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Tristi ma non sconsolati. Si riparte dalla ‘questione ecologista’

Esiste una bellissima frase di un bravo, anche non molto conosciuto scrittore tedesco, Johannes Kühn: “Ganz ungetröstet bin ich nicht”. Vuol dire: “Sono triste ma non totalmente sconsolato”.
Vale anche  per le elezioni di Ferrara, la città che ho scelto come seconda patria. La Lega ha vinto questa tornata elettorale senza se e senza ma, come ha scritto giustamente Fiorenzo Baratelli su questa testata (leggi QUI). Devo dire, grazie a Dio o, come più si addice a un laico, grazie all’elettorato democratico è stato un risultato chiarissimo che non lascia spazio per qualsiasi scusa. Così esiste finalmente una possibilità di cogliere un ‘momento storico’ per ricominciare e far nascere una ‘sinistra nuova’: più giovane, più aperta, meno chiusa in se stessa, meno ‘arrogante’ – “noi siamo i buoni sempre parte del mondo migliore, loro i cattivi che pensano solo alla sua pancia” – più ‘ecologica’, come peresempio in Germania con l’avanzata dei Verdi.

Un po di questo ‘Rinascimento civile’, senza i riferimenti dogmatici, l’ho sentito personalmente anche in occasione dei alcuni incontri del Terzo polo di Ferrara. Certo il risultato del voto ferrarese è molto deludente, quasi un incubo, certo un brusco risveglio come ha scritto Francesco Monini su Ferraraitalia (leggi QUI-link), ma per un democratico è da accettare. Una realtà politicamente nuova di sicuro apre anche un momento da non perdere per creare qualcosa di nuovo: un progresso di una città con tantissime risorse di passione civile.

La Lega, secondo me, vuole difendere solo un sogno di un passato che non c’è più e un’idea di società ormai anacronistica. Curare solo il proprio giardino, pensare solo e prima di tutto ai connazionali ‘di sangue’ sono concetti senza futuro in un mondo che cambia velocemente e nel quale è spesso molto difficile capire in quale direzione ci porta la ‘globalizzazione’.

Devo dire che all’inizio non sono stato un grande fan delle manifestazioni Fridays for Future perché mi sembravano un po’ troppo naiv e anche sponsorizzate da una grande macchina mediatica (e dalla famiglia di Greta ecc.). Dopo la grande vittoria dei Verdi in Germania (e non solo) ho cambiato il mio giudizio. Oggi ogni tipo di politica deve avere al suo nucleo la ‘questione ecologica’.  Parafrasando il famoso slogan di Trump e di Salvini: “Il mondo prima di tutto”. Così si può difendere il proprio territorio: ‘regionalismo’ sì, ma in un altro modo.
Come ha detto una volta Pier Paolo Pasolini parlando del regionalismo di Giorgio Bassani – che diventa nei tempi della Lega sempre più importante da conoscere – “Abbiamo bisogno di un regionalismo estremamente moderno, ovvero un regionalismo civile e non popolare”. Forse un bel punto di partenza dopo il deludente voto ferrarese.
Morale: sono molto triste per il voto ferrarese, ma non totalmente sconsolato…

Save the Children : “dolore per la morte di un bambino di 5 anni, primo caso in Uganda”

Da: Save the Children
Ebola: Save the Children, dolore per la morte di un bambino di 5 anni, primo caso in Uganda. In 24 ore sono già tre i casi confermati. Stigma e disinformazione tra le principali cause di diffusione della malattia

Save the Children esprime profondo dolore alla notizia della morte del bambino di cinque anni a cui era appena stata diagnosticata l’Ebola in Uganda. Il bambino era il primo caso di Ebola confermato nel Paese, era stato isolato e aveva cominciato la procedura per il trattamento, ma non è stato possibile salvarlo. Nelle ultime 24 ore altri due casi sono stati confermati, portando a 3 il numero totale in Uganda.

“L’Ebola è una terribile malattia che sconvolge il corpo umano, provocando gravi sintomi, come il vomito di sangue. Siamo particolarmente preoccupati per lo stigma che continua a esistere in alcune comunità, che può ostacolare gli sforzi delle equipe sanitarie e far sì che la malattia si diffonda più rapidamente. La disinformazione e la sfiducia delle comunità riguardo all’Ebola è un fattore importante nella sua diffusione nella Repubblica Democratica del Congo e stiamo sollecitando i donatori e i governi a investire di più nelle attività di prevenzione a livello di comunità in Uganda”, afferma Brechtje van Lith, direttore di Save the Children in Uganda.

In risposta a questi primi casi di Ebola in Uganda, Save the Children – l’Organizzazione internazionale che da 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro – sta incrementando le attività di prevenzione già in corso, incluse le sessioni di sensibilizzazione e mobilitazione delle comunità e la formazione dei team sanitari dei villaggi. Finora nella confinante Repubblica Democratica del Congo orientale sono stati segnalati più di 2.000 casi – tra cui centinaia di bambini – e sono aumentate le paure di un contagio oltre confine.

L’Uganda occidentale sta facendo fronte a un forte afflusso di rifugiati congolesi, quasi 20.000 finora solo quest’anno e oltre 300.000 in totale. Il mese scorso Save the Children e altre 17 organizzazioni umanitarie hanno lanciato l’allarme sul crescente rischio di diffusione dell’Ebola a causa di un giro di vite che limita la fuga delle persone dalla violenza nella Repubblica Democratica del Congo orientale verso l’Uganda. Di conseguenza, molti hanno evitato i punti di confine ufficiali e attraversato le foreste o il lago Albert. È fondamentale che i rifugiati e gli altri civili possano attraversare legalmente e trovare adeguata assistenza ai punti di frontiera ufficiali.

Nell’ultimo anno Save the Children ha lavorato con le comunità locali dell’Uganda occidentale per aiutare a mitigare la diffusione dell’epidemia. L’Organizzazione ha formato più di 1.000 operatori sanitari, volontari, insegnanti, squadre sanitarie dei villaggi e personale di laboratorio ugandese per prevenire e rispondere ai casi; ha fornito i materiali principali per il controllo e la prevenzione delle infezioni nelle strutture sanitarie e nei punti di ingresso e installato strutture per lavare le mani nelle comunità rurali al fine di ridurre il rischio. Nel caso di ulteriore diffusione della malattia in Uganda, Save the Children è pronta a garantire una protezione ai bambini in situazioni critiche e servizi psicosociali per i minori e le famiglie colpite dall’Ebola.

Da: Save the Children

A Ferrara il suicidio di un Pd che ha perso contatto con la realtà

di Nicola Cavallini

Parto da Ferrara. Stavolta il Pd poteva schierare anche l’Uomo Ragno, e avrebbe perso lo stesso. Stavolta la Lega poteva schierare anche Naomo, e avrebbe vinto lo stesso. Ah, c’era Naomo. Appunto. Ha vinto.
A poco è servito l’ultimo roadshow di un onnipresente Modonesi,novello Zelig. Il Pd ha perso perché si è suicidato a Ferrara. Al ducetto toscano è bastato tirare appena il guinzaglio per indocilire una già mansueta pattuglia di parlamentari ferraresi, il cui grado di fedeltà al capo di turno è canino. Guai a muovere un dito, guai ad alzare un sopracciglio per difendere non la banca, ma i risparmi dei propri compaesani, quelli che li avevano mandati a Roma. Trentamila famiglie azzerate, tipo un quinto del bacino elettorale della Provincia. Alle ultime politiche il mitico Franceschini ha avuto meno preferenze di un semisconosciuto 5stelle, ed è stato ripescato con il proporzionale. Impensabile fino a qualche anno fa, eppure è accaduto. Quindi questa è una sconfitta annunciata e tafazziana, a dispetto di un Sindaco che ce l’ha messa tutta ma è stato isolato dal suo stesso partito, fatto di mezze figure e che Ilaria Baraldi non poteva certo risollevare in qualche mese (anche se un candidato sindaco discontinuo si doveva trovare, ma il guinzaglino del Regionale ha dettato la linea, prendendo l’ennesimo granchio).
Passo alla nazione, quella che non siamo: noi siamo un insieme di famiglie, alcune delle quali controllano il territorio e l’economia. Non parteciperò al coro autoriferito e troppo comodo che si indigna sui social per il nuovo fascismo dei brutti, sporchi e cattivi. Noi siamo belli? Può darsi che siamo troppo belli, che siamo dei fighetti, e che qualcuno che friggeva pinzini ai festival adesso si senta più a suo agio tra i finti celti della Burana. Noi siamo puliti? Forse troppo, perché a forza di stare in un posto pulito, illuminato bene, poi in un caffè come quello del racconto di Hemingway così intitolato è più credibile trovarci un Alan Fabbri(e chi non l’ha capita vada a leggersi il racconto). Siamo buoni? No, siamo tremendi. Siamo settari, perpetuiamo faide sanguinose coi nostri compagni e il nostro settarismo non è duro, puro, ideale, macché, serve solo a ritagliarsi uno spazio di piccolo, tapino, miserevole potere. Parliamo sempre delle masse popolari e a forza di parlarne le abbiamo perse. Alcuni di noi sono più colti, più formati, e questa è una aggravante. Le masse sono moltitudini di singoli individui. Credo che alcuni di noi – non i migliori, che sono spesso i più sommessi – dovrebbero riavvicinarsi alle loro mitiche masse partendo da una severa analisi di come sono loro, di che individui sono.

Save the Children : almeno 20 bambini uccisi nell’attacco di Sobanou-Kou

Da: Save the Children
Save the Children, almeno 20 bambini uccisi nell’attacco al villaggio di Sobanou-Kou.
I corpi carbonizzati dei minori trovati nelle case date alle fiamme

Almeno 20 bambini sono stati uccisi nel terribile attacco di ieri nel villaggio di Sobanou-Kou, nel Mali centrale, nel quale hanno perso la vita circa 95 persone. I corpi carbonizzati di alcuni dei minori sono stati ritrovati nelle loro case date alle fiamme, rende noto Save the Children, che chiede una indagine indipendente che faccia luce sugli attacchi e che sia in grado di assicurare alla giustizia i responsabili dell’uccisione e delle violenze nei confronti dei bambini e delle loro famiglie.

Secondo Save the Children – l’Organizzazione internazionale che da 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro – il massacro di ieri è solo l’ultimo caso di violenze in corso nella regione e a subirne le conseguenze maggiori sono soprattutto i bambini. A causa dell’insicurezza, infatti, 935 scuole sono state chiuse e circa 250.000 bambini, nel nord e nel centro del Paese, non possono andare a scuola.

“Ancora una volta, i bambini e le loro famiglie perdono la vita a causa degli attacchi che dall’inizio dell’anno stanno colpendo diverse comunità. Questa strage è avvenuta di sera, quando le persone si trovavano nelle loro abitazioni sulle colline. Gli assalitori hanno dato fuoco alle case mentre le famiglie erano dentro, le persone e il bestiame sono stati massacrati e all’interno delle abitazioni sono stati ritrovati i corpi carbonizzati di bambini innocenti”, ha raccontato Amavi Akpamagbo, Direttore di Save the Children in Mali.

“I dettagli dell’attacco non sono ancora noti del tutto, quindi non sappiamo esattamente cosa sia successo ai sopravvissuti, molti dei quali risultano ancora dispersi. I bambini potrebbero essere stati rapiti o sono scomparsi. Molti di quelli che sono sopravvissuti potrebbero avere visto i loro cari ammazzati davanti ai loro occhi. Tutto questo è inaccettabile, i bambini devono essere protetti sempre e comunque ed è fondamentale che ricevano il prima possibile gli aiuti di cui hanno bisogno e il supporto per riprendersi da questa terribile esperienza. Chiediamo inoltre alle autorità e alla comunità internazionale di agire con tempestività per garantire la sicurezza nella regione e fare in modo che i minori colpiti dalle violenze nel Mali centrale e settentrionale possano tornare a vivere in pace”, ha proseguito Amavi Akpamagbo

Save the Children, attraverso i propri partner locali, è già al lavoro per raggiungere i bambini e le loro famiglie sopravvissuti a questa tragedia e garantire loro tutto il supporto che necessitano per superare il trauma subito, come già avvenuto in seguito a un attacco simile avvenuto nel marzo 2019 a Ogossagou.

Da: Save the Children

Le responsabilità della sconfitta

La vittoria della Lega a Ferrara è netta. La sconfitta del centro-sinistra è pesante. Il significato simbolico di questo esito ferrarese assume giustamente un valore nazionale. La batosta di ieri segna il culmine di una catena di sconfitte subite dal centro-sinistra in molti comuni ferraresi negli anni scorsi. A ciò si aggiunge la clamorosa sconfitta di Dario Franceschini nelle elezioni del 4 marzo 2018 nel confronto diretto con una mediocre e anonima candidata leghista. A fronte di questi segnali inequivocabili di crisi profonda dell’identità culturale, politica, programmatica e organizzativa del maggior partito della sinistra ferrarese, il suo gruppo dirigente ha sempre evitato un’analisi seria delle ragioni delle sconfitte, rimuovendo i ‘fatti’ e perpetuando se stesso. Adesso basta!

La vittoria della destra a Ferrara è evento troppo pesante e traumatico per archiviarlo senza trarne le rigorose conseguenze. Nel merito, poche osservazioni…
1) Sarebbe errore grave attribuire la sconfitta ferrarese alla tendenza nazionale, perché questa ‘causa’ è smentita da ottimi risultati ottenuti sia in Emilia-Romagna (la netta vittoria del candidato del centro-sinistra a Reggio Emilia e la vittoria a Modena nel primo turno), sia in altri ballottaggi tenutesi domenica dove la Lega non ha stravinto (sette a sei).
2) E’ sulle responsabilità locali che bisogna concentrare l’analisi. Come culmine di una sequela di errori compiuti da chi ha diretto il Pd negli anni scorsi va considerato la scelta di un candidato sindaco vissuto come perdente fin dall’inizio. Da parte mia non è in discussione il valore di amministratore di Aldo Modonesi, ma la sua immagine di ‘continuità’ con un passato che una parte larga di opinione pubblica chiedeva di interrompere con una forte discontinuità di programma e di leadership. Non c’è dubbio che durante la campagna elettorale il candidato del centro-sinistra abbia compiuto uno sforzo di innovazione sul piano programmatico, ma la sua immagine ‘vecchia’ e in assoluta continuità con una classe dirigente che monopolizza la rappresentanza del Pd ferrarese da troppi anni ha annullato ogni possibile impatto positivo delle proposte nuove.
3) La domanda che viene spontanea è evidente: esisteva la possibilità di proporre alla città una candidatura diversa e vincente? Sì, esisteva… E c’è chi l’aveva segnalata per tempo sia nel dibattito interno al Pd, sia nel campo largo e plurale della coalizione del centro-sinistra. Quindi si poteva vincere, come è accaduto in altre città emiliane e nel Paese. E’ questa convinzione che rende più dolorosa e bruciante la sconfitta subita.

E ora, che fare? Intanto, non va demonizzato l’elettorato che ha eletto il nuovo sindaco. Quando si perde in modo così netto, bisogna fare i conti con i propri errori, senza inventarsi alibi di nessun tipo. Abbiamo bisogno di un severo esame a raggio largo, non di ripiegamenti lamentosi e vittimistici. Ritengo che le condizioni per risalire dal buco nero in cui siamo caduti ci siano. A patto che il Pd ferrarese archivi autosufficienza e chiusura in se stesso del gruppo dirigente. C’è bisogno di organizzare una grande e capillare discussione che coinvolga le fresche risorse umane messe in campo con generosità dalle liste civiche che hanno sostenuto Modonesi nel ballottaggio. E, più in generale, rendere permanente il rapporto con la cultura e il vario e plurale associazionismo democratico per capire meglio i grandi cambiamenti in corso nella società civile e per riqualificare la presenza di un nuovo centro-sinistra come unica alternativa etico-politica alla Lega nello spazio pubblico. In conclusione… Ciò che è avvenuto non è la fine del mondo, ma l’esito normale della democrazia. E come deve avvenire in democrazia, da qui bisogna ripartire…

Rispettare il voto

È la prima regola della democrazia: rispettare il voto. Alan Fabbri è il nuovo sindaco di Ferrara, la Lega e i suoi alleati hanno vinto le elezioni e amministreranno il Comune di Ferrara per i prossimi cinque anni. Piaccia o non piaccia l’esito delle urne, il dovere di tutti è accettare il risultato. Dare atto, prendere atto. Riconoscere la vittoria dell’avversario da parte dello sconfitto; assumere consapevolezza dei doveri (oltre che dei diritti) e svolgere con equilibrio le funzioni di governo da parte del vincitore, trattando amici e avversari alla stessa maniera.

La democrazia si fonda su questo presupposto: il riconoscimento della dignità dell’altro, anche nella divergenza, quando professa idee o propone soluzioni non gradite. Ma deve esserci reciprocità fra gli attori sociali: da parte degli sconfitti nel riconoscere il legittimo diritto dei vincitori di governare e sviluppare i propri programmi; e simmetricamente il dovere, da parte di chi ‘pro tempore’ assume la conduzione della casa comune, di considerare anche esigenze e diritti di coloro che dissentono, tutelando sempre la libertà di azione e di espressione di tutti.

Nelle prossime ore e nei prossimi giorni, svilupperemo e approfondiremo a trecentosessanta gradi l’analisi sul voto, sui suoi presupposti e le sue conseguenze

DIARIO IN PUBBLICO
Le mani, i gesti, gli eventi nella città delle 100 meraviglie

Ho resistito fino all’ultimo, ma non ce l’ho fatta! E penso alla faccia dell’ottimo direttore, Sergio Gessi, che con aria fatalistica sarà costretto a pubblicare il mio pezzullo quando ormai le jeux sont faits, dopo le 23 di domenica.

Questa volta partiamo dal movimento delle mani evidentissimo in tutte le trasmissioni o nelle informazioni social.
Salvini le congiunge in atto di preghiera secondo quella mistica del rosario che ha fatto furore in questi ultimi giorni.
Di Maio le strofina come se le lavasse. Probabilmente gesto apotropaico a scongiurare eventuali interventi in Europa.
Calenda avvicina pollice e indice quasi a sottolineare la minimalità della presenza del Pd nel ‘dibbattito’ nazionale e internazionale
Nicola Zingaretti le sbattacchia rumorosamente o ne alza una in timido segnale dei suoi trascorsi di sinistra radicale anche, diciamolo, radical chic.

E i nostri?
Uso contenuto del candidato Pd Aldo Modonesi che se le infila spesso in tasca.
Alan Fabbri le usa per non mollare il microfono o per stringere in morsa d’acciaio Matteo Salvini.
Ds gran signora l’uso che ne fa la Fusari: non gesticola ma al massimo delinea cerchietti in aria.
E avanti così.

Mentre i nostri dunque si esercitano nella speranza di arrivare primi, a Ferrara e per Ferrara sono successe cose ed eventi mirabili, spesso ignorati da tutti. Vale a dire la strepitosa presentazione alla J. Cabot University di Roma del volume su Bassani “Vivere è scrivere” presenti un’ottantina di studiosi americani, inglesi, italiani con commovente finale di una cena alla casa della Fornarina. Sì! Proprio la casa della giovanetta immortalata da Raffaello. Al premio Ippogrifo d’oro assegnato a Portia Prebys per i meriti acquisiti nel donare a Ferrara opere e oggetti appartenuti al grande scrittore e ora depositati nel bellissimo Centro studi bassaniani allocato in Casa Minerbi di Via Gioco del Pallone, ha fatto seguito un importantissimo convegno in cui si sono misurati i migliori critici di Bassani delle due sponde dell’oceano. Probabilmente l’argomento non sembrava adatto al tempo e alla curiosità dei ferraresi se solo una ventina di qualificatissimi uditori si sono presentati all’appuntamento che si è concluso con una visita speciale al Meis condotta dalla direttrice Simonetta della Seta che ha illustrato la splendida mostra sul Rinascimento ebraico, ricca di capolavori e di idee. Il convegno darà luogo a un volume di Atti che sanciranno l’attività scientifica del Centro studi bassaniani per il 2019/2020.

Dopo un giorno ecco che nell’afoso pomeriggio mi sovviene con un po’ di ansia di dovermi recare al Meis per sentire il concerto dedicato alle musiche di Salomone de’ Rossi nell’ambito della mostra sul Rinascimento ebraico. E’ stata un’esperienza straordinaria. Quelle musiche inducevano alla gentilezza e alla cortesia. Di là dal muro spuntavano le cime degli alberi e mi sembrava di essere in un racconto di Amos Oz o di David Grossman. I profumi del giardino si mescolavano al profumo dei sentimenti e accanto a me una deliziosa bambina batteva le mani e si lasciava andare accarezzandosi i lunghi capelli all’armonia. Che pace dei sentimenti, che nobiltà del cuore! Grazie al Meis e al Conservatorio Frescobaldi e a tutti gli straordinari artisti che hanno permesso questo momento di ‘cortesia’.

Ecco allora che in tutta la sua potenzialità si spiega l’attività culturale di questa strana città che s’inventa in una turbinosa ripresa di motivi, interventi, spunti, un passato e un presente degno di alta considerazione.

E domani? Chissà.

Voto e discernimento: strumenti democratici contro l’internazionale sovranista

“La convinzione che sia l’efficienza economica dei mercati liberalizzati e globali a portare all’aumento del benessere collettivo, è alla radice dell’esplosione di populismi e particolarismi nazionali”. Lo scrive Francesco Saraceno su ‘Il Mulino’ (1/2019).

Al di là dei responsi delle elezioni europee e amministrative dello scorso 26 maggio, che pure non hanno decretato l’annunciato sfondamento della destra populista e nazionalista, almeno a livello continentale, se non si capisce il motivo di quest’avanzata, che pure c’è, chi intende porvi argine rischia una navigazione senza bussola. E quindi di combattere contro i mulini a vento.
Il punto di partenza è l’aumento vertiginoso delle disuguaglianze prodotto dalla crisi deflagrata nel 2008, cioè l’anno in cui falliva Lehman Brothers. Aumento spaventoso che vede vincitori un ristretto gruppo chiamati dagli esperti i “plutocrati globali” e un chiaro perdente che è la classe media e inferiore dei paesi avanzati, usciti da questo terremoto con meno redditi, meno welfare e meno reti di protezione.
Per la verità, il crollo iniziato nel 2008 è solo il risultato di scelte che risalgono a decenni prima. È l’affermazione – nelle università, nella politica, nei governi e cancellerie – del modello neoliberista.
Il politologo polacco Jan Zielonka, allievo di Ralf Dahrendorf, parla (‘L’Espresso’ 26 maggio) della resa incondizionata all’ineluttabilità del Tina: l’acronimo di conio thatcheriano per dire che ‘There Is No Alternative‘.
Non c’è alternativa alla vittoria inarrestabile della “dittatura dei mercati”. Lo scrive, da liberale, anche sul suo libro ‘Contro-rivoluzione. La disfatta dell’Europa liberale’ (Laterza 2018).
Lo scrive Alessandro Somma commentando le elezioni europee (‘La Nuova Ferrara’ 30 maggio): “il quadro politico è monopolizzato da due modi di interpretare il neoliberalismo come ideologia fondativa dell’Unione Europea: un neoliberalismo nazionale e un neoliberalismo cosmopolita”.
Lo sta scrivendo da tempo anche Claudio Pisapia su Ferraraitalia.
Si può continuare con gli esempi, ma non è questo il punto.

All’adagio “Non c’è alternativa” si sono accodati per anni partiti e governi indistintamente conservatori e progressisti.
Il capitalismo predatorio e deregolato, degli animal spirits, è stato assecondato e pettinato nelle varie declinazioni, credendo alla teoria che gli studiosi chiamano dello ‘sgocciolamento’: ridistribuire in favore dei più ricchi favorisce la crescita, perché remunerando chi è più produttivo da un lato aumenta risparmi e investimenti e dall’altro fornisce i giusti incentivi per l’accumulazione del capitale.
Un circolo virtuoso che si è imposto nella sua autoevidenza meccanica, ma che gli economisti giudicano dotato di pochissimo supporto empirico.

Questo ha portato acqua al mulino di chi sostiene che efficienza ed equità sono alternative, non possono stare insieme.
Carlo Triglia (‘Il Mulino’ 2/2019) scrive che sono ancora parecchi coloro che sostengono che “il capitalismo non sarebbe compatibile con una democrazia politica forte e ben salda, perché quest’ultima, perseguendo inevitabilmente obiettivi di riduzione delle disuguaglianze, finirebbe per intralciare la libertà dei capitalisti di ricercare il profitto”.
E qui arriviamo al punto.
Se non c’è alternativa, hanno cominciato a dire in tanti, a cosa serve andare a votare? Se il nostro voto non serve a cambiare marcia, che ci andiamo a fare?
Il fenomeno corrosivo dell’astensionismo nelle democrazie occidentali, troverebbe in questo dilemma una sua spiegazione.
Si arriva così a quella che è stata chiamata ‘democrazia a bassa intensità‘.
Se non c’è altra strada all’inevitabile contrazione della spesa sociale, all’impossibilità di redistribuire la ricchezza, ai tagli e all’erosione progressiva del welfare, la politica stessa abdica al suo ruolo fondamentale di riequilibrio e le distanze sociali sono lasciate correre.
Si fa strada la narrazione secondo la quale la proliferazione di istituzioni non elettive provochi una sensazione di confisca del meccanismo decisionale, di un suo inaridimento verso un binario laterale, se non morto di certo burocratico.

Le reazioni di un Matteo Salvini alle ‘letterine’ di Bruxelles e, più in generale, il dilagare dell’eurosceticismo, non dicono niente?
Non fanno forse più breccia in opinioni pubbliche stremate e impoverite queste letture, di quelle più articolate, e spesso fumose, di moderati e progressisti alla ricerca di complicate misure di contenimento, equilibrio, rispetto di parametri, tutte comunque dentro a quel There is no alternative?
C’è bisogno che qualcuno dica che capitalismo e giustizia, e quindi democrazia politica, possono stare insieme, come sostiene Carlo Triglia.
C’è bisogno di dimostrarlo nelle aule universitarie di mezzo mondo, tante delle quali, come ci ricordò Luciano Gallino, restano contrarie.
C’è bisogno di dimostrarlo sul piano politico, perché queste idee si traducano in proposte, in azioni che stiano in piedi, come, per esempio, scrive Fabrizio Barca (‘L’Espresso’ 26 maggio), declinando il concetto di giustizia sul piano sociale e ambientale.
E c’è bisogno che lo dimostrino i governi, nazionali ed europei, perché dicano che un’alternativa invece c’è e che sarebbe bene che lo Stato ritrovasse il proprio ruolo regolatore, perché questo ha garantito stabilità .

Altrimenti?
Altrimenti si fa strada il morbo populista e nazionalista, che con i suoi slogan d’assalto rimane l’unico giocatore in campo a sostenere che un’alternativa c’è. L’unico giocatore in campo che sfilando dalle mani il tema per antonomasia della sinistra, come disse Norberto Bobbio, ossia l’uguaglianza, trova orecchi sempre più stufi, arrabbiati e disposti a rivoltare il tavolo.
E proprio qui, in questo rumore assordante di parole d’ordine, si rischia di non prestare l’attenzione dovuta alla vera posta in gioco.
Papa Bergoglio lo chiama discernimento.
Non ci si accorge che l’onda sovranista, finalmente liberata dai vincoli di burocrati e banchieri, vorrebbe declinarsi in un nuovo ordine internazionale, mentre è un controsenso, un ossimoro: come sta in piedi un’internazionale sovranista, quando è basata sulla difesa, ciascuno e prima di tutto, dei propri interessi nazionali? Come può reggere un ordine basato sul “Prima i nostri”?

È esattamente il motivo per il quale l’Unione Europea di adesso non funziona, perché ancora prigioniera di un assetto intergovernativo che la trattiene dall’essere completamene foedus .
Come non capire che misure come la flat tax sono musica per le orecchie degli straricchi, cioè nuova linfa allo strapotere dei plutocrati globali e di quel neoliberismo destinato a moltiplicare le distanze?
Qualcuno vuole ancora credere alla teoria dello sgocciolamento?
L’unica sovranità possibile è quella europea, come scrive Massimo Cacciari (‘L’Espresso’ 19 maggio), perché sbandierare la difesa degli interessi nazionali fuori da quel perimetro, significa “ridursi a nani impotenti nei confronti dei grandi Imperi contemporanei”.
Come altrimenti interpretare l’esultanza di un Donald Trump di fronte alla Brexit, cioè al tentativo riuscito di disarticolare l’Ue con la promessa di accordi commerciali mirabolanti, o l’iniziativa cinese di insinuare la propria via della seta?
Lo spirito europeo non è nato per generare sviluppo di scienza, tecnica ed economia, disgiunte dal sistema di libertà e giustizia. Per quanto, purtroppo, il percorso appaia decisamente in salita, è su questo piano, non su quello nazionale e tantomeno locale, che si gioca la vera sfida di questo incremento.
Se vincono populismo e nazionalismo si continua cioè a viaggiare, con l’illusione di rovesciare regole e parametri e di disintermediare corpi intermedi e rappresentanze, sul binario neoliberista, nel quale la ricchezza esclude democrazia e giustizia.
Se in Cina il problema nemmeno si pone, negli Usa di Trump non si pensa lontanamente di redistribuire la ricchezza in senso egualitario.
Senza parlare di un Orbán che da tempo predica una democrazia illiberale.

Così la democrazia a bassa intensità viaggia diritto verso l’assenza d’intensità e verso l’assenza di democrazia.
E tutto accade lentamente, come dovrebbe insegnare la storia, con la legittimante acquiescenza di opinioni pubbliche abbagliate dal ritorno degli Stati-nazione, euforicamente salite sul treno populista, utile veicolo per trasbordare in modo non traumatico l’oggi verso un futuro tremendamente simile a un passato che è sbagliato pensare definitivamente alle nostre spalle.
Dopodiché, noi sempre allegri bisogna stare, che il nostro piangere fa male al re, fa male al ricco e al cardinale …, cantavano Dario Fo, Enzo Iannacci e Giorgio Gaber.

Volare alto: Gramsci e la politica come strumento di progresso e libertà

Il tuo pensiero era forza e volontà,
tu eri il concetto stesso di intellettuale,
il tuo intelletto era un’arma invincibile, contro il sopruso.
Chi ti critica, ora come allora,
non sa chi eri, non sa chi sei e cosa rappresenti.
La questione morale, la forza delle idee,
contro le idee della forza.
Ti hanno ucciso ma hanno reso immortali le tue idee,
chi pensa, senza pensiero, che tu sia solo un simulacro,
non capirà mai cosa significa essere partigiano.
La tua lungimiranza ti ha fatto vivere troppo poco,
in un mondo troppo antico,
rispetto alla tua lucente modernità.

**************

Un gigante dell’intelligenza, muscoli d’acciaio del pensiero,
racchiusi in un corpo all’apparenza debole,
pensiero critico, pensiero libero, intelletto nato per essere avanguardia,
forza trainante della mente, messa a disposizione del popolo.

Ti sarebbe bastato, rinnegare le tue idee, sarebbe stato sufficiente,
avresti potuto andare in esilio, avresti potuto scappare,
ma non si scappa da se stessi e dalle proprie responsabilità verso gli altri.

Le sbarre della tua prigione erano come nuvole,
la tua mente spezzava le catene e vagava libera,
le tue preoccupazioni erano gli altri,
tua mamma, tua moglie, tuo figlio,
la tua forza, era per loro e per i tuoi ideali.

Vivo, per sempre, a traino delle moltitudini,
hai cambiato la storia, fossi vissuto in un mondo meno nero,
la avresti rivoluzionata, con le armi della ragione.

Tu odiavi gli indifferenti, ed eri partigiano della libertà e della giustizia,
in un mondo che sognavi migliore, ma che adesso a tanti anni dalla tua morte,
non ti sarebbe piaciuto

**************

Le ceneri di Gramsci, scriveva il poeta (PPP), non sono state sparse nel vento per nulla, la forza della ragione contro le ragioni della forza.

Nino, così come lo chiamavano in famiglia, ebbe la capacità di superare i suoi limiti fisici, era alto appena un metro cinquanta a causa del morbo di Pot, (una specie di tubercolosi ossea) che lo colpì dall’età di due anni e ne precluse lo sviluppo.

La forza della sua mente, riuscì per tutta la sua vita a trascinare i suoi muscoli deboli e la sua schiena anchilosata, fino a farlo diventare un gigante dell’intelletto, un culturista del pensiero moderno.
Socialista come il fratello in gioventù, fondatore dell’Ordine Nuovo, fondatore del Partito Comunista d’Italia nel 1921, con lo scisma di Livorno, fondatore de L’Unità, Marxista interpretativo, Leninista, critico già dal 1926 nei confronti dell’operato di Stalin.

Un precursore, avanti nei tempi rispetto al secolo in cui nacque, (forse pure avanti rispetto al secolo successivo), la sua modernità credo andrebbe riscoperta, molto probabilmente sarà rimpianta dalle future generazioni.

Sentire parlare di Gramsci da uno come me è come sentire parlare di Pelé da un calciatore degli amatori, ma appunto per la mia inadeguatezza, vorrei provare a spiegare perché ritengo il suo pensiero un traguardo per il futuro e non un semplice esercizio della memoria.

La “dittatura del proletariato” è un ossimoro, che fu causa, dai tempi in cui Marx la pensò, di infinite critiche mosse nei confronti dei comunisti, da parte dei loro detrattori di tutti i tempi, la frase ha un significato chiaro, per Gramsci (e anche per me), significa dare l’opportunità alle masse popolari di incidere, di decidere, di essere il loro potere.
Agli antipodi del concetto di oligarchia del partito e dei funzionari, che poi si sviluppò in Unione Sovietica.

Le masse popolari come attori del proprio futuro, le moltitudini, il quarto stato (come ben rappresentate dal pittore Pellizza da Volpedo), che si prendono in mano il potere, come non fu mai nel passato e neppure nel presente, un concetto talmente rivoluzionario da non essere capito tutt’ora da molti.

Oggi che si dibatte di cambiamenti climatici, di flussi migratori biblici, di guerre, di schiavitù dell’uomo nei confronti delle merci, dell’oppressione dei mercati nei confronti delle persone, quanto avremmo bisogno del pensiero gramsciano, applicato alla nostra presunta modernità.

La schiavitù, che pareva debellata secoli orsono, si ripresenta nel nostro secolo buio, sotto forme differenti, figlia di quel neoliberismo sfrenato, capitalismo 4.0 in un mondo senza quasi più opposizione, indifferente ai mutamenti, senza ribelli né ribellioni.

La vittoria del Capitalismo, gretto e senza limiti, dal crollo del muro alla realizzazione dei mille muri di oggi, ha falsato la visione del progresso, della modernità, portandoci a pensare che il privato è sempre bello ed il pubblico è sempre brutto.

Una visione gramsciana della società, internazionalista, non permetterebbe la schiavitù del pensiero, l’omologazione, la standardizzazione della società attuale, così come avviene oggi, in Italia e nel mondo.

Odiava gli indifferenti, Nino, perché lui era partigiano, stava chiaramente da una parte, dalla parte delle masse operaie e contadine, quelle stesse masse che ora, in questa derelitta Italia pensano che i nemici arrivino con i barconi, che il prima noi e poi loro sia cosa buona e giusta.

L’avversario politico, gira con la Ferrari o l’auto blu, non vende gli accendini in spiaggia o ai semafori. Il dividi et impera di Cesare è applicato oggi come mezzo di distrazione di massa, i penultimi contro gli ultimi, è diventato sistema di governo, nel XXI° secolo, in Europa, come in Gallia duemila anni fa.

Il concetto di intellettuale Gramsciano è lontano anni luce dal distaccato filosofo da salotto televisivo di oggi. Noi vediamo nelle TV, signori brizzolati di mezza età, dibattere sul mondo con termini difficili e poco comprensivi, che si contemplano l’ombelico della propria cultura, senza preoccuparsi se i loro concetti vengono capiti o assimilati da chi li ascolta.

Gramsci, al contrario era consapevole che l’intellettuale, l’operaio della mente, il manovale della cultura, era un’avanguardia, doveva mettersi al servizio delle classi subalterne, per svilupparne la dignità, per dar modo ai braccianti, ai contadini, agli operai di autodeterminarsi.
Come diceva Di Vittorio, per insegnare ai cafoni a non togliersi il cappello di fronte al padrone.

Così, Gramsci in carcere creò una biblioteca, gestì dei corsi di studio, insegnò l’abecedario a chi non sapeva né leggere e né scrivere. Aveva ben chiaro in mente che la cultura è rivoluzionaria.

La cultura è una delle poche speranze che abbiamo per il futuro, è l’unica arma utilizzabile per una legittima difesa consapevole e mai eccessiva.

L’esatto contrario di ciò che ci dicono di questi tempi, un tal sottosegretario odierno che gioisce perché in Italia nel 2018 ci sono state 30.000 iscrizioni in meno all’università, o quell’altro che alcuni anni fa disse: “con la cultura non si mangia”.

Certo, questo è il modo di pensare di oggi, dei nostri governanti, presenti e passati un popolo ignorante si fa poche domande, non ha strumenti per controbattere l’oligarchia dominate. Per questo motivo Gramsci pensava che un popolo istruito potesse essere la prima arma contro la dittatura, la pistola fumante contro i soprusi dei pochi, nei confronti dei molti.

“Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza.”

Questo pensava dei giovani.

Gramsci era l’antitesi del culto della personalità, sull’Ordine Nuovo, nel 1924 lanciò una critica feroce a Mussolini, in quanto immagine dell’uomo forte, egocentrico, nuovo imperatore di un sacro romano impero, costruito sulla menzogna e sulla cattiveria “Mussolini [… ] è il tipo concentrato del piccolo-borghese italiano, rabbioso, feroce impasto di tutti i detriti lasciati sul suolo nazionale da vari secoli di dominazione degli stranieri e dei preti: non poteva essere il capo del proletariato; divenne il dittatore della borghesia, che ama le facce feroci quando ridiventa borbonica.”

Ma, sinceramente, solo a me queste parole ricordano qualcuno? I ducetti, sono ben presenti tutt’oggi, li vediamo, li sentiamo ai telegiornali, io non credo che oggi ci sia un clima di neo-fascismo, ma di pre-fascismo, forse si.

Le parole uccidono, le parole sono pietre scagliate nei confronti delle minoranze, delle diversità, delle donne, dei deboli. Allo stesso modo fece il regime con Antonio, lo delegittimò, non lo uccise con una esecuzione sommaria, o non lo riempì di botte come da prassi, lo incarcerò e lo sacrificò, lentamente in oltre dieci anni di detenzione.
La sera del 25 aprile 1937 Antonio venne colpito da un’emorragia cerebrale. Neppure in questa estrema circostanza fu assistito adeguatamente, dal punto di vista clinico, (le suore della clinica dove fu segregato negli ultimi da due anni di detenzione, gli mandarono un sacerdote).
Gramsci si spense all’alba del 27 aprile, alle ore 4,10.
Gli ideali di Nino, i suoi pensieri, non morirono con lui.

Grazie alla cognata Tatiana, abbiamo avuto la fortuna di leggere le lettere dal carcere ed i quaderni.
Pensate, se non fosse stato incarcerato e se non ci fosse stato il fascismo, quante idee, parole e riflessioni avrebbero reso più ricca l’intera umanità.

Quanta rivoluzione del pensiero civile, illuminista, libertario e progressista, sarebbe potuta uscire da una delle menti più ricche e brillanti della storia dell’uomo.

In fondo Gramsci diceva solo che ad ogn’uno occorreva dare le stesse possibilità, sognava una mondo libero, equo, senza oppressori e senza confini, intagliato sulla pianta della giustizia sociale, dove i libri, al posto delle armi diventavano, il grimaldello per aprire le saracinesche del privilegio.

Nulla, a mio modestissimo parere di più moderno ed attuale è mai stato pronunciato, oggi, le moderne élite dominanti di politici e politicanti, vanno bene solo a contare i voti, come noi, da ragazzi contavamo le figurine dei calciatori.

Gramsci, come ricerca di un nuovo futuro, Gramsci come speranza, Gramsci che per non rinnegare i propri ideali rimase in carcere fino alla fine, pensate quanta differenza con chi ancora oggi rincorre il moderatismo, l’appiattimento verso destra del pensiero politico.

Perché è proprio in questo “mondo di mezzo”, che si generano i mostri che potrebbero distruggere il genere umano, se non la smettiamo di vergognarci della radicalità, rossa e libera come la mente di Antonio Gramsci.

Per crescere all’Italia servono meno letterine e più spesa pubblica

Calo del Pil e aumento degli interessi sul debito pubblico. Questo in sintesi il motivo per cui il debito non scende e l’Europa manda letterine.
Nel primo caso è presto detto. Per fare un bel matrimonio devi spendere, per rendere felici gli invitati e magari per ricevere bei regali in cambio. Perché ci possa essere crescita bisogna spendere in investimenti, opere pubbliche, assunzioni e magari incentivare aumenti di stipendio.
Ovviamente, quando si lanciano i semi sul terreno poi bisogna aspettare che l’albero cresca ed è inutile nel frattempo piangere sui semi versati. I frutti ci saranno ma bisognerà aspettare. Quindi l’investimento oggi, sotto qualsiasi forma si decida di farlo, produrrà frutti tra qualche anno ma nel frattempo il debito crescerà perché quegli investimenti saranno il risultato di una spesa dello Stato.
Ciò che serve è allentare la borsa, aumentare i deficit per fare investimenti e fare in modo che le persone abbiano più soldi da spendere. Poi si aspettano i risultati che non potranno arrivare prima di due o tre anni almeno.
Impossibile contabilizzare annualmente gli investimenti e stupido pretendere di fare questi conti anno per anno. Quindi quello che non funziona, come sempre in questa Europa, è il metodo e l’ossessione per il debito e la spesa dello Stato conteggiata anno su anno e nelle previsioni per gli anni a seguire. Il problema non è certo il governo di turno, soprattutto se si pretende che l’unica cosa che debba fare e accondiscendere i mercati e controllare se i bilanci siano in linea con le attese dei fantomatici investitori. L’impedimento alla crescita viene dalle regole economiche che si pretende debbano essere in posizione privilegiata rispetto alla politica.
Il secondo caso contempla gli interessi che annualmente si pagano sul debito pubblico. Anche qui si guarda al dito e non a quello che il dito mostra. Il debito cresce perché non migliora il rapporto con il Pil, cioè se è vero quanto abbiamo detto ai precedenti punti, sarà vero anche che il debito è destinato a crescere.
Si potrebbe però abbatterlo in tanti modi. Vendendo i btp attraverso aste competitive piuttosto che aste marginali (vedi precedente articolo qui I continui autogol nella partita degli interessi sul debito), oppure si potrebbe non considerare nel conteggio del debito i btp già riacquistati e in possesso della Banca Centrale. Ancora, si potrebbe incentivare l’acquisto dei btp da parte delle famiglie e aziende italiane seguendo il modello giapponese oppure si potrebbe concordare con gli altri paesi dell’eurozona un efficace e costante intervento a sostegno dei debiti pubblici da parte della Bce, sul modello giapponese, americano, coreano, svedese, ecc…
E si potrebbe soprattutto pensare seriamente alla crescita. Ma bisognerebbe rilanciare gli investimenti. E per rilanciare gli investimenti potrebbe seriamente intervenire una Banca comune europea che lo faccia “senza scopo di lucro” perché agirebbe come una banca pubblica e quindi si dovrebbe preoccupare che gli investimenti vengano effettivamente fatti sui territori, e non certo di riavere indietro gli interessi su quanto prestato.
E poi si potrebbe aumentare la liquidità in giro con l’idea dei mini bot, oppure con i certificati di credito fiscale. Ovvero strumenti che potrebbero essere paragonati ad una moneta parallela. Strumenti che permetterebbero l’aumento degli scambi all’interno della Nazione senza creare debito perché funzionerebbero come una moneta complementare e non si toccherebbe l’euro. Ma anche qui parte la litania dello spaventare i mercati e gli investitori.
Siamo all’isteria. Non è più nemmeno possibile immaginare delle soluzioni che, ancor prima che qualcuno si spaventi realmente, ci pensa Ilsole24ore a mettere in guardia, a frenare qualsiasi possibilità di scostamento dalla linea tracciata dai padri fondatori della gabbia neoliberista.

Il consiglio è sempre lo stesso. Provare a capire chi si sta difendendo quando si rifiuta di prendere in considerazione strade diverse, quando si attacca chi propone qualcosa di nuovo e si impone la strada vecchia. La stessa che sta distruggendo la nostra economia e costringe uno Stato a programmare l’esistenza dei suoi cittadini affinché siano in grado di pagare dai 50 ai 70 miliardi di interessi all’anno, quando non ce ne sarebbe alcun bisogno.
Tutti i modi per aumentare il benessere dei cittadini passano da decisioni politiche e non da regole tratte dal manuale del piccolo economista. Tante soluzioni o strade che sarebbe possibile seguire, o tantomeno discutere, affinché la crescita sia non solo possibile ma anche equa e costante e che si basi su cooperazione e condivisione piuttosto che su mercati finanziari, borse, guerre commerciali, competizione e letterine dei soliti noti.

L’uomo con la pistola

A.A.A. Avviso agli elettori
Fra pochi giorni i ferraresi sono chiamati al ballottaggio.
Gli elettori hanno sempre ragione, quindi sarebbe stupido oltreché inutile prendersela con i tanti che al primo turno hanno dato il loro voto alla Lega e ad Alan Fabbri. Ma è lecito chieder loro di aprire gli occhi. Su quanto gli aspetta, a loro e alla nostra Ferrara, se Fabbri dovesse diventare Sindaco. E su quali saranno i suoi compagni di avventura.
Credo che siano in tanti i cittadini che hanno votato Fabbri, non per un’adesione convinta al suo partito o perché affascinati dall’uomo con il codino e dalle sue pochissime idee, ma semplicemente per affermare un bisogno di cambiamento. Cambiare per cambiare… senza però chiedersi dove ci porterebbe il cambiamento della nuova Destra.
Per farsene un’idea, per aprire gli occhi prima che sia troppo tardi, se già non l’avete fatto, può bastare la visione di un video che in queste ore sta girando per tutti i social.
Regista, autore e protagonista del video è Stefano Solaroli, candidato eletto al Consiglio Comunale tra le fila della Lega con 100 preferenze. Prendetevi un minuto e mezzo – tanto dura il video – per guardare e ascoltare il videomessaggio di Solaroli. Disteso sul divano, sorridente, ammiccante, l’occhio pallato, il candidato eletto si passa da una mano all’altra la sua amata pistola, una Berretta 70 del 1969. La mostra in primo piano, la accarezza e, tutto contento, promette di diffondere il più possibile quel ‘video verità’. Ci è riuscito benissimo perché Il video con la pistola è arrivato anche sui media nazionali.
Che vuole comunicarci Solaroli? Come, quando, contro chi ha intenzione di usare il suo cannone? L’autore e co-protagonista (insieme alla pistola) dello spot elettorale non ha nessun bisogno di entrare in particolari. La messa in scena dice già tutto. E cioè: Cari ferraresi, la musica è cambiata, non abbiamo più paura di mostrare quello che siamo, perché d’ora in poi saremo noi a dettar legge, con le buone o con le cattive.
Domenica prossima torneremo a votare. Avremo davanti cinque anni di un ‘governo con la pistola’ o i ferraresi apriranno finalmente gli occhi?

LA CITTA’ DELLA CONOSCENZA
Le parole chiave

Ho dormito a fianco del Velino con il Terminillo per sfondo. Ho percorso la città sotterranea che si snoda lungo il viadotto costruito nel III secolo a. C. dai Romani per consentire alla via Salaria, l’antica via del sale, di superare il fiume Velino e di raggiungere la città. Ho visitato il teatro Tito Flavio Vespasiano, unico per la sua acustica, e la Biblioteca Paroniana con la sua preziosa collezione di atlanti antichi come l’Atlas sive Cosmographicae Meditationes di Gerardo Mercatore, l’olandese Gerhard Kremer, e l’Italia di Antonio Magini, pubblicato a Bologna nel 1620.
Sono stato invitato a Rieti dall’associazione Nuovi Percorsi per parlare di Città della Conoscenza. Quando ci si interroga sul futuro, la prima cosa che una città oggi ha necessità di apprendere è quella di sapersi porre le domande giuste per evitare di sbagliare la strada nella ricerca delle risposte.
E le domande giuste le ho trovate nelle parole chiave con cui gli amici di Rieti hanno preparato il nostro incontro. Quattro: territorio, società, cultura, identità. Ma non perché siano nuove, semplicemente perché sono “le parole chiave”.
Cosa significa territorio, cos’è territorio? Una parola, preceduta dal suo articolo determinativo “il”, “il territorio”, di cui abbiamo abusato nel secolo scorso e che la globalizzazione anziché dilatare ha ristretto, fino a farlo scomparire. Il territorio si è ammalato. Il territorio è stato soppiantato dall’ambiente. Non dagli ambienti, ma dall’ambiente e ce n’è solo uno in tutto il mondo: l’ambiente. La sua difesa, la sua tutela, pena la sopravvivenza della specie umana.
E mentre il territorio si faceva “iper” per perdersi nell’ambiente, la storia, le migrazioni si appropriavano dei luoghi della nostra stanzialità. Così dal territorio siamo regrediti al luogo, da chiudere tra paratie per impedire che l’onda del fiume in piena di una umanità in movimento ci travolga. Col mutare della geografia degli spazi è mutata anche la geografia dei pensieri.
Le pietre che limitano gli spazi, che consentono di riconoscere le aree comuni sono state divelte. Società è parola destrutturata. L’abitare insieme tutti differenti per età, culture, occupazioni, redditi, stili di vita, l’interagire di ogni individuo continuamente con un numero di altri individui per le ragioni più disparate, tutto è stato ridotto ad un unico comune denominatore: il popolo. Socio, compagno, amico, alleato, relazione, organizzazione, interagire per obiettivi comuni inaspettatamente non appartengono più al lessico della polis, come se improvvisamente avessero bruciato i loro significati.
Non viviamo più entro i limiti dei nostri confini, vale a dire entro lo spazio dei fini condivisi, ma abbiamo innalzato le frontiere. La comunità che innalza le frontiere non è più “socievole”, “abile socialmente”, ma al contrario si fa “tribù”. Troppo difficile da reggere la società aperta e i suoi nemici, meglio la società chiusa con pochi amici.
La cultura, il coltivare insieme il sapere non si fa più. Non c’è un sapere comune, del sapere si è giunti a diffidare. La cultura è il passato. Dinamicità e processualità della cultura sono i nemici del sistema di senso dominante che ha soppiantato ricerca, cultura scientifica e competenze. La cultura è l’élite che si contrappone al popolo, che ha il sapere della pancia che va celebrato a folklore e salsicce. La cultura sono le radici ancestrali di un popolo da contrapporre alle culture dei popoli che lo vogliono invadere e ridurre alla fame.
La cosa peggiore che può accadere è perdere la propria identità, annullata dall’etichetta posticcia e indefinita di popolo. Cancellare l’identità di una persona è negarne l’esistenza, privarla del diritto di essere persona, con la sua storia, le sue emozioni, le sue memorie.
La riconoscibilità, cancellare la riconoscibilità che non sia l’identificarsi con il popolo o con il “cittadino” di lontano ripescaggio.
I nuovi soggetti al governo del paese hanno cassato significato e futuro di parole che sono la chiave della convivenza, della crescita, dello sviluppo, della democrazia: territorio, società, cultura, identità.
Parole rispetto alle quali abbiamo invece l’urgente bisogno di apprendere a dare risposte nuove, a indagarne la complessità e le sfide a partire da dove stiamo insieme, da dove condividiamo le vite: le nostre città. Fare delle nostre città i sistemi complessi che apprendono, l’opera della “rinascita” come è stato nella storia e nella cultura del nostro paese. In un sistema sociale maturo gli attributi che consentono agli individui di essere cittadini attori interagenti sono l’apprendimento, l’invenzione e l’adattamento. Non ciò che conosciamo ma ciò che ancora non sappiamo.
Si tratta di uno spostamento nel nostro modo di pensare che comporta la partenza verso terre non ancora esplorate, pertanto non possiamo permetterci di perdere la bussola dei quattro punti cardinali: territorio, società, cultura e identità.

Qualche riflessione sul voto in attesa del 9 giugno

A Ferrara gli elettori sono 108.509. Domenica 26 maggio, si sono recati alle urne 77.589 elettori, che valgono il 71,50% del totale. Numeri non da poco e che testimoniano indubbiamente una volontà di partecipazione. Del resto il momento era storico e lo è ancora, visto che lo vivremo fino al 9 giugno prossimo

Guardando i numeri si nota una particolarità nel modo di votare dei ferraresi. L’osservazione è nata quando ho letto su Estense dell’ottima performance di Naomo Lodi che ha ricevuto ben 1.197 preferenze, risultando sicuramente il candidato alla poltrona di consigliere più votato tra gli oltre 500 candidati, sparsi tra le 17 liste presenti.
Ferrara era chiamata a eleggere, oltre al Sindaco, anche 32 consiglieri, ma i 77.589 elettori confluiti alle urne hanno espresso 71.416 voti di lista validi e solo 23.786 voti di preferenza. Cioè solo il 33,3% degli elettori che si è recata alle urne ha voluto esprimere una preferenza. Ma vediamo i numeri un po’ più nel dettaglio.

La Lega, risultato primo partito a Ferrara, ha ottenuto 22.093 voti di lista ma solo 3.415 voti di preferenza. Dietro Lodi arriva Zocca Benito che di voti ne ha presi 239. Un abisso, poi tutti gli altri.
L’ultimo dato in colonna rappresenta la percentuale di voti di preferenza rispetto al voto di lista. Si va da un massimo del 53,43% ad un minimo del 6,93% nel caso del M5S.

Alle comunali del 2014 abbiamo avuto più o meno le stesse proporzioni tra voto alla lista e voto di preferenza. Il M5S ottenne 11.742 voti alla lista e solamente 795 preferenza. Il Pd 34.464 alla lista e 12.262 voti di preferenza. La Lega (allora Nord) 245 voti di preferenza contro 2.471 alla lista.
L’impatto visuale dei dati relativi a questi tre partiti è il seguente

Singolare che Pd e M5S abbiano mantenuto la stessa percentuale a distanza di 5 anni.
Addentrandoci nell’interpretazione dei numeri, come prima conseguenza di questi ‘voti mancati’ siederanno in Consiglio Comunale della città estense consiglieri con una dote di 61 oppure 41 preferenze, che dovrebbero essere proprio quelli del M5S. Su una popolazione votante di 77.589 cittadini risulta quanto meno singolare.

Di seguito uno sguardo ad altri Comuni che si sono recati al voto il 26 maggio 2019: Pescara, Civitavecchia e Campobasso. Tre Comuni di Regioni diverse.

L’unica analogia con Ferrara la troviamo nel dato di Pescara relativo al M5S. Per il resto, nelle altre città prese a campione, i voti di preferenza si avvicinano a quelli di lista e in molti casi li superano, grazie al voto disgiunto.
Guardando ai numeri, potremmo dire che in queste tre città gli elettori abbiano dato maggiore importanza alla persona. Sembra siano stati più attenti ai nomi da mandare nei propri Consigli.

Il confronto tra questi dati mostra che l’elettore ferrarese confida più nel simbolo, nella lista, che nelle persone. Ma in un’elezione comunale in genere si tende a scegliere il candidato più che la lista. E questo in particolare nei Comuni piccoli o medi, dove ci si conosce un po’ tutti. La conoscenza personale diventa meno palpabile nelle grandi città come Milano, Roma o Napoli.
Poca considerazione del candidato, quindi? Eppure nelle varie liste erano presenti persone anche molto impegnate sul territorio e nel sociale che sembra proprio siano state quasi ignorate.
Resta il dato. A Ferrara solo un candidato supera quota 1.000, Naomo Lodi. Seguito dalla consigliere uscente Ilaria Baraldi, a quota 516. Più o meno si ferma a metà.

PER CERTI VERSI
Il 2 giugno

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio, all’interno della sezione ‘Sestante: letture e narrazioni per orientarsi’.

Era un giorno
Speciale
Si aprì il cielo
E una metà era ancora buia
La corsa al seggio
Portava i capelli al vento
Finito era il peggio
Dicevano il meglio arriverà
Il vento i capelli scompiglio’
Correvano al seggio
Piene di sorriso
Il loro sorriso
L’altra metà del cielo
Finalmente illuminò

PER CERTI VERSI
Tra natura e società

Ogni domenica Ferraraitalia ospita “Per certi versi”, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio, all’interno della sezione “Sestante: letture e narrazioni per orientarsi”.

LA TUA LUCE.

La tua luce corre
sul confine
dei miei occhi
Indossa un pullover grigio
dalle sfumature arancio
È l’anima di una notte
Che sta alitando sulla Terra
Persa nella sera
Dei fischi di pioggia
Tu sei la voce
Che scivola
Sul filo
Della radio
dentro la rotta
della vita mia
Spalata
Da un quadrifoglio
Del caso
E se ne stanno
Appese al filo
delle acque
le rane
al pericolo
di un cane gracidando affannate
Nella stessa ora delle rondini
e la fame che sbatte
i loro piccoli ai nidi
Siamo fatti
di albume noi due
Lo sai
Albume coperto di zucchero
E tu sei il lume
che corre
sul confine dei miei occhi

VUOTO PNEUMATICO

No
non riesco proprio
a guardare
Nel vuoto pneumatico
Di questi tempi
Cosi brutali
di questa politica
senza polis
di queste poleis
senza politica
di uomini e donne
dilavati dal senso civico
dal dissenso
non riesco
a cozzare contro la spessa
Muratura dell’incompetenza
O fare il filo con le semplificazioni
E le facilonerie da bar
Come se tutti fossimo cuochi
e cuoche con ottime ricette
Per l’Italia
e persino il mondo intero
dentro il baluardo
delle mura ombelicali
del prima noi poi loro
prima l’io poi gli altri
i dannati della Terra…
La verità è che l’estrema ricchezza
è la fonte
Della grande disperata povertà

APPELLO PER IL VOTO A MODONESI
Cambiare in meglio, contro l’onda oscurantista: hanno firmato in 240

Pubblichiamo, qua di seguito, l’appello – sottoscritto da 240 concittadini – che motivano il loro voto al candidato sindaco Aldo Modonesi con la volontà di propiziare un cambiamento in senso progressista: “…Gli chiediamo di porre in opera politiche concrete per la riqualificazione urbana e la sicurezza, per l’ambiente e la cultura, risorse fondamentali del bene comune cittadino. E di assumere con coerenza come priorità l’impegno a favorire la permanenza sul nostro territorio dei giovani che qui sono nati o che qui sono arrivati per studiare o lavorare…”.
Fra i firmatari, moltissimi nomi noti della cultura, dell’università e della scuola, dell’associazionismo, del giornalismo, delle professioni e del sindacato

Appello per il voto ad Aldo Modonesi

Ferrara è una città unica, ricca di potenzialità straordinarie.
Siamo fieri – come lo è la grande maggioranza dei ferraresi – di vivere in una delle capitali del rinascimento italiano, in uno dei Siti Patrimonio Unesco più importante d’Italia.
E siamo indignati da quanti oggi vogliono descrivere Ferrara per quello che non è: decadente, malavitosa, disperata. Sono gli stessi esponenti di quella vecchia destra politica che cerca da decenni di appropriarsi del governo della città, strumentalizzando a questo fine ogni malcontento e ogni sofferenza, senza fornire prospettive credibili.
Si fingono protettori di una parte fragile e indifesa della società, esasperata da questi anni di crisi economica. Ma in realtà mirano solo a contrapporre persone deboli a persone ancora più deboli, ad amplificare il malcontento senza alcuna proposta per ridurre il disagio e le disuguaglianze. Se vincessero, i deboli resterebbero deboli, i privilegiati lo sarebbero ancora di più. Basta guardare cosa stanno facendo al Governo del Paese per rendersene conto.
A Ferrara si propongono come “il cambiamento” ma l’unico cambiamento che ci si può attendere da loro è un imbarbarimento delle relazioni sociali, una riduzione degli spazi culturali e associativi, la dissipazione delle risorse, un crescente isolamento che si rifletterà negativamente anche sui servizi sociali, sul turismo e sull’economia locale.
Anche i firmatari di questo appello vogliono e chiedono un cambiamento, ma in una direzione completamente diversa, meno propagandistica e più ancorata ai problemi delle persone e del territorio. Meno finalizzata, anche a sinistra, a catturare il consenso elettorale a breve e più impegnata e capace, anche a sinistra, di guardare al futuro della città e al benessere delle persone che ci vivono: una politica dotata di una visione del futuro che in questi anni di crisi si è appannata.
Vogliamo un cambiamento meno generico, meno animato da un’indistinta furia distruttrice verso tutto ciò che è stato fatto in passato e più fondato sulla competenza, sulla fatica di distinguere tra le cose, non poche, che vanno salvate e anzi valorizzate e quelle che invece vanno migliorate o radicalmente riviste.
Per questo in vista del ballottaggio del 9 giugno sosteniamo con convinzione la candidatura di Aldo Modonesi, come artefice di una unità programmatica delle liste e dell’elettorato civico e di sinistra. Per questo chiediamo a tutti i cittadini di votare per lui e aiutarci ad arginare il disfattismo e il qualunquismo.
Ma non è un mandato in bianco. A Modonesi chiediamo di farsi con più chiarezza portatore di un messaggio di cambiamento nel rapporto con la comunità, con le associazioni, con i cittadini. Gli chiediamo di assumere impegni netti e precisi di fronte alla città intera: impegni che guardino al mondo del lavoro, ai giovani che non lo trovano, agli anziani fragili, soli e insicuri e a quelli che vogliono continuare ad essere cittadini attivi, non un costo ma una risorsa della nostra comunità. Gli chiediamo di porre in opera politiche concrete per la riqualificazione urbana e la sicurezza, per l’ambiente e la cultura, risorse fondamentali del “bene comune” cittadino. Assumere con coerenza la priorità di favorire la permanenza sul nostro territorio dei giovani che qui sono nati o che qui sono arrivati per studiare o lavorare. Gli chiediamo di fare di questi temi l’asse portante di questi ultimi giorni di campagna elettorale: le priorità condivise dalle liste che sostengono la sua elezione.
A nostro avviso ciò darebbe alla candidatura di Aldo Modonesi, e alla sua giunta che dovrà essere di riconosciuta competenza, non solo la spinta necessaria a battere l’onda oscurantista della lega ma la prospettiva per offrire alla città una visione nuova e partecipata del futuro.

Elenco sottoscrittori:

Paolo Accardo
Giuseppe Adesso
Sara Aggio
Francesco Aguiari
Dario Alba
Simone Alberti
Silvia Albieri
Alfredo Alietti
Sandro Arnofi
Hugo Aisemberg
Marco Ascanelli
Monica Ascanelli
Fabio Artosi
Adam Atik
Raffaele Atti
Fiorenzo Baratelli
Guido Barbujani
Francesco Barigozzi
Ibrahim Bashar
Davide Bassi
Pier Giorgio Baroni
Francesca Battista
Marco Belli
Susi Bennati
Eugenio Benini
Giuliana Besantini
Matteo Bianchi
Andrea Bignardi
Paola Bigoni
Marco Blanzieri
Francesca Boari
Gino Boari
Alice Bolognesi
Barbara Bolognesi
Alessandra Bolognini
Dino Bonazza
Loredana Bondi
Silvia Borelli
Andrea Borgi
Giorgio Bottoni
Alessandro Bratti
Marcello Brondi
Elena Buccoliero
Ivan Bui
Nausicaa Bulgarello
Rita Busoli
Laura Calafà
Vittorio Caleffi
Fabio Campagna
Laura Campoli
Daniela Cappagli
Miriam Cariani
Ermes Carlini
Emanuele Casalino
Roberto Cassoli
Gabriella Cavalieri
Maria Cavalieri
Mirko Cavallini
Emanuela Cavicchi
Franco Cazzola
Barbara Celati
Sabrina Cerini
Massimo Chiacchiararelli
Alessandra Chiappini
Enrica Cicerone
Annamaria Cino
Andrea Cirelli
Luigi Cocchi
Paola Cocchi
Sebastiano Correggiari
Rosanna Covi
Eva Croce
Tito Cuoghi
Ennio Dal Bo
Giuseppe D’Arelli
Fabio De Luigi
Sergio Dolci
Massimiliano Diolaiti
Rosa Domanico
Gabriella Dugoni
Enrico Duo
Robert Elliot
Roberto Evstifew
Gabriella Fabbri
Irene Fantini
Manuela Fantoni
Alessandra Farnetti
Grazia Fergnani
Annalisa Ferrari
Davide Ferrari
Loredano Ferrari
Giovanni Fioravanti
Davide Fiorini
Elena Forini
Michele Frabetti
Maura Franchi
Catia Franchini
Giuliano Gallini
Rosanna Gallio
Riccardo Gallottini
Alessia Gamberini
Silvano Gambi
Elena Gamboni
Giampiero Gargini
Susanna Garuti
Sergio Gessi
Luisa Ghezzo
Davide Ghidoni
Manuel Gigante
Giulia Gioachin
Dario Giorgi
Micol Giorgi
Donata Giusti
Gianfranco Goberti
Edy Golinelli
Riccardo Grazzi
Luca Greco
Salvatore Greco
Ludovica Grillo
Cristina Gualandi
Silvia Guaraldi
Giuliano Guietti
Domenico Laganà
Mattia Lanzoni
Francesco Lavezzi
Massimo Leoni
Luca Liguori
Silvia Lodi
Fiorella Longhini
Franca Longhini
Claudio Lorenzetto
Daniele Lugli
Kalaja Lutmuri
Carl Wilhelm Macke
Massimo Maisto
Lolita Magnanini
Mara Mangolini
Ida Mantovani
Marilena Marassi
Lucia Marchetti
Ilaria Marchi
Giovanna Marchianò
Paolo Marcolini
Mario Mascellani
Annalisa Massarenti
Alessandro Massarenti
Filippo Massari
Luana Mazza
Cristiano Mazzoni
Glauco Melandri
Francesca Mellone
Corinna Mezzetti
Paola Migliori
Letizia Minotti
Dino Montanari
Patrizia Moretti
Mascia Morsucci
Rosi Murro
Italo Nenci
Carlo Occhiali
Mariangela Occhiali
Silvana Onofri
Sandra Pareschi
Michele Pastore
Renata Patrizi
Carola Peverati
Elisa Piacentini
Sonia Pico
Patrizia Pigozzi
Graziella Piola
Cristiano Pistone
Paola Poggipollini
Barbara Poltronieri
Marcello Pradarelli
Ferdinand Preka
Alessio Pulizzi
Anna Quarzi
Antonio Raimondo
Giuliana Rasi
Maurizio Ravani
Enrico Ribon
Marco Righi
Carlo Rivetti
Giorgio Romagnoni
Eileen Romano
Leone Rossatti
Gabriella Rossetti
Flavia Rossi
Guglielmo Russo
Erika Salvioli
Giovanni Sandri
Gaetano Sateriale
Erika Savaglio
Letizia Savonizzi
Laura Scagliarini
Sabrina Scanavini
Giuseppe Scandurra
Savina Scavo
Ansalda Siroli
Rodolfo Spanazza
Lidia Spano
Velleda Strozzi
Daniele Serafini
Daniela Siri
Silvia Sitta
Gianna Stabellini
Franco Stefani
Veronica Tagliati
Renata Talassi
Alessandro Talmelli
Marco Tassinari
Fabrizio Tassinati
Marisa Tassinati Cardin
Maria Antonia Trasforini
Cadia Terenzi
Enrico Testa
Ruggero Tosi
Giusi Trentini
Luciana Tufani
Alessandra Tuffanelli
Rita Turati
Leonardo Uba
Gabriella Ursino
Alessandra Vaccari
Nazzareno Valenti
Federico Varese
Gianni Venturi
Elisa Veronesi
Alessandro Vignali
Rita Vitafinzi
Natale Vitali
Vincenzo Vona
Liviana Zagagnoni
Cristiano Zagatti
Davide Zanella
Marco Zanirato
Elisabetta Zannini
Roberto Zapparoli
Giorgio Zattoni
Valentina Ziosi

La regola del mare: perché sottoscrivo l’appello per il voto a Modonesi

Quando la nave è in pericolo, anche se non si è condivisa la rotta, è saggio che tutti i passeggeri contribuiscano a ripristinare il giusto assetto. Sciocco e fatale – in quel frangente – è restare inerti a discutere con il comandate le scelte compiute. Poi, una volta ripristinate le condizioni di sicurezza della navigazione, si potrà a giusta ragione valutare come si debba orientare il timone…

Ho spesso criticato, in passato, Aldo Modonesi. Ma oggi Ferrara si trova a un bivio molto rischioso: cedere al semplificazionismo leghista, credere che i nostri problemi si possano risolvere con facili e vaghe ricette, alimentare uno scontro fra soggetti deboli e altri ancora più deboli finirà col creare una sempre maggiore disuguaglianza sociale: a trarne vantaggio sarà chi già si trova in una condizione privilegiata.

Ferrara per la prima volta è posta dinanzi alla prospettiva di una radicale svolta amministrativa. L’alternanza, in politica, è una sana prassi che spesso contribuisce a rendere dinamici i meccanismi gestionali ed evita il rischio di incrostazione clientelari e consociative. Ma chi oggi si candida al governo della città non offre sufficienti garanzie, né sul piano delle competenze, né tantomeno, su quello del rispetto dei diritti di tutti membri della comunità.
La linea politica della Lega, di cui Alan Fabbri è rappresentante, fa leva su parole d’ordine violente e su un modello di società divisivo, nel quale non si ricerca il confronto e l’intesa ma, al contrario, alla sana prassi del dialogo si sostituisce l’invettiva. Il risultato rischia di generare una città non accogliente né inclusiva, incapace di essere rispettosa dei diritti di tutti e tantomeno di tutelare i soggetti più deboli (anziani, malati, disoccupati…); propensa, semmai, a garantire proprio coloro che già godono di privilegi.

Per questo, a prescindere dai rilievi mossi all’attuale candidato del centrosinistra, volgo lo sguardo ad Aldo Modonesi e individuo in lui un politico in grado di tutelare i valori di civile e democratico confronto nei quali mi riconosco. Dunque, in vista del ballottaggio del 9 giugno per l’elezione del sindaco, ho sottoscritto l’appello in suo favore (diffuso oggi e pubblicato anche su Ferraraitalia) e invito a sostenerlo con il proprio voto tutti coloro che condividono queste mie valutazioni.
Sento il dovere di chiarire, per correttezza, che questa scelta – libera e individuale – impegna me solo e non coinvolge coloro che, a qualunque titolo, collaborano con la testata di cui sono direttore.

Nei prossimi giorni mi aspetto che il candidato dia ancor maggiore sostanza al proprio programma. Ottime idee, per esempio, sono state espresse e tradotte in concreti progetti da Coalizione civica e Azione civica, due dei soggetti che lo appoggiano al ballottaggio. L’obiettivo è definire strategie e linee d’azione in grado di favorire un forte rilancio della città. Spero anche che Modonesi decida di rendere preventivamente noti i nominativi dei componenti sulla sua eventuale futura Giunta, per rendere chiaro che accanto a lui opereranno i migliori e più qualificati esperti in ogni ambito proprio dell’amministrazione comunale, offrendo così preventiva garanzia ai cittadini di chi avrà cura della nostra città.

C’era una volta Roberto Soffritti, un bieco comunista… E Ferrara sembrava Bengodi

C’era una volta un sindaco, a Ferrara, che si chiamava Roberto Soffriitti ed era uno dei loro, cioè un bieco comunista. C’erano – e forse ci sono ancora – due schiatte sociali, i signori padroni e i lavoratori, operai e impiegati, gente da basto, da bastone e da galera, insomma il paradiso e l’inferno: dietro ogni angolo si nascondeva un assassino in camicia rossa, ora più semplicemente in scarpe da tennis, pantaloni stracciati e possibilmente telefonino incorporato. Sempre più difficile distinguere le appartenenze visto che i figli dei signori sembrano i rampolli di operai, quelli che restano, di operai dico, perché le macchine di ogni genere, piccole e grandi, semplici o complicate, manuali o informatizzate, troppo spesso pericolose e omicide, macchine che schiumano chimica e ammazzano anche chi sta più lontano, come mamme e bambini, sono diventate armi micidiali, subdoli carri armati invisibili, dissolti nell’aria e respirati a pieni polmoni.

Non è che anche allora, prima metà degli anni Novanta, quando Soffritti fu nominato sindaco in sostituzione del suo predecessore che andò a Roma, le armi micidiali e subdole non ci fossero, semplicemente non si pensava che fossero nascoste ovunque, anche nel giardinetto di casa, il veleno era diventato un sacro compagno di vita. Non era facile un terzo di secolo fa, quando ancora giravo per l’Italia su e giù, capire che oramai il problema ecologico era diventato un primario argomento politico, chi osava dirlo veniva accusato di essere un catastrofista, un disfattista, minimo minimo un pericoloso pessimista. Se gli raccontavo le macabre storie delle fabbriche in Lombardia, in Liguria, in Piemonte chiuse, falcidiate dal cancro contratto sui luoghi di lavoro, un sorriso di compatimento nasceva sui volti di datori di lavoro, di impiegati, di sindacalisti. E la gente moriva. Senza sorrisini di compatimento. “Bisogna fare la rivoluzione”, dicevo al mio sindaco, che spesso mi stava dietro le spalle, poi mi metteva una mano sulla spalla e mi diceva in dialetto: “Gian Pietro, a tiè un poeta”. E se ne andava. Inutile ricordargli ciò che scrisse Victor Hugo: “Soltanto quando governeranno i poeti ci sarà giustizia”. Ma allora tutto sembrava andare nel verso giusto a Ferrara: Farina aveva inventato le grandi mostre, celebrate e poi copiate in tutto il mondo, da Roma arrivavano i fondi per recuperare le Mura e trovare l’acqua calda nel sottosuolo, il danaro contante giungeva dalle casse gonfie della benedetta Coop Costruttori, le prebende venivano suddivise tra Pci, Psi e poi gli altri a scendere, Soffritti era molto attento alla spartizione degli incarichi, la Cassa di Risparmio s’ingrandiva fino a scoppiare, Ferrara sembrava diventata Bengodi.

Ma c’era un inghippo: i soldi finivano quasi sempre nelle tasche più note, mentre cominciavano a giungere attorno al Castello le facce straniere, gli slavi scivolavano giù dall’Est confondendosi – per il colore della pelle – con la popolazione autoctona, i ferraresi non protestavano, erano democratici i ferraresi, porca miseria se erano democratici! Tutti avevano dimenticato! Poi arrivarono le facce scure, anzi nere, e l’antico razzismo si diffuse sulle bancarelle; i negozi più popolari furono affittati a organizzazioni, sempre più forti, di venditori cinesi o bengalesi; i bar, antico crocevia di amicizie, di scambi di opinioni dimenticarono lo strascicato discorrere locale, il dialetto senza doppie, la “s” che si pronunciava “sc”: niente di male se questo disordine sociale fosse stato (e fosse) pilotato. No, i bambini appena sanno stare i piedi vengono mandati nei negozi a maneggiare frutta, di scuola nemmeno parlare, crescono così i bambini senza educazione civica e con le mani sozze. Ma la città non è un campo, non un piccolo agglomerato di case senza ordine: non erano questi i problemi ai tempi del primo Soffritti, l’errore à stato lasciare che le cose andassero avanti alla bengodi. Una nostra collaboratrice domestica un lunedì disse: “Ho portato ieri i bambini a vedere il Castello”. Meno male – ho pensato – ma era il supermercato. Bartolino da Novara, poveretto, si è rivoltato nella tomba.

Luci e ombre delle navi da crociera

Bansky, il famoso street artist inglese dal volto ignoto, ha colpito ancora. E’ sbarcato a Venezia con due recentissime opere: un murale raffigurante un piccolo naufrago che indossa un giubbotto di salvataggio e brandisce con forza una torcia segnaletica rosa e un collage di dipinti che mostrano una enorme nave da crociera che naviga sul Canal Grande, coprendo la vista della città, circondata da minuscoli gondolieri indaffarati a destreggiarsi al passaggio della pachidermica imbarcazione.
Opera, quest’ultima, rimossa in tutta fretta su intervento della polizia municipale, causa la mancanza delle adeguate autorizzazioni. ‘Venice oil’, titolo provocatorio a doppio senso – ‘oil’ in inglese significa non solo olio, ma anche petrolio – del lavoro di Bansky, è una chiara denuncia davanti ai realistici, dannosi effetti del transito continuo dei giganti del mare a contatto fin troppo ravvicinato con la città.

Due opere che sollevano interrogativi, polemiche, critiche e riflessioni su due tematiche scottanti attualissime legate indissolubilmente al mare, che infervorano e alimentano scontri ideologici: l’immigrazione e la navigazione nella città lagunare. La composizione di quadri che nella sua sequenza modulare ci fornisce un effetto d’insieme di grande impatto, raffigura una nave protagonista assoluta della scena, circondata dallo sfondo di una Venezia d’altri tempi, in cui poco rimane di Piazza San Marco e del Campanile. Per quanto riguarda la Venezia di oggi, invece, il Tar, il Comune, la Regione e il Governo stanno valutando le soluzioni più idonee per superare l’impatto ambientale della navigazione pesante a ridosso dell’abitato, le ricadute penalizzanti in termini strutturali, che essa induce in una città fragile, talmente particolare da meritare tutta l’attenzione e la risonanza del caso.

E mentre si studiano gli aspetti logistici più sicuri e percorribili che possano offrire alternative ragionevoli alla grande navigazione, l’industria turistica della crociera è in continua ascesa e il viaggio per mare è una delle scelte più ambite per una vacanza. Secondo i report Clia (Cruise Lines International Association) e Fcca (The Florida-Caribbean Cruise Association), i 9.020.000 di viaggiatori del 2000 sono diventati 23.200.000 nel 2015, destinati ad aumentare esponenzialmente in questi ultimissimi anni. Il Mediterraneo orientale rimane la prima meta scelta dai passeggeri, seguita dal Nord Europa e quindi dai Caraibi. Al primo posto in Europa, la Germania rappresenta il Paese con più richieste di imbarco, seguita dalla Gran Bretagna-Irlanda. L’Italia occupa il terzo posto. Con un giro d’affari notevole, stimato attualmente in 39,6 miliardi di dollari annui, il mercato crocieristico è diventato il tempio del lusso e del divertimento accessibile a una ormai vastissima maggioranza di fruitori, perdendo gradualmente le caratteristiche di vacanza di nicchia che lo aveva caratterizzato agli esordi, negli anni Settanta. La crociera come modalità turistica porta indotto significativo a numerosi altri settori correlati come cantieri, porti e hinterland degli scali, alloggi e ristorazione, visite e itinerari a terra, spettacolo e intrattenimento, dando lavoro a migliaia di persone con le più disparate competenze, offrendo ai giovani sbocchi professionali di non poco conto. Federica S., giovane laureata in Relazioni internazionali, lavora sulle navi da crociera come animatrice.

Qual è stato il tuo esordio in questo contesto lavorativo?
Mi sono appena laureata e volevo provare un’esperienza nuova. Non è semplice per noi giovani trovare un lavoro perché non ce n’è o comunque non c’è garanzia di continuità: niente contratti a tempo indeterminato, ma soltanto a chiamata e poche garanzie anche da parte dello Stato che non ci supporta. Ho avuto la fortuna di essere chiamata a firmare un contratto a tempo indeterminato dalla mia attuale compagnia di navigazione, una delle più grandi al mondo, dopo aver presentato il curriculum. Per un giovane che ha appena terminato gli studi è fondamentale partire da una certezza per poi realizzarsi e rafforzare conoscenze e competenze.

Quali sono gli aspetti positivi e quelli critici del lavoro sulle navi da crociera?
Tra gli aspetti positivi c’è senza ombra di dubbio la possibilità di girare il mondo, conoscere tanta gente, di approcciarti a tante culture, di praticare lingue diverse, cosa fondamentale al giorno d’oggi, soprattutto in alcune professioni, come questa. Qui siamo ben retribuiti e questo è un ulteriore incentivo per dare il meglio. Gli aspetti negativi sono tanti; è difficile stare a bordo lontani da tutto e da tutti coloro che fanno parte della nostra quotidianità a terra, della nostra vita affettiva. Sei sempre in mezzo al mare, non hai punti di riferimento, devi sempre stare all’erta 24h su 24 perché lavorare in mare comporta anche questo; se si verificano emergenze devi essere pronto a lasciare tutto e cercare di salvare la vita altrui. Ci sono anche tante responsabilità e molto spesso questo non viene capito dal passeggero. Io e i miei colleghi non facciamo soltanto animazione: alle spalle abbiamo corsi di formazione di mesi e mesi e ognuno di noi ha un compito preciso per poter salvare una vita in caso di emergenza.

Con quali criteri viene scelto il personale per i vari ruoli e mansioni?
Non è importante la nazionalità, l’appartenenza culturale, come non sono importanti altri aspetti. Importante è invece parlare almeno due lingue oltre la lingua madre, prioritario l’inglese. Il fattore età premia i giovani, verso i quali la compagnia riserva attenzione e permette la possibilità di percorrere una carriera. A bordo c’è una rappresentanza di moltissime nazionalità differenti ed è bello lavorare insieme perché impari tanto, anche quegli aspetti di culture diverse dalla nostra che altrimenti non coglieresti.

La tua attività attuale potrebbe essere il lavoro per la vita?
Sì, perché puoi crescere, non ti fossilizzi nel tuo settore, puoi diventare qualcuno all’interno della compagnia e la compagnia ti apre tutte le porte e ti offre tutti i vantaggi per formarti, approfondire, aggiornarti e migliorare: una grossa opportunità di lavoro anche per tutti quei giovani laureati che non hanno sbocchi professionali. E quello che si guadagna ti rimane perchè non è sottoposto alla legislazione tributaria in vigore nel nostro Stato dal momento che le navi battono bandiere diverse.

Enormi cittadelle naviganti illuminate nella notte, che fanno sognare gli ultimi romantici; bianchi giganti che affrontano i mari sfidando le avversità meteorologiche come un’immagine descritta da Melville; uniche rappresentanti del vero concetto di ‘viaggio’, come sostiene Erri De Luca, quando l’orizzonte è vuoto e niente intorno, per poter assaporare l’immenso. Lasciamole libere di solcare il mare, lontane da costrizioni, percorsi soffocanti, rotte e tracciati che non appartengono loro. Lontane da Venezia.

Secondo turno: mission impossible?

A guardare i numeri della grande batosta, ma anche solo ‘le facce del giorno dopo’ di tanti amici ferraresi, la partita sembra già chiusa e il ballottaggio solo una penosa quanto inutile ginnastica elettorale. Il dato più inquietante? Le 1.200 preferenze raccolte da un eroe popolare come Naomo Lodi. Il distacco tra il primo e il secondo pare davvero incolmabile: una salita più impervia di Cima Coppi. Troppo travolgente l’onda leghista; e troppi gli errori, le divisioni, le timidezze di chi da Sinistra a quell’ondata si voleva contrapporre.
Ci sarà tempo – molto tempo temo, cinque anni tondi tondi – per riflettere su quanto si doveva dire, fare, proporre ai ferraresi e non si è fatto, per ammettere di aver sottovalutato il disagio diffuso che serpeggiava in città e la profonda voglia di cambiamento dopo settant’anni di continuità nel governo cittadino, per capire fino in fondo quanto fosse assolutamente necessario mettere in campo nomi nuovi, proposte inedite e coraggiose: non una edizione riveduta e corretta del passato, ma una nuova idea di città per il prossimo futuro.

Si dirà che ben poco qui, nella piccola periferica Ferrara, si poteva fare per opporsi al vento impetuoso della nuova Destra – quasi una bufera – che ha spazzato tutto il Belpaese e in particolare il Nord d’Italia. E’ vero, ma non del tutto. Qualche cosa si poteva e doveva fare. In due parole: schierarsi non per la continuità, per la conservazione – di quanto, anche di buono, si era fatto negli anni e decenni passati – ma puntare decisamente il proprio obbiettivo sul cambiamento. Invece, un grande pezzo di città che sentiva il bisogno e la voglia di cambiare, alla fine ha trovato casa solo nello slogan assai furbo ‘Ferrara cambia’, e lì ha votato, pensando che quello sarebbe stato l’unico modo per ‘smuovere un po’ le acque’. Purtroppo dall’altra parte non c’era una proposta altrettanto chiara e radicale, ma candidati – onesti e preparati quanto si vuole – ma comunque rappresentanti della vecchia classe politica e dei governi passati. Cambiare, è ovvio, non significa di per sé cambiare in meglio. Un deciso cambio di direzione può portarci nel futuro oppure regalarci decadenza e malgoverno. Ed è precisamente questo, un pericoloso salto all’indietro, ciò che ci aspetta se, com’è probabile, Alan Fabbri uscirà vincitore al 2° turno.
Inutile però correre avanti. Oggi siamo ancora nella Terra di Mezzo. E diventa obbligatorio chiedersi se il 48,5% raccolto da Fabbri al primo turno sia davvero una quota inarrivabile e insuperabile o se Modonesi, rimasto indietro di così tanti punti, possa recuperare. Chiedersi insomma se, e come, una apparente mission impossible possa diventare possibile. Siamo nel campo dell’improbabile, del difficile, del complicato, ma è giusto ricordare che i precedenti ci sono: in qualche altra occasione, in qualche altra città, chi era in basso, chi sembrava inesorabilmente battuto, è riuscito a recuperare tutte le posizioni e a tagliare per primo il filo di lana e laurearsi Sindaco.
L’esempio più vicino a noi è quello della città di Padova, dove alle scorse elezioni comunali due liste progressiste (una a guida Pd e una grande Coalizione Civica autonoma dai partiti) erano state battute entrambe al primo turno da un Centrodestra leghista vicinissimo al 50%. Al secondo turno, e senza bisogno della Madonna o di un miracolo del locale Sant’Antonio, il Centro Sinistra uscì alla fine vincitore.

Nemmeno a Ferrara occorre un miracolo. Oppure sì, ma i miracoli bisogna meritarseli. Per risalire una china ripidissima, per rendere possibile una missione impossibile, bisognerebbe che il Centrosinistra in questi pochi giorni ‘cambiasse spartito’ – non ho scritto partito ma spartito – fosse capace cioè di parlare in modo muovo e dire cose nuove e diverse agli elettori, presentando un progetto concreto e coraggioso nel segno del cambiamento. Immagino Aldo Modonesi impegnato in queste ore a dialogare e trattare per raccogliere l’appoggio degli altri candidati sconfitti. Non credo ci riuscirà – non tutti lo sosterranno – ma anche dovesse riuscirci, non saranno operazioni del genere a consentirgli, non dico di vincere, ma nemmeno di avvicinarsi al bottino di voti raccolto da Alan Fabbri.
Cambiare registro, mettere sul piatto un disco nuovo, mi pare essere l’unica strada per farsi ascoltare da cittadini finora attratti dalla propaganda leghista e conquistare nuovi consensi. Ci si può provare in così pochi giorni? Probabilmente no, ma se non basterà per vincere, sarà comunque questo il cammino da percorrere nei prossimi cinque anni.
Non c’è ovviamente una ricetta infallibile da applicare al caso Ferrara, ma mi vengono in mente due scenari – difficili ma necessari – che potrebbero mostrare a tutti gli elettori un deciso cambio di marcia. Due fatti che potrebbero rimescolare il mazzo e magari, chissà, regalarci qualche sorpresa.

Il primo fatto, la prima mossa, deve venire dalla politica, cioè in primis dal candidato sindaco Aldo Modonesi che dovrebbe assumere alcuni obbiettivi precisi da perseguire nel prossimo quinquennio. Non semplici promesse o buone intenzioni, ma impegni concreti da realizzare nel corso del mandato e che, presi nel loro insieme, propongano un cambiamento nelle politiche fin qui attuate, un deciso cambio di passo nel governo della città. Alcuni di questi punti qualificanti sono stati già suggeriti da gruppi ed esponenti della società civile. Ne elenco alcuni: dall’impegno per la ripubblicizzazione del servizio idrico e del servizio rifiuti allo stop alla esternalizzazione dei servizi comunali, dall’allargamento e promozione di nuovi spazi della democrazia partecipata e decentrata alla costituzione di un grande osservatorio per l’occupazione giovanile e il lavoro dignitoso, dall’impegno per mettere soldi (tanti) e idee (anche) per un progetto sociale, economico e culturale per la rinascita del Gad, al rilancio della mobilità urbana pubblica, alla difesa e valorizzazione dell’ambiente, all’aumento dei servizi, specie quelli domiciliari, rivolti alle fasce deboli e alle famiglie sotto la soglia di povertà. E si potrebbe continuare: a Modonesi basterà prendere in mano e assumere come impegno di mandato almeno alcune delle idee e delle sollecitazioni elaborate dalle tre grandi assemblee civiche: Il Battito della Città, Addizione Civica e La Città Che Vogliamo.
Per marcare ancora di più questa scelta di cambiamento, lo stesso Modonesi potrebbe dichiarare già da ora che a formare la sua squadra di assessori e collaboratori non saranno funzionari, esponenti di partito membri della tradizionale classe politica dirigente, ma personalità scelte dalle fila della società civile, competenti e impegnati in prima persona in campo sociale, economico e culturale.

Intanto dovrebbe accadere qualcosa anche nel più vasto orizzonte sociale. La società civile ferrarese – tanto attiva e propositiva in questi ultimi mesi – dovrebbe ritrovare una unità di intenti che si è andata purtroppo sfilacciando e parlare con un’unica voce. Le tre grandi assemblee civiche, le decine e decine di gruppi e associazioni culturali e di volontariato sociale, i sindacati, le tante centinaia di cittadini che si sono mobilitati in queste settimane, potrebbero tutti assieme fare un appello pubblico per invitare gli elettori ferraresi a votare per cambiare la città. Ma cambiarla davvero e in meglio. Non per tornare indietro, come propone la Lega, ma per costruire insieme una Ferrara più democratica, più civile, più solidale, più moderna.
Mancano pochi giorni al ballottaggio ed è difficile pensare che possa avverarsi un cambio così radicale di prospettiva e di proposta politica. Passare dall’idea della continuità e quella del cambiamento è quasi una rivoluzione copernicana. Significa, soprattutto, attraversare il territorio dell’autocritica, un esercizio difficile, anche doloroso, che la Sinistra – a Ferrara come nel vasto mondo – ha sempre preferito evitare. Ma sarà da lì che occorrerà passare: nei prossimi 10 giorni o nei prossimi 5 anni.

I bisogni e i desideri della gente comune

da Roberto Paltrinieri

Le considerazioni sviluppate nell’articolo ‘La stella cadente’ pubblicato su FerraraItalia lo scorso 22 maggio danno l’occasione e la possibilità di sviluppare riflessioni attorno al particolare momento di vita civile e politica che stiamo vivendo, per cercare di aiutarci reciprocamente a comprendere sempre meglio a che punto siamo del cammino.
Comincio col porre una premessa, secondo il mio parere essenziale all’analisi successiva: il vero soggetto politico che muove gli attuali equilibri non è Salvini o la nuova Destra ma è la gente comune, tutte quelle persone cioè che, nell’attuale contesto sociale, non sentono di far parte di alcun movimento, partito, sindacato e che per decenni non hanno trovato un interlocutore disposto ad ascoltare il proprio disagio, paura, timore rispetto al presente e soprattutto al futuro. La desertificazione culturale e la minimizzazione dell’istanza morale portata dall’era berlusconiana unita all’allontanamento progressivo, fino all’abbandono al loro destino, di intere fasce sociali da parte della Sinistra, hanno prodotto l’incapacità delle persone di poter dar seguito ai propri desideri, ai propri progetti di vita, fino al punto in cui oggi viene sentita minacciata la soddisfazione dei bisogni fondamentali.
La precarizzazione della vita lavorativa, l’incertezza dei rapporti relazionali a ogni livello,da quelli tra Stati fino ad arrivare a quelli familiari e identitari, non può procedere così all’infinito senza provocare lo sviluppo di un malessere che vediamo oggi sorgere già nei giovanissimi in una sorta di ansia crescente nell’affrontare i problemi legati all’esistenza quotidiana.

Non siamo solamente in mezzo ad una crisi… semplicemente sta cambiando il mondo!
Si stanno modificando i linguaggi utilizzati da sempre e le forme dello stare insieme tra le persone, comprese quelle della politica. Al posto della centralità delle istituzioni tradizionali della società, scuola e famiglia in primis, c’è il centro vuoto del virtuale.
In tale sconvolgimento dove si colloca la classe dirigente dei partiti, gruppi, delle associazioni rappresentative del pensiero cosiddetto ‘progressista’ rispetto al sentire della gente comune?
Lo schema interpretativo con cui è stata letta la precarietà della situazione attuale può essere metaforicamente paragonato a una tabella a due colonne: nella prima vengono posizionati i problemi più urgenti (il lavoro, i migranti, l’Europa), nell’altra una correlativa serie di valori di ‘sinistra’ il cui costante perseguimento porterebbe specularmente alla soluzione dei problemi stessi.
Ed ecco che politiche di solidarietà sono invocate per il superamento delle emergenze legate ai flussi migratori; misure di uguaglianza per diminuire la polarizzazione sociale; il richiamo alla responsabilità per colmare il vuoto esistente tra rappresentanti e rappresentati. Che è come dire: “noi sappiamo sempre che cosa fare, dagli altri solo demagogia!”

Il problema oggi però non riguarda il che cosa, ma il come.
In altre parole si tratterebbe di analizzare come sono state attuate nel recente passato, sotto il segno di governi amici, le politiche di solidarietà, di eguaglianza di opportunità, di responsabilizzazione e di come sarebbe possibile oggi praticarle in un contesto avverso.
Cosa ha visto di tutto ciò la gente comune in questi ultimi anni?
Ha visto la solidarietà interpretata come uno stare vicino ai lontani e uno stare lontano dai vicini.
Ha visto politiche per l’uguaglianza delle condizioni socio-economiche ottenute chiedendo continuamente sacrifici al ceto medio, di coloro cioè su cui pesa la sostenibilità fiscale del nostro paese, nella più totale impunità e intangibilità dei grandi interessi di banche e potentati vari.
E tutto questo all’interno della difesa a oltranza di vecchi privilegi, di diritti acquisiti, di rendite di posizione per una classe dirigente di sinistra mai veramente rinnovata nonostante i cambiamenti di leadership.
Così, proprio all’interno dell’animo delle persone che da sempre si riconoscono unite dalla stessa appartenenza ideale, oltre che dallo stesso impegno civile, sono cominciati a nascere sentimenti contraddittori, nella misura in cui il disagio crescente ha portato ad accettare nei fatti equazioni sommarie del tipo ‘migrante uguale delinquente’, o slogan del tipo “prima gli italiani”.
E se poi da governi lontani anni luce dalla storia della sinistra arrivano paradossalmente benefici che i leader dei governi amici hanno sistematicamente sacrificato sull’altare della salute dei conti pubblici, ecco che anche dalla fila dell’elettorato progressista vediamo oggi allungare sempre più mani aperte per almeno usufruire di quei benefici ora concessi, mentre il viso si volge dall’altra parte per non vedere da che parte provengono coloro che hanno fatto questo regalo!

In politica l’ala progressista non rappresenta più il nuovo da molti anni e il miracolo lo hanno fatto gli altri: la gente comune è andata in Parlamento! In mezzo a loro non c’è nessun potente, nessun corrotto, nessun inquisito! Anzi rinunciano anche alla loro indennità di parlamentare, mentre casomai sui nostri cellulari arrivano immagini di quel politico della nostra parte che ha accumulato due o tre pensioni o che ha un reddito per la maggior parte di noi inarrivabile.
Troppo facile invocare il populismo anche se le cose ovviamente non stanno proprio in questo modo, ma è così che viene generalmente percepito e, cosa ancor più grave, sembra che nessunofaccia nulla: nessun segnale di vera rottura con il passato e di novità verso il futuro, per far diminuire tale percezione.
Penso che anche a livello locale chi si candida a governare una città, non possa fare a meno di prendere molto sul serio quello che la gente comune sente. Riprodurre un aggiornamento del solito schema a due colonne – di qua i problemi, di là le nostre soluzioni – per quanto alta sia la loro ispirazione etica, porterebbe ancora una volta a non essere capiti. Non basta più il credere di stare dalla parte giusta, continuare ad avere la stessa fede politica o religiosa che sia, nel cambiamento. La strada da percorrere, a mio modesto avviso, è suggerita da una frase del giudice ragazzino Rosario Livatino: “L’essere credenti appartiene ad un grande mistero e che sappiamo tutti essere un dono; quello che ci è chiesto oggi è di essere credibili!

E torniamo cosi ancora al come.
Una politica coraggiosa che parta dalla realtà, senza approcci ideologici, ma senza anche l’appiattirsi su di essa, dando le risposte che si riesce a costruire insieme a tutti, concrete e condivise il più possibile. Dove prima di chiedere sacrifici, li si fa in prima persona rinunciando a diarie, privilegi, immunità e benedizioni varie.
E’ questo ‘come’ che Salvini ha interpretato e tradotto in un linguaggio compreso da tutti come vicinanza.
Questo è il significato dell’oramai famoso rosario agitato a scopi elettoralistici e che ha lo stesso significato della studiata presenza del ministro sui social: “Sono uno di voi, ho i vostri stessi bisogni, datemi il vostro voto e realizzerò i vostri desideri”.
Tutto si basa sulla realizzazione concreta di quello che si è promesso, o almeno sulla sua rappresentazione e percezione visiva sui media.
Come del resto poi aveva già fatto Berlusconi, Salvini vuole agire su un piano diverso, si rappresenta come un politico diverso. A Salvini non interessa nulla della profondità dell’appello dei missionari Comboniani, degli articoli di Civiltà Cattolica; nulla dell’indignazione di alcuni rappresentanti delle organizzazioni del volontariato solidale, né di quella di autorevoli esponenti di associazioni culturali; nulla della perplessità e preoccupazione dei principali rappresentanti delle istituzioni europee.
Il prezzo che stiamo pagando per tale impostazione è altissimo perché paradossalmente, come disse Humberto Maturana, non i giovani ma gli adulti sono il futuro. Nel senso che il futuro dei giovani dipende dalla responsabilità degli adulti. E se oggi il mondo che stanno preparando gli adulti è quello rappresentato dalla narrazione salviniana quale significato avranno domani parole come solidarietà, accoglienza, responsabilità?
Quale tipo di humanitas vogliamo lasciare in eredità?
Ricordando gli affreschi del ‘Buon Governo’ di Ambrogio Lorenzetti al Palazzo Pubblico di Siena, penso che la risposta a questa domanda ognuno di noi possa e debba trovarla nella decisione di legarsi spontaneamente a tutti gli altri per procedere così quanto mai lontano dalla tentazione sempre presente del potere, e lungo la via, pur difficoltosa e a volte controversa, che porta al bene comune.

Fabbri a un passo dall’investitura, il fanatismo e l’intolleranza della Lega fanno paura

La notte si fa buia. Le elezioni sono andate come si temeva e diversamente da come invece auspicava chi a cuore ha l’interesse collettivo e la concezione di una comunità solidale, aperta al confronto, accogliente, non rinserrata in se stessa. A Ferrara, Alan Fabbri si è fermato a un passo dallo storico successo, ha raccolto circa 36mila voti e gliene sarebbero bastati altri 1.500 per diventare sindaco al primo turno. E’ velleitario pensare che in 15 giorni la situazione possa essere ribaltata. Per Ferrara dunque si profila un’inedita stagione politica in cui le tradizionali forze di governo (che tali sono nelle istituzioni di diretta emanazione municipale e in quelle in qualche modo condizionate o comunque riflesso del potere) dovranno farsi da parte per lasciare spazio a una nuova classe dirigente, che preanuncia una decisa svolta. Ciò che accade, in sé è effetto di una sana dinamica democratica che si basa sull’alternanza, garantisce il ricambio dei gruppi dirigenti e delle lobby che ruotano attorno al Palazzo, evita l’incrostarsi di insane abitudini e il sedimentarsi di improprie rendite di posizione. Ma nutriamo molte riserve sulle competenze dei nuovi governanti e sugli indirizzi politico-amministrativi che intendono perseguire. E più ancora spaventano le parole d’ordine della Lega, spesso pronunciate con virulenza e in forma di invettiva, le ostentate e ripetute esibizione muscolari, il fanatismo, l’intolleranza, la mancanza di rispetto per chi la pensa in modo diverso. Però, a voler vedere la situazione anche sotto una differente prospettiva, in una comunità di medie dimensioni come Ferrara, è plausibile (e auspicabile) che, aldilà degli eccessi propagandistici, nei fatti si possa giungere ad accettabili livelli di convivenza. E lo choc – in tal senso – potrebbe risultare salutare per chi, in parte, ora mostra di avere esaurito ‘la spinta propulsiva’ e smarrito l’ingegno che dovrebbe esser proprio del grande timoniere. Ma ciò avverrà solo se i vincitori mostreranno ragionevolezza e gli sconfitti sapranno seriamente riflettere sugli errori e sulle cause della disfatta, cominciando da subito a definire un percorso di ripartenza nutrito di grandi idee, coraggiosi e innovativi progetti, senza sprecare energie in sterili polemiche, in futili rivendicazioni o in stucchevoli faide interne.

Diverso è il ragionamento se si considera la prospettiva sul fronte del voto europeo e dei conseguenti risvolti nazionali. Sono in molti a ritenere che il governo si trascinerà fino all’autunno, quando – acclarata l’impossibilità di varare una finanziaria che non implichi lacrime e sangue – Lega e Cinquestelle scioglieranno l’unione e si sfideranno per la resa finale dei conti.
Al riguardo, personalmente, penso invece che – forte dell’esito di questo tornata – Salvini forzerà presto la mano, cercando il ‘casus belli’ per tornare presto alle urne, sfruttando un vento che si è rivelato ancora più favorevole del previsto, per anticipare la prevedibile tempesta di sabbia del caldo autunno politico. Il leader del Carroccio potrebbe, fin d’ora, puntare su un’alleanza con Fratelli d’Italia, senza Berlusconi e quel che resta di Forza Italia, confidando sul meccanismo elettorale confezionato da Renzi, che garantisce con il 40% dei consensi il controllo della maggioranza del Parlamento. Se l’operazione riuscisse, un’estrema destra di governo incardinata nell’asse Lega – Fratelli d’Italia (partito che accoglie molti reduci o epigoni dell’ex Msi) svolgerebbe i compiti istituzionali, con l’ausilio dei facinorosi di Casa Pound e Forza Nuova, un passo a lato, formalmente fuori dal perimetro dell’intesa parlamentare, ma pronti ad attivarsi nelle piazze e sul terreno della movimentazione sociale. Una prospettiva inquietante, sotto un cielo dominato dalla luna nera.

PER CERTI VERSI
Il vuoto del tempo

Ogni domenica Ferraraitalia ospita “Per certi versi”, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio, all’interno della sezione “Sestante: letture e narrazioni per orientarsi”.

IL VUOTO DEL TEMPO

Solo tra noi cogliamo il vuoto del tempo
E quel senso da astronauti
Che assimila il nostro gentile andare precipitando senza gravità
Senza peso
Rimanere in un abbraccio illeso
Tra le onde
Di un disco di Newton
E tutti i colori negli occhi della luna
che atterraggio
Con la folle leggerezza di un paggio
Alla corte severa del re
Non ci sono paragoni
È un raggio arcobaleno color lavanda

OGNI ATTIMO

Ogni attimo che rubiamo
Al tempo indifferente
Diventa nostro
E ci parla
Ci cattura
Gettandoci
Nella libertà
Più pura
In un crocchio
Di limonaie
La Cabala che ci saluta
Per la partenza
Di una donna
Di un uomo
All’inizio della genesi
Della vita
Che ci scorre
Che accorre
Che ci salva
Dietro al pericolo

VERSO LE ELEZIONI: IL DIBATTITO
Firrincieli, Fusari e Modonesi su bilancio, beni comuni e servizi pubblici

A cura di Sergio Gessi e Francesco Monini

– seconda parte –  leggi qui la prima parte del dibattito

Abbiamo invitato nella redazione di Ferraraitalia i candidati a sindaco del centrosinistra per rivolgere loro alcune domande. Andrea Firrincieli, Roberta Fusari e Aldo Modonesi hanno gentilmente accolto l’invito. Solo Alberto Bova ha declinato l‘invito, ritenendosi equidistante tra i due schieramenti in campo a Ferrara.

FRANCESCO MONINI
10 anni fa, appena eletto, il sindaco Tagliani ha trovato nelle casse 160 milioni di debito, al termine del secondo mandato il debito si è praticamente dimezzato, 80 milioni se non erro. Sembra un risultato ottimo, ma intanto abbiamo perso circa 200 posti nell’Amministrazione Comunale e nel 2019 ne perderemo un altro centinaio con quota 100. Siamo quasi a limite: tutti dicono che se scendiamo sotto la soglia dei 1.000 dipendenti, la macchina comunale si inceppa.
Intanto molte famiglie sono scese sotto la soglia di povertà. Colpa naturalmente della ‘Grande Crisi’ che ha portato, anche a Ferrara, impoverimento, disagio, malessere sociale. Allora voglio farvi qualche domanda scomoda. Non si è guardato troppo alla riduzione del debito? Non si è introiettata, anche nelle scelte della politica locale, una specie di ‘ossessione del debito’? C’erano certo da rispettare i vincoli rigidi dettati dall’Europa e dai governi romani, ma la politica della riduzione del debito non ha avuto un carattere depressivo sull’economia ferrarese e, soprattutto, non è stata pagata a caro prezzo dalle fasce deboli della società?
Cosa immaginate per il prossimo futuro? Pensate a una Ferrara che ricomincia ad allargare la borsa del bilancio comunale o il debito deve essere ulteriormente ridotto? Immaginate una città risparmiosa o che dovrà investire di più sui servizi?

ANDREA FIRRINCIELI
Una Ferrara risparmiosa? La risposta è abbastanza scontata: non può esserlo, perché sappiamo bene che risparmiare è un qualcosa che non porta sviluppo, non porta a nulla. Noi dobbiamo cercare di rendere la città più attrattiva. Dobbiamo cercare di fare delle spese più oculate e strategiche, investire nei settori che possono dare un ritorno importante: l’obbiettivo deve sempre essere puntato al benessere sociale e individuale. Il Bilancio Comunale è una leva importante, ineliminabile, ma dobbiamo cogliere tutte le occasioni, utilizzare al massimo quello che ci può venire dall’Europa, partecipando di più e meglio ai bandi europei.

ALDO MODONESI
Io parto dal bilancio, perché bisogna pur sempre partire da lì. Nel senso che le regole di bilancio ci sono, valgono per questa legislatura e, a parte le modifiche normative, valgono anche per la prossima. E sono molto semplici oggi per gli enti locali, un po’ meno per lo Stato che invece si è tenuto dei margini diversi. La regola è semplice: oggi sulla parte corrente tanto incassi tanto spendi. Ci deve essere una quadratura di questo tipo. O aumenti le entrate, cioè aumenti le tasse, cosa che non abbiamo fatto fino ad ora e a me non interessa fare in futuro, o devono aumentare i trasferimenti statali, e in questi anni sono invece sempre andati a calare per le Amministrazioni Comunali.
Terza possibilità: bisogna fare un lavoro sulle uscite, che in questi anni abbiamo fatto lungo due direzioni. La prima obbligata perché il blocco del turn-over, quindi i risparmi sul personale ci sono stati imposti. Nel momento in cui c’è stata la possibilità di fare nuove assunzioni le abbiamo fatte. Penso che siano decine e decine i ragazzi e le ragazze nuovi assunti, non solo vigili o educatori, ma tanti negli uffici tecnici, sia del mio settore che nel settore di Roberta. La seconda direttrice di marcia: tenendo sotto controllo il debito siamo passati da 160 milioni a 80 milioni di deficit, ma abbiamo comunque continuato a fare investimenti: 250 milioni per l’esattezza, di cui solo 5 coperti da un mutuo. Vuol dire che gli altri 145 erano soldi o di parte corrente o oneri di urbanizzazione, o contributi che ci venivano dalla Regione per la programmazione europea o per il sisma, o contributi che ci venivano dallo Stato… Che significa aver ridotto il debito da 160 a 80 milioni? Significa che anziché pagare 16 milioni all’anno di rata più gli interessi, oggi ne paghiamo 8. Vuol dire che abbiamo liberato 8 milioni di euro freschi da spendere: un po’ in servizi e un po’, purtroppo, per colmare le minori entrate che ci venivano dallo Stato.
Ecco, bisogna continuare così. Bisogna continuare ad investire. Lavorare sulle capacità di progettazione della macchina comunale. Perché se ottieni tutta questa mole di finanziamenti esterni vuol dire che fai dei bei progetti, vuol dire che vinci dei bandi, vuol dire che quando ci sono delle occasioni di finanziamento vieni premiato, che si tratti di piste ciclabili, di piano periferie, di riqualificazione di spazi, eccetera. Spendere in servizi è il modo per me per dare risposte ai bisogni.

SERGIO GESSI
Parliamo allora di servizi. Di priorità e di precedenze. Lo slogan della Lega è “prima gli italiani”, che a Ferrara si traduce in un “prima i ferraresi”. Vi sta bene un simile criterio?

ALDO MODONESI
Parliamoci chiaro, noi non condividiamo quello slogan. Che non ci porta da nessuna parte, che è stupido oltre ad essere sbagliato. A fronte di una società che è cambiata, sono cambiati anche i bisogni: sia per quanto riguarda gli anziani, la casa, i servizi educativi… La risposta della Lega è: prima gli italiani. Bene, ma vediamo cosa succede nella pratica. Ci sono, ad esempio, 250 bambini in lista di attesa? Cambiamo i criteri: chi era ultimo va avanti, chi era penultimo diventa ultimo, ma sempre 250 rimangono in lista di attesa. Con questo slogan non risolvi un problema di tensione sociale, lo vai ad acuire, perché crei nuovi penultimi e nuovi ultimi. Io invece dico: prima chi ha bisogno. E ai bisogni si risponde non con una delibera che cambia o ribalta i criteri di accesso, ma si risolve solo in un modo: con più offerta. Con più sezioni di asili nido, con più educatrici che vai ad assumere, con un aumento delle convenzioni dei posti nido con il privato sociale.
I bisogni degli anziani, dei disabili, dei più deboli li risolvi anche in questo caso con maggiori servizi. I bisogni della casa li risolvi con un maggior numero di appartamenti. Sono 600 gli appartamenti dell’Acer oggi non utilizzati a Ferrara. Con 3.600.000 Euro si possono sistemare e le persone in lista di attesa sono 650.
Sugli anziani, per non eludere la domanda specifica che avete fatto, io penso che oggi ci sia necessità, da un lato di immaginare una diversa organizzazione dei servizi soprattutto legata alla domiciliarità, perché ha ragione Andrea Firrincieli a ricordare che a Ferrara oggi gli anziani sono tanti e sono soli e bisogna potenziare i servizi domiciliari. Altra cosa: ci vuole una rete territoriale, perché questi anziani soli, nella stragrande maggioranza dei casi, abitano nelle frazioni, nei quartieri periferici. Una rete territoriale che sia una rete territoriale di supporto. Noi abbiamo lanciato questa idea dell’‘infermiere di comunità’, che è una figura di riferimento che copre 3/4 frazioni in stretto contatto con i medici di famiglia e con le strutture sanitarie

ROBERTA FUSARI
Sono d’accordo con Aldo, perché si fa presto a parlare, ma nei fatti la capacità di essere attivi e operativi bisogna misurarla sul serio. Allora l’abbattimento del debito è servito per liberare risorse per i servizi. Il lavoro fatto è stato impegnativo e ha colmato quella misura oltre la quale non è più tanto utile proseguire. Liberare quel debito, quei milioni è stato utilissimo perché si sono liberate risorse ordinarie annuali da poter utilizzare sui servizi alle persone.

FRANCESCO MONINI
Vuoi dire che l’imperativo della riduzione del debito non sarà più così imperativo: occorrerà ridurre ancora, magari passare da 80 a 40 milioni?

ROBERTA FUSARI
No perché l’efficacia di quanto è già stato abbattuto in ritorno economico da fornire sui servizi è stato molto alto. Non avrebbe la stessa efficacia passare da 80 a 40. Quindi alla domanda precisa: si continua in quel modo? Non avrebbe più tanto senso continuare in quel modo. Sapendo però che non si deve tornare indietro e ricominciare a fare mutui.
In un contesto di scarsità di risorse gli amministratori devono saper scegliere. Allora facciamo le scelte su come investire, su che tipo di investimenti fare, quali mutui conviene fare, quali sono i servizi necessari. Partendo dal presupposto che il mutuo è l’ultima delle scelte. Perché le risorse prima vanno trovate in altri contesti.
Né si può pensare di risparmiare soldi contenendo i servizi pubblici. Sono un baluardo, un presidio. Parliamo tanto di vicinanza delle persone, presidi sociali, attenzione agli anziani, alle loro fragilità, necessità di fare rete, avere dei punti di vicinanza. I servizi pubblici, proprio perché gestiti dal pubblico, sono dei presidi. E allo stesso tempo sono quei servizi pubblici che consentono di alzare il livello anche di quelli privati. Tra l’altro fa impressione pensare che da anni sul tema degli anziani ci siano dei servizi che il pubblico non riesce ad offrire e possono diventare delle occasioni di lavoro anche per i privati. Penso ai casi che si vedono anche a Milano, a Torino, occasioni di lavoro giovanile per cui: la portineria di quartiere, che è un punto di riferimento per tutte le famiglie, per gli anziani, per fare tutta una serie di cose, gestita da giovani diventa occasione di lavoro per i giovani e presidio sociale per le persone anziane che ci vivono. Quindi non sto dicendo ‘solo pubblico”. Io dico pubblico e anche privato. Sto dicendo però che la qualità dei servizi pubblici, dalle scuole alle farmacie, quel tipo di servizi detta, come è sempre stato anche qui a Ferrara, il livello qualitativo a cui devono tendere anche i servizi gestiti dal privato.
Sul tema degli anziani c’è tutto il tema della fragilità. Si diceva anche al fatto che vivono in un territorio ampio, nelle frazioni anche difficili da raggiungere e quindi come il welfare deve avvicinarsi a loro e non pensare che siano sempre loro a dover venire, a dover avere un riferimento. Ma anche, un tema che non abbiamo mai toccato, come il numero. Le persone anziane sono molto numerose, sono fragili, ma anche un valore enorme, perché hanno una esperienza incredibile, del tempo, che non è cosa da poco, è molto prezioso e una capacità di trasmettere ai più giovani tutta l’esperienza che hanno accumulato. E quindi capire come valorizzare le persone anziane anche in un contesto in cui si trasmette l’esperienza e la capacità accumulata durante una vita di lavoro, penso a certe capacità artigiane, certe capacità di fare, diventa secondo me molto interessante proprio in un’ottica di valorizzare anche le persone anziane che non sono solo fragili e hanno bisogno di servizi, ma c’è anche molto di più.

FRANCESCO MONINI
Beni comuni. Novembre 2017 scaduta la concessione a Hera per la gestione dei rifiuti; nel 2024 scadrà quella per il servizio idrico. Come affrontare a Ferrara il tema dei beni comuni e della costruzione di una gestione in-house direttamente pubblica?

ROBERTA FUSARI
Io credo che l’amministrazione pubblica debba garantire la salute. Il tema della qualità dell’acqua, del miglioramento delle infrastrutture esiste, quando parliamo di acqua dobbiamo fare i conti con le nostre reti e le perdite che ci sono. Il tema dei rifiuti, di come riuscire a ridurne la produzione, di come gestirli al meglio, di come riuscire a creare economia circolare sulla raccolta differenziata e di come far sì che vengano gestiti nel modo più opportuno e attento. Allora premesso che l’amministrazione debba garantire ai cittadini una informazione e una trasparenza completa: resta molto da fare su questo punto, per far sì che tutti noi cittadini sappiamo esattamente che fine fanno i materiali che differenziamo e l’impatto che la raccolta differenziata produce. Detto questo poi capiamo cosa vuol dire rinnovare quei servizi e capire chi è il gestore migliore: se è una società esterna o una struttura pubblica. Da un lato i beni pubblici debbano essere considerati tali, dall’altro ci deve essere una capacità di fare investimenti, per esempio sulle reti, che il pubblico non sempre ha.

ALDO MODONESI
Penso che questo tema vada affrontato senza filtri ideologici, né dal punto di vista che il privato è meglio, né dal punto di vista che è meglio il pubblico. Va affrontato dal punto di vista della gestione di un servizio ai cittadini, valutando in maniera puntuale i pro e i contro di qualsiasi tipo di modello. Quello che si è provato a fare pur alla fine della legislatura con il tema della gestione dei rifiuti senza un grande successo, proprio perché probabilmente era la fine della legislatura, con un controllo partecipato. Se in giro per l’Italia ci sono altre esperienze queste esperienze vanno verificate. Vanno valutati i pro e i contro sia dal punto di vista della gestione dei servizi che della gestione di un controllo patrimoniale. Alla fine stiamo parlando di beni comuni che sono un patrimonio di tutti noi, sia da un punto di vista della gestione economica e di un quadro di efficienza. Alla fin fine devo comunque dire – perché è così – che alla gestione attuale riconosco più meriti che difetti. Il che non vuol dire che ci siano solo meriti, ma che questi sono comunque superiori ai difetti.

ANDREA FIRRINCIELI
Riguardo al bene comune mi riallaccio a quanto detto da Aldo, in quanto al di là dell’aspetto patrimoniale e ovviamente all’aspetto etico morale legato a quel concetto, credo che sia fondamentale in questi casi essere molto umili e cercare di capire. Dalle realtà che ci circondano, dalle altre città, dalle altre esperienze quale sia la scelta più idonea per arrivare a un risultato positivo per la gente, considerando il bene comune. La ricaduta positiva deve essere sul cittadino.

FRANCESCO MONINI
In un ipotetico secondo turno, chi di voi tre avrà più voti, avrà da parte degli altri due appoggio o no?

ALDO MODONESI
Questo dibattito rende evidente che ci sono due diverse idee della città. Una che, con tutte le sfumature del caso, è rappresentata da me, da Andrea e da Roberta e io non ho dubbi che sulle questioni fondamentali la pensiamo assolutamente nello stesso modo. E poi c’è una visione diversa che è quella rappresentata dalle posizioni populiste del centrodestra. Io penso che si debba lavorare per tenere unito un territorio, tenere unita una comunità, dare risposte ai bisogni e non invece lavorare per separare, far leva su quelle che sono le paure, per far leva su ciò che divide e non su ciò che unisce. Se a questa cosa ci si aggiunge una evidente inesperienza e non conoscenza dei problemi della classe politica che mira a governare questa città, qualche elemento di preoccupazione, anche forte, ce l’ho. Non ho dubbi che in un secondo turno ci sia lo spazio per mettere insieme le persone, le idee e le forze che si sentono alternative a questa pericolosa idea di città.

ANDREA FIRRINCIELI
Devo dirlo in tutta onestà: mentre il percorso di Aldo e di Roberta ha un’impronta politica, parlo degli ultimi dieci anni e più in generale di un’esperienza vissuta nelle giunte e nei partiti, la mia è una figura nuova che si è stagliata all’orizzonte quasi per caso. Io ero stato chiamato inizialmente dal Pd come candidato esterno. Ma di fronte a uno dei paletti che ho posto per accettare e poter operare nel segno del cambiamento – indisponibilità ad accettare figure in continuità con il passato – è stata fatta una scelta diversa io, per coerenza se non dovessi arrivare al ballottagio lascerò libera la mia lista e i miei elettori di votare secondo coscienza.

ROBERTA FUSARI
L’avversario è la destra e io conto di vincere al primo turno, quindi non mi pongo il problema di cosa succede dopo.

VERSO LE ELEZIONI: IL DIBATTITO
“Così governerei Ferrara”: Modonesi, Fusari e Firrincieli a confronto

A cura di Sergio Gessi e Francesco Monini

– prima parte –

Abbiamo invitato nella redazione di Ferraraitalia i candidati a sindaco del centrosinistra per rivolgere loro alcune domande. Andrea Firrincieli, Roberta Fusari e Aldo Modonesi hanno gentilmente accolto l’invito. Solo Alberto Bova ha declinato l‘invito, ritenendosi equidistante tra i due schieramenti in campo a Ferrara.

SERGIO GESSI
Vi ringraziamo per la disponibilità a questo confronto. Il dibattito elettorale è vivo e siamo ormai alle ultime battute, ci è parso opportuno e necessario sollecitare alcune riflessioni mirate su punti che consideriamo rilevanti, in modo da fornire agli elettori alcune risposte più precise e concrete, al di là dei valori e delle idee che stanno alla base dei programmi che ciascuno di voi ha elaborato.

FRANCESCO MONINI
La prima domanda che vi farei è questa. Il dibattito impostato dalla destra e da Alan Fabbri si è concentrato sul tema della sicurezza. Quali sono le tre priorità per Ferrara che vi sentite di indicare? Convenite che la sicurezza sia il problema fondamentale, il più sentito dai cittadini, oppure se ci sono temi più importanti, più decisivi su cui puntare, su cui porre l’attenzione?
Infine: tutti dicono che, per la prima volta, il governo di Ferrara è ‘contendibile’, e potrebbe toccare alla destra? Che ne pensate?

ROBERTA FUSARI
Le mie priorità: 1) Ambiente che vuol dire anche Salute; 2) Economia che vuol dire Lavoro; 3) Partecipazione che vuol dire un modo diverso di rapportarsi dei cittadini tra loro e con l’Amministrazione, e viceversa naturalmente.
La sicurezza non è sicuramente tra le mie priorità. Anzi, affrontare le tre priorità che dicevo e dando risposta al tema dell’ambiente, del lavoro e della partecipazione per me significa rispondere anche al tema della sicurezza. Agitare il tema della sicurezza come fa la destra significa solo fare vuota propaganda.
Certo, anche nella nostra città, nella nostra comunità, i cittadini vogliono sicurezza, ma occorre affrontare il problema in modo serio e articolato e andando nel merito dei problemi, delle situazioni, proporre soluzioni concrete, caso per caso. Non basta scandire slogan come fa la destra di Alan Fabbri.

ALDO MODONESI
Vorrei fare alcune considerazioni sulla contendibilità di Ferrara. Io penso che non ci sia un comune in Italia che oggi non sia contendibile. E questo accade da almeno una decina di anni a questa parte, a causa di tanti fenomeni, compresa una estrema volatilità dell’elettorato. Quindi penso che il tema della contendibilità ci sia anche in queste elezioni amministrative, c’è a Ferrara come nel resto dei comuni che vanno al voto anche in questi mesi. Non bisogna essere preoccupati di questa sfida, anzi bisogna essere consci della situazione e trovare ancora più stimoli rispetto a quelli ai quali eravamo abituati nelle tornate elettorali precedenti.
Se devo descrivere la mia città in estrema sintesi, penso che Ferrara abbia due problemi:
Il calo demografico. Una città in cui nascono 750 bambini e muoiono 1.900 persone è una città che se non immagina per se stessa delle politiche di medio e lungo periodo è destinata ad implodere nel giro di qualche decennio.
Il secondo problema è un problema di natura ambientale. Guardiamo al cambiamento climatico che riguarda il nostro territorio: erano 3 forse 4 mesi che non pioveva: il livello del Po fino a 15 giorni fa era più basso di quello medio dei mesi estivi. Ci si aggiunga anche la situazione particolare geografica della nostra città e del nostro territorio: siamo in fondo alla valle padana e quindi serve non solo curare quello che produci ma guardare anche a tutto quello che viene prodotto a monte, che ti arriva via terra, via aria, via acqua, via sotterranea.

MONINI
Dunque, calo demografico e questione ambientale. Quali risposte mettere in campo?

MODONESI
Ci sono due sole risposte a questo tipo problemi.
La prima si chiama lavoro: aumentare la capacità attrattiva del nostro territorio. Vuol dire invogliare gli studenti universitari a fermarsi, vuol dire attivare politiche serie ed efficaci di integrazione per i nuovi cittadini, quali essi siano, migranti extracomunitari, cittadini europei, o anche solo persone che decidono di spostarsi da una parte della nostra provincia per venire in città. Vuol dire dare le sicurezze giuste e necessarie per mettere su famiglia.
L’altra risposta è la riorganizzazione dei servizi. La riorganizzazione dei servizi socio-sanitari, politiche educative e per la famiglia, politiche di accesso alla casa, una modifica della politica dei trasporti in modo da ridurre le distanze tra il centro e le periferie, tra le generazioni, tra le professioni. Questo, preso tutto insieme, vuol dire immaginarsi un welfare di comunità diverso, che dia opportunità a chi cresce e certezze a chi invecchia.

ANDREA FIRRINCIELI
Per me la prima priorità è il benessere della persona. Per benessere della persona si intende tutto quello che include la sanità, la salute, l’ambiente. Basta sfogliare i giornali e si capisce come la situazione stia lentamente, ma neppure tanto lentamente degradando. Sull’obbiettivo persona e il suo benessere occorrono iniziative efficaci e urgenti
Poi c’è il tema dell’economia, del lavoro. Occorre rendere più attrattiva la nostra città e legare in maniera più forte il momento dell’istruzione al momento del lavoro. L’integrazione scuola-lavoro spesso viene vissuta come un momento di passaggio, senza darle il peso e il significato che deve avere se vogliamo migliorare la situazione attuale.
Il benessere sociale, la possibilità per tutti di vivere insieme in modo armonico e positivo, dipende soprattutto dai presupposti che ricordavo: la cura del benessere della persona e lo sviluppo dell’integrazione scuola-lavoro. Per mettere mano a tutto questo dobbiamo partire prima di tutto dalle famiglie, dar loro un sostegno maggiore. Anche i protocolli sul bullismo e il cyberbullismo, i protocolli contro la violenza sulle donne e gli abusi ai minori, alla fine sono troppo spesso scollati da quella che è la ricaduta sulle famiglie. Io ho percepito, avendoci lavorato per tanti anni, che tra quello che si vorrebbe fare e quello che in realtà viene fatto c’è una distanza abissale. C’è un problema enorme che è quello della violenza familiare che non si riesce a gestire, come pure il dramma delle truffe agli anziani. In una città sempre più vecchia come Ferrara, chi si occupa degli anziani? Lo facciamo troppo poco. Dobbiamo farlo molto di più e meglio.

MONINI
Vorrei sentire il tuo parere sul tema sicurezza

FIRRINCIELI
Sulla sicurezza, che nemmeno io considero la priorità, dobbiamo però ascoltare attentamente i cittadini. Non possiamo raccontarcela: se uno va a parlare con le persone sente che esiste ed è diffuso un allarme sicurezza. Allora c’è da chiedersi come mai improvvisamente la gente percepisca così questa situazione anche in assenza di episodi di criminalità diffusa. Perché siamo arrivati a questo punto? Se non partiamo da questa domanda, se non ci mettiamo in ascolto, non potremo risolvere il problema.
Tornando al benessere sociale, lasciando da parte l’integrazione, intendo anche la cura di qualcosa di fondamentale. Perché è vero che i nostri indici demografici sono in calo, ma è vero che ci dobbiamo curare di quello che abbiamo. Nelle famiglie dobbiamo mettere mano, dare loro un contributo importante. Non dobbiamo fare in modo tale che tutte queste iniziative di enti e di organizzazioni rimangano sulla carta: i protocolli sul bullismo e il cyberbullismo, i protocolli contro la violenza sulle donne e gli abusi ai minori, alla fine sono troppo spesso scollati da quella che è la ricaduta sulle famiglie. Io ho percepito, avendoci lavorato per tanti anni, che tra quello che si vorrebbe fare e quello che in realtà viene fatto ci sia una distanza abissale. E quindi c’è un problema enorme che è quello della violenza familiare che non si riesce a gestire, le truffe agli anziani. Visto che abbiamo un calo demografico e il numero degli anziani aumenta, perché non ci preoccupiamo di loro? Chi è che si occupa di loro? Noi continuiamo a leggere di questi anziani che hanno 3.000 euro da parte, i soldi del funerale e improvvisamente spariscono.

MONINI
Aggiungo una considerazione. L’ultima ‘grande idea’ per Ferrara è quella di “Ferrara città d’arte e di cultura”, lanciata quasi 30 anni fa da Roberto Soffritti , sindaco di Ferrara per 16 anni e che qualcuno ricorda come ‘il Duca’. Grazie anche al ‘maestro’ Franco Farina, a Paolo Ravenna, a Carlo Bassi e tanti altri, è stata una grande intuizione, una idea che ha avuto successo e che ancora oggi da i suoi frutti. Certamente Ferrara ha fatto dei passi in avanti: sul turismo e l’indotto del turismo, il recupero del centro storico, Abbado al Comunale, le grandi mostre, eccetera. Oggi però molte città hanno seguito la stessa strada, Ferrara ha tante concorrenti: non sto parlando di Venezia o Firenze, ma della stessa Rovigo…

GESSI
Siamo nel terzo millennio. Forse occorre una nuova idea forza. Quale considerate essere la precipua vocazione di Ferrara e come immaginate la città nel 2030?

FUSARI
C’è la necessità di avere una visione d’insieme. Io sono venuta a Ferrara nel ’91 quando non c’erano neppure le Mura. Credo che occorra partire proprio dalla specificità del territorio ferrarese, dal nostro non essere – e io dico per fortuna – sulla via Emilia, una posizione che da un certo punto di vista ha consentito di preservare questo territorio e che da sempre è stato letto invece come un punto di debolezza. Ora è venuto il momento di trasformare questo punto di debolezza in quello che veramente è: un valore. Noi abbiamo una caratteristica territoriale, un valore riconosciuto addirittura dall’Unesco, città e Delta del Po, e un territorio straordinario. Allora la vocazione del futuro, questa città nel 2030, è accettare un’altra sfida come fu allora quella di 30 anni fa. Fare di Ferrara la capitale del verde europea. Capitale europea del verde quest’anno è Oslo, il prossimo sarà Lisbona. Lavorare su quello significa darsi una strategia per poter arrivare a questo obiettivo. Dobbiamo darci una strategia sulla sostenibilità, quindi intendo il termine ‘verde’ nel senso più ampio, una sostenibilità intesa non solo come ambientale ma anche economica e sociale. Una strategia comune da perseguire tutti assieme, ognuno nelle sue peculiarità: istituzioni pubbliche, privati, associazioni di categoria, università. Una strategia per far sì che il nostro territorio non sia più il fanalino di coda dell’Emilia Romagna. E la prima ricaduta pratica per noi cittadini, se lavoriamo sull’ambiente è avere più salute per tutti.

GESSI
Stai sostenendo come priorità la scelta della green economy? E come si finanzia un passaggio epocale del genere?

FUSARI
Se seguiamo questa strada, d’ora in poi, sempre di più la green economy e l’economia circolare saranno settori che porteranno lavoro. Nuovi settori, nuovi mestieri, nuova occupazione. Per affrontare il cambiamento climatico e la promozione della green economy sicuramente servono risorse extra bilancio comunale, ma l’Europa da tempo finanzia questo tipo di interventi. Dobbiamo lavorare su questo tema e con questo obbiettivo. Poi: diventiamo capitale europea del verde? Sì, no, non importa. Lavoriamo in questa direzione che ci porterà comunque lavoro e intanto miglioriamo la qualità del nostro ambiente.

MODONESI
Io penso che si debba fare un percorso assolutamente condiviso con tutte le forze in campo per lavorare sulle peculiarità del nostro territorio. Farlo in un’ottica profetica come un po’ è stata la visione di quella proposta ormai trent’anni: dal grande progetto Mura , al potenziamento dei percorsi museali, al parco urbano che oggi stiamo fruendo nel loro pieno sviluppo. Si tratta di proseguire su questa strada, rafforzando quello che è un percorso che in questi mesi abbiamo definito all’interno del Patto del lavoro, ovvero ottenere l’insediamento di nuove imprese, anche all’interno dell’area del petrolchimico. Vuol dire fare percorsi sostenibili dal punto di vista ambientale, sia per quanto riguarda le produzioni che per quanto riguarda le tipologie di impianti. Significa ottenere la creazione di nuovi e buoni posti di lavoro, significa una maggior integrazione tra formazione e avvio al lavoro.

MONINI
Il problema è sempre quello del come avviare questa nuova stagione. Con quale strategia, con quali alleati? Con quali fondi?

MODONESI
Rendere attrattivo il nostro territorio per le imprese vuol dire sfruttare a pieno quelle che sono le nostre caratteristiche. Vuol dire avere il coraggio di dire che c’è la necessità di una marcia diversa da parte in modo particolare dello Stato su quelle che sono le politiche di infrastrutturazione. Il tema delle infrastrutture è un tema che c’è. Oggi chi va a Bologna in treno capisce quanto sia necessario avere un potenziamento su quella linea e non solo per quanto riguarda le Frecce o Italo. Per chi va a Bologna oggi in auto sembra di essere su una camionabile: è necessario mettersi in corsia di sorpasso e una volta su due si creano incidenti. Sono interventi non più rimandabili, perché da sempre interventi di questo tipo si collegano con quelli che sono i punti nevralgici dello sviluppo di un territorio.
Vuol dire certamente un maggior coinvolgimento dell’Università, nel rispetto delle sue autonomie. Le Università sono gelose delle proprie autonomie e forse la nostra lo è ancora di altre. E’ giusto che faccia i propri percorsi di sviluppo e di crescita, però c’è la necessità non solo di immaginare un rapporto con l’ente pubblico, un rapporto non semplicemente legato ad una messa a disposizione di servizi. Ci vuole anche qui una programmazione per aiutare gli studenti ad insediarsi in città, dove sicuramente si deve studiare e si deve studiare anche bene, ma si deve offrire a questi studenti di rimanere, una volta che diventano laureati. Quindi se c’è un limite è quello dell’accompagnamento al lavoro. Quindi: più impegno su questo versante dell’Università come del mondo produttivo ,
Facendo campagna elettorale, sto girando il territorio e sto parlando con tanti imprenditori. Mi sono accorto che ci sono, ci sarebbe, necessità di nuove assunzioni. Tante imprese della zona della piccola e media industria hanno bisogno di ingegneri o di personale con alte qualifiche, ma scontano un percorso di inserimento lavorativo molto faticoso, che potrebbe invece essere molto più semplice se strutturato con un dialogo intermedio tra sistema delle imprese e l’Università.

GESSI
Anche l’economia della cultura, cioè tutto l’indotto che vive attorno a ‘Ferrara Città d’Arte e di Cultura’ andrebbe qualificato e potenziato. Ho l’impressione che abbiamo ancora tanta strada da fare.

MODONESI
Hai ragione, c’è ancora un grosso lavoro da fare attorno alla vocazione culturale della nostra città. Noi abbiamo strutturato un progetto organico in questi anni che mirava ad ampliare la presenza turistica a Ferrara. Lo sviluppo del polo museale: il primo è quello dell’arte moderna e contemporanea Diamanti e Massari, il secondo legato al polo di Schifanoia sulle arti antiche, il terzo con il Meis e il quarto legato al Castello. Abbiamo messo in campo idee e progettualità, ed è un’esperienza positiva e che ci viene riconosciuta a livello non solo nazionale ma internazionale. Da Roma abbiamo avuto recentemente alcuni ‘no’, ingiustificati, ma continueremo a insistere, perché bloccare i fondi di questo o quel progetto significa un colpo non solo allo sviluppo della rete museale cittadina, ma allo sviluppo economico complessivo di Ferrara.
Alla fine se vuoi avere più visitatori devi metterli nelle condizioni di avere musei con spazi adeguati con book-shop ecc. E non c’è un museo con questo tipo di ambizione che non abbia accettato la sfida di innestare un pezzo di contemporaneo in quella che è una scrittura storica. Il primo selfie che ci facciamo al Louvre è con la Piramide, il secondo con la Gioconda.

FIRRINCIELI
Vorrei parlare di un’altra vocazione di Ferrara. Di come l’ho vissuta io in tanti anni di attività. Attraverso il mio ruolo ma anche vivendo in prima persona il mondo del volontariato.
La vocazione di Ferrara secondo me, in questo momento, si manifesta molto nel volontariato e nella solidarietà. Io vedo che Ferrara è piena di associazioni, di volontariato, di gente che si dà da fare nel campo sociale, nel settore delle persone con difficoltà, nel settore dell’aiuto agli emarginati. Sul cuore di Ferrara bisognerebbe puntare molto di più. La vocazione di Ferrara è avere un cuore importante, un cuore grande. E questo tipo di vocazione è trasversale a tutto: al mondo della cultura e a qualsiasi altra situazione. Ferrara nel 2030? Mi viene in mente La città volante di Roberto Pazzi: se noi non cerchiamo di radicare un po’ di più la città e la sua Amministrazione alla realtà che le persone vivono ogni giorno, rischiamo di arrivare a quella città volante.

1.continua – leggi qui la seconda parte del dibattito