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Italia un modello per l’Europa, ma ora i Tribunali per i minorenni rischiano di sparire

Una volta tanto in Italia siamo i primi, i più bravi, tanto che l’Ue ha emanato una direttiva per prescrivere a tutti i paesi membri di seguire il nostro esempio. E non è finita qui: vengono da diversi paesi anche fuori dall’Europa per studiare il nostro sistema e cercare modi di replicarlo. Di cosa stiamo parlando? Della giustizia minorile italiana. Forse l’unico settore del sistema giudiziario del nostro Paese nel quale l’obiettivo è rimasto quello sancito dai Padri Costituenti, che all’articolo 27 della Costituzione hanno scritto: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Ebbene: “l’unico processo che ci viene invidiato in tutto il mondo verrà probabilmente soppresso”. È l’allarme lanciato dal presidente del Tribunale per i minorenni di Bologna Giuseppe Spadaro, intervenuto sabato mattina nella sala del Consiglio Comunale di Ferrara all’incontro ‘Quando i ragazzi sbagliano. L’attenzione dei media, la risposta educativa e giudiziaria’.
(Leggi l’articolo di Simona Gautieri)

Giuseppe-Spadaro
Giuseppe Spadaro

La sua non è affatto una difesa corporativa: entrato in magistratura nel 1990, prima di approdare a Bologna, ha esercitato per più di venti anni nel tribunale ordinario di Lamezia Terme, “poi ho avuto la fortuna di tuffarmi nella giustizia minorile”, dove “puoi realmente incidere”, ma proprio per questo “se sbagli i tuoi provvedimenti possono essere devastanti”. Così si è trasformato da fine giurista, esperto di tecnicismi, in un “giudice-uomo” che sbaglia, ma “sbagliamo perché ci proviamo”.
“Il processo penale minorile è connotato di una valenza educativa”, ha sottolineato Spadaro per far comprendere come la giustizia minorile non possa essere trattata, descritta, considerata come la giustizia degli adulti. Non è un caso che si chiamino tribunali per i minorenni: “il processo non è contro, ma per: per la persona che ci troviamo a giudicare e per la vittima”. “Siamo giudici della persona, non dei fatti”, questa secondo Spadaro è “la rivoluzione”: non valgono i tecnicismi e il distacco da fini giuristi, da principi del foro, ciò che serve è “l’equidistanza, che evoca il concetto di empatia”.

Nella giustizia minorile non ci si accontenta di fornire una risposta sanzionatoria “che a fronte di un errore commesso è imprescindibile, ma da sola non è sufficiente: deve essere accompagnata da un percorso, da occasioni di crescita, da un’opportunità di vita”. Da qui tutta una serie di strumenti extragiudiziari come la messa alla prova e la mediazione penale, strumenti che tra l’altro si sta pensando di utilizzare anche nella giustizia ordinaria. “Il confronto è un momento chiave per chi ha sbagliato e per chi ha subito: quest’ultimo ha l’occasione di dire in faccia al responsabile gli effetti devastanti delle sue azioni e il primo guarda in faccia la sofferenza umana che ha provocato. Di fronte a questo, non c’è pena che tenga”, afferma con forza Spadaro.
Tutto ciò rischia di essere cancellato a causa di “una riforma epocale”, attuata “nel silenzio quasi totale del dibattito pubblico”.

Nel 1908 l’allora Guardasigilli Vittorio Emanuele Orlando dava disposizioni affinché fosse istituita la figura di un giudice specializzato per i minorenni, dando inizio all’esperienza della giustizia minorile italiana. Oggi un altro Orlando, che occupa la stessa posizione, dà il suo nome a una riforma che, per aumentare l’efficienza del sistema giudiziario, prevede la soppressione dei tribunali per i minorenni e delle procure presso i tribunali per i minorenni, a favore di sezioni specializzate presso i tribunali ordinari. È il ddl 2284, “Delega al Governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile”: il provvedimento già approvato alla Camera è ora in discussione alla Commissione Giustizia del Senato.
La stessa riforma, spiega Spadaro, “l’aveva tentata a inizio 2000 il ministro-ingegnere del governo Berlusconi (Roberto Castelli, ministro della giustizia nei governi Berlusconi dal 2001 al 2006, ndr): allora ci furono le barricate, da parte di chi ora ne è fautore”.

Ciò che stupisce è che tale soppressione avvenga nonostante il riconoscimento, appena un mese fa, dei risultati ottenuti dalla giustizia minorile in Italia. Nel documento di sintesi della ‘Relazione del Ministero sull’amministrazione della giustizia anno 2016’, citato da Spadaro sabato mattina, si legge infatti: “Il consolidamento di una cultura che pone i diritti dei minori al centro di tutte le attività processuali che a vario titolo li vedono protagonisti, ha condotto ad eccellenti risultati, come dimostrato dalle recenti rilevazioni statistiche che indicano l’Italia come il Paese con il più basso tasso di delinquenza minorile rispetto agli altri paesi dell’UE ed agli Stati Uniti. Tale effetto è certamente da ricondursi all’efficacia sia programmi di prevenzione adottati, che delle misure trattamentali alternative alla detenzione”.

Spadaro è molto preoccupato, come del resto la quasi totalità degli attori della giustizia minorile – dall’Associazione italiana magistrati minori e famiglia all’Associazione nazionale magistrati, dall’Unione delle camere minorili all’Ordine degli assistenti sociali e degli psicologi, a tutte le maggiori sigle del Terzo Settore – della logica e del messaggio insiti in questo provvedimento: “la logica è spersonalizzare e mandare all’ordinario” e “il messaggio culturale è una visione adultocentrica”. Un aspetto condiviso nientemeno che da Gherardo Colombo: l’ex magistrato del pool di Mani Pulite, che da quando si è dimesso gira per l’Italia incontrando i ragazzi e parlando loro di giustizia e Costituzione. Riferendosi alla riforma Orlando, Colombo ha detto che renderà la giustizia minorile incapace di trattare bambini e adolescenti come tali, ma che li assimilerà agli adulti.
Questa riforma, per far fronte a esigenze organizzative tese a ripianare carenze di risorse negli uffici per gli adulti, rischia di ridurre drasticamente la specializzazione dei giudici chiamati a intervenire in materia civile, amministrativa e penale minorile. Con l’accorpamento ai tribunali ordinari, chiarisce Spadaro, “necessariamente non si potrà più garantire l’esclusività delle funzioni che mi consente di parlare con i servizi sociali come con i ragazzi imputati”: “quando sarò accorpato al tribunale ordinario di Bologna mi occuperò un po’ di più della chiamata del colonnello che mi dice “Guardi che c’è stato un omicidio”, piuttosto che della chiamata dell’assessore che mi segnala un caso di dispersione scolastica”. “Quello che cambierà – continua Spadaro – è l’approccio, l’atteggiamento, la mentalità dei magistrati che verranno accorpati: quando diventerò un giudice del tribunale di Bologna spero che il presidente del tribunale ordinario possa farmi fare solo questo, ma ho i miei dubbi e penso che farò qualcos’altro”. “E’ inevitabile perché le competenze del tribunale ordinario sono una miriade e le risorse e i mezzi e i carichi di lavoro sono tali da non consentire di occuparsi solo di minori: è così lineare questo discorso che non riesco a capire come possa sfuggire”, dice il magistrato amareggiato.

Non è che già ora le cose vadano poi così bene: il sistema di protezione dell’infanzia è duramente provato dai tagli alla spesa pubblica. In Emilia Romagna il tribunale per i minorenni di Bologna, l’unico per tutta la regione, deve operare con solo “il 60%” di copertura del fabbisogno di personale, mentre l’Ufficio di servizio sociale per i minorenni del capoluogo regionale a fronte di 3.115 ragazzi presi in carico (dei quali il 5% residenti a Ferrara e provincia) ha un organico composto da undici assistenti sociali e un solo educatore.
Spadaro ammette che esiste sia un problema di “frammentazione delle competenze” in materia di persona, famiglia e minorenni, sia un problema di distribuzione delle risorse, se “il tribunale per i minori dell’Emilia Romagna opera con sei magistrati e un presidente, per una popolazione di quasi cinque milioni di abitanti, a fronte di ventinove magistrati in Puglia”. Quindi ci sono “ragioni economiche sottostanti che sono vere e proprie ragioni”.

La soluzione giusta non è però il provvedimento che si sta discutendo alla Commissione giustizia del Senato. Quello che gli operatori e le associazioni che operano nella giustizia minorile propongono è un ‘tribunale della famiglia’, peraltro originariamente previsto nel testo della legge poi modificato: “un tribunale che si occupa di tutte le vicende della famiglia”, accorpando le competenze in capo ai tribunali per i minori per “concentrare l’attuale frammentazione che effettivamente arreca un danno” e avvicinarsi “all’utenza e all’avvocatura mandando un magistrato altamente specializzato nei centri maggiori, ridistribuendo così in maniera intelligente l’organico con un costo abbastanza contenuto”. Questa sarebbe una “vera riforma epocale” secondo Spadaro, che ribadisce infine: “quello che conta è mettere al centro non gli adulti, ma il minore, come noi siamo abituati a fare”.

Il giudice dei minori: “Tutti noi siamo vittime e carnefici, in aula servono amore ed empatia”

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“Sono mezzo esaurito, non credo di poter continuare a fare il giudice minorile per molto tempo”, dice ironicamente Giuseppe Spadaro, presidente del Tribunale per i minorenni di Bologna e vero mattatore del seminario sulla giustizia minorile tenutosi sabato alla sala consigliare del Comune di Ferrara. “Sarà che non sono il fine giurista da cui si pretende il distacco assoluto nel giudicare un fatto di reato: sono un giurista di cuore e l’amore e l’empatia devono entrare nella giustizia”, continua Spadaro e il pubblico presente, composto di comuni cittadini, ma anche di tecnici della materia – assistenti sociali, avvocati e giornalisti – applaudono per quasi un minuto al suo intervento. E le sue parole, infatti, lungi dall’avere la freddezza e il distacco dei principi del foro, contengono tutta la preoccupazione per un sistema giudiziario nel quale “c’è qualcosa che non va”: “qualcuno se n’è accorto”, da Amnesty Internatonal all’Unione Europea, che per questo continua a bacchettarci. E se per la giustizia degli adulti le cose non vanno bene, “il sistema è destinato a implodere” afferma Spadaro, il presidente lancia  l’allarme anche per quanto riguarda la giustizia minorile: la riforma Orlando (ddl. 2284), già passata alla Camera e ora ferma al Senato, nella sua brama di rendere più efficiente il processo civile progetta di accorpare i tribunali per i minorenni a quelli ordinari, di fatto abolendoli. (Leggi qui l’articolo di Federica Pezzoli)

‘Quando i ragazzi sbagliano. L’attenzione dei media, la risposta educativa e la giustizia’ è il titolo dell’incontro e del tema parlano, oltre a Spadaro, l’assessora ai Servizi alla persona del Comune di Ferrara Chiara Sapigni, Giorgio Benini dell’Ufficio sicurezza del Comune di Ferrara, Elena Buccoliero, referente dell’Ufficio diritti dei minori del Comune di Ferrara e giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna, e Teresa Sirimarco, direttore dell’ Ufficio servizi sociali per i minorenni di Bologna. Dopo i saluti dell’assessora Sapigni e l’intervento di Giorgio Benini, che sottolinea l’importanza di insegnare ai ragazzi il concetto di responsabilità – “bisogna ragionare con loro sul legame tra azioni e conseguenze che esse comportano: in ogni contesto educativo ci sono delle regole che vanno rispettate” – si entra nel vivo ad affrontare il tema del rapporto tra giustizia e media con Elena Buccoliero e la sua analisi del caso di Carolina Picchio: aveva quattordici anni quando nel 2013 si è suicidata buttandosi dalla finestra della sua camera da letto.

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“Il caso di Carolina – spiega il giudice onorario – è emblematico di come i media, nello specifico la carta stampata, riportino una notizia di cronaca. Diventa Verità solo ciò di cui parlano i giornali”. Carolina si è suicidata il 5 gennaio del 2013 per delle angherie subite dall’ex fidanzato e da altri amici a una festa svoltasi nel novembre del 2012, dove era stata filmata ubriaca. Il video poi era stato diffuso in rete. I giornalisti hanno scritto di “prima vittima del cyberbullismo” e di “femminicidio”, si è passati indifferentemente dal suicidio all’omicidio in una ricerca sempre più spasmodica di etichette e primati. “Perché è così importante arrivare per primi?”, si chiede la Buccoliero: “I primi studi sul bullismo risalgono agli anni ’Settanta e sono nati in Inghilterra e nei Paesi scandinavi, proprio a seguito di una serie di casi di suicidio tra giovanissimi”. Il giudice Buccoliero sottolinea le tante incongruenze e inesattezze operate dai giornalisti nella ricostruzione dei fatti: il nome errato della madre, l’età della vittima, la ricostruzione approssimativa della sua situazione famigliare e del suo probabile disagio psicologico.

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“I giornalisti scomodano, in un primo momento, il clichè della bambina-angelo – continua la Buccoliero – riportando le dichiarazioni del padre e degli amici presenti al funerale che la descrivono come “l’angelo più bello”. Successivamente viene introdotta un’incrinatura a questo ritratto: l’ex fidanzato dice che “aveva un carattere difficile”, gli amici iniziano a parlare di una festa in cui si era ubriacata. La vittima merita pietà solo se la sua immagine risulta pulita, in caso contrario, specie i giovani, pensano che la ragazza “se la sia andata a cercare””. Dall’altra parte però, sottolinea, “il titolo sensazionalistico schiaccia la persona e chi si sente definire ‘mostro’ sul giornale farà maggiore fatica a rielaborare ciò che ha fatto in un’ottica di pentimento”. Di particolare interesse risulta il modo errato in cui i giornalisti hanno riportato la pena inflitta ai minori coinvolti nel procedimento per la morte di Carolina: “Alcuni titoli riportano ‘invece che il processo c’è stata la messa alla prova’. Per alcuni giornalisti la messa alla prova è paragonabile ad una assoluzione, per altri è peggio di una condanna. La verità è che nessuno conosce questo fondamentale istituto del processo minorile” conclude il giudice Buccoliero.

L’istituto della messa alla prova prevede la possibilità di sospendere il procedimento penale a carico del minore con affidamento di quest’ultimo ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia che, anche in collaborazione con i servizi socio-assistenziali degli enti locali, svolgono nei suoi confronti attività di osservazione, sostegno e controllo volto al suo completo recupero, ed è proprio per far capire la sua importanza che viene proiettato il video “Come rinascere”: intervista fatta a un ragazzo ferrarese che ha brillantemente superato la propria messa alla prova reinserendosi nella società. “Sentivo molto buio dentro di me”, spiega il ragazzo intervistato che parla a voce bassa e muove continuamente le mani, “sapevo di sbagliare e se avessi continuato su quella strada sono sicuro che mi sarei rovinato la vita. Con me ci sono andati giù pensante per farmi capire ciò che stavo facendo. Gli amici ti coinvolgono a fare delle cose, ma devi essere tu a dire no. Il carcere rovina le persone. Quando il mio avvocato mi ha parlato della possibilità di andare in comunità credevo fosse uguale al carcere. Invece qui ho avuto modo di costruire me stesso, conoscere persone che mi hanno aiutato veramente e non come gli amici con cui pensavo solo a divertirmi. Ora ho un lavoro e sono felice”.

L’Ufficio servizio sociale minorenni per l’Emilia Romagna, si occupa dei minori e giovani adulti di qualsiasi nazionalità, residenti o presenti nelle regioni di competenza, sottoposti a procedimento penale da parte dell’autorità minorile dell’Emilia Romagna – spiega la dottoressa Sirimarco, direttore dell’Ussm, ufficio che di raccordo con le autorità di giustizia minorile, magistratura e assistenti sociali, svolge una attività finalizzata al reinserimento sociale dei minori che entrano nel circuito penale. L’Ussm si attiva dal momento della denuncia e accompagna il ragazzo in tutto il suo percorso penale. Per la Sirimarco: “Il reato deve essere visto come un’occasione di crescita. Il minore sbaglia ed è giusto ci sia una sanzione ma bisogna non far mai mancare una possibilità. La messa alla prova può essere strumentalizzata e non solo dagli avvocati: tanti minori fanno finta di essersi ravveduti e pentiti per quanto fatto. Io però non mi scoraggio: se si parla di “processo” è necessario pensare che il pentimento è il risultato di un processo appunto di rielaborazione e costruzione che quasi sempre arriva.Ecco perchè il progetto di messa alla prova deve essere studiato sul reale caso, per non correre il rischio di far fallire il ragazzo che ad essa viene sottoposto. Deve essere un progetto consensuale, adeguato per lo specifico caso in esame e flessibile, cioè modificabile a seconda delle necessità del minore”.

A conclusione del seminario viene proiettato “Mettersi in gioco” un video, realizzato presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, nel quale si assiste alla simulazione dello svolgimento di un procedimento penale a carico di un minore reo di aver ceduto una pasticca di droga alla propria fidanzatina, interpretato proprio da Giuseppe Spadaro. “Mi è venuto semplice interpretare una persona che sbaglia, perchè tutti noi sbagliamo. Noi ci proviamo e sbagliamo. Il processo è vita – conclude Spadaro – chi di noi non ha sbagliato e ha avuto chi lo giudicava, chi lo assisteva e chi lo accusava?”.

L’INTERVENTO
Tagliani: “Investire sulla creatività dei nostri giovani”

Da ufficio comunicazione

In questo frangente, ove la speranza è rimasta solo a denominare sulle carte il capo a sud dell’africa, mi sono fatto convinto che ai menagrami  capaci di demolire con arguzia e tempismo ogni ipotesi costruttiva e di alzare spallucce di commiserazione e sufficienza di fronte a qualsivoglia progetto che non li veda committenti, d ancor meglio protagonisti nella esecuzione,  occorrerebbe imporre, per ogni badilata impegnata a seppellire l’dea altrui,  un’opera forzata di bene: una semina, un innesto, un concreto contributo che illumini sul cosa si vuole e  sul come fare diversamente,  per restituire bellezza e senso a questa nostra comunità.
Non mi accingo certo a questa riflessione spinto dalle quotidiane beghe di bottega, quanto piuttosto  ancora oggi tormentato dalle  vicende locali nelle quali giovanissimi protagonisti hanno toccato l’abisso del matricidio e del parricidio.
Lascio ai genitori come me, alle nostre famiglie  il compito di guardarsi dentro ed osservare i ragazzi, gli adolescenti soprattutto, per insinuarsi fra un “like” ed una risposta assente davanti all’ipad, con uno sguardo od una parola che ci dica “nuovamente connessi”. 
Mi preoccupo invece di rifletter sul modello di sviluppo in queste nostre terre collocate in un angolo di pianura lontana dai fari della via Emilia e dei viali Ceccarini della Romagna, dove i ragazzi, come sempre i più sensibili,  non a torto, si sentono “ ai margini” della crescita economica, ai margini della cultura, in una parola ai margini della vita;  così dinamicamente irresistibile vista sul web dopo una serata al bar del paese.
Per anni noi amministratori abbiamo ritenuto che il nostro dovere fosse quello di portare a Ferrara risorse economiche:  tradotte in strade, ponti, ciclabili, parchi, sagomature di canali, contributi alle aziende e questo era vero e giusto: si è trasformato in lavoro, in sicurezza idraulica, in agricoltura avanzata,  serve ancora, ma oggi non basta più.
Non basta lavorare sull’hardware della nostra comunità ossia le infrastrutture, la sfida nel mondo è nel  software ossia sulla conoscenza : è qui che si vince la competizione per “abitare in centro”.
E’ successo nel mondo dei computer dove sono i produttori di  sistemi operativi ad aver vinto sui produttori di processori e così anche qui saranno le persone, le loro menti, le loro capacità di relazione e di analisi a vincere le distanze ma anche la sfida delle nuove occupazioni .
Non tanto diversa dovette essere la ragione del successo per l’abazia di Pomposa  attorno al mille, così come oggi lo è per le software house indiane, fino a ieri  in polverose e sudice periferie oggi leaders nella competizione globale.
Per questa ragione la candidatura di Comacchio come capitale italiana della cultura, banalmente letta da alcuni come velleitario tentativo di utilizzo strumentale della cultura per la promozione turistica del territorio, è invece, per quanto mi riguarda, un segno importante e lungimirante di guardare oltre.
Certo anche qui hanno giocato e giocano un ruolo  fondi europei, risorse regionali per il restauro di edifici e capanni, ma a nulla servirebbe tutto questo se la cultura, che ti permette di conoscere la storia , la conformazione del tuo territorio, le straordinarie risorse della natura, ma anche i linguaggi per comunicare questa ricchezza, lingue straniere e linguaggi della tecnologia, non divenisse la vera protagonista del progetto.
Lo stesso ragionamento appena accennato su Comacchio  vale per tutto il nostro territorio, i giovani rischiano di rimanere distaccati osservatori della costruzione di nuove arterie di comunicazione,  siano d’asfalto o d’acqua, assai più urgenti quelle telematiche, se in quei contesti non saremo capaci di innestare progetti di sviluppo che sviluppino conoscenza, investano sulle persone, sulle loro idee, la loro fantasia, l’amore per la loro comunità.
Per questo, siccome siamo all’interno di una  programmazione europea e nazionale che tra fondi strutturali e diretti alle “aree interne” ci beneficerà di risorse rilevanti, dobbiamo investire sul nostro software che è l’intelligenza e la creatività dei nostri giovani, sulle scuole, sulla loro formazione, sui sistemi di “connessione”  a distanza fra le persone con i migliori linguaggi di oggi, magari chiedendo ai grandi operatori come Oracle o IBM di collocare a Ferrara scuole di alta formazione.
Se, su altro profilo, alla presidenza del Nuovo Parco Interregionale del Delta fossimo in grado di designare una persona di grande spessore culturale, un uomo capace di rappresentare il desiderio di queste terre e di questi ragazzi di diventare protagonisti della scena europea, dove di luoghi così straordinari non ce ne sono, magari rinunciando alla usuale soluzione standard buona per tutte o tante altre stagioni, daremmo un segnale bello qualcuno comincerebbe a crederci.
Se poi la più grande infrastruttura turistica italiana, ovvero la ciclovia VEN (ezia) TO (rino) incontrasse sul suo percorso un paesaggio straordinario non sarebbe merito nostro, ma se incontrasse una generazione che parla le lingue del mondo, capace di accogliere a Serravalle danesi nostalgici del Mississippi  o a Codigoro un gruppo di artigiani innovativi che realizzano borse con la canapa o mille altre diavolerie e le vendono on line in tutto il mondo, insomma  una realtà “che abita in centro” perchè capace di annullare le distanze e di trasformarla in nuove occasioni di lavoro e di incontro,  allora ciò sarebbe perché ci abbiamo pensato oggi e forse le ferite di Pontelangorino e dintorni ci avrebbero insegnato qualcosa. 
Tiziano Tagliani

FERRARA, EUROPA
Per Marine Le Pen approccio “entre-nous” e immigrati senza diritti né assistenza

di Achraf Kibir

Una Francia liberale, anti-sistema e soprattutto xenofoba: negli ingredienti della ricetta presidenziale di Marine Le Pen annunciati questo week-end a Lione si ritrovano tutti gli elementi tipici dell’estrema destra europea.

La questione immigrazione rappresenta la causa mobilizzatrice che circa quarantacinque anni fa portò in Francia alla nascita del Front National e anche oggi è il tema cardine del programma politico del partito di estrema destra francese. Ciò che emerge dal week-end di apertura delle sue presidenziali a Lione non fa che confermare questo trend. Il Fn infatti non ha alcuna intenzione di cessare la lotta contro ciò che la candidata frontista Marine Le Pen definisce come una “migrazione dilagante totalmente incontrollata”, proponendo un “saldo migratorio annuale” di 10.000 persone unito a una “semplificazione e automatizzazione” delle espulsioni. Nell’ipotesi in cui Le Pen prendesse le redini del paese, gli stranieri illegali sul territorio francese vedrebbero la loro regolarizzazione o naturalizzazione bloccata e la loro espulsione automatizzata. L’abolizione dello ius soli (acquisizione automatica della nazionalità per un bambino nato sul suolo francese da genitori stranieri) resta un pilastro del programma elettorale frontista, così come come lo sono “la fine dell’automaticità del ricongiungimento familiare” e la stretta sul riconoscimento della nazionalità (in particolare quella acquisita ipso facto per matrimonio con cittadino francese). Agli occhi della candidata frontista l’immigrazione rappresenta, così come l’Unione Europea, una “fonte di spesa pubblica cattiva e inefficiente” che è necessario arginare. È sotto quest’ottica che Marine Le Pen vuole eliminare l’assistenza medica “riservata ai clandestini”. Poco importa se l’accesso alle cure per queste persone rappresenta un diritto fondamentale costituzionalmente riconosciuto, che permette di individuare e trattare moltissimi casi di malattia, proteggendo tra l’altro gli stessi francesi.
La priorità frontista è il primato dei francesi. L’obiettivo è quello di creare una suddivisione sociale in base alla cittadinanza normata da una costituzione “corretta”, di cui il Front National ha distribuito qualche fac-simile lo scorso week-end. Il nuovo testo integrerebbe anche “la difesa dell’identità di popolo” e “la lotta contro il comunitarismo” fra i suoi principi. In sostanza: l’“attribuzione prioritaria” degli alloggi sociali tornerebbe ai francesi. Idem per il lavoro, poiché Marine Le Pen conta di applicare una sorta di tassa addizionale su tutti i contratti di lavoro stipulati con cittadini stranieri (ivi compresi gli europei, ha specificato il vice-presidente Florian Philippot presso un’emittente radio francese). Un modus operandi che non risparmierebbe neppure l’ambito sportivo, imponendo ai club professionali un tetto minimo di giocatori francesi all’interno delle proprie rose. Insomma, precisamente “Liberté, Egalité, Fraternité”

L’EVENTO
Piero Angela all’Università di Ferrara per parlare di orizzonti della comunicazione

Da ufficio comunicazione ed eventi

Piero Angela torna all’Università di Ferrara  venerdì 24 marzo alle 10 per inaugurare il secondo ciclo di seminari “L’etica in pratica”, organizzato dal prof. Sergio Gessi di Unife a integrazione del suo corso di Etica della comunicazione e dell’informazione.

Al più celebre giornalista-divulgatore italiano l’Università di Ferrara ha conferito la laurea honoris causa in Scienze Biologiche nel 1992 nel corso di una seguitissima cerimonia durante la quale tenne una memorabile Lectio magistralis dal titolo “Scienze, società ed informazione”. Data l’eccezionalità dell’evento che lo vedrà di nuovo protagonista a marzo si sta valutando la disponibilità del Teatro Comunale Abbado. La sua lezione seminariale ha per titolo: “L’orizzonte empatico della comunicazione”.

Gli altri incontri del ciclo si terranno, sempre di venerdì fra le 10,15 e le 12, all’aula magna Drigo del dipartimento di Studi umanistici che ha sede in via Paradiso12. Potranno partecipare non solo gli studenti che hanno scelto il corso di Etica, ma chiunque sia interessato, studenti e cittadini, per propiziare un’ampia diffusione della conoscenza.

Fra gli ospiti che già hanno confermato la loro presenza: Mattia Feltri della Stampa, Annalena Benini del Foglio, Pier Luca Santoro di DataMedia Hub, Jacopo Tondelli fondatore di linkiesta.it e glistatigenerali.com, Luca De Biase direttore di Nova, l’inserto su nuovi media e tecnologie del Sole24ore.

 

Piero AngelaNella foto: Piero Angela con l’allora Magnifico Antonio Rossi durante il confermento della laurea ad honorem

 

 

Ferrara è un palcoscenico: Off, Nucleo, Fonè e Ctu animano la scena

Il teatro a Ferrara è di casa fin dai tempi della signoria estense. Ercole I d’Este, per esempio, era un grandissimo appassionato, tanto che fu proprio il nostro duca a consegnarci un indubbio primato culturale sulle corti italiane ed europee del tempo promuovendo la rappresentazione dei ‘Menaechmi’ di Plauto, primo dramma dell’antichità a essere rimesso in scena dopo l’avvento dell’era cristiana. E non è finita qui: lo spettacolo venne realizzato nel cortile del Palazzo Ducale – l’odierna piazza municipale – e quindi, oltre a dignitari e personalità da tutta Europa, allo spettacolo potè assistere tutta la cittadinanza ferrarese.
Non stupisce dunque che ancora oggi il territorio estense, come un unico grande palcoscenico, ospiti diverse realtà teatrali, dal Teatro Comunale Claudio Abbado, riconosciuto dal Mibact come ‘teatro di tradizione’, al Teatro Nuovo, con una programmazione più vicina al cabaret, fino al Teatro De Micheli di Copparo e al Teatro Comunale di Occhiobello: ognuno in grado di avvicinare il pubblico ferrarese con un’offerta diversa, togliendogli ogni scusa per starsene chiuso in casa a fissare la tv. Su questo grande palcoscenico poi, si sono guadagnate il proprio spazio anche diverse realtà che si occupano di sperimentazione e ricerca teatrale e che danno spazio alla creatività di compagnie e artisti emergenti, che rimangono fuori dai grandi circuiti, oppure che si occupano di formare gli attori di domani.
Su il sipario allora: per questa volta i riflettori sono puntati su di loro.


Ferrara Off: Marco Sgarbi & Co.

Il nome è un rimando alle realtà underground di Broadway o di Londra: spazi nati per raccogliere le nuove tendenze, le sperimentazioni che non trovavano posto all’interno delle programmazioni dei grandi teatri, luoghi di rappresentazione che uscivano dalle logiche economiche dei grandi circuiti. Una scommessa controcorrente in un momento di crisi economica, per non parlare della cronica mancanza d’attenzione per il settore culturale in Italia. Una scommessa che Marco Sgarbi, Roberta Pazi, Monica Pavani e Giulio Costa a quanto pare hanno vinto: Ferrara Off è ormai una realtà più che (ri)conosciuta, il cui valore aggiunto sta nella volontà e nella capacità di costruire collaborazioni non solo con gli altri attori culturali della città, ma soprattutto con il pubblico e i cittadini, come hanno dimostrato la campagna di crowdfunding ‘Biblioteca itinerante di letteratura. Omaggio a Giorgio Bassani’ o la ‘Maratona Orlando’ dedicata al celebre poema di Ludovico Ariosto.
La prossimità fra pubblico e attori offerta da Teatro Off, complici anche le dimensioni raccolte della sala, è nello stesso tempo una possibilità e una sfida: i dialoghi che concludono le serate vogliono essere come le impressioni scambiate dopo lo spettacolo davanti a un buon calice, ma nello stesso tempo spingono lo spettatore a riflettere su ciò che ha appena visto, su cosa il testo, le soluzioni sceniche e le persone in carne e ossa davanti a lui gli hanno trasmesso.
Il nuovo spazio performativo di Ferrara ha aperto nel dicembre 2013 in viale Alfonso I d’Este, dove prima sorgeva il centro sociale Dazdramir, tenuto a battesimo dall’attore e autore Gianni Fantoni, da Massimo Navone, direttore della Scuola Paolo Grassi di Milano, dall’attrice e docente Roberta Pazi e da Marco Sgarbi, attore e direttore artistico del Teatro Comunale di Occhiobello.

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foto di Giorgia Mazzotti

A tre anni di distanza, l’associazione ha chiuso il 2016 con numeri di tutto rispetto: settanta eventi e quasi duemila spettatori, undici corsi di formazione e più di mille associati. Mentre la maratona di lettura integrale e senza interruzioni del poema di Ariosto, che si è svolta presso la Pinacoteca Nazionale tra venerdì 2 e sabato 3 dicembre ed è durata 36 ore, ha coinvolto mille lettori, con 1400 spettatori e 70mila persone raggiunte tramite social network, connesse alla diretta streaming.
E non è finita qui perché Marco Sgarbi e la sua squadra hanno partecipato e vinto come Associazione culturale Arkadiis – che da anni cura in collaborazione con l’amministrazione comunale la stagione del Teatro Comunale di Occhiobello – il bando nazionale Funder35, promosso da 18 fondazioni associate ad Acri – l’organizzazione che rappresenta le Casse di Risparmio Spa e le Fondazioni di Origine Bancaria, ndr – con l’obiettivo di rafforzare imprese culturali giovanili non profit impegnate principalmente nell’ambito della produzione artistica/creativa in tutte le sue forme, premiando l’innovatività e favorendo la sostenibilità. Il 1 febbraio a Roma, presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini ha premiato le 57 imprese culturali vincitrici del bando 2016. “L’Associazione Arkadiis fa parte delle sette provenienti dal Veneto, solo due delle quali imprese culturali teatrali”, sottolinea Marco. “Il premio porterà finanziamento di 35.000 euro in tre anni” per realizzare il progetto ‘Next Generation’ che “mira a educare le nuove generazioni alla cultura teatrale e a rigenerare così l’attuale pubblico attraverso due azioni: una nuova proposta culturale che vuole coinvolgere ed educare la nuova generazione di piccoli spettatori presenti sul territorio e uno svecchiamento dell’associazione da un punto di vista comunicativo e di immagine”, ci spiega ancora Sgarbi. L’obiettivo è “il raggiungimento di un nuovo target composto dai giovanissimi potenziali spettatori presenti sul territorio della fascia compresa tra i 6 e i 12 anni” e attraverso di loro “anche altre fasce potenzialmente interessate, come quella dei genitori che va dai 31 ai 40 anni e la fascia dei nonni, over 65”.
www.ferraraoff.it


Il Nucleo sulle rive del Po: il teatro come comunità

Sono passati ormai quarant’anni da quando il Teatro Nucleo – allora Comuna Nucleo – è arrivato in Italia da Buenos Aires, costretto all’esilio dal golpe di Videla. Fondato nel 1974 da Horacio Czertok e Cora Herrendorf, nel 1978 Teatro Nucleo si è stabilito a Ferrara, chiamato dallo psichiatra basagliano Antonio Slavich per collaborare nel processo di chiusura dell’ex-ospedale psichiatrico della città, che è divenuto anche la sua prima sede. Alla base dell’attività del Nucleo c’è la concezione del teatro non come puro intrattenimento, ma come portatore di un’etica sociale, come momento di profonda condivisione di un’esperienza fra attori e spettatori: nel momento in cui avviene lo spettacolo si crea una comunità. E se, come fa il Nucleo, al centro si pone il rapporto con l’essere umano in quanto tale, il teatro diventa un potente strumento di inclusione e trasformazione sociale: “Non vede un pubblico preferenziale, identifica nell’essere umano di qualsiasi genere, etnia, età, classe sociale un possibile interlocutore – si legge sul loro sito – Da un imperativo di giustizia elementare e dall’idea che proprio in costoro è possibile trovare nuova linfa e nuovo senso all’arte, è spinto a rivolgere grande attenzione a tutti gli esclusi dalla fruizione e dalla produzione artistica”.
Con questo spirito negli anni sono nati i tanti progetti di teatro in carcere, nelle strutture terapeutiche e nelle istituzioni legate al lavoro sulla salute mentale e all’integrazione sociale. Il progetto Teatro Carcere, nel quale Horacio Czertok lavora con alcuni detenuti della Casa Circondariale di Ferrara, insignito nel 2012 con la medaglia premio di rappresentanza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il progetto Arte e Salute mentale con pazienti psichiatrici del Dipartimento Salute Mentale di Ferrara e la Scuola di Formazione per Operatori Teatrali nel Sociale, diretta da Cora Herrendorf, sono solo alcuni esempi.
Elemento fondamentale del Nucleo è stato Antonio Tassinari, fino a quando una malattia se lo è portato via, troppo presto, nell’estate del 2014. È stato lui a ideare e coordinare il Teatro Comunitario di Pontelagoscuro: forma teatrale della e per la comunità, basata sull’integrazione intergenerazionale e su un’idea di recupero della memoria collettiva, non la storia scritta sui libri, ma la narrazione costituita dai ricordi delle persone che la comunità la costituiscono e la vivono.

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foto D. Mantovani
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Nel frattempo il Teatro Nucleo è stato riconosciuto ‘organismo stabile’ dalla Regione Emilia Romagna e, nel 2003, ha ricevuto dal Comune di Ferrara quella che è diventata la sua nuova sede a Pontelagoscuro, intitolata due anni dopo allo scrittore Julio Cortázar, in onore delle proprie radici argentine. Dal 2015 è diventato ufficialmente anche sede di ‘residenza artistica’, trasformandosi ancora di più in un cantiere di ‘Cose Nuove’: ospita, infatti, la ricerca e la sperimentazione creativa di diverse giovani compagnie e artisti emergenti che poi restituiscono il risultato del proprio lavoro in workshop, spettacoli e laboratori con la cittadinanza.
“All’epoca di scegliere dove poter portare il mio lavoro e il mio teatro – spiega Horacio Czertok – ho scelto l’Italia perché nessuno è venuto a dirci cosa fare e come farlo: in Italia ho potuto continuare a fare teatro come lo facevo in Argentina, non mi sono mai sentito straniero sul terreno del teatro in questa che è la patria della commedia dell’arte”.
www.teatronucleo.org


Fonè Teatro: gli attori di domani

Massimo Malucelli, attore e insegnante di commedia dell’arte, è protagonista della scena ferrarese da più di venticinque anni. Nella sua Foné Scuola di Teatro ha formato diversi professionisti, come il giovane Stefano Muroni. Proprio con lui nel 2014 ha dato vita al Centro Preformazione Attoriale di via Arianuova, una scuola per ragazzi dai 14 ai 20 anni che intendono intraprendere la professione di attore. La scuola è riconosciuta e appoggiata dal Centro sperimentale di cinematografia e dal Giffoni Film Festival, ha al suo attivo gemellaggi con l’Escuela de artes escenicas Pábulo, la Sylvia Young Theatre School di Londra e l’Erac – scuola regionale per attori – di Cannes, e nel 2015 e 2016 nella delizia estense di Villa Mensa ha organizzato il Tenda Summer School, la prima Summer school d’Europa dove si dorme in tenda e gli allievi sono giovani aspiranti attori e adolescenti appassionati di recitazione.
Il 31 gennaio scorso poi si è chiuso il bando per la quarta edizione di ‘Fest-Festival delle Scuole di Teatro’, organizzato da Fonè in collaborazione con il Comune di Comacchio, il Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara e altri comuni e teatri del territorio, che si terrà fra maggio e giugno 2017. Tutto è nato con l’idea di organizzare un incontro per le varie scuole di teatro del territorio, che fosse anche un concorso e nello stesso tempo una festa del teatro e di chi lo fa. Un’occasione per festeggiare chi fa esperienza di teatro e per far incontrare chi assiste allo spettacolo e chi fa teatro come professionista. Fest, infatti, è contraddistinto dal fatto che si fanno fare giochi teatrali al pubblico stesso.

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Massimo Malucelli con Stefano Muroni e Claudio Gubitosi

Nel novembre 2016, inoltre, Fonè Teatro ha dato avvio alla scuola di teatro e audiovisivi ‘Dal teatro al cinema: un viaggio fra due mondi’: una “scuola di racconti teatrali e digitali”, come la definiscono gli stessi organizzatori. Non un corso dunque, ma di una vera e propria scuola della durata di due anni: “la filosofia che ispira il nostro lavoro è tracciare un percorso che fonda nella forza del teatro, capace di raccontare storie nello spazio, quella di raccontarle anche su di uno schermo, che sia quello del computer, del video o del cinema. Recitare è “essere veri in una situazione finta”, una definizione bella e semplice, che descrive il processo profondo che sta alla base del lavoro creativo, in teatro e su uno schermo, ovunque vi sia una storia raccontata attraverso gli attori ed i personaggi cui essi danno vita”. “Caratteristica che riteniamo unica della scuola – continuano gli organizzatori sul sito di Fonè – sarà presentare, come esercitazione di fine anno, una performance teatrale dalla quale trarremo spunto per creare un video su quello stesso soggetto, ma questa volta sceneggiato e montato secondo il linguaggio dell’audiovisivo, e quindi come racconto filmico per lo schermo.”
www.foneteatro.it
www.centropreformazioneattoriale.it


Centro Teatro Universitario: il teatro come scoperta di sé

ctuDaniele Seragnoli, delegato del Rettore alle attività relative alle pratiche teatrali in ambito sociale, e Michalis Traitsis, regista e pedagogo teatrale di Balamòs Teatro, sono rispettivamente il direttore e il responsabile dei laboratori teatrali del Ctu-Centro teatro universitario: un luogo di sperimentazione del teatro e dei suoi linguaggi attraverso una visione ampia che favorisce tramite il “gioco” teatrale la scoperta di sé, della creatività individuale, una maggiore consapevolezza del proprio corpo e delle proprie emozioni, mettendo in relazione ogni singolo allievo con il gruppo di lavoro e il mondo circostante. Il teatro dunque per il Ctu non è il fine, ma uno strumento per (ri)conoscere se stessi e le proprie capacità creative e immaginative, per gestire meglio le proprie emozioni e di conseguenza per comunicare meglio con le altre persone e interagire in modo migliore nel contesto in cui si vive e si opera, un mezzo di formazione della propria ‘persona’.

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Machalis Traitsis

Le attività sono rivolte non solo agli studenti dell’ateneo ferrarese, ma a tutta la cittadinanza, inclusi gli alunni delle scuole di ogni ordine e grado di Ferrara e provincia.
Fra le attività del Ctu ci sono: la gestione di laboratori di formazione per il Master di I livello dell’Università di Ferrara ‘Tutela, diritti e protezione dei minori’; la collaborazione al progetto pedagogico per scuole primarie e secondarie ‘(R)esistenze’, ispirato al libro di Nico Landi ‘Una storia di storie’, che dal 2006 propone un lavoro teatrale e incontri sul tema della Resistenza nella pianura ferrarese; la collaborazione al progetto di pedagogia teatrale ‘Voci da un’avventura leggendaria’ per scuole primarie e secondarie; il partenariato e la collaborazione al progetto ‘Passi sospesi’ che realizza percorsi e pratiche di laboratorio teatrale con detenuti e detenute nell’ambito del recupero e del trattamento penitenziario, con numerosi episodi di incontro e scambio con gruppi di allievi e allieve del Centro Teatro Universitario.
www.unife.it/centri/ctu
www.balamosteatro.org

Nel ‘Tritacarne’ di Giulia Innocenzi gli allevamenti italiani e qualche politico cialtrone

di Linda Ceola

Carne in scatola mangiata direttamente dalla latta. Tonno. Mais. E ancora tonno. Abitudini alimentari tipiche di una studentessa indaffarata e noncurante. Il corpo inizia a urlare a squarciagola: ciocche di capelli cadono, un rene s’infetta e il preludio di una svolta necessaria si manifesta. Dicono che un libro sia capace di aprirti gli occhi e ‘Se niente importa’ di J. S. Foer sembra essere un buon titolo per voltare pagina in una situazione come questa. Giulia Innocenzi, conduttrice del talk televisivo Announo, parte da qui e, mossa dal disgusto suscitato dai racconti di Foer sugli allevamenti intensivi americani, avvia un’indagine approfondita sulla situazione italiana. Nasce così ‘Tritacarne’, presentato domenica all’Ibs+Libraccio di Ferrara, ultimo suo libro dopo ‘La stella più lontana’ dedicato a Margherita Hack. Giulia scende dalle stelle per visitare la bassezza delle stalle e capire cosa si cela dietro l’abusata espressione ‘Made in Italy’, scoprendo che i prodotti di origine animale provengono per l’80% da allevamenti intensivi, che negano assolutamente le condizioni naturali dell’animale, sottoposti a torture legalizzate.

L’espressione “Benessere animale” utilizzata dalla legge italiana si fa beffa delle creature a cui si rivolge e nella realtà indagata da Giulia e dal suo team, perde credibilità svuotandosi e restando solo nero su bianco. All’interno degli allevamenti avvengono cose orribili perciò, per legge, l’allevatore è obbligato a compiere delle azioni risolutive. A questo proposito Giulia Innocenzi fa riferimento a un allevamento di suini della provincia di Brescia, dove si è trovata di fronte ad una situazione inconcepibile: maiali di nove mesi pesanti 160 chili, chiusi in un recinto così piccolo da non consentire loro il minimo movimento e privati in alcuni casi della possibilità di toccare il suolo. Sovraffollamento indecente. I maiali, che per natura sono animali molto curiosi e bisognosi di muoversi, non possono fare niente se non resistere, così per passare il tempo iniziano a mangiarsi vicendevolmente le estremità: orecchie, genitali, code. In questo contesto subentrano gli allevatori che, pur di mantenere la loro merce “sana” fino alla macellazione, ricorrono ‘legalmente’ a una serie di mutilazioni folli per il ‘benessere animale’ sopracitato, nonostante siano a conoscenza che la paglia, per esempio, stimolerebbe quella sete di esplorazione innata del suino, evitando di inciampare in spiacevoli scene cannibalistiche, che invece sono all’ordine del giorno. La paglia ha un costo. La manodopera necessaria a stenderla, anche. Non si può nemmeno correre il rischio che s’insinui nelle fessure del pavimento adibite al deflusso dei liquami. Troppi costi! Sacrificare code sembra essere la scelta migliore. “A una aberrazione si risponde dunque legalmente con un’altra aberrazione” afferma Giulia Innocenzi.

Il testo pone in rilievo non solo la questione etica, bensì anche quella sanitaria. In Italia oltre il 70% degli antibiotici in commercio finisce negli allevamenti intensivi; inoltre il nostro paese si colloca al terzo posto dopo Cipro e Spagna per il consumo di questa categoria di farmaci. Giulia Innocenzi non fa parlare solo gli animali e gli allevatori, dà voce anche ai numeri, consapevolizzando gli ignari e arricchendo gli informati. Il rischio di questo abuso di farmaci conduce tutti noi, nessuno escluso, all’inevitabile emergenza sanitaria detta antibiotico-resistenza, che ci ritroveremo a dover affrontare negli anni a seguire. Nasceranno nuovi batteri capaci di resistere a questi farmaci, annullandone completamente l’efficacia ed esponendoci alle malattie senza possibilità di difesa.
A proposito di salute: “In un macello del mantovano vengono uccisi 350 maiali all’ora dopo aver condotto una non vita – afferma Giulia Innocenzi –; un operaio su quattro, costretto a mantenere così elevato il ritmo di questa infernale macellazione, contrae malattie professionali alle spalle, gomiti e polsi”. Non si tratta semplicemente di un’insostenibile mole di lavoro, ma di una situazione disumana. Lavoratori impossibilitati a bere perché non c’è tempo, costretti a usare maggiore forza perché non sempre i coltelli sono affilati come dovrebbero. “C’è stato un periodo nel quale per tornare a casa dovevo accendere il Tom Tom – racconta un operaio del macello Martelli di Dosolo (Mn) nel libro di Giulia – ero così fuori, così stanco […] Mio figlio vuole essere preso in braccio e io non so come spiegargli che il papà, grande e grosso, non può”.

Con il sostegno di Paolo Bernini, Claudio Cuminardi e Mirko Busto, parlamentari appartenenti al Movimento 5 Stelle, Giulia, dopo aver vissuto sulla sua pelle tutto questo, intende presentare alla Camera tre proposte legislative di grande interesse per la nostra salute, che di questo passo sembra di certo non venir mangiando, e per quella degli animali, costretti alle torture legalizzate di cui siamo circondati. La prima riguarda l’etichettatura, al fine di raggiungere una certa trasparenza nel metodo di allevamento e macellazione; la seconda prevede una riforma sui controlli veterinari; mentre la terza e ultima intende rendere obbligatoria la presenza di telecamere all’interno degli allevamenti, una misura risolutiva che la Francia sta già sperimentando a seguito della pubblicazione virale di alcuni video, girati di nascosto nei mattatoi, dall’associazione animalista L214.
Come si fa a tacere di fronte a tutto questo? Eppure nonostante l’evidenza di una realtà ignobile, il Parlamento Europeo decide ‘saggiamente’ di stanziare cinque milioni di euro per una campagna promozionale che incentivi l’uso della carne. Gli animali continuano a essere spremuti come spugne e modificati geneticamente per aumentarne la produttività. Quella della ‘vacca a terra’ diventa pure una sindrome, quasi per discolpare l’uomo dalla ‘malattia’ contratta, quando in verità si tratta di una mucca massacrata da ritmi di produzione forzati, che superano i limiti della decenza portandola ad accasciarsi, sfatta.
Non tutte le situazioni esalano odore di verro. L’autrice non si risparmia e dà rilevanza anche a esempi degni di nota: è il caso di Luigi Chierico, meglio conosciuto con l’appellativo di ‘Noè delle Mucche’ che a partire dalla fine degli anni Ottanta si è dato una missione, ossia salvare le razze bovine in via d’estinzione.

‘Tritacarne’ vuole essere un testo informativo senza presunzioni. Giulia Innocenzi mette sul piatto della bilancia un sistema marcescente spingendo semplicemente il lettore a una maggiore consapevolezza.
“Possiamo scegliere quello che vogliamo seminare – dice un proverbio cinese – ma siamo obbligati a mietere quello che abbiamo piantato”.

Un futuro migliore con i bambini del Cocomero

Di Natasha Fikri

Parola d’ordine: imparare, esprimere, creare. È questa la dichiarazione d’intenti de “I bambini del Cocomero”, l’associazione di promozione sociale non-profit, costituita dai genitori e dagli insegnanti della scuola primaria “Bruno Ciari” di Cocomaro di Cona, che lo scorso mercoledì 1 febbraio ha tenuto una conferenza stampa presso la bottega biologica Giro Bio a Ferrara. In questa occasione, sono intervenuti i membri del Consiglio Direttivo: il segretario Mauro Presini (maestro), la presidentessa Roberta Migliore (genitore), il vicepresidente Rodolfo Grechi, (genitore), la consigliera Patrizia Angeloni (maestra), la consigliera Lorella Liverini (maestra), la tesoriera Chiara Nanni (genitore) e la consigliera Laura Soavi (maestra). Essi hanno illustrato l’originale scopo di questa interessante iniziativa, che consiste nel dare il giusto spazio alla fantasia e alla libertà d’espressione dei bambini, rendendo disponibile la loro ‘letteratura’ a tutti coloro che hanno voglia di conoscere ed imparare, a qualsiasi età.

Nonostante sia stata fondata solo il 10 gennaio 2017, l’associazione vanta una storia che dura ormai da venticinque anni. Era infatti il 1992 quando l’idea di creare un vero e proprio laboratorio creativo, curato interamente dai bambini con l’attento aiuto degli insegnanti, divenne realtà. Nacque così il primo giornale autoprodotto della scuola “Bruno Ciari”, ossia “La Gazzetta di Cocomaro”, oggi conosciuta con il nome de “La Gazzetta del Cocomero”. Un gioco di parole che, oltre ad essere simpatico, rende anche omaggio al ‘Grande Cocomero’, personaggio del noto fumetto ideato da Charles Monroe Schulz e metafora dello spirito stesso dell’iniziativa: un futuro migliore e pieno di sorprese in cui i bambini possano cooperare e crescere come alunni, come figli dei propri genitori e della propria terra, e come cittadini, sviluppando le proprie capacità espressive oltre i confini della scuola.

Per rendere possibile tutto questo, “I bambini del Cocomero” promuove incontri, riunioni, seminari, convegni ed assemblee sulla cultura dell’infanzia, e si propone di garantire la continuità della pubblicazione del proprio giornalino scolastico e dei suoi supplementi: quaderni, calendari, trascrizioni di conversazioni ‘filosofiche’, libriccini di storie create in gruppo e ristampe riviste ed arricchite da una raccolta di filastrocche per la conta provenienti da tutto il mondo.

Se credete anche voi che i bambini hanno molto da insegnarci, potete sostenere l’associazione abbonandovi o comprando una copia de “La Gazzetta del Cocomero” presso la scuola “Bruno Ciari” (e prossimamente in libreria), diventando soci ordinari (per saperne di più, visitate il blog https://ibambinidelcocomero.wordpress.com/), oppure mettendo un ‘like’ alla pagina Facebook https://www.facebook.com/ibambinidelcocomero/.

Case popolari, Acer puntualizza: “Forniamo alle famiglie meno abbienti un alloggio confortevole a canone sociale”

da: Diego Carrara, direttore Acer Ferrara

Egregio Direttore,
desideriamo intervenire in merito alle considerazioni comparse sul vostro quotidiano lunedì 6 febbraio, dal titolo: ”Nelle case popolari la vita non si riduce a numeri”, di Jonatas Di Sabato.
La Conferenza organizzata da Acer Ferrara venerdì 3 febbraio, alla Camera di Commercio, aveva una finalità ben precisa: quella di illustrare, sia pure in modo sintetico, i principali interventi di riqualificazione urbana realizzati negli ultimi 15 anni dall’Azienda Casa della Provincia di Ferrara, in una logica di continuità rispetto alle iniziative intraprese già qualche anno prima dallo Iacp .
Il titolo del volume presentato durante la Conferenza non a caso è: “Acer Ferrara – 15 anni di interventi edilizi per i Comuni dopo la L.R. n-24/2001”.
Inevitabile , quindi, che si sia parlato molto di fondi, investimenti, appalti, ma anche in diversi passaggi (come quelli dell’Assessore Regionale Patrizio Bianchi) di qualità dell’abitare, di rapporti sociali e di nuove comunità che si possono determinare in quartieri riqualificati.
Inevitabile anche che i relatori abbiano usato un linguaggio condito di qualche tecnicismo, che pero’ non ha creato particolari imbarazzi ai numerosi intervenuti, per lo più operatori del settore delle politiche abitative o amministratori di enti locali.
D’altra parte, le politiche abitative si fanno anche con fondi, investimenti e appalti….
Altrimenti, si scade nella semplice analisi sociologica dei fenomeni, senza poter mai declinare risposte o proposte ai bisogni indagati.
Ci preme tuttavia ribadire il nostro impegno in ambito sociale dove Acer Ferrara ha molto a cuore i propri utenti, la qualità del loro abitare, la comunità in cui vivono e le relazioni di inclusione e integrazione che la irradiano.
Lo dimostrano le numerose iniziative in tal senso: la Festa dei Vicini annuale, i Convegni organizzati su queste tematiche, il Portierato Sociale al Barco, l’attività di mediazione sociale e dei conflitti che da anni svolgiamo nei palazzi popolari che gestiamo, la creazione di una rete regionale dei Mediatori sociali nell’erp (i Mediattivi ), le relazioni quotidiane con i Servizi Sociali del territorio per i nuclei famigliari più fragili, la figura dell’Agente Accertatore -che per primi in Regione abbiamo attivato – per essere più vicini alle persone e alle loro problematiche del vivere in condominio..
Ultimo, ma non per importanza, la pubblicazione della 2° edizione del Bilancio di sostenibilità – anni 2014/2015, a conferma della radicata sensibilità di Acer Ferrara rispetto alle tematiche della sostenibilità sociale, ambientale, oltre che economica, del proprio operato.
Anche l’attenzione ai consumi domestici degli inquilini di alloggi popolari, è una declinazione di come Acer interpreta il proprio ruolo: fornire alle famiglie meno abbienti un alloggio confortevole, a canone sociale e con servizi dai costi sostenibili, per migliorare la qualità di vita degli assegnatari stessi.
Ci scusiamo quindi se tale dimensione sociale non è emersa nella Conferenza di venerdì pomeriggio, vero è che non solo il tema era un altro, ma in poco più di un’ora e mezza non si poteva rappresentare tutto il nostro lavoro e la sua complessità.
Crediamo invece possa essere stimolante, per noi oltre che per Jonatas Di Sabato, un confronto sulla qualità abitativa dei diversi quartieri di Erp di cui si tratta nel libro, magari attraverso un viaggio da intraprendere insieme nei prossimi giorni per toccare con mano del fatto che trattiamo sempre e solo di persone e non di numeri o statistiche.
Un Cordiale Saluto
Diego Carrara

“La libertà di dire, la verità di fare”: sabato 11 febbraio, alla Casa dell’Ariosto, inaugurazione della mostra dedicata a Don Franco Patruno

da: organizzatori

Inaugurazione mostra: sabato 11 febbraio alle ore 18.00 (Casa di Ludovico Ariosto, via Ariosto 67, Ferrara)
Don Franco Patruno (Ferrara 1938-2007) rappresenta una delle voci più significative del dibattito artistico, culturale, religioso e civile del secondo novecento ferrarese.
Nel decennale della morte un’esposizione vuole ricordarlo a quanti lo hanno stimato e allo stesso tempo farlo conoscere a quanti non lo hanno conosciuto. L’oggetto della mostra è costituito da momenti significativi della sua produzione grafico pittorica: dai ritratti di grande formato realizzati su carta con il pastello nero, agli Angeli caduti, ai Crocefissi, dai collage materici alle chine preziose. Ogni opera d’arte diventa per don Franco il momento di un dialogo culturale e teologico con il mondo attuale. È proprio il suo modo di operare all’interno del mondo dell’arte del Novecento, che ha utilizzato spesso delle categorie teologiche senza nessuna teologia di fondo, a permettergli di mettere in circolazione idee e riflessioni in piena coscienza e di sviluppare un atteggiamento di ascolto verso una umanità in cui prevalgono istanze perturbatrici.
Il gioco della mano e del supporto che l’artista mette a punto con grande libertà di espressione e pertinenza critica, agisce nello spazio/tempo in modo del tutto caratteristico. Se nella serie dei ritratti la resa introspettiva e l’indagine psicologica fanno affiorare sul volto di amici, colleghi, artisti e intellettuali, stati d’animo, umori esistenziali e creaturali, è nei tasselli rarefatti dei collages che si creano non solo echi dei mosaici bizantini ma anche rielaborazioni di un dibattito culturale e spirituale più ampio, fatto di aperture autentiche. È però un tempo che va inteso non in senso antropologico ma in senso teologico in cui la valenza cristologica diventa la connotazione fondamentale. La categoria della Salvezza modifica allora in modo sostanziale ogni concezione di essere nel tempo dell’uomo. Questo modifica e dà senso a tutta la produzione di don Franco.

Alla Casa di Ludovico Ariosto, in via Ariosto 67 a Ferrara, dal 11 Febbraio al 12 Marzo 2017.
Sabato 11 Marzo, alle ore 16. “Concerto per Franco” del duo Claudio Miotto (clarinetto) e Paolo Rosini (chitarra).
Orari di visita: 10.00 – 12,30 /16.00 – 18.00 martedì – domenica (lunedì chiuso).
Ingresso libero

E alla fine arriva l’outlet: DeltaPo Family Destination, anima commerciale e occhio al territorio Unesco

Vado all’appuntamento, come d’accordo, per l’incontro con DeltaPo… il Delta del Po… parole che risvegliano in me vecchie memorie di studi scolastici.
Per certi versi, la storia del Delta del Po è a dir poco singolare. Per secoli una terra fertilissima e allo stesso tempo inospitale, con un passato travagliato, fatto di annosi conflitti, periodiche alluvioni e la perenne piaga della malaria. Un territorio conteso per l’importanza strategica e commerciale del suo fiume, lo stesso fiume che ciclicamente portava distruzione e morte alle popolazioni che abitavano le sue sponde.download
“Diamante! Diamante! Per l’acqua e per il sale!” era il grido di battaglia dei fanti dell’esercito di Ercole I d’Este che, assieme agli alleati mantovani e bolognesi, difendeva le sponde settentrionali del Po dall’attacco dell’armata della Serenissima nel lontano 1482. Forse proprio lì, nel luogo dell’appuntamento, infuriò una delle tante battaglie tra Estensi e Veneziani, nei due anni di guerra per il controllo dei traffici commerciali (soprattutto del commercio del sale) dal mare ai Ducati della Pianura Padana fino al Ducato di Savoia. La vasta pianura alluvionale si è sempre prestata alla perfezione come teatro ideale di battaglie campali.
Alluvionale, appunto… Esattamente lì, infatti, a Malcantone nei pressi di Occhiobello, sessantasei anni fa si ruppero gli argini provocando la più disastrosa alluvione che l’Italia ricordi.
Per fortuna, i drammi di quest’angolo di territorio sono ormai retaggio di un passato morto e sepolto per sempre.
E se il buon giorno si vede dal mattino, quel giorno è iniziato con una splendida mattinata di sole benaugurante.
Era mercoledì 25 gennaio quando si è tenuto l’incontro tra lo staff di DeltaPo e i giornalisti. goccia
La prima cosa che mi colpisce è il logo: una goccia d’acqua, ma potrebbe essere anche una fiamma, una foglia, in ogni caso un richiamo alla natura; l’acqua è comunque il riferimento d’obbligo per un progetto espressamente legato al Po e al suo territorio. Questo logo, dalle linee curve e avvolgenti, mi piace molto. L’impressione è che la strada che DeltaPo sta per intraprendere sia iniziata sotto i migliori auspici.
DeltaPo - Apriamo
Un’organizzazione impeccabile ci ha dato appuntamento nell’ampia sala illuminata dell’edificio principale del moderno Centro Direzionale di DeltaPo Outlet, dove veniamo accolti per assistere alla presentazione dell’evento condotto da Gianluca Gerosa, Direttore Generale del Marketing del grande complesso commerciale.
Ma che cos’è DeltaPo Outlet?
L’errore più comune sarebbe proprio definirlo un grande centro commerciale, in effetti non è così: DeltaPo Outlet nasce ed è stato pensato come un centro di aggregazione e di promozione delle molteplici realtà presenti nel vasto territorio del Delta del Po. Il nome scelto non è casuale e rispecchia quella che è la filosofia del progetto, cioè fare conoscere al mondo il grande potenziale attrattivo di un’area fino ad oggi quasi ignorata, persino dai suoi stessi abitanti. Eppure la ricchezza storica, culturale e ambientale del Delta è stata ufficialmente riconosciuta anche a livello internazionale proprio dall’Unesco, che nel 2015 ha proclamato il Parco del Delta Patrimonio dell’Umanità, inserendo gli oltre 140 mila ettari del suo territorio nella propria rete di riserve ambientali protette.Fiume_Po_a_Boretto
Quindi, che fare per valorizzare questo patrimonio?
In proposito quelli di DeltaPo Outlet hanno le idee chiare. Innanzitutto creare una rete di promozione internazionale rivolta ai mercati emergenti. E per questo è stata avviata da tempo una stretta collaborazione con esperti operatori internazionali in grado di far conoscere le innumerevoli attrazioni del nostro territorio. I paesi coinvolti appartengono soprattutto all’area dell’est europeo, come i nuovi stati dell’Ex Jugoslavia, poi l’Ungheria, la Repubblica Ceca e la Russia, ma anche l’Austria e la Francia. Le prospettive sono interessanti, in un territorio che comprende essenzialmente le province di Ferrara e Rovigo, con una popolazione complessiva intorno al mezzo milione di abitanti, ma con un afflusso di turisti che negli ultimi anni ha toccato punte di oltre cinque milioni di presenze l’anno. Quest’ultimo dato ci fa comprendere bene che l’interesse attorno al Delta c’è eccome, nonostante ancora oggi questo territorio continui ad essere considerato da molti un’area “depressa” e, per ciò che riguarda il tasso occupazionale, resti tuttora tra i meno virtuosi del nord-est.
Tuttavia, il potenziale valore del territorio è indiscutibile, l’offerta è vasta e variegata.
Tanti sono i motivi d’interesse: la storia ricca e avventurosa di una terra di confine; il valore architettonico e artistico di una importante città rinascimentale come Ferrara; le specialità tipiche della gastronomia veneta e emiliana; il fascino e l’atmosfera senza tempo, eterea e ammantata di mistero, delle valli del Delta, col suo reticolo di corsi d’acqua, le sue lagune e le sue pinete; e per finire, l’attrazione dei centri balneari posti sul litorale, partendo da Rosolina e l’Isola di Albarella a nord, arrivando fino a Comacchio e ai suoi sette Lidi a sud. Questi sono i principali punti di forza del nostro territorio che gli ideatori di DeltaPo vogliono promuovere, proponendoli nell’Outlet di Occhiobello attraverso un fitto calendario di eventi in programma nei prossimi mesi.
In fondo la definizione di outlet, in questo caso, è a dir poco riduttiva. Gianluca Gerosa parla di luogo d’incontro e aggregazione per famiglie.
IMG-20160414-WA0006-smallNel progetto, giunto a compimento dopo una travagliata gestazione, è prevista una vasta area dedicata alla ristorazione e al divertimento, con un occhio di riguardo all’aspetto naturalistico attraverso la realizzazione di un percorso attrezzato con aiuole e piante uniche, che sarà arricchito prossimamente da una serie di presentazioni e approfondimenti a tema ambientale.
Insomma, non solo un’area commerciale in cui comprare risparmiando, ma anche e soprattutto un luogo di svago e di incontro per famiglie; per i viaggiatori e i turisti, così come per gli abitanti del posto. Un luogo in cui trascorrere il proprio tempo libero scoprendo le bellezze insospettabili di un territorio con prospettive ancora tutte da esplorare.
Una posizione ideale, strategica, posta al confine tra Veneto ed Emilia, a metà strada tra Venezia, Ravenna e il mare, a due passi da Ferrara e proprio davanti all’uscita dell’autostrada Bologna-Padova.
Come dicevo, i presupposti per un futuro roseo e di successo ci sono tutti.
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146.567 visitatori in 128 giorni per l’Orlando al Diamanti

Da organizzatori

Domenica 29 gennaio si è conclusa la mostra Orlando furioso 500 anni. Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi, organizzata a Palazzo dei Diamanti dalla Fondazione Ferrara Arte e dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, in occasione del quinto centenario della prima edizione del poema.
La mostra, a cura di Guido Beltramini e Adolfo Tura, affiancati da un comitato scientifico internazionale di autorevoli storici dell’arte e della letteratura, ha voluto evocare le fonti visive che insieme a quelle letterarie hanno ispirato Ariosto nella redazione di questa pietra miliare della letteratura del Rinascimento. I capolavori dei più grandi artisti del periodo – da Mantegna a Leonardo, da Botticelli a Raffaello e Tiziano – oltre a sculture antiche e rinascimentali, miniature, arazzi, armi, libri e oggetti preziosi hanno fatto rivivere il fantastico mondo cavalleresco del Furioso e dei suoi paladini.
A questa innovativa proposta hanno risposto in modo molto positivo sia la critica che il grande pubblico, in particolare le scuole, come conferma l’affluenza ampiamente superiore alle aspettative.
Vista l’eccezionalità dei prestiti raccolti e la conseguente unicità di un’esposizione come
Orlando furioso 500 anni, oltre al gradimento espresso dai visitatori in tutte le sedi – dalle interviste in mostra ai commenti sui social network –, gli organizzatori hanno deciso di prorogare la mostra di 3 settimane fino al 29 gennaio.
Al termine dei 128 giorni della rassegna i visitatori sono stati 146.567, con una media giornaliera di 1.145 biglietti staccati.

Molto rilevanti da un punto di vista culturale e al contempo di grandissimo successo sono le pubblicazioni realizzate da Ferrara Arte, una delle poche istituzioni che non affida a editori esterni questo aspetto essenziale nell’organizzazione di un’esposizione e della diffusione dei suoi contenuti.
Il catalogo ha riscosso un così ampio successo da renderne necessaria la ristampa per ben tre volte ed è stato comunque esaurito pochi giorni prima della fine della mostra. È stato molto alto anche il gradimento degli altri materiali realizzati da Ferrara Arte per l’occasione: in particolare quello di Orlando Pazzo nel Magico Palazzo, il libro per bambini di Luigi Dal Cin e Pia Valentinis, che ha ottenuto un risultato di vendite senza precedenti.

La proposta di Ferrara Arte, come di consueto, si è arricchita di un programma di iniziative didattiche e culturali che hanno accompagnato l’esposizione. Oltre a presentazioni, incontri, concerti e proiezioni, ha avuto un riconoscimento grande e inaspettato la Maratona Orlando, 38 ore di lettura integrale e continuativa del poema durante le quali si sono alternati quasi 1.000 lettori: classi di studenti, associazioni, cittadini che hanno letto da soli e in gruppo alla presenza di 1.400 spettatori dal vivo e di oltre 70.000 persone raggiunte dai canali social di Palazzo dei Diamanti o che hanno seguito l’evento in streaming.

Le interviste ai visitatori hanno consentito di raccogliere diversi dati interessanti, presenti nel dossier completo sull’esposizione. In particolare si conferma la centralità del passaparola, insieme agli strumenti promozionali e ai social network, nella promozione di una mostra apparentemente non facile, ma che ha letteralmente conquistato il pubblico (basti pensare che solo lo 0,82% degli intervistati non ha apprezzato Orlando furioso 500 anni).
Significativo, in questo senso, anche l’incremento (+3%) dei visitatori che dichiarano di essersi recati per la prima volta a vedere una mostra dei Diamanti, a testimonianza dell’efficacia di una proposta culturale rigorosa, ma capace di ampliare con costanza il proprio bacino di utenti. Con conseguenti, importanti ricadute sul comparto turistico e sulla città tutta.

Da sempre i Diamanti si connotano per la qualità dell’offerta didattica, che si declina in un articolato programma di iniziative, realizzato grazie al partenariato con Eni. L’accoglienza molto positiva delle varie proposte educative ha premiato ancora una volta la scelta di investire in metodologie sperimentali, multidisciplinari e fondate sul coinvolgimento attivo.

Entrambi i dossier di Ferrara Arte sono scaricabili in forma completa dal nostro sito www.studioesseci.net


Al lupo! Al lupo! Ma a far paura adesso è l’uomo

Chi ha paura del lupo italiano? Cattivo, brutto e mangiatore di bambini, il lupo delle fiabe è sempre stato la rappresentazione animale di ogni genere di male. Nella vita reale, invece, si torna a parlare della sua salvaguardia. Il lupo italiano è considerato una specie protetta dal 1971, anno in cui ha quasi rischiato l’estinzione. Ora, dopo 46 anni, si è tornato a parlare di abbattimento controllato per tutelare le attività agricole e l’allevamento.

Oggi, 2 febbraio, si discuterà infatti il Piano di Conservazione e Gestione del Lupo, preparato dal Ministero dell’Ambiente, un suo istituto di ricerca, dall’Ispra e da settanta consulenti esperti, già approvato in sede tecnica durante la Conferenza Stato-Regioni del 24 gennaio.
Il Piano è composto da 22 misure, che toccano punti come l’inserimento di recinti elettrificati, rimborsi per gli allevatori, la lotta agli incroci tra cani e lupi, le campagne di informazione sui sistemi di prevenzione naturali e la gestione dei pascoli.
A scuotere gli animi di chi ha a cuore gli animali, della associazioni e di alcuni presidenti regionali è l’ultima misura considerata: l’abbattimento controllato fino al 5% della popolazione complessiva di lupi in Italia, nel caso che le misure precedenti non portino a risultati.

Il Wwf ha creato una petizione, che ha già raccolto le firme di 190 mila cittadini, lanciando un appello diretto ai venti presidenti di regione e invitandoli a votare no, sottolineando la mancanza di registri con dati precisi e attendibili sulla popolazione dei lupi italiani. Nel nostro Paese si contano dai 100 ai 150 esemplari sulle Alpi e tra i 1070 e i 2475 sull’Appennino. Sempre il Wwf ha stimato che ogni anno in Italia muoiono circa 300 lupi per atti illegali, uccisi a colpi d’arma da fuoco da bracconieri o allevatori, ma anche a causa di incidenti stradali.
Inoltre in tutta Italia diverse associazioni, tra cui l’Enpa, Legambiente, la Lav e la Lipu, hanno invitato i cittadini a manifestare contro questa decisione, sia attraverso i social network, con un piano di Mail Bombing diretto al Ministro dell’Ambiente Galletti e al Presidente del Consiglio Gentiloni, sia organizzando proteste su tutto il territorio.

Anche qui a Ferrara, ieri pomeriggio davanti al Duomo, si è tenuta la manifestazione “Giù le mani dal lupo”, a guidarla è stato il Movimento Etico per la Tutela di Animali e Ambiente, Meta, per sensibilizzare l’opinione pubblica. A presenziare i volontari, accompagnati dai loro amici a quattro zampe, fieri nipoti dei lupi, pronti a dare informazioni e a difendere i diritti dei lupi.
“Sono molto soddisfatta della manifestazione – dichiara Giada Benasciutti, dirigente provinciale Meta Ferrara – perché abbiamo raggiunto il nostro obiettivo: informare molti cittadini a riguardo della modifica del Piano di conservazione e tutti hanno mostrato interesse e hanno immediatamente firmato la petizione “Salva il Lupo” su charge.org. La modifica al piano non ha alcun valore perché mancano i dati su cui calcolare il 5% e, inoltre, se venisse ucciso un membro di importanza vitale in un branco, si potrebbe causare la morte di tutti i componenti. Il nostro dovere e quello di pensare alla salvaguardia della natura.”

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Nel frattempo il governatore della regione Lazio ha dichiarato di essere contrario all’attuazione del Piano, insieme ai governatori della Puglia e dell’Abruzzo, seguiti da quelli della Liguria, del Piemonte e del Veneto.
A difesa del Piano invece il ministro Galletti, che ha dichiarato: “La conservazione del lupo è un tema troppo serio perché possa essere piegato al clamore mediatico o al populismo di qualcuno”.

Tanti gli hashtag usati per promuovere le azioni locali e nazionali sul web, come #sparaunNo, #SALVAiLUPI o #SOSLUPO.
A battersi per la difesa della sua specie anche uno dei lupi italiani più celebri, Lupo Alberto che, attraverso la mano del suo disegnatore Silver, alla possibilità di uccidere i suoi simili afferma: “Ma siamo matti?!”

Alcuni momenti della manifestazione di mercoledì pomeriggio. Foto di Valerio Pazzi

Io, rifugiata pakistana, denuncio il rischio dei falsi profughi

di Meera Jamal*

Secondo i dati dell’Unhcr (l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), nel 2015 circa 47.840 pakistani hanno presentato domanda di asilo in Europa e la maggior parte di loro ha trovato sistemazione in Germania. Il Pakistan non è al primo posto nella graduatoria delle richieste di asilo. La maggioranza degli esuli in Europa proviene dalla Siria (362.775), seguita da Afghanistan (178.230) e Iraq (121.535). Ma questi stati sono teatro di guerre o conflitti interni. Poi ci sono flussi di migrazione interni al continente, dovuti a ragioni di natura economica, alimentati da cittadini extracomunitari, primi fra tutti quelli del Kosovo e dell’Albania. Quello del Pakistan, che si colloca al sesto posto e sopravanza nazioni come Eritrea e Nigeria, è un caso particolare degno di attenzione. Il Pakistan, dal quale io stessa provengo, non è un paese devastato dalla guerra, benché sia scosso da persecuzioni nei confronti delle minoranze religiose: sorge spontaneo, allora, chiedersi perché vi sono così tante persone che vogliono venire in Europa. Posso testimoniare infatti per diretta conoscenza che molti dei richiedenti asilo non sono vittime di persecuzioni di alcun tipo.

L’Europa, continente in cui vivo da otto anni, è ormai frequentemente oggetto di attacchi compiuti da rifugiati che generano morti, feriti, dolore e paura. Nonostante io stessa sia una rifugiata, credo ci sia molto di più del cercare un asilo nei cosiddetti “cercatori di rifugio”.
Ciò che spaventa, per esempio, è che, da una conversazione che ho avuto con un conoscente pakistano, ho scoperto che – proprio come l’aggressore tunisino Anis Amiri, il terrorista tunisino ritenuto l’autore della strage di Berlino del dicembre scorso, morto nel milanese a seguito di un conflitto a fuoco con la polizia – anche molti dei rifugiati pakistani arrivati in Germania, hanno presentato la domanda di asilo (alcuni di loro anche quattro o cinque volte), utilizzando pseudonimi diversi. Si dirà: questa situazione potrebbe essere evitata semplicemente prendendo le impronte digitali, ma capisco che, con un numero così elevato di rifugiati, l’amministrazione abbia difficoltà a farlo.
Ciò che finora è stato preso così “alla leggera”, potrebbe però facilmente trasformarsi in un rischio alla sicurezza, dal momento che sappiamo che i talebani e altre organizzazioni islamiche dilagano in Pakistan. E’ solo una questione di tempo prima che anche loro trovino il modo di combattere la battaglia dell’Islam nei paesi europei.
Non dimentichiamo che lo stesso Osama bin Laden visse in Pakistan per parecchi anni. In Pakistan ci sono ancora studenti che predicano apertamente l’odio e incitano a quella violenza che, negli ultimi due decenni, ha stroncato tante vite preziose.

La realtà è che il Pakistan ha molte regioni e alcune, come il Balochistan, sono quasi zone di guerra; nonostante ciò, durante i miei otto anni di esilio in Germania, non ho quasi mai visto dei balochistani fare domanda di asilo (a parte per quelli arrestati, per errore, dalla polizia tedesca nel corso delle indagine relative all’attacco di Berlino). Inoltre, le minoranze religiose in Pakistan, sono state brutalmente prese di mira nel corso degli ultimi anni. Vi sono stati molti atti di persecuzione contro i cristiani e gli ahmadi (propaggine della religione islamica); molti induisti sono stati convertiti con la forza, resi vittime di violenza carnale e assassinati.
Ciò nonostante, non ho mai incontrato un rifugiato pakistano che non appartenesse ad altra minoranza religiosa se non a quella ahmadiyya. Questo avviene perché circa il 90% di queste persone appartiene alla classe medio-bassa e non può permettersi di pagare tra i 13.000 e i 18.000 euro ad un agente, per ottenere un visto per un qualunque paese europeo.
Il paradosso sta nel fatto che lo stesso Pakistan ospita circa 1.621.525 di rifugiati afgani; alcuni di loro sono anche riusciti ad ottenere un passaporto pakistano con le buone o le cattive maniere e, dal momento che vi sono pochi controlli alle frontiere, molti di questi passaporti potrebbero essere opera dei talebani afgani.
Quindi, chi è la maggioranza delle persone che riesce a oltrepassare il confine e arrivare in un paese così lontano dal proprio? Stando alle mie osservazioni, la maggior parte di chi cerca asilo proviene dal Punjab. Dal momento che non è facile trovare lavoro e l’educazione non è un punto di forza della regione, la maggior parte degli uomini della classe medio-alta aspira a raggiungere paesi europei, dove sa di poter fare fortuna anche facendo mestieri “bizzarri” (che nella mentalità pakistana sono considerati degradanti). Molti di loro infatti hanno parenti che abitano in Europa o in America e sono attratti dalle migliori condizioni di vita in cui vivono.

Lusingati da tale prospettiva, questi uomini si mettono in contatto con trafficanti noti come ‘agenti’, i quali hanno avviato business e instaurato contatti con le industrie di diversi paesi come la Polonia, l’Italia o la Spagna, riuscendo così a procurare ai pakistani diversi tipi di visti, in base a quanto denaro sono disposti a spendere. Solitamente si tratta di visti di viaggio, visita o lavoro. Una volta che la persona giunge nel paese europeo assegnato, l’agente non ha più alcun tipo di responsabilità e occuparsi del resto del viaggio spetta al rifugiato o ai familiari che si trovano già nel paese dell’Ue. Coloro che desiderano spendere meno, raggiungono la Grecia in barca.
Una volta in Europa, non contattano un avvocato, ma vanno direttamente in un campo profughi, dove fare domanda di asilo. L’aspetto più interessante è che per paura di venire rispediti nel proprio paese appena il proprio caso viene respinto, usano un nome falso e una finta identità nella carta d’asilo, cosicché le proprie radici non possano essere rintracciate. Inoltre, dato che le loro identità non possono essere verificate dal database nazionale del paese, anche l’ambasciata pakistana non è in grado di rilasciare un passaporto per loro o di rintracciarli nel proprio database. Siccome il governo pakistano non è in grado d’identificarli, il governo tedesco non sa cosa fare e molti continuano così a vivere in Germania nonostante le loro richieste di asilo siano state rifiutate.

Durante il soggiorno nel campo profughi, i familiari consigliano loro di parlare il meno possibile e raccontare che sono fuggiti dal paese perché attaccati da un gruppo di talebani.
Quel che accade successivamente è più o meno uguale per tutti loro. Una volta acquisito il Doldung (accettazione) vanno a vivere con le proprie famiglie o negli ostelli per i rifugiati, in varie città. Dal momento che quasi a tutti viene negato il diritto di ottenere un lavoro, non perdono tempo a trovare ciò che localmente viene chiamato ‘schwarzarbeit’ (lavoro in nero) con il quale guadagnano circa 5 euro all’ora, nonostante il minimo salariale sia di 8,50. Inoltre, approfittando della frequente apertura delle frontiere italiane, questi pakistani si dirigono verso l’Italia e, attraverso la corruzione, ottengono un visto sul passaporto che però nascondono alle autorità, così da poter tornare a casa ogni volta che lo desiderano.

Bisogna prendere in considerazione il fatto che la maggior parte di questi uomini rende difficile anche la vita dei rifugiati effettivi.
Conosco una famiglia pakistana che viveva a Brema che perse due membri della propria famiglia; questi individui dovettero chiudere la propria attività e mettersi in salvo poiché la polizia non era in grado di proteggerli. Tuttavia non falsificarono la loro identità, né evitarono di fornire le prove di ciò che era loro accaduto: la loro domanda di asilo venne chiaramente approvata dal governo.
Anche nel mio caso, non ho mai usato una falsa identità; fornii tutte le informazioni relative alla mia famiglia e alla mia posizione e l’inviato Ohne Grenzen verificò la mia situazione di pericolo in Pakistan.

Ciò che più mi spaventa è che il Pakistan è stato, ed è tuttora, terreno fertile per i gruppi militanti religiosi che hanno preso di mira il popolo pakistano. Inoltre, da 30 anni o più, l’estremismo religioso è ormai incorporato nel terreno pakistano e la ricerca del paradiso e delle 70 vergini rende gli estremisti più pericolosi che mai. Dal momento che il problema dei rifugiati è già molto rilevante, penso che quei pakistani e afghani a cui sono stati rifiutate le richieste d’asilo dovrebbero essere rispediti a casa. I dati relativi alle impronte digitali dovrebbero venir condivisi tra i paesi dell’Ue per evitare casi di falsa identità, poiché la maggior parte di loro entra nell’Ue richiedendo un visto.

Il mio cuore è con le famiglie di coloro che hanno perso la vita e coloro che sono stati feriti nei vari attentati. E’ un modo triste e ingiusto di vivere, che genera lutti e paura in tutto il mondo.

* giornalista pakistana attualmente residente in Germania. Traduzione dall’inglese di Silvia Malacarne

L’OMAGGIO
Una mostra e un concerto per don Franco Patruno

da: Maria Paola Forlani

Don Franco Patruno
La Libertà di dire
La Verità di fare

Casa di Ludovico Ariosto
Via Ariosto, 67 – Ferrara
Inaugurazione: sabato 11 febbraio, ore 18

Dall’11 febbraio al 12 marzo 2017

Orari di visita:
10 – 12,30 / 16 – 18 dal martedì a domenica (chiuso lunedì)

Sabato 11 marzo alle ore 16
Concerto per Franco
Del duo Claudio Miotto (clarinetto)
E Paolo Rosini (chitarra)

“ … C’è da dire che questa solerzia quieta, questo controllo messo in campo dai collages, come da quelle forme convenute che giocano sulla materia aliena, si presentano anche come consolidate e progettate avversità che è doveroso interpretare in quanto opposte alle numerose, sovrapposte fasi di liberazione e di confessione che hanno luogo nella mano di Patruno e soprattutto grazie alla forza improvvisa del disegno. Un tratto forte e risentito, oppure morbidamente espressivo, per il cui itinerario – in gran parte spezzato – vale la striscia tenera del colore a cera e della matita pesante. Non c’è da temere, nel rapido segno eloquente che spesso sembra lanciarsi come una freccia, in un’arcata di luce o di vento verso il cielo, Patruno esprime ed evidenzia la sua ferma attenzione verso il mondo delle aspirazioni: delle volontà, dei segni che si levano cercando una metafora nella violenta ascesa, dell’impatto quotidiano che egli cerca con la possibilità di essere e di concentrarsi entro una possibile coerenza, a segnare il margine di un itinerario nuovamente fantasioso, talvolta ironico, inatteso.
Ritengo che la figurazione che Patruno, pur con tante diverse forme e fantasmi, finisce per mettere in atto, sia in prevalenza una meditazione sull’uomo.
La misura ne sostiene l’utilità che è morale, oltre che estetica. Tra le due nozioni si traccia sempre un’alleanza, che rifiuta la condizione del puritanesimo.
Il nostro critico d’arte, un narratore talvolta torrentizio, sa bene come condursi con l’onore della prevalente ragione esistenziale.

I segni di una meditazione, di Andrea Emiliani (Franco Patruno Percorsi 2006)

La locandina dell’esposizione
LOCANDINA A3

acqua-pubblica

Acqua, bene comune per appetiti privati

di Marcella Ravaglia

Il dibattito sui beni comuni nasce e si espande a livello internazionale negli anni ’70, in opposizione ai processi di smantellamento dello stato sociale e della società dei diritti – si ricordi la battaglia contro il Gatt, l’Accordo generale sul commercio dei servizi.
L’economia capitalista di mercato sin dagli anni ’80 è promotrice di un modello di globalizzazione basata sulla mercificazione di ogni bene, la predazione delle risorse naturali, la privatizzazione di beni e servizi pubblici di interesse generale collettivo. Margaret Thatcher all’epoca declinò in modo molto nitido il sistema neoliberista come quello in cui “la società non esiste, esistono gli individui, gli uomini e le donne, ed esistono le famiglie”; un sistema rispetto al quale “there is no alternative” (ovvero, non c’è alternativa). Spesso si fa coincidere la nascita del neoliberismo con la dittatura di Pinochet, il quale fra i suoi primi atti nel 1981 privatizzò tutte le acque della cordigliera cilena.
La dichiarazione di Dublino del 1992, per mano delle Nazioni Unite, trasforma l’acqua da “diritto” a “bisogno”, che perciò da bene universale ed esigibile si trasforma in bene economico da acquistare sul mercato. Dall’enunciazione all’applicazione di questo principio nelle politiche dell’acqua il passo è breve, e a compierlo sono primariamente Banca Mondiale, Fondo monetario internazionale, Organizzazione mondiale del commercio (Omc) e grandi corporations dell’acqua (Suez, Veolia gia Vivendi, Rwe-Thames water, per citare solo le più note). Nel 1999 l’Unione Europea chiede l’inserimento dell’acqua nel Gats (risorto dalle ceneri del Gatt per mano dall’Omc). Non è un caso se le più grandi multinazionali dell’acqua sono europee, le quali intravedono l’apertura di un mercato mondiale degli acquedotti. Da allora, a 72 paesi del Sud del mondo è stata chiesta la piena liberalizzazione dei servizi idrici, nonostante le fortissime contestazioni dei movimenti altermondialisti (Seattle 1999, Cancun 2003).
Nei paesi del Sud del mondo il servizio idrico ha seguito una diversa evoluzione da quella del continente europeo. Infatti, mentre i paesi imperiali ampliavano le reti pubbliche nelle città europee (attraverso le municipalità), nelle colonie l’erogazione dell’acqua era riservata alle élite. Con l’indipendenza, il Sud del mondo si è trovato con infrastrutture insufficienti, e la mancanza di amministrazioni decentrate ha portato i governi centrali ad affidarsi ai finanziatori internazionali strettamente legati ai paesi europei di precedente dominazione coloniale.
L’acqua, come bene comune pubblico e diritto umano necessario alla vita, è stata oggetto di grandi battaglie ovunque, a partire proprio dalle regioni del Sud del mondo. Prima in America Latina, con la memorabile vittoria del popolo boliviano, che nel 2000 a Cochabamba costringe il proprio governo a cancellare la legge di privatizzazione dell’acqua. In Uruguay, dove dopo un decennio (1994-2004) di tentativi, un plebiscito nazionale blocca le privatizzazioni e inserisce in costituzione il diritto di accesso all’acqua come diritto umano e la gestione esclusiva del servizio idrico da parte dello stato. In seguito le lotte per l’acqua attraversano Honduras, Sudafrica, Guinea, Ghana, Indonesia, Filippine. A fronte delle mobilitazioni popolari e dello scarso ritorno economico, dal 2003 si osserva un blocco e parziale ritiro delle multinazionali da quelle regioni del mondo. Ma è solo un cambio di strategia, le multinazionali si concentrano infatti sui paesi occidentali.
In Italia la privatizzazione dell’acqua comincia nel 1994, attraverso la legge Galli, e prosegue a grandi balzi fino al 2009 con il decreto Ronchi, sotto governi di ogni colore. L’obiettivo è quello di sottrarre la gestione del servizio idrico agli enti locali e portalo in mano ad aziende private di portata sovraregionale, ovvero aziende misto pubblico-privato, che sottraggono ai territori sapere e patrimonio, facendo profitto con la mercificazione di un bene essenziale come l’acqua, esponendosi in molti casi alla finanza globale attraverso la quotazione in Borsa.
Le lotte contro la privatizzazione dell’acqua in Italia nascono a livello territoriale, specie nelle regioni del centro-sud: Sicilia, Sardegna, Lazio, Campania, Toscana, Abruzzo, sono regioni dove prima che altrove si sviluppano le contestazioni per l’entrata dei privati e l’aumento incontrollato delle tariffe. La Toscana è la prima regione a sperimentare il partenariato pubblico-privato, portando Arezzo ad essere la provincia con le tariffe più alte a livello nazionale (oggi è Grosseto). I movimenti per l’acqua pubblica si incontrano proprio in Toscana, nel 2002 in occasione del Forum sociale europeo, e poi nel 2003 in occasione del Forum mondiale alternativo dell’acqua. Nel 2005, con l’intensificarsi delle vertenze territoriali, viene lanciato l’appello per la costituzione del Forum italiano dei movimenti per l’acqua: la prima iniziativa del Forum consiste nella costruzione di una legge di iniziativa popolare per la ripubblicizzazione del servizio idrico, legge che ancor oggi è il manifesto dei movimenti per l’acqua. Nel 2007, in sei mesi più di 700 comitati territoriali raccolgono oltre 400 mila firme sulla legge di iniziativa popolare, che viene poi presentata al Parlamento, dove starà a prender polvere per due legislature. In questo contesto sociale opera la Commissione Rodotà, la quale nel 2008 consegna un disegno di legge delega per la riforma delle norme del codice civile sui beni pubblici, lavoro fortemente innovativo, quanto inattuato. Nel 2008 inizia la campagna per la modifica degli statuti comunali attraverso delibere di iniziativa popolare, per il riconoscimento dell’acqua bene comune diritto inalienabile e per la definizione del servizio idrico come servizio di interesse generale privo di rilevanza economica: oltre 200 comuni introducono questa modifica. Nel 2009 il governo Berlusconi fa approvare a colpi di fiducia il decreto Ronchi, che impone la privatizzazione del servizio idrico entro il 2011. Per questo motivo il Forum promuove la campagna referendaria – Rodotà è fra i costituzionalisti estensori dei quesiti – che culmina col voto del 12-13 giugno 2011, quando 27 milioni italiani si esprimono a larghissima maggioranza (98,5% dei votanti) contro la cessione ai privati e contro i profitti fatti sull’acqua. Un risultato frutto di una coalizione vastissima (si dirà “dalle parrocchie ai centri sociali”) e di una mobilitazione capillare fatta tutta dal basso. Va ricordata anche la risoluzione Onu del 2010, che dichiara per la prima volta nella storia il diritto all’acqua “un diritto umano universale e fondamentale”. Il resto è storia recente, in cui i governi (non eletti) che si sono susseguiti in Italia hanno tentato variamente di annullare il risultato referendario, trovando sul loro cammino le contestazioni dei movimenti e spesso anche le bocciature della Corte Costituzionale. Ultima in ordine di tempo, la sentenza di incostituzionalità per il decreto Madia sui servizi pubblici, di cui nell’estate 2016 era stato chiesto il ritiro con una petizione popolare su cui sono state raccolte 230 mila firme.
Il Forum italiano dei movimenti per l’acqua, forte del risultato referendario, ha promosso la nascita della Rete europea dei movimenti per l’acqua, grazie alla quale vengono portate avanti importanti iniziative a livello internazionale. Nel 2012 quasi 2 milioni di firme hanno sostenuto l’iniziativa dei cittadini europei per il diritto all’acqua (Right2Water). Negli ultimi anni poi si sono intensificate le spinte privatizzatrici provenienti da organismi sovranazionali, e dunque è necessario contrastare , oggi più che mai, tutti quei trattati che mirano alla apertura di un mercato mondiale dell’oro blu, in particolare il Ttip e il Ceta. La mobilitazione contro il Ttip, attuata fin dalla sua presentazione nel 2014, ha permesso di vederne la sospensione (non la cancellazione) nel 2015; stessa sorte speriamo avrà il Ceta, l’accordo fra Ue e Canada, ma serve la partecipazione di tutti, ognuno nel proprio contesto e con le proprie competenze. Si scrive acqua, si legge democrazia.

Spunti di lettura
1. Acqua in movimento, Marco Bersani – Edizioni Alegre (2010)
2. Come abbiamo vinto il referendum, Marco Bersani – Edizioni Alegre (2011)
3. Salvare l’acqua, Claudio Jampaglia e Emilio Molinari – Feltrinelli (2010)
4. L’acqua (non) è una merce, Luca Martinelli – Edizioni Altreconomia
5. Il Servizio idrico integrato, 11° indagine di Cittadinanzattiva (marzo 2016)
6. Il Ceta e l’acqua, European water movement (settembre 2016)
7. Fondo campagna referendaria per l’acqua pubblica e contro il nucleare, Fondazione Lelio Basso (2016)

“La forza è nel collettivo, il talento è al servizio del gruppo”. Parola di Arrigo Sacchi

Ricordato soprattutto per aver rivoluzionato il modo di interpretare il calcio e riconosciuto, proprio per questo, fra i migliori allenatori nella storia di questo sport, Arrigo Sacchi, tecnico del Parma, del Milan e della Nazionale, poi dirigente sportivo e opinionista, ha ripercorso per Ferraraitalia le tappe delle sua straordinaria carriera.
Il “Profeta di Fusignano”, piccolo paese della provincia di Ravenna, nasce nell’aprile del ’46 e si affaccia su un Italia ferita dalla guerra, prossima a intraprendere il cammino della democrazia. La sua ascesa come allenatore ha inizio nell’87, lui appena quarantenne, quando Silvio Berlusconi lo sceglie come allenatore del Milan. In seguito diventerà commissario tecnico della Nazionale italiana e vice campione nei mondiali del ’94, al culmine di una manifestazione ricordata per il fatal rigore fallito da Baggio nella finale con il Brasile.
Per realizzare questa intervista abbiamo coinvolto i lettori del nostro quotidiano, invitandoli a postare sulla nostra pagina di Facebook le domande a cui avrebbero desiderato avere risposta.

Da molti anni ormai ha scelto di interrompere la sua carriera di allenatore. Le manca la panchina?
No, assolutamente. Io al calcio ho dato la vita e quando non mi sono sentito più pienamente coinvolto non era giusto che continuassi a pretendere dai giocatori ciò che io per primo non riuscivo più a dare. Ho comunque continuato a svolgere altri ruoli sempre nel contesto calcistico: sono diventato direttore tecnico del Parma e del Real Madrid, lavoravo in televisione, scrivevo sulla Gazzetta, facevo delle convention per banche e aziende, ruoli che svolgo tutt’ora, e ho continuato comunque ad allenare squadre giovanili nazionali.

In chi si rivede maggiormente tra gli allenatori odierni?
In tutti quelli che cercano di proporre un calcio positivo e propositivo mettendo al centro la squadra, il gioco e poi i giocatori. Se la squadra ha lo spirito giusto, non si può sbagliare. Se poi si ha la fortuna di avere qualche giocatore di talento, si avrà la possibilità di fare qualcosa di grande.

Come deve fare un bravo allenatore a trasmettere la voglia di giocare?
Intanto l’allenatore deve avere la fortuna di trovare una società paziente, competente e organizzata, poi in relazione alle disponibilità economiche, andare a prendere le persone più affidabili, intelligenti, con grande entusiasmo e senso dell’appartenenza.
Personalmente, a motivare i miei ragazzi c’era la stima che io provavo nei loro confronti e che loro provavano nei miei.

Cosa conta di più in campo? L’estro, la tecnica o il gioco di squadra?
In quanto sport di squadra, è logico che il collettivo debba venire prima di tutto, con le caratteristiche che dicevo prima e con una società competente alle spalle. Al che si può puntare ad avere le persone giuste, quindi andare a prendere i giocatori che hanno una grande motivazione, entusiasmo e un forte spirito di gruppo. Poi arriva la funzionalità tattica, quindi la competenza e per ultimo il talento.
Bisogna sempre tenere a mente che il giocatore deve essere presente con la squadra e per la squadra a tutto campo, tutto il tempo. Talenti che si muovono per proprio conto è un po’ come quando in un coro un cantante fa l’acuto, ma di un’altra canzone.
Di certo, fare squadra in Italia non è semplice perché siamo purtroppo un popolo prevalentemente individualista, malato di protagonismo eccessivo.

Qual è il calciatore che apprezza maggiormente come professionalità e impegno?
Rolland (il riferimento è a Romain Rolland, scrittore e drammaturgo francese, ndr) diceva “Un eroe è chi fa quello che può”. Io ero molto esigente con me stesso e con gli altri, ma nel tempo ho sviluppato la capacità di valutare ogni situazione. Quindi potevamo anche perdere la partita, ma se ognuno aveva dato tutto quello che poteva, non potevo che dire “grazie”.

È cambiata la mentalità dei calciatori negli anni?
No, posso dire di non avere notato grossi cambiamenti. A parere mio, prima di tutto nel calcio vale la persona e non il giocatore e quindi l’intelligenza è molto più importante rispetto ai piedi.
Il gioco poi, equivale al motore per l’auto: il pilota sono i giocatori. Possono anche non essere così bravi, ma quando hanno tutte le altre componenti, qualcosa di dignitoso lo fanno sempre. E lo stesso fa la squadra.
Io ho cominciato dai dilettanti facendo tutte le categorie, arrivando poi in serie A senza mai allenare dei campioni, ma ci sono arrivato perché la nostra squadra giocava un calcio nuovo, che divertiva, che migliorava i giocatori e che li ha portati per questo in serie A e in Nazionale.

Ora che ha tante esperienza sulle spalle, si pente di qualche scelta tecnica che ha fatto?
Quando una persona da tutto quello che può dare non può avere dei rimpianti. Io ho dato tutto e ho lasciato nel momento in cui non riuscivo più a dare altro.
Il successo è quando non hai nulla da rimpiangere.

Se non avesse fatto l’allenatore, che mestiere avrebbe fatto?
Ho giocato a calcio fino ai vent’anni, e anche bene! Poi lavoravo nella fabbrica di mio padre, quindi se non avessi fatto l’allenatore avrei continuato a lavorare nella sua fabbrica.

Seguiva anche altri sport?
No, o almeno, volevo che i giocatori fossero dei professionisti perfetti ed ero molto severo con loro. E quando sei severo con gli altri bisogna che tu sia anche molto intransigente con te stesso, quindi seguivo solo quegli sport che potevano portarmi delle idee per il calcio.

Ha un aneddoto particolare da raccontarci?
Ricordo volentieri, la prima coppa dei campioni soprattutto un episodio che accadde prima di giocare contro il Real Madrid. Il grande Gianni Brera (che allora era il più famoso giornalista sportivo ndr) scrisse che giocavamo contro i maestri del calcio e suggeriva il classico atteggiamento del gioco all’italiana “difesa e contropiede”. Non ero d’accordo con quello che aveva scritto, ma lessi comunque il suo articolo ai giocatori per capire se loro lo erano, al che si alzò Gullit che a nome di tutta la squadra disse: “Noi li attaccheremo dal primo secondo finché avremo le energie”… E così fu.

Guardiamo all’oggi. I nostri lettori sono curiosi di sapere da lei se l’eventuale acquisto di Verratti e Donnarumma potrebbe giovare alla Juve…
Li conosco bene, e per le ragioni che dicevo prima, voglio parlare di loro come persone piuttosto che come giocatori. Loro sono ragazzi positivi, generosi, equilibrati e intelligenti, quindi possono indubbiamente fare la fortuna di tutti, ma bisogna sempre ricordarsi che nel calcio, per avere successo, prima del singolo vale la squadra.

Altro quesito dei lettori, relativo stavolta all’orizzonte internazionale. La Cina sta acquistando giocatori a cifre esorbitanti. Pensa che questa tendenza continuerà fino a sovvertire gli attuali equilibri del pianeta calcio?
No, credo che sia un evento destinato ad arrestarsi dato che non è la prima volta che accade qualcosa del genere. L’hanno fatto prima di loro gli italiani, poi la Spagna, la Colombia, gli Arabi… adesso è il tempo dei cinesi, ma non è certo quella del denaro la strada giusta per costruire qualcosa di solido.

Che progetti ha per il futuro?
Faccio ancora tre lavori e vorrei smettere.. lavoro con la televisione, scrivo sulla Gazzetta, faccio parecchie convention con aziende e banche dove i temi sono quasi sempre gli stessi “come si gestisce la leadership, come si fa squadra…”

E che ci dice della Spal?
Sono contento della Spal per tanti motivi, intanto perché Ferrara è una città molto civile ed educata. Vidi la squadra giocare proprio a Ferrara quando ancora ero un bambino, mio padre è stato un giocatore della Spal prima della guerra e sono veramente contento del percorso che sta compiendo. La città ha una grande storia e una grande civiltà, e poi Fusignano un tempo era sotto il dominio Estense, quindi c’è qualcosa che ci lega profondamente. Spero che la Spal possa arrivare in serie A! Purtroppo la B la vedo assai poco poiché il sabato sono quasi sempre impegnato h visionare partite di serie A o di altri campionati d’Europa. Però mi sono ripromesso di tornare a Ferrara per vederla in campo… Abbraccio tutti i ferraresi e i tifosi della Spal e do loro appuntamento al Paolo Mazza. E’ una promessa.

L’immaginario di Ariosto esalta Ferrara capitale del Rinascimento

di Maria Lucrezia Costantino

Ferrara: culla rinascimentale, ricca d’arte e di strade ciottolate dove ci si può passeggiare in compagnia o anche da soli. Incantevole a maggio e gotica a novembre. Con i suoi colori caldi ti accoglie con amore e calore. Attraversandola ti fa conoscere la sua storia, te la racconta in silenzio. Con il suo castello che sorge nel centro della città circondato da acque, ha qualcosa da raccontarti, qualcosa su chi ci abitava, su chi l’ha Vissuta, o semplicemente vuole solo farti tornare indietro nel tempo. Ferrara può regalarti anche un diamante, due, tre, quattro e così via, persino un palazzo, il Palazzo dei Diamanti, il quale ogni anno accoglie mostre importanti. Da De Chirico ad Ariosto. Quest’anno ha accolto un ospite famoso a Ferrara, un certo Ludovico Ariosto con il suo poema cavalleresco l’Orlando Furioso. Ariosto, ispirato da scrittori del passato, scrisse questo poema cavalleresco nel ‘500. Ma cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi? Questo è il quesito principale della mostra. Tutti conoscono l’opera ariostea, ma non tutti sanno cosa vedeva il poeta quando componeva il poema. Ciò è possibile constatarlo con opere di Raffaello, Leonardo Da Vinci, Paolo Uccello, e Tiziano. Questi sono solo alcuni dei grandi artisti presenti. L’immaginario del poeta, però, non è visibile solo grazie ai vari dipinti, ma anche da manoscritti autentici, strumenti, armi e oggetti preziosi dell’epoca. Attraversando i corridoi soffusi, oltre a ciò che vedeva il poeta, si sentono quasi i profumi dell’epoca. Con un po’ di immaginazione ci si può tele trasportare in quell’epoca cavalleresca così buia ma allo stesso tempo così affascinante e romantica. La mostra è curata nei minimi dettagli, con un’audioguida che racconta la storia di Orlando, ma allo stesso tempo spiega e racconta la storia di quel quadro, o di quella spada che è lì, davanti a te. Inoltre queste storie sono raccontate anche sulle mura del palazzo, all’interno della mostra. Frasi scritte dal poeta ferrarese, frasi stampate lì, per raccontare la storia dell’Orlando in quell’epoca cavalleresca dominata da guerre e amori, il Suo di amore, quello per Angelica. Quella del Palazzo dei Diamanti è la classica mostra per chi è curioso di scoprire, conoscere e assaporare nei minimi dettagli quella che era Ferrara, o semplicemente la vita, in quell’epoca in cui rinasceva la vita di corte.

Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi
Mostra dedicata all’Orlando Furioso, opera di Ludovico Ariosto, presso il “Palazzo dei Diamanti” a Ferrara

Fortapàsc dei Biscuits

Fortapàsc è il nome con cui negli anni ’80 viene chiamata Torre Annunziata per via della sanguinosa guerra di camorra che segna la vita della cittadina napoletana.

Fortapàsc è il titolo del film di Marco Risi (2009) che racconta gli ultimi mesi di vita di Giancarlo Siani, giornalista del Mattino di Napoli ucciso dalla Camorra nel 1985, a 26 anni appena compiuti, per aver scoperto e scritto gli intrecci che legano gli interessi politici con quelli malavitosi dei clan di Torre Annunziata.

Fortapàsc diventa titolo di brano e videoclip che il gruppo rap dei Biscuits nel 2009 dedica alla storia raccontata dal film. Musica, parole e immagini ripercorrono a bordo di un motorino le strade da Torre Annunziata al Vomero, sulle tracce degli intrecci malavitosi che costarono la vita a Giancarlo Siani. Clicca per ascoltarlo:

Fortapàsc dei Biscuits

I DIALOGHI DELLA VAGINA
Dopo le montagne russe si torna sempre a casa

Assaggiare, gustare… e imparare a nutrirsi

Cara Riccarda,
nella vita, a meno che non si sia così fortunati da essersi imbattuti subito nella persona che ci accompagna e ci accompagnerà per tutto il percorso, si fanno diverse esperienze.
Certamente si possono distinguere due macrocategorie, quella delle montagne russe e quella delle passeggiate tranquille.
Premesso però che in entrambi i casi c’è una piccola parte dell’altra caratteristica – e non sempre quando emerge è indolore – posso dire che è tappa obbligata per tutti fare almeno un giro sulle montagne russe.
Poi, scegliamo. Dopo l’esperienza, la scelta.
Non voglio dire che il caso non ci metta lo zampino, ma una volta assaggiate le montagne russe e anche la passeggiata tranquilla, raggiunta una certa maturità “anagrafica”, sappiamo cosa ci piace e cosa no.
E un po’ come si fa con i cibi, ricerchiamo quello che ci soddisfa di più, schifiamo ciò che proprio ci disgusta e ogni tanto ci invogliamo di qualcosa che sicuramente ci farà venire mal di stomaco, ma che ci attrae a tal punto che siamo disposti a soffrire.
La cosa preoccupante è che la scelta non è una e per sempre. Troppe variabili ci influenzano, troppi impulsi ci stimolano.
Noi e anche il nostro partner.
Poi… magari siamo state convinte di aver scelto una passeggiata tranquilla e invece riscopriamo che accanto a X la nostra passeggiatina è uno strapiombo.
Oppure pensiamo di essere noi la passeggiatina, mentre Y ci tira fuori il lato pericoloso (ma davvero ce l’ho anch’io? Ma chi è quella pantera che allo specchio ricambia il mio sguardo?)
Quindi, fondamentalmente, cerchiamo ciò che in quel dato momento della nostra esistenza abbiamo bisogno di trovare, e siamo noi stessi ciò che in quel momento abbiamo bisogno di essere.
D.

Cara pantera allo specchio,
la metafora gastronomica che utilizzi mi pare azzeccata: crescendo, cambiamo gusti, diventiamo più raffinati, o forse solo più selettivi. Aggiungerei che impariamo ad amarci di più e abbandoniamo quel ‘cupio dissolvi’ che spedisce dritti da chi non ci fa stare bene.
Concordo con te, da lì ci si deve passare, da quell’esperienza che ti mette sotto sopra, ma che poi ti fa dire ok scendo e vado a fare due passi. Una mia amica mi ha ricordato che non si resta vittime per sempre e ha ragione, dopo un po’ ci si stanca e si sceglie. Essere stati a testa in giù, però, un fattore positivo lo ha: vedi il mondo capovolto e poi te lo ricordi.
Riccarda

Le montagne russe, fuori e dentro di noi

Cara Riccarda,
credo di aver preso le montagne russe o forse le montagne russe sono io.
Poi nel tempo abbiamo preferito la tranquillità, la passione che sa aspettare, i piccoli gesti, la quotidianità.
Adesso che mi guardo attorno mi accorgo che le montagne russe sono la vita che mi circonda: gli imprevisti, la malattia, le gioie, la ricerca del tempo libero, il lavoro, gli amici veri e i lunatici.
Forse siamo cambiati per questo: per stare insieme sempre, nelle montagne russe.
V.

Cara V.,
è la prima lettera che arriva in cui il paesaggio davanti è da gustare in due e anche i verbi sono coniugati al plurale. Le montagne russe sono fuori di voi, mentre per la maggior parte delle persone io credo siano dentro e spesso ingovernabili perchè ad attivarle è un altro che ci gioca come con un trenino elettrico.
Riccarda

Il prezzo e il premio dell’esperienza

Cara Riccarda,
che belle domande… domande che in un attimo ti fanno passare la vita davanti… e in un attimo cerchi d’istinto di dare una risposta che possa soddisfare il tuo bagaglio, la tua strada, il tuo percorso. Risposta però non banale, merita una riflessione di testa e di cuore, una risposta che chi ascolta il cuore, sa. Non esiste un giusto o sbagliato, un meglio o un peggio, ogni esperienza ha la sua radice e il suo frutto.
Ho sempre sentito dire che il primo amore non si scorda mai, è vero, io ho ancora ben presente l’entusiasmo di quella giostra, le giravolte, l’adrenalina, ma ricordo molto bene anche la delusione del suo inaspettato e rapido finale.
Un finale che ha segnato ogni altro passo della mia vita, un finale che ha aiutato a crescere e a maturare la mia identità, il mio frutto, il mio perché, la mia risposta: io volevo essere la montagna russa per il mio uomo, io volevo essere il suo sospiro sospeso, la sua adrenalina, la sua aria.
Ho concentrato tutto su di me, su quello che volevo essere e su quello che volevo e posso dire che ho trovato un uomo che mi fa sentire la sua montagna russa ed è la mia certezza più grande.
P.

Cara P.,
leggendo le vostre lettere scopro che le montagne russe non sono la stessa giostra per tutte. Per alcune sono uno sballo, per altre un’esperienza da archiviare tra gli azzardi da non fare più. C’è poi chi, come te, riesce pure a pilotarle ed è meraviglioso se non ti scappa di mano il volante. Perchè questo è il rischio, una vertigine che all’altro, a lungo andare, potrebbe anche non piacere.
Riccarda

Vivere sospesi? No grazie!

Cara Riccarda,
il passato è stato da montagne russe e a forza di stare sospesi è venuta a mancare la stabilità. Oggi vorrei avere un ‘narcisista solido’, uno che ogni tanto mi accompagna sulle montagne russe…ma siccome non si può avere tutto, sulle montagne russe ci vado con le amiche.
Debora

Cara Debora,
ma sei proprio sicura di volere un narcisista solido? Ti consiglio le amiche, il narcisista, per definizione solido nelle sue certezze di comando, decide lui quando e quanto in alto lasciarti sospesa. Spero tu abbia un paracadute che ti accompagni a terra.
Riccarda

Uomini o omìni? A ognuna il suo

Cara Riccarda,
ci sono uomini pieni di paure, insicuri, che non vogliono giocare rischiando un po’ del loro.
Mezzi uomini insomma, omìni.
Per mia esperienza, se ne incontrano a stormi in fase adolescienziale, come è giusto che sia secondo natura; poi crescendo rimangono comunque la prevalenza, ma diminiscono lievemente di numero per la normale maturazione di alcuni.
Il sesso opposto, sempre alla ricerca dell’anima gemella per eccellenza, rimane affascinato dai colori sgargianti delle mezze calzette, abili camuffatori, mai poi con la tenacia che contraddistingue la categoria, riesce solitamente, nella stragrande maggioranza dei casi, a catturare l’uomo giusto per sè, quello che le farà star bene per la vita o per buona parte di essa si spera.
Poi ci sono donne a cui piacciono gli omìni, ma quella è un’altra storia ancora.
Carla

Cara Carla,
siccome tra omìni, camuffatori e mezze calzette, il panorama è da brividi, che ne dici di puntare all’indice di maturazione che avviene tra alcuni esemplari nello stormo?
Riccarda

Potete inviare le vostre lettere a: parliamone.rddv@gmail.com

La Mehari in mostra

La Mehari è una macchina aperta, senza protezioni, una carrozzeria leggera e sportelli con l’aria che passa in mezzo. Il modello (Citroën) è quello che aveva e guidava Giancarlo Siani, il giovane giornalista de “Il Mattino” ucciso dalla camorra mentre rientrava a casa sua, ucciso a causa degli articoli che scriveva. E proprio la Mehari di Siani è quella che arriva a Ferrara oggi,  venerdì 27 gennaio, con una giornata dedicata al giornalista assassinato a 26 anni perché raccontava cosa stava succedendo tra i boss della sua città. Si chiama “Il viaggio legale” e fa tappa a Ferrara con la macchina vera di Giancarlo recuperata, riverniciata e usata per fare il film sulla sua storia. Di un colore verde fosforescente come quello che serve a evidenziare le cose che si vogliono tenere a mente, la Mehari è in mostra in piazza del Municipio dalle 10 alle 17.30.

“Il viaggio legale” porta con sé anche un incontro di formazione su “Cittadinanza attiva e informazione” rivolto ai volontari del servizio civile (ore 9, Sala del Consiglio comunale, piazze del Municipio 2, Ferrara) e il pubblico dibattito sul “Testo unico sulla legalità e la sua rilevanza nel contrasto alle economie criminali” (ore 15.30, Sala dei Comuni, Castello estense, largo Castello 1, Ferrara).

IL CONCERTO
Ad esplorare l’universo degli standards è il David King Trio feat. Bill Carrothers & Billy Peterson

Da: Jazz Club Ferrara

Sabato 28 gennaio David King – noto ai più come spericolato batterista dei Bad Plus – torna al Jazz Club Ferrara in veste di leader di un trio straordinario che esplora, da un punto di vista totalmente originale, l’universo degli standards. Avvalendosi delle soluzioni armoniche di Bill Carrothers al pianoforte e della perizia di un accompagnatore mai scontato come Billy Peterson al contrabbasso, King presenterà, tra gli altri, alcuni brani che confluiranno a breve in un nuovo cd prodotto da ECM.

Sabato 28 gennaio (ore 21.30) il batterista statunitense David King (Minneapolis, 1970) torna al Jazz Club Ferrara in veste di leader di un trio che vive della sua sconfinata fantasia, delle straordinarie soluzioni armoniche di Bill Carrothers al pianoforte e della perizia di un accompagnatore mai scontato come Billy Peterson al contrabbasso.
Tolte le vesti di spericolato batterista dei Bad Plus, King esplora, con toccante originalità, l’universo degli standards: astrazione melodica e un libero approccio alla ritmica che scioglie il groove per lasciare spazio a squarci di romantico intimismo, sono le carte messe in gioco da King e compagni nel reinterpretare grandi classici come “People Say We’re in Love”, o “Lonely Woman” di Ornette Coleman.
Una valida risposta per chi avesse dubitato delle reali capacità di King, artista poliedrico che, oltre ad aver formato i Bad Plus insieme a Ethan Iverson e Reid Anderson, ha dato il proprio prezioso contributo al mondo della danza, della moda e del cinema sia come musicista sia in veste di compositore. Da citare in tal senso i brani realizzati ed eseguiti dal vivo per le campagne dello stilista Isaac Mizrahi, o per il celebre regista Tom Schroeder.
Anche in ambito prettamente musicale, emerge l’attitudine trasversale di King che spazia da contesti free jazz all’elettronica e che lo ha portato a collaborare con artisti del calibro di Bill Frisell, Tim Berne, Joshua Redman, Joe Lovano e Chris Speed tra gli altri.
Dopo I’ve Been Ringing You (Sunnyside Records, 2012), disco d’esordio del trio registrato con autentico trasporto in sole quattro ore all’interno di una chiesa di Minneapolis affittata per l’occasione, i tre approderanno al Torrione per presentare le nuove composizioni che confluiranno a breve in un cd prodotto dalla prestigiosa etichetta ECM.

INFORMAZIONI
www.jazzclubferrara.com
jazzclub@jazzclubferrara.com
Infoline 339 7886261 (dalle 15:30)
Prenotazione cena 333 5077059 (dalle 15:30)
Il Jazz Club Ferrara è affiliato Endas, l’ingresso è riservato ai soci.

DOVE
Torrione San Giovanni via Rampari di Belfiore, 167 – 44121 Ferrara. Con dispositivi GPS è preferibile impostare l’indirizzo Corso Porta Mare, 112 Ferrara.

COSTI E ORARI
Intero: 20 euro
Ridotto: 15 euro (la riduzione è valida prenotando la cena al Wine Bar, accedendo al solo secondo set, fino ai 30 anni di età, per i possessori della Bologna Jazz Card, per i possessori di MyFe Card, per i possessori della tessera AccademiKa, per i possessori di un abbonamento annuale Tper, per gli alunni e docenti del Dipartimento Jazz del Conservatorio “G. Frescobaldi” di Ferrara. Pari al 10% per i possessori di Jazzit Card)
Intero + Tessera Endas: 25 euro
Ridotto + Tessera Endas: 20 euro
NB Non si accettano pagamenti POS
Apertura biglietteria: 19.30
Cena a partire dalle ore 20.00
Primo set: 21.30
Secondo set: 23.00

AL TORRIONE
Cena ebraica e la musica dei Naigarten Klezmern per celebrare la Giornata della Memoria

Da: Jazz Club Ferrara

In occasione della Giornata della Memoria, venerdì 27 gennaio, il Jazz Club invita ad immergersi nella cultura ebraica in compagnia dei Naigartèn Klezmer. Anticipa la performance dell’ensemble la cena a tema elaborata dal wine bar del Torrione che esplora la tradizione gastronomica di quel popolo seguendo le regole della Kasherut.

In occasione della Giornata della Memoria, venerdì 27 gennaio (a partire dalle ore 20.00), il Jazz Club invita ad immergersi nella cultura ebraica, tra musica e sapori, in compagnia dei Naigartèn Klezmer. Anticipa la performance del gruppo la cena a tema elaborata dal wine bar del Torrione che esplora la tradizione gastronomica di quel popolo seguendo le regole della Kasherut.
Quello dei Naigartèn, collettivo formato da Filippo Plancher alla voce, Emilio Vallorani al flauto e ottavino, Gianluca Fortini al clarinetto, Salvatore Sansone alla fisarmonica, Agostino Ciraci al contrabbasso, Gianluigi Paganelli al basso tuba e Giovanni Tufano alla chitarra e percussioni, è un viaggio attraverso la musica di antiche culture, di voci e suoni che paiono scomparsi. Ma ecco che spazzando via la polvere del tempo, pizzicando le corde di un contrabbasso e spingendo il mantice di una fisarmonica, se ne recupera l’essenza. Infondere nuova linfa quindi è l’ambizioso progetto dei Naigartèn attraverso composizioni originali che recuperano e rielaborano il vasto repertorio della musica klezmer, la musica degli ebrei dell’Est Europa, degli zingari Manouche e Rom, e quella dei vicini Balcani, all’insegna di un concerto vivo e pulsante, frenetico e meditativo al tempo stesso.
Naigartèn è un gruppo di recente formazione che fonde le diverse esperienze dei componenti maturate in storici gruppi di musica klezmer e balcanica come la TheaterOrchestra di Moni Ovadia, i Dire Gelt e i TriMuzike, per ampliarle attraverso una ricerca che tocca svariati ambiti sonori, nella convizione che la musica possa valicare confini geografici e culturali. Con questo spirito nascono i Naigartèn , band (anzi banda, visto che di banda italiana si tratta) il cui nome si riferisce ad un vitigno del bolognese quasi scomparso, zona di residenza o di frequentazione “in-stabile” del gruppo.

Ingresso riservato ai soci Endas. Per informazioni 339 7886261 (dopo le 15.30). È consigliata la prenotazione della cena al 333 5077059 (dalle 15.30).

INFORMAZIONI
www.jazzclubferrara.com
jazzclub@jazzclubferrara.com
Infoline 339 7886261 (dalle 15:30)
Prenotazione cena 333 5077059 (dalle 15:30)
Il Jazz Club Ferrara è affiliato Endas, l’ingresso è riservato ai soci.

DOVE
Torrione San Giovanni via Rampari di Belfiore, 167 – 44121 Ferrara. Con dispositivi GPS è preferibile impostare l’indirizzo Corso Porta Mare, 112 Ferrara.

COSTI E ORARI
Intero 10 euro
Ridotto 5 euro (la riduzione è valida prenotando la cena al Wine Bar, accedendo al solo secondo set, fino ai 30 anni di età, per i possessori della Bologna Jazz Card, per i possessori di MyFe Card, per i possessori della tessera AccademiKa, per i possessori di un abbonamento annuale Tper, per gli alunni e docenti del Dipartimento Jazz del Conservatorio “G. Frescobaldi” di Ferrara. Pari al 10% per i possessori di Jazzit Card)
Intero + Tessera Endas: 15 euro
Ridotto + Tessera Endas: 10 euro
NB Non si accettano pagamenti POS
Apertura biglietteria: 19.30
Cena a tema partire dalle ore 20.00
Concerto ore 21.30

DIREZIONE ARTISTICA
Francesco Bettini

IL SEMINARIO
Quando i ragazzi sbagliano

Da: Organizzatori

Sabato 11 febbraio 2016, presso la Sala del Consiglio Comunale (Piazza Municipale,2)
Dalle 9.30 alle 13.30

L’attenzione dei media, la risposta educativa e giudiziaria

Che cosa succede quando un minorenne commette un reato? Quali le conseguenze per lui e per la sua famiglia, e soprattutto in che modo renderne gli adolescenti consapevoli in un’ottica di prevenzione?

Su questo si confronteranno alcuni attori della giustizia minorile con l’ausilio di video che presenteranno l’esperienza di un giovane autore di reato e lo svolgimento di un processo, simulato ma del tutto realistico.

Sarà anche l’occasione per interrogarsi sul contributo che i media possono offrire nel costruire una opinione pubblica attenta, sensibile e correttamente informata.

L’incontro, aperto a tutti, è rivolto in particolare a operatori sociali, giornalisti, avvocati, educatori. Nell’occasione verrà presentato il kit didattico “Non era un gioco. Riflessioni e proposte didattiche sulla giustizia minorile”, realizzato dal Comune di Ferrara in collaborazione con la Procura e il Tribunale per i Minorenni di Bologna e la Regione Emilia-Romagna. Un materiale pensato per aprire il dibattito con gruppi di adolescenti, nella scuola e nei luoghi d’incontro.

L’evento è promosso dal Comune di Ferrara (Ufficio Sicurezza Urbana, Centro di Mediazione, Ufficio Diritti dei Minori) in collaborazione con il Tavolo Adolescenti (Ausl-Comune di Ferrara) e la Camera Minorile di Ferrara.

L’appuntamento è stato inserito dall’Ordine dei Giornalisti nel programma di formazione permanente. Per ottenere il riconoscimento dei crediti i giornalisti potranno iscriversi gratuitamente sulla piattaforma Sigef.
E’ in corso di accreditamento da parte dell’Ordine degli Avvocati e dall’Ordine degli Assistenti Sociali.

Introducono:

Chiara Sapigni, Assessore Servizi alla Persona, Comune di Ferrara
Giorgio Benini, Ufficio Sicurezza Urbana, Comune di Ferrara

Intervengono:
Giuseppe Spadaro, presidente del Tribunale per i Minorenni di Bologna
Teresa Sirimarco, direttore USSM di Bologna
Elena Buccoliero, Ufficio Diritti dei Minori del Comune di Ferrara e giudice onorario Tribunale per i Minorenni di Bologna

Modera l’incontro Alessandro Zangara, Ufficio Stampa, Comune di Ferrara

Durante l’incontro verranno proiettati i video:
“Come rinascere”, testimonianze sulla messa alla prova minorile
“Non era un gioco”, processo minorile simulato

I relatori:
Giuseppe Spadaro, presidente del Tribunale per i Minorenni di Bologna dal 2013. Entrato in magistratura nel 1990, prima di questo incarico è stato a capo della sezione penale di Lamezia Terme e giudice minorile a Catanzaro. Nel video che verrà proiettato veste i panni di un adolescente imputato per spaccio di sostanze e lesioni aggravate.

Teresa Sirimarco, pedagogista e assistente sociale, mediatrice familiare e penale. Dirige l’USSM di Bologna, l’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni del Ministero della Giustizia che, in Emilia Romagna, assiste i minori imputati di reato in tutte le fasi del procedimento penale. Insegna “Metodi e tecniche del servizio sociale” presso la Scuola di Scienze Politiche dell’Università di Bologna.

Elena Buccoliero, sociologa e counsellor, dal 2008 è giudice onorario al Tribunale per i Minorenni di Bologna dove per oltre 7 anni ha partecipato al collegio dibattimentale. E’ inoltre referente dell’Ufficio Diritti dei Minori del Comune di Ferrara e iscritta all’Albo dei Giornalisti Pubblicisti dell’Emilia Romagna. Ha curato il kit didattico “Non era un gioco. Riflessioni e strumenti didattici sulla giustizia minorile”.

PER INFORMAZIONI E ISCRIZIONI:
Centro di Mediazione
0532/770504
centro.mediazione@comune.fe.it

Paride e Aldo Falchi: l’arte di famiglia in mostra a Bologna

Una bottega di artisti, una famiglia in cui il figlio apprende l’arte sin da bambino prima di tutto dal padre e la sviluppa fino a raggiungere una spettacolare autonomia espressiva. C’è tempo sino a tutto giovedì prossimo, 26 gennaio, per ammirare nelle sale della Galleria Sant’Isaia, via Nosadella 41/A di Bologna le opere di Paride e Aldo Falchi, una cinquantina in tutto, racchiuse nella mostra Maestri Mantovani. E’ stato sapientemente impostato un percorso completo con gli esempi della produzione di entrambi gli artisti: il padre, Paride, pittore, nato nel 1908 e scomparso nel 1995, e il figlio Aldo, scultore, oggi ottantaduenne, dagli anni Trenta alla contemporaneità. Arte figurativa con linguaggi espressivi diversi, ma sempre in una cornice di grande attualità artistica.
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La storica galleria di via Nosadella 41/A, gestita dal pittore Cristiano Zanarini, ospita sia le sculture di Aldo sia i paesaggi, e non solo, del padre Paride. Si nota un fil rouge che collega i due artisti mantovani: nel segno, nell’educazione, nel coinvolgimento emozionale, nelle passioni, nelle declinazioni delle tecniche figurative postimpressioniste. Da un lato i corpi e i volti, anche onirici, in terracotta e in bronzo, dall’altro, sulle tele, i colori, spesso ovattati, della terra mantovana e delle anse fluviali padane. Paride Falchi insegna al figlio la ‘poesia’ dell’arte, oltre che la tecnica e il concetto di bottega, come pratica creativa. Aldo, dopo avere frequentato l’Accademia di Brera, diventa scultore nella prestigiosa fabbrica tedesca delle porcellane Rosenthal, mentre negli anni Sessanta è negli Stati Uniti dove esegue gruppi commemorativi per i duecento anni della dichiarazione di Indipendenza. Entrambi hanno opere esposte in permanenza in diversi importanti musei (Ferrara, Mantova ecc.).
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I quadri di Paride Falchi risentono delle tecniche dell’Ottocento, impiegandole non soltanto nella produzione pittorica legata all’ambiente locale. Ecco apparire i paesaggi nebbiosi delle zone bagnate dal Po, le campagne, gli sguardi attenti e tranquillizzanti sulle scene di vita e nei ritratti o nelle nature morte. Una luminosità spesso accennata ma sempre vivida perché intrisa di memorie, di poesia, di naturalezza, in una sintesi cromatica che non manca di originalità.
Le sculture di Aldo, invece, partono dalla stessa matrice culturale, ma utilizzano materiali e tecniche differenti. Sono la manifestazione di uno spirito di ricerca, dell’esito di tensioni e incontri, di una forza evocativa interiore che si sviluppa grazie a un’indubbia genialità artistica, coniugando forma e contenuti, concetti ed espressioni. Mentre guardando le opere di Paride sembra di essere immersi in un sogno talvolta languido, per quelle di Aldo prevale, nella bellezza quasi neoclassica, l’idea sottostante all’immagine e alla forma in un dinamismo concettuale ancor prima che espressivo.
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Paride e Aldo Falchi, due post impressionisti che hanno risentito delle tecniche dell’Ottocento e che, insieme, sviluppandole in percorsi autonomi, lasciano una traccia nell’arte contemporanea, perché vi prevale il talento coniugato alla qualità tecnica. Fino a giovedì 26 gennaio, la mostra è aperta dalle 10 alle 12.30 e dalle 16.30 alle 19.30. Mercoledì solo al mattino.

LEGALITA’
“Il viaggio legale”: mostra e incontri sulla libertà d’informazione e sulle economie criminali

Da: Comune di Ferrara

Venerdì 27 gennaio (ore 10-17.30) la Mehari del giornalista Siani in piazza Municipio, mattinata di formazione e alle 15.30 dibattito
“Il viaggio legale”: mostra e incontri sulla libertà d’informazione e sulle economie criminali

Venerdì 27 gennaio 2017 farà tappa nella nostra città “Il viaggio legale”, un progetto con l’obiettivo di realizzare un percorso di cittadinanza e contrasto alle mafie che attraversando la via Emilia miri a creare cittadini consapevoli e responsabili attraverso percorsi culturali, di formazione e informazione. Un obiettivo condiviso anche da Giancarlo Siani, che da giovane giornalista del “Il Mattino” di Napoli, ogni giorno lavorava con passione e senza sosta per descrivere la realtà in cui viveva, brutalmente ucciso dalla camorra nella sua Citroen Mehari, nel 1985.
La Mehari di Siani unitamente ad una mostra, verrà allestita in piazza Municipale e visitabile nella giornata di venerdì 27 gennaio (dalle 10 alle 17.30) come simbolo del contrasto alle mafie, all’illegalità ed un impegno a costruire nuove relazioni nella società civile e del lavoro.
Al mattino si terrà un incontro (sala del Consiglio comunale) di formazione rivolto ai volontari del Servizio Civile sul tema “Cittadinanza e informazione: la libertà di informare e di essere informati” a cura di Alessandro Zangara, responsabile Ufficio Stampa Comune di Ferrara; seguirà la visita alla mostra dedicata a Siani (iniziativa del Comune di Ferrara in collaborazione con il Copresc di Ferrara).
Alle 15.30 Cgil Ferrara organizza l’iniziativa pubblica di dibattito nella Sala dei Comuni del Castello Estense (accesso dalla scala elicoidale) dal titolo “Testo unico sulla legalità e la sua rilevanza nel contrasto alle economie criminali, al lavoro irregolare, allo sfruttamento e per una maggiore qualificazione del tessuto socio economico produttivo”, con gli interventi del sindaco di Ferrara Tiziano Tagliani, Donato La Muscatella di Libera – Coordinamento di Ferrara, Gian Guido Nobili dirigente Regione ER e Mirto Bassoli segretario Cgil ER. Coordinerà l’evento Cristiano Zagatti, segretario provinciale Cgil Ferrara.