Skip to main content

LA SCUOLA, COME RIPARTIRE?
Una proposta alla mia città e al Sindaco

Il livello più basso che una comunità può giungere a toccare è quando la formazione delle giovani generazioni non è più una priorità. Succede se la sindrome del tramonto del futuro colpisce i suoi membri e quindi non è più necessario garantire alcuna continuità. Non si tratta di un orizzonte da fantascienza, ma di quello che sta accadendo ora, vicino a noi, forse neppure avendone consapevolezza.
Dai figli cresciuti davanti al televisore siamo giunti ai bambini e ai ragazzi istruiti vis a vis con il monitor di un pc, del tablet e dello smartphone. Qualcuno potrebbe averci provato pure gusto e considerare che la cosa non è poi così male. Non c’è da meravigliarsi, ciò che desta scandalo e preoccupazione è che tutto sia stato accettato come una ineluttabile necessità.

Ora però che l’emergenza è passata e che la fase due permette di prendere le distanze dalla paura, sarebbe buona cosa soffermarsi a riflettere e la prima preoccupazione dovrebbe essere per loro: le bambine e i bambini, i ragazzi e le ragazze della nostra comunità. Uso il termine non a caso, perché è giunto il tempo di fare comunità, di assumerci tutti insieme la responsabilità nei confronti dei nostri concittadini più giovani, di restituirgli il tempo perduto, di recuperare le esperienze e gli apprendimenti mancati.
Senza citare esempi troppo lontani nel tempo, si tratta di esercitare i compiti della politica, nel senso più nobile del termine. Di organizzarsi come comunità in vista di uno scopo: prendersi cura insieme dei nostri ragazzi. Cosa ce ne facciamo della politica e di chi la rappresenta se non è in grado di coltivare idee nuove in condizioni eccezionali? Ora è il momento di verificare chi abbiamo votato, se in consiglio comunale siedono persone dotate di intelligenza capaci di interpretare i bisogni della collettività.

Non vorrei essere presuntuoso, non è affatto detto che il mio pensiero debba essere condiviso da tutti. Ma mi sembrerebbe un atto di responsabilità da parte degli adulti della mia città non arrendersi alla prospettiva che il prossimo anno scolastico dei nostri giovani si riduca ad uno zabaglione di insegnamento in presenza e di insegnamento a distanza, a una scuola che abdica alle sue funzioni oggi fondanti di socializzazione, inclusione, confronto e partecipazione per ridursi ad un unico compito, il più tradizionale ed antico, quello trasmissivo, quello della lezione frontale, che resta tale anche se lanciata da una piattaforma web, o se utilizza i materiali messi a disposizione dalla rete e da Rai scuola. I nostri ragazzi, bambini e adolescenti, hanno bisogno di ben altro, non possiamo trascurare a lungo le necessità della loro crescita, dell’incontro con l’altro, del costruire la propria identità, del riconoscersi nel gruppo dei pari, del coltivare pensieri, ansie e fantasie. Di vivere le occasioni per superare le proprie paure, le proprie frustrazioni e insicurezze, il proprio senso di inferiorità, di conquistare la propria autonomia. Le soluzioni non sono nelle parole dell’adulto, come non sono nello schermo di un device, ognuno se le costruisce, ciascuno se le conquista a modo suo se intorno c’è una vita che si agita, capace di proporre esperienze e incontri, relazioni, scambi, conflitti e mediazioni.

E allora lo sforzo in questo momento non è il ritorno nuovamente a casa, ma l’uscire fuori, sostituendo alle mura domestiche il territorio con una alleanza tra famiglie, amministrazione scolastica e amministrazione comunale per utilizzare tutte le risorse di spazi e di persone che si possono reperire e attivare. Dovremmo fare l’abitudine a incontrare per le strade gruppi di alunni che si muovono da un luogo all’altro per far scuola, nelle biblioteche, nei musei, nelle sale cinematografiche, nei teatri, parrocchie, oratori, centri sociali, mense, palestre e piscine, negli spazi all’aperto come negli spazi chiusi, in tutti quei luoghi che possono divenire aule e laboratori o essere reinventati per accogliere ragazzi di tutte le età, che studiano in modo nuovo fuori dall’aula tradizionale, come lontani dallo schermo del computer. Anziché insegnamento a distanza, dovremmo coltivare l’insegnamento in lontananza, lontani dai luoghi tradizionali del far scuola, lontani dai ripieghi dell’emergenza, per sperimentare un modo nuovo di apprendere, che sa usare la molteplicità delle risorse umane e materiali, la versatilità del territorio come una grande aula. Le occasioni dell’incontro, del confronto, della scoperta e delle relazioni si ampliano, si moltiplicano, i bambini e le bambine, i ragazzi le ragazze, anziché essere relegati negli edifici scolastici, invadono di scuola il territorio e la vita degli adulti. La loro crescita non è più un fatto privato dei singoli ma un impegno e una responsabilità dell’intera comunità.

Si può fare? Certamente. La riforma del titolo V della Costituzione ha introdotto il principio di sussidiarietà che consente di intervenire e non essere costretti ad accettare il piatto freddo offerto dalla ministra dell’istruzione. Se non vogliamo che da settembre prossimo i nostri ragazzi riprendano la scuola con la prospettiva di un anno scolastico ripartito tra l’aula scolastica e le pareti domestiche, bisogna muoversi da subito. La soluzione ci sarebbe, basterebbe che in tempi rapidi il sindaco convocasse un tavolo tra amministrazione comunale, dirigenti scolastici e presidenti dei Consigli di Istituto, in grado di dar vita a un gruppo di lavoro per utilizzare oltre agli edifici scolastici tutto ciò che è sfruttabile del territorio: spazi, risorse, associazionismo, volontariato, adulti disponibili e progettasse un anno scolastico diverso, non solo per l’emergenza, ma anche per il futuro.

PAROLE A CAPO
Antonio Spagnuolo: “Il gioco delle mele” e altre poesie

Rubrica a cura di Gian Paolo Benini e Pier Luigi Guerrini
Da poche settimane è uscito Polveri nell’ombra, Edizioni Oedipus. Con questo volume di poesie, Antonio Spagnuolo partecipa al Premio Napoli 2020. Siamo felici per la sua collaborazione a Ferraraitalia e alla nostra rubrica.
(I Curatori)
Il gioco delle mele
Quello che adesso stringi fra le coltri
è soltanto il ricordo di follie
che rincorresti al tempo delle mele:
fantasmi
che ti ripetono gesti allucinanti.
Null’altro che illusioni aggrappate ad un sogno
rimasto indiscreto .
Lo spazio che le dita riuscivano a comporre
sgualciva l’orlo dei quaderni segreti.
Nel lampo che lo sguardo franava al passo
e ricamava le fantasie dell’orizzonte
tu eri la carne da mordere,
colorata per vaneggiamenti tutto svaniva inesorabilmente
tra le carte ed il video, in abbandono,
trattenendo le mani sul bordo delle vene
che scorrevano tra i minuti dell’ignoto.
Ecco i miei sogni radunati alla sera
pronti a sconvolgere il vuoto dei muscoli.
Pronti a rigare i margini del cielo
con le vocali di fuoco che disgregano il senso.
A volte torna, a volte riprende le parole
ed una luce forsennata
come il pensiero di colpa o di fuga
rinverdisce la pelle, nel passo liquefatto.
Non ha più senso la bocca inaridita
dove parlava il petalo a confondere
lo sciogliersi dell’onda.
All’improvviso ti svegli e chiedi una carezza
crogiolo di future inesattezze
punto e daccapo nel rombo di un naufragio.
Accade
E’ sempre la prima volta quando rincorro il tuo labbro
tra le nebbie del sogno , come per colpire, e punire
un incontro clandestino nelle spire del vento.
Incastonato buio recito il monologo
sfidando gli specchi e a goccia a goccia
confondo il sudore incandescente nelle parole incise alle pareti.
Il dubbio è nella storia ormai disfatta,
frammentata da scaglie ed irrequieta nel rivolo
di un arcobaleno indiscreto,
quasi lo spazio aperto a declinare nuove illusioni
nella tenue ragnatela che ti avvolge.
L’intarsio custode di esplosioni ritorna vertigine.
Ancora tu
Ancora tu riduci all’impotenza
vertiginosamente dilagando
tra le fauci affamate dell’inferno.
Dove c’è dato aprire una parola?
Dove portare il corpo che si estranea
nel lucore di morte, se non conosce sussulti?
Potesse adagiarsi l’illusione candida
fra gli alberi e gli uccelli, fra le strade deserte,
il respiro del vento sospingerebbe
il cervello che dorme nel torpore
a nuovi insulti, a leghe inaspettate
in cerca di vecchie musiche tra i versi.
Ora possiedi le metropoli stranite
a rinnovar l’infamia dell’insulto,
le lacrime che ripetono paure,
lo stupore di segrete solitudini,
trascinando galassie nei viali.
Impenetrabile alle stelle stringi
sanguinanti dita a radunare suoni
tra le incredibili lesioni della mente.
E’ l’alchimia della clessidra
che riduce frantumi del mio inconscio.
Antonio Spagnuolo è nato a Napoli il 21 luglio 1931. Ha fondato e diretto negli anni ’80 la rivista Prospettive culturali e, dal 1991 al 2006, la collana L’assedio della poesia. Presente in numerose mostre di poesia visiva nazionali e internazionali, inserito in molte antologie, collabora a periodici e riviste di varia cultura. Nel dicembre 2019, Lettera in versi, newsletter di poesie di BombaCarta, gli ha dedicato un numero monografico sulle sue ultime produzioni. Attualmente dirige la collana Le parole della Sybilla per Kairòs editore e la rassegna poetrydream
La rubrica di poesia Parole a capo esce tutti i giovedi su Ferraraitalia.
Per leggere i numeri precedenti clicca [Qui]

I DIALOGHI DELLA VAGINA
Forza madre

Fare il saldo di un rapporto e svelare con la lucidità di un attimo tutto il sommerso. Un lettore e una giovane lettrice parlano di “forza madre”, razionalità e disincanto.

MASCHERE E RIGHELLI

Cara Riccarda,
le maschere sono l’ordinario e cadono solo per eventi traumatici che, se considerati opportunità, permettono di cambiare atteggiamento. La riga ho potuto tracciarla solo quando è intervenuto un breve momento di disillusione. Mentre siamo accecati piacevolmente dall’amore, non siamo in grado di tirare righe. Spesso sono i comportamenti dell’altro che ci danno occasione di riflettere più lucidamente e fare di conto, con la razionalità che i conti richiedono.
Paolo

Caro Paolo,
poi magari capita anche che il saldo sia positivo. Ma il solo fatto di mettersi lì e allineare tutto, richiede la lucidità di accostare l’illusione alla disillusione, la parte gradita a quella meno. A me è successo di scavare solchi, un tratto di riga non sarebbe bastato.
Riccarda

DICIASSETTE ANNI E NON SENTIRLI

Ciao Riccarda,
quanto ho letto rispecchia il mio punto di vista sul termine donna. Mi interesso particolarmente di svariate tematiche perché nel mio piccolo sono attivista di tante campagne di sensibilizzazione anche solo attraverso i social. Scopro molto diffuso il fattore “inizialmente la donna perdona e successivamente dice addio per sempre”. Noi donne, anche forse spesso abituate dalla società maschilista in cui viviamo, ne facciamo passare tante alle persone. Personalmente io desidero avere molto rispetto ed è difficile che perdoni un grosso errore, però riscopro in molte mie coetanee il perdono anche di gravi maltrattamenti psicologici e in alcuni casi fisici da parte dei fidanzati. Inizialmente pensano tutte “non posso vivere senza di lui” senza rendersi conto della loro forza madre, fiera di indipendenza che potrebbe smuovere interi paesi. Tutto questo è perché si sottovalutano e vengono sottovalutate, non si pensano abbastanza per combattere la mancanza e ricominciare da zero anche lavorando sulla propria personalità. In un secondo momento, in una fase che arriva tardi, si rendono conto e capiscono che alla fine potevano farcela benissimo, e che dovevano solo trovare il coraggio di abbandonare la loro sottomessa monotonia per iniziare una nuova avventura su un percorso personale.
Giulia, 17 anni

Cara Giulia,
hai diciassette anni e già padrona di consapevolezze che spesso donne mature nemmeno raggiungono. Complimenti, usala quella ‘forza madre’ di cui parli e sicuramente possiedi, ti sarà genitrice di molto, non essere tirchia con lei e ti ripagherà con abbondanza.
Riccarda

Potete scrivere a parliamone.rddv@gmail.com

Il PICCOLO IMPERATORE PENTITO
(e della differenza tra bancari e banchieri)

di Alice Ferraresi

Durante il lock-down i bancari non hanno mai smesso di lavorare, come i sanitari. Solo che i sanitari sono eroi (iperbole pelosa, peraltro), mentre i bancari notoriamente sono ladri e, da un mese, anche affamatori del popolo.

Gli strali più velenosi contro i bancari li lancia, dal suo blog ospitato da un quotidiano (Il Fatto Quotidiano, ndr.) che talvolta frana verso la demagogia, tale Vincenzo Imperatore,  “consulente di direzione (quale direzione, non è dato sapere, nda,), giornalista e saggista”. L’unica certezza sui suoi titoli ed abilitazioni in realtà riguarda il suo passato in banca: è stato per molti anni manager di un grande gruppo bancario.  Imperatore, a proposito delle lungaggini e dei problemi relativi al ‘decreto liquidità’, scrive che i bancari “godono dei loro deliri di onnipotenza”, si dilettano in “risposte evasive e rimpalli di responsabilità”, godono della loro “arroganza relazionale” ed hanno in corpo un “virus culturale”  per cui riescono a “sentire appagati i propri sensi di fronte ad un cliente insoddisfatto”. Le citazioni sono testuali. Non c’è una sola parola sui banchieri. [leggere qui il blog del Fatto]

Usando le debite proporzioni, sarebbe come accusare gli operai dell’Eternit dei tumori che colpiscono la popolazione di Casale Monferrato. Per fortuna c’è stato un giudice che nel caso specifico, invece, ha ritenuto di condannare l’imprenditore.

Va comunque detto che Imperatore è coerente: lui ce l ‘ha sempre avuta a morte con i bancari. Ce l’aveva con loro – parole tratte dalle sue interviste, reperibili sul web – quando li convocava alle sette del mattino in ufficio e diceva loro di fare profitto, “fregandosene della clientela”. La spietata disinvoltura che pretendeva dai suoi sottoposti è quella che gli ha permesso – sempre parole sue – “i benefit, gli incentivi, i viaggi gratis, le giornate nelle migliori Spa, i collier Damiani per le mogli”. Adesso fa il pentito e scrive libercoli che, tra l’altro, hanno la grave colpa di scimmiottare frasi di Pasolini (“Io so e ho le prove” si intitola uno dei suoi pamphlet).

Con dei Vincenzo Imperatore, i bancari ci devono fare i conti tutti i giorni. Sono gli Imperatore delle varie banche che rendono ansiogeno, oppressivo, angosciante il lavoro dei bancari che vogliono lavorare perbene, avendo il cliente come fine e non come mezzo per fare avere collier alle mogli del capo. Quelli come lui non sono la soluzione, sono parte del problema.  E’ beffardo che i lavoratori bancari si debbano far dare lezioni di moralità da uno che prima vessava collaboratori e clienti per il suo lucro, e adesso fa il manager pentito per il suo lucro, manco fosse Edward Snowden o Julian Assange. Non risulta abbia restituito ai suoi clienti i collier, i premi da 30.000 euro, le giornate nelle Spa. Contribuire alla degenerazione di un sistema e raccontarlo a pagamento non gli consente di rifarsi una verginità a spese dei lavoratori.

In copertina: elaborazione grafica di Carlo Tassi

Perché le Biblioteche del Comune di Ferrara non hanno ancora riaperto

Nonostante il Covit, maturano le prime ciliegie. A Ferrara, nella Ferrara sgovernata dalla Lega, dal Sindaco Fabbri e dal suo Luogotenente in Capo Naomo Lodi, le vergogne sono come le ciliegie: una tira l’altra. Tralascio l’elenco (i ferraresi hanno buona memoria) e vengo direttamente all’ultima vergogna. “Ferrara rimane l’unica città capoluogo della Regione Emilia-Romagna con le biblioteche ancora chiuse”, lo denunciano i sindacati (vedi più sotto) dopo un infruttuoso incontro con i rappresentanti della Giunta di Ferrara. Dunque, la cinquantina di operatori sono pronti a riprendere servizio, pronti cioè a dare un servizio ai lettori e agli utenti, ma il Comune non ha predisposto le minime misure necessarie per evitare pericoli di contagio e non si è  fatta carico di fornire i normalissimi e altrettanto necessari dispositivi (leggi guanti e mascherine monouso). 
Non ci voleva  tanto. E c’era tutto il tempo per farlo. Così hanno fatto a Bologna, Ravenna e Reggio Emilia. E così hanno fatto altri comuni della provincia di Ferrara che la loro biblioteca pubblica l’hanno riaperta: il 18 maggio (cioè ieri: ‘giornata nazionale delle riaperture’), o addirittura la settimana scorsa, come a Portomaggiore o in altri paesi. Dunque, quando riapriranno le biblioteche di Ferrara, ex città d’arte e di cultura? Per ora non è dato sapere. Quel che è invece è da aspettarsi è una prossima ciliegia, una nuova vergogna. I ferraresi sono avvertiti.
(Francesco Monini)

 

Da: FP CGIL, FP CISL,FP UIL FERRARA

A proposito del fatto che le biblioteche del Comune di Ferrara non sono ancora riaperte, ci interessa precisare quanto segue: – avevamo già posto la questione della riapertura delle biblioteche comunali durante un incontro sindacale tenuto in data 6 maggio e ci è stato risposto da parte del Direttore generale dell’Amministrazione Comunale che le biblioteche stavano chiuse fino al 18 maggio, perché ciò era quanto previsto dal DPCM del 26 aprile, al di là dell’ordinanza regionale che lo consentiva anche prima, a partire dal 4 maggio; – la posizione da noi espressa in quell’incontro è stata quella di aprire in tempi rapidi tutte le biblioteche comunali, ovviamente in condizioni di tutela della salute e della sicurezza sia di chi lavora sia degli utenti; – siamo tornati sulla questione della riapertura delle biblioteche in un successivo incontro il 15 maggio, durante il quale è emerso che non era fissata una data per la riapertura e che soprattutto non erano ancora disponibili i meccanismi di protezione individuale per le lavoratrici e gli utenti. Successivamente è stato fissato un nuovo incontro tra Amministrazione Comunale e OO.SS.- RSU del Comune per la tarda mattinata di giovedì 21 maggio per esaminare tutte le problematiche inerenti la riapertura delle biblioteche.
Da parte nostra, come abbiamo fatto presente nel corso degli incontri suddetti, ribadiamo il nostro giudizio negativo sulle responsabilità dell’Amministrazione comunale, che non ha affrontato in modi e tempi utili il tema della riapertura delle biblioteche, tant’è che oggi Ferrara rimane l’unico capoluogo di provincia della Regione Emilia-Romagna che vede le proprie biblioteche chiuse.
Ci attendiamo che, nel corso del prossimo incontro del 21 maggio, tutte le questioni vengano risolte positivamente per dare corso rapidamente alla riapertura delle biblioteche, a partire dalla dotazione dei meccanismi di protezione della salute e sicurezza, ma anche degli altri punti non ancora chiariti, in particolare relativi al fatto che riapriano tutte le biblioteche presenti nel territorio comunale e che arrivino risposte sulle carenze occupazionali che il servizio continua a registrare. In mancanza di ciò, dovremmo concludere che perdura una forte e inaccettabile sottovalutazione da parte dell’Amministrazione comunale dell’importanza delle biblioteche comunali e continuare, nelle forme adeguate, la nostra iniziativa perché, invece, ci sia un giusto riconoscimento e valorizzazione del ruolo che esse svolgono nella città.

PER CERTI VERSI
A una donna

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio, all’interno della sezione ‘Sestante: letture e narrazioni per orientarsi’

A UNA DONNA

Se tu fossi una città
saresti Medicina
Perché hai sofferto e soffri
Le tante crepe del tempo andato
e di oggi che getta
le sue nere nuvole
sul tempo a venire
Saresti Medicina
Perché ci sono tornato come si torna sempre
a ciò che si ama
E mi è parso
di cambiare vita
Dopo mesi secoli
di solitudine
Mi è parso di vedere
il verde più verde
Il rosso dei portici
più rosso
Il giallo come una trafila
di luna
Un brulichio d’oro
Come nei tuoi occhi
I petali del cielo
Che volavano sospesi
Erano mesi
Si anni
Che non cambiavo vita
Sotto le tue ali
E la luna grande
Grande Diva
Rossa di emozione
Il mio viso a rivederti
Più che mai viva
Che guarita

PRESTO DI MATTINA
Pentecoste e il ‘rigioco della speranza’

Si entra nel Regno di Dio giocando! Penso che si possa intendere anche così l’ammonimento di Gesù quando ci dice che “Se non diventeremo come bambini, non entreremo nel Regno dei Cieli”. In che cosa infatti sono da imitare i bambini? Perché sono più grandi e degni del Regno di Dio? Perché sono inclini alla ricezione, sono disponibili a lasciarsi coinvolgere, a mettersi in gioco, a immedesimarsi, interpretare, trattenere in sé stessi, come una ragnatela, un radar per intercettare il reale che s’imprime in loro dal di fuori. Essi fanno così discernimento, apprendono, rielaborano, come un caleidoscopio, e ricreano la realtà ‘ri-esprimendola’ con il movimento del loro cuore di sistole e diastole, interiorizzazione ed estroversione; vengono impressi e si esprimono a loro volta. In una parola, ‘irradiano perché si sono lasciati irradiare’.
Allo stesso modo, i credenti che si mettono in gioco e si lasciano prendere dal Vangelo della gioia, ‘mollano gli ormeggi’ delle loro resistenze e prendono il largo. L’annuncio del Regno non rimbalza loro addosso come fossero roccia refrattaria, ma essi si fanno porosi e permeabili al Vangelo, come rocce ospitali ad acque sorgive, che li impregna e risgorga in loro rendendoli conca e canale dell’acqua viva dello Spirito, portatori di significati nuovi per gli altri. Occorre allora ri-diventare discepoli tramite la ‘scienza’ dei bambini: ovvero attraverso quel esercizio vitale dello spirito che è il gioco. Non per finta, intendo. Ma con la serietà del bambino che s’immerge nella propria attività, che vi ‘mette tutto se stesso’, senza risparmiarsi, con tutto il proprio corpo, intrecciando nella gestualità pensieri e azioni, facendo riemergere e rigiocando tutto quanto si è impresso in lui della realtà, che egli ha colto e accolto dall’esterno.

È lo stesso processo di assimilazione creativa che genera i loro sogni. Ne nascono fantasie, immagini, invenzioni che i bambini poi rigiocano al di fuori, sparpagliandoli, a testimonianza dello spirito che li abita. Quell’atteggiamento cui penso alludesse Gesù quando disse che “ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13,52). Così, in fondo, è stato anche del ‘sogno di Dio‘, rigiocato prima da Gesù con il suo annuncio e la sua vita e poi nuovamente rimesso in gioco dal suo Spirito consolatore a Pentecoste. Tanto da far dire a Paolo, l’apostolo delle genti, impressionato dalla luce del Risorto sulla via di Damasco e poi divenuto “strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli” (Atti 9, 15): “Sia benedetto Dio, il quale ci consola in ogni tribolazione” (2 Cor 1, 3.4).
Tutto ciò mi richiama alla mente il sogno di Dio narrato dal profeta Zaccaria, il quale, nelle sue visioni, si prefigura il ricostituirsi del popolo di Dio disperso nell’esilio babilonese. In queste profezie è come se Dio sedesse, sconsolato, sui gradini del tempio di fronte a una città deserta, svuotata dei suoi abitanti e sprofondata nel silenzio: e lì Egli sogna la sua città com’era prima, brulicante di gente, di anziani e bambini schiamazzanti nelle piazze. Finché, ridestandosi da quest’immagine oramai perduta, promette a se stesso che “non può finire così; non può restare solo un bel ricordo; io sono un Dio fedele, lento all’ira e grande nell’amore; nulla mi può impedire per questo amore di ristabilire le sorti, di benedire ancora il mio popolo con quella benedizione capace di consolare e rinnovare l’alleanza”.
Così dice il Signore delle costellazioni: vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme, ognuno con il bastone in mano per la loro longevità. Le piazze della città formicoleranno di fanciulli e di fanciulle, che giocheranno sulle sue piazze. Così dice il Signore delle costellazioni: Se questo sembra impossibile agli occhi del resto di questo popolo in quei giorni, sarà forse impossibile anche ai miei occhi?” (Zac 8, 4-6).

Le letture bibliche di questa VI domenica dopo Pasqua, con l’intreccio di verbi che le caratterizza, sono un invito alla ricezione e al rigioco: esse richiamano quella capacità di agire, di fare passi incontro, anche quando il movimento sembra partire da altri. Non si tratta infatti di replicare, ma di ricreare in modo nuovo: perché ‘ricevere‘ e ‘rilanciare‘ vanno all’unisono, tanto nel gioco quanto nella vita. L’intensità contenuta nell’azione ricevuta trova maggior slancio e ardore in chi, facendosi parte attiva della relazione, rilancia quanto ha ricevuto. Prima lettura: a coloro che “erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù, i discepoli imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo” (At 8,17); seconda lettura: “Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza” (1Pt 3,15-16); vangelo: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre” (Gv 14, 15). Osservare (ob-servare) significa tenere gli occhi addosso, spalla a spalla, l’uno per l’altro; prendersi cura dell’altro, custodendo il comando dell’amore nelle relazioni e nelle proprie scelte. Aiutati in ciò dal Consolatore, Colui che resta e, continuando la presenza e l’opera di Gesù, insegna a fare memoria in noi della benedizione e della consolazione.

Maestri di questo stile di vita, allenatori di questo gioco in cui siamo chiamati a rilanciare l’amore ricevuto, sono Paolo e Barnaba (i.e. figlio della consolazione): “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione! Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio” (2Cor 1,4). Un intreccio di relazioni quanto mai in sintonia con questo tempo dopo la Pasqua: un tempo unico di celebrazione e di vita incentrato sui suoi tre fuochi: il Figlio, il Padre, lo Spirito. Un’unica universale benedizione si sprigiona dalla risurrezione del Cristo dai morti, ascende con Gesù al Padre, per poi discendere con l’invio dello Spirito sui discepoli. Un tutt’uno, dunque, ben presente ai Padri della chiesa, per i quali le celebrazioni dopo la Pasqua non si distinguevano da essa, tanto da considerare i cinquanta giorni che disgiungono la Risurrezione dalla Pentecoste un unico grande giorno pasquale. Di qui il segno liturgico che, anche oggi, ci ricorda questa inscindibile connessione unificante: il Cero Pasquale sempre acceso, nell’unico tempo intervallato da cinquanta notti, che ci separa dall’arrivo dello Spirto.

Così, protesi al compimento della Pasqua che avverrà a Pentecoste, sulle orme del Risorto, proviamo questo esercizio spirituale che è il ‘rigioco della speranza‘. Si è ricevuto speranza: si rilancia sperando per tutti. Benedetti, si risponde benedicendo. Consolati, si reinfonde consolazione. Un po’ come nella storia di Rut (=amica), la straniera che, pur nella sua vedovanza, non rinuncia a farsi carico di Noemi, la suocera, e decide, per il bene ricevuto, di restarle accanto, ritornando con lei a Betlemme, la casa del pane. Noemi (=delizia) cambiato in Mara, (=amareggiata) potrà alla fine dire, non solo di Dio e di Booz, il suo parente che sposerà la nuora, ma anche di Ruth la straniera: “Benedetto colui che non rinuncia alla propria bontà” (Rt 2,20). Del resto, chi è, veramente, colui che è benedetto? Chi non rinuncia a benedire. E chi il consolato? Chi non rinuncia a consolare. Non stupisce allora che il termine ‘bontà’ sia reso in ebraico con hesed, fedeltà, come amore che scaturisce da viscere di compassione materne. Quell’amore Consolatore che a Pentecoste scenderà con l’impetuosità del vento e si dividerà in tante lingue come di fuoco; e posandosi sui discepoli infonderà loro vita, così da generare una ‘moltitudine di consolatori’, composta da tutti coloro che, come Lui, non rinunceranno a ‘stare vicino’ (parakaléin) e a ‘lasciarsi coinvolgere quando chiamati’ (ad-vocati). Tra essi, v’è sicuramente don Alessandro, che prima di ricoverarsi in ospedale scriveva ai suoi parrocchiani di Malborghetto invitandoli a non rinunciare “all’occasione di ritrovare uno sguardo di amore vero, sincero, buono verso il nostro prossimo… ‒ e continuava ‒ il nostro prossimo”.

Pensavo in questi giorni a una riflessione di Don Milani che sento molto mia. Più o meno era così: “Caro Signore, a voler essere sincero, mi rendo conto di averti amato e voluto un bene immenso, ma è molto di più quello che ho avuto per la mia gente e i miei ragazzi. E mi consola la certezza che Tu non dai peso a questi dettagli, che valuti come sciocchezze, perché il tuo sguardo sa dilatarsi e tutto comprendere, tutto discernere, in niente e in nulla si lascia sporcare dai sentimenti feriti, ma sa gioire dove, anche senza saperlo, l’amore lo accoglie, lo comprende, lo serve, lo cura“. E non dimentico, tra la moltitudine di consolatori, neppure il mio parroco don Piero e la sua consolante benedizione. Ricordo che, una mattina in ospedale, avevamo parlato insieme, a tratti. Don Piero faceva fatica a esprimersi, ma io avevo continuato a incalzarlo con alcune domande sul modo in cui comprendere una riforma nella chiesa. E lui, che era di poche parole, mi rispose che il cristianesimo doveva umanizzarsi, volgersi verso l’uomo, perché è attraverso gli uomini che Dio si mostra e vuole essere incontrato da noi. È la strada di un ‘umanesimo essenziale’; poi aggiunse: “La chiesa deve centralizzarsi», centrarsi” ‒ si corresse – e io gli chiesi: “In che senso?”. Rispose: “il centro è Cristo“. Quella volta, la penultima che lo vidi tra noi, gli chiesi di benedirmi. Lo fece con mano tremante e poi, in silenzio, toccò stranamente le cose attorno a lui: il suo braccio, il mio, la coperta, indicò gli oggetti sul comodino, poi sollevò lo sguardo verso di me e, dopo un momento di incomprensione, capii il linguaggio dei suoi occhi, che sembrava mi dicessero: “Ma come, don Andrea, dopo tanto tempo che ci conosciamo non hai ancora capito che già tutto è benedetto? In ogni cosa è racchiusa la benedizione di Dio, perché ogni cosa è suo dono, perché Lui è in tutte le cose”.

La rubrica di don Andrea Zerbini Presto di mattina torna tutti i sabati su Ferraraitalia.
Per leggere i precedenti interventi clicca [Qui]

Al cantón fraréś
Vito Cavallini: l’è difìzil scrìvar poeśìi in fraréś.

Vito Cavallini ha scritto una storia del nostro territorio, in endecasillabi e ottave, ricca di episodi e personaggi storici. Ne tratteremo prossimamente in questa rubrica. Nella pagina odierna l’autore considera, in tono scherzoso, la difficoltà del poetare in dialetto, essendo il ferrarese ricco di espressioni asciutte, brusche, quasi sgarbate, e non armoniose come vorrebbe una certa poesia.
(Il curatore Ciarìn)

Dó paròll ad preàmbul

Cara la mié źént, avì doηca da savér che scrìvar in fraréś l’è un cvèl piutòst difizilòt, spezialmént in poeśia: parché la poeśia l’ha da èsar armonia, e iηvéz al nòstar dialèt, tut piη ad cich e ciòch, al n’è pròpi briśa armonióś.
Elora bisogna zarcàr ill paròll filanti, coη purasà vocàll, in mod ch’ill pósa dar un póch ad musichina ai vèrs dal pòar poeta.
Agh è iηvéz di dialèt che in fat ad musicalità j’è pròpi di azidént, e j’è al veneziàη e al napulitàη.
A vrév spiegàram coη n’eśempi. A tgnusén tuti quant la prima strofa, alméη la prima, dla poeśia “A Marechiare” ad Salvatore Di Giacomo, un sgnór poeta da dialèt più in grand che as pósa truvàr. L’è na poesia ch’l’è servì aηch par far una bèla caηzón, ècla:

“Quanno spónta la luna a Marechiare
pure li pisce nce fanno all’ammore,
se revóteno l’onne de lu mare,
pè la priezza càgneno culore,
quanno spònta la luna a Marechiare… “

Bén, èco adès la traduzión in fraréś; a vòj dir in dialèt fraréś, e aηch ambientàda dai nòstar cò. A santirì che dśàstar:

“Quand a spunta la luna sóra Cmać
anch i zévul is mét a far l’amor,
l’aqua d’val la s’arvòlta int i tramàć,
par l’alegria la cambia iηfiη culór,
quand a spunta la luna sóra Cmać… “

Iv santì che roba? E bòna che aη ho briśa tradót “quand a spunta la luna a Magnavaca”, ch’l’è pròpi al sit fraréś curispundént a Marechiaro. Eco, vdiv, quel ch’jéra comozión iη napulitàη, l’è dvantà roba da rìdar, chì da nù. Al géva mi, l’è difìzil scrìvar poeśìi iη fraréś.
di Vito Cavallini

Due parole di preambolo
Cara la mia gente, dovete dunque sapere che scrivere in ferrarese è una cosa piuttosto difficile, specialmente in poesia: perché la poesia deve essere armonia, e invece il nostro dialetto, tutto pieno di suoni duri, non è per niente armonioso.
Allora bisogna cercare le parole scorrevoli, con molte vocali, in modo che possano dare un po’ di musichina ai versi del povero poeta.
Ci sono invece dialetti che in fatto di musicalità sono proprio dei portenti, e sono il veneziano e il napoletano.
Vorrei spiegarmi con un esempio. Conosciamo tutti quanti la prima strofa, almeno la prima, della poesia “A Marechiare” di Salvatore Di Giacomo, un signor poeta dialettale più grande che si possa trovare. È una poesia che è servita anche per fare una bella canzone, eccola:

“Quanno spónta la luna a Marechiare
pure li pisce nce fanno all’ammore,
se revóteno l’onne de lu mare,
pè la priezza càgneno culore,
quanno spònta la luna a Marechiare… “

Bene, ecco adesso la traduzione in ferrarese; voglio dire in dialetto ferrarese, e anche ambientata dalle nostre parti. Sentirete che disastro:

“Quando spunta la luna sopra Comacchio
anche i cefali si mettono a far l’amore.
l’acqua di valle si rigira nei tramagli,
per l’allegria cambia perfino colore,
quando spunta la luna sopra Comacchio… “

Avete sentito che roba? E buono che non ho tradotto “Quando spunta la luna a Magnavacca” che è proprio il sito ferrarese corrispondente a Marechiaro. Ecco, vedete, quella che era commozione in napoletano, è diventata roba da ridere, qui da noi. Lo dicevo, è difficile scrivere poesie in ferrarese.

Tratto da: Vito Cavallini, Stòria dal mié paéś e tutte le poesie, Ferrara, Cartografica, 2007. Con la collaborazione di Lorenzo Malservigi, Alberto Ridolfi, Leopoldo Santini.

Vittore Cavallini (Portomaggiore 1905 – Ferrara 1983)
Avvocato, giudice capo Conciliatore. Primo Sindaco di Portomaggiore, dopo la Liberazione. Direttore del periodico L’idea Socialista. Presidente della CARIFE dal 1960 al 1962. Socio fondatore de “Al Tréb dal Tridèl” Cenacolo di cultura dialettale ferrarese. Autore, fra l’altro, di A trebbo col duca d’Este (1978) repertorio di parole insolite o difficili del nostro dialetto.

 

Al cantóη fraréś: testi di ieri e di oggi in dialetto ferrarese, la rubrica curata da Ciarin per Ferraraitalia, esce regolarmente ogni venerdì.
Per leggere tutte le puntate clicca [Qui]

Cover: foto di Beniamino Marino: Comacchio, Santuario di Santa Maria in Aula Regia, meglio conosciuto come Chiesa dei Cappuccini.

CONTRO VERSO / Shoah Party

Nel 2019, in 17 province, 25 ragazzi in buona parte minorenni hanno inventato e divulgato una chat inneggiante all’odio e al sesso. L’hanno intitolata “Shoah Party”.

Filastrocca dello Shoah Party

Faremo una gran festa
Filastrocca dello Shoah Party
con quello che ci resta.
Si chiamerà Shoah.
Vedrai che piacerà.

Ti muove nel profondo
è la più antica del mondo.
L’odio scava, e stupisce
per come ci riunisce.

Ci sarà una gran torta
stravista e stracotta.
Avrà per ingredienti
pianto e stridor di denti.

Perché si sa, i diversi
sono tutti perversi
a starli ad ascoltare
rischi di non odiare.

Pensa agli handicappati
ai negri, ai neonati.
Pensa a tutte le schiave:
che tacciano, da brave!

Pensa certo agli ebrei.
Stimarli? Non potrei.
Come coi musulmani
mi prudono le mani.

Ti sto seduto accanto.
Che c’è? Ti vedo stanco.
Hai forse il rifiuto
di quello che hai goduto?
Pensa dunque a te stesso.
Vuoi essere diverso?
Ti consiglio di no
perché ti annienterò.

La notizia è emersa nell’ottobre 2019 quando i promotori dello “Shoah Party” sono stati messi sotto indagine dalla Procura di Siena. Nella chat si scambiavano immagini, battute, video che potremmo definire pornografici per i contenuti sessuali molto espliciti, anche pedofili, e che potremmo considerare ugualmente pornografici per i contenuti brutalmente violenti e discriminatori verso ebrei, musulmani, disabili, immigrati…

CONTRO VERSO, la rubrica delle cantilene indisponenti, le filastrocche con rime bambine rivolte al pubblico adulto, tornano su Ferraraitalia tutti i venerdi. Per vederle tutte clicca [Qui]

PER RICORDARE GIORGIO BASSANI

Nel ventennale della scomparsa di Giorgio Bassani serve ancora oggi capire come ogni suo libro che comporrà quel testo definitivo chiamato Il romanzo di Ferrara vada letto, adoperandosi a riconoscere oggetti, pitture, luoghi che l’autore incontrò nella sua esistenza e che saranno trasformati in quell’universo autoriale, di cui lo scrittore è l’unico creatore e l’unico responsabile. Bassani fu sempre molto attento a tenere distinti i piani della creazione artistica e ritrovare i segni del ‘reale’ nella scrittura e oltre, che permettano di concludere e interpretare questa creazione. Così come Micòl non può essere la copia di qualche giovane donna incontrata nella sua avventura esistenziale, ma tutte queste servono a creare la vera Micòl, quella che solum è sua e di cui può dirsi il creatore. Così l’esistenza offre la capacità necessaria  a ‘scegliere’ e a integrare il modello vivo nella mente dell’autore.

Un oggetto che nella sua necessaria consistenza diventa integrante al suo lavoro di scrittore è la sua macchina da scrivere, che lo seguì in tutta la sua vita e che generosamente fu donata ad Anna Ravenna dalla segretaria di Bassani alla sua morte ed ora è visibile al Centro studi bassaniani di Ferrara. Nel romanzo Il giardino dei Finzi-Contini il protagonista si è trasferito nello studio del professor Ermanno Finzi Contini, generosamente messogli a disposizione dopo che è stato cacciato per le leggi razziali dalla Biblioteca Ariostea:
“Cosa combini? Stai già ricopiando? – gridò allegro. Mi raggiunse e volle vedere la macchina. Si trattava di una portatile italiana, una Littoria, che mio padre mi aveva regalato qualche anno prima, quando avevo superato l’esame di maturità. Il nome della marca non provocò il suo sorriso come avevo temuto. Anzi. Constatando che ‘anche’ in Italia si producessero ormai delle macchine da scrivere che, come la mia avevano l’aria di funzionare alla perfezione, parve compiacersene.” ( GIORGIO BASSANI, Il giardino dei Finzi-Contini in Opere a cura e con un saggio di Roberto Cotroneo, Mondadori, I Meridiani, Milano 1998, pp.494-495.)

foto di Lorenzo Caruso

Storie di Jor.
Nel Giardino si legge:
“Di là dal muro si levò a questo punto un latrato greve e corto, un po’ rauco. Micòl girò il capo, gettando dietro la spalla sinistra un’occhiata piena di noia e insieme d’affetto. Fece una boccaccia al cane, quindi tornò a guardare dalla mia parte.
– Uffa! – sbuffò calma . – E’ Jor.-
-Di che razza è? –
-E’ un danese. Ha un anno soltanto, ma pesa quasi un quintale. Mi tiene sempre dietro. Io spesso cerco di confondere le mie tracce, ma lui, dopo un poco, sta pur sicuro che mi ritrova. E’ ‘terribile’ ” (Il giardino dei Finzi-Contini in op.cit, p.356).
Si presenta così uno dei personaggi principali della storia di Micòl che fedelmente accompagna la padrona e il narratore alla scoperta dell’universo segreto del giardino e della magna domus.
La presentazione, che si conclude con quel ‘terribile’, proprio del finzi-continico di Micòl, si riallaccia nella realtà a una serie di cani posseduti, amati, spartiti tra la tribù dei Bassani e soprattutto allevati, protetti e difesi da Dora, la madre di Paolo, Jenny e Giorgio. Le storie di questi pelosi, raccontatami con le fotografie qui accluse da Dora Liscia che qui ringrazio, si estendono nel tempo e non contemplano solo i cani Bassani, ma si ampliano a una possibile altra discendenza, quella esibita dal ramo Magrini della famiglia di Andrea Pesaro, che esibiscono anche loro uno Jor. L’unica differenza la I iniziale al posto della J.

Ferrara, casa Magrini. Albertina Bassani Magrini, Silvio Magrini, Andrea Pesaro e Renata Pesaro e il cane Ior

Per la famiglia Bassani fondamentale fu il rapporto con Lulù, un fox- terrier fotografato qui in braccio a Paolo; poi nella seconda foto assieme all’elegantissima madre dei fratelli Bassani e ancora lungo un canale. Dori Liscia racconta che alla partenza di Ferrara Lulù, già vecchio, non voleva abbandonare la casa di via Cisterna del Follo, ma un provvidenziale malore lo fece morire prima del trasloco. Un’altra Lulù entrò poi nella vita dei Bassani, questa voluta da Jenny, che la trovò incatenata presso un contadino nella campagna toscana. Il marito, dottor Liscia, pronunciò solennemente che mai un cane sarebbe entrato in casa sua, ma quando la moglie ritornò con Lulù il giorno dopo dormivano nel letto assieme e, come asserisce la figlia, per tutto il tempo che visse il padre stava sulla punta della seggiola per non disturbare la reginetta di casa.
Altri cani vennero a rendere più lieta la vita della famiglia: dal bassotto Mimì, al barboncino Kiki e ai meravigliosi afgani del fratello Paolo. Quando nella vecchiaia della madre lo scrittore veniva a trovarla a Ferrara, sempre la trovava con un cane in grembo, finché s’accorsero che quel cagnolino aveva perso quasi completamente il pelo e la Jenny di nascosto lo sostituì con un altro.
Dei cani direttamente posseduti dallo scrittore poco si sa ma è fondamentale capire come la vita di tanti pelosi reali crearono l’immagine di Jor il compagno fedele della castellana del mitico giardino.

Lulù
Lulù

Champs (afgano biondo) Kushka ( afgano nero)
Champs e Kiki

Altri luoghi vissuti contribuirono a rendere ‘reale’ il giardino che non esiste a Ferrara dei Finzi-Contini, tra cui il gruppo delle palme del deserto.
C’era in fondo alla radura del tennis, per esempio, ad ovest rispetto al campo, un gruppo di sette esili, altissime Washingtoniae graciles, o palme del deserto, separate dal resto della vegetazione retrostante […] Ebbene , ogni qualvolta passavamo dalle loro parti, Micòl aveva per il gruppo solitario delle Washingtoniae sempre nuove parole di tenerezza. – Ecco là i miei sette vecchioni – , poteva dire, – Guarda che barbe venerande hanno! – (op.cit., p. 408.)
Si sa che la mancanza di conoscenza della flora da parte dello scrittore veniva integrata da accurate escursioni all’Orto botanico di Roma, dove appunto esisteva ed esiste il gruppo delle palme. Una tecnica che anche negli estremi anni della sua vita lo portava a visitare luoghi reali, per poterne trarre materia di racconto. Come racconta Portia Prebys nella casa di Roma davanti al letto c’era una preziosa carta topografica di Roma, quella celebre del Nolli, che ora è stata trasportata al Centro studi bassaniani.

Al suo risveglio, lo scrittore la osservava e, puntando il dito sulla zona di Roma che gli interessava vedere, vi si recava o con la sua macchina, o facendosi accompagnare. E l’antica ossessione del ‘vedere’, superbamente espressa in un famoso passo del Giardino dei Finzi-Contini. Il protagonista sta celebrando con i suoi familiari la Pasqua. Attende con ansia di telefonare o ricevere una telefonata da Micòl e il suo sguardo vaga per la stanza da pranzo della sua casa, ritmato dall’incipit ‘Guardavo’: “Io guardavo mio padre e mia madre[..] Guardavo Fanny[…] Guardavo in giro zii e cugini[…] Guardavo la vecchia Cohen […] Guardavo infine me, riflesso dentro l’acqua opaca della specchiera di fronte, anch’io già un po’ canuto, preso anch’io nel medesimo ingranaggio, però riluttante, non ancora rassegnato” (op. cit., pp.478-479).
Anche qui e a maggior ragione, la specchiera e il salotto di casa Bassani sono reali come attesta questa foto.

Guardare dunque costituisce la fondazione dell’operazione scrittoria. Guardare dunque il reale per vederne le possibilità di creazione.
Molto poi si è scritto delle copertine dei suoi testi che, per tutto il tempo che visse lo scrittore, vennero sempre da lui scelte, come integrazione e commento al testo. Un capitolo affascinante dell’esegesi bassaniana condotta in primis da Anna Dolfi e da chi scrive queste note. Si trattava ancora – e se è possibile – di condurre in modo ancor più raffinato e complesso il rapporto tra vedere e scrivere. Significava in fondo creare, più che un paratesto o un commento, un unicum che giustificasse la creazione. Ancor più paradigmatico il caso della prima edizione del Giardino, dove nel testo viene inserita una celebre litografia di Morandi, che riproduceva il campo da tennis dei giardini Margherita di Bologna, dove nella ‘realtà’ si svolgevano le partite tra Bassani giovane campione e i suoi amici, arbitro Roberto Longhi.

A questo punto mi sembra di poter affermare ancora una volta ciò che avevo scritto nel mio saggio apparso su Vivere è scrivere. Una biografia visiva di Giorgio Bassani, Edisai, 2019: “Nella poetica bassaniana la possibilità rappresentata dalle copertine come modo di spiegare il testo o di metterne in luce le valenze segrete, diventa necessario, senza dover ricorrere a un troppo corrivo paragone di ut pictura poësis. Occorre invece cogliere nelle indicazioni di quelle pitture, di quegli autori scelti, le spie o tracce del modo di narrare dello scrittore e soprattutto del modo di ‘vedere’.” (p.195) .
Dunque una scelta d’autore come dichiarazione di poetica.
Vorrei concludere con un caso assai sintomatico:

Questa copertina riproduce una traduzione nordica de Il giardino dei Finzi-Contini. Il termine italiano del titolo viene sostituito col nome della protagonista, ma soprattutto la bionda Micòl viene rappresentata come una bruna mediterranea scollacciata, secondo l’interpretazione corrente delle ragazze italiane e per questo, come per la macchina da scrivere ‘Littoria’, ha un posto d’onore nella vetrinetta che al Centro studi bassaniani custodisce il manoscritto del Giardino e la macchina da scrivere. Potenza del vedere!

Foto di Lorenzo Caruso per il Centro studi bassaniani di Ferrara

REGOLARIZZARE I MIGRANTI
Nell’interesse di noi italiani, dei migranti e delle aziende sane

Mentre aggiungo qualche riga di introduzione all’articolo di Andrea Gandini (chiaro e preciso come sempre, dati alla mano) a notte fonda arriva dal telegiornale l’ultimora che tutti aspettavamo: il Governo avrebbe finalmente trovato l’accordo sulla regolarizzazione degli immigrati irregolari: sul chi, sul come e per quanto tempo.
Il condizionale è d’obbligo, perché sono svariati giorni che i partiti di maggioranza e i rispettivi ministri se le danno di santa ragione. Irresponsabilmente, visto che questo punto di contrasto ha di fatto bloccato il varo di tutto il decretone della fase 2, un mega provvedimento con una dote di decine di miliardi e strapieno di disposizioni, finanziamenti, commi e sottocommi. In pratica – questo gli esponenti politici non lo dicono ma è opinione comune di tutti i commentatori – il Governo ha rischiato di saltare (e complimenti per l’alto senso di responsabilità!) per l’irrigidimento dei 5 Stelle, l’indecisione amletica del Partito Democratico, l’ansia di protagonismo del micro partito di Matteo Renzi.

Domani (oggi per chi legge) sapremo quale punto di mediazione, quale topolino avrà partorito il Governo dell’Avvocato del Popolo Giuseppe Conte. Personalmente non nutro eccessive speranze. Nonostante sia chiarissimo che senza immigrati, compresi gli irregolari (e irregolari per una legge durissima quanto irragionevole) l’economia del Paese non riparte. Non può materialmente ripartire. Nonostante le imprese, specie le aziende agricole del nostro Sud, senza quella forza lavoro siano ferme, bloccate, e frutta e ortaggi marciscano sugli alberi e nei campi. Nonostante sia inumano tenere ‘sospesi’ centinaia di migliaia di uomini e di donne straniere (che Salvini, Meloni & company si ostinano a chiamare clandestini e delinquenti) in estenuante attesa di una risposta dalle commissioni e dai tribunali competenti. Insomma, nonostante il buonsenso (basterebbe il buon senso, non si chiede nemmeno il senso civico), imponga un’ apertura umanitaria e l’abolizione dei Decreti Sicurezza, maggioranza e opposizione si stanno dimostrando molto al di sotto degli cittadini italiani che vorrebbero governare da sopra.
(Francesco Monini)

Per via del Covid-19 le frontiere sono chiuse fino al 15 maggio. Creare ‘corridoi verdi’ dai Paesi dell’Est Europa (da dove in genere provengono) è previsto dall’Europa, ma sono proprio questa volta i migranti a rifiutarsi di venire. C’è una trattativa con la Romania in corso che non ha portato a nulla. Secondo i dati dell’Inps nel 2017 gli stagionali stranieri erano 344mila (36% del totale); in agricoltura il 91% degli occupati sono stagionali, di cui 100mila erano rumeni. Gli irregolari in agricoltura secondo stime Istat sono circa 170mila. L’idea di offrire opportunità di lavoro a italiani con reddito di cittadinanza o disoccupati è giusta. Non è possibile invece far lavorare i cassintegrati per il divieto di cumulo tra retribuzione e Cig, lo sarebbe col sistema dei voucher (proposto dalle aziende) ma i sindacati sono contrari perché ritengono la paga poco dignitosa. Sappiamo però che difficilmente il fabbisogno di lavoro agricolo sarà coperto da italiani in cerca di lavoro (o di quel 25% con reddito di cittadinanza che potenzialmente potrebbe lavorare), perché si tratta di un lavoro duro e malpagato per cui sono quasi sempre le stesse imprese che preferiscono prendere stranieri in salute, forti e in grado di garantire una certa produttività del lavoro. Una cosa che avviene anche in molti altri settori (edilizia, commercio,…) anche per la maggior disponibilità degli stranieri alla flessibilità o a fare straordinari poco o per niente pagati. La Francia ci ha provato col “job market online” ma i livelli di soddisfazione delle e di produttività del lavoro sono stati modesti. In ogni caso è giusto anche in Italia provarci chiedendo anche a studenti e disoccupati. Ma non si può pensare di risolvere il problema con questa sola via.

La regolarizzazione dei migranti irregolari rappresenta quindi una via obbligata per far fronte all’attuale drammatico fabbisogno (e potrebbe anche essere non sufficiente) ed è anche una difesa elementare della dignità umana oltre a consentire di lavorare ad aziende sguarnite in larga parte di manodopera locale.

Garantire a questi lavoratori salari dignitosi ha, peraltro, un effetto positivo sull’intero lavoro perché impedisce un trascinamento verso il basso della struttura dei salari ed evita la concorrenza sleale a quella maggioranza di aziende che non usano il lavoro nero. Sono politiche perseguite in tutti i paesi civili anche per avere maggiori entrate da tasse e contributi che favoriscono lo sviluppo del Paese e non una manciata di “padroncini avventurieri”. E’ la stessa cosa di chi è favorevole all’evasione fiscale o ruba o truffa per propri interessi, una cosa assurda per un Paese civile. Il Comitato “scientifico” Covid-19 fa notare che “l’impiego di lavoratori stranieri irregolari e privi di permesso di soggiorno è un rischio anche per la popolazione residente nelle medesime aree dove i migranti saranno destinati al lavoro”. E’ infatti del tutto evidente che, così come prima, a maggior ragione col Covid-19, se hai in Italia 650mila irregolari puoi tutelare meglio la tua (e loro salute) solo se crei un percorso di “emersione” fatto di permesso di soggiorno, formazione e infine lavoro. Un percorso fatto in Germania e in tutti i Paesi europei (seppure con quote) e che potrà durare anche 2-3 anni, ma che darebbe all’Italia (e a loro vantaggi) sia civili che sanitari. Se invece non si regolarizzano aumenta la possibilità che siano preda di sfruttatori e che violino per sopravvivere ogni regola sociale e sanitaria, creando problemi a loro stessi e a noi.

FEMMINICIDI: UNA RIFLESSIONE
il fenomeno della violenza di genere è in buona parte sommerso

Secondo il rapporto Eures, nel 2019 i femminicidi in Italia sono stati 95. L’ultima vittima dello scorso anno si chiamava Elisa, strangolata in casa dal marito mentre le figlie dormivano. Oltre l’85% dei casi di femminicidio avviene tra le mura domestiche per mano di un compagno o ex compagno della vittima. Dal 2000 a oggi le donne uccise in Italia sono state 3.230, di cui 2.355 in ambito familiare e 1.564 per mano del proprio compagno. Nel 2018, le donne uccise sono state 142, una in più dell’anno precedente. Il 2019 ha registrato dunque 47 vittime in meno del 2018, ma anche  un aumento degli episodi di stalking. Una situazione davvero triste e che colpisce sempre per la sua violenza, la sua sistematicità, la sua capillarità sul territorio.

Più se ne scrive e parla e più sembra che la situazione non migliori, anzi. Credo che le cause dello scatenamento di tale violenza siano ormai conosciute e si possano riassumere in:
– una cultura sessista che perpetra l’idea del maschio ‘padrone’;
– una educazione dei bambini che (a volte) associa all’idea di maschio quella di violenza, aggressività, arrivismo;
– una interiorizzazione del ruolo maschile come soggetto dominante che poi non trova attuazione nella vita reale in quanto le donne chiedono parità, ma l’uomo educato e socializzato come prepotente (e quindi in uno stato di grande fragilità) non può accettare tale richiesta;
situazioni di grandi degrado: spazi non sufficienti, presenza di più generazioni di persone nella stessa abitazione, matrimoni spezzati e ricuciti e ricuciti ancora che creano problemi relazionali a tutti;
– il problema del lavoro come agente d’identità maschile quasi esclusivo (senza lavoro un uomo rischia di sentirsi una nullità in quanto la sua socializzazione l’ha addestrato alla esclusiva funzione di capo branco);
– l’incapacità del maschio di sopportare l’abbandono e il tradimento, da qui la conseguente vendetta piena di odio e rancore.
Ci sono poi anche dei casi limite che rasentano la follia più assoluta: rapimenti dei figli, uccisione dei figli con conseguente annientamento dei cadaveri, omicidi e suicidi in contemporanea.

Esistono centri specializzati per le donne vittima di violenza; Provincie e Commissioni sulle P.O. gestiscono centri di ascolto, counseling, sportelli di orientamento e, con il supporto del terzo settore, comunità di accoglienza. Il Ministero delle Pari Opportunità mette a disposizione ogni anno molti soldi per il contrasto al fenomeno.
Eppure la situazione non migliora. Non migliora e non si riesce a farlo emergere. Le donne che subiscono violenza sono spesso confinate all’interno delle loro mura domestiche, hanno un lavoro, ma questo non garantisce loro sufficiente autonomia decisionale, sufficiente forza per ribellarsi. La violenza subita tende a essere giustificata da una personalità femminile che si annulla nell’obbedienza a tutti i costi, nella spasmodica ricerca di un senso a una quotidianità che, di suo, sarebbe assolutamente inaccettabile. Le ‘botte’ diventano meritate e ci si tormenta sullo sbaglio commesso come causa dell’evento drammatico.
C’è una alterazione del meccanismo di causa-effetto. Siccome nessuno di noi può sopportare degli effetti senza una causa riconosciuta e soggettivamente legittima, l’attribuzione di causa diventa ‘strana’ e si orienta su predisposizioni interiori del soggetto che subisce la violenza. Per farla breve, la persona che subisce violenza arriva in molti casi a pensare di essersela meritata e che un suo comportamento diverso potrebbe cambiare la situazione. Per acquisire consapevolezza che si è vicino all’annientamento della personalità e alla traslazione soggettiva del principio di causa-effetto su oggetti non reali, ci possono volere anni, a volte non ci si riesce mai.

Ci sono anche casi in cui la donna è riuscita, dopo molte sofferenze, a ribellarsi, ad andarsene da casa, a chiedere il divorzio. Alcune di queste donne coraggiose sono state uccise. La nostra società con tutti i suoi servizi, tutti suoi esperti e le forze dell’ordine dedicate non è riuscite a proteggerle. E loro sono morte lasciando bambini e famigliari disperati.
Quindi una dei primi auspici è che si aumenti ulteriormente la tutela delle donne che hanno cercato, dopo travagli interiori indicibili, di andarsene.

Una seconda questione fondamentale è quella dei luoghi dove si può davvero intercettare il fenomeno. Bisogna conoscere e mappare i luoghi dove le donne si ‘confidano’: parrucchieri e estetisti sono molto più aggiornati dei centri preposti a tale funzione. E’ più facile che una donna con questo tipo di problema  si confidi con il suo estetista, piuttosto che con qualcuno che non conosce e di cui non si fida (anche se ha ufficialmente una funzione coerente). Le persone in forte stato di disagio sono molto diffidenti. Tendono a non fidarsi di nessuno. Hanno paura. I luoghi dove davvero si possono intercettare donne maltrattate sono quelli informali da loro abitualmente frequentati, all’interno  dei quali agiscono  soggetti di cui loro si fidano. E’ qui che si può/deve intervenire in maniera più radicale e capillare con la speranza che possa essere, almeno in alcuni casi, risolutiva. E’ il lavoro quotidiano sul territorio che, almeno in alcuni casi, paga.

L’ultima nota riguarda una esperienza di femminicidio che ho visto da vicino: una donna uccisa dal marito. L’uomo è attualmente condannato all’ergastolo. Una situazione in cui la donna si era ribellata, aveva lasciato il marito che la riempiva di ‘botte’ e  vissuto protetta per alcuni anni in una comunità di  Brescia. Poi aveva provato a ricostruirsi una vita affittando un appartamento sempre a Brescia, dove era andata a vivere con i suoi bambini. Il marito è riuscito a trovarla e l’ha uccisa. Molte persone sapevano, conoscevano la situazione, ma chi ha provato ad aiutarla non ha trovato la giusta strada, non ha saputo mettere in atto tutti sistemi di protezione necessari. Il problema è radicato in quanto riguarda il nostro tessuto sociale, il nostro stile di relazione, le nostre forme di tutela del disagio e i nostri standard istituzionali di risposta. L’intervento possibile va ripensato partendo dal coinvolgimento dei soggetti informali del territorio che davvero conoscono le situazioni drammatiche sommerse.  Siamo alle prese con un problema molto serio che necessita di ripensamento sia delle cause che delle risposte.

Secondo il CNR (indagine CNR- IRPPS su rilevazioni del 2017) sono complessivamente 338 i centri e i servizi specializzati nel sostegno alle donne vittime di violenza, ai quali si sono rivolte almeno una volta in un anno 54.706 donne; di queste il 59,6% ha poi iniziato un percorso di uscita dalla violenza. A quanto pare, questa organizzazione e questo tipo di risposta seppure ben strutturata, non basta, serve altro, serve l’aiuto di tutti coloro che davvero sanno.

LA SCUOLA DELL’I CARE:
Dalla classe al patto formativo

È difficile credere che la pandemia cambierà la nostra scuola. Non si è fatto prima, quando si sarebbe potuto farlo, perché mai ora, per di più in una situazione di crisi economica aggravata. È più facile che la pandemia la cambi in peggio e già ora i segnali ci sono a partire da una didattica dilaniata tra presenza e distanza, tra reale e virtuale.
Qualcuno, che si scuote da un lungo assopimento, pare scoprire solo ora le prodigiose opportunità offerte dal  territorio, come se il territorio non fosse una grande aula da frequentare fin dai tempi del Pestalozzi, che proprio non era il massimo della pedagogia, potremmo dire addirittura che, con la sua fiducia nelle innate capacità educative della madre, sia stato un antesignano delle homeschooling.

Dopo l’elogio della predella di Galli della Loggia oggi leggiamo l’elogio della classe di Asor Rosa. Sempre con gli occhi nella nuca a guardare indietro, soprattutto con il timore dell’innovazione e del cambiamento. Preoccupa la resistenza dei luoghi comuni, degli stereotipi a proposito della scuola, preoccupa sentire ancora parlare degli esami di stato come riti di passaggio, che devono essere celebrati. Sembra che a esprimersi siano menti decerebrate, incapaci di intendere che le sfide dell’istruzione e i bisogni dei nostri giovani necessitino di ben altro.
Che non si possa cambiare perché non ci sono i soldi passi, ma che non si voglia cambiare perché ciascuno difende i propri occhiali, con cui guarda al presente e al passato senza riuscire a guardare lontano, non è più possibile né tollerabile.

Per decenni in questo paese si sono frapposti ostacoli allo sviluppo di un discorso nuovo sulla scuola, senza rendersi conto che la storia non stava ferma e che intanto qualcosa cambiava a proposito di istruzione come, ad esempio, il rapporto tra conoscenza e competenza, che certo non apparteneva alla cultura del paese all’epoca della predella e della classe, quando a scuola ci andavano Galli della Loggia e Asor Rosa.
Si impone la necessità di dotarsi di strumenti di misurazione e di valutazione non per continuare ad appioppare voti ad alunni e studenti, ma per disporre di informazioni importanti sull’efficacia del sistema formativo e sul funzionamento dei suoi istituti; penso inoltre alla sempre più crescente tendenza a personalizzare i percorsi di apprendimento, che la classe di Asor Rosa certamente escludeva.

Ciò che la storia ha cambiato nella cultura dell’istruzione è la conquista dell’integrazione di tutti e l’avvento dell’I Care. Che certo all’epoca dei giovani Galli della Loggia e Asor Rosa non erano neppure immaginabili. Oggi, la scuola o è la scuola dell’I Care o non è. La scuola che cura il successo formativo di ogni alunna o di ogni alunno. Se non si parte di qui non c’è cambiamento. Perché è con l’I Care che cadono tutti gli stereotipi e le pratiche insensate che abbiamo accumulato a proposito di educazione. L’I Care di don Milani che nella sua canonica a Barbiana non aveva classi. Si tratta di pensare ad un sistema formativo capace di assumere pienamente la responsabilità del progetto di vita di ogni bambina e bambino, di ogni ragazza e ragazzo, non indistintamente come avviene nella tradizione della classe, ma uno per uno, a ciascuno il suo e nel contempo di rispondere della qualità del fare scuola e del futuro che per ognuno si costruisce, un sistema formativo amico che cura, affianca e accompagna,  portatore del massimo interesse per la riuscita di ogni Gianni e Pierino.

E allora ci si renderebbe conto che la classe è un intralcio. La classificazione è la madre di ogni omologazione ed essere classificati per età anagrafica, come le classi di leva di una volta, antepone un accidente cronologico, come l’età anagrafica, alla considerazione dell’individuo in quanto tale, al suo essere, alla sua storia, alla sua unicità. A Barbiana i ragazzi erano diversi per età e per capacità, ognuno era lì con la sua biografia e la loro è stata indubbiamente un’esperienza di formazione unica e indimenticabile, senza classe, predelle ed altri orpelli.
Dunque non è la classe l’architrave del sistema formativo come sostiene Asor Rosa. La formazione è fatta di persone, esperienze ed incontri, non certo di banchi in fila in aule affollate a contemplare la nuca dei compagni e delle compagne che ti stanno davanti. Ciò che conta è la qualità del progetto formativo, quanto calzi con la tua storia e con le tue esperienze, con quello che sei e non con quello che dovresti essere e quanto ti coinvolge per interesse e motivazioni. Questo richiederebbe di essere accolti a scuola non per età anagrafica, e finire nella classe corrispondente, ma sulla base di un patto formativo concordato all’atto dell’iscrizione da ciascuno con la scuola, in modo da garantire la flessibilità dei gruppi, degli spazi, dei luoghi in cui apprendere, dentro e fuori dagli edifici scolastici, la ricchezza e la pluralità delle esperienze formative, delle relazioni e dei saperi, in un’epoca in cui l’istruzione non inizia e non finisce a scuola.
Ma temo che anche questa volta ci troveremo di fronte ad una occasione perduta.

INVISIBILE MA VERO!
Suggerimenti di un maestro ai bambini piccoli e ai genitori

I Centri per le Famiglie del Comune di Ferrara hanno inaugurato, lo scorso 12 marzo, la pagina Facebook Bambini e Genitori a Ferrara
Lo scopo della pagina è quello di facilitare la comunicazione verso le famiglie, di diffondere gli aggiornamenti su proposte, eventi, news, approfondimenti e di mantenere “viva”  la relazione , che si è interrotta improvvisamente , tra personale dei servizi educativi con i bambini e le loro famiglie.
Dal gruppo di coordinamento pedagogico mi è stato chiesto di registrare un breve intervento filmato rivolto ai bambini, alle bambine e ai genitori sul passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria in questo periodo delicatissimo.
Non sapendo bene cosa e come dire, mi sono messo le mani nei miei capelli… invisibili… ed è venuto fuori il video che vedete sotto. Buon ascolto e buona visione.

Cover: elaborazione grafica di Carlo Tassi

EMERGENZA AMBIENTALE NEL TEMPO DEL COVID-19
Fino ad ora si è fatto ben poco, e gridare al lupo non basta

Sembra che il virus Covid-19 possieda un potere ipnotico. Il nostro paese, in particolare, è immobilizzato in attesa che qualcuno o qualcosa risolva il problema, sicuramente di notevole entità, al posto nostro. Problema che sembra ormai essere l’unico in questo nostro mondo globalizzato: ma non è l’unico e nemmeno il più grave.
In occasione della Giornata della Terra, il 22 aprile scorso, il climatologo Luca Mercalli ha ricordato che 50 anni fa negli Stati Uniti la protesta contro i danni ambientali da inquinamento coinvolse venti milioni di persone. Gli USA emanarono le prime leggi in difesa di aria e acqua, e così fecero negli anni a seguire i principali paesi europei e l’Italia. In seguito, l’ambientalismo, invece di evolvere e crescere in consapevolezza, specie tra i cittadini, è stato considerato un ostacolo alla crescita economica, per le attività industriali, nell’agricoltura e nell’allevamento.
Con il passare degli anni le evidenze scientifiche della crisi ambientale sono diventate inequivocabili ma decenni di iniziative da parte degli organismi internazionali hanno portato a ben pochi risultati.

Mercalli, e con lui moltissimi altri scienziati e ricercatori, ci dicono da tempo che quella che verrà, anzi, che è già iniziata, è una crisi gravissima e, con molta probabilità, produrrà danni irreversibili e incalcolabili in molti luoghi del pianeta. Tuttavia, della crisi ambientale, a differenza dell’attuale crisi sanitaria, non ci si preoccupa più di tanto, in quanto gli effetti sono diluiti nel tempo. A detta di molti esperti, nel prossimo futuro, assisteremo a una accelerazione degli eventi: infatti come è vero che il virus sta mettendo in grande difficoltà molti paesi del mondo, questa crisi potrebbe essere ben poca cosa rispetto a quanto ci attende come effetti dei cambiamenti climatici.
Sempre Mercalli ci ricorda che il Covid-19 ha portato via all’età di 88 anni John Houghton, climatologo e fisico dell’atmosfera gallese, che ha condiviso il premio Nobel per la pace nel 2007 con Al Gore ed è stato curatore dei primi tre report dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) negli anni 1990, 1995 e 2001. In un recente articolo, Mercalli e altri climatologi, affermano che tante sono le voci, scientifiche e non, che chiedono un mondo post-virus più rispettoso dei limiti ambientali e meno succube dei diktat dell’economia, ormai incompatibili con la sopravvivenza dell’ambiente naturale, di cui, vale la pena ricordarlo, l’essere umano fa parte. Le preoccupazioni economiche, si legge sul sito dell’ASVIS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile), non devono allontanarci dall’obiettivo di contenere la temperatura, altrimenti pagheremo un prezzo anche più alto del Covid 19. Dobbiamo cambiare politiche, comportamenti, parametri [Qui]. Sempre Mercalli, in un recente numero di Micromega, afferma l’esistenza di una completa asimmetria tra il livello di allarme lanciato dalla scienza e i provvedimenti adottati dalla politica. In assenza di ‘scelte radicali’ da compiersi immediatamente, e che vanno dai comportamenti dei singoli (ci ha insegnato qualcosa la crisi sanitaria? abbiamo modificato il nostro atteggiamento quando andiamo a fare la spesa?) fino alla messa in discussione dell’attuale modello economico, gli scienziati non potranno che continuare a svolgere il ruolo di Cassandre.

“Stiamo muovendo le montagne per affrontare il Coronavirus. Perché non facciamo altrettanto per la crisi climatica?”. “Viviamo in un mondo, afferma Robert Walker, presidente del Population Institute di Washington, su Newsweek, che sta cambiando rapidamente, pieno di sfide. Con la crescita dei centri urbani, i sistemi sanitari pubblici inadeguati e il maggior contatto degli umani con animali in grado di trasmettere virus mortali, il Covid 19 era una pandemia in agguato, ma non è l’unica sfida globale che dobbiamo affrontare. L’anno scorso 11mila scienziati hanno firmato una dichiarazione nella quale si avverte che senza una radicale riduzione dei gas serra il mondo si avvia a ‘sofferenze mai viste’. Se non cambiamo rotta, entro il 2050 più di 200 milioni di persone dovranno emigrare per la siccità, le inondazioni e l’aumento del livello dei mari. Molto prima della fine di questo secolo la quantità di persone uccise ogni anno dall’aumento della temperatura e dagli altri effetti climatici, compresa la diffusione delle malattie portate dagli insetti, potrebbe superare ampiamente il costo umano del Covid 19. L’anno scorso Michael Greenstone, co-direttore del Climate Impact Lab, ha avvertito che attorno al 2100 le morti premature dovute ai cambiamenti climatici supereranno ogni anno il numero di quelli che oggi muoiono per tutte le malattie infettive messe insieme. Inoltre l’insieme delle perdite economiche derivanti dalla crisi climatica sarà di gran lunga maggiore dei costi finanziari che subiremo quest’anno a seguito del Covid 19. Se la temperatura globale salirà di 2°C il prezzo da pagare potrebbe arrivare a 69mila miliardi di dollari entro il 2100. Ma l’aumento delle temperature ridurrà anche la resa dei raccolti, perché ogni grado di aumento riduce del 6% la produzione agricola. Ci sarà anche un’accelerazione della perdita di biodiversità. Entro cinquant’anni un terzo delle specie vegetali e animali andrà perduto.” Questa crisi dovrebbe far capire che non è possibile lasciare ai meccanismi economico-finanziari le scelte strategiche per il futuro: è il momento della rivalsa della politica che deve iniziare a fare scelte importanti per il futuro del pianeta. Nei centri storici e/o in vaste aree opportunamente individuate delle città potrebbe essere permesso solo l’uso di auto elettriche o ibride, o il prezzo dei combustibili potrebbe essere aumentato per chi non effettua la ristrutturazione degli edifici per migliorarne l’efficienza energetica, mentre per quelli di nuova costruzione la sostenibilità ambientale dovrebbe essere un obbligo.

La biologa e saggista Meehan Crist, in un articolo apparso sul New York Times, scrive che la crisi globale derivante dal Covid-19 è anche un punto di svolta per l’altra crisi globale, quella ambientale, più lenta ma con una posta in gioco ancora più elevata, e si chiede se a lungo termine il virus aiuterà o danneggerà il clima. Il coronavirus ha provocato una stupefacente chiusura delle attività produttive e una drastica riduzione nell’uso dei combustibili fossili. Le abitudini di consumo e di viaggio stanno cambiando, e, forse, la percezione di cosa ci serve davvero si modificherà. In tutto il mondo i livelli di inquinamento stanno calando rapidamente, scrivono Leslie Hook e Aleksandra Wisniewska per il Financial Times. Le misure di contrasto alla pandemia, che stanno coinvolgendo circa 2,6 miliardi di persone, iniziano ad avere effetto non solo sul virus, ma sull’intero pianeta. Le emissioni dovute ai trasporti e alle attività produttive sono crollate. Secondo una stima di Sia Partners, società di consulenza francese, in Unione Europea le emissioni quotidiane si sono ridotte del 58% rispetto ai tempi pre-crisi. Ma, ci ricorda la Crist, per avere un effetto significativo sulle emissioni globali, i cambiamenti nei consumi devono andare oltre gli individui ed estendersi alle grandi strutture e che cambiare le abitudini personali non servirà a molto se non riusciamo anche a ‘decarbonizzare’ l’economia globale. Le emissioni sono calate anche durante la crisi finanziaria del 2008 e gli shock petroliferi degli anni ’70 del secolo scorso, per poi risalire una volta superata l’emergenza: è probabile che dopo la fase acuta la produzione industriale e le emissioni aumenteranno di nuovo, anche perché una recessione globale potrebbe rallentare o fermare la transizione verso le energie pulite. BloombergNef, una società di analisi sulle energie pulite, ha già ridimensionato le previsioni per il 2020 sul mercato del fotovoltaico, delle batterie e dei veicoli elettrici, evidenziando un rallentamento della transizione energetica, proprio quando avremmo bisogno di accelerarla, a maggior ragione se il prezzo del petrolio resterà basso a causa del calo della domanda.

Qualche ragione perché il dopo Covid-19 sia diverso da quello che ci ha preceduto comunque c’è: ad inizio aprile i governi di 10 paesi europei, compresa l’Italia, hanno inviato una lettera alla Commissione europea per chiedere di mettere il green deal al centro dei piani per la ripresa economica, lettera poi firmata da altri sette governi, ma non da quasi tutti quelli dell’Est Europa. Un’altra ragione per insistere su questa linea è quella che i posti di lavoro nel settore delle rinnovabili, secondo un nuovo rapporto dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena) potrebbero quadruplicare (arrivando a 42 milioni) e le emissioni di C02 nella produzione di energia ridursi del 70%, a fronte di una accelerazione degli investimenti nel green che porterebbe una crescita globale di 98 mila miliardi di dollari entro i prossimi 30 anni. Dobbiamo ricordare, afferma infine Meehan Crist, che “gli esseri umani fanno parte della natura e l’attività umana che danneggia l’ambiente danneggia anche noi”. In Cina, dice Marshall Burke del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Stanford, sono bastati due mesi di riduzione dell’inquinamento per salvare le vite di 4 mila bambini sotto i cinque anni e 73 mila adulti sopra i settant’anni.
Forse la vera domanda che dobbiamo porci non è se il virus sia un bene o un male per il clima, ma se possiamo creare un’economia funzionante che sostenga le persone senza minacciare la vita sulla Terra, inclusa la nostra”.

LO CUNTO DE LI CUNTI
Un posto segreto

Rubrica a cura di Fabio Mangolini e Francesco Monini

Continua la rassegna di racconti Lo Cunto de li Cunti che vi accompagnerà per tutta la prossima estate. In questa  ottava puntata: un nuovo autore e una nuova interprete. L’autore del racconto è un nome noto ai lettori di Ferraraitalia: Carlo Tassi è con sicurezza la punta creativa della squadra redazionale. Sue le vignette periodiche del quotidiano firmate Cart e sue molte elaborazioni grafiche per le cover. Carlo Tassi è un grafico, un disegnatore, un “fumettaro”, ma soprattutto è uno scrittore.
L’interpretazione del racconto è invece lasciata ad Alessandra  Arlotti, una brava attrice ferrarese. Buon ascolto, buona visione, buona lettura.
(I Curatori)

Carlo Tassi, Un posto segreto (2018) – letto da Alessandra Arlotti

Vuoi leggere il testo?

UN POSTO SEGRETO

Esiste un posto che non ho mai detto.
Esiste da quando quella volta decisi d’andar dietro a un sogno. Perché erano tante notti che veniva a trovarmi.

Ogni notte, puntuale, sentivo bussare alla finestra della mia cameretta. L’orologio alla parete segnava le tre e trentatré, e lui compariva dal buio oltre il vetro, e mi guardava senza far nulla. Io mi nascondevo sotto coperte e lenzuola e aspettavo che se ne andasse. Ero paralizzato dalla paura, non l’avevo mai visto in faccia ma vedevo la sua ombra, fuori nell’oscurità, e mi terrorizzava.
Poi, una notte, lo sentii singhiozzare. Era un pianto sommesso, discreto. E quando mi decisi a sbirciare da sotto il lenzuolo, quando ne alzai un lembo e provai a guardare verso la finestra, lui non c’era più.

La mattina seguente, mia madre entrò nella cameretta per svegliarmi e intravide qualcosa sul davanzale della finestra. Aprì le imposte e scoprì un piccolo fiore spuntare da una fessura della pietra. Era un gelsomino giallo, nato, non so come, proprio quella notte appena passata.
Quando me lo fece vedere, pensai fosse stato lui a lasciarlo, pensai che era un segno d’amicizia. Forse non era cattivo, forse m’ero sbagliato, e quel fiore era nato dalle sue lacrime.

Giunse un’altra notte e restai sveglio ad aspettarlo, volevo conoscerlo, scusarmi e ringraziarlo.
Mia madre aveva piantato il fiore con tutte le radici in un vaso, ci aveva messo della terra morbida e l’aveva innaffiata. Il vaso col fiore era sul davanzale, e io mi misi alla finestra, sperando che il mio visitatore misterioso tornasse a trovarmi. Aspettai tutta la notte fino al mattino, ma non venne. Feci altrettanto la notte dopo, e quella dopo ancora. Ma non venne mai, non venne più.

Passarono i giorni, e i giorni divennero settimane, così mi decisi: una sera aprii la finestra, presi il vaso – incredibilmente il piccolo fiore era diventato una bella pianta di gelsomini gialli e profumati – e lo posai sul comodino, poi mi coricai a letto e m’addormentai.
Alle tre e trentatré sentii bussare alla finestra. Era lui. Era tornato!
Misi da parte la paura, mi alzai dal letto, andai alla finestra e finalmente lo vidi.
Emerse dall’oscurità, era il mio sogno: un bambino uguale a me, e mi sorrideva.
Poi mi prese la mano e m’invitò a seguirlo.

Abbandonammo la mia cameretta uscendo dalla finestra. Non facemmo alcun rumore, proprio come due creature dell’oscurità. E l’oscurità non era affatto terribile come avevo sempre creduto.
Finimmo sul greto d’un torrente in mezzo al bosco. Attorno a noi c’erano gli abitanti della notte. Tutti quegli esseri che avevo sempre temuto e guardato con sospetto. Erano vicinissimi, illuminati dalla luna piena. E tutti ad accoglierci in pace.
Così falene, pipistrelli, gufi, volpi, grilli, lepri, donnole, gatti, marmotte, ricci, civette, toporagni, lupi e tanti altri esseri ancor più strani e misteriosi apparvero dal nulla e s’affollarono tutt’intorno incuriositi, quasi fossero folletti.
E per la verità – ora lo posso dire con certezza – erano proprio folletti!
Esatto cari miei. I folletti esistono per davvero. Vivono nei sogni dei bambini e degli stessi animali, ne hanno tutto l’aspetto. E oggi, ogni animale è mio amico, così come ogni creatura dei sogni, perché è proprio grazie a loro che tanti anni fa ho vinto la paura del buio.

Tornando a quella notte, quell’unica notte, rimasi a lungo nel bosco in compagnia delle sue fantastiche creature. Tanto a lungo che poi m’addormentai di nuovo.
Più tardi, al mattino, mia madre entrò nella cameretta e mi svegliò. S’era accorta che sul davanzale della finestra mancava la pianta di gelsomino e mi chiese dov’era finita. Io le risposi che non lo sapevo, e lei, poco convinta, la cercò in ogni angolo della stanza senza trovarla. Alla fine si rassegnò e uscì dandomi un’occhiataccia.

In fondo cosa avrei dovuto dirle? Che l’avevo lasciata in un posto segreto, sul letto di un torrente in mezzo al bosco, lontano miglia e miglia da casa?

Carlo Tassi, Un posto segreto, racconto inedito, 2018

Vuoi scaricare il testo? Clicca qui:  Carlo Tassi – Un posto segreto

Guarda le altre videoletture del Cunto de li Cunti [Qui] 

Cover: elaborazione grafica di Carlo Tassi

PER CERTI VERSI
Philosophenweg (parte 2)

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio, all’interno della sezione ‘Sestante: letture e narrazioni per orientarsi’

PHILOSOPHENWEG (PARTE 2)

Sai dove si trova
Quel luogo dove tutto brilla di luce e la birra sembra una spremuta di luna
E la città vecchia un po’ diroccata
Porta in seno il mistero delle affinità elettive
Al philosophenweg
solatio
Trastullo delle weltanschaaungen
E incruento silenzio
Pagine aperte
Meditazioni sul lembo della collina
Heidelberg ancora mi porta
La tua memoria
E quando compari dalla piccola selva
Sei l’anima bella
Del mitico giardino
Tra Epicuro e Orazio
La guerra è sparita
O mondo
O vita

Lettera aperta del Sindacato al Comune di Ferrara

Da: Ufficio Stampa CGIL CISL UIL

Non avendo ormai da tempo, e non per colpa nostra, nessun tipo di confronto con l’Amministrazione comunale di Ferrara abbiamo appreso dalla Stampa che la stessa avrebbe concordato, con tutte le forze economiche, un piano di rilancio dell’economia locale chiamato “Ferrara rinasce”.

E’ evidente anche per il Sindacato che l’effetto del fermo produttivo/commerciale di tantissime delle attività locali a causa dei provvedimenti relativi a Covid-19, produrrà gravi difficoltà alle imprese locali e ai dipendenti che vi lavorano.
Premesso che tutte le misure adottate in sicurezza tese a far ripartire e a dare un impulso al tessuto economico locale nella cosiddetta fase 2, non possono che trovare il sostegno delle OO.SS. Tuttavia se fosse stata data l’opportunità anche a noi di sedere a quel tavolo, avremo posto alcune domande.

1. Visto che le entrate dell’Ente non aumenteranno, anzi verranno meno diversi milioni per parcheggi gratuiti, tassa di soggiorno, canoni di attività chiuse, servizi a domanda individuale (rette, trasporti scolastici, ecc), permessi ZTL, ingressi ai musei, diminuzione di ICI su terreni Agricoli, scontistica sui servizi di igiene ambientale, ecc.: quali saranno i capitoli di spesa che saranno tagliati? E in quale misura? O quali misure verranno attuate per incrementare le entrate?
2. Si stanzieranno 1,5 Milioni di Euro a fondo perduto a favore del Commercio. E perché non al settore degli artigiani? C’è l’intenzione di vincolarli al rispetto della legalità?
3. da quanto si legge, gli aiuti saranno uguali per tutti con due sole unità di misura: realtà completamente inattive e realtà parzialmente inattive. Ciò a prescindere dai guadagni o dai volumi d’affari (e quindi imposte) dichiarati in precedenza? Si terrà conto dell’occupazione prodotta? Vi sarà un incentivo a chi incrementa posti di lavoro?
4. i beneficiari potranno utilizzarli per pagare utenze, costi di affitto, beni necessari. Tali misure non rischiano di sovrapporsi (vedi affitto) alle stesse che sta predisponendo il Governo con il cosiddetto DL “Aprile”?
5. Ai 1,5 Milioni di aiuti al settore si dovrebbero aggiungere, solo per citare le agevolazioni dirette, 2 Milioni di Cosap, 1,9 Milioni di Imposta sulla Pubblicità, per un totale 4,4 milioni?
Tutte queste agevolazioni che significano minori entrate non possono tradursi in un mancato incremento dei servizi per i cittadini.
6. Il comune intende definire misure quantitative altrettanto importanti a rafforzamento del sistema di Welfare che sarà sempre più necessario sostenere a causa della crisi economica? (si possono esplicitare le tante misure)
7. Sono previsti controlli e da parte di chi? E’ prevista la cancellazione dell’agevolazione alle aziende che percepiscono il contributo se le autorità preposte ai diversi controlli dovessero rilevare sanzioni?
8. Quale sarà il contributo di idee e proposte che il comune rappresentato dall’Assessore Travagli, si era impegnato a fornire alla Consulta dell’Economia e del Lavoro? Le promesse fatte ai dipendenti del Mercatone Uno non si sono ancora concretizzate.
9. quali investimenti strutturali si intendono mettere in campo?

C’è bisogno di visione per dare risposte ai tanti giovani studenti pendolari, a quelli in cerca di lavoro, ai dipendenti dei commercianti e non solo ai commercianti, alle migliaia di anziani che vivono con una misera pensione attraverso il rafforzamento del welfare e non con premesse che prefigurano la sua destrutturazione, alle tante mamme e ai tanti papà che vivono di lavoro e che devono avere certezze sugli investimenti al sistema scolastico, ai tanti lavoratori pendolari e non da ultimo a quel mondo del lavoro che viene lasciato nell’illegalità e che rappresenta la piaga per tutta la nostra economia.

Cristiano Zagatti, Bruna Barberis e Massimo Zanirato (CGIL CISL UIL Ferrara)

CONTRO VERSO / FILASTROCCA ABITATA
Cantilene all’incontrario per adulti coraggiosi

Quando Elena mi parlò della sua idea per una rubrica su Ferraraitalia, ci misi un po’ a capire dove volesse andare a parare. Volevo a tutti i costi che la sua penna fosse presente su un giornale che stava diventando, come da programma, sempre più “diverso da tutti gli altri” che si incontrano sulla bancarella della Rete. Ma questa idea balzana delle filastrocche per adulti sarebbe stata capita dai lettori? Elena mi ha raccontato com’è nata la sua quotidiana frequentazione con le filastrocche: lo racconta anche qui nella sua introduzione. Me ne ha lette quattro o cinque, mi ha convinto, del tutto. Le sue filastrocche CONTRO VERSO sono molto ben scritte, molto “graziose”, ma sono anche dei sassi nello stagno della pigrizia e del conformismo degli adulti. A volte, uso le stesse parole della curatrice, sono un “pugno nello stomaco”. E sono anche – per chi come me ama e coltiva il gioco infinito delle parole – dei piccoli “esercizi di stile”.
Che ci vuole a leggere una filastrocca? In questo particolare caso, non basta “avere orecchio”, ci vuole coraggio. Se crescendo, diventando grandi, entrando nella routine della vita adulta, avete conservato un po’ di coraggio, di curiosità, di meraviglia,
CONTRO VERSO è esattamente la rubrica che fa per voi. La troverete puntuale ogni venerdì.
(Effe Emme)

Tutto è iniziato da un senso di nausea. Che forse si può astrarre in rifiuto, incompatibilità, protesta. Per riuscire a conviverci gli ho dato un verso. Potrei spiegare così la nascita di  queste filastrocche che parlano di bambini ma non sono per bambini. Si rivolgono agli adulti e difatti sono incongrue, non si è mai visto che dopo i… 13 anni, toh, qualcuno si fermi a leggere una cantilena. Eppure in quel momento mi sono sembrate la forma più adatta al contenuto che volevo esprimere.

La ragione della mia piccola e personale protesta era duplice: quando si guardano le famiglie dal di dentro, come succede scegliendo certi mestieri (per me, 12 anni nella giustizia minorile), si prende contatto con ciò che tanti bambini vivono e la rabbia viene da sé; se poi, con quella consapevolezza, si assaggia la melassa di cui è imbevuto il discorso pubblico sulla famiglia a ogni ora del nostro palinsesto, la nausea subentra, inevitabile.
Eccomi allora, arruffata di storie, volti, voci di persone ascoltate in udienza, salire sul regionale Bologna-Ferrara e qualche volta – non sempre, non per obbligo, né per calcolo – estrarre il cellulare e ritrovarmi a scrivere, appunto, una filastrocca, nella quale riversare un’emozione, restituire il succo di un incontro, provare a raccontare.
Si dirà: perché non, ad esempio, un racconto o un romanzo. Mi è venuto istintivo, i motivi li ho capiti dopo. In parte è stata una questione di convenienza: nella mezz’ora del viaggio di ritorno potevo iniziare e finire una filastrocca, anche più di una, non qualcosa di più impegnativo, e i ritmi lavorativi di quel periodo erano tali per cui difficilmente avrei potuto lavorare a un testo in continuità, tenere il filo di una trama complessa.

I motivi sono anche altri. Io credo che leggere una filastrocca ci riavvicini automaticamente alla parte bambina che in ognuno di noi è ben presente, più o meno consapevolmente, più o meno impolverata. Forse richiama anche la retorica dell’infanzia. Ammetto perciò di avere usato la leggerezza della rima per provare a sistemare qualche trappola. Il ritmo ci porta a spasso come fanno a volte i bambini, quando corrono saltellando e comunicano a chi li guarda un’allegria, una spensieratezza contagiose. Ma se trottando ci conducono sull’orlo di un dirupo, l’impatto del vuoto può essere forte. Ecco io quell’impatto so di averlo cercato, riuscirci poi è un altro discorso, e quanto più la storia era dura – bambini maltrattati dai genitori fisicamente o sessualmente, figli che dovevano affrontare la morte di un genitore per mano dell’altro, fratelli o sorelle di bambini uccisi dal papà o dalla mamma – tanto più la sofferenza e la rabbia erano intrecciati, profondi, e non potevo digerirli da sola. Che il pugno nello stomaco arrivasse anche ad altri. Non per sadismo, credo – spero – ma per il desiderio di ripulire un po’ di quella melassa.

Vi conforta vivere su una nuvoletta rosa, credete ai bambini sempre sicuri e ben accuditi tra le mura domestiche? Ecco allora venite con me, guardate ciò che è nascosto. Solo se saremo capaci di guardarlo davvero, ognuno e collettivamente, se capiremo che quell’oltraggio è nostro, non è mostruoso ma è umano e ci riguarda, avremo forse il coraggio di intervenire. Di prevenire e di rimediare, di confortare e di proteggere. Di aprire strade nuove per chi vuole osare, a partire dagli adulti.

In alcune storie ho dato voce proprio agli adulti, quasi sempre genitori, qualche volta anche operatori o familiari ma soprattutto padri e madri. Anche loro stavano soffrendo. Un’altra lezione che si impara stando sul bordo è – paradossalmente – non dare giudizi affrettati: i genitori maltrattanti o abusanti non sono mostri e quasi mai traggono gusto dai loro comportamenti. Ho detto “quasi”. I perversi esistono, ne ho incontrati, la loro ferita è più nascosta, ma tutti gli altri e cioè la stragrande maggioranza sono palesemente tormentati, o inconsapevoli, o devastati da mancanze, traumi, dipendenze, trascuratezze e maltrattamenti a loro volta subiti, miserie ben più profonde della povertà. Questi genitori provocano molto dolore, occorre lavorare per un cambiamento, con loro ogni volta che si può e senza di loro quando non si può, ma il rispetto è dovuto anche a loro e non si può liquidarli in fretta.
A volte una sola filastrocca non mi bastava a raccontare una storia familiare perché ogni protagonista aveva una sua verità da esprimere e così le filastrocche uscivano a grappolo, una ciascuno, di modo che ogni soggetto avesse il proprio spazio. Nel tempo mi è anche successo di distaccarmi dalle udienze e di prendere spunto da fatti di cronaca molto noti relativi, sempre, all’infanzia. Tutte insieme sono diventate centinaia, un piccolo diario privato e pubblico che incomincia nell’autunno del 2014 e continua anche ora.

Ha meno importanza ma c’è anche questo: il piacere di compiere scelte espressive entro limiti che mi sono imposti e sfuggono al mio controllo. La filastrocca, per funzionare, deve obbedire al ritmo e alla rima, e scrivendo si fa esperienza di come le regole diventano motore creativo. Ad esempio, in italiano “guerra” suona bene con “terra”, tante canzoni e filastrocche italiane sfruttano questa rima che in un’altra lingua non c’è – war e hearth in inglese, krig e jord in danese… – quindi quell’accostamento di significati non viene neppure in mente. Chi scrive filastrocche sulla guerra nel Regno Unito o in Danimarca genera immagini diverse obbedendo al suo linguaggio. E sul fatto che seguire le regole possa tramutarsi in esperienza creativa, credo che la quarantena lo abbia suggerito a molti di noi.

Filastrocca abitata

Io colleziono i nomi
le facce, le fratture
so di maledizioni
conosco sfumature.

Gianfranco adolescente
Ilenia neonata
vi trovo nella mente.
Mi sento abitata.

Se mi fai un forellino
nella pancia o sul volto
appare un angolino
delle vite che ascolto.

Sfilano questa sera
e tutte non riesco
a ricordarvi, ma ora
siete un prezioso affresco.

Non è una presunzione
mi ritrovo agganciata
come una congiunzione
tra incontri di passata.

Non sembri vanagloria
l’ascolto è una carezza.
Custodire la storia
è l’unica certezza.

Cover: Immagine di Giulia Boari

Al cantón fraréś
Bruno Pasini: La név ad Magg

Bruno Pasini: poeta in dialetto ferrarese fra i più importanti e rappresentativi.
La sua poetica spazia dai temi dell’amore, alla drammaticità esistenziale, alla morte. L’autore sa esprimere con intense suggestioni i colori, le voci, gli odori del paesaggio rurale e del Delta. Coglie con sensualità, nelle immagini delle stagioni, nostalgie, personaggi, emozioni.
In questa poesia evoca, complici i piumini di maggio, un corteggiamento antico e il sorriso della primavera.
(Ciarìn)

La név ad Magg
                                                  Ad Alfonso Ferraguti

I vién col vént ad Magg, butà dai piòpp, [1]
dai sàlas di curtìl dla mié zzità,
che i pianz su i mur,
a rént a il pòrt e ai scur,
com candliér d’un vérd sémpr’ impizzà.
Jè i biànch plumìn dl’amór, jè il mill parpàj
che i vént purtànd i ssnùma, sula scorta
di amrùs d’na volta, quand ai dì di Mai
i lassava i bèj fiur da porta in porta. [2]
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
D’in zzima d’un balcon, su ‘na ringhiéra,
la pògia i sò bèj pum ‘na bèla mòra…
l’am guarda e l’am surìd… l’è primavera!

La neve di maggio
Vengono col vento di maggio, rilasciati dai pioppi, / dai salici dei cortili della mia città, / che piangono sui muri, / aderenti alle porte e agli scuri, / come candelieri di un verde sempre acceso. / Sono i bianchi piumini dell’amore, sono le mille farfalle / che i venti muovono come una carezza, come / i morosi d’un tempo, quando nei giorni di maggio / lasciavano bei fiori di porta in porta, /

Sopra ad un balcone, su una ringhiera, / appoggia i suoi bei pomi una bella mora… / mi guarda e mi sorride… è primavera!

[1] Sono i “pappi” dei fiori, specie di batuffoli cotonosi, caratteristici principalmente dei pioppi e che servono per facilitare la dispersione dei semi ad opera del vento (disseminazione anemofila).
[2] In certe zone della campagna ferrarese, alcuni vecchi, in riferimento a questo singolare e caratteristico messaggio d’amore, ricordano e citano ancora un noto e popolare aforisma: “Molti vòlt, int al dì dl’Assénsa, as porta al Mai a chi an al pénsa” (Molte volte, nel giorno dell’Ascensione, si porta il Maggio a chi non lo pensa).

Tratto da: Bruno Pasini, Tra i zunch e il cann. Poesie dialettali ferraresi, FerraraSATE, 1967.
In copertina: Nemesio Orsatti, Palude, acquaforte.

Bruno Pasini (Massafiscaglia 1916 – Ferrara 1999)
Laureato in Scienze Agrarie, direttore dell’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Ferrara. Autore di scritti di carattere tecnico-agrario e saggi sul rapporto fra lingua e dialetto. Ha pubblicato le sillogi poetiche Tra i zunch e il cann (1967) e Lamént par Nani (1980) che assieme a Fiùr salvàdagh sono confluite nella raccolta Vós dla mié tèra (1983). Stampate postume ne Il canto del cigno (2001) le poesie inedite.

Al cantóη fraréś , l’appuntamento settimanale con il dialetto e i suoi autori, torna ogni venerdì. Guarda le puntate precedenti [Qui] 

UN GRUPPO DI FERRARESI: SIAMO PREOCCUPATI
“Sindaco e Vicesindaco non rispettano le sentenze e la Costituzione”

Brucia al  Sindaco Alan Fabbri la sentenza del Tribunale di Ferrara sui buoni spesa.
Il  Tribunale, infatti, qualche giorno fa aveva bocciato la delibera approvata dal Comune di Ferrara  in “condotta discriminatoria”, ordinando all’amministrazione stessa di riformulare i criteri dell’atto. La decisione era arrivata dopo che ASGI (Associazione degli Studi Giuridici sull’Immigrazione) e i sindacati avevano presentato ricorso contro l’atto della Giunta guidata da Alan Fabbri. Il principio adottato dal Tribunale era stato che “l’assistenza e la solidarietà sociale devono essere riconosciute non solo al cittadino, ma anche allo straniero”. Il Giudice Mauro Martinelli nella sua ordinanza aveva rilevato che i criteri contenuti nella delibera della Giunta ferrarese sono discriminatori perché “contengono, per gli stranieri extra UE, il requisito del permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo, anziché i soli requisiti relativi alla condizione di disagio economico e alla domiciliazione nel territorio comunale”.
A fronte di questa ordinanza, cosa fa il sindaco Alan Fabbri? Oltre a dare mandato ai suoi uffici legali per presentare reclamo, attacca i sindacati.  

Nel giro di pochi giorni, il Vicesindaco Nicola Lodi e il Sindaco Alan Fabbri si sono scagliati in modo scomposto  contro i rappresentanti di alcuni importanti poteri dello Stato: il Prefetto e il Tribunale. Ha dichiarato il Sindaco Fabbri: “Non prendo lezioni di politica dai sindacalisti”. Forse entrambi dovrebbero prendere lezioni di Diritto Costituzionale per imparare come funziona uno Stato di diritto e conoscere cosa prescrive la Costituzione che così recita all’art. 2:   “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo…”.
E tra questi diritti, come è scritto nella sentenza del Tribunale, c’è prima di tutto il diritto all’alimentazione. Inoltre, è volgare e rozzo l’attacco  personale che il Sindaco porta al segretario della Cgil Zagatti al quale esprimiamo la nostra solidarietà.
In queste giornate le due anime della Lega ferrarese, rappresentate da Lodi e da Fabbri, hanno ritrovato l’unità. Ed è unità su alcuni fondamentali che caratterizzano la Lega fin dalle sue origini: arroganza,  disprezzo per i valori fondanti della nostra Costituzione, ovvero solidarietà e giustizia sociale.
Siamo preoccupati e proponiamo alla attenzione critica della cittadinanza uno stile di governo che in diversi ambiti si sta muovendo con spirito di divisione, discriminazione, non riconoscimento del pluralismo che caratterizza la vita associativa, politica, culturale e istituzionale della città.
P.S.
Molti lettori hanno chiesto come aderire all’appello. Per farlo, scrivere direttamente a: fiorenzobaratelli28@gmail.com

    Seguono 328 firme:

  1. Aguiari Francesco
  2. Ajmone Alberto
  3. Albano Laura
  4. Alberghini Marianna
  5. Alessandrini Nicola
  6. Alvisi Angela
  7. Andreatti Giuliana
  8. Angelini Gianni
  9. Antonelli Massimo
  10. Ardizzoni Luigi
  11. Arnoffi Sandro
  12. Atik Adam
  13. Atti Raffaele
  14. Aurora Margherita
  15. Babetto Mary
  16. Balestra Adriana
  17. Baraldi  Lorenzo
  18. Baratelli Chiara
  19. Baratelli Fiorenzo
  20. Barattoni Andrea
  21. Barattoni Massimiliano
  22. Baroni Adele
  23. Baroni Egidio
  24. Baroni Giorgio
  25. Bassi Paolo
  26. Battara Andrea
  27. Beccati Carlo Alberto
  28. Belcastro Salvatore
  29. Benazzi Nadia
  30. Benini Annalisa
  31. Benfenati Gloria
  32. Benvenuti Chiara
  33. Benvenuti Marilena
  34. Bernardini Franca
  35. Bersanetti Fabio
  36. Bersanetti Renata
  37. Bertacchini Olga
  38. Bertasi Elisa
  39. Bertocchi Gabriella
  40. Bertoni Laura
  41. Bianchi Pietro
  42. Bigoni Giuseppe
  43. Biolcati Rinaldi Andrea
  44. Bittolo Piero
  45. Boarini Milvia
  46. Bolognesi Dino
  47. Bonazza Daniela
  48. Bonazza Dino
  49. Bondi Loredana
  50. Bonfa’ Livia
  51. Bonini Paola
  52. Bonora Emanuela
  53. Bonora Fabrizio
  54. Bordini Maria
  55. Borghi Andrea
  56. Bottoni Daniele
  57. Bregola Irene
  58. Bruni Maurizio
  59. Bulgarello Nausicaa
  60. Buratti Narcella
  61. Buono De Andrade Rosangela
  62. Buzzoni Massimo
  63. Cagnoni Guido
  64. Calabrese Maria
  65. Caleffi Simonetta
  66. Callegari Vincenzo
  67. Cambioli David
  68. Campilli Alberto
  69. Cappagli Daniela
  70. Capra Lucetta
  71. Capucci Roberta
  72. Carantoni Cinzia
  73. Cardinali Sandro
  74. Cariani Daniela
  75. Casarini Roberto
  76. Castelli Lucia
  77. Cassoli Roberto
  78. Cattani  Luigi
  79. Cavallari Patrizia
  80. Caveduri  Gabriele
  81. Cavicchi Emanuela
  82. Cazzola Franco
  83. Cavallini Nicola
  84. Cecchi Luciano
  85. Celati Barbara
  86. Celeghini Gino
  87. Chendi Arianna
  88. Chiappini Alessandra
  89. Chiari Alessandro
  90. Chinelli Agnese
  91. Cia Caterina
  92. Civolani Daniele
  93. Cocchi Luigi
  94. Cocchi Paola
  95. Coghi Marco
  96. Cori Maria Grazia
  97. Cossutta Gianna
  98. Costantini Irma
  99. Crepaldi Gianpaolo
  100. Cristofori Roberta
  101. Cuoghi Tito
  102. D’Antonio Umberto
  103. Dalla Muta Graziano
  104. Dallaporta Stefano
  105. Dal Passo Sabrina
  106. Damigiano Carmelo
  107. De Iure Jorge
  108. De Marchi Mauro
  109. De Palo  Roberto
  110. Diolaiti Barbara
  111. Ducati Rosanna
  112. Dugoni Gabriella
  113. Eliot Robert
  114. Gallesini Isabella
  115. Galletti Ivan
  116. Gallinelli Franco
  117. Gallini Giuliano
  118. Gamberoni Valeria
  119. Gambetti Michele
  120. Gambi Silvano
  121. Gasparini Marco
  122. Gavioli Odilia
  123. Gennaro Cristina
  124. Gessi Sergio
  125. Ghetti Ivan
  126. Gianisella Gianna
  127. Giberti Stefano
  128. Giorgi Dario
  129. Giovannoni Beatrice
  130. Giuriola Luciano
  131. Golinelli Anna
  132. Golinelli Piergiorgio
  133. Golinelli Sergio
  134. Gozzolino Marco
  135. Grandi Enrico
  136. Grassi Leonardo
  137. Grossi Alessandro
  138. Gualandi Cristina.
  139. Gull Carola
  140. Guidarelli Guido
  141. Guidetti Ivano
  142. Guidi Simonetta
  143. Guietti Giuliano
  144. Guizzardi Sandro
  145. Guzzinati Alberto
  146. Fabbri Naty
  147. Fabbri Natasha
  148. Fabbri Stefania
  149. Faccini Anna
  150. Faggioli Lucia
  151. Fantoni Manuela
  152. Fatoum Malek
  153. Farina Carla
  154. Farina Luciano
  155. Farina Paola
  156. Ferranti Eleonora
  157. Ferrigato Cristina
  158. Ferioli Maurizio
  159. Ferruzzi Annalisa
  160. Farone Anna
  161. Felloni Daniela
  162. Ferranti Davide
  163. Ferraresi Daniele
  164. Finotti Luca
  165. Fioranelli Cinzia
  166. Fiorentini Leonardo
  167. Folletti Marcello
  168. Franchi Maura
  169. Frigerio Friz
  170. Fusari Roberta
  171. Haardt Spaeth Lisei
  172. Lavezzi Francesco
  173. Leonardi Gioacchino
  174. Levorato Chiara
  175. Lhomy Nora Raquel
  176. Libanori Daniela
  177. Lodi Daniele
  178. Lodi Giancarlo
  179. Lodi Giuliano
  180. Lugli Daniele
  181. Lugli Brunella
  182. Macinenti Roberto
  183. Malago’ Silvia
  184. Malservisi Silvia
  185. Mambriani Paola
  186. Mandini Stefania
  187. Manfredini Mauro
  188. Manfredini Monica
  189. Mangolini Fabio
  190. Mangolini Mara
  191. Mangolini Norberto
  192. Mantovani Aurora
  193. Mantovani Carla
  194. Mantovani Valerio
  195. Manzoli Silvia
  196. Maran Felice
  197. Marini Lara
  198. Marino Beniamino
  199. Martini Stefano
  200. Marzola Luca
  201. Marzola Roberto
  202. Marzola Sara
  203. Marchi Marzia
  204. Marchiano’ Giovanna
  205. Marmocchi Gloria
  206. Mascellani Mario
  207. Mazzini Sergio
  208. Menarini Loris
  209. Mazzetti Corinna
  210. Melloni Leonardo
  211. Melloni Francesca
  212. Merli Irene
  213. Messina Stella
  214. Mezzogori Andrea
  215. Micheli Mirco
  216. Milani Valeria
  217. Mirella Nicoletta
  218. Modeni Maurizia
  219. Mohammad Shahzeb
  220. Mondini Maria Grazia
  221. Morelli Roberta
  222. Mosca Gil
  223. Muntoni Alessandra
  224. Nannini Fabrizio
  225. Nannini Fiorenza
  226. Nascosi Laura
  227. Novelli Bruna
  228. Occhi Marcello
  229. Oddi Corrado
  230. Paganini Samuel
  231. Pagnoni Cinzia
  232. Pallara Lorenzo
  233. Pallara Loreta
  234. Pallara Paolo
  235. Paolucci Vittorio
  236. Parenti Maria Rosa
  237. Pareschi Sandra
  238. Patrizi Renata
  239. Pavani Anna
  240. Pavanelli Lina
  241. Peca  Maria Debora
  242. Pedroni Marino
  243. Perelli Elvio
  244. Perin Gino
  245. Peverati Carolina
  246. Peverin Paola
  247. Piccolo Maddalena
  248. Pietrogrande Margherita
  249. Piola Graziella
  250. Pirani Bruni Fiorella
  251. Pirazzini Paolo
  252. Pocaterra Claudia
  253. Pollina Alessandra
  254. Ponti Susanna
  255. Poser Michela
  256. Poverin Paola
  257. Prati Maura
  258. Presini Mauro
  259. Prevali Renzo
  260. Previati Giovanna
  261. Pusinanti Cinzia
  262. Ranzani Andrea
  263. Ravani Anna
  264. Ravani Maurizio
  265. Renga  Simonetta
  266. Ricitiello Sonia
  267. Righetti Giuseppina
  268. Rizzati Roberta
  269. Rodia Giuseppe
  270. Romagnoli Maria Chiara
  271. Rossi Francesco
  272. Rotola Carmela
  273. Roversi Milva
  274. Sacchi Luciano
  275. Salmi Fabrizio
  276. Santimone Alfonso
  277. Saponaro Irene
  278. Satta Grazia
  279. Scalabrino Sasso Giorgio
  280. Scardovelli Rita
  281. Scarpa Grazia Carla
  282. Scavo Savina
  283. Schiavi Daniela
  284. Schiavina Claretta
  285. Sitta Valeria
  286. Sivieri Annamaria
  287. Somma Alessandro
  288. Sorrentino Ugo
  289. Spisani Claudia
  290. Squarzoni Maria Cristina
  291. Stabellini Gianna
  292. Stancari Francesco
  293. Stefani Franco
  294. Stefani Piero
  295. Stefanini Milena
  296. Strozzi Veleda
  297. Tagliati Oreliano
  298. Tassinati Cardin Marisa
  299. Tassinari Chiara
  300. Tassinati Emanuele
  301. Tinarelli  Alberto
  302. Tortora Luca
  303. Trondoli Adriana
  304. Tunioli Tiziana
  305. Turati Rita
  306. Turchi Marco
  307. Valenti Graziana
  308. Varjas Andrea
  309. Vecchiattini Morena
  310. Vecchio Silvana
  311. Ventimiglia Lorenza
  312. Venturi Ivana
  313. Verri Roberta
  314. Vinci Francesco
  315. Vita Finzi Rita
  316. Venturi Gianni
  317. Valente Alfredo
  318. Vincenzi Franco
  319. Vinci Antonio
  320. Vona Vincenzo
  321. Ursino Gabriella
  322. Zaccaria Nino
  323. Zamorani Mario
  324. Zanardi Paola
  325. Zanetti Loredana
  326. Zanirato Massimo
  327. Zanotti Claudia
  328. Zucchini Maurizio

Vite di carta /
Io Khaled vendo uomini e sono innocente

Vite di carta. Io Khaled vendo uomini e sono innocente

Io Khaled vendo uomini e sono innocente è un libro duro. Oggi l’ho scelto per questa rubrica, perché può essere benissimo un libro d’occasione, nel senso che ben si attaglia al quadro confuso e tragico in cui stiamo vivendo. E’ un libro che parla della situazione attuale in Libia, di scafisti e di barconi carichi di ‘negri’, che partono verso l’Europa.

Quando lo scorso settembre Francesca Mannocchi, l’autrice, ne ha parlato a Mantova in un evento molto partecipato del Festivaletteratura e mi ha colpito questa sua frase: “Dobbiamo alzarci al mattino e pensare ad affrontare la complessità, dobbiamo fare ginnastica mentale per essere in grado ogni giorno di affrontarla”.

Lei e l’altro giovane giornalista Lorenzo Tondo stavano completando il proprio intervento su due situazioni piuttosto calde in terra d’Africa e su aspetti poco conosciuti del fenomeno migratorio; a quel punto Mannocchi ha ribadito quali risposte ha tratto dalle sue inchieste.

Sono risposte soprattutto sul metodo che deve supportare un buon giornalismo. Non semplificare, avvicinare la complessa situazione della zona in cui si sta lavorando con occhi aperti su diversi punti di vista. Nutrire dubbi, fermarsi a riflettere sui nodi irrisolti. Non semplificare ciò che semplice non è. Succede anche troppo in giro per i media.

In effetti, quando ho letto il libro su Kahled il trafficante, per lavorarci con una mia classe e quando ne ho discusso con i ragazzi in due recenti lezioni on line, ho trovato davvero impegnativa la recente storia della Libia. Khaled, che narra la propria parabola di rivoluzionario per abbattere Gheddafi prima e di trafficante poi, gira lo sguardo intorno a sé e mette a fuoco i diversi soggetti che brulicano nella Libia del dopo Gheddafi.

Tutti alla accanita ricerca di pane e denaro. Di armi. Di potere. Molti con l’atteggiamento del camaleonte, che cambia vestito a ogni nuova stagione della Storia. Difficile dire chi ora governi davvero il popolo libico: il governo di accordo nazionale guidato da Serraj e riconosciuto dall’ONU, o l’esercito nazionale di Haftar, oppure le milizie tribali, che provengono dalla coalizione dei ribelli a Gheddafi e che continuano a scontrarsi duramente.

Ancora più difficile tracciare il discrimine tra bene e male. Come ha osservato Giorgia, “In Libia a definire l’innocenza non è un principio etico”. Ha ben compreso ciò che Mannocchi ha detto a lei e ai suoi compagni, incontrandoli lo scorso dicembre al teatro San Benedetto; dagli appunti che mi ha passato Giulia leggo infatti: “Chi è un adulto occidentale cataloga il bene e il male, ma in questo caso ci sono molteplici scale di grigio”. Difficile orientarsi e decodificarle.

In un quadro come questo, è colpevole Khaled, il trafficante di migranti? Lui si definisce innocente: un figlio della Libia, che sta pagando a caro prezzo la presa d’atto del fallimento dei rivoluzionari come lui. Organizza barconi carichi di negri per l’Europa, ma si ritiene un figlio del deserto più che del mare. Rievoca l’educazione avuta dal nonno, mentre prova disprezzo per il padre a causa dei i suoi rapporti con il regime. E il nonno lo ha messo in guardia sulla voracità del mare, che vuole le sue vittime.

Sono tanti i morti in mare, i caduti dai barconi dopo mesi di attesa in terra libica, chiusi in vere e proprie carceri tra stenti e torture. Khaled organizza la loro partenza e intasca i loro soldi; pensa che smetterà, quando avrà messo da parte il denaro per comprarsi una casa a Istanbul. Non è tra i più spietati, anche se ha dovuto imparare a non sentire più niente verso i migranti che partono, verso le loro storie disperate. È deluso dalla corruzione che c’è nel suo paese, dal dopo-rivoluzione gattopardesco, che ha eliminato di scena Gheddafi, ma non la sete di potere dei diversi soggetti che si contendono il controllo sul paese.

In definitiva, come possiamo noi lettori rapportarci a Khaled? Margherita e Zoe hanno scritto che il lettore con la sua “comoda coscienza” fatica a prendere il largo dalla sua minuscola vita e a stabilire se Khaled sia il carnefice o la vittima. Simone d’altra parte ha concluso la lettura del libro, provando un brivido e finisce il suo intenso commento dicendo: “Solo alla fine del libro si può capire davvero chi è Khaled: uno scafista sì, ma prima di tutto un uomo!”

Questi ragazzi del quarto anno di liceo hanno diciotto anni. Hanno sentito pronunciare da noi insegnanti chissà quante volte la parola ‘complesso: “è un problema complesso”,” la complessità del quadro culturale” e cento altre espressioni simili. Bene, ora sono immersi dentro una fase complessa della loro s(S)toria.

La lettura di Io Khaled vendo uomini e sono innocente è nata come una iniziativa della scuola rivolta al libro che ha vinto l’ultima edizione del Premio Estense. I ragazzi hanno messo in campo la loro sensibilità e, perché non dirlo, la fatica di leggere un libro come questo. Hanno ascoltato me che avevo già incontrato l’autrice, hanno incontrato lei e l’hanno ascoltata parlare della Libia ed anche della sua professione di reporter.

Voglio credere che in un’attività di questo tipo abbiano fatto ‘ginnastica mentale’ e si siano allenati almeno un po’ ad affrontare la ‘complessità’ nel metodo prima che nel merito, come ha indicato Francesca Mannocchi, ponendo e ponendosi domande. Da un libro alla realtà che hanno intorno non è cosa facile. D’altra parte la competenza ad affrontare nuovi problemi passa anche dalla conoscenza di quadri vicini e lontani da noi, dalla lettura, specie se condivisa e messa come oggetto di discussione. La competenza passa dalla scuola, dai libri.

Non posso dimenticare quello che, sempre a Mantova lo scorso settembre, ha detto Michela Murgia durante la presentazione del libro-capolavoro di Valeria Luiselli, Archivio dei bambini perduti. Un libro che restituisce la migrazione dei bambini dell’America centrale verso gli States col respiro grande dell’epica, l’epica di questo nostro tempo. Un libro che per temi e struttura e profondità dello sguardo io giudico un capolavoro.

Michela Murgia ha fatto emergere dalla conversazione con l’autrice il valore di un racconto, che rende giustizia a una realtà poco studiata, non raggiunta da certo giornalismo frettoloso e semplificatorio, dai servizi televisivi che mostrano una carrellata di migranti ‘a volo di uccello’; poi ha fatto un pausa, ha fissato il pubblico e ha detto: “Fidatevi della letteratura”.

Consigli di lettura:

  • Francesca Mannocchi, Io Khaled vendo uomini e sono innocente, Einaudi Stile Libero EXTRA, 2019
  • Lorenzo Tondo, Il Generale, La nave di Teseo, 2018
  • Valeria Luiselli, Archivio dei bambini perduti, La Nuova Frontiera, 2019

Per leggere gli altri articoli e indizi letterari di Roberta Barbieri nella sua rubrica Vite di cartaclicca [Qui]

I DIALOGHI DELLA VAGINA
A DUE PIAZZE – Tre maschi ai tempi del…

L’isolamento affettivo e il vagheggiamento a distanza. I lettori uomini raccontano come vivono il loro distanziamento asociale.

Il benzinaio

Cara Riccarda, caro Nickname,
il mio isolamento affettivo lo vivo in contatto omeopatico via etere, immagazzinando combustibile per le prossime fiammate.
Marco

Il cameriere

Cara Riccarda, caro Nickname,
io apparecchio quasi tutte le sere davanti a uno schermo.
F.

Il pavido

Cara Riccarda, caro Nickname,
l’ho conosciuta prima che i confini venissero chiusi, siamo stati insieme una volta sola e poi, solo il video ci ha uniti fino a oggi. E continueremo così perché abitiamo in regioni diverse. Ma io mi chiedo, come sarà un rapporto in presenza ora che mi sto abituando a guardarla soltanto da lontano? A volte una punta di paura mi prende perché la conosco più a distanza che da vicino.
G.

Cari uomini,
ma soprattutto amico G., che ammetti di temere quello che in molti preferiscono, cioè la mediazione piuttosto che il contatto. L’appiattimento sull’unica forma di interazione che in questi mesi ci è stata possibile (lo schermo), è vero che può innescare anche il dubbio di come sarà poi tornare a vivere in mezzo agli altri. Ci dovremo riabituare e cambiare ritmo soprattutto perché contatto è diventato sinonimo di contagio e credo che la prudenza la praticheremo ancora per molto e in modo istintivo. Quando la rivedrai, ti dominerà, senza che tu te ne accorga, la memoria olfattiva, quel profumo di lei che sicuramente non hai dimenticato.
Riccarda

Da Nickname
@ Marco,
molti apprezzano l’omeopatia, nonostante lo scetticismo della scienza ufficiale. Piuttosto, attento a che non esploda il serbatoio del combustibile.

@ F.,
nel senso che dietro lo schermo c’è qualcuno, o nel senso che il tuo partner è uno schermo?

@ G.,
spero tu abbia avuto il tempo di innamorarti del suo odore. Altrimenti il ritorno alla carne potrebbe essere spiazzante. Male che vada, ritorna in quarantena e goditela da lontano.

Potete scrivere a parliamone.rddv@gmail.com

SE VI CAPITA DI PARLARE CON IL FRIGORIFERO…
Shock, terapia d’urto e lo scippo della conoscenza

La conoscenza negata. Ne scrive anche Roberto Saviano su L’ Espresso della settimana scorsa: “Il trattamento riservato alla scuola è una metafora del trattamento riservato alla conoscenza: semplicemente non è una priorità”. Ci troviamo di fronte a un grande enigma cognitivo: l’incapacità di valutare la portata del pericolo imprevisto che insidia le nostre vite, perché al sequestro delle nostre esistenze non corrispondono gli strumenti per conoscere e comprendere senza essere vittime dell’infodemia a cui concorre anche il governo.
Questa è la prima grave lesione che ha subito il tessuto democratico della nostra convivenza. Non essere padroni di noi stessi perché ci vengono sottratte le fonti della conoscenza, le chiavi di lettura riservate alla scienza e ai manipolatori della comunicazione, lo schermo della trasparenza è infranto, per trattarci come bambini incapaci di essere responsabili e da gestire solo con i divieti e i castighi, non fare questo non fare quest’altro, un popolo infantile, che va preso per mano da un governo padre padrone.

Non credo che ci sia un pericolo tanto grande da giustificare a lungo tutto questo. Di fronte alle minacce ci si attrezza, innanzitutto fornendo a tutti le conoscenze, non quelle per fini strumentali, ma quelle reali, perché ciascuno sia dotato dei mezzi per riconoscerle, per difendersi e assumersi le proprie responsabilità. Passato l’impatto del primo assalto, si dispone l’ambiente per riprendere la vita, non si chiudono le persone nei loro recinti, con un’ibernazione delle vite in attesa di una rinascita.
Stare in casa senza governare il sapere induce a scivolare in uno stato di shock, porta a vivere soli con la propria condizione di confusione e turbamento, esposti e vulnerabili di fronte all’autorità e alle sue parole. Neppure il terrorismo islamico, che il coronavirus pare aver sconfitto, visto che è scomparso dall’orizzonte e dall’informazione, ha indotto tale terrore.

L’attacco alla Costituzione non sta nelle modalità scelte dal governo per assumere decisioni e provvedimenti, ma abita nel disorientamento prodotto sulla popolazione, nell’aver confuso i poli e le direzioni.
Ascoltiamo la scienza ma poi decide il consiglio dei ministri. Nessuno di noi possiede il controllo sul linguaggio della scienza e neppure sulle ragioni della politica, che determinano l’azione del governo. Così si manovra la popolazione usando gli strumenti già collaudati dello shock e della paura, anziché fornire ad ogni cittadino le armi per essere in grado di condurre la propria battaglia.
Fino a ieri il brand della politica era il razzismo e la paura dell’altro, ora l’altro sfila nelle bare trasportate dai carri dell’esercito, per scomparire nelle ceneri della cremazione, innalzando di fronte agli occhi dell’opinione pubblica la trincea dell’orrore, per chiuderci nelle nostre case con la ‘terapia d’urto’, con la sindrome della apocalisse farcita dalle invocazioni papali, che dall’inizio della pandemia ci vengono quotidianamente somministrate dalla televisione di stato. Che siamo ad un’era dell’umanità che necessita ancora di queste liturgie è spaventoso, offensivo, pericoloso.
Se questo è il brand della classe politica che ci governa, significa che essa non è all’altezza e che noi siamo alla disperazione. Dai non luoghi di Marc Augè, siamo giunti ai non luoghi dell’epidemia: gli ospedali, le scuole a distanza, le nostre case, le nostre città e paesi.

La conoscenza, che spinge a sapere e ad agire, è stata beffata dal dogma della paura e dell’obbedienza. Invece di apprendere a difenderci dal virus si è preferito innalzare la religione del virus, il demone che si appropria delle vite, il demone a cui immolare i corpi, il demone a cui pagare il tributo di sangue. Si attendono i responsi di Pizia sugli umori del demone e si invita il popolo a celebrare i sacrifici.
Senza conoscere è difficile riprendere in mano la propria vita, che ora è in ostaggio dei dati e dei grafici che ogni giorno ci vengono propinati senza che ci sia concesso di comprendere come gli stregoni li abbiano confezionati. E l’assoluta mancanza di conoscenze, di controllo, di garanzie, l’assenza di trasparenza sono gravi non solo ora, ma lo saranno tanto più dopo, quando dovremo affrontare le conseguenze violente di questo shock e certamente non potremo farlo ancora tenuti per mano da un governo padre padrone che ci impone come doverci comportare.

Intanto, chiusi nelle nostre solitudini, non siamo più quelli di prima, imbrigliati nella tela di ragno del web, spinti dalla ricerca della conoscenza e dalla voglia di incontrare altre intelligenze per porre un argine al nostro disorientamento. Ciò che prima dello shock ci pareva da combattere, come l’eccessiva esposizione dei nostri ragazzi allo schermo del computer, con i pericoli del cyberbullismo, ora, con la scuola a distanza, non allarma più.
Il web, i social e i nostri device digitali ci hanno catturati, con il rischio di una metamorfosi sociale, di una nuova antropologia, di un villaggio di rinchiusi nei propri mondi virtuali, forse più facile da controllare e governare. Potrebbe allora essere che diventi buono il comunicato dell’Ordine degli psichiatri: “Se parlate ai muri o al frigorifero, non preoccupatevi, contattateci solo se vi rispondono”.

LA FOTO DEL ‘POLIFEMO’ DI BALAMOS TEATRO
sulla Cover di National Geographic Italia, Maggio 2020

Da: Ufficio Stampa Balamòs Teatro – Ferrara

La copertina della rivista National Geographic del mese di Maggio 2020, ha una foto tratta dallo spettacolo “voci e suoni da un’avventura leggendaria”, diretto da Michalis Traitsis, regista e pedagogo teatrale di Balamòs Teatro e responsabile dei laboratori teatrali al Centro Teatro Universitario di Ferrara, con gli allievi delle prime classi medie della scuola “T.Tasso” di Ferrara, la partecipazione della musicista Martina Monti, che è stato presentato alla Camera Anecoica dell’Università di Ferrara il 6 Maggio 2019.

Lo spettacolo era la conclusione del progetto teatrale “Sguardi Diversi”, promosso dal Comune di Ferrara, in collaborazione con l’Università di Ferrara, Centro Teatro Universitario dell’Ateneo e la
Fondazione Teatro Comunale di Ferrara.

Siamo molto soddisfatti per questo risultato, frutto di un lavoro di ricerca teatrale pluriennale e perseverante con le giovani generazioni che si svolge in più direzioni (scuola, teatro, università, carcere), e che mette in campo e in sinergia attraverso un lavoro di rete, il Comune di Ferrara, l’Università, la Scuola, gli Istituti Penitenziari di Venezia e la nostra Associazione.

BUONGIORNO PROF, LE SCRIVO PERCHE’…

Alice:
Buongiorno prof,
le scrivo perché so di essere ascoltata e perché probabilmente nessuno meglio di lei in questo momento può capirmi. L’attesa è molto peggio dell’azione. Noi ragazzi continuiamo a brancolare nel buio, non sappiamo di che morte dobbiamo morire; continuiamo ad aspettare risposte da febbraio. Mi mancano le aule, gli atri, i corridoi. I miei ritardi brevi, che stavo ormai collezionando attentamente dalla prima. Mi mancano i cambi d’ora, le ore buche, ma anche l’ansia di un’interrogazione a tappeto. Mi manca pensare “quanto mi mancherà tutto questo”.
Non avrei mai pensato mi mancasse così tanto il liceo ancora prima di finirlo, forse mi manca proprio, perché mi è stato portato via prima del previsto. Eppure, sembra che cinque anni non siano abbastanza per darci una valutazione completa: il sistema esige un esame conclusivo.
Ho chiesto a molti miei amici che cosa ne pensassero della didattica online e i risultati sono tutti pressoché simili: i maturandi dicono no, gli universitari dicono sì. La risposta che mi sono data, considerando il risultato, è stata molto semplice in realtà. L’ambiente universitario ha un modus operandi completamente diverso dalla scuola superiore, l’autonomia è un’esigenza, mentre alla scuola superiore è semplicemente una qualità aggiuntiva. Su alcuni social, sono state aperte pagine che rifiutano la maturità 2020 e con le quali, personalmente mi trovo in completo accordo. Non per l’esame in quanto tale, ma per quello che sta diventando. Un unico orale ridotto a brandelli e che è solo la parodia dell’esame di stato, eppure non sia mai, non ci si può rinunciare.
Spero che la scuola, una volta per tutte glorifichi quello che siamo e che siamo stati da cinque anni a questa parte e che, se proprio dobbiamo farlo, abbia più importanza del nostro orale claudicante.
Non so più in cosa sperare, scusi il disturbo, le auguro una buona giornata, a domani.

Roberta:
Cara Alice,

sei stata ascoltata. Dal Miur arrivano ormai quotidianamente ordinanze, voci, sussurri e grida. Direi che è più di una voce il meccanismo del voto, che sarà in centesimi, ma con i pesi capovolti: peso del curricolo nel triennio fino a 60 punti e peso del colloquio d’esame fino a 40. Rischiate poco. Una sorta di garantismo più o meno palpabile farà sì che usciate poco segnati dalla esperienza dell’esame. Ti manca, però, l’ambiente della scuola. Senti la mancanza dei piccoli riti di ogni giorno, sia i tuoi (ahimè, i piccoli ritardi), sia quelli collettivi e piuttosto antichi che chiami ‘interrogazione a tappeto’ (dove l’idea di ‘strage’ regna sovrana). Se interpreto bene la parte in cui dici che ti manca il liceo perché ti è stato portato via prima del previsto, vorresti averlo assaporato fino in fondo, esame compreso. Lo accetteresti come un rito di passaggio che fa paura, ma al tempo stesso vi marchia e vi promuove a una fase più adulta della vita; e come te lo affronterebbero molti tuoi compagni. Lo vorresti regolare. Con tutte le sue fasi. Tu che ami scrivere, vorresti affrontarla la sfida degli scritti, vorresti svelarti. A che scopo allora ridurre tutto ad un esamino? Resta il rischio, resta la paura prima di affrontare il colloquio, ma si annulla ogni sentore epico. O tutto o niente. Finiamola così, con uno scrutinio. Me ne avevi fatto cenno e io ci ho riflettuto. Sento che hai ragione. Sarebbe plausibile che ad una emergenza tanto carnevalesca corrispondessero soluzioni altrettanto decise e radicali. Su questa spinta, ti dico che potrebbe anche essere modificato il calendario scolastico. Potremmo accorciare la lunga pausa estiva, per esempio. Potremmo modificare, oltre ai tempi, anche i metodi dell’attività didattica. Ricorderai le tante volte in cui la rigidità dell’orario scolastico è stata un impaccio alle nostre iniziative fuori dalle mura della scuola. Torno all’esame che dovremo affrontare, ognuna di noi due nel suo ruolo. Sono aggiustamenti, Alice. Svolgere un colloquio davanti ad una commissione di soli docenti interni con un presidente esterno è un aggiustamento; non sappiamo ancora con certezza se da remoto o ‘in praesentia’. Lo voglio dire così, con l’espressione latina che mi fa assaporare fino in fondo il piacere, almeno quello, di vederci mentre parliamo. Spero almeno di varcare la soglia del liceo per un po’ di giorni, quelli così luminosi di giugno. Spero che potremo  vederci e giocare con gli sguardi e sorriderci per darci accoglienza reciproca. Vorrei sentire il profumo che avete messo per l’occasione, percepire le vostre mani sudate. Questo colloquio salverà il valore legale del vostro esame, almeno credo. E se ripenso alla mia carriera, non è certo  la prima volta che sono chiamata a riempire di senso un’esperienza che sulla carta sembra averne poco. Vedi, anch’io vado per aggiustamenti, mi assesto su alcune sfumature di grigio, laddove tu opti per il bianco o per il nero. Non ho da un pezzo la tua età, ma l’ho avuta e ne ricordo bene il paesaggio interiore. Voglio dirti con questo che eserciteremo insieme il nostro senso critico verso quello che siamo chiamati a fare, ma lo faremo. Ce la faremo.

P.S. Domani, mentre siamo connessi, ne parliamo anche con i tuoi compagni

Su questo stesso quotidiano leggi anche: 
PANDEMIA E CLAUSURA di Loredana Bondi
BUONGIORNO RAGAZZI, SIETE CONNESSI? di Alice & Roberta

PANDEMIA E CLAUSURA
La parola ai ragazzi: Maria, Klea, Giorgia, Iris

Nell’articolo che ho scritto qualche giorno fa su ferraraitalia [Qui]  mi ponevo il problema di come vivono, cosa sognano i bambini e i giovani in questo lungo e strano periodo di pandemia. Si è praticamente chiuso il loro rapporto diretto con la scuola, con lo sport, con i loro interessi e con gli amici, stravolgendo le relazioni interpersonali che facevano parte del loro quotidiano. Me lo sono chiesta anche perché, sfogliando la rassegna stampa dal mese di febbraio ad oggi, di scuola, di ragazzi e di insegnanti si è parlato ben poco. Quel che è certo è che tutte le scuole e i servizi educativi resteranno chiusi almeno fino a settembre. Nell’articolo dicevo che mi sarebbe piaciuto più di ogni altra cosa – abituata come sono a pensare al valore della educazione permanente e dell’apprendimento in qualsiasi momento della vita, basato anche e soprattutto sulla qualità delle relazioni fin dai primi anni di vita – sapere cosa pensassero di questa nuova condizione i nostri bambini, i nostri giovani, costretti loro malgrado a starsene in casa, agganciati perennemente alla comunicazione in rete. Credo sia importante sentire la voce dei giovani, dei ragazzi e delle ragazze, dei bambini e delle bambine. Ho raccolto alcune testimonianze, che vorrei condividere su questo network, alcuni spunti e riflessioni che ritengo utili a sollecitare un approfondito confronto.

MARIA – 10 anni da Milano:
“Questo articolo secondo me è molto, molto bello. Tratta argomenti veritieri e di cui si dovrebbero occupare tutti. Mi è piaciuto molto il fatto che la signora Bondi abbia cercato il parere dei bambini. Non molti adulti infatti prendono in considerazione il nostro parere. Ma sbagliano. Secondo me, la voce di un bambino, piccolo o grande che sia, è priva di favoritismi e quindi più sincera. Lo dico in tutta sincerità, non credo che questa sia la ‘semplice diffusione di un virus’, questa è una pandemia! Ed è anche grave! Quindi penso che sia doveroso fermare questo mondo. La colpa non la do a nessuno, neanche al virus. Espandersi è nella sua natura e noi non dobbiamo e non possiamo dare la colpa a lui. Anche se dobbiamo impegnarci per sconfiggerlo. Il web sicuramente aiuta molto ma, essendo una persona che riesce anche a stare in solitudine, non credo sia cosi necessario. I miei insegnanti hanno iniziato relativamente tardi a fare le video-lezioni; una settimana dopo l’inizio della quarantena hanno inviato i compiti sulle piattaforme scolastiche, ma solamente ieri hanno iniziato a fare le video-lezioni. La scuola secondo me sta facendo quello che deve fare, cioè continuare a fare lezione. Certo, se facesse qualcosa in più le sarei grata, per esempio interrogarmi, perché io adoro essere interrogata. Sento la mancanza delle relazioni dirette, anche se riesco a parlare con quattro/cinque amici, che però sono ‘veri’. Il telefono con le video-chiamate aiuta, ma ovviamente non è lo stesso rispetto al parlarsi faccia a faccia. Sarebbe importante che le scuole riaprissero –naturalmente in sicurezza- e che i ragazzi provassero insieme ai loro insegnanti a rivedere il modo di fare scuola .Bisognerebbe iniziare già da subito ad adattarsi a questa nuova situazione.
Il futuro sicuramente non sarà lo stesso, perché come ogni malattia, questo virus lascerà il segno e probabilmente, quando se ne andrà, dovremmo attenerci a precauzioni molto più rigide. Ma personalmente penso che alla fine dovremmo accettarlo. Perché non mi faccio mica delle illusioni: è naturale che non tornerà tutto come prima. Penso che il comportamento umano debba e possa cambiare, usando le misure restrittive e stando molto attenti all’igiene personale. Sicuramente stare più attenti a se stessi e agli altri.
La lettura mi aiuta molto soprattutto perché io la adoro. Inoltre penso che molte persone stanno abusando della tecnologia; insomma è utile, certo, ma pensiamo magari ai videogame: molti bambini giocano alla playstation due o tre ore nei tempi normali, ma adesso ci giocheranno molto di più, fermandosi solo per dormire, mangiare e occasionalmente fare i compiti. E questo non credo sia salubre. In queste settimane ho notato che molte persone danno molta più importanza a coloro con cui parlano, persone che prima quasi non consideravano, passandoci anche delle ore. Quindi penso che almeno una cosa positiva c’è nelle relazioni: stiamo iniziando a dare importanza a ciò che prima consideravamo superfluo e scontato.”

KLEA PEROCI – 15 anni liceale di Ferrara:
“Ritengo fermamente che il lockdown, a cui siamo stati sottoposti sia dovuto ad una tutela della salute pubblica e perciò assolutamente lecito. Sarebbe più appropriato parlare di mancata responsabilità della gente, più che di colpa effettiva. Infatti, ad oggi, dopo quasi due mesi da quando è stata dichiarata la situazione di emergenza da Covid-19, il numero dei contagiati rimane elevato. Alla luce di ciò, si deduce che i decreti non siano stati adeguatamente rispettati da una parte della popolazione. Per quanto riguarda i sistemi comunicativi, sicuramente il web rappresenta uno strumento attraverso il quale è possibile continuare ad intrattenere le relazioni personali. Tuttavia non sostituisce affatto il contatto diretto. Purtroppo sono costretta ad affermare che utilizzo maggiormente la comunicazione virtuale, a discapito della lettura. Infatti, avendo numerosi impegni scolastici, i momenti in cui mi fermo a leggere un libro sono quantomeno rari. Raramente mi ritrovo a discutere con la mia famiglia di quanto mi manchino le mie amiche ed i miei compagni di classe, ma credo che se ne rendano conto dal fatto che spendo parecchie ore della mia giornata, chiacchierando con loro in video-chiamata. Al momento svolgo le video-lezioni esclusivamente con l’insegnante di matematica e fisica e con la docente di italiano e storia. Senza dubbio, la mia realtà attuale non corrisponde a quella a cui si assisterebbe in classe. L’immagine dell’insegnante, appiattita sullo schermo del mio pc, non coincide con l’insegnante ‘in carne ed ossa’, così come chiedere la parola, attivando un microfono, non sostituisce l’alzata di mano durante la lezione. Ritengo che il comportamento umano possa cambiare, anzi sarebbe auspicabile un tale cambiamento. Spero che gli uomini imparino ad essere più rispettosi nei confronti del prossimo, meno intransigenti ed indifferenti rispetto a quello che li circonda, e che imparino a non sottovalutare l’importanza dei piccoli gesti, capaci di renderli felici.”

GIORGIA – 17 anni, studentessa liceale di Ferrara:
“In questo periodo di reclusione, non posso vedere le mie migliori amiche, i miei parenti. Tuttavia, grazie ai social media, posso sentirli ogni giorno. Ritengo però che ciò non sia assolutamente un ‘degno sostituto’ delle relazioni sociali ‘dal vivo’: preferisco mille volte abbracciare una persona a cui voglio bene, chiacchierarci per ore, uscire a prendere un gelato in centro…Ma dato che ora non posso farlo, almeno cerco di mantenere i contatti. Vivendo con i miei genitori, ho comunque un po’ di compagnia e discutiamo spesso di questa situazione così ‘paradossale’: dobbiamo solamente resistere e pensare positivo, non facendoci contagiare dal panico collettivo, che talvolta si intravvede nella gente, anche solo appena si esce di casa. Questo periodo di quarantena, può essere un periodo di intensa riflessione, che può cambiare a livello interiore, ma non solo. A livello esteriore, fisico, si può cercare di mangiare più sano, facendo attività fisica, o in ogni caso  dedicarsi alla lettura, oppure ascoltare la musica o, ancora, suonare uno strumento. Questo può aiutarci molto a capire il mondo. Nei nostri atteggiamenti, anche verso gli altri, bisognerebbe incoraggiare la solidarietà, il rispetto, l’educazione, che purtroppo sono spesso tralasciati dagli adolescenti, ma anche dagli adulti (e ciò è ancor più grave). A mio parere, questa pandemia è come se fosse un modo da parte di Mother Earth di dirci di fermarci, perché stiamo esagerando: inquinamento, surriscaldamento globale… La scienza ci dice che, riducendo gli spostamenti per via della quarantena, è possibile diminuire l’intensità dei fattori inquinanti e alcuni grafici ci dimostrano quanto sia notevole il cambiamento rispetto a prima. Questo deve servirci da incentivo a comportarci meglio anche nei confronti dell’ambiente. Eppure, persino in questo difficile periodo della nostra vita, che stiamo vivendo tutti insieme (e forse questo ci rende meno soli), io riesco a sperare in un futuro diverso: un futuro in cui possiamo tornare ad abbracciarci, ad uscire insieme, a viaggiare e visitare i posti più belli del mondo. Ma non tutti  la pensano come me: molti ragazzi della mia età sono più pessimisti e non riescono, in questo momento e in queste circostanze, ad intravvedere un loro futuro. Suggerirei, a chiunque di  prendere questo periodo come un momento di riflessione, di meditazione, un modo per conoscerci meglio e cercare di migliorarci, di essere sinceri con noi stessi ed accettarci per ciò che siamo.”

IRIS – 17 anni  studentessa liceale di Ferrara.
“…Nonostante non frequenti la scuola oramai da un mese, le attività scolastiche proseguono a distanza e tengono impegnati gli studenti di tutta Italia. Tutte le mattine frequento le lezioni, anche se comodamente da casa e non vi sono variazioni rispetto al carico di compiti assegnati. Probabilmente gli insegnanti desiderano conservare gli stessi schemi della vita quotidiana, da noi spesso sottovalutata e di cui sentiamo sempre più la mancanza. In effetti, mi chiedo perché riusciamo ad apprezzare ‘la normalità’ solo quando questa viene a mancare. Passiamo il tempo a lamentarci degli innumerevoli impegni scolastici, che sottraggono tempo prezioso alle attività che più preferiamo svolgere, senza renderci conto dell’importanza che esercitano su di noi un’amichevole chiacchierata a scuola, una battuta che scatena grasse risate, o una passeggiata in bicicletta. Attività semplici, quasi banali, ma essenziali. Tuttavia, devo anche sottolineare che è stato proprio durante queste ultime settimane che ho riscoperto il piacere di guardare un film in famiglia, di dedicarmi alla lettura di un libro, di rispolverare un gioco da tavolo e tanto altro. Talvolta mi sono fermata a riflettere e mi sono convinta che l’emergenza da coronavirus rappresenta una vera e propria lezione di vita.  È in queste situazioni che scopriamo di non essere invincibili, ma fragili e vulnerabili. Ripensiamo a quanto avremmo potuto essere più pazienti, più cortesi, più generosi nei confronti del prossimo, così come molti paesi hanno dimostrato in questo periodo (Cina, Russia, Cuba e Albania), inviando staff medici in soccorso dell’Italia. Altri ancora si sono mobilitati donando al nostro paese milioni di mascherine e preziose attrezzature sanitarie. Sempre più spesso, mi tornano in mente gli appelli di medici e scienziati di non vanificare lo sforzo sanitario restando in casa. Dunque una questione di responsabilità e altruismo: tutelare tutti coloro che curano e che tutti i giorni rischiano la propria vita. Tuttavia, devo ammettere che l’immagine che più di tutte mi ha commossa è stata quella di vedere i due paramedici del Magen David Adom, il servizio di soccorso sanitario israeliano, pregare insieme. Uno ebreo, Avraham Mintz, in piedi e rivolto verso Gerusalemme, e l’altro musulmano, Zoher Abu Jama, in ginocchio con il volto in direzione della Mecca. Riporto le parole di quest’ultimo, degne di nota: “Questa è una malattia che non fa distinzione di religione o di altro genere. Le differenze le mette da parte. Lavoriamo insieme, viviamo insieme; questa è la nostra vita. Il virus non fa distinzioni di età, sesso, razza e religione, perché noi uomini invece siamo sempre propensi a farle e spesso in senso negativo?”

Al cantón fraréś
Bruno Zannoni: I canaròl dal Délta

Una poesia sul canaròl, che assieme al brazànt, al pascadór e al scariulànt abitavano il Delta del Po. Negli endecasillabi dell’autore sono efficaci le immagini del lavoro come sopravvivenza: la fatica (i fas bumbà ch’i péśa cóm al piómb), la miseria (… chi caśón tirà su con tri pal e uη muć ad cana), l’ambiente ostile (pùntagh, saηguétul, bis, vèsp e ziηzàll,), la fame (par amìga la fam, e da magnàr aη gh’jéra gnént).
Avviso ai lettori:
Al cantóη fraréś , l’appuntamento con il dialetto e i suoi autori vi terrà compagnia tutti i venerdì. Non perdetevelo. 
(Il curatore della rubrica: Ciarìn)

 I canaròl dal Délta

I źóvan j’a-n al sà quànta fadìga
l’à fat, chi źó int la bàsa, tanta źént
quand che la gh’éva, sóla, par amìga
la fam, e da magnàr aη gh’jéra gnént.
Bén, tra sta źént a gh’jéra i canaròl
coi pié intrigà int la màlta dal bunèl
par tut ‘n iηvéran (ill n’è mina fòl!)
a cójar cana ch’taja cmé uη curtèl,
la faza e ill man e tut chi miśar straz
ch’i s’è infasà ch’i par di buratìn;
e indóv an taja ill cann, al róśga al giaz
cla càran d’póvar stiàη séηza destìn.

Iη cla spianàda d’cann a gh’è l’iηféraη:
pùntagh, saηguétul, bis, vèsp e ziηzàll,
mó lór j ‘à da tajàr, pr’un témp etéran;
e quànd s’avśìna al scur sóra la val
j’a-s càrga sóra ill spall i fas bumbà
ch’i péśa cóm al piómb, ch’j’agh stróηca j’òs
che’ gnàηca ill cann ill par avér pietà
d’st’j’óman e dònn con źa la mòrt adòs.

A s’è fat óra ormài d’andàr in tana:
l’è quést al nóm più giùst par chi caśón
tirà su con tri pal e uη muć ad cana
indóv j’a-s cùcia d’nòt sóra i pajóη
che quànd sul délta a sùpia fòrt la buóra
i fnìs a mój, senz’usta, d’na marèa
ch’a par ch’l’a-s gòda a far pagàr ηcóra
àltar suplìzî a źént sémpr’in trincéa.
E al vént ch’l’intìzia iηcóntr’a lór al mar
al squàsa chi caśón e al spiηź al fum
źó dal camìn e, acsì, tant par scarzàr,
al śmòrza dal carbùro l’ùltim lùm.
Sóra na fiàma stràca ch’la trabàla,
una scudèla coi faśó par zéna;
l’è cvérta d’mufa la pulénta zala,
l’aqua dal Po da bévar, l’è na péna.

Chi dì ch’a pióv o quànd dal mar l’arìva
una fumàna ch’par una muràia,
an s’véd, là sul bunèl, n’ànima viva
ch’j aspèta, i canaròl, sóra la paia
sperànd ch’al témp a s’tira su a la svélta,
e coη peηsiér ch’j’a-s màśara int al mój,
acsì cóm ill marzìs ill cann dal délta
a i dì d’iηquó, che più nisùn a cój.
di Bruno Zannoni

Traduzione dell’autore
I cannaiuoli del Delta (del Po)
I giovani non sanno quanta fatica / ha fatto, qui giù nella bassa [1], tanta gente / quando aveva, sola, per amica / la fame, e da mangiare non c’era niente. / Ebbene, fra questa gente c’erano i cannaiuoli[2] / coi piedi affondati nel fango del bonello[3] / per tutto un inverno (non sono mica storie!) / a raccogliere canna tagliente come un coltello, / il viso e le mani e tutti quei miseri stracci / con cui si sono fasciati, che sembrano fantocci[4]; / e ove non feriscono le canne, ròsica il ghiaccio / quella carne di povera gente senza destino. /

In quella spianata di canne c’è l’inferno: / topi, sanguisughe, rettili, vespe e zanzare, / ma loro devono tagliare, per un tempo eterno; / e quando si approssima il buio sopra la valle / si caricano sulle spalle i fasci inzuppati / che pesano come il piombo, da stroncargli le ossa / poiché nemmeno le canne sembrano avere pietà / di questi uomini e donne con già la morte addosso. /

Si è fatta l’ora ormai di andare nella tana: / è questo il termine più giusto per quei casoni[5] / tirati su con tre pali e un mucchio di canna, / dove si accucciano di notte sopra i pagliericci / che quando sul delta soffia forte la bora / finiscono a mollo, senza rispetto, di una marea / che sembra si diverta a far pagare ancora / altri supplizi a gente sempre in trincea. / E il vento che aizza contro di loro il mare / sconvolge quei casoni e spinge il fumo / giù dal camino e, così, tanto per scherzare, / spegne l’ultimo lume del carburo. / Sopra una fiamma stanca che traballa, / una scodella con i fagioli per cena; / è ricoperta di muffa la polente gialla, / l’acqua del Po da bere, è una pena. /

Nei giorni in cui piove o quando dal mare arriva / una nebbia che sembra un muro, / non si vede, là sul bonello, un’anima viva / poiché aspettano, i cannaiuoli, sopra la paglia / sperando che il tempo si rimetta al più presto, / e con i pensieri che si macerano nell’umido, / così come marciscono le canne del delta / ai giorni nostri, poichè nessuno più le raccoglie.

[1] La zona del territorio della provincia di Ferrara che si trova a ridosso del delta del fiume Po.
[2] Così venivano chiamati, nei primi anni del 1900, i raccoglitori di canne palustri delle quali, nelle plaghe del delta del fiume Po, si faceva incetta, per quattro soldi, per la fabbricazione di scope e di graticci.
[3] Bonello (terreno buono): piccola porzione di terreno emergente in una valle.
[4] I cannaiuoli cercavano di proteggersi dalle canne taglienti, fasciandosi volto e mani con miseri stracci.
[5] Abitazioni improvvisate, costruite con pali e canne palustri, ove si ricoveravano i cannaiuoli per rifocillarsi e riposare.

Poesia premiata al Concorso Nazionale di poesie dialettali “Vittorio Monaco” di Pescara del 2016.

Bruno Zannoni (Bagnacavallo 1940)
Ha lavorato per decenni al petrolchimico di Ferrara, impegnandosi nel Sindacato Chimici Confederali. Oggi svolge attività volontaria per il Centro studi e ricerche socio-economiche CDS. Nato in Romagna, vive da decenni a Ferrara. Scrive in entrambi i dialetti, con ampie soddisfazioni nei concorsi nazionali. Ha recentemente pubblicato: I miei dialetti. Rime in romagnolo e in ferrarese (con traduzione a fronte), Napoli, Kairòs Edizioni, 2018.

Cover: Foto di scena tratta dallo sceneggiato televisivo Il mulino del Po di Sandro Bolchi, 1963