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Tariffa su misura, incontri pubblici a Formignana e Ro per la nuova fattura

da Clara

Nei giorni scorsi è arrivata al domicilio delle circa 3.000 utenze di Ro e Formignana la prima fattura per il servizio rifiuti calcolata con il nuovo sistema denominato ‘Tariffa su Misura’. Per illustrare le modalità di lettura e comprensione della nuova fattura e chiarire gli eventuali dubbi anche sul servizio, CLARA organizza, in collaborazione con le due amministrazioni comunali, alcuni incontri pubblici serali.

Ecco le date degli incontri finora programmati:
– Lunedì 19 giugno, ore 21, Teatro Comunale di Formignana
– Giovedì 22 giugno, ore 21, Saletta civica accanto alla Chiesa di Brazzolo
– Mercoledì 28 giugno, ore 21, Circolo ARCI ‘Il Mulino’ di Ro.

Dopo quasi diciotto mesi di sperimentazione, il 2017 è infatti l’anno di applicazione effettiva della nuova Tariffa, più innovativa e più equa della Tari tradizionale tuttora vigente negli altri comuni serviti da CLARA, perché consente di calcolare la parte variabile tenendo conto di alcuni elementi strettamente legati alle scelte e ai comportamenti di ogni utenza nella gestione dei propri rifiuti.
La nuova Tariffa su Misura prevede l’utilizzo, da parte di famiglie e aziende, di contenitori rigidi per l’indifferenziato, per l’umido e per il verde dotati di microchip. Per l’umido e l’indifferenziato l’operatore rileva attraverso un apposito lettore ogni svuotamento, che viene così associato alla rispettiva utenza e alla fine del quadrimestre viene conteggiato in fattura in base a un costo €/litro predeterminato. Per il verde e le ramaglie quest’anno il servizio è invece fruibile su abbonamento. Ai fini del calcolo della parte variabile vengono inoltre considerate le eventuali richieste di ritiri a domicilio che superano la soglia di gratuità (ad esempio per gli ingombranti due ritiri all’anno).
Con questa nuova modalità, confrontando i dati delle utenze attive sia nel 2016 sia nel 2017 (2.877 utenze totali) emerge che nel primo quadrimestre oltre il 72% delle utenze ha risparmiato rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il 7% circa ha visto un aumento minimo (inferiore al 5%), mentre il 21% circa ha avuto un aumento più significativo.

Per tutte le informazioni sulla nuova fattura è come sempre attivo lo sportello telefonico CLARA (800 881133 per chiamate da rete fissa, 199 127722 per chiamate da cellulare).
Per le prossime settimane è stata inoltre intensificata la frequenza di apertura degli sportelli clienti CLARA presso i due municipi.
Di seguito nel dettaglio le date di apertura:
Formignana: 16, 20 e 26 giugno, 3 e 14 luglio.
Ro: 22 e 29 giugno, 6 e 13 luglio.
Gli sportelli sono aperti dalle 9 alle 12.

BORDO PAGINA
Le Stampanti 3d nel futuro… Che sia la fine del capitalismo?

Qualche tempo fa è uscito un libro anticipatore sulle cosiddette stampanti 3d dal titolo a dir poco ammaliante, ‘La Macchina di Santa Claus’, di Elisabetta Bonafede. Ebbene, nonostante puntualmente i media segnalino piccole grandi meraviglie potenziali o già concrete e possibili, persino per la medicina (organi “ricreati” da questa macchine nascenti formidabili), oppure spesso dimostrazioni in mostre scientifiche letteralmente catturino l’entusiasmo dei bambini con giocattoli creati in tempo reale, certamente sfuggono ancora gli orizzonti più clamorosi e rivoluzionari della nuova tecnologia.
Sembra fantascienza, ma portate all’estremo, le stampanti 3d sono forse destinate e senza colpo o spread ferire a terminare il capitalismo tout court e la ormai secolare dipendenza degli umani dalla produzione economica storica. O meglio, almeno a risolvere una volta per tutte, con effetti collaterali ovviamente dirompenti, quel che pur decenni di grande progresso scientifico sembra tutt’oggi incapace di realizzare su scala planetaria (anche paradossalmente e per cause esclusivamente politiche o di follia sociale condivisa).

Certe ricette di Green economy molto discutibili proprio grazie alle stampanti 3d più evolute, ovviamente in senso bios o biopolitico intelligente e democratico, potranno realizzare l’obiettivo minimale, ma decente, di sopravvivenza per poveri nel mondo occidentale e figurarsi per il terzo o quarto mondo.
Come già spesso sottolineato da diversi futurologi, certe macchine g-astronomiche presenti nelle astronavi fantascientifiche (anche l’Enterprise di Star Trek) del futuro, robot o computer chef e istantanei produttori del menu desiderato o almeno preprogrammato in vasta ampiezza di menu, dal caffè al tacchino del 4 luglio americano alla Coca Cola di Marte, anticipano le future Chef stampanti 3d.
A costi letteralmente irrisori in futuro sarà probabilmente possibile in ogni casa una Stampante 3d Chef pronta a cucinare all’istante per le nostre necessità quotidiane di sopravvivenza biologica!
Stampanti 3d g-astronomiche che al massimo costeranno come uno smartphone minimo ma perfettamente funzionale per obiettivi decorosi minimi. E siccome non si parla di navigare più veloce in 10g o fibre ottiche o di computer quantici o grafene, ma di assicurare cibo in tale caso letteralmente cibornetico a tutti quanti in linea di principio, ecco semplicemente come cominciare a concretizzare la contemporanea ultima utopia minimale del reddito minimo garantito o di esistenza, il bioreddito come si dovrebbe più civilmente chiamare.

Dalle stampanti 3d il bioreddito. Un bioreddito che già innesterà memi virus. Chi non avrà ambizioni da vip o di lusso di fatto rifletterà con tali biostampanti 3d, le Cybors, la fine dal capitalismo produttivo, in quanto le Cybors permetterano di superare ogni fase del meccanismo produttivo. Ognuno diventerà microproduttore economico per stesso, microcapitalista di sé stesso, tenuto conto che naturalmente se ci saranno Cybors figurarsi se non sarà possibile autogenerare (e meccanismo certamente piu semplice) oggetti inanimati (e già le stampanti 3d attuali lo fanno) abiti e persino casette magari antisismiche, insomma tutto il minimale o minimum per sopravvivere biologicamente.
Naturalmente allo stato attuale anche avveniristico e semifantascientifico, tutto il discorso regge come strategia di sopravivenza per i soggetti meno abbienti minoranze nel mondo occidentale evoluto e come strategia di pronto soccorso non banale e anzi ecorivoluzionaria per le aree del pianeta dove gli esseri umani e anche bambini muoiono ancora come nel medioevo o epoche precivili del passato remoto.
S’immagini però la stampante 3d come un semplice prototipo storico contemporaneo destinato a evoluzioni soprendenti in termini di complessità e potenzialità: non soltanto come immaginiamo e come potenziamento diciamo dell’intestino fondamentale, umano in senso già transumanista ecc al livello in questione. Ma stampanti 3d in grado di produrre anche energia artificiale, personal sun-energia solare o altro ad personam?
Un tempo esistevano calcolatori grandi come palazzi? Oggi stanno virtualmente nel braccio al posto dell’orologio (anche se i computer da polso non sono mai decollati ma li hanno fatti equivalenti da mano). Immaginate la nostra Mega Macchina economica compressa in certo senso ad personam, una sorta di incredibile decentramento e miniaturizzazione algoritimica in certo senso dove però il terminale: non sarà solo una AI direttamente ma una Rete con l’unità umana a base carbonio come interfaccia fondamentale. Un poco come già attualmente con il Web ogni persona è virtualmente tutto il mondo, interconnessa con tutto il pianeta vivente.
Sarebbe la fine del Capitalismo e anche del Capitale se si vuole di fallimentare utopia socialista!
Ma sarebbe il trionfo della democrazia ad persona, dell’individuo, autodiretto perlomeno al livello minimum esistenziale e socio-biologico.

Dopo, in un Mondo Nuovo del genere, ovviamente, siccome le grandi scoperte e conquiste ovviamente presuppongono, in scenari complessi, equipe e team di ipercomplessa conoscenza ecc., resterebbe eccome la fu lotta in certo senso ‘naturale’ e ‘darwiniana’ che premierebbe meritocraticamente ad personam le persone più creative o di talento o geniali: parliamo di sopra-vivere, però, non della sopravvivenza storica, obbligatoria come bisogno, soprattutto come ricatto esistenziale. Verso l’Homo Dreamens? Essenza in fondo dell’evoluzione umana, dell’animale uomo che sogna e desidera e fa con le macchine e la Tecnologia?

Info:
https://it.wikipedia.org/wiki/Replicatore_(Star_Trek)
https://www.bookrepublic.it/book/9788898001415-la-macchina-di-santa-claus/

L’appello di Veronesi per ‘Giovinezza, giovinezza’.
Arci rilancia: “C’è qualche sponsor che si offre come mecenate?”

“L’idea è bella, sul versante della fattibilità è piuttosto complicata”: “il problema principale è che queste operazioni hanno costi elevatissimi”.
Così Paolo Marcolini, presidente di Arci Ferrara, risponde all’appello lanciato pochi giorni fa, proprio dalla pagine di Ferraraitalia, dal professor Paolo Veronesi di Unife per salvare la pellicola ‘Giovinezza giovinezza’ (Titanus, 1969) e con lei un fotogramma di memoria di una Ferrara che non c’è più. [leggi qui].

Paolo Marcolini, presidente Arci Ferrara

L’Arci non è certo una neofita della gestione di sale cinematografiche e della valorizzazione del cinema d’autore in città, proprio per questo Veronesi l’ha interpellata chiedendo se volesse avere un ruolo di primo piano in una campagna di raccolta fondi per restaurare, alla soglia dei suoi cinquant’anni, il film di Franco Rossi tratto dal volume del ferrarese Luigi Preti. “Da più di trent’anni gestiamo l’unica sala d’essai, pluripremiata anche a livello nazionale, e abbiamo fatto rassegne con film restaurati”, inoltre “non siamo nuovi a iniziative di recupero di pellicole”, conferma Marcolini: nel 1998 Arci ha infatti partecipato al recupero di alcune pellicole ferraresi di inizio secolo.
L’associazione è dunque senz’altro sensibile alla proposta del professore di Unife, ma non nasconde che l’operazione è piuttosto complessa e onerosa. Prima di tutto però bisogna vedere se davvero si riesce a “trovare la copia originale” e capire “in che condizioni è la pellicola”. Ammesso tutto ciò, “il recupero dei fotogrammi ha costi decisamente elevati” che, secondo Marcolini, è difficile coprire solo con un crowdfunding: “quando abbiamo restaurato quelle pellicole di inizio secolo e le abbiamo riversate su vhs, abbiamo speso più o meno 30-40 milioni di vecchie lire, per circa 45 min di girato”. E, chiediamo, per un restauro e una digitalizzazione di ‘Giovinezza giovinezza’ di che genere di cifra stiamo parlando? “Non sono un tecnico e ripeto che bisogna valutare le condizioni della pellicola, ma secondo me si arriverebbe certamente a decine di migliaia di euro”. Per questo il presidente dell’Arci cittadina rilancia l’appello per coinvolgere una squadra più ampia, che oltre all’associazione coinvolga “le istituzioni”, “la Cineteca di Bologna” e, perché no, “un mecenate o una fondazione privati che per amore di questa pellicola e del cinema più in generale e anche della città si rendesse disponibile a coprire parte dei costi”. Anzi l’ideale, a parere di Marcolini, sarebbe che privati e sponsor coprissero una parte maggioritaria delle spese, lasciando alla campagna di crowdfunding “la parte minoritaria”. “È un’operazione che non può essere gestita solo da un’associazione culturale come la nostra, serve un finanziatore, serve il coinvolgimento di un’istituzione pubblica, che può essere il Comune, la Provincia o la Regione, per non parlare delle competenze tecniche per capire se la pizza è recuperabile”. Se dal dibattito pubblico dovesse emergere l’interesse di questi soggetti, “noi siamo pronti a metterci al servizio dell’operazione culturale”, afferma Marcolini.
Ora la palla passa dunque alle istituzioni e ai mecenati cinefili.

E per il cinema ferrarese di ieri, ma anche di oggi? “Le proposte culturali si differenziano più nella programmazione settimanale, nella quale facciamo diverse rassegne”, ci risponde Alice Bolognesiresponsabile delle attività culturali di Arci Ferrara – “inoltre lavoriamo molto in collaborazione con le associazioni sul territorio e cerchiamo di partecipare ai festival e alle attività culturali in città con una proposta cinematografica in linea con ciò che viene realizzato”.
Dal 17 giugno inizierà la programmazione estiva al Parco Pareschi, “con diverse novità rispetto agli anni scorsi”, ci dice Alice, e alcune riconferme, come la collaborazione con la Cooperativa sociale Il Germoglio: 381 Storie da Gustare con ‘Ceniamo al cinema?’ realizzerà alcune cene in tema con le pellicole proiettate, inoltre anche quest’anno ci sarà in palio una delle ri-ciclette realizzate nel laboratorio di viale Darsena con il concorso ‘In prima fila con Ri-cicletta’.

Leggi anche:
L’appello di Paolo Veronesi su Ferraraitalia: Salviamo dall’oblio ‘Giovinezza, giovinezza’ e la Ferrara di quegli anni
La programmazione cinematografica estiva di Parco Pareschi

Dal 23 giugno arriva Clarafestival: la festa che unisce musica e ambiente

Sei tappe in tre mesi nei Comuni del ferrarese serviti da Clara, la nuova società per la gestione e la raccolta dei rifiuti frutto della fusione tra Area e Cmv raccolta: è il ‘ClaraFestival’, presentato venerdì nella residenza comunale di Copparo. Alla conferenza stampa hanno preso parte Alida Padovani, consigliera di amministrazione di Clara spa, Mirna Schincaglia, responsabile delle relazioni esterne dell’azienda, inoltre Rossano Scanavini, direttore organizzativo ClaraFestival per Made Eventi, e alcuni amministratori dei Comuni che ospiteranno le tappe della manifestazione delegati dell’azienda sia i componenti dell’organizzazione artistica dell’evento, che si propone di essere un’iniziativa culturale che coinvolga anche i territori.

Mirna Schincaglia ha spiegato che ClaraFestival “si propone di essere una nuova festa, che coinvolga tutti ma soprattutto i giovani, una vera e propria valorizzazione dei territori”. Una competizione musicale attraverso una serie di concerti volti a unificare, tramite il forte linguaggio della musica, varie generazioni e magari scovare anche qualche talento, come si augura Alida Padovani, consigliere di Clara: Clarafestival si rivolge ai ragazzi appassionati di musica e di canto che potranno partecipare come singoli o in gruppo. Il premio finale consisterà nella registrazione e produzione di un inedito con videoclip.
Naturalmente non mancheranno le occasioni per parlare di ambiente, gestione dei rifiuti, di cosa Clara fa e di cosa vorrebbe fare in futuro.
Anche Rossano Scanavini di Made Eventi, direttore artistico di ClaraFestival, è certo della riuscita, e sottolinea come “molta importanza sarà riservata alla scoperta di nuovi talenti”, che verranno anche sponsorizzati e rilanciati attraverso i social network.
Un festival quindi dalle mille sfaccettature, ma che al centro pone la riscoperta dei territori e la loro tutela, proprio mediante la conoscenza dell’azione di Clara.

Il concorso e i concerti partiranno il 23 giugno a Bondeno, per concludersi con la finale di Copparo il 23 settembre.
All’interno ci saranno anche momenti di magia, affidati al mago Roberto Ferrari, che promette di fare “sensibilizzazione sulla raccolta differenziata attraverso la magia, per far emozionare e dare un messaggio su questo tema”.
Le iscrizioni si sono aperte proprio venerdì 9 giugno e prevederanno una preselezione se il numero degli iscritti dovesse essere molto alto. E’ possibile scaricare il modulo dalla pagina facebook ‘Clara Festival’ e sul sito www.clarambiente.it.

Il dettaglio delle tappe di Clarafestival:

1° tappa: Bondeno, LocalFest, venerdì 23 giugno
2° tappa: Comacchio, Fiera di san Cassiano, sabato 12 agosto
3° tappa: Codigoro, Fiera di santa Croce, venerdì 8 settembre
4° tappa: Cento, Fiera campionaria, domenica 10 settembre
5° tappa: Portomaggiore, Antica Fiera, domenica 17 settembre
Finale: Copparo, Settembre copparese, sabato 23 settembre

Per maggiori informazioni sul regolamento e per scaricare il modulo di iscrizione [clicca qui]
Pagina fb Clara
pagina fb ‘Clara Festival’

Con Stefano Benni Palazzo San Crispino diventa il Bar Sport: si parla della Spal, di letteratura e del suo probabile ultimo romanzo


Tra gli applausi del folto pubblico riunito al terzo piano della libreria Ibs+Libraccio sabato pomeriggio Stefano Benni ha presentato il suo ultimo romanzo ‘Prendiluna’ (Feltrinelli).
Iniziato ben cinque anni fa e poi interrotto per colpa di un blocco che non riusciva a sbrogliare, i personaggi dell’ultimo lavoro dello scrittore bolognese sono rimasti addormentati in un cassetto per tre anni, per poi riemergere tra le pagine che ora sfogliamo curiosi.
Prendiluna è la protagonista della serata: una professoressa in pensione circondata da dieci mici, un po’ demoni e un po’ angeli. Sarà proprio dopo l’apparizione del gatto fantasma Ariel che la sua vita cambierà: avrà otto giorni per concludere una missione di estrema importanza, pena la distruzione dell’umanità.
Non sappiamo molto di lei e non sappiamo nulla dei numerosi personaggi, veri o immaginati, che incontrerà nel suo viaggio, perché nessuno in sala aveva già letto il libro, se non due ragazze che, alla domanda dell’autore, hanno alzato timidamente la mano.
“Meglio così”, ha dichiarato Stefano Benni, perché la qualità di un libro non si valuta da quanti lettori ha fatto appena pubblicato, quando è di moda e sulla bocca di tutti. Se resta nel tempo, se continua a suscitare interesse e curiosità dopo anni, allora sì, quel libro ha significato qualcosa.

Ma se non si può parlare della storia, di cosa si parla durante la presentazione di un libro?
“Della Spal, che è in serie A ed è un’ottima squadra, a differenza del Bologna che non ci ha convinto troppo. Della velocità con cui i libri evaporano nel tempo, colpa della fretta con cui gli editori pubblicano e della facilità con cui chiunque scriva, non solo chi ha qualcosa da raccontare e i modi per farlo”.
Si parla dei lettori, “grazie ai quali le storie continuano ad essere ideate, scritte, cancellate e riscritte”. Stefano Benni definisce il suo pubblico di lettori come “avventurosi”, poiché i suoi libri non sono mai comici o tragici, ma sempre un mix di tonalità: la comicità e la tragicità in letteratura a suo parere non si contrappongono, ma sono facce di una stessa medaglia. ‘Prendiluna’, di cui Benni parla come probabile ultimo romanzo, è un testo che lascerà scaturire due tipi di emozioni opposte: alcuni lettori lo troveranno estremamente comico, altri drammatico. Perché Prendiluna è stata un’insegnante capace di lasciare qualcosa ai suoi studenti, che dopo anni decidono di ritrovarsi per affrontare insieme il compito affidato alla loro professoressa. È una docente di cui ci si ricorda anche dopo anni, perché è stata in grado di donare qualcosa di prezioso e insostituibile.
Il personaggio del professore in pensione ritorna, come fa notare un lettore tra gli ascoltatori, affezionato a Lucio Lucertola, protagonista insieme a Lupetto di ‘Comici spaventati guerrieri’, con una dolcezza, una forza e una rabbia diversa.

Prima di concludere, non possono mancare un commento amaro sulla versione cinematografica di ‘Bar Sport’, definita da Benni “un’occasione sprecata”, un’anticipazione su ‘Teatro Tre’ (in uscita), terzo volume di testi scritti per le compagnie teatrali, e una domanda che ronza nella testa di tanti: “Perché Prendiluna ha dieci gatti?” “All’inizio della storia – racconta Benni – deve infilare i dieci mici nella valigia e affrontare un viaggio. Il peso di quel bagaglio così pieno è di circa 35 kili. Prendiluna è una donna robusta, ma come avrebbe fatto a trasportare una valigia piena di dieci cani?”.

Sul presente e il futuro delle biblioteche a Ferrara

da Francesco Monini

Ho letto sulla stampa locale l’intervento critico e ben documentato di Corrado Oddi sullo stato delle biblioteche cittadine. E ho letto la risposta un po’ stizzita del Vicesindaco e Assessore alla Cultura Massimo Maisto e del Sindaco Tiziano Tagliani. Nonostante i toni, a me pare possa venirne comunque un bene a patto che questa polemica possa lasciare spazio a un dibattito franco ed aperto sulla missione e sul futuro delle biblioteche a Ferrara.
Non sono “l’ultimo arrivato” (mi ha stupito che con queste parole poco eleganti Tagliani abbia “richiamato al suo ruolo di dipendente comunale” Oddi, il quale Oddi rimane un libero cittadino), ho infatti lavorato per più di vent’anni come Assistente di Biblioteca, a Ferrara e in provincia, compresa la Biblioteca Bassani di Barco allora da poco inaugurata. Ma non credo si tratti di esibire curriculum o competenze specifiche, basta e avanza la qualifica di cittadino, essendo le biblioteche non solo un servizio pubblico (uno dei pochi gratuiti rimasti sulla faccia dell’Italia contemporanea) ma una preziosa e insostituibile risorsa per la cittadinanza.
Intervengo quindi non per prendere l’una o l’altra parte, ma per tentare di inserire qualche elemento di riflessione e di proposta per il futuro.
I dati bibliotecari degli ultimi anni (citati da Oddi e non confutati da Sindaco e Vicesindaco) segnalano quello che è sotto gli occhi di tutti. Se però il 2016 ci consegna numeri allarmanti (un calo record dei prestiti, uno stanziamento di meno 50,000 Euro per gli acquisti, l’incertezza sulla tenuta della pianta organica) per risalire la china credo sia necessario adottare uno sguardo più ampio. Dopo una stagione che ha visto Ferrara (Comune e Provincia) fortemente impegnata sul terreno del rilancio e dello sviluppo del sistema bibliotecario partecipato (parlo all’incirca del ventennio dalla metà degli Anni Ottanta ai primi anni 2000), tale spinta propulsiva si è andata via via affievolendo. Voglio ricordare i due eventi più significativi, entrambi guidati con passione e competenza dalla direttrice di allora Alessandra Chiappini: Il complicato, faticoso restauro di Palazzo Paradiso e l’apertura della Nuova Ariostea, non più solo Biblioteca di Conservazione ma grande polo culturale e moderna biblioteca pubblica cittadina. Quindi l’apertura della Biblioteca Bassani di Barco, un “polo periferico” che ha dimostrato – pubblico e numeri alla mano – di poter diventare un grande centro culturale al servizio della città.
Nel 1988 mi sono diplomato Assistente di Biblioteca dopo un corso provinciale di 800 ore. Da allora, nonostante i vecchi bibliotecari andassero via via in pensione, nessun altro corso per bibliotecari e documentalisti è stato programmato a Ferrara. Da almeno vent’anni (molto prima dei sempre più cogenti limiti nazionali) non è più stato indetto un concorso pubblico per addetti alle biblioteche adeguatamente formati. I “buchi” sono stati coperti dalla mobilità interna, e senza un cospicuo programma di riqualificazione ed aggiornamento professionale (e questo non suoni come una critica agli attuali dipendenti comunali assegnati alle biblioteche che stanno facendo del loro meglio).
Non fermiamoci quindi a “fare le pulci” all’ultimo governo cittadino. Il declino dell’impegno pubblico verso la qualificazione e lo sviluppo delle biblioteche (tra l’altro Ferrara è in buona compagnia con altre realtà municipali). Questo declino, questa perdita di interesse, questo declassamento delle biblioteche a favore del “ciclo aureo”: mostre – musei -eventi – turismo, si fonda, io credo, su un limite di fondo nella visione della politica culturale.
Le biblioteche – anche a Ferrara, non solo a Ferrara – rischiano cioè di essere viste unicamente come “servizio di pubblica lettura”. quel luogo dove il cittadino-utente va a chiedere a prestito un libro o un video e se lo porta a casa. Per questo (soprattutto per chi preconizza la morte prossima ventura della lettura) rappresenterebbe un servizio di retroguardia, una realtà dove è inutile investire: nessuno sviluppo, al massimo sopravvivenza.
Questo modo di guardare alla biblioteca (una istituzione con più di 3.000 anni di storia e che si è saputa mille volte rifondare e reinventare) non coglie (lo coglie invece la sterminata letteratura a livello mondiale sull’argomento, basterebbe dargli una scorsa) la realtà di oggi, non assume la grande funzione sociale delle biblioteche, non individua le potenzialità di questi strumenti di servizio, di incontro, di partecipazione. In una società dell’informazione (un valore centrale e sempre più conteso e discusso) le biblioteche (chiamiamole pure mediateche) possono e devono diventare “agenzie della democrazia informativa”. Una agorà, una piazza aperta dove il cittadino trova risposta e orientamento al suoi bisogni informativi. Trova libri, giornali, video, informazioni di pubblica utilità, accessi a internet… e trova personale adeguatamente formato che lo assiste nella ricerca. Un spazio inoltre dove è possibile proporre e fare cultura, a partire dalle tante soggettività.
Quindi a Ferrara non serve solo recuperare alcuni anni di magra. Certo, anche questo. Sarebbe giusto stanziare, cioè spendere 1 euro per abitante per l’acquisto di patrimonio documentario (140.000 euro), e sarebbe perciò realistico raggiungere circa 170.000 prestiti annui (poco più di 1,2 prestiti per abitante, contro i 2 prestiti di altre città e regioni italiane o i 4 prestiti dell’Austria). Ma occorre soprattutto pensare un programma per la valorizzazione e lo sviluppo del servizio delle biblioteche pubbliche cittadine.
Occorre moltiplicare i rapporti tra biblioteche, scuole e musei cittadini (era questo in fondo il circolo virtuoso alla base del Gymnasium di Platone).
E occorre fondare nuove biblioteche (quei “granai pubblici” di cui parla l’imperatore Adriano di Marguerite Yourcenar), nuovi centri pulsanti di cultura e democrazia informativa, laddove non ci sono o sono insufficienti. Bene quindi la /nnn nnuova Biblioteca Ragazzi, ma ampliamo anche la Biblioteca Rodari (nel nuovo complesso edilizio previsto al posto del palazzo degli specchi? Sarebbe una buona idea), dotando la Zona Sud di un grande spazio polivalente. E pensiamo a fondare una biblioteca multiculturale e interetnica per le 80 etnie presenti a Ferrara, come stimolo fattivo a una politica del dialogo tra le diverse culture. Da questo punto di vista il contenitore ideale sarebbe già pronto: la grande sala al piano terra del grattacielo. Oggi è un luogo disadorno, degradato e isolato come tutta la Gad. Un centro culturale polivalente, con il coinvolgimento attivo delle varie comunità straniere sarebbe finalmente un modo per “riempire” un vuoto lasciato al degrado, alla illegalità e alla repressione.

Allarme del garante della privacy: il Grande Fratello 2.0 esiste

A quanto pare non avevo tutti i torti a sollevare con ‘L’abito digitale del neocapitalismo’ del 29 aprile scorso [leggi qui] il problema di quanto siamo spiati sul web. Il Garante della privacy Antonello Soro non ha usato mezzi termini nel presentare la relazione annuale per il 2016 dell’Authority: “Un numero esiguo di aziende, i monopolisti del web, possiede un patrimonio di conoscenza gigantesco – ha sottolineato – e dispone di tutti i mezzi per indirizzare la propria influenza verso ciascuno di noi, con la conseguenza che un numero sempre più grande di persone potrà subire condizionamenti decisivi”.
Beh, dunque i Grandi Fratelli ci sono, eccome, e non è sufficiente che ciascuno di noi stia più attento quando usa il pc. Ci vuol altro.

L’Autorità garante ha obbligato Google a rendere conforme il trattamento dei dati degli utenti alla normativa italiana, impegno rispettato nel 2016. A Facebook, il Garante ha imposto di bloccare i falsi profili e di assicurare maggiore trasparenza e più controllo agli utenti. Sono alcuni passi nella giusta direzione, ma ne servono molti altri. Abbiamo a che fare con chi sa benissimo che, spiandoci, può più facilmente condizionarci. L’uso distorto del web sta diventando molto pericoloso: pensiamo all’esplosione delle fake news.
La strategia da adottare contro questi fenomeni è, come si diceva tempo addietro con il gergo politichese, ‘complessa e articolata’, ma non per questo dev’essere poco energica e scarsamente incisiva. Al rispetto della democrazia e della dignità di ognuno va associata una normazione civile e penale, nazionale e comunitaria, adeguata a impedire abusi; ma prima ancora occorre una gigantesca opera di educazione civica nella società digitale, partendo dalla scuola. Oltre, ovviamente, a una ben maggiore responsabilità di chi veicola nella Rete notizie e informazioni.

Soro ha parlato poi di preoccupante aumento della pedopornografia rispetto al 2015: due milioni le immagini censite l’anno scorso, il doppio nei confronti dell’anno precedente in particolare nel ‘dark web’, lo spazio oscuro in cui per esempio si vendono armi come noccioline. Ha messo così in luce un tristissimo fenomeno in gran parte causato, affermano recenti ricerche, dall’utilizzo dei social networks da parte di genitori incolpevoli, ma incauti, che postano a mani basse immagini dei loro figli. Uno stato di cose che ancor più evidenzia il nostro analfabetismo digitale, oltre che la nostra grande vulnerabilità.

LA SEGNALAZIONE
Professione reporter

Da Organizzatori

Loro sono i fotoreporter “storici”, i professionisti ferraresi che hanno aderito al progetto della mostra curata dal Circolo della Stampa di Ferrara con il patrocinio di Airf (l’Associazione italiana reporter fotografi). La mostra si terrà in città il prossimo autunno e sarà la prima in assoluto a portare in vetrina le immagini più belle e significative del loro repertorio.
Ogni fotografo contribuirà a creare questo suggestivo ed inedito mosaico collettivo, offrendo almeno cinque immagini di grande formato, che documenteranno il suo percorso professionale ed il suo personale punto di vista sugli avvenimenti e i personaggi che hanno caratterizzato questi ultimi cinquant’anni.
Hanno già raccolto l’invito del Circolo della Stampa i fotoreporter Luca Gavagna, Andrea Rossetti, Sergio Pesci, Dario Berveglieri, Ippolita Franciosi, Gino Perin, Marco Caselli Nirmal, Andrea Samaritani, Mattia Borghi, Luca Pasqualini, Michelangelo Giuliani. Altre adesioni sono in arrivo.
Il Comitato organizzatore è¨ formato da Simonetta Savino, Ippolita Franciosi e Gino Perin. L’architetto Vittorio Anselmi curerà , a titolo amichevole, il progetto di allestimento.
Ogni autore dovrà far pervenire al Comitato organizzatore il materiale richiesto entro domenica 6 agosto.

Pianeta Clara, grande festa di fine anno per le scuole

Da Organizzatori

A Ostellato oggi quasi 400 ragazzi dal territorio servito dalla nuova società

Si è conclusa con una festa gioiosa nella verdissima cornice delle Vallette di Ostellato, la prima edizione di ‘Pianeta Clara’, il progetto scuola promosso dalla nuova società frutto della fusione tra Area e Cmv Raccolta, operativa dal 1° giugno.
All’evento di oggi hanno partecipato 350 bambini di 16 classi, principalmente della scuola primaria, provenienti da diversi comuni del territorio servito dall’azienda. Si tratta di una piccola parte delle oltre 200 classi che hanno aderito, per l’anno scolastico 2016-17, al progetto voluto da Clara: quasi 4mila bambine e bambini che anche grazie a Pianeta Clara, aggiungeranno un tassello di cultura ambientale al loro percorso educativo e – questo è l’obiettivo e l’auspicio del progetto – diventeranno giovani adulti con una coscienza ecologica più solida rispetto a quella di molti adulti di oggi.
In occasione della festa sono state premiate anche le classi vincitrici del concorso “Chi è Clara?”: si tratta della 1^ e 1^ B di Comacchio e della scuola d’infanzia di Masi Torello, che hanno rappresentato attraverso l’uso di materiali riciclati o riutilizzati la loro idea di mascotte di Clara. Le tre classi hanno portato a casa materiali didattici e di cancelleria utili per le attività scolastiche.
Il programma di questa prima edizione di Pianeta Clara (che raccoglie l’eredità di ben tredici edizioni di ‘Progetto Quadrifoglio’) è stato particolarmente ricco e diversificato. Per la scuola d’infanzia, oltre al collaudato spettacolo teatrale “Io l’ambiente e tu” – una fiaba ecologica dove tutto, dai costumi agli oggetti di scena, è costituito da materiali riutilizzati o riciclati -, per la prima volta è stato realizzato un laboratorio didattico-scientifico anche per i più piccoli delle scuole dell’infanzia, “Magicabula”, che ha visto l’intervento in aula di uno scienziato a compiere delle vere e proprie magie con gli oggetti di scarto quotidiano, con l’intento di aiutare i bambini a riconoscere i materiali.
Per le primarie e le secondarie di I grado le proposte sono state numerosissime. Oltre alla riconferma dei percorsi interdisciplinari sui materiali (“Materiali secondo natura”), per conoscere sotto varie angolazioni carta, plastica, vetro, metalli e RAEE, sia con le elementari che con le medie si è indagato il rapporto tra ambiente e rifiuti, l’importanza di preservare la natura e l’impatto che l’abbandono dei rifiuti può avere sulla biodiversità. Questo tema è stato declinato nei due percorsi “Rifiuti che storia!” e “Stop and go” – caratterizzati da una innovativa metodologia di lavoro, che ha coinvolto i ragazzi nella realizzazione di un corto con la tecnica dello stop-motion. Un secondo tema è stato quello dei rifiuti organici, proposto alle classi tramite i laboratori “Un fantastico destino” e “Scarto matto” – per pensare ad utilizzi alternativi degli scarti alimentari prima di destinarli alla raccolta differenziata o per analizzare altre opportunità di trasformazione oltre al compostaggio. Per i territori che hanno recentemente nuovi modelli di raccolta, “Gira la ruota”, un incontro dedicato alla riflessione sul rapporto tra abitudini dell’uomo e territorio.
Alla premiazione erano presenti il Presidente di CLARA, Gian Paolo Barbieri, il Sindaco di Ostellato, Andrea Marchi, e il Presidente della Cooperativa Atlantide, Andrea Quadrifoglio.

Con Il Germoglio in piazzetta Corelli buon cibo e 381 storie da gustare

Un itinerario attraverso la città per diffondere un’idea di turismo eco ed etico sostenibile: non turisti mordi e fuggi che galoppano dietro una guida e fagocitano tutto attraverso l’obiettivo di macchine fotografiche e smartphone, ma viaggiatori curiosi delle realtà e degli angoli meno conosciuti, consapevoli del proprio impatto sul territorio che visitano.
Un progetto per limitare lo spreco alimentare e la produzione di rifiuti, promuovendo la buona prassi di portare a casa senza imbarazzo eventuali avanzi dei pasti non consumati al ristorante.
Un laboratorio di pasta fresca con una sfoglina per studenti Erasmus.
Un’esposizione fotografica che racconta in bianco e nero il territorio del Delta, tra cielo, acqua e lembi di terra, uccelli in volo, reti e pali, barche e fari, onde e riflessi, mani come rami, conchiglie e meraviglie.
Cosa hanno in comune? Il Ristorante 381 Storie da gustare di piazzetta Corelli gestito dalla Cooperativa Il germoglio Onlus. Non solo un bar-ristorante dove gustare buon cibo, ma un luogo dove si incontrano e si incrociano diverse esperienze, tutte accomunate dalle parole d’ordine: territorio, inclusione sociale, sostenibilità, eticità.

Chiara Nardone e Gaia Aragrande sono due dottorande del Dit, il dipartimento di interpretazione e traduzione del campus di Forlì dell’Alma Mater Studiorum di Bologna: “Quello che ci è piaciuto di 381 Storie da gustare, il motivo per cui lo abbiamo scelto è la capacità di coniugare sostenibilità etica, ambientale e sociale”. Ecco perché il ristorante di piazzetta Corelli è stata la tappa conclusiva del tour eco ed etico-sostenibile che Chiara e Gaia hanno organizzato lo scorso lunedì sera nell’ambito di It.a.cà. migranti e viaggiatori – Festival del Turismo Responsabile. “It.a.cà. (sei a casa? In dialetto bolognese, ndr) è un festival itinerante, la cui tappa più importante è Bologna, dove è nato, ma che nel tempo ha allargato la propria rete a Ferrara, Padova, Trento e altre ancora”, mi spiega Chiara. It.a.cà. mira a far considerare il viaggio non più solo vacanza e svago, ma un’esperienza capace di esaudire il desiderio di conoscenza e scoperta del mondo. E allo stesso tempo, a sensibilizzare i viaggiatori sull’impatto dell’industria turistica all’interno degli ecosistemi, naturali e cittadini. Così è nato il tour sostenibile di Chiara e Gaia, che ha portato i partecipanti nella Ferrara ebraica e nel Castrum e che si è concluso al 381 Storie da gustare, “per far conoscere una realtà che ha un impatto a livello sociale nella città”. “Abbiamo trovato un terreno comune nella costruzione di una maggiore consapevolezza”, aggiunge Carla Berti de Il Germoglio: “far riflettere le persone su come le loro scelte come turisti, ma in fondo anche come cittadini, influiscano sulla realtà e sul territorio a breve e a lungo termine”.

Un momento dell’apericena

L’apericena di lunedì sera è stata anche un’occasione per Il Germoglio per far conoscere il valore aggiunto del cibo che si può gustare nel locale: il servizio di ristorazione viene gestito attraverso progetti di inserimento lavorativo di persone svantaggiate, nel senso più ampio del termine. Da qui il nome del ristorante, che fa sì che ormai a Ferrara in molti li chiamino “quelli dei numeri”. La 381 è la legge che nel 1991 ha creato, e da allora regolamenta, le cooperative sociali: lo scopo è “perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini attraverso la gestione dei servizi socio-sanitari ed educativi, lo svolgimento di attività diverse – agricole, industriali, commerciali o di servizi – finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.
Al 381 Storie da gustare lavorano dieci persone, alle quali bisogna aggiungere le sei del 381 bar ristoro, in via Azzo Novello vicino alle mura cittadine e quelle dietro al bancone del bar dell’Ospedale del Delta a Lagosanto.
Cristina, che lavora come operatrice con Il Germoglio da dieci anni, mi spiega che a suo avviso “il ristorante è il luogo ideale per coniugare attività imprenditoriale e inserimento lavorativo, ma forse per quanto mi riguarda è anche una questione affettiva: è il primo luogo dove abbiamo fatto inserimento”. “Il mio compito – continua Cristina – è trasmettere a chi sta con noi abilità e competenze nell’ambito lavorativo, ma in realtà diventano compagni di viaggio perché cerco sempre di mantenere un rapporto paritario, non replicare i rapporti asimmetrici che possono vivere fuori: se in cucina o al bar c’è da fare qualcosa, va fatta e basta, io li accompagno in un percorso che li renda autonomi nel farla. È un po’ quella che Amartya Sen chiama ‘capacità di vita’. Non è facile, anzi è talmente difficile che per chi lavora qui come dipendente o fa tirocinio qui diventa particolarmente bello e stimolante.” Me lo conferma Susy, l’aiuto cuoca: “Mi trovo bene con Cristina e tutti gli altri, anche i ragazzi che partecipano ai laboratori e che hanno fatto le cose che vedi qui. Prima lavoravo in profumeria, ma qui mi è scattato qualcosa dentro e ora non tornerei in negozio”. “Quello che mi piace del lavorare in una cooperativa come questa – mi dice Cristina – è che tentiamo di ridurre le disuguaglianze, spesso nate dai casi della vita: poteva capitare a me di nascere non normodotata o di vivere esperienze che mi rendessero particolarmente fragile, invece è capitato a qualcun altro. La cooperativa è uno strumento per fare qualcosa in prima persona per cambiare almeno un po’ quello che non mi piace in questo mondo. Se lavorassi in un’azienda che dà in beneficenza parte dei profitti non sarebbe la stessa cosa, qui la sostenibilità etica e l’inclusione sociale sono l’obiettivo primario, non una componente accessoria”.

Carla aggiunge: “il servizio di ristorazione si integra con la filosofia in senso ampio della cooperativa”, non solo per l’inserimento lavorativo, ma anche per quanto riguarda la sostenibilità ambientale: molti degli arredi del 381 sono frutto del riuso oppure sono prodotti con materiali di scarto durante laboratori per persone svantaggiate. Da qui anche l’adesione a RistoriAmo dell’associazione Officina dinamica: l’iniziativa mira a ridurre lo spreco alimentare e la produzione di rifiuti grazie al coinvolgimento di una rete di ristoranti virtuosi che danno la possibilità di portarsi a casa in modo sicuro e igienico ciò che si è ordinato ma non consumato. Il Germoglio è fra i primi aderenti. “Abbiamo conosciuto la cooperativa in occasione di AvanziAmo”, spiega Roberta Lazzarini, vicepresidente di Officina dinamica, “perciò abbiamo voluto coinvolgerla anche in RistoriAmo, perché la sua filosofia riflette i valori della nostra associazione”. “A ogni ristorante aderente a RistoriAmo vengono consegnate un certo numero di vaschette anti spreco, riportanti le corrette modalità di utilizzo di quanto asportato, secondo indicazioni fornite dall’Ausl, che patrocina il progetto insieme al Comune, il materiale promozionale da esporre nel locale e ognuno viene coinvolto in una sorta di co-redazione diffusa che poi pubblica notizie ed eventi sulla pagina fb del progetto”.

A tavola si mangia, si dialoga, si raccontano e si mettono insieme esperienze e differenze. Ogni atto legato al cibo, anche il più semplice e quotidiano, esprime una cultura. Dentro al cibo passano gusti e sapori, ma anche storie, saperi e valori. Sulle tavole di 381 Storie da gustare alla convivialità si accompagnano il desiderio di giustizia e inclusione sociale e l’attenzione per l’ambiente, il territorio e soprattutto le persone. “Cerchiamo di adattarci alle esigenze di chi usufruisce del nostro servizio e quindi le nostre diverse proposte nascono spesso come risposta alle necessità di chi si accosta a noi”, sottolinea Carla.
I prossimi appuntamenti sono l’8 e il 9 giugno. Giovedì 8 dalle 17.30 con il pastaLab per studenti Erasmus che si vogliono mettere alla prova con la ‘sfoglia’ e l’aperitivo ‘Learn, socialize and drink! Impara, socializza e brinda!’, organizzati da Elena Colombo e Mirco Pagliarani, laureandi della facoltà di architettura di Unife che hanno collaborato con Il Germoglio per la propria tesi. Venerdì 9 dalle ore 19, invece, con una nuova mostra del Fotoclub di Ferrara, da sempre un prezioso partner per il 381: l’esposizione si intitola ‘Quasi Mare d’aMare. La Sacca di Goro vista dalle Socie del FotoClub Ferrara: trittici di fotografie in bianco e nero’ e sarà visibile fino al 2 luglio.
In più, per tutto il mese di giugno si susseguiranno le cene speciali di ‘Una cena per raccontare un’emozione’, per conoscere e far conoscere tutti quelli che hanno collaborato quest’anno con il ristorante 381 Storie da gustare, dove le ricette sono soprattutto incontri.

Per maggiori info sugli eventi
320 2512214
0532 1866272
381@ilgermoglio.fe.it

www.381storiedagustare.it
Pagina fb

LA CITTA’ DELLA CONOSCENZA
Dalla smart city alla comunità intelligente

La compagnia di taxi più grande del mondo, Uber, non possiede veicoli. La società di media più popolare del mondo, Facebook, non crea contenuti. Il più grande fornitore mondiale di alloggi, Airbnb, non possiede immobili. Il rivenditore più quotato al mondo, Alibaba, non ha inventario.
È l’economia della banda larga. Se le infrastrutture da sempre sono il fondamento della competitività economica, la banda larga è oggi l’infrastruttura regina dell’economia, e certamente la tecnologia che è cresciuta più rapidamente.
La banda larga permette città intelligenti: le smart city. Le tecnologie informatiche applicate alle nostre città le rendono migliori, consentono di gestire e monitorare accuratamente i processi urbani con risparmio di denaro, maggiore efficienza, offrendo un servizio migliore ai contribuenti.
Ma è proprio la diffusione della banda larga che ha alzato il livello della sfida, facendo della città intelligente una frontiera non più sufficiente. Non basta essere una smart city è necessario creare città migliori e per fare questo occorre divenire anche “comunità intelligenti”.
Peter Drucker, economista, padre della scienza del management, nel 1973 aveva previsto che nel giro di due decenni sarebbe stato impossibile per la classe media mantenere il proprio stile di vita con il lavoro delle proprie mani. Già allora Drucker previde che il mondo che conoscevamo stava cambiando. Egli chiamò il nuovo lavoro che sarebbe stato richiesto alla classe media “lavoro di conoscenza” e le persone che l’avrebbero svolto “lavoratori della conoscenza”.
Nell’ultimo decennio del XX secolo e nel primo decennio del XXI la profezia di Drucker si è avverata. Oggi, tutti i posti di lavoro desiderabili nelle economie industrializzate, e anche in quelle in via di sviluppo, richiedono componenti sempre più elevate di conoscenza rispetto al passato.
Le comunità intelligenti hanno come obiettivo quello di sviluppare una forza lavoro qualificata nel campo delle conoscenze, dalla fabbrica al laboratorio, dall’edilizia al call center o all’impresa.
L’opportunità di creare cittadini colti e competenti parte dall’infanzia e continua per tutta la vita, va dai programmi prescolastici alla scuola secondaria, dall’ istruzione tecnica superiore alle università.
È compito dei governi delle comunità intelligenti coltivare e nutrire le risorse della conoscenza. Accrescere l’offerta di conoscenza sul proprio territorio, aprire campus dei saperi, promuovere programmi di arricchimento nel campo della scienza e della ricerca, portare risorse educative e investimenti culturali nella comunità. Cambia pure l’ottica del rapporto tra scuola e lavoro, perché il lavoro che è richiesto non è più la mano d’opera del passato ma il lavoro di conoscenza, per questo nelle comunità intelligenti il governo locale opera a stretto contatto con le scuole e con le imprese per offrire agli studenti esperienze di prima mano, corsi di specializzazione in grado di prepararli alle carriere nelle industrie leader ed emergenti della comunità. Crescere i propri lavoratori della conoscenza è una parte del compito, come mantenerli e attirarne di più è un altro. Le comunità intelligenti investono in risorse fisiche e digitali, ma l’investimento prioritario è sempre più quello nelle risorse umane, nel capitale umano come condizione per migliorare la qualità della loro vita.
L’economia a banda larga è un’economia basata sull’innovazione. Il primo requisito per l’innovazione è la conoscenza. La banda larga è diventata il grande oleodotto dove passa il patrimonio di conoscenze del pianeta, rendendo possibile agli innovatori di imparare più velocemente che mai. Un altro requisito critico per l’innovazione è l’accesso al talento. La banda larga ha consentito alle multinazionali e alle piccole imprese di accedere efficientemente ai migliori talenti del mondo.
L’innovazione è essenziale per l’economia interconnessa del XXI secolo. Le comunità intelligenti perseguono l’innovazione attraverso un rapporto tra impresa, governo e università. È il triangolo dell’innovazione o la “triplice elica” che aiuta a mantenere i vantaggi economici dell’innovazione a livello locale, creando un ecosistema di innovazione che impegna l’intera comunità in un cambiamento positivo.
Creare, attrarre e mantenere i lavoratori della conoscenza sono i passi più importanti che una comunità può intraprendere per aumentare il tasso di innovazione. A differenza delle attività tradizionali come la maggior parte di noi le concepisce, un’impresa innovativa è tutta di persone e costruita sulla forza lavoro della conoscenza. Sono le “gazzelle”, come le ha definite l’economista statunitense David Birch, piccole, agili e aggressive start-up con grandi ambizioni, affamate delle risorse necessarie per raggiungerle. Oggi le “gazzelle” di successo, questi hub della conoscenza, secondo l’Ocse, creano in tutte le nazioni industrializzate la crescita del reddito sul quale si alimenta il resto delle economie locali.
Le comunità intelligenti sono, dunque, diverse, le comunità intelligenti adottano la tecnologia ma non la producono. Al contrario trovano usi intelligenti delle tecnologie sulla base della loro visione e delle soluzioni da dare ai loro problemi più urgenti. Si assicurano di avere la banda larga e le infrastrutture informatiche necessarie per essere competitive, sapendo che si tratta solo di mezzi per raggiungere i propri fini. La maggior parte delle loro risorse ed energie è volta a produrre conoscenza, a sviluppare una forza lavoro della conoscenza.
Più sforzo entra nell’elaborazione di un ecosistema di conoscenza e di innovazione che coinvolge governi nazionali e locali, imprese e istituzioni, più si creano posti di lavoro di alta qualità e si soddisfano esigenze sociali.
Molte smart city si limitano all’efficienza immediata, ai vantaggi delle nuove tecnologie, ma devono ancora intraprendere i primi passi verso la creazione di comunità intelligenti.

LO SPETTACOLO
Al Totem Festival Amleto e le altre anime

“Nevica in Danimarca e questi attori, i personaggi, attendono che il loro destino si compia”.
Quando poi della morte rimane solo il silenzio e l’odore, quando i personaggi hanno compiuto il loro tragico destino, quando il pubblico ha consumato il suo pasto e sazio dell’eroe ha lasciato il teatro per rientrare nella sua quotidianità, chi si occupa di seppellire i sogni perché il giorno dopo rifioriscano? E’ in questo interstizio fra l’attesa del proprio destino e il dopo il suo compimento che ha preso forma ‘Archivio delle anime. Amleto’, la riscrittura della tragedia shakespeariana andata in scena sabato sera al Teatro Cortazar nell’ambito del Totem Arti Festival.

La creazione di Naira Gonzalez e Massimiliano Donato, nella doppia veste di ideatore e unico interprete in scena, immagina un becchino, un po’ spettrale un po’ grottesco, che a tratti ricorda l’(A)Igor di Frankenstein Junior, che riallestisce per il pubblico che – suo malgrado – si trova di fronte l’Amleto di Shakespeare con l’aiuto delle ossa amorevolmente raccolte negli anni. Si fa – di nuovo suo malgrado – dinoccolato capocomico di marionette/attori/personaggi, mentre in realtà non è altro che in attesa, anch’egli, del protagonista: quell’Amleto condannato a rivivere per sempre la propria parte, il proprio tragico destino.
La piéce è un’Amleto stravolto, eppure riconoscibilissimo, e ri-creato nei dettagli che rendono la tragedia immortale: un continuo gioco meta teatrale, un linguaggio semplice e struggente, un ritmo forsennato, con Donato che non concede tregua a sè stesso e al pubblico, una maestria e una pazienza da artigiani nel lavorare su ogni particolare, sono gli ingredienti che rendono ‘Archivio delle anime’ poetico, popolare ed epico allo stesso tempo. Impossibile riportare tutte le originali e complesse scelte drammaturgiche, registiche e attoriali che fanno dello spettacolo una celebrazione, una esperienza di Amleto: come tale va esperita, punto.
C’è la tragedia dell’amore che non basta a salvare l’amore, c’è il cinismo che svela l’ipocrisia e l’imperfezione dell’uomo, c’è la poesia di chi non giudica tale imperfezione e c’è la denuncia che scopre il marcio degli uomini scoprendo così il tranello del mondo e di chi lo creò. Come i personaggi sono marionette manovrate in scena dal becchino capocomico, gli uomini sono marionette spinti da Dio sul palco della vita. E, infatti, Amleto entra come fosse spinto, senza essere spinto da nessuno, e duella con Laerte come fosse un pupo siciliano.

E alla fine di questa tragedia del disincanto, per placare il sangue, l’ira, la vergogna, l’amore, scende la neve a far calare il silenzio prima del sipario, a cancellare i segni del passare dei personaggi, perché la sera dopo li lascino come se non avessero mai percorso quella strada.

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LO SPETTACOLO
IOhERO: un’Iliade in chiave pop

Chi da piccolo non ha giocato al gioco del “Facciamo che io ero”? Un astronauta, un medico, un insegnante, l’eroe o l’eroina preferiti: quando si diventa grandi si dice di ‘far finta’, ma da bambini per quel lasso di tempo lo si diventa davvero. Agli attori – ci avete mai pensato? – è permesso continuare a fare questo gioco anche da adulti. E i giovani componenti del collettivo bolognese Respirale teatro hanno deciso di sfruttare questa possibilità per costruire un gioco di riflessi sui Millennials, fra rappresentazione e autorappresentazione.

Sabato sera al Totem Arti Festival di Pontelagoscuro – organizzato da Teatro Nucleo con la direzione artistica di Natasha Czertok – è andato in scena il primo studio di questo esperimento intitolato ‘IOhERO’, dopo una residenza che ha visto gli attori Debora Binci, Michele Pagliai, Emanuele Tumolo e la regista Veronica Capozzoli ospiti delle sale del Teatro Cortazar nell’ultimo mese.
Alla ricerca di un’epica contemporanea, chiedendosi se in questo nuovo millennio esiste un nuovo Omero, individuale o collettivo che sia, i giovani componenti di Respirale sono arrivati a una narrazione, una rappresentazione che è in realtà una confessione della propria fragilità e delle proprie ansie di Millennials, i nati nel ventennio che va dal 1980 alla fine degli anni Novanta, che hanno attraversato il cambio di millennio convinti di esserne i nuovi eroi, pensando che ogni cosa fosse alla loro portata.
Ecco allora che l’Iliade, già di per sé ‘social’ come ogni mito e ogni narrazione orale trasmessi di generazione in generazione, diventa una battaglia navale 2.0, un gioco di ruolo on-line dove Achille e Paride sono i due profili scelti dai giocatori, con tanto di nickname e dichiarazione di social status. Gli eserciti schierati, pronti a confrontarsi presso le mura di Ilio sono “una generazione di fenomeni mobile (da leggersi all’inglese, naturalmente)”, tutti in scintillanti “armature recensite su Amazon”. A godersi “i duelli in streaming”, a guidare il gioco, allo stesso tempo algida dominatrice e fragile vittima, una Elena dai vertiginosi tacchi a spillo.
Poi cambio di scena, tre individui si muovono incerti come pedine su una scacchiera, affollando le orecchie del pubblico con i propri “io”, inconsapevoli l’uno dell’altro, per mancanza di capacità o volontà di conoscere e riconoscere le ragioni, i desideri, i sogni dell’altro: “sono qui”, “non ti vedo”.
Il mare della battaglia navale è diventato l’oceano di possibili scelte a disposizione dei Millenials nel quale è facile affogare se non si hanno gli strumenti adatti per la navigazione: esiste un’unica rotta da seguire, oppure ognuno deve tracciarsi la propria? In queste acque fanno capolino gli scogli di un’eterna formazione e di un lavoro che non è più strumento di emancipazione e le sirene che fanno impazzire “uomini e donne, laureati, formati, specializzati” nell’attesa di quella fama che non si raggiunge più – per fortuna – sui campi di battaglia a colpi di spada, ma dallo schermo a colpi di pixel e likes. Infine due minotauri contemporanei usano il filo di Arianna non per liberare, ma per ghermire e omologare: superata la soglia dell’homo videns, a che punto siamo ora?

Indovinato l’uso delle citazioni, in un intelligente mix di epica, pop e sottile provocazione. Ingegnoso uso delle luci e degli effetti sonori che tra teatro delle ombre e lampi pulsanti materializzano le inquietudini dei protagonisti e (forse) anche del pubblico.

VIDEOCONFERENZA
Biancoazzurro è il colore che amo: la Spal ieri, oggi e domani

“Biancoazzurro è il colore che amo: la Spal ieri, oggi e domani”: Mauro Malaguti del Resto del Carlino, Andrea Tebaldi della Nuova Ferrara, Alessandro Sovrani di Telestense e Costantino Felisatti dello Spallino, introdotti e interpellati da Sergio Gessi, direttore di Ferraraitalia, hanno riferito ricordi e pareri nel corso dell’ultima conferenza stagionale del ciclo “Chiavi di lettura, opinioni a confronto sull’attualità” organizzato da Ferraraitalia. Protagoniste nella sala Agnelli della biblioteca Ariostea, attraverso le voci dei cronisti sportivi e del pubblico, sono state le emozioni legate alle imprese della compagine biancoazzurra che, a compimento di due campionati entusiasmanti, ha ritrovato la serie A dopo 49 anni di attesa.

Qui il video integrale della conferenza

L’ultima nota, lutto per l’improvvisa scomparsa di Willliam Molducci critico musicale e cinematografico

La scorsa settimana aveva scritto, come d’uso, un suo articolo per il settimanale di Ferraraitalia. L’intervista a una giovane cantante, Amelie. Nessuno poteva immaginare che quello sarebbe stato il suo ultimo scritto. William Molducci, giornalista, ci ha lasciati la notte scorsa mentre era in vacanza in Croazia, a seguito di un fatale malore. Musica e cinema erano le sue due grandi passioni, come cineasta ha ricevuto anche alcuni prestigiosi premi. La terribile notizia ci ha raggiunto questa mattina. Tutta la redazione di Ferraraitalia, sconvolta, partecipa al dolore dei familiari e rivolge al carissimo William un pensiero carico di affetto e di rimpianto.

Lo ricordiamo ai lettori con la rassegna dei suoi 120 articoli pubblicati sul nostro giornale [clic qua per leggere] 

Da lunedì ogni settimana torna il dossier tematico di Ferraraitalia

All’approssimarsi dell’estate, come è ormai consuetudine, Ferraraitalia modifica in parte la propria proposta informativa. Così, anche quest’anno, il settimanale del venerdì lascerà spazio a una serie di dossier tematici, che riproporranno, ogni lunedì a partire dal 5 giugno e sino al 28 agosto, una selezione di articoli tratti dal nostro ricco archivio, che di volta in volta contribuiranno a fornire elementi di conoscenza spunti di riflessione in merito all’argomento affrontato. E’ un’opportunità per analizzare in maniera organica a approfondita un tema rilevante e magari un’occasione per molti di recuperare qualche intervento sfuggito nel corso dell’anno. Questa formula è stata particolarmente apprezzata in passato e la selezione di testi di archivio ancora attuali ha destato interesse e propiziato migliaia di letture. Confidiamo che lo stesso avvenga di nuovo. Qualche altra novità è allo studio e ci sarà presto l’occasione per presentarla pubblicamente.
Buona lettura

I DIALOGHI DELLA VAGINA
Uomini unici: il parere dei lettori

Lettrici, ma anche lettori, hanno definito quali sono gli uomini unici. Padri, mariti, amici, persone che fanno la differenza.

Rispetto e calcolo, a volte è difficile distinguerli

Ciao,
ho letto l’ultimo argomento sulla tua rubrica, molto interessante, credo che fornirà ottimi spunti di dialogo. Hai praticamente elencato tante di quelle qualità che dovrebbero essere patrimonio naturale di noi uomini, non tutti le hanno, siamo tutti carenti in qualcosa. A mio avviso, una delle qualità più importanti è quella di saper vedere una donna non solo come oggetto sessuale ma come persona, credimi, se si riesce ad andare oltre questa considerazione, molte strade si aprono per una reciproca comprensione e soddisfazione. La strada è ancora lunga e purtroppo anche ultimamente ho ricevuto conferme, infatti molti uomini non riescono a interagire con una donna se questa è gentile o premurosa, se per ragioni di lavoro si rivolge a loro in maniera educata, questi normalissimi comportamenti vengono ancora confusi con un’autorizzazione a provarci, chiedere il numero di telefono e scatenare tanti viaggi mentali. Mi piacerebbe che tutto questo venisse finalmente superato in modo tale da consentirci un rapporto più naturale e non di calcolo. Ho imparato molto dalle donne, qualcosa penso di averla data anche io, ma sicuramente è molto di più quello che ho ricevuto da loro, in particolare in quest’ultimo anno nel quale ho conosciuto amiche speciali. Con loro ho potuto apprezzare cosa vuol dire esserci sempre, non essere egoisti, volersi bene per quello che siamo, sorridere per le piccole cose, affrontare le proprie responsabilità senza tirarsi indietro, proteggere quando serve, ma soprattutto e questo grazie a un’amica veramente speciale, ho capito che a volte puoi creare imbarazzo a una donna se ti dimostri troppo protettivo, perché sembra che tu la consideri debole, incapace di fare da sola. Da allora agisco diversamente, offro il mio aiuto se serve, sono premuroso, facendole capire che sono pienamente cosciente del fatto che lei può fare qualsiasi cosa senza bisogno del mio aiuto, ma, qualora dovesse essere necessario, sa che può contare su di me e credo che questo soddisfi entrambi, sapere di esserci senza dover limitare la libertà e lo spazio d’azione dell’altra persona.
Detto questo, credo che sia essenziale saper ascoltare, cercare di essere attenti a piccoli particolari, gesti, che a volte possono essere richieste alle quali noi dobbiamo farci trovare pronti, in modo tale da esaudirle con discrezione. Quando si vuol bene alle persone, non dovrebbe essere difficile stare attenti a quello che ti dicono e non solo a parole, osservare se il sorriso arriva agli occhi, intuire lo stato d’animo, sapere quando tacere e quando invece una parola, un gesto, un abbraccio possono rivelarsi utili. Tutto questo discorso per concludere con l’unico vero atteggiamento che con una donna funziona sempre: il rispetto. Quando c’è questo elemento fondamentale, tutto il resto arriva facilmente
Buona giornata Riccarda.
Gigi

Caro Gigi,
il rispetto, appunto. Noi donne dovremmo imparare ad annusarli subito gli autentici per natura e quelli no. A guardarli bene, non sono proprio uguali, la spontaneità dei primi manca ai secondi. Nei non autentici c’è un’affettazione che è indizio di quel che succederà, dello scivolone in cui cadranno. Il bello è che fanno tutto da soli. La galanteria e la buona educazione precipitano se, poi si scopre, finalizzate ad altro. La cortesia calcolata dura poco, non ce la fa a resistere perchè viene sempre sopraffatta dal vero intento.
E allora crolla tutto e diventa una questione di rispetto. Mancato rispetto.
Riccarda

Ogni uomo è un vago ricordo del padre…

Cara Riccarda,
è vero, ci sono anche uomini unici, pilastri su cui contare. Pochi, ma ci sono. Uno è senz’altro mio papà, ma forse questo non vale. Poi c’è il mio grande amico G., uomo d’altri tempi, tutto d’un pezzo e con una parola sola. Lui ti dà tutto, ma se lo deludi, tutto ti toglie. Poche storie e forti, fortissimi principi morali. E’ capace di mille attenzioni per chi ama, su di lui puoi contare. Lui c’è sempre, nel bene e nel male.
Ho la fortuna di avere accanto altri due uomini speciali che stimo tantissimo, sempre gentili e attenti. Fanno le cose con il cuore e la loro dolcezza è innata. Uno è il marito dell’altra me, l’altro è la mia ‘donna mancata’. Adoro questi uomini unici.
Debora

Cara Debora,
in effetti il papà non vale. Non vale né cercarlo uguale perchè non esiste né, se non è proprio stato il massimo, tentare di ripararci con qualcun altro.
Eppure resterà sempre il nostro archetipo di uomo unico, di cui rincorreremo i tratti e gli spazi vuoti negli uomini che incontreremo.
Riccarda

Le debolezze degli uomini unici, questione di prospettive

Ciao Riccarda,
gli uomini unici ci sono, spesso si chiamano papà, ma a volte si trovano anche tra i comuni mortali.
Sono quelli che condividono le loro passioni e ti rendono partecipe della loro vita, quelli che perdonano i tuoi errori e ti chiedono scusa quando sbagliano, quelli che tornano a casa ogni sera e sono contenti di vederti, sono gli uomini che ti chiedono se sei felice e che nei piccoli gesti di ogni giorno dimostrano rispetto e discrezione.
Molto spesso gli uomini unici coincidono con quelli di cui tanto ci lamentiamo e forse i loro difetti dipendono un po’ da quale prospettiva li guardano i nostri occhi, ad eccezione ovviamente di quello definito da una tua lettrice “il maschio orango-disco rotto-sanguisuga-naufrago-mollusco-polipo” che quello, così è e così rimarrà sempre.
E.

Cara E.,
se tutto parte dalla prospettiva con cui li guardano i nostri occhi, occorre mettersi nella posizione, anzi predisposizione, giusta. E ancora più importante, è non guardare da un’altra parte.
Riccarda

Critiche, sberleffi, elogi… questione di merito!

Cara Riccarda
Dopo aver ironizzato e categorizzato il genere maschile eccomi di nuovo qui, stavolta con un messaggio diverso: il mio uomo “unico” l’ho trovato anzi è stato lui che ha trovato me. Ero “all’angolo coi pugni chiusi, con le spalle contro il muro pronta a difendermi“ incazzata e disillusa verso tutto quello che era xy.
Lui ha saputo ascoltare, parlare, aspettare, farmi vedere anche il lato positivo nelle cose, smussare il mio carattere difficile ( perché sì lo so che anche io ne ho di lati negativi eh), alleggerire il fardello che mi ero costruita negli anni.
Lui che è così come lo vedi, solido e trasparente, che non ha lati nascosti e che a pelle mi ha dato la sensazione che potevo fidarmi totalmente.
Poi anche lui ha i suoi difetti, mica è l’uomo perfetto! Però il suo essere imperfetto nella sua perfezione mi fa dire che fortuna che ho avuto a incontrarlo.
Perciò, uomini che la volta scorsa vi siete piccati vedete che in fondo non siamo solo capaci di criticare ma anche di elogiarvi… se ve lo meritate!
M.

Cara M,
gli uomini unici, dicevamo, sono quelli che fanno la differenza e mi pare che per te lui l’abbia fatta, ti ha tolta dall’angolo per abbracciarti al centro.
Riccarda

Potete inviare le vostre lettere a: parliamone.rddv@gmail.com

L’APPELLO
Salviamo dall’oblio ‘Giovinezza, giovinezza’ e la Ferrara di quegli anni

di Paolo Veronesi*

Sono trascorsi quasi cinquant’anni e nessuno, a Ferrara, ne parla più. Molti ricordano – ed è un bene – ‘La lunga notte del ‘43’ e ‘Amore amaro’: bellissimi film girati dal concittadino Florestano Vancini nel 1960 e nel 1974. E così pure ‘Il giardino dei Finzi Contini’ (1970), pellicola tratta dall’omonimo romanzo di Giorgio Bassani – il quale tuttavia rifiutò di firmare la sceneggiatura – che regalò a Vittorio De Sica l’Orso d’Oro al Festival di Berlino nel 1971, oltre che l’Oscar come miglior film straniero nel 1972. Quando va davvero bene, ma occorre fortuna, qualcuno rammenta inoltre che a Ferrara e dintorni sono stati girati squarci di due film sicuramente fondamentali per la storia del cinema, ‘Cronaca di un amore’ (1950) e ‘Il grido’ (1957), entrambi diretti da un altro concittadino divenuto giustamente e universalmente famoso: quel Michelangelo Antonioni che è persino riduttivo qualificare solo un regista e che – spero di sbagliare – molti stanno lentamente regalando all’oblio. Potrei continuare a lungo, ma gli elenchi mi annoiano: ho l’impressione che siano spesso snocciolati da chi ha poche idee.

La locandina di Giovinezza giovinezza

Di certo pochissimi ricordano invece che a Ferrara, nel 1969, si girò un altro film di pregio: si tratta di ‘Giovinezza, giovinezza’, tratto dall’omonimo romanzo di Luigi Preti, uscito nel 1964 e poi tradotto in decine di lingue. E anche se nel libro l’autore trasfigurava la nostra città in una misteriosa Padusa, era peraltro chiarissimo che in esso si narravano vicende ferraresi. A firmare il film era Franco Rossi, assai noto in quegli anni per aver diretto ‘Odissea’, lo sceneggiato messo in onda dalla Rai nel 1968 con enorme successo di pubblico. Chi può mai dimenticare il terrificante Polifemo, realizzato da Mario Bava? Dietro la macchina da presa dipingeva la bellissima fotografia in bianco e nero del film ferrarese un ancor giovane Vittorio Storaro, il quale avrebbe vinto poi ben tre premi Oscar e contributo alla riuscita di alcuni lavori davvero preziosi, ne ricordo solo uno, il mio preferito: ‘Il conformista’ di Bernardo Bertolucci.
Tutte le pellicole che ho sopra menzionato sono state – fortunatamente – riversate in videocassetta (al tempo dei videoregistratori) poi in dvd (nell’era dei lettori); talvolta capita addirittura di scovarne qualcuna nella programmazione sempre più asfittica di Sky. Per ‘Giovinezza, giovinezza’ niente di tutto ciò. Il film è scomparso e la celluloide che lo componeva si è come metaforicamente sfarinata.

Molto ci sarebbe invece da dire su questo film, sul libro dal quale è stato tratto – pur discostandosene, se ben ricordo, in più d’un accento – e sull’autore di quest’ultimo: quel Luigi Preti, politico socialdemocratico ferrarese, membro dell’Assemblea Costituente e poi più volte consigliere comunale, oltre che deputato e ministro della Repubblica. Personalmente ho potuto assaporare la pellicola una sola volta, tanti decenni fa, nel corso di una rassegna organizzata da Paolo Micalizzi presso l’allora cinema Embassy, gestito dall’appassionato Antonio Azzalli. Poi il buio.
Eppure quel bianco e nero è ancora impresso sulla mia retina di (allora) troppo giovane cinefilo, così come taluni coraggiosi tagli d’inquadratura – indimenticabili quelli a perpendicolo del bugnato di Palazzo dei Diamanti o dell’ingresso della Sala Estense – l’inconfondibile sagoma liberty di Villa Melchiorri su Viale Cavour, utilizzata come abitazione di un protagonista (per gli interni pare che sia stata però utilizzata anche l’ex casa Quilici, di fronte all’Hotel Astra), o i set presso la Caserma di via Cisterna del Follo allora in pieno funzionamento o lungo la via Ripagrande. Ricordo una nebbia fumosa, all’epoca assai presente negli inverni cittadini, filmata con un’abilità tale da renderla materialmente e olfattivamente percepibile. E poi la storia, per nulla banale: un gruppo di studenti universitari, amici inseparabili, che per vie diverse raggiunge, nell’arco di un decennio, la progressiva consapevolezza del marciume e dei disastri provocati del fascismo, talvolta transitando dall’esaltazione inconsapevole del nuovo solo perché tale alla lotta nella Resistenza. Ricordo lo struggente finale che mi guardo bene dal raccontare. E rivedo, in un’eterna angolazione dal basso (ero un bambino), la troupe per le vie cittadine, riavvertendo lo sconcerto che colpì molti nostri conterranei allorché appresero che a interpretare uno dei protagonisti ferraresi era stato chiamato un attore parigino di bell’aspetto: quell’Alan Noury che sarebbe poi comparso anche nello scandaloso ‘Histoire d’O’ del 1975. Come dimenticare poi Olimpia Carlisi, divenuta famosa per aver presentato l’edizione del Festival di Sanremo del 1980 con Roberto Benigni, ma io preferisco rammentare le sue numerosissime interpretazioni cinematografiche per la regia di autori di gran classe: Giuseppe Bertolucci, Sergio Citti, Andrè Techine, Peter Del Monte, Rossellini, Ettore Scola, Fellini e chi più ne ha più ne metta.
Una curiosità: tra gli interpreti di ‘Giovinezza’ figura un tal Leonard Manzella che, con il nome d’arte di Leonard Mann, sarà qualche anno più tardi il protagonista maschile del già citato ‘Amore Amaro’ di Vancini, accanto a un’irresistibile Lisa Gastoni. E molti furono i ferraresi coinvolti nella lavorazione. Pensate solo a Beppe Faggioli o a Colomba Ghiglia, il cui nome figura in bella vista in tutte le schede del film e che (mi dicono) abbia abbandonato Ferrara già da qualche tempo, dopo aver gestito per tanti anni quell’indimenticabile ristorantino d’altri tempi che prendeva il suo nome in vicolo mozzo delle Agucchie.

La proposta è questa: perché non avviare una raccolta di fondi – crowdfunding si usa dire adesso – per restaurare questo film nell’approssimarsi dei suoi splendidi cinquant’anni? Presso la Cineteca Nazionale di Roma dovrebbe esserne conservata almeno una copia e, dunque, non pare impossibile rintracciare la ‘pizza’ da affidare poi agli esperti della Cineteca di Bologna. Potrebbe essere un modo per rivedere una città che non c’è più e respirarne l’aroma, oltre che l’occasione per recuperare un bel frammento di storia del cinema: chi l’ha detto che solo i capolavori hanno il diritto di vivere?
E, comunque, non mi va giù che ‘Giovinezza, giovinezza’ possa finire in polvere: se quest’esigenza sarà condivisa anche da altri e qualcuno potrà farsi carico di gestire la cosa (l’assessore Maisto, sempre molto sensibile su questi temi? Oppure l’Arci, che tanto ha dato alla programmazione cinematografica ferrarese?) l’obiettivo potrebbe essere a portata di mano. Altrimenti: scusate il disturbo.

*Docente di diritto costituzionale presso l’Università degli Studi di Ferrara (vrp@unife.it)

Benvenuto a monsignor Perego!

Da Mario Zamorani

Mi rendo conto che quanto sto per dire può sembrare supponente o anche solo irrilevante. Può essere. Ma anche i semplici cittadini hanno il diritto di esprimere le loro opinioni e un vescovo è anche un’autorità civile; per questo come laico e agnostico (e un po’ anche come discendente di ebrei spagnoli migranti cacciati dalla Spagna da Isabella e Torquemada) mi fa piacere dire: benvenuto monsignor Perego! Con lei Ferrara sarà migliore!
Con il passaggio di testimone da Negri a Perego, a mio avviso, ci troviamo di fronte al passaggio da un vescovo che sta con le Crociate ad un vescovo che sta con il Vangelo. Lo so, è una semplificazione, ma, credo, non così errata.
Anche mi piace commentare l’ultimo intervento di monsignor Negri in merito alla recente tragedia di Manchester, intervento non distonico rispetto a tanti altri precedenti, e che quindi individua una definita cifra dell’uscente, e cito S. Paolo della Prima Lettera ai Corinzi: “Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei un bronzo risonante o un cembalo che tintinna. Se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla… Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte la più grande è la carità!”. Così Pasolini interpretava questo scritto: la fede e la speranza sono impensabili senza la carità:e non solo impensabili, ma rischiano persino di essere mostruose (cito a memoria).
Perego si batte a favore dei più deboli, chiunque essi siano, e fra questi, io credo, malgrado i danni che provocano, è giusto considerare anche quanti – come rosi da un tarlo interiore – scambiano il diverso, o ritenuto tale, per perverso o comunque per nemico. Forse fra costoro è da annoverare anche monsignor Negri.

Né con Renzi né con D’Alema: a sinistra riparte Campo progressista e dice no a inciuci e opportunismi

A sinistra qualcosa si muove. E la direzione intrapresa, finalmente, sembra quella giusta. Campo progressista accelera il passo, conferma il suo fermo impegno per la rinascita di una forza politica che tenga ben saldi i valori fondanti della malconcia sinistra e sappia, sulla base di questi ideali, confrontarsi con le altre componenti interessate alla definizione di un progetto politico che propugna uno sviluppo concepito in senso civico e sociale e non economicista, che pone al centro della propria azione i temi del lavoro, dell’ambiente, della pace, dell’accoglienza e che si tiene al riparo da alleanze con chi difende gli interessi del capitale e innalza le bandiere del nazionalismo. No annunciato, in sostanza, a qualunque ipotesi di alleanza post-elettorale con Berlusconi (esito assai probabile in caso di affermazione del Pd di Renzi, intenzionato ‘obtorto collo’ a rinverdire la stagione delle larghe intese), e un fermo no pure alle piroette opportunistiche di D’Alema (e compagnucci) che dopo avere contribuito in maniera decisiva ad affossare la sinistra in Italia si propone ora come improbabile alfiere del suo riscatto. Insomma, il vuoto attuale a sinistra potrebbe essere colmato da una convergenza di soggetti attorno al progetto di Campo progressista che vede personalmente impegnati fra gli altri, accanto al’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, che ne è promotore, anche Laura Boldrini, ora Luigi Manconi, Claudio Fava, Miguel Gotor, forse Piero Grasso, Gad Lerner e magari domani pure Pippo Civati… (s.g.)

Ecco il documento-appello di Campo progressista:
No alle larghe intese, lavoreremo per una nuova casa del centrosinistra
Di fronte ai tentennamenti del G7 su clima e migranti, alla crisi sociale che devasta l’Europa e al ritorno dei nazionalismi, alla deprimente fotografia che ci ha consegnato l’Istat pochi giorni fa, le forze del centrosinistra avrebbero il dovere di costruire un programma comune, rinnovato e competitivo.
Purtroppo, il Partito Democratico sembra abbia abbandonato l’idea di ricostruire il campo dei progressisti, aperto al civismo, con valori condivisi e leadership scelta dal popolo del centrosinistra, per costruire, ancora una volta, le larghe intese con la destra.
Quello che si va costruendo in queste ore è l’ennesimo forzoso tentativo di porre fine alla legislatura per iniziarne un’altra nello stesso modo in cui è finita la precedente: governando con la destra, accordandosi con Berlusconi. Con Pd, destra e Grillo, tutti uniti dal calcolo di interessi particolari, incuranti del superiore interesse generale.
Questo Paese merita di più. Il popolo del centrosinistra ha diritto a scegliere un’offerta che lo rappresenti, non a dividersi tra la sinistra che vuole governare con la destra E la sinistra che punta solo alla residualità, alla testimonianza fine a se stessa, buona solo per riportare qualche esponente politico in Parlamento.
Per questo, lavoreremo a una proposta elettorale e, soprattutto, a un progetto politico che punti a ricostruire un nuovo centrosinistra. Non la sinistra del rancore o ancora peggio della restaurazione, non un’alchimia elettorale, non la somma di piccoli o grandi partiti, ma una nuova e diversa prospettiva politica, concreta e contemporanea, che dia spazio a una nuova classe dirigente, alle tante competenze che impreziosiscono il Paese, che faccia tornare ad appassionare alla politica. Che non si arrenda alle larghe intese, che guardi al domani, non alla sopravvivenza dell’oggi.
Chiediamo alle forze sociali, civiche, associative di lavorare insieme per un nuovo progetto che poggi i suoi piedi su due punti fondamentali: l’unità e la discontinuità. L’unità con un popolo: quello del centrosinistra, quello del civismo progressista, dell’ambientalismo, del cattolicesimo sociale, quello che da nord a sud sta già cambiando l’Italia ma che a livello nazionale sono anni che trova frustrati i suoi sogni.
La discontinuità. Nel metodo di governo, nel decidere insieme anziché da soli, nel confronto con le parti sociali, nell’apertura al civismo. E nel merito: la lotta alla diseguaglianza e alla corruzione, la redistribuzione del reddito, la riconversione ecologica e solidale della nostra economia, la valorizzazione della dignità del lavoro.
Unità e discontinuità nell’orizzonte di un saldo e maturo europeismo, che si discosti sia da chi coltiva l’insensato proposito di abbandonare l’ancoraggio alle istituzioni e alla moneta unica – certo da adeguare – sia da chi fa dell’Ue il capro espiatorio di tutti problemi, praticando a metà quel sentimento antieuropeista. Un progetto che si batta per un’Europa che sappia essere punto di riferimento nel mondo contro i cambiamenti climatici, le povertà sociali, l’accesso all’istruzione e contro le guerre e per la pace.
Un nuovo progetto per mettere in campo la nuova casa del centrosinistra e per una politica che torni a dare speranza.

Il documento è sottoscritto da parlamentari appartenenti a vari gruppi (Partito Democratico, Articolo1-Mdp, Centro Democratico, Campo Progressista, Misto): Franco Bordo, Luisa Bossa, Roberto Capelli, Mario Catania, Eleonora Cimbro, Paolo Corsini, Donatella Duranti, Claudio Fava, Francesco Ferrara, Nello Formisano, Filippo Fossati, Miguel Gotor, Florian Kronblicher, Luigi Manconi, Giovanna Martelli, Toni Matarrelli, Gianni Melilla, Massimo Mucchetti, Franco Monaco, Marisa Nicchi, Giorgio Piccolo, Gaetano Piepoli, Michele Piras, Luis Alberto Orellana, Michele Ragosta, Lara Ricciatti, Michela Rostan, Arcangelo Sannicandro, Bruno Tabacci, Filiberto Zaratti, Davide Zoggia

Quasi tre milioni di passivo per la Spal negli ultimi tre bilanci

Una dettagliata, interessantissima analisi di “Calcio e finanza” relativa ai bilanci della Spal: l’esercizio 2016 si è chiuso con un deficit di 1.326.104 euro, in lieve peggioramento rispetto al passivo 2015 di 1.156.483 euro. Negli ultimi tre anni la Spal ha perso complessivamente 2,9 milioni di euro, tutti ripianati dalla famiglia Colombarini. L’articolo riporta anche il dettaglio di spesa articolata voce per voce, con la specifica dei ricavi (biglietti, abbonamenti, pubblicità, contributi…) e delle uscite (cartellini e stipendi, materiali, servizi…).

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La foto è di Geppy Toglia

VIDEOINTERVISTA
“L’informazione verticale, un modello per il web”. Gessi a Telestense parla di Ferraraitalia e giornalismo

“I giornali danno le notizie ma soprattutto devono facilitare la comprensione dei fatti, aiutando i lettori a cogliere le connessioni e il significato più profondo e strutturale degli avvenimenti, andando oltre la superficie e la mera apparenza”. Ospite di Telestense, per il programma “A tu per tu con…”, Sergio Gessi, direttore di Ferraraitalia e docente a Unife di Etica della comunicazione e dell’informazione, intervistato da Dalia Bighinati spiega il modello di “informazione verticale”, funzionale a favorire l’approfondimento delle notizie, necessario per garantire al cittadino adeguate chiavi di interpretazione dei fatti. In studio parla della crisi attuale e delle prospettive del giornalismo, e racconta la propria trentennale esperienza professionale di giornalista, comunicatore e formatore.

Dalia Bighinati
L’intervista a Telestense per il programma “A tu per tu con…”
Sergio Gessi

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Sempre meno botteghe storiche in centro. Felloni: “I problemi sono la burocrazia e il credito”

Le enormi saracinesche nere abbassate sembrano due sonnolente palpebre chiuse. Nel centro cittadino l’ennesimo negozio è stato mandato ‘a riposo’: vuoi perché locato in altra sede – è il caso di Zara in via Mazzini, traslocato presso il centro commerciale ‘Il Castello’ – vuoi per definitivo abbandono, come i tanti nomi storici ferraresi, Pesaro, Mazzilli, Il Magazzinone, che hanno chiuso i loro battenti negli ultimi anni.
Dello stato di salute dei negozi del centro città parliamo con Giulio Felloni, imprenditore commerciale e titolare, insieme al fratello, della storica azienda di famiglia, dal 2012 presidente della Ascom.

Mi riceve nel suo ‘santa sanctorum’, come lo definisce lui stesso: un minuscolo ufficio pieno di carte e cimeli storici di famiglia. Gli premetto che si tratterà di un confronto sui ‘temi caldi’ riguardanti i negozi del centro che ho ricavato dalla chiacchierata con diverse persone fermate per strada, turisti e cittadini ferraresi.

Si ha l’impressione che i negozianti ferraresi si piangano addosso ma, in una città che si vuole definire ‘turistica’ sono i più restii ad aderire alle aperture domenicali e, soprattutto, a rinunciare al giorno di riposo settimanale del giovedì…
La chiusura settimanale serve per staccare dallo stress del lavoro. A differenza di quel che si pensa il negoziante il giovedì non riposa, ma ne approfitta per fare gli acquisti e gli ordini per il negozio che non riesce a fare durante la settimana. Il negozio tradizionale è l’unico che chiude il giovedì perché ha una forza lavoro più limitata rispetto ai monomarca, che possono permettersi un avvicendamento del personale. Inoltre sostengo che più importante del diritto del turista ci sia il diritto del lavoratore a potersi riposare nei giorni festivi. Se si tiene aperto qualcosa si fa sempre, ma bisogna chiedersi se ne valga la pena. Molto spesso il turista si aspetta di trovare i negozi aperti e la gente in strada, ma più per un fattore estetico che di reale bisogno. E’ necessario che in quei negozi ci entri e spenda.

Si può parlare di spopolamento dei negozi in centro per la concorrenza della grande distribuzione?
Ritengo che il centro sia ancora appetibile: è infatti difficile trovare un negozio libero da affittare. Ciò che è cambiato è il modo di operare perché a farla da padrone sono i grandi marchi e le formule in franchising, dove il rischio per l’imprenditore è più limitato. Il piccolo commerciante e i giovani fanno fatica. Non c’è più una banca del territorio e i giovani, per non parlare delle difficoltà dell’imprenditoria femminile, non riescono ad accedere al credito. Altro ostacolo, spesso insormontabile, è la burocrazia che rallenta anche valide iniziative private.
L’avvicendamento in centro dei negozi monomarca è poco significativo: l’importante è che il negozio non rimanga chiuso. Più grave è stata la chiusura, negli ultimi dieci anni, di nomi storici ferraresi: i centri cittadini sono tutti molto uniformati, omologati. Ovunque ci sono gli stessi marchi.

Sicuramente un grave problema è quello dei parcheggi…
Come presidente posso dire che Ascom si è battuta fino allo stremo perchè venisse accettato il progetto di un parcheggio sotterraneo in centro, come ormai è previsto in tutte le città turistiche. Si sarebbe trattato di un parcheggio non invasivo, disinquinante, necessario perchè sempre più persone possano usufruire del centro cittadino. Ci siamo scontrati con una mentalità inamovibile ancorata al passato. Se però Ferrara ha la velleità di voler essere una città turistica a tutti gli effetti, deve fare i conti con un cambio di mentalità, mettendo mano ai temi della viabilità e dei servizi da offrire ai turisti e ai propri cittadini. Ci sono poche persone, contrarie a prescindere a ogni innovazione, che aderiscono al motto per cui ‘non fare significa non sbagliare’.

In questo senso, quali sono i progetti della giunta comunale riguardanti il commercio?
Ci sono diversi progetti, ma il vero problema è la farraginosa macchina burocratica che rallenta tutto. In Italia si va a due velocità: l’imprenditoria vorrebbe più innovazione. Implementare la parte creditizia è fondamentale per impedire che tanti giovani vadano via.

Quale è il rapporto tra i grandi eventi cittadini e i negozianti del centro?
I grandi eventi culturali, come le mostre d’arte o il Palio, implementano di sicuro un turismo di qualità. In genere chi viene per assistere a un evento culturale è interessato poi a fare dello shopping. Nonostante i ferraresi, per carattere, siano negativi e appaiano dei detrattori nei confronti della propria città, in fondo la amano molto. Dobbiamo renderci conto del tesoro che abbiamo e dobbiamo riuscire a farlo fruttare, non sfruttare. Dovremmo puntare di più sulle nostre eccellenze enogastronomiche che tanti turisti apprezzano e ricercano.

E i Buskers?
Per i Buskers, così come per il festival di Internazionale, la gente è distratta dall’evento che calamita totalmente l’attenzione. Abbiamo provato a tenere aperti i negozi in centro ma non paga, proprio per i motivi che ho detto.

Un’ultima curiosità, che mi hanno fatto notare con insistenza diversi turisti: non si potrebbe curare di più l’arredo urbano? Molti notano la bruttezza delle fioriere di via Bersaglieri del Po usate come portacenere…
Hanno perfettamente ragione, ma noi negozianti non possiamo farci niente. Quella è competenza del Comune. Delle volte ci fanno problemi anche solo per mettere una pianta o un tappeto fuori dal negozio. Avevamo proposto anche di installare in via Mazzini, gli ombrelli ‘volanti’ bianchi e azzurri per festeggiare la promozione della Spal in serie A, ma niente…

I DIALOGHI DELLA VAGINA
Gli uomini unici

Abbiamo ammiccato, categorizzato e d’istinto ne abbiamo parlato male. Le iperboli che sono uscite hanno divertito le donne, ma infastidito alcuni uomini dai quali ho ricevuto commenti piccati. Uomini che non si sono riconosciuti nelle categorie descritte e molto critici verso quei colleghi di genere che fanno di tutto perchè noi donne troviamo abbondanti esempi di egoisti, naufraghi, anaffettivi, immaturi et similia.
Sono gli uomini dalla nostra parte, che non vogliono stare in mezzo a quelli contro cui troppo spesso sbattiamo.
Sono gli uomini che rifiutano le classificazioni e le svuotano dall’interno della categoria tanto quanto noi le riempiamo da fuori.
Sono gli uomini della partecipazione perchè vogliono sapere e conoscere senza sfuggire.
Sono gli uomini che il disimpegno ostentato lo ritengono aridità.
Sono gli uomini per i quali restare a fianco non è debolezza ma solidità.
Sono gli uomini che non si vergognano se il loro baricentro è un punto condiviso con una donna.
Sono gli uomini della stima reciproca e non dell’utilità.
Sono gli uomini che ci sono e non come un’epifania.
Questo ho trovato nei loro messaggi.
E’ stato un gioco, ma possiamo, anzi dobbiamo, tentare di andare oltre.
Nelle categorie, scherzando, abbiamo messo il peggio che abbiamo conosciuto e c’è da chiedersi perchè il primo filtro sia stato negativo, quasi iconoclasta.
Vi propongo allora, amiche lettrici, di cercare il dettaglio, l’essenza che faccia la differenza. Per tutti gli egoisti che hanno preso più di quanto abbiano dato, ne abbiamo sicuramente trovato uno che non ha voluto niente in cambio, per i troppi narcisisti persi nella propria immagine, ci sarà stato qualcuno che ha saputo guardare oltre se stesso.

Avete voglia di raccontare un altro tipo di uomini, quelli unici?

Potete inviare le vostre lettere a: parliamone.rddv@gmail.com