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Covid-19 e discoteche:
nuova ordinanza

Da: Ufficio Stampa Regione Emilia-Romagna

Coronavirus. Discoteche, nuova ordinanza della Regione: capienza ridotta del 50% e obbligo di indossare sempre la mascherina. Chiusura immediata del locale non appena accertate le infrazioni. Bonaccini e Corsini: “Stretta per evitare che il contagio rialzi la testa. Servono comportamenti responsabili”

Il provvedimento in vigore dalle ore 13 di domani, 15 agosto, vale per quelle all’aperto ora in esercizio in Emilia-Romagna sulla base delle norme anti-contagio decise alla ripresa

Nuova ordinanza della Regione per contrastare il Coronavirus. E’ alla firma del presidente Stefano Bonaccini un provvedimento – in vigore dalle ore 13 di  domani – che affronta il tema discoteche. Naturalmente si parla di quelle ora in esercizio in Emilia-Romagna, cioè quelle che hanno le caratteristiche per essere aperte sulla base delle norme anti-contagio decise nelle settimane scorse, alla ripresa. Si ricorda infatti che le discoteche ‘al chiuso’ non hanno riaperto.

L’ordinanza prevederà che il numero massimo di persone che possono entrare non sia superiore al 50% della capienza massima normalmente autorizzata. E prevede l’obbligo di indossare sempre la mascherina all’interno del locale, compreso durante il ballo, ammesso, va ricordato, solo in presenza di piste all’aperto.

Altra novità che sarà introdotta dall’ordinanza è la chiusura immediata del locale, senza alcun rimando ad ulteriori pratiche amministrative, se viene accertato dagli organi di vigilanza il mancato rispetto delle norme fissate dall’ordinanza stessa.

“Vogliamo evitare comportamenti che permettano al contagio di rialzare la testa- affermano il presidente della Regione, Stefano Bonaccini, e l’assessore al Turismo, Andrea Corsini-. Per questo è necessario rafforzare prevenzione e controlli, un impegno che va di pari passo con lo straordinario lavoro che i servizi sanitari stanno facendo nei territori grazie all’azione di tracciamento dei casi di positività al virus”.

“Una stretta- concludono il presidente della Regione e l’assessore al Turismo- utile anche a evitare che divertimento e svago possano lasciare spazio ad atteggiamenti irresponsabili, anche solo di pochi, che possano vanificare il lavoro di questi mesi. A tutela dei giovani stessi, ragazzi e ragazze, che devono sapere di non essere immuni o al riparo dal virus”.

PAROLE A CAPO
Silvia Tebaldi: “Terna estense”

“Tu sei colui che scrive ed è scritto.”
Edmond Jabès 

Terna estense

I

Poi si ha un bel dire, ma infine è qui che si torna
sempre, anche solo con il pensiero:
le quattro torri, i Diamanti, la meridiana
equinoziale dei Prioni, la Certosa
che mette a dura prova l’ateismo
con la bellezza; e l’orto di là, in cui tutti siamo
stranieri. E le quattro lune di Giove
tra il Capo delle Volte e Centoversuri.
Ma certo, è perché qui eravamo giovani,
penso guardando fuori quando il treno
oltrepassa la Darsena e il Volano
e passo il ponte e la punta di San Giorgio
Porta d’Amore Assiderato i baluardi
Salinguerra e contrada della Morte
poi detta Ghisiglieri, in cui misuravo
la mia altezza su quelle pietre d’angolo
di là dall’occhio della volta.
Ah ma vuoi dire, tu stai in una città
che uscite senza ombrello, che la pioggia
inizia quando terminano i portici:
poi però torni qui,
dove l’ombrello è meglio se ce l’hai
e di rado hai del tempo da passare
nella bellezza, ma poi ti porti via
come un hangover che dura tre giorni
la sindrome di Stendhal, e poi ritorni
per qualche ora e dopo riprendi il treno
oppure la Porrettana, e verso Gallo
o il metano già ti senti come
come dire, un vagabondo del Dharma.

 

II

In questa foto dieci per quindici si vede
l’ala dell’Ippogrifo che sorvola
la piazza verso le sette del mattino:
il listone, il castello, la Giovecca,

piume. Ignoriamo se tornasse
dalla luna o da un giro sui sobborghi
corrosi dalla crisi, con le crepe
del terremoto del duemiladodici;

poi è planato fuori porta, dove molti
secoli fa correva il fiume (nostra prima
radice) tra vecchi capannoni e buche.

Astolfo ha tagliato a piedi per i campi,
berretta storta, sigaro e mani in tasca –
certo, ci sarebbe voluta la tua Nikon.

 

III

Notte viene ogni notte, notte viene
per tutti. Siamo tutti parenti e non solo
qui in questa piazza, campo catino abside,
in questo accendersi di luci contro
la sera, contro la notte che viene.
Dunque era questa la capsula del tempo
che dicevamo da ragazzi, da nerd, da lettori
di Bradbury. Una capsula del tempo mezza rotta,
collabente in alcune particelle
immobiliari e con lavori di ripristino
malfatti, eppure ci si vede dentro
e lo spazio è più di quanto immaginassi,
e il tramonto è un re cremisi.
E poi, guardando meglio,
c’è come una felicità quasi
inumana,
che non mostra legami con gli eventi
che sta lì come il corpo, come i coppi
e lo scalone in cui ci sono tutti
i nostri passi.
Come un contener dentro moltitudini
qui in piazzetta. E c’è ancora il ragazzo
che acchiappa chi si è perso chi sta cadendo
giù da un campo di segale, solo che non lo vedi
ora, come il fienile che si sgretola,
la casa vuota, il prato fuori porta.

Silvia Tebaldi, ferrarese, a Bologna dal 1985. Ha scritto un romanzo, Vuoto centrale (pubblicato nella collana Walkie Talkie diretta da Luigi Bernardi, Perdisa Pop, 2009) e alcuni racconti, pubblicati in antologie (la più recente è Deaths in Venice, a cura di Laura Liberale, edita da Carteggi Letterari nel 2017) e online (su «Poetarum Silva», su «Argo» e su «Malgrado le mosche»). Ha lavorato in diversi uffici, biblioteche e ospedali. Fotografa, apprendista nella scrittura in versi, calligrafa e acquarellista a tempo perso.

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Cover: Remo Brindisi: Castello Estense

PER CERTI VERSI
La mia fatica

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio.
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MI DICEVA LA SIGNORA

lo sai cosa mi pesa?
Questa testa a ciuffi di calvizie
E questi venti chili
Di pancia tesa
Che non vanno giù
Sono guarita e offesa
Mi guardo
E non mi riconosco più
Dopo la chemio
E non l’accetto
Mi diceva la signora
Dal bel viso
Accanto
Al mio solito letto

LA MIA FATICA

anch’io ho fatto la mia fatica
A digerirmi così
Senza capelli
Che l’impiegata mi disse
Che quasi non mi riconosceva più
Tanto ero cambiato
Dal collo in su
I miei boccoli
Erano il passato
Lei l’aveva detto con franchezza
Mi aveva misurato
Con la mia debolezza

SEI SOLO E PRECIPITI

sei solo e precipiti
Con il tuo mondo
Fino a che avverti
Il baratro
È senza fondo

DIARIO IN PUBBLICO
Il bombolaro e altre storie del Laido

Tra una bomba d’acqua e l’altra, tra epiche montagne di spaghetti allo scoglio, tra il su e giù dei vacanzieri in infradito e polpacci in vista, ingordi del passeggio sul trascurato e discusso viale Carducci epicentro della popular-movida, succede che i miti e rassegnati pseudo-radical-chic-noi, in lotte perenni con il dirimpettaio che esonda la strada con acqua e detersivo, proibitissimi in suoli pubblici, stiano cuocendo le tagliatelle da servire con vero pesto alla genovese agliato, quando, d’improvviso, dal fornello si alzano lunghe, fumose, giallastre lingue di fuoco. All’unisono risuona il verdetto: “La bombola del gas è finita!“. Immediatamente ci si precipita a telefonare all’unico distributore in zona. Risponde una voce severissima che annuncia l’arrivo: ore 16. Mi metto in moto un quarto d’ora prima e arriva il bombolaro. Il deposito delle bombole non è al piano, ma nel cortiletto dietro, chiuso da una saracinesca che impedisce, come del resto si è avverato, l’accesso a chi è in vena di furti. Chiedo se per cortesia mi aiuta ad alzarla, ma il gentiluomo con aria severissima mi spara un “niet!” degno d’altri tempi, visto che il suo è un altro lavoro che non contempla questi abbassamenti lavorativi. Umiliato e imbarazzato penosamente m’attacco non al tram ma alle sbarre. Inutilmente; finché il bombolaro sbuffando m’aiuta. Con fare rabbiosetto mi cambia velocissimo la bombola e sentenzia: “40 euro”. Gliene allungo 50 e ancor più brontolando scava tra i soldi che estrae dalla tasca finché trova il decino di resto e sparisce, ammonendomi di lasciare la saracinesca alzata se non riesco a chiuderla. Penso frattanto “Ma la ricevuta? Che sia un accordo tra impresa e amministrazione non lasciarla?”. Un parente che di queste cose s’intende sentenzia che siamo in regime di monopolio, lasciandomi a meditare.

Ai ‘laidensi’ l’ardua sentenza.

Ci arrischiamo in spiaggia dopo giorni e finalmente raggiungiamo la postazione, helas! accanto al campo di beach volley. Una troupe di ragazzini gioca e condisce il ritmo con un infilata di bestemmie che fa rimbombare le orecchie. Indifferenza totale da parte dei vicini d’ombrellone in parte, immagino, parenti. Alla più sonora chiamo il bagnino, che imbarazzato mi spiega che ha provato a zittirli senza successo. Chiedo allora di cambiare posto, ma nel tempo ferragostano risulta la mossa una pia illusione. Mentre digerisco la sconfitta arriva il mio pronipotino chiamato Sapientino: otto anni e trionfante mi annuncia che in settembre diverrò zio di un peloso, Benny, che spesso verrà lasciato da noi. Si aprono i cieli, squillano le trombe trionfali e mi sento felice. Sapientino sorride sornione, esibendomi le prove fotografiche dei genitori del cocker e della tenerissima bellezza di lui. Ci guardiamo negli occhi e riprovo dopo tanto tempo il sapore della felicità e nel cuore risuonano i versi di Eusebio-Montale:

Felicità raggiunta si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla
al piede, teso ghiaccio che s’incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t’ama.

Mi alzo indifferente alle provocazioni delle ‘sciacquette’, che come un mantra ritornano dal mare borbottando bestemmie.

Per fortuna ancora di giovani sani di cuore e di mente ce ne sono tanti.

PAROLE A CAPO
Roberto Dall’Olio: “Sogno ad occhi aperti”

“La poesia dice troppo in pochissimo tempo, la prosa dice poco e ci mette un bel po’. In ogni caso io godo nel minacciare il sole con una pistola ad acqua”.
(Charles Bukowski)

SOGNO AD OCCHI APERTI

Ne abbiamo appena fatto uno di sogni ad occhi aperti
Che tagliano la strada a quelli della notte
Tolgono la mente dai loro piedi
E senza cielo non hanno aria
Per una volta almeno
Gli occhi aperti
Hanno vinto su quelli chiusi
Che meraviglia
Forse in segreto si sono collusi

Prima abbiamo brindato alle nostre poesie
A noi
Alle nostre vite
Poi abbiamo brindato a noi
Alle nostre vite
Alle nostre poesie
Poi abbiamo brindato
Alle nostre gioie
Alle nostre follie
A tutte le vacche che non sono nere
Poi ci siamo ubriacati
E con l’ultima bottiglia
Ce ne siamo andati

Dovevo spiegarti Hegel
Dentro al saccoapelo
Tu entrata vestita perché hai freddo
Io un po’ meno
Perché mi va di sentire il contatto su tutta la pelle
In un groviglio di gambe e di stelle

Dopo se ci può essere un dopo
Dentro al saccoapelo e i frammenti teologici giovanili
Col prosecco che richiama
Altro prosecco
E il dubbio che l’infinito abbia bisogno di vino nero
Sempre per le vacche
Ma anche per davvero
Tu scegli i vestiti a seconda di come mi vedi
Io me li tolgo a seconda se ti vedo

E così cominciamo a ridere
Lo facciano anche da sobri
Cominciamo a ridere
A ricordare
Tutte le nostre storie
A non ricordare bene
Piovono frammenti di luce
Le tue azioni di disturbo
Sono diventate dolcissime
Serenate
Alla nostra notte

Roberto Dall’Olio (1965), bolognese, docente di filosofia e storia al Liceo Classico Ariosto di Ferrara. Ha pubblicato diversi volumi di poesia. E’ del 2015 il poema “Tutto brucia tranne i fiori” Moretti e Vitali editore- nota di Giancarlo Pontiggia postfazione di Edoardo Penoncini – con il quale ha vinto il premio Va’ Pensiero 2015. Con l’editore L’Arcolaio ha pubblicato il poema “Irma” con note di Merola, Muzic, Sciolino, Barbera e la raccolta di poesie “Se tu fossi una città” con nota di Romano Prodi. Vive a Bentivoglio nella pianura bolognese ove è presidente della sezione locale dell’A.N.P.I.

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SCHEI
Senza infamia niente Lodi

Secondo me c’è ancora qualcuno che pensa che sbattere in prima pagina il curriculum degli illeciti del Vicesindaco di Ferrara possa far cambiare opinione a chi l’ha votato. Come se cercare di fottere schei al Fisco e non pagare l’avvocato fosse incompatibile con un incarico istituzionale.

Ma scusate. Un individuo diventato una specie di affettuosa macchietta dell’italiano di successo, al punto da essere chiamato solo col suo nome proprio (Silvio) sia dai sostenitori che dai detrattori, ha iniziato la sua carriera da imprenditore con fondi e garanzie della banca Rasini, dichiarata dagli stessi mafiosi come la banca che riciclava il denaro sporco (ci ha lavorato il padre, di Silvio); attraverso un suo plenipotenziario siciliano, collezionista di libri antichi e frequentatore di uomini della Cupola, ha stipulato un patto di reciproca protezione con la mafia corleonese, facendosi proteggere personalmente da un certo Mangano, ospitato come stalliere a casa sua ad Arcore e definito da Paolo Borsellino come una delle teste di ponte della mafia siciliana verso il Nord Italia; ha occupato abusivamente frequenze televisive, facendosele sanare ex lege; è uscito indenne da quasi tutti i processi a suo carico (tranne uno, per frode fiscale, per cui è stato condannato) perchè prescritto, amnistiato o perchè il reato è stato depenalizzato in Parlamento dall’opera delle sue squadre di avvocati/parlamentari; ha utilizzato le prestazioni sessuali di ragazze anche minorenni (non lo dico io, lo dice la sua ex moglie) allestendo le sue festicciole, pare, anche in sedi istituzionali; è stato uno dei primi tesserati alla loggia P2 di Licio Gelli, mandante della strage di Bologna. A guardare le accuse a cui è sfuggito – nel senso che non ha scontato la pena – altro che persecuzione giudiziaria delle toghe rosse, viene da dire che ha avuto dalla sua buona parte della magistratura giudicante. Costui è stato Presidente del Consiglio per complessivi dieci anni, superando Andreotti e superato per durata solo da Giolitti e Mussolini. Con il suo impero editoriale costruito su un colossale conflitto di interessi (a un certo punto agito direttamente, da capo del governo), costui è il personaggio che ha modificato in maniera più profonda, capillare e duratura il costume e la cultura di massa dell’italiano, con una notevole sagacia, oltre che con una inarrivabile disinvoltura. Il partito da lui fondato è stato sbeffeggiato dall’intellighenzia anzitutto per il nome scelto (Forza Italia, simile ad un coro da stadio), dopodichè è arrivato a prendere più del trenta per cento dei voti degli italiani, che sono andati direttamente a lui, perchè Forza Italia non esiste senza di lui.

L’Italia è il paese che, per una volta (di solito accade il contrario), ha anticipato gli Stati Uniti d’America, lanciando la moda del tycoon al potere. Anche negli USA molti lo ritenevano impossibile, eppure sono stati capaci di eleggere Presidente uno i cui hotel e casinò sono finiti per sei volte in bancarotta tra il 1991 e il 2009, in gran parte a causa dell’incapacità di saldare i debiti contratti o di rinegoziare i debiti con le banche, i proprietari e i piccoli creditori. Uno che al settimanale Newsweek nel 2011 dichiarò: “Ho sempre giocato con le leggi sulla bancarotta – vanno molto bene per me”. Uno che disse a tal proposito: “Ho utilizzato le leggi di questo paese per pagare i miei debiti… Be’, abbiamo una compagnia. Metteremo tutto a bilancio. Negozieremo con le banche. Faremo un grande affare. Sapete, è come al The Apprentice. Non è un fatto personale. Sono solo affari”.

Troppa gente continua ad ignorare la saggezza di Ennio Flaiano, che affermò: “nel nostro paese la forma più comune di imprudenza è quella di ridere, ritenendole assurde, delle cose che poi avverranno”. In un panorama simile, continuo a stupirmi del fatto che ci sia molta gente che non capisce come un sedicente disabile che corre dietro a disabili veri, che festeggia per piazza stile “è arrivato l’arrotino” in pieno lockdown, che parcheggia l’auto regolarmente sotto il Comune, che filma la Jacuzzi che si è fatto montare nella casa popolare che continua ad abitare, nonostante si attribuisca un lauto indennizzo come amministratore – pignorato dall’ Agenzia delle Entrate  – possa continuare a fare il Vicesindaco della città. Ma signori, quello è il suo posto. Avesse osato di più, a quest’ora sarebbe presidente di Regione, un Formigoni, un Galan. E’ questione di proporzioni.

Purtroppo stiamo tutti contribuendo a forzarle, queste proporzioni, attribuendo a questo individuo la forza che non ha. Noi gliela diamo, questa forza – ed io contribuisco con questo pezzo una tantum, promettendo a me stesso che non lo farò più. Lodi avrebbe preso tante preferenze: no, ha preso un migliaio di preferenze su centomila aventi diritto, circa un ferrarese su cento. Certo, è quello che ne ha avute di più, ma perchè tutti gli altri candidati ne hanno prese di meno. Un ferrarese su cento ha espresso la sua preferenza per il piccolo guitto da sagra paesana, e allora? Quando un signore di questa statura, dall’alto delle sue mille preferenze, si guadagna, di rimbalzo, articoli di giornale sulla stampa francese e inglese, monologhi pseudosatirici dei neopolemisti italiani alla moda (tendo a diffidare di chi costruisce la sua carriera esclusivamente sullo sputtanamento altrui), servizi di prima pagina sui magazine di approfondimento in prima serata, vuol dire che è proprio il mondo dell’informazione a fornire a questo soggetto il propulsore per lanciare i suoi “messaggi” più lontano di quanto potrebbe fare con le sue sole mani. E’ l’informazione malata e ridicola a conferirgli quei superpoteri da supereroe dei bar, e la cosa più grave è che uno dei megafoni più efficaci della sua “attività” glielo fornisce l’informazione “progressista”, amplificando le sue gesta a dismisura, come se questo potesse spostare minimamente l’opinione di qualcuno che gli ha espresso la sua preferenza. Nessuno che venga sfiorato dal sospetto che chi gli ha espresso la sua preferenza lo abbia fatto esattamente perchè costui è fatto così. Che senso ha, mi chiedo, dirsi tanto popolari quando si consegna, ingenuamente, nelle mani dell’avversario una delle armi mediatiche più basiche della pop art? Andy Warhol diceva che non devi leggere la stampa che ti riguarda, devi pesarla. In questa città ci sono almeno due personaggi che non hanno lo stesso spessore culturale, ma che accomuno per la capacità di volgere a proprio favore gli strali dei nemici, nutrendosi dell’ossessiva e scandalizzata attenzione altrui. Credo che chi si sente da un’altra parte dovrebbe dichiarare quali sono le sue ragioni e proposte alternative, per il presente e il futuro. Credo che chi è stato dall’altra parte, e ha perso, dovrebbe chiedersi se far saltare in aria ventunomila risparmiatori senza muovere un dito (e non parlo del sindaco Tagliani), anzi talora rivendicando la bontà dell’operazione, non sia stato il perfetto brodo di coltura del Masaniello della Bassa.

Lavoratori spolpati per una finanza internazionale sempre più grassa

Difendere la capacità di spesa dei lavoratori. Perché la quota salari è stata erosa dalle necessità della globalizzazione

Dagli anni ’80 la globalizzazione ha distrutto il mercato interno, assolvendo una necessità del capitalismo finanziario. A pagarne il prezzo, in termini di domanda aggregata e di pil, è stata la quota destinata ai lavoratori e alla classe media e a sopperire a tale mancanza è stato lo Stato. La teoria dei bilanci settoriali spiega che i soldi possono venire solo da tre ‘dimensioni’ economiche, ovvero dall’estero (esportazioni maggiori delle importazioni), dal bilancio delle famiglie e delle imprese e dal bilancio dello Stato. Quindi non risulta particolarmente complicato, osservando il grafico seguente, capire chi abbia subito scelte così devastanti per gli equilibri interni di una nazione.

Il grafico che segue è tratto dai lavori di qualche anno fa del prof. Alberto Bagnai

E porta ad interessanti considerazioni, sempre anticipate anni orsono dallo stesso prof. Bagnai:

La quota salari si impenna prima nel 1963, a seguito di un primo ciclo di lotte operaie che si associano anche a una fiammata del tasso di inflazione, che raggiunge il 5%. L’inflazione accelera nuovamente nel 1969, a seguito dell’autunno caldo, che porta pure lui a un aumento dell’inflazione. Segue, nel 1974, l’esplosione dell’inflazione dovuta al primo shock petrolifero. In quell’anno il salario reale smise di crescere, perché operai e sindacati erano stati colti di sorpresa, e la quota salari si flesse leggermente. Poi, dall’anno successivo, le lotte che portarono il Partito Comunista Italiano al proprio massimo storico in termini elettorali (34% nel 1976) spingono la quota salari a un massimo storico del 51%.

Dal divorzio (fra Tesoro e Banca d’Italia) in poi è una continua flessione, che porta la quota salari a toccare, all’entrata dell’euro, i valori dell’inizio degli anni ’60.

 

In pratica quando i sindacati lottavano per i salari ed esisteva un partito che effettivamente rappresentava i lavoratori il benessere, in termini finanziari, cresceva equamente distribuito mentre l’inflazione, al contrario di quanto spesso si dice, non erodeva i salari, cioè a soffrire per l’inflazione non erano i lavoratori ma il capitale. E sempre seguendo lo stesso ragionamento possiamo vedere dal successivo grafico, che proviene dalla stessa fonte, la quota salari rispetto alla produttività

Che ci dice evidentemente che quando i salari crescono più della produttività non ne bloccano la crescita stessa mentre la stabilizzazione dei salari… stabilizza anche la crescita, cioè quando non crescono i salari diminuisce la crescita della produttività e di conseguenza si soffre il mal di PIL. Lottare contro l’inflazione è stato come lottare contro lavoratori e famiglie in nome di Weimar e dello Zimbawe che invece avevano avuto ben altre ragioni di esistere, storiche e sociali prima di tutto, e solo dopo economiche. Purtroppo le nostre classi dirigenti sono state breve a fare i loro interessi utilizzando anche argomenti senza fondamenta.

Di seguito il grafico con dati OCSE che mostra quanto i salari in Italia si siano fermati agli anni ‘90

La quota salari dunque e inequivocabilmente perde terreno. Allo stesso tempo imprenditori e affaristi (in senso positivo) hanno continuato o migliorato i loro guadagni e poiché da una parte i lavoratori e le famiglie potevano comprare, in aggregato, sempre di meno e la nostra bilancia commerciale si è tenuta su di un sostanziale e più che dignitoso pareggio viene da se che a coprire il gap sia stato lo Stato attraverso la tanto vituperata spesa pubblica. Che, infatti, è aumentata a dismisura proprio dagli anni ’80 sia per l’aumento degli interessi sui titoli di stato (nel 1981 ci fu il “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro per cui a decidere l’interesse sui Titoli negli anni successivi furono i mercati finanziari) sia perché lo Stato dovette coprire il gap di domanda aggregata (cioè doveva spendere quei soldi che i lavoratori e le famiglie non riuscivano più a spendere) a sostegno del risparmio e delle aziende. Anche di quella parte dell’industria che oggi ritiene lo Stato il ladro del futuro dei nostri figli.

Lo Stato, in termini di bilancio, ha fatto bene il suo lavoro mentre sbagliate sono state le scelte politiche e di investimento effettuate da chi aveva il potere di farle, ma non sempre la legittimazione. Di fatto il mercato interno è stato seriamente compromesso e a fare danni ci si è messa anche la sinistra che invece di difendere il lavoro e i salari ha preferito accodarsi alla guerra all’inflazione e alla sovranità politica e monetaria. Di conseguenza la bilancia commerciale ha cominciato a rivestire importanza sempre maggiore, esportare merci per recuperare capitali è un modo per compensare la carenza di domanda interna e legittimare l’abbassamento dei salari.

Dipendere dall’estero invece di concentrarsi sulla capacità di spesa interna, però, non è un buon modo di pensare al futuro e questa scelta, combinata con la distruzione dei confini (politici e monetari) rende i più deboli sempre più indifesi. Non saranno certo i mercati o le élite, la cui esistenza oggi ammettono anche giornalisti non schierati con il complottismo mondiale, a difenderli o a spendersi per i loro diritti.

Affidare alle grandi imprese e all’economia “sciolta” da impegni comuni i destini dei lavoratori è stato un grande errore, lo Stato doveva e deve vigilare e persino dirigere quanto basta, ma evidentemente chi ha occupato le leve del potere ha lavorato per il capitale con il supporto di sindacati, giornali e TV. Il sociale sta allora scomparendo dietro una parvenza di benessere diffuso e di opportunità per tutti ma solo se perdiamo di vista l’aggregato che invece ci racconta la storia vera.

Cosa sarebbe allora urgente fare? Riprendere in mano i destini della politica economica per aumentare la capacità di spesa interna, quindi un aumento dei salari che recuperi la quota persa negli ultimi decenni secondo il principio che direttamente o indirettamente tutti partecipiamo a realizzarli e che se si decide di vivere in una società bisogna accettarne anche gli impegni conseguenti di solidarietà oltre che di partecipazione. Bisognerebbe poi tenere aperti i confini agli stimoli culturali, scientifici e di normale partecipazione alla storia umana ma chiuderli alla globalizzazione finanziaria, dei capitali e delle imprese in modo da salvaguardare i nostri lavoratori e le nostre famiglie cosa che aiuterebbe anche a migliorare le condizioni lavorative all’estero. Si pensi a cosa succede nel mondo della moda, lo schiavismo esportato per risparmiare a volte un euro a capo per massimizzare i profitti di poche grandi marche, il tutto possibile solo a causa delle scelte di non intervento dello Stato, del liberismo economico e della globalizzazione finanziaria.

Difendere le aziende dalla necessità di concorrere in maniera non controllata deve essere visto come una necessità per difendere il lavoro, non servono sussidi per tenerle aperte ma regole che le difendano dalla concorrenza esterna in modo da permettere che possano vivere di domanda interna, il che porterebbe alla corrispondenza tra salario e produttività che altrimenti potrà essere raggiunto solo balcanizzando. Saremo cioè produttivi quando riusciremo a produrre beni da vendere all’estero a prezzi da mercato cinese e viene da sé che per farlo i salari dovranno sempre di più adeguarsi al ribasso.

BUFALE & BUGIE
L’ascensore maledetto: cosa dice davvero lo studio scientifico

Terrorista: quante volte al giorno sentivamo pronunciare questa parola fino allo scorso anno? Sembrava fosse riconosciuta da chiunque come la colpa del secolo, ma dovevamo ancora affrontare quella che da mesi chiamano “transizione alla nuova normalità”.

La persona asintomatica – rispetto a quale malanno, tuttavia, non è mai specificato – è la nuova figura untrice dei nostri tempi. Tanto che, quando il 15 luglio lessi sull’Huffington Post “Così un’asintomatica ha contagiato 71 persone prendendo un ascensore”, il puzzo di notizia farlocca non ha tardato a palesarsi. La ricerca scientifica cui si fa riferimento, pur mostrando un titolo concettualmente identico, non ne giustifica l’utilizzo a fini giornalistici. Mentre chi appartiene al mondo scientifico, infatti, possiede le competenze utili per leggere gli studi pubblicati, che quasi mai presentano dimostrazioni assolute, chi non ne fa parte rischia di assumere per certo dati che certi non sono. L’indicativo presente sfoggiato dall’articolista afferma una verità assente nello studio scientifico, ma addirittura non è quest’ultimo la sua fonte, come risulta evidente dall’informazione secondo cui il viaggio in ascensore della donna asintomatica sarebbe durato sessanta secondi. Dato, questo, apparso sin dai primi articoli [vedi qui] battuti dopo circa una decina di giorni dalla pubblicazione della ricerca, e non presente in quest’ultima. Leggendo con attenzione il paper che imposta e rende pubblica la questione, e che al momento attuale è un semplice report della ricerca condotta non definitivo e suscettibile di modifiche, è già il primo capoverso a indicare l’interpretazione fornita come probabile, e non sicura. Al contrario di quanto si legge sul sito italiano, non è detto che il focolaio sia partito dalla donna asintomatica: lo stesso studio afferma che le prime cinque persone ipoteticamente infettate dalla donna, per via indiretta, non hanno seguito nei giorni precedenti un regime di quarantena – solo lei è stata tenuta a farlo, provenendo dagli Stati Uniti – . Semmai, non hanno frequentato luoghi a trasmissione sostenuta del SarsCov-2, secondo i dati utilizzati a riguardo. Il fulcro del problema è tuttavia un altro. La vicenda studiata è ambientata in piena epidemia primaverile, tra marzo e aprile, e difficilmente è attualizzabile ai giorni in cui se ne è data notizia, per non dire che è impossibile estenderla ai mesi futuri.

Di certo sappiamo che la ricostruzione esposta dal notiziario non consegna al pubblico la corretta chiave di lettura: se anche l’ipotesi epidemiologica in discussione fosse la più probabile, i risultati sarebbero utili semplicemente per comprendere le modalità specifiche di diffusione che hanno caratterizzato questo determinato virus nel periodo e nel luogo descritti. Nessun allarme in vista.

Etica e sapere: le chiavi della cittadinanza

Mentre la scuola sui banchi a rotelle corre verso il collasso, a settembre tornerà in cattedra l’insegnamento dell’educazione civica dai tre ai diciott’anni. Educazione civica è un binomio che non mi piace. Non mi piace “educazione”, non mi piace “civica”. Innanzitutto perché si chiamava così già nel 1958, quando fu introdotta nell’insegnamento a partire dalle medie, lasciando fuori l’avviamento professionale e la scuola elementare, che ancora aveva la religione cattolica come “fondamento e coronamento dell’istruzione”.

Sessantadue anni dopo si presume che paese, scuola e mondo siano profondamente cambiati e con loro le categorie e i paradigmi con cui guardarsi intorno. Ci si poteva almeno preoccupare di segnare la differenza. In compenso la distanza l’ha marcata, nel frattempo, la sociologia, facendo della dimensione “materiale” della cittadinanza l’oggetto dei suoi studi.

Educazione poi richiama ‘conformismo’, ‘forgiare’ e ‘plasmare’ secondo un modello che deve rendere tutti uguali, con finalità che sono state predefinite altrove, lontano dai progetti di vita delle persone. Una dimensione da ‘educazione nazionale’, di cui la storia del secolo che ci siamo lasciati alle spalle si è già incaricata di denunciare tutti i possibili effetti deleteri.

Civica: civis, il cittadino. Il ‘civis romanus’ distingueva il cittadino romano da chi cittadino non era. La nostra Costituzione, al contrario, non compie questa discriminazione, tutela la cittadinanza anche di chi cittadino non è, perché straniero.

Cittadinanza possiede una valenza più ampia di cittadino, perché esprime l’azione dell’individuo nel contesto della comunità politica, segna la linea di demarcazione tra il cittadino passivo e il cittadino attivo. Si può essere cittadini modello, rispettosi delle leggi, delle norme e dei regolamenti e non praticare la cittadinanza, perché impedita, quella che oggi rivendichiamo come cittadinanza attiva.

Un’idea di educazione civica, dunque, troppo parente del ‘law and order’. Il sospetto è che a ispirare la legge sia stata questa preoccupazione inconfessata di fronte all’incapacità di ricomporre un tessuto sociale che si va sempre più lacerando. E poi perché tornare a irrigidire il tutto nel nozionismo e nella valutazione, come una sorta di secondo voto in condotta. Tutto era già scritto prima in Cittadinanza e Costituzione delle Indicazioni Nazionali. Una pratica alla cittadinanza da crescere e vivere con coerenza, a partire dalla organizzazione della vita scolastica e dalle relazioni al suo interno, fino alla trasversalità disciplinare e ai rapporti con il territorio e con il mondo. Non un’educazione, ma un apprendimento permanente, un modo d’ essere, di vivere da esercitare ogni giorno a scuola come in famiglia e nella società.

Non era l’educazione civica che doveva entrare a scuola, semmai era la scuola che doveva incontrare l’educazione civica fuori, nella società, nelle relazioni con il territorio, nella coerenza delle condotte, nella gerarchia dei valori, nell’organizzazione e nel modo di funzionare delle istituzioni, nel loro rapportarsi con i cittadini, a partire dai giovani. Un apprendimento diffuso nel tessuto della società e dei luoghi dell’abitare. Perché se questo manca non c’è educazione civica che possa funzionare. Mentre il cittadino è quello che rispetta le leggi, che sta alle regole, la cittadinanza è molto di più, perché la cittadinanza è anche assunzione di responsabilità.

Nella legge e nelle linee guida ministeriali per l’insegnamento dell’educazione civica non compaiono né l’etica né  il ‘bene comune’. Si parla dei “beni comuni”, ma si tace del “bene comune”, della responsabilità che ognuno porta nei confronti di sé e degli altri, il labile confine tra l’osservanza della legge e l’etica delle condotte. L’etica, terreno delicato soprattutto per il rapporto tra giovani e adulti, per la coerenza dei comportamenti di questi ultimi, la loro testimonianza, la pratica dei precetti che si intendono inculcare con l’educazione. Etica e bene comune avrebbero dovuto occupare il centro della formazione ‘civile’ dei nostri giovani. Civile in quanto educazione alla convivenza.
Ma non è così.

Forse si è trattato di un ‘lapsus freudiano’, perché avrebbero messo in imbarazzo la credibilità degli adulti e del paese. L’etica della cosa pubblica violata dalle forze dell’ordine alla magistratura, dalle istituzioni alla politica, dalla corruzione all’evasione fiscale, dove non pagare le tasse od esportare i soldi nei paradisi fiscali è da furbi. Per non parlare dei mali endemici, dai segreti di stato, alle stragi di cui ancora non si conoscono i mandanti, fino alla ‘ndrangheta, mafia e camorra e la loro connivenza con gli apparati deviati dello stato.

L’etica per Aristotele è una scienza eminentemente pratica, dove il sapere deve essere finalizzato all’agire. Il ‘sapere’. Ecco ciò che rende debole questa idea di educazione civica. Perché a fare la differenza con la società del 1958 è proprio il sapere. Quelli erano ancora gli anni della alfabetizzazione, la scuola di massa neppure era all’orizzonte.
Oggi l’educazione permanente ha superato, almeno in teoria, la scuola di massa, siamo entrati nell’epoca della “società della conoscenza”, quella che l’Europa ha proclamato vent’anni fa con il Memorandum di Lisbona, ma che legge e linee guida ministeriali ignorano.
Società della conoscenza, perché nel ventunesimo secolo il sapere è divenuto la questione centrale di ogni cittadinanza. Possedere il sapere in continua evoluzione, per essere in grado di orientarsi nella complessità che cambia rapidamente la geografia dei pensieri e del mondo, possederlo oggi è la chiave di tutte le democrazie e dell’esercizio dei diritti della persona.

Non è sufficiente ricordarsi di fare oggetto di studio l’Agenda 2030 dell’Onu, semmai citando la questione della sostenibilità ambientale per poi tacere della sostenibilità sociale, dalla parità di genere, alla lotta all’omofobia e alla transfobia, fino al fenomeno epocale delle immigrazioni. Apprendere ad essere cittadini significa innanzitutto essere culturalmente attrezzati per districarsi tra complessità e molteplicità sempre più crescenti, per governare le contraddizioni, per penetrare oltre la superficie delle cose, per essere capaci di orientare il processo di costruzione del proprio sapere.

Se la nostra scuola non sa fare questo prima di ogni altra cosa, nessuna Costituzione, per quanto robusta, come nessuna Agenda 2030 potranno colmare il vuoto di formazione, di autonomia e di libertà delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi, né potranno garantire un futuro sostenibile per l’ambiente, la società e l’economia.

TERZO TEMPO
Sport e movimento Black Lives Matter: uniti per gli stessi obbiettivi

Negli Stati Uniti continuano le proteste esplose in maniera capillare dopo l’uccisione di George Floyd da parte di Derek Chauvin, un ufficiale di polizia bianco di Minneapolis che lo ha tenuto bloccato a terra per quasi 8 minuti. L’onda di queste proteste si è diffusa a macchia d’olio in tutto il mondo e gran parte degli sportivi di ogni disciplina si sono allineati, chi più chi meno, con i manifestanti che chiedono giustizia e parità di trattamento da parte delle istituzioni americane. Lewis Hamilton, Megan Rapinoe, LeBron James e tantissimi altri hanno dimostrato solidarietà concreta al movimento delle proteste; i giocatori della Premier League sono scesi in campo con la scritta Black Lives Matter sul retro delle maglie al posto del loro nome. L’ondata ancora oggi, dopo quasi due mesi, non si ferma. Il movimento vuole unire diverse lotte sotto la bandiera dell’uguaglianza e lo sport può essere un veicolo importante per smuovere le coscienze della gente.

In passato infatti è stato fondamentale nelle lotte per i diritti civili: il primo giocatore afroamericano a calcare i parquet dell’NBA fu Earl Lloyd nella stagione 1950/51, quattro anni dopo la fondazione della lega avvenuta nel 1946. In quegli anni, nella Major League Baseball (la lega nazionale americana di baseball) fece il suo esordio Jackie Robinson che nel 1947 approdò ai Brooklyn Dodgers (gli attuali Los Angeles Dodgers) diventando il primo nero della storia della MLB. Per la lega nazionale football, la NFL, si attese ancora qualche anno: James Harris divenne il quarterback dei Buffalo Bills nel 1969, rompendo il muro dei pregiudizi anche nel football americano.

Prima dell’apparizione nelle maggiori leghe sportive americane di questi tre atleti, gli afroamericani giocavano in campionati a parte, sparsi un po’ in tutto il paese.
Facendo un salto in avanti fino ai giorni nostri la situazione è capovolta, soprattutto nella NBA: i migliori giocatori di tutto il paese sono afroamericani così come i migliori interpreti della storia del gioco. Ora è quasi scontato avere un roster con più neri che bianchi ma quando la lega era agli albori della sua storia c’erano delle leggi che non permettevano tutto ciò.
Ulteriori passi avanti si sono fatti negli ultimi anni nella pallacanestro americana dove ci sono stati i primi due giocatori professionisti che hanno dichiarato la loro omosessualità: John Amaechi e Jason Collins. Il primo, che ha un passato anche in Italia nelle file della Virtus Bologna, ha dichiarato pubblicamente di essere omosessuale il 18 febbraio 2007, pochi anni dopo il suo ritiro dal basket giocato, avvenuto nel 2003. Collins invece è stato il primo giocatore in attività a fare coming out: nel 2013 attraverso un articolo sulla rivista Sport Illustrated che inizia con la frase ormai famosa:”I’m a 34-year-old NBA center. I’m black. And I’m gay.” Collins si ritirerà la stagione successiva dopo aver giocato un anno con i Brooklyn Nets. [Vedi qui]

 

Nella MLB già negli anni 70 ci fu il primo giocatore a fare coming out: Glenn Burke fu tesserato dai Los Angeles Dodgers per la stagione 1976, e due anni dopo decise di dichiarare la sua omosessualità. In quel periodo gli Stati Uniti erano un calderone di manifestazioni di ogni tipo: tra le marce per i diritti dei neri, delle donne, contro le guerre che vedevano coinvolta la nazione, c’erano già i primi gruppi lgbt che si organizzavano per lottare per i propri diritti. Il 1978 fu l’anno dell’uccisione di Harvey Milk, primo consigliere comunale della città di San Francisco apertamente omosessuale. In questo contesto, la decisione di Glenn Burke gli compromise la carriera: venduto dai Dodgers giocò una sola stagione agli Oakland Athletics prima di ritirarsi alla fine del 1979. Burke risultò positivo ad un test per l’AIDS nel 1993; nel 1995 morì per le complicazioni della malattia. Negli ultimi due anni di vita scrisse la sua biografia dove dichiara :«Nessuno può più dire che un gay non può giocare in Major League, perché io sono gay e ce l’ho fatta.»

Il football arriva per ultimo anche stavolta: il 10 febbraio del 2014 Michael Sam si dichiara omosessuale prima ancora di approdare nella lega dei professionisti. Dopo anni promettenti al college a maggio del 2014 viene scelto dai St.Louis Rams dove gioca una buona stagione, ma non abbastanza per essere confermato; svincolato passa ai Dallas Cowboys e infine, nella stagione 2015, ai Montreal Alouettes, squadra della massima lega canadese. Al termine della stagione annuncia il ritiro acausa delle pressioni psicologiche che è costretto a sopportare per via del suo coming out.

Questi atleti afroamericani dichiaratisi omosessuali sono stati un punto di svolta per lo sport professionitico maschile americano: soprattuto Amaechi e Collins hanno dimostrato, in quanto neri e omosessuali(quindi doppiamente discriminati) di poter competere in un mondo dominato dai pregiudizi sulle questioni razziali e di genere.

Inutile dire che nel mondo femminile l’argomento è sdoganato su molti fronti: la nazionale statunitense femminile di calcio ha in Megan Rapinoe la sua punta di diamante. Centrocampista offensiva attualmente in forza al Reign Fc, vanta due mondiali conquistati con la nazionale e, nel 2019 ha vinto il premio come miglior giocatrice del mondiale di Francia (poi vinto dalle americane) assieme al Pallone d’Oro assegnatole il 2 dicembre dello stesso anno dalla rivista France Football.
Dopo l’uccisione di Floyd, la calciatrice ha cominciato una vera e propria battaglia sui social network contro gli abusi della polizia chiedendo a gran voce parità di diritti tra persone di etnie diverse, arrivando a dichiarare la sua candidatura alla Casa Bianca per le elezioni di Novembre. È una provocazione più o meno velata alle reazioni mostrate da Trump nei confronti dei manifestanti e degli atleti che, anche in passato, hanno preso posizione a favore dei manifestanti. La Rapinoe ha dichiarato: <>. Già in passato la calciatrice è stata protagonista di uno scontro con Trump, lanciando parole pesanti durante del mondiale 2019 in cui la Rapinoe ha scelto di boicottare l’Inno, non cantandolo prima di una partita. Il presidente aveva subito “beccato” la calciatrice che ha risposto prontamente: <> Megan Rapinoe è impegnata anche nella battaglia della “Equal Pay” che ha come obbiettivo la parità salariale tra uomini e donne nello sport professionistico; obbiettivo ancora molto lontano dalla sua realizzazione effettiva, ha tuttavia l’appoggio di molte sportive anche nel vecchio continente. La campionessa americana è lesbica dichiarata e non si fa problemi a parlare dell’argomento.

Già in passato ci sono state delle sportive a dichiarasi lesbiche: Martina Navratilova e Billie Jean King nel tennis, Natasha Kai e Abby Wambach nel calcio, più recentemente Diana Taurasi e Elena delle Donne nel basket WNBA(lega profesionistica femminile americana), e molte altre ancora, tutte impegnate nel sociale o in eventi di beneficienza.

La differenza tra uomini e donne è lampante sotto questo punto di vista.

Tornando però nel maschile, c’è un altro esempio di coming out: Robbie Rogers calciatore americano con diverse presenza anche in nazionale, nel 2013 annuncia sul suo blog di essere omosessuale e di ritirarsi momentaneamente dall’attività agonistica.

Il football arriva per ultimo anche stavolta: il 10 febbraio del 2014 Michael Sam si dichiara omosessuale prima ancora di approdare nella lega dei professionisti. Dopo anni promettenti al college a maggio del 2014 viene scelto dai St.Louis Rams dove gioca una buona stagione, ma non abbastanza per essere confermato; svincolato passa ai Dallas Cowboys e infine, nella stagione 2015, ai Montreal Alouettes, squadra della massima lega canadese. Al termine della stagione annuncia il ritiro a causa delle pressioni psicologiche che è costretto a sopportare per via del suo coming out.

Questi atleti afroamericani dichiaratisi omosessuali sono stati un punto di svolta per lo sport professionistico maschile americano: soprattuto Amaechi e Collins hanno dimostrato, in quanto neri e omosessuali (quindi doppiamente discriminati) di poter competere in un mondo dominato dai pregiudizi sulle questioni razziali e di genere.

Inutile dire che nel mondo femminile l’argomento è sdoganato su molti fronti: la nazionale statunitense femminile di calcio ha in Megan Rapinoe la sua punta di diamante. Centrocampista offensiva attualmente in forza al Reign Fc, vanta due mondiali conquistati con la nazionale e, nel 2019 ha vinto il premio come miglior giocatrice del mondiale di Francia (poi vinto dalle americane) assieme al Pallone d’Oro assegnatole il 2 dicembre dello stesso anno dalla rivista France Football.
Dopo l’uccisione di Floyd, la calciatrice ha cominciato una vera e propria battaglia sui social network contro gli abusi della polizia chiedendo a gran voce parità di diritti tra persone di etnie diverse, arrivando a dichiarare la sua candidatura alla Casa Bianca per le elezioni di Novembre.
È una provocazione più o meno velata alle reazioni mostrate da Trump nei confronti dei manifestanti e degli atleti che, anche in passato, hanno preso posizione a favore dei manifestanti. La Rapinoe ha dichiarato: “Conosco bene la situazione che si prova ad ascoltare l’Inno Nazionale sapendo che non ti rappresenta del tutto“. Già in passato la calciatrice è stata protagonista di uno scontro con Trump, lanciando parole pesanti durante del mondiale 2019 in cui la Rapinoe ha scelto di boicottare l’Inno, non cantandolo prima di una partita. Il presidente aveva subito “beccato” la calciatrice che ha risposto prontamente: “Non andrò alla Casa Bianca nel caso in cui dovessimo vincere e fossimo invitate, cosa di cui dubito.” Megan Rapinoe è impegnata anche nella battaglia della “Equal Pay” che ha come obbiettivo la parità salariale tra uomini e donne nello sport professionistico; obbiettivo ancora molto lontano dalla sua realizzazione effettiva, ha tuttavia l’appoggio di molte sportive anche nel vecchio continente. La campionessa americana è lesbica dichiarata e non si fa problemi a parlare dell’argomento.

Già in passato ci sono state delle sportive a dichiarasi lesbiche: Martina Navratilova e Billie Jean King nel tennis, Natasha Kai e Abby Wambach nel calcio, più recentemente Diana Taurasi e Elena delle Donne nel basket WNBA(lega profesionistica femminile americana), e molte altre ancora, tutte impegnate nel sociale o in eventi di beneficienza.

La differenza tra uomini e donne è lampante sotto questo punto di vista.

Tornando però nel maschile, c’è un altro esempio di coming out: Robbie Rogers calciatore americano con diverse presenza anche in nazionale, nel 2013 annuncia sul suo blog di essere omosessuale e di ritirarsi momentaneamente dall’attività agonistica. Ritornerà a giocare nei Los Angeles Galaxy dal 2014 al 2017 per poi ritirarsi definitivamente. Nel 2017 si è sposato con il suo compagno ed ha avuto un figlio tramite maternità surrogata. È stato il primo calciatore professionista a dichiararsi gay nella MLS(Major League Soccer) nel pieno della sua carriera.

Tutte queste storie sono collegate al movimento Black Lives Matter? Per quanto mi riguarda assolutamente si. Queste vicende fanno parte del passato, più o meno recente, degli Stati Uniti e dopo il 25 maggio è sotto gli occhi di tutti come il paese “guida” delle democrazie occidentali sia molto indietro sulle questioni dei diritti civili. Le manifestazioni anche violente viste in questi mesi sono una conseguenza di politiche economiche e soprattutto culturali portate avanti dai governi americani degli ultimi 50 anni e l’attuale amministrazione Trump dimostra di non volere fare passi avanti.
Lo sport farà la sua parte come ha sempre fatto per spostare le coscienze dalla parte giusta.

Qualche anno fa al Festival Internazionale di Ferrara presenziò Angela Davis, che in quanto a lotte per i diritti civili non è seconda a nessuno. Andai a quell’incontro e in un suo intervento la Davis disse: “Le lotte per i diritti civili sono lotte per i diritti di tutti. È una cosa di buon senso. Come darle torto. Le proteste del movimento Black Lives Matter riguardano tutti, così come le storie di questi atleti ed atlete che, nel passato come al giorno d’oggi, guidano il cambiamento attraverso uno degli strumenti più efficaci: lo Sport in tutti i suoi aspetti.

Cover: Megan Rapinoe, calciatrice Usa

Al cantón fraréś
La notte di San Lorenzo

Il leggendario supplizio sulla graticola di San Lorenzo ed i fenomeni astronomici delle Perseidi nel periodo estivo hanno ispirato artisti e letterati. Molto noti, ad esempio, sono la poesia X agosto di Giovanni Pascoli e il dipinto San Lorenzo di Francisco de Zurbaràn all’Ermitage di San Pietroburgo.
Anche alcuni nostri autori, rievocando le piaghe del santo, le stelle cadenti, i desideri da esprimere in silenzio, hanno rappresentato in dialetto le loro emozioni.

Ecco l’accenno devozionale di Alessandro Corazza (Portomaggiore 1932) in:

Saη Luréηz da la calùra
….
Strisci luśénti ach vóla… sparpajà,
e ch’il sparìs int uη suspìr struzà;
bruśadur fréschi fréschi su pèll viva:
il piàgh ad Saη Luréηz, ech il s’arvìva!
…..
Striscie lucenti che volano… sparpagliate, / e che scompaiono in un sospiro strozzato; / bruciature fresche fresche su pelle viva: / le piaghe di San Lorenzo (le stelle cadenti), ecco si ravvivano!

Ancora, la dimensione affettiva di Alberto Ridolfi (Ferrara 1931- 2012) in;
Saη Luréηz
….
Stasìra
l’è la nòt ad Saη Luréηz.
A sén vanzà alvà
a guardàr in su,
zarcànd ad cójar
na vìrgula, int al ziél,
in mèź a tuti chi puntìn.
…..
Stasera / è la notte di San Lorenzo. / Siamo rimasti alzati / a guardare in su, / cercando di cogliere / una virgola, nel cielo, / in mezzo a tutti quei puntini.

Infine, la sfera intimista di Liana Pagnanelli Medici (Copparo 1930 – 1992)

La not ad Saη Luréηz
Mo che scuηvulzimént iη ziél stasìra,
as a scumbìna tut al firmamént,
squaśi ho paura e a sént la testa ‘ch źira
par stal spetàcul màgich e impunént.

Tut j ann aspèt sta not ad Saη Luréηz
int uη mié nić segrèt fra l’erba spagna
e, par la mié racòlta d’esperiéηz,
a guard, a guard, stand ztésa int la campagna!

Il viàźa il stél in tgnùda da graη sira
con di vestì brilànt e risplendént
la cóa luηga a luηgh al ziél is tira
cumè dil dam, ad quéli dal zinchzént.

Mo cusa pagarésia pr’èsar là
tra cal brilór ad pólvar sideràl
vulàr iηsiém a lor iη libartà
seηza cascàr e seηza fàram mal!

Qualcdùη lasù l’ha vist e l’ha capì
tuta sta vója ach gh’éa ad cal luśór
e una briśulìna al m’n’ha spedì:
una bacióśla ‘ch’m’è vulà in s’al cuór!

La notte di San Lorenzo
Ma che sconvolgimento in cielo stasera, / si scombina tutto il firmamento, / quasi ho paura e sento la testa che gira / per questo spettacolo magico e imponente. /
Tutti gli anni aspetto questa notte di San Lorenzo / in una mia nicchia segreta fra l’erba medica / e, per la mia raccolta di esperienze, / guardo, guardo, stando distesa nella campagna. /
Viaggiano le stelle in abbigliamento da gran sera / con vestiti brillanti e risplendenti / la lunga coda lungo il cielo si tiran dietro / come delle dame, di quelle del ‘500. /
Ma cosa pagherei per esser là / tra quel brillìo di polvere siderale / volare insieme a loro in libertà / senza cadere e senza farmi male. /
Qualcuno lassù ha visto e ha capito / tutta questa voglia che avevo di quel lucore / e una briciolina me ne ha spedito: / una lucciola che mi è volata sul cuore!

Tratta da: Liana Medici Pagnanelli ; Bruno Veronesi, Atmosfera padana, Copparo : Lions Club, Copparo, 1990.
(Altre notizie biografiche su Liana Medici Pagnanelli nel Cantóη Fraréś del 5 giugno 2020)

 

Per concludere un detto popolare:

“Par Saη Luréηz na graη calùra, par Saη Vizéηz na gran fardùra: l’un e l’àltar póch i dura.”
Per San Lorenzo (10 agosto) una gran calura, per San Vincenzo (22 gennaio) un gran freddo: l’uno e l’altro poco durano.

 

Al cantóη fraréś: testi di ieri e di oggi in dialetto ferrarese, la rubrica curata da Ciarin per Ferraraitalia, esce al venerdì mattina.
Per leggere le puntate precedenti clicca [Qui]

Cover:  Canonica della chiesa di S. Lorenzo, Ducentola (Fe). Foto di M. Chiarini, 2016.

IL TEMPO E’ TESTIMONE
Un ricordo di Marco Chinarelli

Marco Chinarelli (1954 – 1987), si è dedicato per anni – senza nulla far conoscere agli altri – all’elaborazione poetica, rinvenendo materia viva nella propria vicenda personale. Se n’è andato troppo presto, scegliendo da solo la parola fine. Ci ha lasciato molti ricordi e un fascio di parole. 

Col procedere del tempo, può succedere di ricordare più nitidamente episodi, particolari molto lontani. Momenti incastonati in un periodo (l’adolescenza) pieno di novità, vitale o in fasi di passaggio/transizione (la gioventù) verso una maturità percepita ancora molto lontana.

La scuola superiore, l’Istituto Magistrale Carducci frequentato, vissuto intensamente. Un periodo di formazione alla vita sociale, di relazione, in cui sono nate amicizie che si sono protratte nel tempo, per molti anni. Oggi rimangono alcune sporadiche frequentazioni mentre altre si sono interrotte bruscamente procurandomi dolore, rimorsi, sensi di colpa, riflessioni e difficili elaborazioni del lutto.
Una persona, un amico che ho frequentato, e con cui ho condiviso quegli anni adolescenziali e della difficile crescita verso l’età adulta, è stato Marco Chinarelli.

Ricordo una mattina di febbraio. Lezione di matematica già iniziata. Un paio di colpi alla porta e l’entrata di Marco col cappotto completamente coperto di neve. La profe Tinarelli, increspando leggermente le labbra e accennando un sorriso:”Non avevi un ombrello per ripararti, Marco?”. “Mi si è rotto signora”. “Va bene, vai a scioglierti in fondo”. La neve cadeva sul pavimento mentre il lento incedere di Marco lo portava in fondo alla stanza. Noi si rideva piano e brevemente perché la Tea aveva ripreso in mano la situazione e il piglio severo di sempre che, invece, con Marco vacillava, diventava quasi affettuoso. In molti di noi c’era un silenzioso rispetto verso “China”…

Anche Faccini che ogni tanto si divertiva stupidamente a pungere col compasso, debitamente disinfettato (sic!), le terga di molti di noi, risparmiava i compagni di cui temeva violente ritorsioni, ma anche Marco che non avrebbe mai avuto tali caratteristiche.

Tanti gli episodi, le situazioni di vita quotidiana di una classe che stava elaborando i cambiamenti tumultuosi di fine anni sessanta con un approccio prepolitico, più giamburrascoso che contestatario. Gli scioperi si facevano, ma poi si subivano le sanzioni scolastiche con fatale rassegnazione. Spesso, capitava che Marco si offrisse volontario per farsi interrogare ed evitare ad altri compagni della classe l’avventura del sicuro brutto voto. Non sempre c’era una sua puntuale preparazione quanto, piuttosto, una sua forte capacità dialettica che spesso ‘ipnotizzava’ il docente di turno. Mentre nei compagni di scuola del corso C era accentuata la presenza di simpatizzanti della sinistra anche nelle sue propaggini più ‘rivoluzionarie’, nel corso A e nella mia classe molti frequentavano le parrocchie e/o le sale da ballo. Tra gli assidui frequentatori di parrocchie c’ero anche io ma la trasposizione automatica tra Chiesa e DC mi stava stretta e mi trovavo spesso a frequentare luoghi, ambienti della sinistra giovanile anche più ‘strana’. Ricordo una sera invernale che andai con Marco ad una ‘lezione di marxismo’ nella sede del Partito Comunista Marxista-leninista in Via Gioco del Pallone. Un’esperienza che non fu ripresa perché da entrambi giudicata pacchiana e un insulto allo stesso Marx…

Poi, Marco tentò l’esperienza nel collettivo di Lotta Continua ed io nei Cristiani per il Socialismo e nel PdUP.
Tantissime le volte che ci siamo incontrati ad ascoltare musica, a parlare e discutere di politica. Io pieno di progetti e Marco sempre più lontano e sfiduciato, ma non avrei mai pensato a una fine tragica come quella da lui scelta.
Nonostante ci fossimo scambiati tante idee, pensieri, non ho mai saputo delle sue prove poetiche. Marco ascoltava e commentava le mie poesie con fare spesso affettuoso e canzonatorio ma non ha mai condiviso con me quel  suo segreto, quel suo passaggio stretto oltre il terreno della teoria politica, della militanza. Una politica che per lui era bruciata, piena di bacche marce contaminate dal veleno di Chernobil. La politica era un tutt’uno con la vita e la sconfitta dell’una era la fine dell’altra.
La notizia della sua morte fu come una pugnalata e mi interrogai per molto tempo sulla mia incapacità di capirne il perché e, soprattutto, intuirne la possibilità di quella scelta.

Nel 1988, nella collana Testi della rivista ferrarese Poeticamente, pubblicammo una piccola raccolta di poesie di Marco Chinarelli, curata da Laura Fogagnolo. Testi quasi sempre contrappuntati da una data o senza titolo.
Una narrazione che ha spesso un linguaggio asciutto, senza fronzoli, con accenni di neofuturismo. Un esempio.

Scotch o erba che sia
la mia mente
come una vagina umida
partorisce sogni
di integrazione borghese
Me ne vergogno ogni mattina
davanti a un libro immobile
come un’obliteratrice
staccando il biglietto
per la nuova giornata.

Lo Zen mi annoia e
il Comunismo
mi ronza nelle orecchie
sulle liquide rotaie del Metrò
Lo vedo brillare
su ogni schermo di home Computer
davanti a nudi corrucciati
volti di bambini maniaci.

(da Poesie,  di Marco Chinarelli, Ed. Poeticamente/Testi,1988)

Poesie scelte da un quaderno di appunti dove Marco annotava stati d’animo, tracce di lezioni universitarie, appuntamenti, poesie e diverse recensioni di film dove si mescolavano elementi di analisi della trama e note autobiografiche. L’influenza del cinema sulla lingua italiana, sulla sua modificazione attraverso, anche, neologismi o immagini facilitate dalla frequentazione visiva col nuovo mezzo, tentativi di ‘esplorazioni’ in territori ibridi tra carta e celluloide. Gore Vidal diceva che “i film sono la lingua franca del XX secolo”.

Un esempio di recensione tra il personale ed il narrativo è Fuoco fatuo di Luis Malle.  Chinarelli riporta una frase-testimonianza del protagonista del film: “Mi uccido perché non mi avete amato perché i nostri rapporti erano vuoti. Uccidendomi voglio dare un senso ai nostri rapporti”. Il film ricostruisce minuziosamente gli ultimi giorni di un suicidio. “(…)…ex soldato che non ha voluto scegliere la carriera militare, roso di non aver mai saputo conquistare le donne, neppure quelle che, apparentemente, lo hanno amato.”
Chinarelli prosegue con questa dura annotazione personale: “Il tema presente e scabroso è trattato con una tale delicatezza di tono da renderlo…sopportabile. Anche per chi come me, certe tematiche non le regge emotivamente. Angoscia, angoscia. Non posso, certi argomenti con la freddezza di una persona normale”. Cercava di vedere il mondo, leggere la realtà anche attraverso il linguaggio filmico, alla ricerca di una narrazione che ponesse un freno alla sua deriva ideale.

Un contesto sociale, quello degli anni ’80, dettato dal riflusso crescente, dal successo degli yuppies, da un terrorismo sanguinario che ufficialmente non intendeva gettare la spugna mentre nella penombra trattava con pezzi di Stato vie vantaggiose d’uscita. Nei territori di provincia, Ferrara non faceva eccezione, c’era un clima che tagliava il fiato ai movimenti di base ed a chi faticava a ritrovare l’inizio del filo, in mezzo ad una realtà piena di elementi drammaticamente leggibili dove molti giovani avevano scelto l’abbandono dell’impegno politico a favore di situazioni di autodistruzione e dipendenza da sostanze psicotrope o dall’alcol. Questi contesti psicologici, però, si presentavano, spesso, molto annebbiati, come l’aria ferrarese d’inverno.

Chi non trovava luoghi, dimensioni di gruppo accettabili e in cui sentirsi accolto nella propria diversità, nella propria ricerca d’identità, si sentiva uno scarto umano, un tassello rotto del mosaico sociale. Ricordo una importante ricerca del 1981 della Joseph Rowntree Foundation, in cui veniva chiesto a gruppi di giovani nati nel 1958 di compilare un questionario sul loro stato di salute mentale. Il 7 per cento di quei giovani aveva una tendenza alla depressione non clinica.
In una pagina del quaderno, Marco scrive: ”Abbiamo conosciuto un periodo in cui i valori preminenti erano l’impegno, la testimonianza personale, la pratica dell’andare contro-corrente. Poi, un altro in cui il valore dominante è divenuta l’integrazione. Chi pensa come me che ciò che domina è un soffocante conformismo, ad onta di coloro che parlano di una rinascita dell’individuo? Sofferenza Sofferenza Mentire dover mentire? Mentire a se stessi e agli altri per poter vivere. Per menare questo straccio di vita che ti avvilisce e ti spegne sempre più. Identità? Essere dei diversi senza sapere di preciso in cosa? Malato? Studente? Disoccupato? Psicopatico?”.

A questa consapevolezza sempre più nitida, se ne affiancava un’altra altrettanto drammatica: perché scrivere? Per chi?

Questa sera lasciatemi in pace
perché la poesia mi ha lasciato.
Questa sera lasciatemi solo
perché i vostri volti mi rattristano
abbandonato e solo voglio restare
Non preoccupatevi per me
e non pensate di dovermi aiutare
Come potreste?
La poesia mi ha lasciato solo
Essa è una solitudine con gli occhi
di smeraldo
La solitudine invece
sa solo di neon e di asfalto.”

(Marco Chinarelli, inedito)

Una scrittura permeata da una crescente, inesorabile convinzione di (provare ad) essere un intellettuale fuori posto, in una sorta di spaesamento brutale, un pesciolino rosso senz’acqua. Le continue riunioni, i collettivi, terminali di grandi idee realizzate (forse) altrove, lontano. Il ‘tutto politico’ che rinviava sempre oltre il desiderio personale di un amore che unisse le due sfere.
Versi che riversano un sordo rancore verso compagni che sembravano vivere la politica come un momento adolescenziale, in attesa della maturità che gli avrebbe donato una stabilità esistenziale.
Sentire una crescente angoscia, “quell’angoscia perpetua che limitava ogni progetto all’indomani” (Cesare Pavese).

In amara sintesi, le cose che ti accadevano vicino, le cose, le situazioni dove non riuscivi ad entrare dove, con tutti i tuoi sforzi, non riuscivi a sentirtici parte. Uno scarto, una pietra gettata nell’acqua senza rimbalzi.

Comacchio Summer Experience: 31 luglio

Da: Ufficio Stampa Madeeventi

Venerdì 31 luglio alle ore 21.30 in Piazzale Caravaggio, a Lido di Spina, appuntamento con Tale e Quale live, organizzato in collaborazione con l’Associazione Lido di Spina, presieduta da Andrea Carletto. Una serata musicale adatta a tutte le età, nata sulla scia del successo dello spettacolo di Rai Uno Tale e Quale Show, condotto da Carlo Conti.

I musicisti porteranno sul palco alcune delle canzoni più celebri della musica italiana con pezzi di Mina, Loredana Bertè, Luciano Ligabue, Caterina Caselli, i Nomadi e tanti altri.

Sempre venerdì 31 continuano anche gli eventi dove il pubblico si potrà immergere in contesti naturalistici di grande fascino.

Alle ore 18 con ritrovo al Bettolino di Foce, nelle Valli di Comacchio, “Camminata e astro-yoga” organizzato in collaborazione con CNA Turismo e Commercio di Ferrara. Riccardo Gennari, guida ambientale-naturalistica e istruttore di yoga, guiderà i partecipanti in un percorso che si snoda nel suggestivo paesaggio delle Valli con una pratica finale di yoga ispirata alle costellazioni. Per info e prenotazioni Po Delta Tourism 0533-81302 – Cell 346 5926555 – Info@podeltatourism.it

Sempre alle ore 18 prosegue anche la rassegna “Musica in Salina”, organizzata in collaborazione con AMF-Associazione Musicisti di Ferrara, una visita guidata che terminerà con le sonorità di Tudandran.

Flavio Piscopo e Lele Barbieri, già collaboratori di musicisti e artisti di livello internazionale nell’ambito jazz pop new Age etno e world, sono due percussionisti in grado di proporre pulsazioni ritmiche, a volte tribali a volte mistiche, con una linea di canto che fa da collante alla cascata di suoni che i due musicisti lasciano cadere idealmente sull’ascoltatore.

Un viaggio attraverso il mediterraneo che tocca luoghi ai quali i nostri artisti sono legati Indissolubilmente, per origine cultura e tradizione. Ospite del concerto in Salina il tastierista e pianista Corrado Calessi. Per info e prenotazioni Salina di Comacchio info@salinadicomacchio.it,

Lara Van Ruijven

[10 Luglio 2020]. Lara van Ruijven (27 anni), campionessa di short track, si stava allenando sui Pirenei con la Nazionale Olandese quando è stata colpita da una malattia autoimmune. Ricoverata d’urgenza, è morta dopo due settimane di coma.” Valeria legge questa notizia ad alta voce e poi mi guarda sbalordita.

“Ma zia Costanza hai sentito?”
“Si Valeria, purtroppo ho sentito. Le persone possono morire a qualunque età.”
“Ma aveva ventisette anni e io ne ho già dodici, se dovessi fare come lei mi resterebbero quindici anni di vita!”
E’ così, non oso dirle che potrebbero restagliene anche meno, sembrerebbe un commento macabro.

Certo la morte di una persona giovane fa impressione. Rattrista nel profondo, crea uno stato di sofferenza tangibile,  apre le porte a una solidarietà che si nutre di angoscia.
Nel dolore di alcune perdite se ne rivitalizzano altre, ognuno di noi ricorda qualche altro campione dello sport morto giovane, questo aumenta lo sgomento, lo dilata a dismisura.
Nella sensazione di dolore c’è sempre qualcosa che noi non riusciamo a comprendere del tutto, qualcosa che ci interroga sul quel sappiamo, su quel che crediamo, su quel che vorremmo sapere e credere.

Spiegare la morte ai bambini è sempre difficile, perché non puoi barare, non puoi edulcorare la cruda verità sul modo  in cui finisce l’esistenza che conosciamo.
Ogni volta che una madre dona a un figlio la vita, gli consegna in dote anche la morte. I genitori hanno sempre una fede incrollabile sulla longevità dei loro figli, è il loro modo di affrontare le giornate con serenità. “I figli moriranno dopo gli ottant’anni”. Farebbero molta fatica a convivere con altre ipotesi.
Riguardo Valeria che mi sta osservando pensierosa.
Sta ancora pensando a Lara Van Ruijven.
“Non pensarci Valeria, non serve a nulla, ormai se ne è andata, starà pattinando in paradiso”. Le dico.
“Ma perché, in paradiso si pattina?”
“ No, non credo, dicevo così per dire”
“Allora non dirlo”.

Bello sport lo short treck, la traduzione italiana è “pista corta”. Fa parte delle gare di velocità del pattinaggio su ghiaccio che si disputano su una pista di 111,12 metri. Una specie  di grande anello di ghiaccio su cui si sfidano da tre a nove pattinatori/pattinatrici per volta, a seconda del tipo di gara. Dal 1992 è uno degli sport del programma dei giochi olimpici invernali e le distanze ufficiali delle varie gare sono: 500 m, 1000 m, 1500 m sia per le donne che per gli uomini. Le staffette vengono corse su distanze di 5000 m per gli uomini e di 3000 per le donne.
Uno sport spettacolare e avvincente. Sicuramente anche molto faticoso. Spinge allo stremo la resistenza e la reattività di muscoli, apparato cardio-circolatorio, nervi.
Su quell’anello di giaccio si muovono velocissimi gli atleti con i loro pattini forniti di lame d’acciaio. Corrono con un braccio appoggiato sulla schiena per essere più aerodinamici. Piegati in avanti, spingono con le gambe come dei forsennati. La velocità è tale per cui si verificano spesso cadute e infortuni, in alcuni casi gravi.

Ma la malattia autoimmune non credo centri nulla con lo short track. E’ arrivata sulla testa di una ragazza di ventisette anni, ingiusta come il caso e irrimediabile come la morte.
Una mannaia senza scampo. Uno stop inaspettato e definitivo. La fine della sua vita.
“Zia ma perchè secondo te è morta proprio lei?”
“Perché si è ammalata e purtroppo esistono malattie gravi a cui i medici non sanno trovare rimedio” le rispondo.
“ Io non credo che la morte arrivi per caso, ci deve essere qualche altro motivo, forse si è meritata il Paradiso prima degli altri.” Dice lei.
“Si forse è proprio così” le rispondo.

La fede resta sempre una grande speranza e la migliore delle scommesse possibili. Forse questo può rasserenare un po’ Valeria.
“Noi non siamo certi di cose ci succederà dopo la morte, ma se proprio dobbiamo scommettere, puntiamo tutto su questa possibilità importante, avvincente e quasi incredibile. Scommettiamo sull’eternità.” dico.
“Si puntiamo tutto sull’eternità” dice lei e mi sembra un po’ rasserenata. Meno male. Data l’età è meglio così.  Fra poco arriverà Sara, una delle sue amiche, si metteranno a giocare a dama cinese, oppure decideranno di uscire a fare un giro in bicicletta o di andare all’oratorio di Pontalba a fare una partita di calcetto. I bambini dimenticano in fretta, hanno molta vita da vivere. Molta energia da mettere in quel che fanno. E poi è estata, fa caldo, non c’è scuola, non ci sono i compiti da fare, le piscine hanno riaperto e anche le gelaterie. Evviva, anche quest’estate avrà una parvenza di normalità nonostante il Covid-19 e nonostante le prospettive non entusiasmanti per il prossimo autunno.

Valeria sta già riprendendosi.  Il suo momento di tristezza sta passando, sta volgendo i suoi pensieri altrove. Lo vedo dalla sua faccia, prende in mano il telefono, digita velocemente qualcosa, poi attende risposta. Dopo poco si sente una vibrazione. E’ la risposta al sue messaggio. Sorride e se ne va. Anche i telefoni hanno la loro utilità. Le amicizie ancora di più.
Io resto là con l’idea della morte che fa da sfondo ai miei pensieri e con alcune immagini dello short treck indelebili nella memoria.
Uno sport elettrizzante, avvincente.
A differenza del classico pattinaggio di velocità, qui non esistono le corsie e i contatti tra gli atleti sono molto frequenti. Il tipo di gara molto veloce, prevede una divisione in batterie dei concorrenti. Esattamente come si fa nelle gare veloci dell’atletica.
Gli atleti di ogni batteria corrono la loro gara e i primi a tagliare il traguardo passano al turno successivo. Si continua così fino ad arrivare, per i migliori, all’accesso i finale che decreterà il podio e i tre medagliati del momento. I contatti continui portano a continue cadute, a volte accidentali, altre volte provocate dagli avversari (che se sorpresi dall’arbitro vengono espulsi).  Tutto questo cadere e rialzarsi causa continui cambi di piazzamento nelle gare. E’ uno sport fatto così.

Ripenso di nuovo a Lara Van Ruijven. Mi sembra di vederla con la sua tuta arancione e la visiere, che protegge dalle scaglie di ghiaccio alzate dalle avversarie, che sfreccia felice in mezzo alle altre. Sta correndo molto bene. Siamo ai mondiali di Sofia nel 2019 e la distanza che sta percorrendo è quella dei cinquecento metri. Sta andando fortissimo. Sempre più forte. La cinese Fan Kexin, e l’olandese Suzanne Schulting restano indietro. Lei continua ad aumentare la velocità e tagli il traguardo per prima. E’ la nuova campionessa del mondo. Bravissima!
Ricordiamocela  così,  quei campionati del mondo lei li ha vinti per sempre.

Favole sotto gli alberi: inizio giovedì 30

Da: Ufficio Stampa “Il baule volante”

 

La sedicesima edizione della rassegna estiva di Teatro per Bambini e Famiglie Favole sotto gli Alberi si aprirà, giovedì 30 luglio alle ore 21,15 presso Factory Grisù (Ferrara, via Poledrelli, 21 – ex caserma dei vigili del fuoco), con lo spettacolo: “Raperonzola” della compagnia bolognese Rosaspina. Un Teatro: un lavoro frizzante e ironico, incentrato sulla celebre fiaba della principessa dalle lunghissime chiome.

 

L’ antica fiaba dei Fratelli Grimm racconta una storia che tanti conoscono e che ha tutti gli ingredienti di una ricetta favolosa: una Bella fanciulla dalle lunghissime trecce d’ oro, un Principe di bell’aspetto e dalla mente sveglia, una Strega malvagia e misteriosa, una Torre senza porta e senza scale: una ricetta semplice ed efficace che, con l’aggiunta di un ciuffo di raperonzoli, incanta da sempre i bambini di tutte le età.

Eccezionalmente in scena per questa scanzonata rappresentazione teatrale, il noto regista Angelo Generali, qui nei panni della strega cattiva: una notevole dimostrazione di autoironia e soprattutto di amicizia da parte di questo artista colto e – solitamente – molto posato che, in queste insolite vesti, sorprende e diverte, non soltanto i bambini.

La storia racconta di una coppia di sposi che viveva accanto a un meraviglioso giardino protetto da alte mura, di proprietà di una potente e terribile strega. Quando la donna rimase finalmente incinta, fu presa da una gran voglia di mangiare alcuni dei raperonzoli che crescevano nel giardino della vecchia megera. Il marito, allora, durante la notte scavalcò le alte mura per procurargliene qualche mazzetto. Alla terza incursione nel giardino, però, il marito si ritrovò faccia a faccia con la temibile strega che, nonostante le giustificazioni dell’uomo, decise di punirlo, consentendogli di tornare a casa con i raperonzoli sottratti a condizione che, una volta nato, il bambino tanto atteso fosse consegnato proprio a lei, che prometteva di trattarlo bene. Disperato, l’uomo alla fine acconsentì.

La bambina che nacque fu presa, così, in consegna dalla strega che la chiuse in un’alta torre senza porte e senza scale nel mezzo del bosco…

Dunque, per la povera bambina, la strada della vita inizia in salita e conduce in cima ad una torre. Ma la fiaba insegna che vale la pena soffrire perché, prima o poi, accadrà l’avvenimento destinato a cambiare la sorte .

Ecco, infatti, un bel giorno passare un principe sotto la solitaria finestrella. Il procedimento da seguire per sbrogliare la matassa non è difficile: liberare la Bella dalla Torre e fuggire lontano dalla Strega . Questo è dunque il compito dei due protagonisti, ma per giungere alla meta è necessario usare il cuore e la ragione.

Senza l’amore tra i due giovani, infatti, nulla potrebbe succedere e senza le loro sagaci trovate non si potrebbe fuggire. Ma cuore e ragione infine non bastano perché, come sempre, tra il dire e il fare c’ è di mezzo… il Male. E così ecco compiersi il triste destino del principe che diviene cieco e della sua Bella, abbandonata e perduta in un deserto.

Per giungere alla felicità definitiva occorrerà scoprire qualcosa che ci sostiene anche quando siamo tristi e soli, qualcosa che fa luce anche quando siamo ciechi: questo ingrediente invisibile e tenace ha un nome bellissimo, si chiama speranza ed ha il verde colore dei dolcissimi e saporitissimi raperonzoli che crescono in primavera.

A differenza degli altri lavori presentati in rassegna, questo spettacolo è realizzato interamente in prosa, con le note e i toni semiseri cari alla compagnia bolognese. Rosaspina. Un teatro, infatti, per la realizzazione di questa originale messa in scena, ha intessuto una stretta collaborazione col lo scrittore Giampiero Pizzol, autore, attore e regista molto noto nell’ambito non solo del teatro per ragazzi ma soprattutto del teatro brillante, grazie ai testi realizzati per molte commedie di successo e anche per produzioni televisive, fra cui le prime edizioni di Zelig Off, con Claudio Bisio.

L’Associazione “Rosaspina. Un teatro”, diretta da Aurelia Camporesi e Angelo Generali, nasce nel 1996 dalla riunione di artisti con più di 15 anni di esperienza nel lavoro teatrale. La compagnia opera a livello nazionale nella produzione di spettacoli, nell’organizzazione di rassegne e festival e nella conduzione di laboratori teatrali. Negli ultimi anni la sua attività si è particolarmente incentrata sulla produzione e organizzazione di spettacoli, laboratori e rassegne dedicati al pubblico dell’infanzia e delle giovani generazioni.

 

Lo spettacolo, che è gradevolissimo anche per il pubblico degli adulti, si rivolge a tutti i bambini dai 4 ai 10 anni.

 

 

L’ingresso, per tutti e 5 gli appuntamenti, costerà € 6,00 per adulti e bambini.

 

In ottemperanza alle direttive anti covid:

La prenotazione sara’ possibile (ed è anzi caldamente consigliata) ai link indicati di volta in volta via social (per il primo appuntamento: www.ilbaulevolante/raperonzola).

I posti non saranno numerati: ogni spettatore sara’ accompagnato da una maschera e gli sara’ assegnato il posto più vicino al palco scenico disponibile al momento dell’arrivo.

Il pagamento dei biglietti sara’ effettuato direttamente in biglietteria.

Gli spettatori che avranno prenotato dovranno presentarsi a ritirare i propri biglietti non oltre le ore 21,15.

Si raccomanda a tutti gli spettatori di presentarsi in biglietteria con gli importi dei biglietti esatti in modo da evitare il più possibile scambi e contatti diretti.

Si raccomanda agli spettatori di portare le mascherine.

Ogni nucleo familiare sara’ separato dagli altri seguendo le distanze indicate dalle disposizioni ufficiali in materia sanitaria.

L’accesso e l’acquisto dei biglietti sara’ possibile anche senza prenotazione.

 

In caso di maltempo gli spettacoli saranno annullati.

 

Informazioni: Il Baule Volante  ilbaulevolante@libero.it

 

TEATRO NUCLEO: QUARANT’ANNI DI MAGNIFICHE UTOPIE
Dal Quijote! al Convegno Internazionale del teatro per gli spazi aperti post Covid-19

Maria Donnoli – responsabile Ufficio Stampa Teatro Nucleo

Un sentiero lungo 40 anni di teatro per gli spazi aperti, iniziato nel 1980 con Luci e attraversato dal 1990 dalla figura di Don Chisciotte. La sua statua che entra in vita è la chiave drammaturgica di Quijote!, spettacolo di piazza che Teatro Nucleo mise per la prima volta in scena nel 1990, trent’anni fa, e il cui portato confluisce oggi nel convegno internazionale Le Magnifiche Utopie organizzato a Ferrara sabato 19 settembre 2020, parte del Festival Totem Scene Urbane.

Lo spazio è quello della vita quotidiana, gli spettatori sono un gruppo eterogeneo di non-spettatori, in cui l’esperienza dello spettacolo risveglia un potenziale, un desiderio di poesia, la facoltà di immaginare, il bisogno di creatività e utopia. L’obiettivo è portare il teatro dove è necessario, anche perché possa ritrovare la sua funzione originaria e nuova linfa. Il teatro negli spazi aperti di Horacio Czertok e Cora Herrendorf, rispettivamente drammaturgo e regista di Quijote!, è un’operazione di giustizia elementare.

L’adattamento per spazi aperti del Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes, uno dei capolavori di maggior successo della Compagnia fondata a Ferrara nel 1978. Realizzato in co-produzione con il Theater-am-Turm di Francoforte, Quijote! ha avuto oltre 400 repliche in tre continenti, partecipato a decine di festival internazionali, vinto premi come il Premio della Critica 2002 al Festival Cervantino di Guanajuato, in Messico, ha attraversato borghi e periferie senza teatro. Ancora oggi il Don Chisciotte di Teatro Nucleo continua il suo percorso con Contra Gigantes, monodramma a più voci di e con Horacio Czertok, estratto da Quijote!.

“Un montaggio d’attrazioni, un’allegria sulle macerie” – come lo ha definito Ferdinando Taviani in Il teatro è l’arte di lottare pubblicato sul numero 10 della rivista L’indice (2000) – capace di suscitare l’immediata ed entusiasta adesione dei non spettatori-resi spettatori alla chiamata del teatro negli spazi aperti, in qualsiasi piazza attraversata, che diventa luogo fantastico e della fantasia, in cui i dati forniti dall’immaginazione sostituiscono quelli dell’abitudine. L’adattamento di Quijote! è stato pensato per permettere agli spettatori di qualsiasi città del mondo di proiettare il proprio Chisciotte su quello dello spettacolo, rispettandone la vocazione di personaggio universale. «Con questo spettacolo superammo la dicotomia tra la sala teatrale e la strada, imparammo che si potevano creare spettacoli per gli spazi aperti con la densità, la profondità, i contenuti, la poesia possibili nelle sale chiuse», ricordano i co-fondatori di Teatro Nucleo, il cui teatro si è sempre occupato di utopisti e sognatori, «in quanto le utopie riflettono l’attenzione posta sull’umanità sofferente e tuttavia capace di sognare e di lottare per organizzare la propria vita in relazione a grandi sogni a occhi aperti».

Con Quijote! nacque anche la trilogia delle “magnifiche utopie”: Chisciotte rappresentava l’utopia di una civiltà votata alla Poesia, Francesco l’utopia di una società consacrata alla fratellanza, Mascarò l’utopia di un’umanità libera e giusta. Un percorso che – lungo questa strada – è proseguito per quarant’anni e che il 19 settembre 2020 confluirà nel convegno internazionale Le Magnifiche Utopie 2020 – La scena del teatro per gli spazi aperti nell’era post Covid-19, situato all’interno del Festival Totem Scene Urbane che Teatro Nucleo organizza ponendo in relazione la periferia di Pontelagoscuro e il centro della città estense. Un’apertura alla riflessione su base nazionale e internazionale, resa ancora più necessaria dalle contingenze storiche della pandemia, che spingono a interrogarsi sul futuro del teatro. Domanda a cui il teatro per gli spazi aperti, oggi più che mai, propone risposte forti e concrete.

Per informazioni su Teatro Nucleo: http://www.teatronucleo.org/
Per informazioni su Totem Scene Urbane: http://www.totemsceneurbane.it/ 

Arci:”Torniamo in Circolo!” venerdì 31 luglio e domenica 2 agosto

Da: Ufficio Stampa Arci Ferrara

Nelle serate di venerdì 31 luglio e domenica 2 agosto avrà inizio Torniamo in Circolo!, nuovo progetto di Arci Ferrara APS, ideato in collaborazione con i volontari del Servizio Civile Arci durante il lockdown per rilanciare le realtà affiliate all’Associazione e supportarle nel percorso di ripartenza dopo i difficili mesi di chiusura.

Nato dalla volontà di coadiuvare circoli e associazioni nella ripresa delle attività, il progetto ha comportato un’analisi delle loro criticità e debolezze alla ricerca dei metodi di intervento più adatti, direzionando il Comitato verso la creazione di una rete di contatti e collaborazioni tra le due facce della sua compagine associativa. Quest’ultima vede, da una parte, un cospicuo gruppo di associazioni culturali attive nei settori del teatro, della musica, dell’arte e della danza; mentre, dall’altra, i circoli cosiddetti “tradizionali”, eredi delle prime esperienze aggregative della nostra regione, nei quali si prediligono il gioco delle carte e del biliardo. Raccogliendo la sfida di un nuovo metodo di azione e relazione, verranno organizzati eventi, corsi e attività per unire le diverse forze di queste realtà e per incentivare il ritorno nei circoli e nei paesi di provincia più periferici, di cui spesso questi sono ancora importanti punti di riferimento.

In una fase tanto delicata, oltre a un eventuale aiuto monetario tramite raccolte fondi in loco, appare fondamentale dare un supporto in presenza che riesca a dimostrare vicinanza e sostegno a chi si trova più in difficoltà, attraverso un approccio organizzativo che metta a disposizione il suo ricco capitale umano, in un processo volto alla creazione di legami di senso tra associazioni e circoli, a beneficio delle persone che li compongono.

Le prime realtà coinvolte sono il Circolo Arci Final di Rero, nel Comune di Tresignana, e il Circolo Arci Ruina, nel Comune di Riva del Po, che ospiteranno eventi organizzati grazie alla collaborazione con Ultimo Baluardo “Sonika” ed unbelD’ Design, associazioni che operano rispettivamente nell’ambito della musica e del design creativo.

Dopo questi primi appuntamenti, le collaborazioni proseguiranno anche nei mesi successivi, diversificando le attività proposte ed allargando il raggio d’azione per il coinvolgere un numero sempre maggiore di circoli e associazioni. Torniamo in Circolo! si inserisce infatti in una prospettiva di lungo termine e ha già il programma di continuare in autunno, in concomitanza con la campagna di tesseramento Arci 2020/2021.

Ecco il programma delle giornate:

  • Venerdì 31 luglio, presso il Circolo Arci di Final di Rero, a partire dalle 18.30 – UnbelD’ design terrà il laboratorio di design artigianale UBDzircul – Ci facciamo un’Ape?!? destinato ad adulti e famiglie, per progettare e costruire insieme una vera e propria APEcar in legno e stoffa, mentre si sorseggia un buon aperitivo. Il costo del laboratorio è di 15 euro, comprensivi di kit per costruire e colorare l’apecar. Per iscriversi è obbligatorio inviare una mail a francescaaudino@arciferrara.org.

    Dalle ore 21.00, ad allietare la serata ci sarà il doppio concerto a cura di Sonika con The Dice e, a seguire, MARTA, che spazierà tra le atmosfere power pop/rock&roll dei primi e le influenze jazz/soul, unite a quelle indie, italiane e inglesi, della giovane cantautrice.

    Per i concerti è stata scelta una location molto particolare che si sposa perfettamente con il senso dell’intero progetto, ovvero uno dei campi da bocce recentemente rimessi in sesto da uno dei soci.

    (link evento Facebook: https://www.facebook.com/events/275686910170097 )

  • Domenica 2 agosto è la volta del Circolo Arci di Ruina, dove la serata inizierà con una selezione musicale a cura di Sonika dalle 18.30, mentre dalle 21.00 verrà riproposta la formula del doppio concerto che vedrà suonare Arianna Poli e MAV (leader degli Ivan Alen), per un appuntamento all’insegna della musica d’autore.

    (link evento Facebook: https://www.facebook.com/events/288903455557239 )

 Tutti gli eventi sono riservati ai possessori di tessera Arci, con possibilità di iscrizione in loco alla tariffa ridotta di 7,5 euro e di 5 euro per i bambini.

Le iniziative si svolgeranno nel rispetto delle misure di sicurezza anti-covid e delle linee guida dei protocolli regionali.

Torniamo in Circolo! tornerà a fine agosto con altre date già in programma, una di queste si svolgerà al Circolo Arci Adelante XII Morelli, allestito per l’occasione a cinema all’aperto, con una rassegna cinematografica dedicata a Ennio Morricone: verranno proposti tre titoli che hanno visto la partecipazione del maestro con le sue immortali colonne sonore.

Tale circolo dimostra costante interesse nell’essere uno spazio di condivisione in grado di riavvicinare la comunità alla sua vita associativa, promuovendo l’aggregazione sociale, sormontando il divario generazionale tra i soci e favorendo un inserimento anche ai più giovani.

Si ringraziano per il prezioso sostegno: Arci Emilia-Romagna e il progetto Polimero, di cui Torniamo in Circolo! fa parte all’interno di Fuori Luogo, la Regione Emilia-Romagna e Cassa Padana.

Vite di carta /
Autore, narratore e lettore: da Giulio Cesare a Marco Balzano

Vite di carta. Autore, narratore e lettore: da Giulio Cesare a Marco Balzano

Mi sto dedicando alla rilettura di parti dei Commentarii de bello Gallico scritti da Giulio Cesare, il dux della vittoriosa campagna gallica condotta tra il 58 e il 51 a.C. Il libro secondo in particolare è dedicato allo scontro contro i bellicosi Belgi, che mal sopportano la presenza delle legioni romane in Gallia.

E’ guerra, causata sia dalla volontà di conquista del dux, sia dallo spirito di indipendenza dei Belgi. In questo libro si assiste già a un ottimo saggio delle strategie militari romane, che come si sa nel 57 a.C. risultano già vittoriose.

Nel settimo e ultimo libro Cesare racconterà la sollevazione universale dei  Galli guidati da Vercingetorige e la difficile vittoria sulla città di Alesia, che suggella la supremazia dell’esercito romano. E’ guerra ed è vinta da Cesare: Roma acquisisce una provincia ricca di risorse economiche e di cultura; il triumviro Cesare dal canto suo ottiene potere e uno straordinario prestigio personale.

E’ il racconto della guerra ad attrarmi, non soltanto la campagna di conquista in sé. Sono le tecniche narrative adottate da Cesare ad affascinare il lettore, in primo luogo la scelta di esprimersi in terza persona anche per parlare di se stesso. In questi ultimi anni ho ripensato più volte al narratore dei Commentarii, facendo lezioni di narratologia, o leggendo con le classi opere di narrativa e passi tratti da poemi epici.

Recentemente mi ha colpito la profondità di scrittura di un giovane autore italiano, Marco Balzano: la sua bravura nel gestire la figura del ‘narratore’ mi ha riportato proprio al grande condottiero romano.Nei due romanzi di Balzano che ho letto, L’ultimo arrivato del 2014 e Resto qui del 2018, egli utilizza un narratore in prima persona decisamente dialogante, con se stesso e con il lettore.

A dire ‘io’ nel primo libro è il protagonista che migra a Milano dal sud quando è ancora un bambino e non ha con sé la famiglia; la sua vita successiva si svolge nella grande città tra la fatica dei trentadue anni vissuti in fabbrica, il mettere su famiglia e il buco nero degli anni trascorsi in carcere.

Nella parte finale il protagonista tornato a casa dice di essere diventato “un vecchio spelacchiato”, che sta sulle panchine di Milano a passare le giornate, o sulla sedia del tinello a raccontarsi la propria vita. Qui credo che stia la bravura dello scrittore che si è infilato nei panni di un narratore anziano, piagato dai propri errori, che vive una fase della vita più avanzata rispetto alla sua. E sembra proprio vecchio, ragiona e ha emozioni da vecchio. E’ diventato un vecchio.

Nella prima pagina di Resto qui ritrovo la prima persona: chi scrive ancora una volta dice ‘io’ ed esordisce con queste parole: “Non sai niente di me, eppure sai tanto perché sei mia figlia. L’odore della pelle, il calore del fiato, i nervi tesi, te li ho dati io”. Si tratta di Trina, che scrive alla figlia lontana da molti anni  il racconto della vita che non hanno vissuto insieme. Dunque una narratrice. Una donna e anche una madre, che è stata a lungo la maestra di un piccolo paese di montagna.

Quando ne ho parlato in classe ho insistito su questo scarto: i ragazzi faticano a cogliere la differenza tra l’autore e il narratore in un libro, credono che si tratti della medesima entità, che siano del tutto sovrapposti. Ho spiegato molte volte che sono sovrapponibili, che qualcosa dell’autore può restare nei tratti della voce narrante, o viceversa, ma che sono reciprocamente ‘altro’.

Prima di conoscere Resto qui ho fatto ricorso a esempi plateali, a esercizi di scrittura, in cui gli studenti dovevano proprio fingersi di un’altra età o del sesso opposto, oppure dovevano immedesimarsi in personaggi letterari famosi. Qualche volta ha funzionato bene immaginare di essere la Gertrudina, la futura Monaca di Monza, e di subire nell’infanzia il crudele condizionamento della famiglia verso la scelta del chiostro.

Con la lettura di Resto qui eccolo già pronto l’esempio lampante:  l’autore, Marco Balzano in carne e ossa, non coincide in modo evidente con Trina, la narratrice. Però, con quale sensibilità ne veste i panni. Se leggessimo il libro senza conoscere chi l’ha scritto credo che difficilmente ci accorgeremmo che non è una donna. Nella parte centrale del romanzo mi ha incantata la femminilità dello sguardo di lei sul mondo e sulle sue fatiche, sulle passioni e sui dolori.

E Cesare? Ero partita dal suo resoconto della campagna di Gallia e dal suo narrare che è tutto in terza persona. Che soluzione raffinata. Lo scarto tra il dire ‘io e affermazioni del tipo “Cesare, preoccupato dalle notizie e dalle lettere, arruolò nella Gallia cisalpina altre due legioni” è enorme, è in grado di stravolgere la cifra narrativa dell’opera.

Il narratore e protagonista nomina se stesso da un punto di vista esterno, spostando la lancetta della narrazione, che da soggettiva tende a divenir  oggettiva. Nella struttura dei periodi i verbi coniugati alla terza persona segnalano costantemente gli accadimenti. Sono precisi ed efficaci nel segnalare, per esempio, le tappe con cui si svolgono la preparazione di una battaglia e poi lo scontro stesso. Il lettore si forma un quadro preciso delle situazioni e del loro procedere.

Cesare prende atto delle situazioni, le vaglia e decide come condurre le operazioni militari e anche quelle diplomatiche. Cesare, come se fosse un altro. Un grandissimo stratega e un etnografo che indaga i modi di vivere e di pensare delle tante tribù della Gallia. Che offre misurazioni della realtà, che riferisce le notizie, sapendo discernere quali sono certe e quali costituiscono solo delle voci, dei rumores.

Il massimo dell’efficacia è raggiunto quando il narratore onnisciente esalta le qualità degli avversari, quantifica il numero dei soldati, mette in luce il loro coraggio. E il lettore si domanda: se i nemici sono tanto validi, quanto sono valorosi i soldati romani che li hanno battuti? Ecco l’effetto migliore della raffinata traslazione del narratore.

Se l’ha detto un narratore che sa tutto, la consapevolezza della imbattibile grandezza delle legioni romane diventa certezza. Nel caso di Cesare, attività anche politica, propaganda politica. In fondo, i panni che vestono il dux vittorioso mentre attraversa il Rubicone al suo rientro e intraprende la guerra civile contro Pompeo sono gli stessi del sagace narratore dei Commentarii.

Per leggere gli altri articoli e indizi letterari di Roberta Barbieri nella sua rubrica Vite di cartaclicca [Qui]

Le Notti in Rosa di Ferrara dal 3 al 9 agosto

Da: Ufficio Stampa Consorzio Visit Ferrara

 

Le Notti in Rosa di Ferrara scendono sui tetti e sulle strade che circondano il Castello Estense, avvolgendo i vicoli e i passaggi urbani di un fascino inedito e crepuscolare in grado di mutare i connotati architettonici e monumentali nel segno di un ostinato e contagioso tramonto. È il momento del giorno e dell’anno in cui la città offre agli occhi scorci inediti, nuove prospettive e itinerari da indagare col favore di una luce che tende ma resiste al buio e che diventa la condizione ideale per una serie di visite guidate serali in programma tra il 3 e il 9 agosto 2020, in un susseguirsi di sorprese nell’affascinante spettro compreso tra arte, letteratura, sapori e magia.

È stato inoltre predisposto un collegamento via pullman che, nelle due settimane centrali di agosto, permetterà ai turisti presenti sulla costa di godere delle bellezze di Ferrara e, volendo, di abbinare lo spostamento alle visite guidate nelle 4 date specifiche di mercoledì 12 e venerdì 21 agosto, con partenza e ritorno ai Lidi Sud, e di venerdì 14 e mercoledì  19 agosto, con trasferimento da e per i Lidi Nord. Il costo è di 5 euro, o di 10 euro in totale, inclusa l’esperienza. Chi non acquista la visita guidata avrà a disposizione 2 ore di tempo libero per visitare Ferrara o per sorseggiare un drink in uno dei deliziosi locali del centro storico. La prenotazione è obbligatoria e le singole visite guidate partiranno in unico orario alle ore 21.00, con partenze scaglionate a gruppi di 15 persone.

 

«Nel pieno rispetto delle regole sanitarie, la serie delle visite guidate della settimana della Notte Rosa è stata pensata per animare il centro storico in questo difficile momento post-covid per le città d’arte, che già risentono particolarmente nel periodo estivo»:  spiega Ted Tomasi, Presidente del Consorzio Visit Ferrara che, in collaborazione con il Comune di Ferrara ha organizzato l’iniziativa, promossa da Itinerando e NaturalmenteArte, i quali forniranno le guide turistiche per tutti gli appuntamenti.

«Dando ogni sera un’opportunità diversa – continua il presidente Tomasi – andiamo a coinvolgere differenti target, dalle coppie ai giovani, fino agli anziani e alle famiglie con bambini. Scegliendo la formula della visita guidata e creando animazioni ad hoc, promuoviamo inoltre la cultura e rendiamo più accattivante l’esperienza. Tra i motivi che ci hanno spinto ad abbracciare questo format, c’è il tentativo di dare una mano ai nostri imprenditori e soprattutto alle guide e agli organizzatori di eventi, tra le categorie maggiormente colpite durante l’emergenza pandemica». 

 

Lunedì 3 agosto 2020, con doppio turno alle 20.30 e alle 21.00, La Certosa Monumentale, nel silenzio della notte è il primo appuntamento della serie. Alla luce di una torcia, fornita in omaggio a tutti i partecipanti, ci si addentra in un luogo misterioso e suggestivo, tra memorie del passato e capolavori d’arte sacra. La visita, di circa due ore e organizzata col supporto di Ferrara TUA, prevede l’incontro con la guida 10 minuti prima della partenza ai cancelli d’ingresso della Certosa in via Borso. Il costo è di 5 euro a persona.

 

Martedì 4 agosto 2020, storia e letteratura si fondono in Sulle ali dell’Ippogrifo. L’Ariosto a Ferrara, visita guidata di due ore sulle orme del grande letterato rinascimentale, per scoprire la città attraverso le pagine delle sue opere, mirabilmente decantate durante l’itinerario, con letture a cura del Tatro Ferrara OFF. L’incontro con la guida, 10 minuti prima della doppia partenza alle 20.30 e alle 21.00, è previsto presso la colubrina (cannone) in Largo Castello. Il costo è di 5 euro a persona.

 

Misteri e magie di Via delle Volte, organizzato per le 20.30 e le 21.00 di mercoledì 5 agosto 2020 con il supporto di Stileventi Group, è un viaggio alla scoperta di una delle strade più caratteristiche e affascinanti di tutta Ferrara, nel cuore della parte più antica della città. Al termine della visita, la deviazione verso il Chiostro di San Paolo promette di regalare un assaggio di vera magia con il mago Enrico Battaglia. Incontro con la guida 10 minuti prima della partenza presso il Museo della Cattedrale in Via San Romano. Il costo per la visita e lo spettacolo – della durata complessiva di due ore – è di 5 euro a persona.

Si replica mercoledì 19 agosto per chi si muove dai Lidi Nord, con arrivo alle ore 21.00 e ripartenza alle ore 23.00 presso la fermata del Bus&Fly sotto i portici dei giardini di Viale Cavour.

 

Sono invece Favole e scoperte per giovani esploratori al centro di Giocaferrara, originale visita della città rivolta a piccoli indagatori della storia e del mito, per conoscere le vicende legate a Ferrara, le sue leggende e le sue tradizioni in chiave giocosa, in collaborazione con SenzaTitolo. Adatta a famiglie con bambini, la serata è in programma giovedì 6 agosto 2020, con doppio turno alle 20.30 (bambini fino agli 8 anni) e alle 21.00 (bambini dagli 8 anni in su). Incontro con la guida 10 minuti prima della partenza, presso lo scalone di Piazza Municipale. il costo della visita guidata e l’animazione – della durata complessiva di due ore – è di 5 euro a persona per gli adulti e di 3 euro per i bambini.

 

Venerdì 7 agosto 2020, nel consueto doppio turno delle 20.30 e delle 21.00, “Deliziamoci” con gli Estensi propone un tuffo nel passato, per conoscere storie e curiosità degli antichi duchi di Ferrara. L’incontro di raccolta con la guida presso la colubrina (cannone) del Castello Estense è il preludio a una passeggiata serale tra le strade cittadine che culminerà con una degustazione di vino o bevanda analcolica nello splendido giardino e nella Caffetteria di Palazzo Schifanoia, l’unica delle Delizie Estensi in città. Il costo per la visita e la degustazione finale – della durata complessiva di due ore – è di 5 euro a persona.

 

Si replica venerdì 14 agosto per chi si muove dai Lidi Nord e venerdì 21 agosto per chi si sposta dai Lidi Sud, con arrivo alle ore 21.00 presso la fermata del Bus&Fly sotto i portici dei giardini di Viale Cavour e ripartenza alle ore 23.00 dalla fermata dei pullman di Medaglie d’Oro.

 

Come il titolo stesso indica, Pedalata al chiaro di luna è una visita guidata serale in bicicletta che sabato 8 agosto 2020 offre l’opportunità di scoprire le bellezze di Ferrara sotto il cielo stellato. La sorpresa è allora il concerto a illuminazione selenica in scena nel suggestivo palcoscenico della campagna in città, dove il flauto, le voci e il pianoforte del duo Only Friends, composto da Ambra Bianchi e Ricky Doc Scandiani, insegnanti di A.M.F. Scuola di Musica Moderna di Ferrara, porta un evocativo mix di buona musica nel verde di “Terra Viva”. Incontro con la guida 10 minuti prima delle due partenze delle 20.30 e delle 21.00 in Piazza della Repubblica. Il costo per la visita e lo spettacolo – della durata complessiva di due ore – è di 5 euro a persona.

 

Il doppio appuntamento di domenica 9 agosto 2020, alle 20.30 e 21.00, è un gran finale che punta i riflettori verso Il palcoscenico del principe, l’antica Strada degli Angeli. Quello che è un autentico tuffo nel Rinascimento ferrarese, organizzato con il supporto dell’Ente Palio di Ferrara, inizia con l’incontro con la guida, 10 minuti prima delle partenze, presso la Porta degli Angeli, tappa inaugurale di un percorso che attraversa lo straordinario Corso Ercole I d’Este – la via più bella d’Europa – per concludersi con una sorpresa nel cortile del Castello Estense. Il costo per la visita e lo spettacolo – della durata complessiva di due ore – è di 5 euro a persona.

Si replica mercoledì 12 agosto per chi si muove dai Lidi Sud, con arrivo alle ore 21.00 presso la Porta degli Angeli e ripartenza alle ore 23.00 dalla fermata del Bus&Fly sotto i portici dei giardini di Viale Cavour.

 

 

Prenotazione obbligatoria fino a un massimo di 15 persone per turno sul sito https://www.visitferrara.eu. Pagamento in loco.

In caso di pioggia lieve, la visita sarà garantita anche con l’ombrello. Nel caso di maltempo prolungato o temporali, l’organizzazione provvederà a contattare i partecipanti per comunicare l’eventuale annullamento.

 

Ayasofya

Santa Sofia – in lingua turca Ayasofya – non è mai stata ‘solo’ un museo: molti di noi che l’hanno ammirata percorrendone gli spazi, che hanno sostato col capo rivolto alla cupola e ai giganteschi medaglioni circolari in nero e oro, che si sono soffermati su ogni  particolare, hanno sicuramente respirato un’impalpabile aria di religiosa presenza, di sacralità, di solenne luogo di culto che non l’ha mai abbandonata nei tormentati capitoli della sua storia e negli avvicendamenti tra religiosità e laicità. E’ uno di quei rari luoghi destinati a conservare nei propri muri una spiritualità che nessuna riconversione legata alla sua destinazione e funzione potrà mai scalfire.

Non è solo uno dei più potenti simboli di Istanbul e della Turchia: è una presenza in cui chiunque legge miscugli di popoli e religioni e ne riconosce un proprio capitolo. E’ stata la casa di ortodossi, cristiani, musulmani, ottomani, bizantini, romani, crociati, studiosi mediorientali, architetti e manovalanze greche e svizzere, e ne stiamo ancora parlando da quando, il 10 luglio scorso, il presidente Recep Tayyip Erdoğan, con decreto presidenziale, l’ha dichiarata nuovamente aperta al culto islamico, togliendole lo status di museo.
La basilica di Santa Sofia, nota anche come Santa moschea della Grande Hagia Sophia, celebra il culto di Sofia o Sonia, nell’agiografia ufficiale matrona cristiana di origine italica, forse milanese, vissuta nel II secolo, sposa del senatore Filandro e madre di tre figlie dai nomi altamente simbolici: Fede, Speranza e Carità (Pistis, Elpis, Agape).
Alla morte del marito si dedicò al proselitismo e donò i suoi beni ai più bisognosi, attirando accuse di istigazione e adorazione di idoli. Le venne impresso sulla fronte il marchio dell’infamia e le tre figlie vennero decapitate davanti a lei per non aver abiurato rinnegando Cristo. Sofia fece seppellire i corpi delle sue creature a Roma, al 18°milio della Via Aurelia e dopo tre giorni, piangendo e pregando sul posto, morì lei stessa. L’iconografia la rappresenta come una donna vestita a lutto, una madre  che protegge le figlie con il suo mantello.

Un culto sopravvissuto anche là dove il Cristianesimo ha subito eventi storici comuni legati all’epoca, come  Kiev, Novograd, Salonicco. Dal 537 al 1453 fu cattedrale cristiana cattolica di rito bizantino e successivamente ortodossa, con un intervallo tra il 1204 e il 1261, quando i crociati la dichiararono cattedrale cattolica a rito romano. Fu moschea ottomana nel 1453 in seguito alla conquista del sultano Maometto II, ospitando durante i saccheggi donne, bambini e tutti coloro che non potevano difendere la città, tradotti poi in schiavitù dai vincitori. Rimase moschea fino al1931. Nel 1935 fu sconsacrata e divenne museo per volere di Mustafa Kemal Atatürk, primo presidente della repubblica di Turchia, considerato il traghettatore del Paese verso la modernità e l’apertura. Un edificio che ha attraversato peripezie inimmaginabili: incendi devastanti e ricostruzioni, terremoti, editti iconoclasti, saccheggi, profanazioni, ruberie di reliquie, occupazioni, rimozioni e occultamento murario delle decorazioni più prestigiose, recuperate fortunatamente con le sovvenzioni internazionali in tempi più recenti.
Nel 2006, dopo la visita di Papa Benedetto XVI, il governo turco destinò una piccola stanza del complesso museale a luogo di preghiera per tutte le religioni. Ed ora nuovamente moschea. Santa Sofia, non è solo navate, mosaici, portali, urne, gallerie, tappeti, una cupola particolare, muri di grandi porfidi della Tessaglia, marmi egiziani, colonne elleniche provenienti dal tempio di Artemide di Efeso, pietra nera del Bosforo e pietra gialla della Siria: è qualcosa di più, grandioso simbolo di intercultura, interreligione, pagine di storia comune, incontri di popoli, luogo di testimonianza.

Non sarà la sua nuova destinazione a depotenziare la sua immagine, guadagnata in secoli e secoli di eventi tumultuosi, costruita pezzo dopo pezzo da culture e saperi diversi, arricchita di volta in volta fino ad oggi.
D’altro canto, in greco antico, ‘Sofia’ significa sapienza, saggezza.

PER CERTI VERSI
I libri mi hanno fatto…

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio.
Per leggere tutte le altre poesie dell’autore, clicca
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I LIBRI MI HANNO FATTO

i libri mi hanno fatto
Compagnia
Senza leggere una riga
Ma erano lì a distrarmi
Dalla mia sfiga

ANDRÀ TUTTO BENE

gli amici mi hanno portato
Di peso
Sul letto operatorio
Il resto è stato un volto
Vedrà- mi disse-
Andrà tutto bene

SCUOLA A SETTEMBRE
In sicurezza o insicurezza? Non raccontiamoci le favole

di Davide Nani

In sicurezza o insicurezza? Non raccontiamoci le favole

Da insegnante tutti i giorni seguo i media e leggo ipotetiche soluzioni per il rientro a scuola in sicurezza.
Ho rubato all’amico e collega Mauro Presini uno dei suoi giochi di parole nel titolo per definire meglio quello che penso di questa problematica situazione legata alla coda, non si sa quanto viva, del virus che ci affligge da febbraio. In particolar modo, mi riferisco alla possibilità o meno di rientrare a scuola potendo condurre le attività didattiche in presenza. A mio uso e per chi avrà la cortesia di leggermi, ho tentato di fare un’analisi scomponendo, come si dice in matematica, la questione in fattori semplici:

a)
Il virus esiste e prolifera nel resto di quel mondo dal quale nessuno può rimanere isolato a meno che non ci si trasferisca sull’Isola di Pasqua. E non so se basti.

b) Non esiste al momento una cura riconosciuta come universalmente efficace. Tante cure = nessuna cura.

c) Come tutti i virus il Covid si diffonde in comunità e la scuola è una comunità, la prima comunità.

d) Ampliare gli ambienti, diminuire il numero degli alunni, sicuramente è utile per la didattica, ma non preserva nessuno da contagi. Basta essere stati a scuola un anno (e io ci sono da 35) per constatare che ai virus anche più banali non c’è argine in un’aula in cui i bambini stazionano anche otto ore. (eviterei i banchi a rotelle che per carità di Patria non commento)

e) Lo Stato con le sue diramazioni decentrate non può compiere in un mese il miracolo di trasformare aule spesso polverose in piccole sale operatorie e gli alunni in esperti in protezione  N. B. C. ( Nucleare, Batteriologica e Chimica)

Questa mi pare essere la realtà, allo stato attuale che è quello che ci interessa, visto che settembre è domani. Giusto migliorare le scuole, ma non è possibile avere risultati significativi a breve.
Quindi? Mi chiederete…
Quindi torniamo a scuola, ma non raccontiamo favole alla gente e a noi stessi. Ci assumiamo una certa dose di rischio e non è difficile prevedere che l’attività sarà ancora pesantemente condizionata, dal momento che anche un banale raffreddore costringerà insegnanti e bambini a stare a casa e che non sono escluse chiusure a singhiozzo.
La soluzione al momento non c’è, abituiamoci a pensare che a volte l’insicurezza non è colpa di nessuno e che le bacchette magiche non sono mai esistite.

LIBRI CONTRO LA FAME
17 testi da leggere questa estate

Da: Azione contro la fame – Ufficio stampa

Milano, 24 luglio 2020 – Sono saggi, romanzi e testi per bambini. Aiutano a comprendere la società odierna, analizzando o raccontando le cause strutturali della fame, della povertà e della difficoltà di accesso ai beni di prima necessità da parte di milioni di persone. Si tratta dei 17 testi selezionati da Azione contro la Fame nell’ambito del progetto “Libri contro la Fame”. Si tratta dell’iniziativa di sensibilizzazione promossa sottoforma di premio letterario con l’obiettivo di creare un network di scrittori e editori capace di trattare, con l’uso di nuovi linguaggi, i temi della fame e della malnutrizione, oltre che le loro cause strutturali e le dirette conseguenze di queste gravi piaghe globali.Nuovi approcci e testimonianze in merito alla trattazione di una ferita ancora aperta in molti Paesi del Sud del mondo: va ricordato che, secondo le ultime stime diffuse dal SOFI 2020, 690 milioni di uomini, donne e bambini nel mondo soffrono, oggi, di fame e di malnutrizione.

Autori ed autori che hanno aderito all’iniziativa
Numerose case editrici e autori, italiani e internazionali, hanno aderito a “Libri contro la Fame”: l’organizzazione ne ha selezionati 17, suddividendoli in tre categorie: narrativa, saggi e libri per bambini.

  • “La valigia” (Carthusia Edizioni) di Angelo Ruta (illustratore editoriale e autore). Libro, in bianco e nero, che racconta la brutalità della guerra e l’innocenza dei bambini. È la storia di un sogno custodito dentro una grande valigia, che un bambino trascina faticosamente lontano da un mondo desolante, distrutto da violenza e guerre.
  • “Il viaggio di Cam” (Carthusia Edizioni) di Arianna Giorgia Bonazzi (scrittrice). Cam è un seme, piuttosto vivace. Lui però non sa chi è e nemmeno cosa farà da grande. Questa incertezza gli fa intraprendere un viaggio in giro per il mondo, nei luoghi della solidarietà capaci di donare riposo e benessere, lontano dalla guerra, a tanti malati e, soprattutto, ai bambini in cura.
  • “Fame” (Rizzoli Libri) di Michael Grant (scrittore statunitense). Sono trascorsi mesi da quando gli adulti sono scomparsi e i ragazzi sotti i quindici anni sono rimasti intrappolati nella Fase. Il cibo è finito da settimane e i giovani sono affamati, senza una soluzione all’orizzonte. In questo scenario anche i buoni rivelano un lato oscuro. La serie precedente è “Gone”.
  • “L’uccellino rosso” (Iperborea) di Astrid Lindgren (scrittrice svedese). De fratellini orfani e costretti a lavorare duramente nella stalla inseguono un giorno un uccellino rosso arrivando alle porte di Pratofiorito. È il regno della fantasia a diventare il fido alleato di questi piccoli eroi, trasformando anche la sorte più avversa in una storia piena di meraviglie.
  • “Guerra bambina” (Edizioni La Gru) di Simona Novacco (educatrice, scrittrice e giornalista). Se un bambino ti chiedesse cos’è la guerra, cosa risponderesti? Il testo unisce poesia e immagini per dare una risposta a questo interrogativo e dare voce a tutti i bambini che la guerra sono costretti a viverla ogni giorno, ma resistono mentre tutti gli uomini crollano sotto il peso delle loro colpe.
  • “Commossi dal sogno” e “Le frontiere dell’inquietudine” (Il Quaderno edizioni) di Carmine Natale (scrittore, funzionario, formatore). Due testi dove il protagonista è il volontariato internazionale. Catherine Leclerc, per esempio, è una donna che sembra essere commossa dal sogno, affascinata dall’utopia e dalla bellezza della vita vissuta anche nella povertà delle baraccopoli o in contesti drammatici come quello dello sbarco dei migranti.
  • “Dov’è casa mia” (Minimum Fax) di Davide Coltri (scrittore, si occupa di progetti di istruzione nelle emergenze umanitarie). Il testo racconta le storie di Khalat, Anneke e Théogène. Si tratta di persone che l’autore ha incontrato nel corso del suo lavoro in ambito umanitario. Attraverso la loro testimonianza, ci mostra guerre civili e atti di terrorismo ma anche la solidarietà, la resistenza e la speranza di una vita diversa.
  • “Gli anni, i mesi, i giorni” (Edizioni Nottetempo) di Yan Lianke (scrittore di Henan, vive a Pechino). I due romanzi raccolti raccontano la vita contadina ambientata sui Monti Balou, catena immaginaria della provincia cinese del Henan. Lianke esplora la durezza delle esistenze dei suoi protagonisti, alla mercé di destini avversi e di una natura potente, inesorabile, a tratti feroce. 
  • “La linea del colore” (Bompiani) di Igiaba Scego (scrittrice, collabora con riviste che si occupano di migrazioni e di culture e letterature africane). Romanzo dalle tonalità ottocentesche nel quale l’autrice innesta vivide schegge di testimonianza sul presente, e ci racconta di un mondo nel quale almeno sulla carta tutti erano liberi di viaggiare: perché fare memoria della storia è sempre il primo passo verso il futuro che vogliamo costruire.
  • “Ajeneide” (Campanotto Editore) di Anna Bossi (scrittrice e insegnante). Fa parte di “Classicamente attuale”, che racchiude tre racconti che s’ispirano ad altrettanti classici: “L’Eneide”, “L’Orlando furioso”, “Romeo e Giulietta”. In particolare, il testo si concentra sull’Africa sub-sahariana, in villaggi in balia della guerra civile.
  • “Profughi del Clima” (Rubbettino Editore) di Francesca Santolini (giornalista esperta di temi ambientali, collabora con «La Stampa» e la trasmissione di Rai 1 Unomattina). Migranti climatici, rifugiati ambientali, eco profughi, indignados del clima: sono tante le espressioni per definire la nuova migrazione forzata che rischia di trasformarsi nella più grave crisi dei rifugiati dalla Seconda guerra mondiale.
  • “Matrimonio siriano, un nuovo viaggio” (Rubbettino Editore) di Laura Tangherlini giornalista e conduttrice di Rainews24). Come si sopravvive da profughi siriani? Quanto restano forti, dopo otto anni di conflitto, la nostalgia e il ricordo? La guerra è davvero finita? Le risposte a queste domande dalle voci delle vere vittime, di chi scappa e di chi ha paura a tornare. Il loro dramma in un libro di inchiesta, denuncia e amore.
  • “Ricette e precetti” (Casa Editrice Giuntina) di Miriam Camerini (regista, attrice e cantante). Un viaggio alla scoperta dei piatti nelle tre religioni monoteiste. Quarantacinque storie e ricette raccontano del rapporto intricato fra cibo e norme religiose ebraiche, cristiane e islamiche.
  • “Per amore della terra” (Castelvecchi Editore) di Giuseppe De Marzo (economista, giornalista, attivista e scrittore). Mentre ripercorre la geografia delle lotte in atto nel mondo ù, l’autore ci invita a riflettere sul mondo in cui viviamo e sul potere che abbiamo di trasformarlo, in nome dell’amore verso quella casa comune che si chiama Madre Terra che abitiamo.
  • “Fame. Una conversazione con papa Francesco alla luce dei dati della Fao arricchiti da analisi, commenti, testimonianze” (San Paolo Edizioni) di Gianni Garrucciu (giornalista, scrittore e docente). Partendo da una lunga conversazione privata con Papa Francesco, il libro di Gianni Garrucciu, partendo dagli ultimi dati ufficiali della FAO, dà volti e storie a numeri che fanno paura, ma che non possiamo più evitare: 821 milioni di esseri umani oggi patiscono la fame.
  • “Luci in lontananza” (Marsilio Editori) di Daniel Trilling (giornalista britannico, dirige New Humanist). La geografia dei flussi migratori che stanno ridisegnando il Vecchio continente raccontata attraverso le storie di chi sfida la sorte nella speranza di una vita migliore, per portare in superficie ciò che etichette come «richiedenti asilo» e «migranti economici» non sono in grado di restituire.

La fase finale dell’iniziativa

La manifestazione conclusiva si terrà nel mese di novembre. I libri saranno giudicati da una giuria di eccezione, in cui operano insieme diverse “anime”.
Staff di Azione contro la FameAlessandra Favilli (vicepresidente), Giovanni Terzi (membro del board), Simone Garroni (direttore generale), Nicola Giordano ed Elisabetta Dozio (operatori dell’organizzazione).
Personalità di spicco del mondo della letteratura e dell’editoriaGianni Biondillo (scrittore), Ginevra Bompiani (scrittrice, editrice e saggista), Emilia Lodigiani (editrice), Lucio Morawetz (Libreria Utopia), Maria Pace Ottieri (scrittrice e giornalista), Francesco Piccolo (scrittore e sceneggiatore), Christian Raimo (scrittore e traduttore), Elena Stancanelli (scrittrice), Nadia Terranova (scrittrice).
Personalità di spicco del mondo del giornalismo, della cultura e dell’entertainmentAlessandro Banfi (giornalista), Luciano Piscaglia (giornalista), Elena Salem (direttrice della Scuola Letteraria, docente di scrittura creativa e scrittrice), Giovanna Savignano (giornalista e speaker radiofonica), Metis Di Meo (conduttrice televisiva e attrice). 

Azione contro la Fame è un’organizzazione umanitaria internazionale leader nella lotta contro le cause e le conseguenze della fame. Da 40 anni, in circa 50 Paesi, salva la vita di bambini malnutriti, assicura alle famiglie acqua potabile, cibo, cure mediche e formazione, consentendo a intere comunità di vivere libere dalla fame.

Dora, Amalia e l’incendio di via Santoni Rosa

Qui a Pontalba siamo tutti dispiaciuti della morte di Dora, la signora anziana che abitava in via Santoni Rosa a pochi isolati di distanza da casa nostra. Dora era simpatica, ci piaceva tanto. Alla mattina usciva a spazzare davanti al suo grande portone di legno e se mi vedeva, diceva: “Ecco Rebecca, una delle tre meraviglie di via Santoni”  (le altre due meraviglie sono i miei fratelli: Valeria e Enrico). Amalia, la sorella di Dora, è rimasta da poco sola in quella vecchia casa. Ha  novant’anni. Il suo cervello funziona ancora bene, le sue gambe molto meno.

Quando la zia Costanza era piccola, Amalia e Dora erano giovani e arzille. Portavano dei cappellini vivaci con fiori e piume e cantavano come due sirene. La zia se le ricorda sedute vicine nel banco in chiesa, mentre intonavano le canzoni della Messa di Natale. Anche la nonna Anna se le ricorda.
Quando la zia Costanza aveva quattro anni, la zia Rachele tre e mia madre non era ancora nata, la nostra casa in via Santoni Rosa andò a fuoco.
C’era una caldaia a nafta posizionata in uno stanzino tra la cucina e un’ala diroccata dello stesso stabile, proprio lì si scatenò l’incendio.  Alcuni anni dopo quell’ala in disuso fu restaurata ed è diventata  la mia casa attuale. In quella drammatica notte, un grumo di combustibile  intasò la caldaia e causò l’incendio che si propagò per buona parte dell’abitazione e distrusse il fienile. Le esalazioni di nafta fecero morire Lisa, il collie delle zie.

Io sono nata molto tempo dopo, ma di quella vicenda ne ho sempre sentito parlare. Le fiamme erano altissime, i pompieri non arrivavano, né quelli della centrale più vicina, né quelli della città. Si erano persi con le loro autobotti nella notte d’autunno che, nella pianura lombarda, sa essere insidiosa e quasi priva di visibilità. Il fuoco imperversava. I nonni e i bisnonni, tutti ormai svegli e usciti in cortile col solo pigiama addosso, non sapevano cosa fare.

La zia Costanza e la zia Rachele furono portate a casa di Dora e Amalia e là si addormentarono, mentre gli adulti continuarono ad aspettare i pompieri. Le fiamme erano violente, rosse come i tramonti di Luglio, bollenti. I nostri vicini trebbiatori provarono a fermarle  con gli estintori in dotazione a chi lavora con le macchine agricole, ma fu inutile. Quelle bisce di fuoco si abbassarono per un attimo e poi ripresero vigore e si innalzarono nel cielo della notte come draghi inferociti. Un po’ alla volta si svegliò tutto il paese. C’era una strana luce e uno strano calore ovunque. Suonarono le campane a martello per avvisare che c’era un dramma in corso.
Poi finalmente arrivarono i pompieri e spensero il fuoco. La casa rimase bollente, piena di schiumogeno, cenere e resti di nafta fuoriuscita dalla cisterna e parzialmente bruciata, per giorni. Quel nero bruciato si era appiccicato alle pareti e si riuscì a liberarsene definitivamente l’estate dopo, quando con l’intonaco nuovo si risistemarono i muri martoriati.
Mentre tutto questo succedeva  le zie dormivano nel letto di Dora e Amalia. Entrambe, seppur piccole, ricordano di essersi svegliate in quel letto “diverso” e di aver avvertito che la situazione era anomala, ma non ricordano molto di più.

Quando sento parlare di incendi ripenso sempre a quel che le zie e la nonna Anna raccontano di quel fuoco violento che devastò parte della nostra casa, per la precisione la parte che poi è stata ristrutturata e dove noi abitiamo adesso. Ho rischiato di perdere la mia abitazione prima ancora di averla trovata. La nostra grande casa di campagna è divisa in due appartamenti: in uno abita la zia Costanza con la nonna, nell’altra abitiamo io, Valeria, Enrico e i nostri genitori. La zia Rachele abita a Torino perché lavora là.

Anche la signora Amalia ricorda bene quella notte. Una volta mi raccontò che era stato un grande spavento, avevano avuto paura che della nostra casa non restasse nulla, tanto l’incendio era alto e autoalimentato (la nafta continuava ad uscire dal bruciatore e nessuno sapeva come fermarla). Nella caldaia c’era trenta quintali di nafta che bruciavano con ardore.
Un amico della nonna tagliò i fili della corrente elettrica che si stavano surriscaldando e i pompieri iniziarono a bagnare con acqua ghiacciata i muri interni della casa che stavano diventando bollenti. Un dramma che ha sfiorato la tragedia.
Dora e Amalia sono state tempestive, ci hanno aiutato, hanno avvolte le zie in coperte e poi le hanno portate a dormire, hanno costretto i nonni a bere un po’ di grappa.
In quel dramma improvviso si è risvegliato, di notte, un intero paese. Insieme alle fiamme si è riaccesa la solidarietà. Insieme al calore del fuoco, via Santoni Rosa è stata invasa dalla bontà di tanti cuori. Si è riscoperta improvvisamente la fratellanza.

La mattina dopo nella mia casa devastata e nera come il carbone, arrivarono diversi piatti di frittelle fumanti, segno inequivocabile di solidarietà e di partecipazione al damma. Non centrava proprio più la politica, le riunioni condominiali, le candidature a Sindaco del paese, la gestione della cassa dell’oratorio e tutte quelle vicende che allertano gli animi in tempo di pace. Una notte sola aveva spazzato via tutti questi piccoli risentimenti di una vita un po’ banale e un po’ ripetitiva. (Soprassederei sull’effettiva utilità di ingurgitare dolci fritti dopo essere stati una notte al freddo e aver provato un forte stringimento di stomaco causato dalla paura e dalla preoccupazione. Là bontà dei cuori va oltre.)

Credo che sia in momenti come quelli che si riscopre la differenza tra l’abitare in un paese  e nella periferia di una grande città. Tutti gli abitanti di via Santoni Rosa si ritrovarono quella notte per strada, senza vestiti, senza scarpe e cercarono di dare il loro aiuto a seconda delle loro possibilità, della competenza, dell’età e della preoccupazione che, a volte, impedisce di vedere le soluzioni più ragionevoli.
Il papà di Camilla andò sull’angolo della via ad aspettare i pompieri, Amalia chiamò il medico di guardia per il nonno che stava male, gli zii che abitavano in piazza si misero a pregare e accesero delle belle candele suoi loro comodini.
Il parroco arrivò in bicicletta, la farmacista in vespa, il segretario comunale a piedi perchè la sera prima aveva bevuto e vinto a carte all’osteria e, i postumi della sbornia, gli permettevano di fidarsi solo delle sue gambe.
Il giorno dopo a scuola le maestre fecero fare ai bambini della elementari un tema sull’incendio di via Santoni Rosa, mentre quelli delle medie studiarono come funzionava la combustione della nafta.

Tutto il paese partecipò al dramma e la cosa che sollevò gli animi di tutti è che non morì nessuno, né la casa cadde a pezzi, anzi si salvò e venne ristrutturata. Amalia e Dora raccontarono per anni questa storia con molta fierezza come se l’esito positivo della vicenda fosse, almeno un po’, merito loro.  Forse in parte lo era, come lo era di tutti coloro che in quella notte, rossa come il fuoco e accesa come il sole di mezzogiorno, parteciparono al dramma e provarono a dare il loro contributo allo spegnimento dell’incendio.
Ben diversi sono stati gli eventi a causa dei quali, proprio in quegli anni, sono bruciati fienili carichi di fieno e legname. In quei casi  il dramma assumeva proporzioni rilevanti e i danni economici potevano portare alla rovina dei malcapitati colpiti dal fuoco. A volte  gli incendi erano di natura dolosa, ma di questo a me non è mai stato raccontato nulla.

I bisnonni, i nonni, le zie devono ringraziare  Dora e Amalia che, con la loro solerzia e il loro proverbiale altruismo, si sono precipitate a prendere le due bambine della casa che stava bruciando. Ora Dora purtroppo è morta, ma lei è una nostra defunta, fa parte della nostra tomba di famiglia.
Nei paesi di campagna le storie di incendi sono tante, hanno tante cause, tante conseguenze, tante chiacchiere posticce e a volte anche tante polemiche.

Ma Dora  e Amalia hanno sempre ringraziato il cielo che ai  miei parenti non sia successo niente e che alle due bambine di via Santoni Rosa (la zia Costanza e la zia Rachele) sia continuata ad essere garantita una vita serena e protetta. Le due bambine sono infatti cresciute sane e per nulla traumatizzate dal brutto e pericoloso incidente. Le zie sanno quante candele hanno acceso Dora e Amalia per loro. E di questo non si possono dimenticare. Adesso che Dora è morta di Covid-19, ogni tanto, piangono.  Credo ripensino a tutte le volte che Dora le ha cordialmente salutate, ha sorriso loro, regalato qualche caramella e indicato loro i rondoni pronti a spiccare il volo.  Ripensano a quando, in quella notte di terrore, lei e sua sorella Amalia le hanno fatte dormire nel loro letto perché la casa bruciava. Le zie sanno, perché l’hanno provato sulla loro pelle, che è la presenza  di persone buone che cambia il corso della vita, è il loro amore, la loro forza, la loro fiducia e anche un po’ della loro temerarietà.

N.d.A.
I protagonisti dei racconti hanno nomi di pura fantasia che non corrispondono a quelli delle persone che li hanno in parte ispirati. Anche i nomi dei luoghi sono il frutto della fantasia dell’autrice.

CONTRO VERSO
Filastrocca delle frazioni

La pretesa di una divisione matematica del tempo del bambino, al 50% tra la mamma e il papà, è spesso una forzatura che accontenta, forse, gli adulti, ma confonde i figli e irrigidisce le relazioni.

Filastrocca delle frazioni

Ho un piede con il babbo
un altro da mammà.
Mi sveglio e mi domando:
“Perché mi trovo qua?”
La maglia dalla mamma,
dal babbo i pantaloni
con me ci puoi illustrare
per bene le frazioni.
Con mamma storia e atletica
con babbo geometria
frequento l’aritmetica
e la ragioneria
di genitori inquieti,
costantemente persi,
che no, non si perdonano
di essere diversi.
Che più non si ricordano
quando si sono amati
e forse manco sanno
perché si son lasciati.
Che poi, siamo sinceri,
lasciati non sono.
Né divisi né interi
finché non c’è il perdono.

In una famiglia unita, in una condizione di convivenza, è del tutto normale che un figlio si avvicini di più alla madre o di più al padre in periodi diversi della crescita, o per aspetti differenti nel medesimo periodo. È quello che succede quando si tiene conto delle relazioni con una certa naturalezza.
Al momento della separazione sembra che questo sia improvvisamente inaccettabile. Mamma e papà vanno dal giudice col cronometro in mano. Chi resta incastrato, evidentemente, è il figlio. 

CONTRO VERSO, la rubrica di Elena Buccoliero con le filastrocche all’incontrario, le rime bambine destinate agli adulti, torna su Ferraraitalia tutti i venerdì.
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Ddl Zan: femministe omofobe?

Da: Giuliana Bolognesi

 

Circa l’ormai notissimo ddl Zan (che dovrebbe contrastare omofobia,bifobia e transfobia) è stato incredibilmente trascurato il punto di vista di molte femministe che contestano le nuove norme “in fieri” e che si sono espresse nei seguenti termini : «Ci lascia perplesse la definizione ‘identità di genere’ al posto di ‘identità sessuale’, perché finirebbe per negare la specificità femminile. Nel Regno Unito, in Canada, in alcuni Stati Usa le donne che non accettano di condividere i loro spazi con persone di sesso maschile e identità di genere femminile vengono ingiuriate, processate, talvolta licenziate con l’accusa di transfobia. Il linciaggio mediatico della scrittrice J. K. Rowling è il caso più clamoroso, ma non l’unico”.

Che Monica Ricci Sargentini e Marina Terragni si schierino contro il ddl Zan è di certo assai significativo e non solo perché parliamo di esponenti storiche del mondo femminista. Fra l’altro,alle due giornaliste citate potremmo aggiungere altri nomi di scrittrici appartenenti al mondo lesbico o femminista, da Rita Paltrinieri di Arcilesbica Modena a Paola Vitacolonna di Gruppo I-Dee Milano.
La Ricci Sargentini è stata bollata sul web come «omofoba», la Terragni è stata inondata di insulti, e così anche le altre che sostengono le medesime posizioni. Insomma, spira un’aria di intolleranza che non promette nulla di buono. Nel manifestare la mia totale solidarietà a Monica e a Marina ( a cui spero si associ anche Paola Peruffo) mi vien da pensare,purtroppo, che la tolleranza non sia un valore universale bensì particolare: c’è chi se la merita, e chi no, magari solo per il solo fatto di pensarla diversamente.

PAROLE A CAPO
Bruno Montanari: “Ora di cena” e altre poesie

“Molte volte l’impegno che gli uomini mettono in attività che sembrano assolutamente gratuite, senz’altro fine che il divertimento o la soddisfazione di risolvere un problema difficile, si rivela essenziale in un ambito che nessuno aveva previsto, con conseguenze che portano lontano. Questo è vero per poesia e arte, come è vero per la scienza e per la tecnologia”
(Italo Calvino)

ORA DI CENA

E’ come una sponda nel cielo
l’estremo orizzonte lontano,
anche oggi si è tinto di viola
e, poi, lentamente di nero.

Nell’ora di cena
ritornano sfumati i colori
di un tempo remoto.
Respiro l’odore della legna
che brucia,
rivedo mia madre
i tegami sul fuoco.

In quella cucina, mentre lei stirava,
quanti tramonti ho visto arrivare,
le ore del pomeriggio fuggivano
portandosi via le nostre preghiere.

 

SE GUARDO NELLA MENTE

Più brevi si fanno i confini.
L’oggi si fa ieri
e le memorie si addensano
lungo la strada
come bianche farfalle
che danzano nell’aria.

Il ricordo mi è riparo
e dolcezza per l’anima.
Di nuovo s’accende il cuore
per la fine della guerra
e l’ansia dell’attesa
di chi era partito soldato.

Io, bambino, con mia madre
nella vecchia stanza;
in un cantone la legna per il fuoco
ed un sacco con poca farina.

 

FERRARA

Vagare per la  città
mentre si perde il sole
e si aspetta il calare della luna.

Perdersi in un mare di vecchie case
e rivivere la bellezza del passato.
Sentire il vociare lontano
dei bambini
e respirare il profumo dei tigli
che corre nei viali.

——————–

Nel sotto mura
un sentiero di terra pestata.
In bella fila alberi,
colorati fiori
e tratti pungenti di rovi.

Col nuovo sole,
fuggono dall’aria
i profumi di cose lontane
e si nascondono
le presenze dei momenti vissuti.
Maggio,
come un canto che giunge nel vento
porta nuove voci di primavera.

 

LA FEDE

E’ la fine! Ma di che cosa.
Per anni ho seminato
ed ora sono carico di raccolto;
dopo sarà meglio di prima.

Tutto è perduto! Ma non è vero.
La vita si conclude.
Il vecchio terreno resterà incolto,
ma nuova semina germoglierà
in altri campi.

Tutto diventa cenere! Ma è sbagliato.
Si inaridirà la sorgente
ed appassiranno le vecchie rose,
ma un leggero vento soffierà
sui fiori profumati
di un diverso giardino.

Bruno Montanari (1941) di Madonna Boschi / Vigarano Mainarda (FE). L’unione con la poesia è avvenuta nel 2008. Prima non aveva mai scritto. Da allora ha pubblicato 22 libri con diversi editori. Un libro si trova presso la Biblioteca Vaticana e due libri presso la Biblioteca del Presidente della Repubblica. Molti giudizi favorevoli sui suoi lavori sono apparsi per diversi anni nella rivista internazionale “Poeti e poesie”.

La rubrica di poesia Parole a capo esce regolarmente ogni giovedì mattina su Ferraraitalia. 
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