Russia.

LA SEGNALAZIONE
Il Medioevo nelle terre dei Montefeltro: a Casteldelci due giorni di festa

dalla redazione di Fuoriporta

Un salto all’indietro nel tempo fino al Medioevo. D’altronde siamo a Casteldelci, nel cuore della Valmarecchia, un territorio a metà strada fra Toscana, Emilia Romagna e Marche che fu patria di Uguccione della Faggiola e di illustri signorie come quella dei Montefeltro, che arricchirono di storia e cultura questo tratto che oggi appartiene alla provincia di Rimini. Il 18 e il 19 aprile Casteldelci ripercorre le tappe salienti di questo glorioso passato con le Giornate Medievali nelle Terre dei Montefeltro: un modo divertente per scoprire la storia, le eccellenze culinarie e la rigogliosa natura di questa antica e importante valle. La manifestazione prenderà il via sabato 18 con l’escursione di trekking sui sentieri storici: un’interessante passeggiata nell’ambito della quale si visiteranno la Chiesa di S. Maria in Sasseto, un Convento Camaldolese risalente al 1100, un antico mulino sul fiume Senatello, il ponte medievale e il borgo di Casteldelci; nel pomeriggio, poi, è in programma la divertente lettura di ignominie e sberleffi tratti da libri sul Medioevo. Il giorno successivo, sin dalle prime ore del mattino, un colorato mercatino con artigiani, un’antica zecca clandestina e venditori tipici del tempo farà bella mostra di se nelle vie del paese, mentre nel pomeriggio si potrà assistere al colorato corteo di cavalieri e cortigiane che ripercorrerà le strade antiche calpestate dai signori dei Montefeltro, e che terminerà all’insegna del divertimento con i balli medievali. E visto che ogni festa che si rispetti si celebra anche in tavola, ecco che dalle ore 20 è in programma la cena medievale, un’occasione unica per provare i sapori dell’epoca.

Per saperne di più visita il sito FuoriPorta [vedi].

Music awards, Ferrara stella italiana del jazz. Il direttore racconta il club

Ferrara stella del jazz. Sì, il Torrione di San Giovanni con il suo calendario di concerti buca la fascinosa nebbia che l’avvolge nel suo avamposto sulle mura estensi e finisce per brillare – forte e chiaro – nel panorama nazionale. “Ferrara incoronata capitale del jazz; e le grandi città stanno a guardare”, titola niente meno che l’Huffington Post, il quotidiano online che ripropone le principali novità provenienti dalle testate nazionali e locali. Il riconoscimento al jazz club cittadino arriva da “Jazz It”, la rivista di settore che ogni anno assegna i “Jazz It Awards” in base al voto dei lettori. E’ un po’ l’Oscar di questo genere musicale con i voti che quest’anno superano i 13mila. Come la statuetta fa per quello che riguarda il cinema, anche questo riconoscimento è modulato su vari aspetti: sala e locale, direttore artistico, musicisti e artisti.

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Torrione nella nebbia (foto Eleonora Sole Travagli)
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I Jazz It Awards per la programmazione 2014

E Ferrara, con il suo jazz club, si porta a casa una tripletta di premi. Si aggiudica quello del migliore jazz club italiano con ben 1.113 voti, che lo mettono in testa a concorrenti del calibro dei romani 28 DiVino Jazz e Alexanderplatz con uno stacco di quasi trecento voti già rispetto al secondo classificato. Si aggiudica il primato per il direttore artistico, nella persona di Francesco Bettini, che riesce a inerpicarsi fin sulla vetta sopra a nomi come quello di Paolo Fresu per il “Time in jazz”, Carlo Pagnotta che dirige addirittura “Umbria jazz”, Mario Ciampà del “Roma jazz festival” e Sergio Gimigliano di “Peperoncino jazz festival”. E si aggiudica il top alle tastiere con Alfonso Santimone, musicista nato a Ferrara, al pianoforte anche l’altra settimana a dare il suo contributo alla “splendida foresta di suoni” di Camera Lirica e pronto a chiudere la programmazione giovedì 30 aprile in occasione della Giornata internazionale Unesco del jazz con il concerto serale intitolato “Song Improvisations”.

Il Jazz club Ferrara fa man bassa di riconoscimenti con un calendario di serate musicali programmate anno dopo anno con costanza, cura, continuità, alternanza di nomi big e giovani di talento, suoni classici e innovazione. Il Jazz It Award premia il club cittadino per il quarto anno consecutivo. La novità di questa edizione è il podio assegnato a Francesco Bettini come direttore artistico, che in silenziosa iperattività lavora da tempo, sorridente e cinetico, discreto e immancabilmente presente. A lui, dunque, il compito di raccontare un po’ il segreto di tanto successo.

Francesco Bettini, iI Jazz club ferrarese è attivo da quanti anni? Come e da chi nasce l’idea di fare qui a Ferrara questo tipo di manifestazione?
“La storia del Jazz club Ferrara affonda le radici nella metà degli anni ’70 fino all’apertura del Torrione, poco più di quindici anni fa. La direzione artistica era di Alessandro Mistri che da entusiasta e competente appassionato, ha permesso alla città di essere sempre vivace sul piano della proposta jazzistica. Alessandro e i molti soci, che negli anni lo hanno affiancato, hanno prodotto festival e rassegne di prima eccellenza portando a Ferrara e Comacchio i più grandi nomi della storia del jazz. Il Torrione, grazie alle caratteristiche ibride – a metà strada tra un teatro di piccole dimensioni e un locale – ha imposto che l’attività associativa divenisse continuativa ed era pertanto necessario uno sforzo e un impiego di risorse superiore al passato. Così io mi resi disponibile come volontario ad aiutare Alessandro nello svolgere compiti più che altro logistici. Mi sono ritrovato a coprire praticamente tutti i ruoli della filiera, dapprima come fonico e segretario, poi addirittura come ufficio stampa, fino ad affiancarmi alla direzione artistica. Per i primi anni ho lavorato a quattro mani con Alessandro Mistri acquisendo sempre maggiore esperienza, fino a quando, progressivamente, ho finito per svolgere questo compito in autonomia, direi almeno da cinque anni”.

Classe 1975, una laurea in Conservazione dei beni culturali. Ma quale percorso e formazione fa diventare un direttore artistico da Jazz Award, Francesco?
“Nell’arco degli ultimi quindici anni ho fatto veramente tutte le esperienze connaturate alla produzione del jazz in Italia: dal segretario all’ufficio stampa, dal road manager al fonico, dal booking al direttore e consulente artistico. Tutto ciò mi ha permesso di sviluppare una visione a 360 gradi. Questo mi consente di avere a che fare con i musicisti e i colleghi di settore dialogandoci non solo dalla mia prospettiva, ma anche dalla loro. Quando diventi parte integrante di un sistema è naturale che la rete delle amicizie e delle collaborazioni si estenda con una sorta di crescita geometrica. Credo e spero di essere riuscito professionalmente e umanamente a interagire proficuamente su un terreno comune con tutti i singoli soggetti”.

Quali sono le linee guida che segue, Bettini, nel mettere insieme il cartellone? Gusto, istinto, strategia, mix calibrato di elementi diversi?
“Tendo a diversificare il più possibile, raramente agisco d’istinto e mi impegno a non influenzare eccessivamente con il mio gusto personale il quadro complessivo delle proposte. Ma, soprattutto, cerco di privilegiare la qualità e la sincerità della musica, che promuoviamo al di là delle barriere di genere”.

I grandi nomi sono diventati anche un po’ presenze amiche o il rapporto tra calendario e artisti passa soprattutto attraverso manager e prestigio acquisito?
“Non ho solamente condiviso i concerti e il lavoro con moltissimi musicisti italiani, europei e statunitensi. Talvolta giornate intere, tournée di più settimane, persino vacanze. Ho sempre voluto che i rapporti non si limitassero all’ambito professionale. Cerco di instaurare un sano e sacrosanto desiderio di divertirsi assieme. Ciò non significa che il rapporto con i management non sia fondamentale, spesso anche in condizioni di confidenza assoluta con i musicisti è giusto e necessario che sia il manager l’interlocutore migliore per definire gli aspetti correlati al business”.

Come commenta questo riconoscimento così gratificante per un direttore artistico, ma anche per il club?
“Trattandosi di una votazione libera dei lettori, pertanto operata soprattutto da appassionati e musicisti e solo in minima parte da critici, è possibile che la preferenza sia da addebitarsi prevalentemente a caratteristiche legate alla simpatia e alla condivisione della nostra attività e dei fini della stessa, piuttosto che all’aspetto più prettamente connesso con la competenza e le scelte artistiche. Credo inoltre che, pur essendo rivolto al sottoscritto, sia in realtà una preferenza determinata dal lavoro collettivo delle associazioni che si avvalgono della mia professionalità e che, oltretutto, si tratti di una somma delle capacità espresse sia dall’associazione culturale Jazz club Ferrara sia dal Bologna jazz festival”.

Ferrara in vetta anche rispetto a città come Roma, Torino, Palermo. Non male…
“Un dato sicuramente rilevante è che JazzIt ha un prevalente romano-centrico e nonostante ciò la scelta dei lettori si è orientata su attività che si svolgono in provincia, segno che la capacità di attrarre interesse e consenso è possibile anche in realtà più ‘periferiche’ e che si possa avere visibilità su scala nazionale se i contenuti che si esprimono sono di eccellenza.
Non dimentichiamoci che fare l’operatore culturale in piccoli centri è sicuramente un’operazione più snella, risultando più semplice creare sinergie con altri soggetti e interfacciandosi con meno filtri e maggiore facilità di comunicazione diretta anche con le istituzioni”.

Quanto sono importanti le istituzioni in tutto ciò?
“L’Emilia-Romagna e la città di Ferrara sono da sempre attente alle politiche culturali e, nella stragrande maggioranza dei casi, gli interlocutori che si sono avvicendati ai vertici delle istituzioni hanno dimostrato di comprendere il valore delle nostre proposte e si sono impegnati a sostenerle con grande entusiasmo. I contributi erogati dagli enti coprono il 25% del budget necessario per il raggiungimento del pareggio di bilancio. Quindi il quadro finanziario si regge in piedi prevalentemente grazie all’autofinanziamento. Sebbene oggi attrarre investitori privati sia difficilissimo, siamo sempre riusciti – fidelizzando il nostro pubblico e in sostanza educandolo a un ascolto vario e diversificato – a tenere alto e fortemente differenziato il livello delle proposte artistiche e a proporre concerti e seminari che molto raramente strizzano l’occhio all’aspetto commerciabile dando priorità all’originalità e all’attualità dei progetti”.

Il futuro, ora, come si prospetta?
“Speriamo di poter continuare in questa direzione che sembra premiare il nostro lavoro, la nostra competenza, la nostra passione e soprattutto, in senso più ampio: la musica!”.

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Francesco Bettini, direttore artistico del Jazz club Ferrara (foto Giorgia Mazzotti)
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Francesco Bettini, direttore artistico del Jazz club Ferrara (foto Giorgia Mazzotti)
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Francesco Bettini, direttore artistico del Jazz club Ferrara (foto Giorgia Mazzotti)
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Il programma nelle mani di Eleonora Sole Travagli, addetta stampa (foto Giorgia Mazzotti)
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Il Jazz club Ferrara, interno del Torrione di San Giovanni (foto Giorgia Mazzotti)

Il colore di un’economia umana

Alzi la mano chi di noi non si demoralizza all’istante leggendo o ascoltando alla televisione e dal vivo i dibattiti di e sull’economia. Ma potrebbe esserci un rimedio, leggere il volume di Andrea Segrè “L’economia a colori” (Einaudi, 2012) che cerca di togliere a questa scienza sociale il grigiore di cui si è ricoperta nel tempo. “Per sfuggire alla tristezza, innaturalezza, macchinosità, vanità, inutilità e soprattutto per uscire dalla sua solitudine, l’economia nel corso del tempo è stata colorata, aggettivata, sostantivata. Da sola non ci sta, deve essere accompagnata da qualcosa. Altrimenti si perde, nella teoria e nella pratica: cioè nella vita. Perché l’economia serve, o dovrebbe servire, a vivere bene: non a sopravvivere”. Questa la premessa da cui parte l’autore, triestino d’origine Preside della Facoltà di agraria dell’Università di Bologna, professore di politica agraria internazionale e comparata e ideatore dello spin-off accademico Last minute market.
Il rosso nel Novecento è stato il colore della Rivoluzione, del socialismo reale, mentre oggi è soprattutto il rosso del debito ecologico, dei consumi indiscriminati delle risorse naturali. Il marrone è il colore della vera economia, quella dei rifiuti e del percolato. Il grigio è il colore della nebbia delle strutture societarie opache e delle sedi disperse, ma anche della materia grigia, del brain power che potrebbe portarci nel futuro, ma che soprattutto in Italia non viene abbastanza valorizzato. Il nero è “il nostro lutto, profondo perché non si vede: sommerso com’è in un oceano buio”. Poi, essendo Segrè economista di campagna, come lui stesso si definisce, che osserva la realtà dal basso, non poteva mancare il verde, emblema della green economy. Ma c’è anche il verdastro, il colore del greenwashing, quello che si limita a dare l’illusione d’esser verde, senza esserlo realmente. E poi il blu, che riconosce un diritto universale come quello all’acqua. Infine, l’arcobaleno, che già dai tempi di Noè e della sua arca sancì l’alleanza tra gli esseri viventi e con le generazioni future. Ecco allora che, se “l’economia a colori potrà fare qualcosa di buono”, sarà “vendere la speranza come nella filastrocca di Gianni Rodari: S’io avessi una botteguccia | Fatta d’una sola stanza | Vorrei mettermi a vendere | Sai cosa? La speranza”.
Attraverso il caleidoscopio di colori e la gamma di aggettivi e sostantivi che nel tempo si sono affiancati al termine e al concetto di economia (sia nel senso economy, i fatti e i fenomeni economici, sia nel senso di economics, la teoria economica), quella che Segrè cerca di delineare è una visione d’insieme che leghi questa scienza sociale alle ricadute che ha avuto e ha nel mondo reale, facendola finalmente scendere – o cadere – dall’iperuranio creato dal turbocapitalismo degli anni Ottanta, molto meno nobile di quel reame delle idee descritto da Platone, essendo il regno delle speculazioni finanziarie e dei calcoli matematici sui derivati all’origine della crisi finanziaria del 2007. Una crisi che non è più, e forse non è mai stata solo, economica, ma anche etica.
Al centro del volume c’è il concetto di relazione, perché la tesi di Segrè è che, per uscire da questa crisi, non basta più parlare di economia sostenibile: bisogna ribaltare la prospettiva fra economia ed ecologia. Economia è il sistema di interazioni che garantisce l’organizzazione per l’utilizzo di risorse scarse (limitate o finite), attuata al fine di soddisfare al meglio bisogni individuali o collettivi. Ecologia, secondo la definizione coniata dal biologo tedesco Ernst Haeckel nel 1866, è “l’insieme di conoscenze che riguardano l’economia della natura; l’indagine del complesso delle relazioni di un animale con il suo contesto sia inorganico sia organico, comprendente soprattutto le sue relazioni positive e negative con gli animali e le piante con cui viene direttamente o indirettamente a contatto”. Entrambi hanno la propria radice nel greco oikos, è ora di ristabilire l’ordine delle cose: l’economia è il governo di solo una parte della grande casa che è il pianeta che ci ospita. È necessario uscire dalla metafora dell’economia come un sistema razionale che funziona come una fredda macchina e cominciare a considerarla come se fosse un organismo che si relaziona con gli altri organismi: iniziamo a parlare di ecologia economica. Ecologia, infatti, contiene anche logos nella sua accezione di dialogo con ciò che ci circonda: gli altri esseri che abitano con noi questa casa-mondo. Da qui la necessità di un’economia del noi, plurale, dopo tanti anni di economia dell’io, singolare ed egoista: il riconoscimento dei beni comuni e dell’esigenza di preservarli, i gruppi di acquisto solidale, il microcredito, la finanza etica, i bilanci di giustizia, il commercio equo e solidale, il cohousing. “In Italia esistono tanti movimenti, gruppi, associazioni […] che da tempo declinano l’economia plurale” che rappresenta un vero e proprio “capitale di relazioni”; ora questa rete dell’economia plurale deve moltiplicarsi all’infinito e diventare una massa critica sufficientemente numerosa per condizionare il sistema. Una massa critica formata da un’ulteriore evoluzione del genere homo: l’homo sufficiens che cerca “l’abbastanza quando il troppo sarebbe ancora possibile. Raggiunge cioè la sufficienza, principio intuitivo oltre che razionale dal punto di vista personale”. E proprio questi homini sufficiens sono solitamente anche “reciprocans” perché sono coloro che “attivano i principi e le relazioni di reciprocità”: lo scambio di beni così non è più impersonale ma si arricchisce della relazione che si instaura tra le parti determinando così un aumento del capitale relazionale.
Secondo Segrè manca però ancora un balzo evolutivo: quello verso l’homo civicus: “è l’uomo che si batte attivamente per la tutela e la valorizzazione dei beni comuni, intesi nella loro accezione più ampia, ossia quella dei beni pubblici e della fiducia. […] Che è capace di andare oltre a ciò che si crede insuperabile: l’utilità individuale e l’autointeresse nel breve periodo, per costruire invece un’azione collettiva, equa, sostenibile e solidale nel lungo periodo”. Segrè scrive, e non si può che essere d’accordo, che “Ne abbiamo un disperato bisogno”.

Ma c’è anche chi cresce: Elletipi, esempio virtuoso nel panorama ferrarese

Incuneata nel suolo ferrarese, Elletipi è un’azienda nata nel 1974 e cresciuta passo dopo passo, specializzandosi nei servizi ingegneristici per la geotecnica, in rifermento all’implementazione delle grandi opere, che, da sempre, ha cercato di congiungere l’attenzione verso i clienti con le tecniche di controllo dei processi produttivi e di miglioramento dell’efficienza, grazie alla misurazione continua dei risultati ottenuti, aprendosi all’idea di ‘total quality management’.

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Elletipi, servizi ingegneristici per la geotecnica

Grazie alla collaborazione dei tre tecnici ferraresi Riccardo Mazza, Massimo Romagnoli e Paolo Bet, responsabili dei rispettivi settori core, la stabilità e la crescita dell’impresa hanno contribuito di attrarre una nuova attenzione su di sé: nel 2013, infatti, è stata acquisita dal gruppo Dimms nella prospettiva di un continuo ampliamento del mercato di riferimento del gruppo.
Nel tempo si è sviluppata una sinergia in grado di fondere la cultura storica e altamente specializzata dell’azienda ferrarese e la prospettiva dinamica, che guarda al futuro, dell’avellinese Dimms, ed è in questo modo che si sono ottenuti gli ottimi risultati che hanno aperto le porte ad una nuova avventura che, a partire dall’inizio del nuovo anno, porterebbe il gruppo alla quotazione in borsa con possibilità di ‘dual listing’ sull’Aim (Alternative investment market) di Milano e Londra.

La capogruppo Dimms nacque nel 1992 dall’intuizione dei fratelli De Iasi che decisero di proporsi nel campo della geotecnica; oggi il gruppo collabora con clienti come Eni, Shell, Total e Anas ed oltre ad Elletipi, elemento trainante nel campo dei controlli di qualità dei processi produttivi dell’ingegneria civile per il Nord-Est d’Italia, controlla anche la marchigiana Geomarine che completa l’offerta con servizi near-shore e off-shore.
Ultimamente poi, “ha fatto rumors” l’applicazione del jobs act mediante l’assunzione di trenta nuovi operai e la fuoriuscita di un nuovo piano industriale per il 2016-2018; se grazie all’iniezione di liquidità data dal fondo Xenox private equity sono state realizzate le prime due acquisizioni per 5 milioni di euro, si pensa a nuove mosse strategiche per ampliare il proprio mercato di riferimento.
Dalla collegata in Mozambico si avanza l’ipotesi di ulteriori acquisizioni in Africa per avanzare nel settore dell’oil&gas ed avvicinarsi ai mercati di Dubai e Abu Dhadi, considerati molto profittevoli.
Insomma, l’intero gruppo Dimms ha effettuato una sorta di scalata, consacrata dai trend positivi del fatturato che dal 2013 al 2014 – dichiara – ha raggiunto un +50%.
Questi, comunque, sono solo una serie di risultati che scrivono la storia di una realtà che cresce e che avrà modo d’influenzare positivamente il territorio.

Comacchio, le varianti della discordia. No di Legambiente. E Michetti: “In riviera non cambia mai nulla”

2. SEGUE – I ritocchi al regolamento edilizio con cui sono state cancellate le differenze tra campeggi e villaggi turistici non convincono Davide Michetti, consigliere d’opposizione dell’Onda astenutosi dal voto durante il consiglio comunale, che ha visto l’approvazione delle varianti. Varianti – si è detto – utili ad adeguarsi alle indicazioni della Regione e che permettono di occupare fino al 100 per cento delle piazzole dei campeggi con case mobili e fisse. A lasciare Michetti maggiormente perplesso è però il passaggio sulla possibile nascita di nuove strutture, risolta con un rinvio alle norme attuative del Piano regolatore licenziato nel 2002.

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Davide Michetti, consigliere d’opposizione dell’Onda

“Per quanto riguarda i campeggi non mi sento di criticare l’obiettivo, alcuni sono già villaggi turistici e hanno bisogno di rispondere alle esigenze di maggior confort espresse dalla clientela – dice – diversa invece è la mia opinione sulla realizzazione di nuovi progetti al vaglio comunale. Ho molti dubbi sulle modalità di approvazione della delibera e sul cambio di destinazione d’uso di alcuni terreni, tra l’altro non si è tenuto conto delle particolarità del territorio e degli eventuali problemi che potrebbero insorgere mutandone la fisionomia”. Pensa agli allagamenti più frequenti in alcune zone che in altre, alla fragilità della costa aggredita dalle mareggiate, ai possibili strapazzi ambientali. Tutte cose, sostiene, da trattare in base a valutazioni tecniche e alla specificità delle singole situazioni.

“Sono temi dai quali non ci si può disimpegnare con leggerezza, invece la scelta politica dell’amministrazione sembra andare in un altro senso”, dice. Un pasticcio dunque? “Per fare un lavoro tecnicamente corretto si doveva mettere mano al Piano regolatore valutando richieste e osservazioni – continua – Il risultato delle risoluzioni prese si è tradotto in numerosi ricorsi contro le decisioni della giunta, io stesso ne avevo segnalato il rischio. Chi si è sentito penalizzato, non intende soprassedere e, per come stanno le cose, da imprenditore non me la sentirei di partire con nuove intraprese”. Motivo? “Se anche un solo ricorso dovesse andare a buon fine, le conseguenze potrebbero toccare gli imprenditori e lo stesso Comune, chiamandolo a risarcire l’eventuale torto con i soldi dei contribuenti”. Al di là degli ipotetici risvolti legali, quantificati finora in 11 ricorsi al Tar (Tribunale amministrativo regionale), Michetti stigmatizza altri aspetti della vicenda. “Per le esigenze turistiche della riviera è già sufficiente quanto abbiamo, non c’è bisogno di altri posti letto – dice – Miglioriamo, ampliamo l’esistente, ma ricordiamoci che i villaggi turistici esauriscono la spinta economica al loro interno con il rischio di far morire l’economia locale”.

Nei suoi ricordi il dibattito sui mali della riviera è sempre uguale a se stesso: “E’ la storia che si ripete, si è sempre parlato di conversione e rivalutazione di Comacchio per favorire il turismo, ma non la si è mai favorita veramente – dice – Vent’anni fa si è cominciato a trasformare gli alberghi in appartamenti, poi è arrivato il momento delle Rta (Residenza turistico alberghiera) e i risultati, anche in termini di ricadute occupazionali, non sono certo lusinghieri. Non è cambiato nulla, nemmeno gli attori con cui l’attuale sindaco fa promozione turistica. Fabbri dovrebbe riflettere sulla storia locale, su come si è arrivati fin qui, prima di prendere delle decisioni tanto importanti per la città e la riviera”.

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Gabriele Bellini, ex segretario Pd e consigliere comunale

La storia, anche la più recente, ha le sue chiavi di lettura: “Il problema è che non c’è mai stata una visione d’insieme né di media e lunga durata riferita Comacchio”, sottolinea Gabriele Bellini ex segretario del Pd e consigliere comunale. Uscito di proposito dalla scena politica nella quale, s’affretta a specificare, non è intenzionato a rientrare, avanza alcune riflessioni: “Le varianti con la mia impronta sono poche ed erano tutte orientate al contenimento della cementificazione. Il tentativo di procedere in questo senso era iniziato, purtroppo con risultati insoddisfacenti, tardivi e poco tangibili. Ci abbiamo provato e forse potevamo fare qualcosa di diverso, sono il primo ad ammetterlo – spiega – Tuttavia mi preme ricordare come Comacchio sia sempre stata una terra di conquista da parte del partito egemone che ne ha condizionato l’esistenza, mi riferisco al Pci fino ad arrivare al Pd”. Un esempio? “Se la Provincia toglie i vincoli sulle pinete, va da sé il verificarsi di quanto è accaduto e continua ad accadere. La visione esposta da Valter Zago, non è lontana dalla realtà (precedente intervista, ndr), a parole si dice una cosa poi se ne fa un’altra – continua – L’attuale amministrazione segue il solco della tradizione contrariamente a quanto aveva enunciato. Non sorprende, semmai delude chi aveva sperato in qualcosa di nuovo e diverso per Comacchio, ci sono però ancora due anni di tempo prima dello scadere della legislatura, volendo si possono mettere in campo diverse iniziative. Del resto la giunta Fabbri ha ereditato situazioni pregresse con le quali deve misurarsi e alle quali lo stesso Zago non può dirsi estraneo”.

Dalla micro dimensione alla macro, il passo è breve. “A voler guardare bene la situazione, si ha l’impressione che la Regione, una volta considerata all’avanguardia nell’intero Paese, abbia allargato i cordoni sulle tutele ambientali – precisa – In riviera ci sono luoghi che meritano un’attenta salvaguardia, così come la richiederebbe il Parco del Delta del Po. Al di là del Mab, che ci pone a fianco della parte veneta del Parco come riserva della biosfera, l’ente appare in disarmo. Oltre a mancare un direttore, è la sua missione a sembrare naufragata, si guarda molto alla burocrazia e non ai principi che ne hanno ispirato la creazione. Questa purtroppo, indipendentemente da chi amministra a livello locale, è la tendenza del momento. Si punta al business in nome dello sviluppo e dell’occupazione, ma si perde per strada la mission di salvaguardia e valorizzazione del territorio”.

“Ormai è chiaro non siamo gli unici a mettere in discussione le decisioni della giunta. I ricorsi ne sono la dimostrazione – dice Stefano Martini a nome del direttivo di Legambiente Delta Po – Dal nostro punto di vista le due delibere approvate a fine gennaio del 2014, con cui si dà mandato al sindaco di sottoscrivere con i privati gli accordi relativi alla Collinara e al Camping Village Comacchio (ex Elisea, ndr), non risponderebbero a condizioni e termini richiesti dallo stesso Consiglio comunale nel settembre del medesimo anno”. Perché? “Mancano alcuni elementi necessari e, soprattutto, non ci sono gli studi sulla sostenibilità economico-finanziaria degli interventi proposti – conclude – Non c’è neppure la corretta quantificazione dell’interesse pubblico e le garanzie indispensabili ad assicurarlo, sicché il tutto appare ampiamente deficitario”.

Leggi la prima parte

Nasce Periscope, il mondo in diretta streaming dal cellulare

Il suo ingresso nell’ampia scena dominata dal web e dai social network non è passato inosservato, poiché ormai tutto quello che sfonda in rete è destinato ad entrare prepotentemente nella nostra quotidianità: è quello che sta accadendo nelle ultime settimane con la nascita di Periscope, applicazione per smartphone creata da Joe Bernstein e Kayvon Beykpour e completamente interfacciata con la già ben nota Twitter.
Periscope sulla carta è “l’acqua calda”, niente di apparentemente rivoluzionario o mai visto prima dal punto di vista tecnico, poiché si avvale di una piattaforma sulla quale un utente può inserire un video che tutti gli altri utenti iscritti possono visualizzare. Nulla di sconvolgente, in un’epoca nella quale Skype e YouTube oramai sono conosciuti anche da chi un computer non lo ha mai preso in mano.

periscope-twitterQuello che però rende Periscope una vera e propria novità, forse destinata a padroneggiare il mercato di internet, come i pilastri appena citati, è la diretta simultanea, la possibilità ovvero di registrare con il proprio telefono qualsiasi cosa si desideri in qualsiasi momento della giornata e trasmetterlo in diretta streaming al mondo. Parallelamente, gli utenti possono visualizzare cosa sta trasmettendo in quel preciso istante chi si è scelto di seguire, ed interagire tramite il più classico servizio di messaggistica istantanea. Tutto molto più facile a farsi che a dirsi.
Ecco che paiono chiare le sue enormi potenzialità, applicabili in svariati settori: tutti oggi possiamo crearci la nostra personalissima televisione ed il nostro broadcast, dove il broadcast siamo noi stessi. Grazie alla già citata integrazione con Twitter, inoltre, il nostro profilo Periscope saprà chi già seguiamo in rete e cosa più ci interessa, facilitando così la ricerca delle dirette o addirittura permettendoci di venire avvisati con una notifica quando un nostro “follower” crea una diretta. E per non far mancare nulla, i video distribuiti in diretta possono anche essere registrati e resi disponibili per la visione in un secondo momento nelle 24 ore successive alla loro creazione.
Proprio su quest’ultimo punto sta la differenza con Meerkat, un’applicazione uscita un paio di mesi fa e molto simile a Periscope che, nonostante godesse di numerosi consensi, limitava la visione degli utenti alla mera diretta facendo scomparire il contenuto alla conclusione della stessa. Importante diviene infatti sottolineare che già da tempo esistono piattaforme in grado di offrire servizi analoghi a quelli che offre Periscope, su tutti Younow, Livestream e Ustream.

Le caratteristiche che rendono Periscope davvero un prodotto nuovo, e soprattutto pronto ad una rapida espansione, sono l’immediatezza e la freschezza: creare una diretta è tanto semplice quanto pubblicare un tweet o un post, come semplice è accedere ai numerosissimi contenuti e cercarne di diversi ogni secondo che passa. Possiamo passare così dalla visione di una conferenza stampa ad una persona che passeggia per le vie di una città, dal backstage di una trasmissione televisiva alla recita dello spettacolo di fine anno delle elementari. In Italia, personalità note al grande pubblico come Fiorello e Jovanotti hanno cominciato ad utilizzare Periscope già dal giorno della sua uscita (il 26 marzo scorso), quest’ultimo, attivissimo, più volte al giorno dialoga con il suo pubblico e mostra il dietro le quinte delle prove dall’interno degli studi di registrazione. Già attive sono inoltre tutte le principali testate giornalistiche e i giornalisti stessi, svariate case editrici, partiti politici, musei e trasmissioni televisive. Su Periscope sono state create dirette all’esterno del Tribunale di Milano durante le tragiche vicende del 9 aprile scorso, mentre a Ferrara risulta particolarmente attivo il Palazzo dei Diamanti, che in vista della prossima apertura della mostra “La rosa di fuoco” ha mostrato l’arrivo delle opere e tiene aggiornati gli interessati sulle ultime news.
Provando personalmente l’applicazione, tra i live non creati dagli utenti che già seguo, mi sono imbattuto in una ragazza che si spostava in lungo e in largo per Parigi, chiedendo ai suoi utenti che cosa volessero andare a visitare della capitale francese, e lei prontamente si spostava verso il luogo prescelto, a piedi o se necessario con i mezzi pubblici. Un’altra ragazza si riprendeva durante lo svolgimento dei suoi compiti scolastici, chiedendo informazioni e consigli agli utenti, mentre altre persone ancora cantavano canzoni su richiesta. Il tutto quasi sempre seguito già dall’inizio della diretta da non meno di un centinaio di utenti, che nel caso di live di personalità famose ovviamente aumentano in modo esponenziale. Numeri incredibili se si pensa che Periscope per adesso è disponibile solo per dispositivi Apple (a breve lo sbarco su Android).
Tutto insomma può essere ripreso e distribuito su Periscope, senza (per ora) alcun tipo di limitazione; uno dei pochi punti a sfavore probabilmente è la qualità del video, molto bassa e tutt’altro che professionale per ovvi motivi di fruizione e caricamento in rete.

Come è accaduto (e come continua ad accadere) per ogni nuovo prodotto di diffusione di massa sulFoto 15-04-15 18 14 48 web, l’iniziale entusiasmo per la novità si scontra presto con le preoccupazioni e i problemi che questa incontrollabile diffusione potrebbe provocare. Lo stesso Twitter in queste settimane sta cercando di rivedere i propri regolamenti, in modo tale da controllare maggiormente la pubblicazione dei contenuti e tutelare il più possibile i suoi utenti e la piattaforma stessa.
Periscope potrebbe divenire uno scomodo concorrente dei media tradizionali, basti pensare alla possibilità di riprendere un concerto, un film al cinema, una partita di calcio, ma anche un incredibile mezzo di diffusione libera e incontrollata di violenza, pornografia, illegalità, anonimato. Senza contare l’effetto “grande fratello”, sempre di grande attualità. Problemi già noti sul versante social network, settore nel quale anche Periscope si sta ritagliando il proprio spazio e che da anni divide la società in favorevoli e contrari, in chi ci vede il male del giorno d’oggi e in chi invece vede queste nuove tecnologie come una enorme possibilità per il futuro.
Ma al di là dei comprensibili dubbi circa la diffusione di Periscope, credo sia interessante analizzare questo nuovo prodotto tecnologico come un’opportunità, soprattutto per quanto riguarda un mondo, quello dell’informazione, in costante evoluzione e mutamento. L’informazione oggi non può prescindere dal web, piaccia o no, e servizi come Periscope, se utilizzati in maniera corretta, non possono che portare vantaggi e migliorie. Periscope incarna tutto ciò che l’utente medio del web di oggi richiede nella sua ricerca di informazioni: immediatezza, semplicità e soprattutto condivisione. Il mondo in costante diretta, quando e dove lo vogliamo, una nuova frontiera nel modo di fare giornalismo. La notizia, grazie a Periscope, può essere oggi diffusa con un tempismo, un realismo ed una diffusione (con tanto di interazione) spaventosi, e la stessa notizia può successivamente essere approfondita e condivisa in un modo inedito ed innovativo rispetto ai meccanismi classici della rete o i mass media tradizionali.
In un certo qual modo potrebbe giovarne anche la veridicità e la trasparenza delle fonti, grazie ad un contatto visivo diretto e riconoscibile (gli stessi profili ufficiali degli utenti popolari di Twitter vengono segnalati con una spunta azzurra) con chi sta dall’altra parte dello schermo e dell’ambiente che lo circonda mentre diffonde il proprio messaggio.

Certo è ancora molto presto per parlare di rivoluzione, il prodotto è ancora neonato e in fase di assoluta sperimentazione, sia tecnica che pratica. Appare chiaro tuttavia che Periscope, così come viene già teorizzato in questa sua fase quasi embrionale, è destinato a continuare a far parlare di sé e modificare molto, se non tutto, di quello che già abitualmente pratichiamo sulla rete. Molto più di una semplice moda passeggera.
La caccia ai cuoricini (così vengono segnalati sulla schermata della diretta tutti i nuovi “spettatori”), quindi, è ufficialmente aperta.

L’APPUNTAMENTO
Finanza, economia e bisogni reali: lunedì in biblioteca dibattito di Ferraraitalia sul mondo che va a rovescio

“Non c’è stata nessuna iniziativa concreta da parte dei governi per porre fine alle attività delle banche che hanno causato la crisi; anzi, ci sono le premesse perché la crisi finanziaria possa ritornare. Oggi, e malgrado il monito di quel che è successo, l’ammontare dei derivati è dell’ordine dei quadrilioni di dollari, cifre talmente grandi da essere inconcepibili. Comunque enormemente superiori alla somma dei Pil di tutti i Paesi. Nulla è stato fatto per rivedere le teorie economiche neoliberali. Nulla per riportare la finanza al servizio dell’economia”. E’ l’amara constatazione che il sociologo Luciano Gallino ha consegnato a Bruno Vigilio Turra nell’intervista recentemente pubblicata da Ferraraitalia [leggi].

Idealmente si può dire che partirà da qua la riflessione sulla finanza etica in programma lunedì prossimo, 20 aprile, alle 17 alla sala Agnelli della biblioteca comunale Ariostea, nell’ambito del ciclo di incontri “Chiavi di lettura, opinioni a confronto sull’attualità” organizzato dal nostro quotidiano e giunto al suo quarto appuntamento.
Di etica c’è davvero bisogno se la situazione è quella descritta da Gallino. E l’esperienza di ciascuno conferma la distanza siderale fra le logiche affaristiche degli operatori di mercato e i bisogni dei cittadini, ai quali in teoria la finanza e l’economia dovrebbero fornire soccorso. Fulcro della discussione che si svilupperà in biblioteca sarà la logica di sistema, mettendone a fuoco le degenerazioni. Il confronto sarà coordinato da Andrea Cirelli di Ferraraitalia e arricchito dal contributo del professor Lucio Poma del dipartimento di Economia dell’Università di Ferrara. Parteciperanno anche Demetrio Pedace in rappresentanza di Cassa padana [leggi la sua intervista], Simone Grillo di Banca etica e Valter Dondi direttore di Fondazione Unipolis.
E’ previsto uno spazio di dibattito con il pubblico presente in sala.

IL FATTO
Parcometro dinanzi agli stabilimenti balneari. Al Lido di Spina da oggi si paga

avviso-pagamento-spinaSgradita sorpresa questa mattina per i villeggianti del Lido di Spina che si sono trovati i parcometri per la sosta dinanzi agli stabilimenti balneari. Lasciare l’auto nelle aree antistanti ai bagni da oggi costa: 80 centesimi all’ora oppure quattro euro al giorno. Malcontento da parte degli automobilisti. Il provvedimento, pur annunciato, ha colto la maggior parte di loro impreparati a questa novità, non adeguatamente segnalata. Molte le lamentele, ma nessuna tregua. Gli ausiliari del traffico sono già in azione per multare gli inadempienti.
In tanti hanno protestato per la scarsa informazione preventiva. Ma più in generale la maggioranza considera iniqua questa imposizione, in aree di sosta che sono sempre state libere.

Dal comando della polizia municipale del Comune di Comacchio rispondono con cortesia ma affermano di non avere ricevuto segnalazione di particolari disagi e di non essere in grado di precisare quante contravvenzioni siano state elevate. Per ogni informazione rimandano al sito istituzionale del Comune. In home page si trova uno stringato comunicato che, sotto il titolo “Nuova viabilità per avvio progetto Parcheggi a pagamento”, in tre righe [leggi] riferische che “il 4 aprile prossimo prenderà avvio il progetto dei parcheggi a pagamento sui lidi di Comacchio ed entreranno in vigore alcune modifiche alla viabilità, tra le quali l’istituzione di alcuni sensi unici di marcia nei lidi Scacchi e Pomposa, come meglio esplicitato qui di seguito”; segue l’elenco delle vie interessate al provvedimento.
In fondo c’è un link al sito di “Comacchio parcheggi” [vedi]. Qui si legge l’avviso che riproduciamo accanto al testo. Titolo “Avviso inquietante”, poi l’inquietante “attention” rosso stile “wanted” e sotto anche in questo caso la misera spiegazione che riportiamo integralmente: “SI AVVISA CHE SABATO 11 APRILE al Lido di Spina inizia il pagamento della sosta. Si ricorda che a Lido di Volano sarà attivato dal 2016. Per info e abbonamenti, lo IAT del Lido degli Estensi è chiuso per lavori, rivolgersi a quello del Lido di Spina o di Porto Garibaldi. Scusate per il disagio. PER INDIRIZZI E ORARI DI APERTURA DEGLI SPORTELLI VISITARE LA SEZIONE SPORTELLO O CONTATTI. PER L’UBICAZIONE DEI PARCHEGGI CONSULTARE LA SEZIONE MAPPE. LE MAPPE SONO PURAMENTE INDICATIVE”.
Le mappe sono puramente indicative. Invece le multe sono reali.

IL FATTO
Un hacker spiega la violazione del sito di Ferrara Arte

Dopo la violazione del sito di Ferrara Arte di cui abbiamo dato notizia nei giorni scorsi [vedi], abbiamo contattato un hacker per capire meglio di cosa si è trattato.
La persona interpellata, usa lo pseudonimo Luther Blisset.
“Con la firma Sami ChiChirovo, ne hanno hackerati centinaia in tutto il mondo, tutti nello stesso modo – afferma – come si può vedere da un sito di supporto agli utilizzatori di WordPress [vedi], per questo appare una cosa da ragazzini.
Ce n’è un altro dove la schermata che appare dopo l’hackeraggio è la stessa, cambia solo la firma [vedi].

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hacker-isis

Si tratta di un attacco massivo che sfrutta delle vulnerabilità assai note dei sistemi WordPress. In questi casi è sufficiente scegliere un buon webmaster che tenga aggiornata la piattaforma.
Loro colpiscono a caso, dove trovano il problema tecnico che evidentemente è diffuso, è una cosa da “lamer” non da “hacker” per capirci.
E’ una roba di ragazzini che colpiscono usando degli script che cercano falle in WordPress, è solo un caso che sia toccato a Ferarra Arte”.

Ci sono anche hacker che si sono mobilitati per oscurare siti e profili dell’Isis, allora viene da chiedersi, esistono hacker buoni e hacker cattivi?
“Gli hacker buoni sono quelli che sanno fare le cose. Gli hacker cattivi quelli che non le sanno fare. Hacker è una forma d’arte, un modo di pensare alla tecnologia come qualcosa di plastico su cui mettere le mani come uno scultore, ma con lo scopo di trovare funzionamenti non previsti: è una sfida di intelligenza. Ognuno poi sceglie le sfide che ritiene valga la pena affrontare”.

Anche gli hacker che inneggiano all’Isis, spesso usano come simbolo la maschera del personaggio di V for Vendetta, normalmente associata agli Anonymous, individui che compiono azioni spesso illegali, ma in difesa della libertà di pensiero e di espressione. Cosa pensi dell’utilizzo di questa simbologia?
“Il logo di V per Vendetta non è Anonymous. Anonymous è contro ogni forma di copyright per questo usa un logo non suo. Quindi chiunque può usare quella maschera. In questo caso ci troviamo di fronte a qualche lamer che usa script già pronti solo per divertirsi. Non mi stupisce utilizzi anche un immaginario già pronto. Certo mi pare che non capisca quale sia il senso di quello che fa in nessuno dei due casi. La sensazione è che si usi anche il marchio Isis allo stesso modo. Solo per fare un po’ di scalpore. Colpa della stampa se ricevono un attenzione che nella comunità hacker non avrebbero in alcun modo”.

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Questo proliferare dell’hackeraggio a sfondo religioso come viene vissuto nel mondo hacker?
“Le fondamenta culturali dell’hacking sono occidentali e atee. Per questa ragione ogni sviluppo è aperto e condiviso. Se mettessimo barriere non saremmo più hacker. Direi che l’hacking di matrice religiosa nega le basi di questa apertura che vuole scavalcare ogni barriera, limite e confine. L’hacking di stato che sia americano, russo, nord coreano o di uno sedicente stato islamico è una contraddizione in termini”.

EVENTUALMENTE
I no del tempo presente

Cosa comporta ‘dire di no’ oggi, quale il significato, quali gli atteggiamenti odierni e quanto incidono su un mondo sempre più complesso e globalizzato. E che cosa è ‘oggi’, di cosa parliamo quando diciamo ‘presente’. Questi i temi centrali del seminario intitolato “I no del tempo presente” in programma sabato 11 aprile al Centro psicoanalitico di Bologna, in cui verrà presentata “Psiche”, rivista storica della Società psicoanalitica italiana, ora edita dal Mulino tra le nuove collane proposte (la casa editrice ha al suo attivo una settantina di riviste). Luisa Masina, psicoanalista, membro ordinario della Spi e relatrice del seminario ce ne parla così: “Psiche affonda le sue radici nella specificità del pensiero psicoanalitico, conserva il legame con la clinica e al contempo dialoga con le altre discipline, mostrando al lettore i molti volti possibili di uno stesso oggetto: quanti significati può avere la parola presente? A quante emozioni rimanda un no? Prendono vita, in tal modo, correlazioni inaspettate e nuovi pensieri.”

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Copertina di Psiche 1/2014 gennaio-giugno

Da qualche anno la Spi e tutti i centri affiliati stanno facendo passi da gigante nell’aprirsi e contaminarsi con le altre discipline, per inserirsi nel dibattito culturale contemporaneo e raggiungere il maggior numero di persone, addetti ai lavori e non. Il vivacissimo sito SpiWeb, di cui abbiamo già scritto [vedi], la rivista “Psiche” e i seminari aperti a tutti ne sono la conferma. Ricca di contributi diversificati che vanno dallo psicoanalista allo storico, dal critico d’arte all’architetto, e ancora dal musicista al filosofo, dall’antropologo al letterato, “Psiche” si rivolge ad un’ampia platea di lettori per i quali desidera essere uno strumento prezioso per l’analisi del tempo presente e delle sue trasformazioni, caratterizzandosi per l’attenzione agli aspetti psicologici della vita sociale.

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Copertina di Psiche 2/2014 luglio-dicembre

Infatti, oltre a proporre un approccio più prettamente psicoanalitico e filosofico, la rivista si pone anche sul piano dell’attualità riflettendo sulla portata dei nuovi movimenti globali di indignazione (Raffaele Laudani, storico), dialogando con Marco Scotini ideatore dell’Archivio della Disobbedienza, chiedendo ad un architetto se anche lui come professionista ‘dice no’ (Roberto Secchi, architetto), cosa significa per un artista dire no con la propria arte (Maria Chiara Ghia, architetto), passando poi ai ‘no che hanno fatto la storia’, come il rifiuto di Amartya Sen, Premio Nobel 1998 per l’Economia.

I seminari di Psiche, “I no del tempo presente
Sabato 11 apriledalle 10 alle 13
Centro psicoanalitico di Bologna
via C. Battisti 24 – Bologna
Per informazioni: psichered@mclink.it

Presentazione di MARCO MASTELLA
(psicoanalista con funzioni di training della Spi,
segretario scientifico del Centro psicoanalitico di Bologna)

Tavola rotonda
con la partecipazione di
LUISA MASINA
(psicoanalista, membro ordinario della Spi)
GIORGIO ZANETTI
(professore di Letteratura italiana contemporanea, Università di Modena e Reggio Emilia)
VALERIA BABINI
(professore di Storia della psicologia, Università di Bologna)
MAURIZIO BALSAMO
(psicoanalista con funzioni di training della Spi,
professore di Psicopatologia, Università Parigi 7, direttore di Psiche)

Per saperne di più sulla rivista Psiche [vedi].
Per saperne di più sulla Spi (Società psiconalitica italiana) [vedi].

LA SEGNALAZIONE
Le Sagre in Fiera: non solo gastronomia, ma sopravvivenza del territorio

Sabato e domenica la Fiera di Ferrara si trasformerà in una enorme cucina per ospitare il Salone nazionale delle sagre – Misen, che raccoglie le migliori sagre italiane.
In attesa di questo mega evento gastronomico, organizzato da Ferrara Fiere Congressi e dall’Associazione turistica sagre e dintorni, e che abbiamo già presentato sul nostro quotidiano [vedi], siamo andati a scovare la più antica sagra della nostra provincia e quella più recente, e abbiamo scoperto che sono nello stesso comune.
Di quali si tratta ve lo sveliamo tra un attimo, prima ci facciamo raccontare come si sono diffuse le sagre nel nostro territorio dalle parole di Loris Cattabriga, presidente dell’Associazione sagre e dintorni. “Le sagre si sviluppano soprattutto nelle piccole frazioni, per accogliere gli emigrati che ritornano a casa in occasione delle feste patronali, ma anche per tenere unita la comunità, e rafforzarla evitando proprio che si spopoli. Inoltre le sagre hanno preso vigore con la progressiva estinzione delle feste dell’Unità: venendo meno questo collante di tipo politico, sono rimasti gruppi di volontariato desiderosi di impegnarsi”.

La naturale confluenza di questi cittadini volonterosi di adoperarsi per il proprio paese è stata nella tante associazioni e proloco che animano la sessantina di sagre che si contano nella provincia di Ferrara. Quella che vanta le origini più antiche, come si diceva, è la Sagra dell’Anitra di Stellata. “Attraverso delle ricerche presso la canonica di Stellata – ci racconta Loris Calori dell’Arc Stellata ’97 che organizza la sagra – abbiamo visto che nel ‘500, quando è stata costruita la chiesa, si è iniziato a festeggiare la Madonna in piazza l’8 settembre. I signori locali assieme al clero, offrivano un pranzo ai poveri per sollevarli dalla miseria in quel giorno di festa. Questa tradizione è arrivata fino a noi trasformandosi in sagra, questa è la 556° edizione”.

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Perché l’anatra?
“Stellata un tempo era una zona paludosa e c’era pieno di anatre, la cui carne era abbondantemente consumata assieme a quella di maiale. La Sagra dell’Anitra quest’anno si tiene dal 3 al 13 settembre con un’anteprima il 2 per il Gran Galà dell’Anitra dove studenti e cuochi dell’istituto alberghiero Vergani reinterpreteranno le nostre ricette”.

In che modo la sagra interagisce con la comunità?
“Tutti quelli che lavorano alla sagra sono volontari, e con il ricavato da sei anni stiamo riuscendo a tenere in piedi la scuola materna. Offriamo il servizio di trasporto da Bondeno e il pasto del mezzogiorno, così abbiamo invogliato i genitori a mandare i bimbi a Stellata, ora sono una sessantina. In questo modo la nostra frazione, che si era ridotta a 500 abitanti, sta riprendendo vita”.

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Le sagre dunque non sono solo cibo e convivialità, ma anche un modo concreto per garantire la sopravvivenza delle comunità. Anche da un punto di vista economico, come dimostra l’ultima arrivata delle sagre ferraresi: la Sagra del tartufo di Bondeno, curiosamente confinante con quella dell’Anitra. “Rilanciando il tartufo delle nostre zone – ci spiega Mattia Bagnolati dell’Associazione Tartufai Bondeno Al Ramiol (che è il vanghetto usato per dissotterralo) – abbiamo rilanciato l’intero mercato che ci sta attorno”.

“Chi non conosce i tartufi delle anse del Panaro, detti tartufi della sabbiella, e chi non ne ha mai tartufato le taglietelle?” si chiedeva il Longhi nel secolo scorso.

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“Negli anni – spiegano i volontari dell’associazione – il tartufo si è sempre più radicato nella tradizione culinaria bondesana trovando in Enzo Tassi, proprietario dell’omonimo ristorante, un profondo conoscitore del tartufo di Bondeno. Purtroppo dal dopoguerra ai giorni nostri, le nostre campagne e golene hanno visto via via perdere quegli ambienti favorevoli alla crescita del tartufo perché l’agricoltura intensiva ha comportato il progressivo sradicamento degli alberi. Quindi quei cercatori che prendevano il treno a Bondeno, insieme ai loro cani, facendosi portare a Sermide per poi tornare a piedi per le campagne a cercar tartufi, hanno abbandonato l’attività di ricerca. Si è perso così un patrimonio storico culturale e anche economico che ha caratterizzato la storia di Bondeno per tanto tempo. Negli ultimi anni però, i racconti degli anziani e il rinvenimento di tartufi nei giardini di Bondeno hanno incuriosito e appassionato un gruppo di persone di varie età, riportando l’entusiasmo e l’interesse verso il tartufo”.

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foto di Lauro Casoni
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foto di Lauro Casoni
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foto di Lauro Casoni
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foto di Lauro Casoni

La Sagra del Tartufo quest’anno si terrà il 9, 10, 11, 16, 17 e 18 ottobre. In quei giorni verranno serviti piatti a base delle tipologie di tartufo rinvenibili da noi, che sono il tartufo bianco pregiato (Tuber Magnatum), il tartufo nero liscio (Tuber Macrosporum), il tartufo nero detto “invernale” (Tuber Brumale), il tartufo bianchetto (Tuber Albidum) e il tartufo nero “scorzone” (Tuber Aestivum).

Grazie ai proventi del ristorante, i volontari hanno piantato cinque ettari di alberi in area golenale, dedicando il bosco al loro socio scomparso Melara, detto Mel. “Un parte sono essenze autoctone per la produzione spontanea, mentre altre sono piante micorizzate. E’ un regalo al territorio che servirà a tenere viva la produzione di tartufo”.

La Sagra dell’anitra di Stellata e la Sagra del tartufo di Bondeno saranno entrambe presenti al Salone nazionale delle sagre, sarà bello gustare i loro assaggi facendosi raccontare le loro storie.

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IL FATTO
Oscurato il sito di Ferrara Arte da messaggi inneggianti all’Isis. Probabile goliardata

Un messaggio delirante che inneggia all’Isis. Preso di mira è il sito di Ferrara Arte, la Fondazione costituita dal Comune e dalla Provincia di Ferrara con lo scopo di organizzare mostre in collaborazione con le Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara.
Questo è il messaggio comparso per poco più di un giorno sul sito (www.ferraraarte.it). Il testo originale è in lingua inglese.

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Così si presentava la home page del sito www.ferraraarte.it

Hacked By SaMi ChiChirovo
The iSLamiC State is Coming inshallah!
I’m Muslim and I Love #ISIS
Fuck USA , Israel , Shiaa , and all who hate ISLAMIC STATE
Palestine will Be Free #inshallah
Greetz to : Poti_Sad_Dz / Le Prince Amir / Prodigy -Tn / MOodyPL / Moh Ooasiic / Zaki / My PC 😀

Hackerato da SaMi ChiChirovo.
Lo Stato Islamico sta arrivando se dio vuole!
Sono musulmano e amo l’Isis.
Vaff****** Usa, Israele, gli Sciiti e tutti quelli che odiano lo Stato Islamico.
La Palestina sarà libera se dio vuole.
Grazie a: Poti_Sad_Dz / Le Prince Amir / Prodigy -Tn / MOodyPL / Moh Ooasiic / Zaki / My PC 😀

Una scoperta inaspettata e inquietante fatta casualmente. Ma si tratta verosimilmente di una bravata. Si moltiplicano infatti in queste settimane i fenomeni di emulazione, sull’onda emotiva generata dall’allarme destato dalle azioni dell’Isis.
Durante una ricerca on line ci siamo trovati davanti a una pagina con sfondo nero, sulla quale campeggiava un fotomontaggio in bianco e nero. Si tratta della famosa immagine del fotografo di guerra ucraino Evgenij Chaldej, che immortala l’istante in cui un soldato dell’Armata Rossa issa la Bandiera dell’Unione Sovietica su una delle torri del Reichstag berlinese distrutto dai bombardamenti. In questo fotomontaggio i soldati hanno il capo fasciato e issano la bandiera dell’Isis, con la scritta “Non vi è altro Dio all’infuori di Allah e Muhammad è il Suo Messaggero”.

Il nome del presunto hacker, rimanda a tre pagine Facebook.
Un profilo aperto il primo aprile dove la foto di copertina reca la scritta: mangia, dormi, attacca, la vita di Sami ChiChirovo. Nella foto del profilo c’è un uomo con un passamontagna nero con lo stemma dell’Isis ed un fucile in spalla.

Un altro è quello di Sami Drif, che specifica di non essere un hacker, ma riporta la notizia degli ultimi attacchi hacker di questi giorni, tra cui uno simile a quello di Ferrara Arte.

Il terzo è quello di un gruppo chiuso che conta 1100 membri e porta il suo nome, e la cui foto di copertina reca la scritta: AnonGhost sotto ad un fotomontaggio di un volto metà teschio e metà maschera di Anonymous. L’amministratore del gruppo è proprio Sami Drif.

Può essere l’azione di un mitomane in cerca di visibilità, la bravata di un cervellone informatico, che per mostrare la sua abilità sceglie a caso siti che è facile sabotare al di là di quello che rappresentano, per poi vantarsene sui social network. E’ questa al momento l’ipotesi più accreditata.

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La scelta di pubblicare questa notizia non è stata compiuta con leggerezza. La decisione è stata attentamente soppesata, valutando quali sarebbero stati gli effetti, in un caso e nell’altro. C’è una responsabilità nel diffondere e una nell’omettere. E questo è il tipico caso in cui pro e contro si mescolano e si confondono.
Ma il fatto si è consumato in una pubblica piazza, sia pure virtuale: quella del web. Chiunque ha potuto o avrebbe potuto accorgersene. Tacere può essere inteso come segnale di paura. Riteniamo priva di qualsiasi implicazione e del tutto casuale la presenza di questo folle messaggio sul sito di Ferrara Arte, peraltro un sito frequentato più da addetti ai lavori che dal vasto pubblico. Ma se anche, per assurdo, fosse vero il contrario e il messaggio sottintendesse un’insidia o una minaccia, non è tacendo che la si sventa o la si depotenzia.
Le forze dell’ordine stanno indagando. Prevale l’idea che si tratti di una goliardata ad opera di personaggi in cerca di popolarità.
Ma i giornali hanno comunque il dovere di informare l’opinione pubblica nel rispetto del principio della libertà. Il clima che si sta creando a seguito delle efferatezze perpetrate da Isis e delle loro minacce va affrontato a testa alta. E senza paura. Come giustamente si sostiene quando ci si riferisce alla mafia, il silenzio è sempre un segnale di resa.
Il lettore ha il diritto di sapere e valutare in autonomia, senza censure preventive. E gli operatori dell’informazione hanno il dovere di salvaguardare questo diritto.

Campagna in città: guida a Ferrara nascosta

La trovi quando ti incammini un po’ fuori piazza Ariostea. I nomi delle strade, ghiaiose e sperdute dietro l’angolo del traffico ordinario, sembrano didascalie. Via delle Vigne, via delle Erbe. Quando cominci a entrarci, non puoi che andare avanti. Ed ecco che ci sei dentro: la campagna in città! Una specie di tunnel nel verde ti fa entrare per incanto in quei “post” favolosi che la gente pubblica su diari, blog e bacheche e che mostrano sentieri avvolti da alberi, fiori e fronde provenienti dai più disparati angoli del mondo. Questo tunnel di alberi, invece, è proprio qui, dietro una piana, tranquilla, asfaltata città padana.

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Alberi in fiore nel sottomura vicino a Terraviva a Ferrara (foto di Aldo Gessi)

A fare un po’ di chiarezza nella strana faccenda, arriva un cartello di legno inciso con una calligrafia libresca. Ai visitatori che, si sa, arriveranno stupiti e magari anche dubbiosi di avere infranto chissà quale magico o privato confine, viene spiegato che “questo raro brano di campagna all’interno delle mura cittadine è l’unico caso in Italia di uno spazio così ampio (quattro ettari) dedicato all’agricoltura”. Una campagna interna alla città, che fa parte del disegno rinascimentale di Biagio Rossetti e della sua famosa “addizione” del 1487. L’urbanista che ha fatto di Ferrara una città che – per l’Unesco – è un patrimonio dell’umanità e che l’ha resa la prima città moderna d’Europa, prevede una crescente estensione del verde con punto di partenza ideale dal Castello estense, su su verso la cinta muraria. E, il cartello, spiega e quantifica che grazie a ciò, ora, il verde della campagna di questa zona, che è la più ampia del genere, è stato preservato per oltre 500 anni.

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Cimitero ebraico di Ferrara con vista sulle Mura tra via delle Erbe e via delle Vigne (foto di Aldo Gessi)

La suggestione, dunque, non è frutto del caso, c’è un preciso disegno storico-architettonico dietro. Un progetto così antico e così moderno, se si pensa che poi nel secondo dopoguerra, nel pieno del boom delle costruzioni, il Comune di Ferrara si oppone all’edificazione di quest’area e la acquista per preservarla; l’amministrazione che compra della terra dentro la città per tenerla vuota, per mantenere un vuoto nel pieno.

Negli ultimi trent’anni questo pezzo di campagna cittadina ha sposato le tecniche dell’agricoltura biologica e biodinamica introdotte da Rudolf Steiner. La gestione con questo metodo di coltivazione comincia nel 1985 e a parlarne – quest’anno, che è anche occasione di celebrazione dei 30 anni – hanno contribuito una serie di incontri, organizzati nella biblioteca Ariostea. In collaborazione con l’associazione Nuova Terraviva i pomeriggi nella sala Agnelli della biblioteca cittadina dedicati a “Spiritualità pratica steineriana a Ferrara” che vanno ad arricchire il programma di incontri dello spazio culturale comunale. Terra e aria, parole e ossigeno, libri intorno a mani che lavorano sporche di erba, fango e pollini. Buona fuga.

Iran, il ritorno del gigante dell’Opec

A Losanna si è conclusa la prima fase di un compromesso che vuole chiudere un capitolo che ha condizionato pesantemente gli ultimi trent’anni di storia del Medioriente e le sue relazioni con i Paesi occidentali. Molti parlano di accordo storico, non solo per il forte impatto geopolitico, ma anche per le conseguenze economiche e sociali che si rifletterebbero sul contesto internazionale. Ci si riferisce all’accordo sulla negoziazione del programma nucleare della Repubblica iraniana, che passato un ulteriore step lo scorso 2 aprile, aspetta solo la chiusura, a giugno, con la preannunciata versione definitiva.

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Losanna (Svizzera), l’accordo sul nucleare iraniano

I punti chiave dell’intesa si baserebbero sulla limitazione all’arricchimento di uranio del 3,7 (percentuale usata a scopo civile), al fine di impedire che si ricavi il plutonio necessario per la costruzione della bomba atomica, in cambio della revoca da parte dei Paesi occidentali (rappresentati durante il negoziato dai cinque membri del consiglio di sicurezza dell’Onu con diritto di veto più uno) delle sanzioni di carattere economico che furono imposte all’Iran, una sorta di embargo.
Dunque, se l’obiettivo è che l’Iran fermi la corsa al riarmo nucleare, c’è da dire che questa possibilità non è del tutto congelata; il rischio che si tenti di eludere l’accordo o di acquisire maggior liquidità per finanziarne la produzione è comunque sorvegliato dai controllori dell’Aiea (Sezione nucleare delle Nazioni unite) che provvederanno ad ispezioni regolari ed autorizzate nelle centrali iraniane.
Tra le variabili di maggiore interesse, poi, il tempo rappresenta l’incognita cruciale, poiché si devono considerare sia i tempi tecnici che il superamento delle personalità ostili all’accordo.
In questo senso l’accordo rappresenta effettivamente una svolta, anche solo in riferimento al cambiamento che la presidenza americana ha messo in atto nei confronti dell’Iran, preferendo una strategia di ‘engagement’ rispetto all’isolamento o alla risposta militare per anni adottata (atteggiamento già messo in atto più volte nelle scelte politiche del presidente Obama, in riferimento per esempio al contesto della Birmania e allo scioglimento dell’embargo di Cuba).
A partire da un potenziale scambio per centinaia di miliardi con l’Unione europea, le conseguenze economiche di questo accordo possono avere ampia rilevanza: grazie al ritorno del gigante dell’Opec nelle interazioni commerciali, si parla di un possibile risveglio della dinamicità della finanza islamica e si preannunciano massicci investimenti provenienti dai magnati asiatici, interessati a finanziare il debito estero, data la garanzia che rappresenterebbe il potenziale del settore energetico di questo Paese.
Non è quindi il caso di affrontare l’intera questione sperando che il battito d’ali di una farfalla in Brasile basti a scatenare un tornado in Texas (citando il matematico Edward Norton Lorenz), consapevoli che l’impatto di questo tipo di questioni su tutto il contesto sia, ormai, molto più ampio in un’economia pienamente globalizzata.
Riflettendo, infine, sulle conseguenze sociali derivanti da questa intesa, si deve valutare anche lo scenario di riferimento, dove ci si imbatte in un intreccio tra conflitti religiosi difficili da sanare, inimicizie storiche e nuove cellule terroristiche di matrice estremista, ed in questo quadro occorre ricordare come l’economistaHirschman ebbe a sostenere che i lenti processi di cura degli interessi privati rappresentino, grazie al commercio, un potenziale fattore di civilizzazione delle relazioni umane: il dolce commercio che potrebbe sanare una guerra ormai esasperata.

Riscaldamento globale: 2014 caldissimo, soprattutto in Europa

di Riccardo Viselli

A dimostrarlo ci sono 134 anni di sistematiche e puntuali rilevazioni della temperatura registrate in una novantina di stazioni dislocate in tutto il mondo: l’aumento della temperatura è una tendenza globale e costante, un problema che interpella i governi di tutto il mondo.

In questo articolo si riportano i risultati delle analisi dei dati di 88 stazioni di misura delle temperatura della bassa atmosfera ubicate in America settentrionale (24), Europa (42), Asia (18), Africa (2) ed Oceania (2). La fonte dei dati è il Goddard Institute for space studies della Nasa e le stazioni considerate sono solamente quelle che hanno iniziato a registrare i dati nel quinquennio 1880-85, sono tuttora in funzione e mostrano interruzioni continuative non superiori a 20 anni. Ai dati delle stazioni che hanno iniziato a registrare i dati in aree rurali, oggi inglobate in un grande centro urbano, è stato necessario apportare una correzione che depurasse la temperatura dagli effetti locali (emissioni industriali e domestiche, traffico veicolare, consumi energetici che all’inizio del periodo di misura erano inesistenti) e gli algoritmi utilizzati, frutto di studi approfonditi, tengono essenzialmente conto della densità di popolazione e della sua variazione nel tempo: ne consegue che, laddove questo parametro è risultato costante, non viene effettuata alcuna correzione.*

Il periodo nel quale si sono concentrate le temperature massime è inequivocabilmente il quinquennio 2010-14 con quasi il 45% dei record termici seguito dal decennio 2000-2009 che raccoglie oltre il 25% dei record di caldo: questo dato merita una certa considerazione in ragione del fatto che circa il 70% delle stazioni ha fatto registrare il record positivo della serie negli ultimi quindici anni.

Di contro, la concentrazione degli anni più freddi si è distribuita nettamente nei primi decenni di misurazione (1880-89 con quasi il 30% delle stazioni e 1890-99 con oltre il 20%), anche se non è trascurabile il 15% registrato dal periodo 1940-49. Si evince, da questo primo parametro considerato, che i record termici negativi sono stati registrati all’inizio del periodo di misura considerato, mentre i record positivi nella parte terminale della serie temporale considerata.

L’anno più caldo, in accordo con quanto sopra riportato, è risultato nettamente il 2014, con oltre il 25% delle stazioni che hanno fatto registrare il record positivo in questa annualità seguito dal 2007 con oltre il 15%. Gli anni con più record negativi, invece, sono risultati il 1885 ed il 1888 con quasi l’8% delle stazioni che hanno fatto registrare il minimo termico in ciascuna di queste annualità. In nessun caso, è stato registrato il record termico negativo nel periodo che va dal 1986 al 2014.

Utilizzando il metodo della variazione della retta di interpolazione lineare emerge che nel 94% delle stazioni è stato registrato un aumento nel periodo 1880-2014, una percentuale che oggettivamente lascia pochi dubbi circa una tendenza al riscaldamento globale, confermato dal fatto che in solo il 2% delle stazioni è stata registrata una diminuzione. L’incremento termico medio è stato notevole e pari a 1,26 °C. Anche il calcolo con il metodo della variazione della media mobile trentennale conferma quanto evidenziato nel precedente paragrafo: nell’82% delle stazioni è stato rilevato un aumento ed in nessun caso una diminuzione e l’incremento termico medio è stato pari a 1,10 °C. Infine, anche il calcolo con il metodo della stazione unica virtuale conferma quanto sopra evidenziato: la variazione della media mobile trentennale della stazione unica è stata pari a +1,06 °C e la variazione della retta di interpolazione lineare è stata pari a +1,22 °C. Questo metodo evidenzia inoltre che, dopo la diminuzione continua registrata nel quadriennio 2007-2010, nel 2011 si è avuta una nettissima ripresa delle temperature. Nei prossimi anni sarà interessante verificare se la tendenza mostrata dal 2007 ed interrotta dal 2011 verrà ripresa.

E’ stata infine condotta una ulteriore analisi sulle sole stazioni ubicate in aree con popolazione inferiore a 300mila abitanti per verificare se le conclusioni a cui si è giunti considerando l’intero campione sono confermati. In questo caso il numero delle stazioni è pari a 40 e nessuna è ubicata in Africa. I risultati sono sostanzialmente identici: nel periodo 1880-2014 la variazione termometrica è comunque superiore al grado centigrado, la maggior parte dei record caldi sono stati registrati negli ultimi quindici anni (68% delle stazioni) e nel 48% delle stazioni la temperatura del 2014 è ubicata al di sotto del 5° percentile. Si può quindi concludere che la tendenza all’incremento termometrico non è verosimilmente riconducibile ad effetti locali dovuti alle “isole di calore urbane”.

* Occorre precisare che, per convenzione, si sono considerate in aumento le temperature delle stazioni in cui le variazioni sono state superiori a 0,30 °C, in diminuzione le temperature delle stazioni in cui le variazioni sono state inferiori a -0,30 °C e invariate le temperature in tutti gli altri casi. Per quantificare le variazioni delle temperature sono stati utilizzati tre metodi: variazione della media mobile trentennale, variazione della retta di interpolazione lineare e variazione nella stazione unica virtuale risultante dei dati delle 88 stazioni.

Com.bus: e i bambini decidono davvero come cambiare pezzi di città

Ricerca dei punti urbani critici da riqualificare, ascolto delle idee dei bambini come base per coinvolgere una platea più ampia, attività di mediazione tra cittadinanza e amministrazione. Sono questi gli ingredienti principali di Com.bus, un progetto di innovazione sociale attivo e diffuso su tutto il territorio del comune di Ferrara. L’idea nasce e si sviluppa attorno alla tesi di laurea di Giovanni Oliva, architetto ed esperto di marketing e comunicazione che, insieme alla collega esperta di progettazione partecipata Serena Maioli e all’educatrice Elena Maioli, compongono il nucleo operativo di Com.bus.
Abbiamo incontrato Serena a Pontelagoscuro, ai piedi della scalinata sull’argine che da via dell’Isola Bianca porta dritti al Po, per farci raccontare la realtà di Com.bus, le loro attività e la loro proposta di riqualificazione della stessa scalinata, storico luogo strategico per le vie commerciali del Grande Fiume.

2incontro4_baura (14)“Il progetto è iniziato a fine 2013 – racconta Serena – ha durata biennale ed è stato ammesso ad un finanziamento del Miur, ancora oggi non pervenuto. Nonostante questo dettaglio da non trascurare, ma data la necessità di realizzare gli obiettivi entro maggio, abbiamo deciso di metterci all’opera il prima possibile, avvalendoci anche dell’accordo d’intenti con i dipartimenti di Architettura e Studi umanistici di Unife”.
Per capire nel dettaglio come lavora e su quali principi si basa Com.bus, è necessario introdurre le due parti fondamentali che strutturano il progetto: il Metodo dell’Orecchio Acerbo (Moa) e il Communication Office for Municipalities (Com). Per quanto riguarda il Metodo dell’Orecchio Acerbo, Serena spiega essere “l’ascolto attivo dei bambini, coloro che in fin dei conti più di tutti sono ai margini delle scelte della cittadinanza. Partiamo quindi dalle richieste e dal punto di vista dei più piccoli per arrivare soprattutto alle famiglie e alle scuole, in modo da avere la giusta base dalla quale creare i progetti”; parallelamente, il modello denominato Communication Office for Municipalities viene descritto come “lo strumento grazie al quale cittadinanza e pubblica amministrazione possono riuscire a comunicare nel miglior modo possibile, l’occasione di conciliare le richieste e necessità dei primi con la modalità d’azione della seconda mediante un processo di forte inclusione sociale”.

Il fulcro centrale dell’operato di Com.bus sono dunque i bambini, che Serena definisce ‘spugne 2incontro7_villanovasociali’ proprio perché “i bambini sono in grado di ascoltare in maniera molto più fresca rispetto agli adulti, oltre al fatto che coinvolgerli in queste tematiche è spesso anche l’unico modo a disposizione per coinvolgere direttamente anche i più grandi. Tramite questo procedimento siamo riusciti ad ottenere campioni eterogenei per la nostra attività di ricerca”.
In questi due anni di lavori sono stati coinvolti gli alunni di quarta e quinta elementare di sette scuole sparse su tutto il Comune di Ferrara, dando particolare importanza soprattutto a quelle del forese proprio per la difficoltà di queste località nell’essere facilmente raggiungibili dall’amministrazione. “Durante il primo anno di lavori, ossia l’anno scolastico 2013-2014 per le scuole, siamo riusciti ad organizzare ben dodici incontri in ognuna delle nove classi coinvolte nel progetto – continua Serena – Durante gli incontri i bambini vengono stimolati a domandarsi e ad esplicitare come trovano l’ambiente urbano nel quale vivono, ad intraprendere indagini su questi ambienti e ripercorrere un po’ quella che è la loro storia e di come questa abbia cambiato nel tempo il loro ruolo”. Ad affiancare Serena nelle scuole è Elena, educatrice di formazione artistica. Sul campo, Serena mi racconta quanto sia importante “coinvolgere nel modo più costruttivo e adeguato possibile i bimbi circa le problematiche che vengono affrontate. Per questo motivo, la domanda che noi poniamo a loro non è mai ‘cosa vuoi fare in questo luogo’ ma ‘come pensi che possano essere cambiate le cose in questo posto’, concetto molto importante per fargli capire che non stiamo andando alla ricerca di quello che fa comodo solo a loro ma a qualcosa che possa essere utile per tutti”.
Terminati gli incontri di condivisione collettiva, sono stati infine raccolti numerosi dati utili ai ragazzi di Com.bus per individuare i luoghi che più di altri hanno la necessità di essere rivalutati e presi in considerazione.

bauracasostudio (4)Con il secondo anno di attività, i lavori sono passati dalla teoria alla pratica: con le classi quarte divenute nel frattempo quinte, il lavoro di Com.bus nelle scuole è continuato con la scelta dei luoghi individuati a termine dell’anno precedente e con l’impegno di attivare, in ognuno di questi, delle piccole sperimentazioni. “Abbiamo chiesto ai ragazzi di decidere collettivamente come agire su questi luoghi – afferma Serena – in modo da attuare una vera e propria progettazione da portare avanti insieme alle famiglie, ai vicini, ad altri soggetti e a tutte le persone della comunità che vorranno essere coinvolte”.
I progetti pensati sono stati condivisi in un insolito consiglio comunale, avvenuto il mese scorso, con protagonisti gli stessi ragazzi coinvolti nel progetto. “È stato un modo particolare ma significativo per mettere in luce quanto fatto in questi mesi – continua Serena – Raccontare in pubblico il lavoro svolto, rendere partecipe la cittadinanza delle sperimentazioni e far passare il messaggio che è necessario individuare le priorità partendo dal basso sono messaggi sicuramente importanti anche per la stessa amministrazione, la quale potrebbe trovare spunto da questo per definire una linea guida d’azione”. Per rendere il tutto davvero attuabile, sono stati anche aperti tavoli di confronto con l’Urban Center di Ferrara e con i diversi uffici coinvolti nelle sperimentazioni urbane e sociali.

Ma quali sono queste sperimentazioni? Iniziamo proprio da quella di Pontelagoscuro, sede della giàOLYMPUS DIGITAL CAMERA citata scalinata, dove Serena specifica che “l’obiettivo intrapreso con le classi delle scuole primarie di Ponte è tornare a far diventare questo luogo centrale come lo era un tempo, un desiderio nato dalla necessità di rivivere questo spazio oggi in disuso e spesso in preda alla sporcizia. Tutto si baserà – continua – sul colore e sulla pittura di murales che riporteranno lungo tutta la scalinata delle onde che, tramite una gradazione di blu, passano dai colori più attuali del Po a un utopico turchese, ovvero il colore del fiume di un tempo, mentre da un lato verranno disegnate le vecchie barche e dall’altro le più moderne biciclette a significare l’importante rapporto tra passato e presente”.
Nel raccontarmi il procedimento di ideazione di questo progetto, anticipato ovviamente da dibattiti ed indagini storiche condotte dai bambini, è emersa l’importanza del lavoro che Com.bus affida a questi ultimi poiché Serena mi confida che “in origine l’idea della centralità del colore e soprattutto delle onde ci convinceva poco, ma dopo aver valutato attentamente quello che davvero volevano esprimere i bambini, ovvero l’importanza primaria del Po in questo luogo, ci siamo subito ricreduti”.

onda ponteOltre alla scalinata, le altre sperimentazioni avviate da Com.bus le troviamo in viale Krasnodar dove è prevista la costruzione di una pavimentazione a scacchiera in una piazza nella quale riprodurre un grande gioco urbano gigante, mentre a Cocomaro di Focomorto verrà ridisegnato il parco sul canale che comprenderà l’attrezzatura di luoghi “morbidi” per i bambini con più difficoltà. E ancora, a Quartesana, verrà costruito un giardino sensoriale nell’area dietro la piazza, a Villanova avverrà la sistemazione di una vecchia biglietteria oggi destinata a diventare un luogo di scambio libri, mentre nel quartiere Giardino è stato ideato un piano sia educativo che pratico su come riqualificare il parco di piazzale Giordano Bruno.
Insomma tanti interessantissimi progetti in ballo, alcuni sviluppati da richieste pervenute, altri pianificati ex-novo tramite un preciso piano d’azione.

In conclusione, non ci resta che attendere un mesetto per vedere i primi segni concreti di quello che Com.bus ha avviato un paio d’anni fa. Un progetto di studio tanto complicato e ambizioso quanto affascinante, ma anche un nobilissimo intento, che comprende un numero di potenziali utenti vastissimo ma che al contempo si basa, prima di tutto, sulle esigenze dei bambini. Abbiamo davvero bisogno di “facilitatori che fanno di diffusione e ascolto le loro priorità” come si definiscono i ragazzi di Com.bus, per ricordarci che è ancora possibile e soprattutto necessario unire le forze e prenderci cura dei nostri luoghi e dei nostri spazi. Farlo significa prima di tutto portare rispetto alla nostra storia e alla nostra cultura, proprio come Serena, Elena e Giovanni insegnano ai più piccoli, ma significa anche partecipare attivamente, dimostrare che ci siamo, che siamo presenti e che non vogliamo escluderci dalla gestione di quelle che per noi sono cose fondamentali e spesso ce ne dimentichiamo: i nostri quartieri, il nostro territorio, la nostra terra.

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Angeli caduti e abissi dell’inconscio

Lo skyline newyorkese illuminato dai colori puri delle luci elettriche potrebbe far pensare all’apologia trionfalistica della contemporaneità dei futuristi o all’esaltazione positivista dei ruggenti anni Venti. Poi si legge il titolo: “Il demone della modernità. Pittori visionari all’alba del secolo breve”. Ed ecco farsi strada quella sensazione di straniamento e di inquietudine che forse vi accompagnerà per tutta la visita alla mostra di Palazzo Roverella di Rovigo, curata da Giandomenico Romanelli – a cui la Fondazione della Cassa di risparmio di Padova e Rovigo aveva già affidato lo scorso anno “L’ossessione nordica” – con Franca Lugato e Alessia Vedova.

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Sascha Schneider, Grido di guerra, 1921

Ad essere esposto è un mondo fra due mondi, a cavallo fra Ottocento e Novecento, con artisti che presagiscono e poi raffigurano l’inutile strage che attende l’umanità appena oltrepassata la soglia del nuovo secolo. Ci si muove in un terreno accidentato, nel tentativo di capire cosa riserva l’insorgere di questa modernità che sembra incombere necessaria. Segni, presagi, indizi, nessuna strada sicura ancora tracciata, mentre dietro ci si lascia i simboli, cristiani e pagani, delle età passate che non sembrano più essere utili per orientarsi in questi nuovi territori.

Sei sezioni tematiche – Sotto il segno di Lucifero, Luoghi dell’illuminazione e Ziggurat dell’anima, Angeli demoni. Sogni incubi visioni, il Trionfo delle tenebre verso l’Olocausto mondiale, Altre metamorfosi e Luci(fero) tra i grattacieli – per esplorare questi nuovi territori della coscienza, tentando di non cadere negli oscuri baratri dell’inconscio. Fin dall’inizio non c’è nulla di definito: le creature fantastiche e oniriche di Odilon Redon e la “Salomè danzante” di Moreau accolgono i visitatori senza svelarsi fino in fondo, in loro c’è qualcosa di seducente quanto di sempre sfuggente.

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Franz von Stuck, ‘Lucifero’, 1889-1890

Così anche le sei incisioni del ciclo “Opus III” di Klinger, che alternano visioni dei progenitori biblici a visioni del futuro la cui interpretazione è lasciata in toto a chi guarda. Sono gli ultimi decadenti e sensuali contorcimenti del vecchio mondo arrivato ormai alla sua fine, osservati e dominati dagli occhi di bragia del “Lucifero” di Franz von Stuck, seduto come il Pensatore di Rodin, quasi sgomento di fronte a ciò di cui l’umanità sembra essere capace.

Le seconda sezione è una galleria di scorci di questo universo conteso, fra la fine delle certezze arcaiche e il precipitoso avvicendarsi della modernità. Si parte dall’osservazione della natura, ma ciò che vediamo non ha nulla del lirismo dei Romantici: il buio dell’inconscio è squarciato da violenti effetti luministici che hanno tutta l’artificiosità della dimensione interiore e l’artificialità delle nuove luci elettriche.

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Gabriel Jurkic, ‘La via verso l’eternità’, 1918

Sulla strada si incontrano angeli della tradizione occidentale e orientale, ma anch’essi sono spaesati e sembrano non essere più capaci di sostenere il ruolo di portatori di speranza: su una scalinata durante un rito di offerta, sulla cima di una montagna o su una spiaggia a scrutare l’orizzonte, oppure sulla soglia della via per l’eternità, ma a capo chino, come a non volersi più assumere questa responsabilità.

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Mikalojus Konstantinas Čiurlionis, Fantasy (The demon), 1909

La denuncia delle storture e delle ipocrisie della società borghese del ciclo “Opus VIII-Una vita” di Klinger è il preludio alle opere della sezione dedicata al presentimento del Primo conflitto mondiale: i lugubri tarocchi di Martini, raffiguranti la macabra danza delle potenze europee, e poi visioni di Apocalissi e angeli giganteschi che suonano le trombe del Giudizio Universale, mentre un barbuto e muscoloso Lucifero dalle possenti e affascinanti ali nere sogghigna trionfante guardando un Cristo, la cui corona di spine sembra poter pungere anche chi la sta guardando.
Ed ecco la fine del cammino: gli anni Venti e Trenta. C’è ancora spazio per l’inquietudine, ma viene letta con ironia e leggerezza o a tratti con malinconia. Ormai la strada è stata tracciata, anche se sopra i cadaveri nelle trincee: è quella del progresso, dell’industria, del futuro luminoso e dinamico. Luminoso e dinamico come le strade e i grattacieli di New York, che ormai ha strappato a Parigi il primato di città della luce.

Una mostra suggestiva e potente questa di Palazzo Roverella, aperta fino al 14 giugno, uno sguardo particolare e per nulla scontato, una rassegna sugli interrogativi sinistri che animavano gli uomini del secolo scorso, trasmessi come per osmosi ai visitatori di oggi. E viene da chiedersi se in realtà non siano gli stessi cupi demoni e inquietudini che animano anche i nostri quotidiani.

Per saperne di più visita il sito della mostra [vedi].