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Ferrara film corto festival

Ferrara film corto festival


Vite di carta /
L’ultimo romanzo di Viola Ardone, “Grande Meraviglia”, grande vicinanza

Vite di carta. L’ultimo romanzo di Viola Ardone, Grande Meraviglia, grande vicinanza.

Non posso lasciarlo andare, restituirlo a chi me l’ha prestato senza tenermi ancora per un po’ alcune sue parole. Il libro di Viola Ardone, dico. Si parla di pazzia e di manicomi chiusi con la legge Basaglia del 1978, eppure quello che nel libro si dice della vita e della imperfezione di noi creature mi ha fatto bene.

Sapevo che la storia viene raccontata da una adolescente internata insieme alla madre nel manicomio di Napoli, ma poi appena sono entrata nel libro ne ho saputo il nome: Elba come il “grande fiume del nord che passa per la Germania”.

Glielo ha dato la sua Mutti, la madre, così come insieme hanno dato nomi di fantasia a persone e cose nelle loro giornate tutte uguali dentro al Fascione. Hanno creato filastrocche in rima e modi di dire per dare uno stigma giocoso alla disperazione.

Un esempio che rende bene la privazione del mondo in cui Elba vive: “A me piace fare le rime e per fortuna al mezzomondo tutte le parole finiscono in -ia, come pazzia”.

Un po’ come avviene nel film La vita è bella di Roberto Benigni, dove la vita del lager viene straniata da un padre prigioniero e presentata agli occhi del suo bambino come un grande luna park dove si fanno giochi di squadra in cui bisogna assolutamente vincere.

Dopo che ha presentato le altre, le pazze del suo reparto, non la cambieresti più col miglior narratore al mondo, questa ragazzina che nel suo Diario dei malanni di mente stila il catalogo di malattie e terapie, in lizza col primario del manicomio, Colavolpe, che non ne azzecca molte più di lei. Accoglie la Nuova, che resta muta e non mangia, e le sta accanto a lungo presentandole una ad una le altre malate e una per volta le regole della vita lì dentro.

“Sai, al mezzomondo ogni giornata è sempre la stessa: svegliarti quando arriva la luce, andare alle docce, infilare il camicione, mangiare pane raffermo nel latte annacquato, aspettare il giro delle visite, pranzare. Camminare una mezz’ora nel cortile se non piove, aiutare Gillette con le pulizie, guardare la televisione se non sei stata messa alla corda, cenare, prendere la Caramella-grigia del Buon Sonno, tenerla tra la guancia e la gengiva per poi sputarla senza farti scoprire, attendere che si spengano le luci, sentire gli zoccoli della sorvegliante che battono sulle mattonelle e scendere in un pozzo nero nero, se non hai fatto in tempo a gettare la pillola di nascosto”.

Quando nel libro il narratore è cambiato, non l’ho accettato subito. Come se non fosse ancora il momento di staccarmi da Elba e ascoltare il dottorino che da quando è entrato nel Fascione ne ha scardinato le regole cieche: ha portato fuori i pazzi, facendoli giocare a pallone o lasciandoli camminare in cortile sotto la neve. Trattando Elba non da pazza, perché pazza non è mai stata. Nemmeno sua madre, fatta rinchiudere dal marito quando era rimasta incinta di lei da un altro uomo.

Meraviglia è il suo cognome, e meraviglia sparge col suo metodo nel trattare i malati, che è anche il suo modo di valutare la vita. Come narratore interviene quasi quarant’anni dopo che Elba è uscita dal manicomio, dopo la morte della sua Mutti, e lui se l’è presa in casa, l’ha aiutata a studiare e l’ha accompagnata fino alle soglie della laurea in psicologia.

Ignaro, o distratto, rispetto al turbamento che la presenza di Elba poteva apportare ai suoi figli, a Vera in particolare, che soffriva della assenza di lui come padre e di quella sua dedizione pressoché totale al lavoro dentro al manicomio.

Ignaro e innamorato della vita e dei propri ideali.

Quando racconta ha settantacinque anni: i figli sono adulti e lontani dalla sua quotidianità, la ex moglie si è risposata ormai da molti anni. Elba se ne è andata da tantissimo tempo, ha scritto molte cartoline, poi è calato il silenzio.

Ecco: ci ho messo un po’ ma poi questo anziano che vive solo e si interroga sulle cose passate, pieno di disincanto e di sensi di colpa a metà, perché la sua indole cinica e sorniona glieli ha fatti perdonare, mi si è fatto vicino vicino. L’ho ascoltato e dalla parabola della sua vita ho preso lezione.

Dice alla ex moglie Elvira incontrata per strada nell’ultimo giorno dell’anno: “La vita mi è piaciuta, Elvì, e pure io a lei, ma era solo una cotta, poi è passata. Lo sai come ti accorgi di invecchiare? Quando incominci a perdere. Prima la vista, poi gli oggetti, poi la salute, il sonno, le amicizie, i capelli, gli amori. E infine il tempo. Ho trascorso la vita a fuggire dai legami e quando mi sono fermato ho scoperto che nessuno mi inseguiva più… Perfino Elba è scomparsa così, di punto in bianco, senza una spiegazione. Almeno a lei credevo di avere fatto solo del bene“.

La storia ha una conclusione che non svelerò, una conclusione in cui il caso ha messo il suo zampino, non bastassero gli errori che si commettono o quello che non si comprende delle situazioni a complicarci la vita. La morale, però, posso dirla per come l’ho intesa io. La morale è che a dispetto di tutte le forze che ce ne allontanano ci fa bene e ci dà senso rimanere aderenti a noi stessi.

Nota bibliografica:

  • Viola Ardone, Grande Meraviglia, Einaudi, 2023

Cover:  Marco Cavallo, Trieste 1973

Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

Diario in pubblico /
Antisemitismo nei college americani

Diario in pubblico. Antisemitismo nei college americani

Non avrei mai creduto che una situazione culturale che ho sperimentato decenni fa nelle università americane si ripresentasse in modo assai più grave ora, con le ripercussioni che anche in Italia hanno impedito al direttore di La Repubblica Molinari di tenere la sua relazione all’Università Federico II di Napoli, una struttura che ben conosco dove ho anche tenuto lezioni come nell’altra, la Suor Orsola Benincasa, fiore all’occhiello del sistema universitario napoletano, benché privato, nella sua specializzazione umanistica.

Ancora più grave la decisione di molti studenti di impedire la titolazione del loro Istituto a Peppino Impastato: tre studenti su quattro votano contro, giudicandolo un personaggio “divisivo”. La notizia viene giudicata dal fratello Giovanni “inquietante “Perché “divisivo”?

Sono segnali molto pericolosi, quando cioè l’Accademia o la scuola diventano oggetto e soggetto dello scontro politico.

Una mia decisione presa decenni fa e che ha provocato scelte assai difficili tanto da costarmi la qualifica di professore emerito è stata quella di scindere l’Accademia dalla politica, ma soprattutto di opporsi alle scelte degli allievi come naturali prosecutori del ruolo dei loro maestri.

L’indagine di Gianni Riotta su La Repubblica del 17 marzo dal titolo Nei college USA un vento di censura e odio anti-ebraico contagia gli studenti ha aperto una discussione accesa, in quanto è staticamente accertato che le grandi università americane private sono in gran parte sovvenzionate da capitali ebraici e quindi la protesta non riguarderebbe quelle sedi prestigiose ma, come scrive The Economist,  “in quelle popolari si pensa a studiare”.

Riotta corregge il tiro, poiché la protesta arriva da “Hunter College e City University a New York, da sempre sono atenei  working class di lavoratori, operai, immigrati, come Napoli, Federico”.  E d’altra parte è necessario leggere la importante dichiarazione di Anna Dolfi, esimia studiosa e docente universitaria e la sua fiducia sul sistema accademia.

Tra gli amici più cari conto Lino Pertile, studioso emerito e docente ad Harward, con il quale ho scambiato una lunga telefonata. Mi ha ribadito con molti seri argomenti che queste notizie se non sono proprio fake news rispondono a precisi momenti politici nella lotta che oppone Repubblicani e Democratici, ovvero il duo Trump-Biden.

Quindi, probabilmente, anche in Italia – e si veda la recente notizia di lasciare a casa gli studenti mussulmani in una scuola piemontese a Pioltello affinché possano celebrare il Ramadan, chiaramente esposta nel Corriere del 20 marzo in cui si legge la ‘fremente’ risposta di Ignazio La Russa.

Tuttavia, avere impedito a Molinari di parlare alla Federico II e, a mio avviso ancor più grave segnale, la contestazione a David Parenzo di entrare nella Sapienza romana viene con grande intelligenza commentato da Aldo Cazzullo sul Corriere del 19 marzo.

In questo momento questa notizia viene se non abbandonata, passata in seconda linea dalla terribile strage nel teatro di Mosca.

Resta da aggiungere una notizia che dovrebbe por fine alle più brutte illazioni e che riporto:

“Una lettera aperta al Presidente del Consiglio e al Ministro per l’Università e la Ricerca, promossa dall’Associazione Setteottobre e firmata a oggi da oltre 130 universitari, esprime un gravissimo allarme per gli episodi di antisemitismo che costellano, dal 7 ottobre in poi, la vita delle università italiane.

Dopo la parola negata a due giornalisti ebrei, alla Sapienza di Roma e alla Federico II di Napoli, la decisione dell’Università di Torino di non partecipare al bando di collaborazione scientifica con gli atenei israeliani, a seguito dell’irruzione squadrista di un manipolo di studenti durante la seduta del Senato accademico,

è l’ennesimo esempio di una deriva antisemita e antisraeliana, che mina la libertà della vita accademica, la sicurezza di studenti e docenti di origine ebraica, il libero e corretto svolgimento delle attività scientifiche e di ricerca”, dichiara il presidente di Setteottobre, Stefano Parisi.

Se si dovesse commentare questo fatto e porlo a confronto con altre notizie verrebbe spontanea la perplessità di chi scrive, poiché ciò che interessa di più sembra ancora rivolgersi ai fatti della famiglia reale inglese o al divorzio degli innominabili Fedez-Ferragni.

Purtroppo, così è ma “non mi pare”.

Per leggere gli altri articoli di Diario in pubblico la rubrica di Gianni Venturi clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

Parole e figure / Perdere la coda

Appena uscito in libreria, con Iperborea, “Una coda per Nisse” della svedese Eva Jacobson è un albo illustrato che, delicatamente, incanta, sorprende e diverte con le sue svolte inattese.

Nisse e Hasse devono andare a una festa, ma all’improvviso a Nisse manca la coda. Come ha fatto a perderla? Dov’è finita? Cerca, cerca, non si trova da nessuna parte. Ci si arrampica sugli alberi, si cerca in mezzo al prato, ma nulla.

Bisognerà andare dal dottore. Forse lui potrà risolvere. “A Nisse è caduta la coda, gliene serve una nuova”, dice Hasse al dottore. “Lei che code ha?”. Il dottore non ha proprio nessuna coda, ma forse può trovare qualcos’altro, un’idea brillante gli dovrà pur balenare nella sua intelligenza magnanima e sopraffina… Della corda, un calzino? Nisse sceglie allora una cravatta, quella che ci si mette per essere eleganti, e il dottore gliela attacca per bene al posto della coda perduta. È o non è un bravo chirurgo?

Ma ecco che dietro ad un folto albero spunta una maialina color rosa pastello, ha trovato lei la coda, ora è sua, non se ne vuole certo separare. Non molla. Le piace troppo quella coda, ma, alla fine, capisce che deve restituirla. In cambio di una bella cravatta!

Tutti alla festa allora!

Eva Jacobson ci porta nel suo mondo speciale in cui la fantasia incontra un sottile humour surreale, capace di conquistare i bambini come i lettori di ogni età. Con tinte delicate.

Eva Jacobson, laureata all’École Nationale Supérieure des Beaux­ Arts di Parigi, è pittrice e scultrice oltre che autrice di una serie di libri per bambini che hanno riscosso successo di pubblico e critica. Vive e lavora a Stoccolma.

Eva JACOBSON, Una coda per Nisse, traduzione di Giola Spairani, collana I Miniborei, Iperborea, Milano, 2024, 32 p.

Libri per bambini, per crescere e per restare bambini, anche da adulti.
Rubrica a cura di Simonetta Sandri in collaborazione con la libreria Testaperaria di Ferrara

TABUCCHIANA. Trent’anni dopo Pereira, i libri e il mutamento del canone

TABUCCHIANA. Trent’anni dopo Pereira, i libri e il mutamento del canone

Ogni cultura elabora o fa proprio un canone, un insieme di autori e opere di riferimento che ne rispecchiano credenze e valori. I regimi dittatoriali li usano come strumento di propaganda e ogni allontanamento viene interpretato come un atto eversivo.

Quel che stupisce è che spesso alcuni tra i più fedeli osservatori del canone non si accorgono del gioco di potere che quest’ultimo sottende e vi aderiscono con una convinzione che ritengono, almeno in gran parte, libera e non condizionata.

È quanto accade almeno all’inizio a Pereira (l’indimenticabile protagonista di un romanzo di grande successo pubblicato da Feltrinelli esattamente trenta anni fa, nel gennaio 1994), che pensa che il Lisboa, il giornale per la cui pagina culturale lavora, sia apolitico e indipendente, e dovendosi confrontare per i suoi articoli con libri e scrittori, pur usando norme di elementare prudenza, che lo inducono a qualche autocensura, ritiene complessivamente di agire liberamente e nel rispetto di valori oggettivi.

Per questo hanno tanta importanza i libri che legge e che cambia, gli autori di cui parla e la funzione perturbante che provocheranno, nella rubrica Ricorrenze (i ‘coccodrilli’ in ricordo di grandi personalità), le scelte diverse e/o le letture sostanzialmente variate del giovane e ribelle Monteiro Rossi che, insinuandosi nei punti deboli della sua riflessione esistenziale (i quesiti sull’immortalità, una certa inquietudine che lo tormenta dopo la morte della moglie…), lo porteranno a rendersi conto della possibilità di interpretazioni alternative che si troverà gradualmente ad accettare.

Il passaggio, lento, sarà accompagnato da piccoli segnali che predispongono e ridestano il dubbio (l’accorgersi del clima mutato nel paese, della presenza di militari e bandiere, del silenzio dei giornali su gravi fatti di sangue…) e alimentano uno scontento all’inizio imprecisato, assieme a una delusione che si fa sempre più forte.

Per altro la teoria della “confederazione delle anime”, la possibilità che nella nostra vita possano succedersi diversi io egemoni differenziati l’uno dall’altro, propostagli dal dott. Cardoso (che, da cardiologo e dietologo qual è, avvia una cura che non è solo del corpo), dà un suggestivo tocco filosofico alla metamorfosi che lentamente il personaggio sperimenta dentro di sé.

Pereira cambia con l’apparizione nella sua vita di Monteiro Rossi (che l’anziano giornalista finirà per sentire come una sorta di alter ego: i romanzi di Tabucchi sono sempre pieni di doppi…), ma anche per quanto muovono in lui i colloqui con Padre António, con Ingeborg Delgado, con il cameriere del caffè, con il medico… Cambia venendo a contatto con le letture e convinzioni dei suoi interlocutori e con i loro libri, compresi tra questi perfino quelli… del suo stesso autore.

Se infatti l’“ipotesi” di médecins-philosophes come Binet e Ribot, sostenitori della possibilità psicologica del cambiamento, è messa sulle labbra del dottor Cardoso, anche i “sentieri che si biforcano” di Borges, le immagini che mutano e si perdono nella vita e sulle fotografie (come l’amica Susan Sontag gli aveva insegnato), l’autopsicografia di Pessoa e dei suoi eteronimi, qui appena accennati, e che tanto hanno contato per Tabucchi, alimentano in modo sotterraneo il percorso di crescita, di tardiva educazione morale, politica, esistenziale di Pereira, che comincerà a confrontarsi davvero con la cultura europea – così lontana dall’asfittico e nazionalista Portogallo di Salazar – fino a inserire nella sua finale testimonianza autori eterodossi e libri (sia pur di altri tempi) che inneggiano alla libertà.

Antonio Tabucchi nel 2010 a Stoccolma (©anna dolfi)

Sostiene Pereira (uno dei romanzi più apparentemente facili e godibili di fine Novecento) è ricco di nomi di filosofi che appartengono a culture e progettualità politiche diverse (Vico, Hegel, Feuerbach, Marx…), di scrittori soprattutto francesi che propongono alternative interpretazioni della realtà (Claudel, Mauriac, Bernanos…), di vittime/poeti interdetti (García Lorca), di portoghesi teorici della molteplicità (Pessoa), di italiani di cui si può parlare diversamente (D’Annunzio, Marinetti…), di ‘oggetti’ di necrologi da lui scelti (T. E. Lawrence, Rilke) o affidati al giovane Monteiro (Majakovskij…) rifiutati e poi accettati, se non nella forma certo nella sostanza (Marinetti…).

Soprattutto sono significativi gli autori a cui Pereira dedica le sue ultime traduzioni: Maupassant, Balzac (con Honorine, uno splendido racconto secondario sul pentimento), Daudet (con il primo, vibrante, dei sui Contes du lundi)…

Conteranno questi libri insieme alle letture di un’ebrea tedesca costretta a fuggire, alle opinioni degli scrittori, alla loro figura morale (lo scontento di Mann emigrato negli Stati Uniti per sfuggire al nazismo, le denunce di Bernanos contro il clero spagnolo in Les Grands Cimetières sous la lune).

L’autorità del nome combinata all’eticità, in contrapposizione alla prevedibile acquiescenza al canone stabilito, condizionerà, alla pari di quel che comincia a vedere anche grazie alle confidenze del barman del Caffè Orquídea, necessariamente esterofile, ai frammenti di conversazione carpiti nei locali pubblici…, la presa di coscienza di Pereira.

È progressivo il suo fastidio per un modo di vivere privo di varietà, di fantasia, si tratti di politica, di idee, di alimentazione. Scoprire il mondo equivarrà a educarsi alla libertà, a imparare a leggere in chiave autobiografica la grande letteratura, sì da fare di un romanzo breve sul pentimento l’occasione per un’esperienza ‘saudosa’ che può avviare il lavoro del lutto.

Pereira intuisce che si può cominciare a parlare per interposta persona (ad esempio traducendo La dernière classe di Daudet, che con una subitanea partenza per sfuggire all’oppressione e un finale grido d’amore per il proprio paese occupato anticipa la conclusione di Sostiene Pereira), e che, a dispetto di ogni nostalgia, l’invito ad andarsene, a non essere complici, può diventare realtà.

La crescita di Pereira, la liquidazione del suo primo, acquiescente super-io stanno compiendosi ancora prima della morte del suo giovane ospite, quando comincia a trovare noiose le novelle di Camilo Castelo Branco, preferendo il Journal d’un curé de campagne, “serio, etico, che tratta di problemi fondamentali, un libro che avrebbe fatto bene alla coscienza dei lettori”; quando trova inaccettabile scrivere su Camões nella giornata della celebrazione della razza, quando comincia a eliminare il cibo zuccherato e ripetitivo che era diventato una sorta di compensazione alla frustrazione.

Quando si accorge che la vita nella quale si era sempre visto non gli basta più e affida a una testimonianza, a pagine scritte (in definitiva ad un libro: quello che stiamo leggendo), un messaggio destinato a raggiungere, tra noi, tutti quelli a cui una vita non basta.

Nella cover: Tabucchi a Stoccolma nel 2010 (© Anna Dolfi)

Per leggere gli articoli di Anna Dolfi su Periscopio clicca sul nome dell’autrice

Storie in pellicola / Il mondo dell’uomo in crisi, cambi di prospettiva

Mondi diversi, cambi di prospettive. I due cortometraggi di oggi, “Affendomino” e “Space Woman”, vi portano in altri spazi.

Il mondo costruito dall’uomo, fatto di grattacieli, cemento e investimenti gonfiati, è sempre più fragile. Cosa succederebbe se anche una sola scimmia in uno zoo si ribellasse e tutto ciò che l’uomo ha costruito improvvisamente crollasse, come un domino?

Ulf Grenzer prova a raccontarvelo con il cortometraggio animato, di quattro minuti, “Affendomino”, le vicende di una scimmia che si abbandona al ricordo della sua vita nella giungla. Che bello era saltare fra gli alberi e mangiare banane…

Allo zoo questa simpatica scimmia incontra un uomo con sua figlia: lui lavora, sempre, l’orecchio incollato al cellulare, i grafici dei profitti che sul suo computer salgono e scendono. Una telefonata lontana, un ordine impartito, una motosega in azione a un uomo con le cuffie, un albero che cade, e il grafico sale. Il disastro nella natura e il suo portafoglio cresce, il margine di guadagno sale. Un’affannosa continua corsa e il dollaro avanza. Poco tempo per dare attenzione alla figlioletta. Le ricchezze non possono aspettare, il tempo, in fondo, è danaro.

Mentre quell’uomo d’affari bieco e senza scrupoli continua la sua corsa all’oro e all’abisso, l’Orangutan e la bambina si divertono insieme. Una serie di casuali eventi cambierà per sempre la sua vita in gabbia. Sarà lui a prendere in mano il cellulare e a dare altro ordine confuso. Palazzo che crollano. Effetto domino. La prospettiva cambia. Fantastico.

La prospettiva può cambiare anche per una simpatica signora che sta per andare in pensione: 64 anni e congedo dalla professione di insegnante.

È la storia di Maha (interpretata da Maha Abas, la madre del regista) in “Space Woman”, del libanese Hadi Moussally, la storia di una donna come tante, divorziata, rimasta sola. I figli sono partiti da tempo, sono all’estero e li vede poco, e lei si ritrova di fronte alla solitudine, la realtà cui la pensione la mette davanti. Sulle note di “Hypercube” di Loopstache, Maha sogna e si diverte. E ci coinvolge nella sua simpatica e allegra follia. Non ha forse sempre sognato di essere un’astronauta? E se si lasciasse a dare a questa meravigliosa promessa di evasione? Un racconto delicato e ironico, tenero e divertente. Perché, a volte, basta davvero poco per cambiare prospettiva.

I corti saranno presentati allo European Projects Festival di Ferrara nell’ambito della rassegna selezionati dal Ferrara Film Corto Festival (FFCF), dal 4 al 6 aprile.

Lo stesso giorno/25 marzo: Giornata mondiale in memoria delle vittime della schiavitù

Tra i vari fatti accaduti in un 25 marzo della nostra storia, va per primo ricordato subito che oggi si celebra il “Dantedì”, una intera giornata dedicata al sommo poeta.

Che Dante sia importante per la nostra cultura è indubbio. Che lo si debba celebrare in un apposito giorno, il 25 marzo, data di inizio del suo cammino onirico, francamente potevamo anche risparmiarcelo. Ogni giorno del calendario si sta riempiendo di “date-day” o “date-dì” per celebrare, ricordare, memorizzare un evento, un nome, insomma “qualcosa o qualcuno”.

Dante a me piace finché sta all’inferno. Dopo è noia e pesantezza che ogni studente deve seguire, pena la bocciatura. Istituita nel 2020, questa speciale giornata ha piazzato un enorme macigno a schiacciare ogni altro evento. Preferisco soffermarmi su un altro avvenimento, meno ricordato ma molto più attuale e per questo forse meno interessante per il nostro Ministero della Cultura.

Oggi 25 marzo è la Giornata internazionale in memoria delle vittime della schiavitù e del commercio degli schiavi transatlantici, istituita nel 2007 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Oltre a non essere tristemente ricordato da nessuno, questo giorno della memoria è da attualizzare più che mai. Per oltre 400 anni, più di 15 milioni di uomini, donne e bambini sono stati vittime del tragico commercio transatlantico di schiavi. Ed essendo “transatlantico”, per qualcuno forse a noi non dovrebbe interessare: “che c’entriamo noi con gli schiavi africani e gli americani?”.

C’entriamo eccome. Quattrocento anni fa gli schiavi li andavano a prendere proprio in Africa, continente che ancora oggi “esporta” schiavitù verso altri continenti. Gli schiavi “per fame” che attraversano deserti, soffrono rinchiusi in prigioni a due passi dal mare, da quel mare che potrebbe portarli in salvo, chi sono?
Se per ogni evento storico decidiamo di tirare una riga, uno spazio dove da lì in poi è tutto nuovo, fresco, bianco, pulito, non serve a nulla. La storia non ha limiti così netti e la schiavitù, la tratta di esseri umani, ne è un chiaro esempio. Oggi come allora, il continente africano continua ad essere una sorta di “supermercato” a basso costo, per materie prime, controllo di risorse, mercato delle armi e schiavi.

Ecco che allora, se volete, possiamo chiudere il cerchio tra Dante e la tratta di schiavi: un “lasciate ogni speranza o voi che entrate” sembra tragicamente attuale.

 

Photo cover: Encyclopedia Virginia: The landing of the first Negroes

Paura dell’intelligenza artificiale o paura del progresso tecnologico?
Vince chi accetta la sfida.

Paura dell’intelligenza artificiale o paura del progresso tecnologico?

 

Nicola Gemignani è il titolare di NeXus, azienda che sviluppa siti internet, grafica e organizzazione di eventi. E’ anche un collaboratore di Periscopio, ma il cotè esplorato con questa chiacchierata è quello del musicista-non musicista. Attraverso app di intelligenza artificiale, Nicola ha creato una rock band integralmente virtuale, i Nocturune. No, non sono come i Gorillaz: lì almeno uno (Damon Albarn) è un essere umano e suona. I Nocturune sono completamente virtuali. Potete ascoltarli qui.

 

 

P: Nicola, puoi spiegare in parole semplici come fai a generare musica così “strutturata” (parliamo di brani completi di cantato, suonato, arrangiamenti e produzione) utilizzando esclusivamente l’AI?

NG: le applicazioni di Intelligenza Artificiale sono dei programmi che si possono usare con un computer o un cellulare, o tablet.
Per generare musica “strutturata” esistono molte strade, ma è essenziale avere delle conoscenze di informatica, di musica e di produzione musicale. Bisogna saper scegliere quali comandi dare (in gergo “prompt”, ndr). Si passa da semplici applicazioni che richiedono “solo” indicazioni sullo stile musicale (esempio: “rock” o “pop con strumenti che richiamano al metal”), fino a quelle che richiedono l’inserimento del testo, delle basi musicali, delle note o di veri comandi di programmazione, di informatica.
A seconda delle competenze che uno ha, può essere più utile passare prima da un AI che genera le liriche e lascia alla “macchina” la creazione della musica o viceversa. Personalmente i testi delle canzoni sono la parte più impegnativa. Nel generare una canzone con l’AI non si può non passare attraverso il proprio gusto, la propria esperienza culturale. Chi ascolta solo canzoni impegnate, per esempio alla Guccini, cercherà di generare canzoni simili.
ChatGPT è forse la più famosa applicazione AI in grado di scrivere qualsiasi cosa: da testi di canzoni a monologhi teatrali. Tutto è però tendenzialmente freddo, banale. Del resto il risultato deve “convincere” più persone possibili. E’ per questo che, accanto ad applicazioni “generaliste” come ChatGPT, se ne sono sviluppate altre sempre più specifiche per ogni progetto, tra cui alcune per generare testi di canzoni. In sostanza allo stato attuale si passa attraverso diverse soluzioni per ottenere un risultato abbastanza buono. L’ultimo step è poi quello della produzione musicale. AI può fare anche questo lavoro: migliorare la voce, il suono, la qualità, aggiungere effetti e strumenti. Si carica la canzone generata all’interno di un’altra applicazione specifica, si clicca su “ottimizza” e lei fa il resto. Non pensate che sia una passeggiata: bisogna comunque investire ore di lavoro per ottenere un buon risultato.
Le persone devono iniziare a comprendere la differenza tra un prodotto interamente “generato” dall’AI ed uno dietro il quale esiste un lavoro “umano”, fatto di ore al computer e in sala prove.

P:Almeno in campo musicale, l’avvento della AI può essere paragonato alla stagione dei sintetizzatori, con possibilità forse ancora maggiori?

NG: direi di si. I sintetizzatori hanno rivoluzionato la musica e ancora oggi sono degli strumenti incredibili. Ed esistono già applicazioni AI che ne simulano il lavoro. E’ una evoluzione che deve essere, più che “domata”, come vorrebbe qualcuno, capita, gestita e sviluppata nel modo corretto.

P: cosa rispondi a chi evoca il pericolo della sostituzione della creatività umana con qualcosa di completamente artificiale che soppianta l’essere umano?

NG: questo timore è giustificato dalle poche informazioni che si hanno e, mi permetto, dal non saper nulla della storia dell’informatica e dello sviluppo tecnologico. Usiamo il correttore automatico su Word, anche questa è da un certo punto di vista una AI: ci dice che la nostra grammatica è sbagliata e ci permette di correggerla. Oppure il traduttore automatico o anche le macchine fotografiche automatiche digitali. Insomma: l’AI ci circonda da sempre, fin dal primo calcolatore. Sta a noi, ripeto, sapere usare queste tecnologie e comprendere che possono essere un aiuto più che valido. I giovani hanno tempo e modo di adattarsi e comprendere cosa fare dell’AI e, ovviamente, anche decidere la direzione verso cui portarla. Come NeXus, non siamo per esempio dell’idea che sia giusto imporre per legge un “cartellino” alle produzioni musicali o artistiche in genere, specificando se fatte con AI o senza. In mezzo ci sta un vero e proprio oceano di variazioni sul tema, che non può essere etichettato per legge.

P: ci racconti qualcosa della tua impresa?

NG: Nexus multimedia è una piccola realtà con sede a Carrara (MS) e che nel tempo si è spostata a Venezia e poi a Ferrara. E’ nata principalmente per lo sviluppo di siti internet, grafica e organizzazione di eventi. In sostanza abbiamo messo dentro ad un’unica realtà tutte le nostre passioni.
Il nome nasce da un programma radiofonico che andava in onda su Radio Base Popolare Network di Mestre, ormai 20 anni fa. Si occupava di notizie di informatica generale alternata a musica, quella “vera”, direbbe qualcuno. La passione per la tecnologia e le novità ci ha spinto ad approfondire gli applicativi AI, ora più alla portata di chiunque voglia anche solo testarli.

 

Photo cover: i Nocturune

Per certi versi /
Futuro

FUTURO

Hanno fatto
Le barricate
Pure gli angeli
Per i bambini
Dentro le miniere
A bagno
Nei veleni
Per le nostre
Batterie green
Le mie mani
Rigide
Guardano
L’aggeggio
Vedono di là
Dalle barricate
Le stragi
Del futuro

Ogni domenica Periscopio ospita Per certi versi, angolo di poesia che presenta le liriche di Roberto Dall’Olio.

Per leggere tutte le altre poesie dell’autore, clicca [Qui]

Il successo di NBA JAM, il videogioco che penalizza i Chicago Bulls

A più di trent’anni dalla sua pubblicazione, NBA JAM è tutt’oggi uno dei videogiochi sportivi più apprezzati dal pubblico statunitense: in tre decadi è passato dalla popolarissima versione arcade di inizio anni ’90 all’attuale gioco per smartphone, attraversando con successo almeno tre generazioni di console.

Il gioco è piuttosto semplice: si sceglie una delle 30 squadre NBA e si sfida il computer o l’avversario in un classico “due contro due”. Ogni squadra, infatti, ha a disposizione soltanto i due giocatori più rappresentativi. Ciò che caratterizza NBA JAM è da sempre l’esagerata e irrealistica spettacolarità delle giocate, che, sulla scia di picchiaduro quali Street Fighter o Mortal Kombat, dà la possibilità ai personaggi di effettuare le cosiddette combo o di aumentare la propria potenza attraverso una serie di mosse.

Tra l’altro, nel descrivere l’assurdità di quelle giocate, la voce narrante del telecronista Tim Kitzrow ha introdotto nel gergo sportivo statunitense delle espressioni che col tempo sono diventate di uso comune: da “he’s on fire!” a “razzle dazzle!”. Tutto ciò contribuì all’enorme successo che il videogioco ebbe negli anni ’90, inducendo la casa editrice Midway a replicare tale formula.

L’ideatore di NBA JAM si chiama Mark Turmell, ed è stato uno dei programmatori di punta della suddetta Midway per vent’anni (1989-2009), contribuendo poi al revival del suo videogioco presso EA Sports. Attualmente lavora per Zynga, società californiana che negli ultimi anni si è fatta notare per aver rilanciato il gioco FarmVille. Ebbene, di recente lo stesso Turmell ha confessato che la versione arcade di NBA JAM conteneva una specie di trucco [Qui].

Tifosissimo degli irriducibili Detroit Pistons di fine anni ‘80, Turmell non vedeva di buon occhio la squadra che all’epoca stava per spodestare i Pistons, ossia i Chicago Bulls di Michael Jordan. Infatti, a partire dal 1991 il dominio della squadra del Michigan – finalista nell’88, campione nell’89 e nel ’90 – lasciò spazio all’ascesa dei Bulls. Così, in NBA JAM Turmell inserì un codice in grado di alterare l’esito delle gare tra Bulls e Pistons: un eventuale buzzer beater dei Bulls, cioè il canestro che decide l’incontro allo scadere, aveva lo 0% di successo.

Insomma, seppur minima e virtuale, la ripicca del tifoso Mark Turmell dette comunque i suoi frutti: i giocatori più assidui di NBA JAM fiutarono l’inghippo e iniziarono a scegliere i Pistons al posto degli amatissimi Bulls di Jordan e Pippen.

Anna Zonari all’Acquedotto
“Bisogna far vivere questo spazio meraviglioso”

Anna Zonari all’Acquedotto: “Bisogna prendersi cura e far vivere questo
spazio meraviglioso”

Ieri mattina Anna Zonari, candidata sindaca per La Comune di Ferrara,
ha fatto un sopralluogo presso il parco dell’Acquedotto accompagnata da
alcune residenti e commercianti, raccogliendo osservazioni sulle
problematiche del quartiere.

“L’Acquedotto è uno spazio dall’enorme potenziale, non sfruttato negli
ultimi anni”, dichiara Zonari “anzi, è stato svuotato dalle numerose
iniziative – che qui erano nate e si svolgevano come loro spazio
naturale – e letteralmente ‘dimenticato’ da questa Giunta.
L’Acquedotto, che oggi rischia di diventare una nuova piazza di spaccio
e di ritrovo per i tossicodipendenti, è frequentato da famiglie con
bambine/i e ragazze/i residenti nel territorio e frequentanti le
numerose scuole circostanti.
È della scorsa settimana la notizia di un bambino che si è punto con una
siringa mentre giocava nel parco, e numerosi sono tutt’ora i
ritrovamenti di ‘rifiuti pericolosi’.
I parchi sicuri non li fanno i recinti.
Servono iniziative, sostegno ai commercianti e maggiore controllo, anche
utilizzando vigili di quartiere.
È urgente che tornino all’Acquedotto le grandi iniziative  – come Estate
Bambini, che qui era nata anche per la vicinanza dell’ottimo servizio
del Centro per le Famiglie “Isola del Tesoro” che proprio all’Acquedotto
ha sede – e che se ne programmino di nuove.
Il Quartiere Giardino, anche per la presenza dello stadio e per il fatto
che si trova fra la stazione e il centro, è il biglietto da visita della
nostra città. E come tale va curato.”

Presto di mattina /
Don Peppe Diana: «A me non importa sapere chi è Dio. Mi importa sapere da che parte sta»

Presto di mattina.  Don Peppe Diana: «A me non importa sapere chi è Dio. Mi importa sapere da che parte sta»

«A me non importa sapere chi è Dio. Mi importa sapere da che parte sta»
(don Peppe Diana).

Era il suo onomastico quel 19 marzo di trent’anni fa quando la camorra pretese di far tacere don Giuseppe Diana, il parroco di Casal di Principe, che insieme agli altri parroci della periferia aversana aveva scritto una lettera in risposta agli omicidi e alle stragi dei clan che stavano insanguinando il territorio.

Così, non un passo indietro, come il suo Cristo, ma un passo avanti, passò dalla parte di Dio, tra gli umiliati della vita fino alla fine, incarnando le parole del profeta Isaia: “Per amore del mio popolo non tacerò”.

Aveva 36 anni; erano le 7,30 di un sabato mattina mentre stava andando a celebrare messa. Fu ucciso da un killer della camorra con quattro colpi di pistola in volto, come il vescovo di El Savador Oscar Arnulfo Romero e don Pino Puglisi, anche lui parroco di periferia al Brancaccio, assassinato dalla mafia sei mesi prima di don Diana.

Quanto alle stelle, ci sono sempre. Quando
ne spunta una, un’altra ne verrà
(Iosif Brodskij, Poesie, 53).

…la notte
è ingombrante, questo, è vero,
ma non così smisurata da pensare che ricopra
entrambi gli emisferi
(ivi, 93).

Con don Beppe gli uomini della camorra non si accontentarono di assassinarlo, ma provarono anche a calunniarlo cercando di depistare le indagini.

Don Maurizio Patriciello, attuale parroco nel degradato Parco Verde di Caivano, impegnato anche lui contro la camorra e nella lotta per tutelare il territorio della Terra dei Fuochi inquinata dalle discariche industriali radioattive, ha scritto su Avvenire del 18 marzo 2024: «Immediatamente iniziano i depistaggi. “Calunniate, calunniate, qualcosa resterà” disse qualcuno. Non aveva tutti i torti. La macchina del fango entra in azione alla velocità del lampo. Schizzi puzzolentissimi di sterco velenoso arrivano a sfiorare perfino coloro che della camorra hanno da sempre avuto orrore. I credenti si aggrappano al Vangelo: “Beati voi quando vi insulteranno… e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi, per causa mia…”. La verità, lentamente, inizia a farsi strada».

Strade: a ciascuno la sua

Il tentativo fallì perché Giuseppe Quadrano, autore materiale dell’omicidio, consegnatosi alla polizia, iniziò a collaborare con la giustizia. E il mandante Nunzio De Falco, ’o Lupo, morto nel 2022 appartenente al clan dei Casalesi, fu condannato all’ergastolo nel 2003.

«Certo, don Peppino non appartiene a quella schiera di santi comunemente intesi − continua don Patriciello − i suoi modi sono spicci, il linguaggio tagliente. Niente di affettato, in lui. Spigoloso, autentico. … Sa di vivere in terra di camorra. Tanti criminali li conosce di persona, abitano a quattro passi da casa sua. Sono suoi amici d’infanzia, di studi, di giovinezza. Strade. Ognuno deve percorrere la sua. Itinerari. Non si capisce tutto e subito. Il Signore ti porta per vie sconosciute. Gradualmente ti fa avanzare, facendoti innamorare del bene, in tutte le sue forme. La prepotenza sui deboli ti diventa insopportabile. Capisci che il tuo posto è stare accanto a loro, agli umiliati dalla vita…».

Preti e basta

«Non era facile, nei passati decenni, nel nostro amato Meridione, districarsi tra i meandri di una società agricola, povera, arretrata, trascurata dagli anni dell’Unità d’Italia, in balia dei ricchi proprietari terrieri. I mafiosi, i camorristi, gli ‘ndranghetisti, sono camaleonti. Si mimetizzano. Sono ipocriti e vigliacchi. Non attaccano gli uomini di Chiesa frontalmente, li circuiscono, li confondono, li ingannano. Scaltri come serpenti, vivono tra la gente cui succhiano il sangue. Prendono parte alle feste patronali, fanno benedire i loro morti e battezzare i figli.

S’inchinano davanti al vecchio parroco poco prima di correre a strangolare un uomo e scioglierlo nell’acido. La stessa società civile negli anni passati brancolava nel buio. … Prete antimafia, don Puglisi? Prete anticamorra, don Peppino? Macché. Preti. Preti e basta. Preti senza aggettivi. Martiri perché liberi. Si chiamano ambedue Giuseppe, i miei confratelli, come il silenzioso custode del piccolo Gesù. Ed essi, come il santo di cui portano il nome, si sono fatti sentinelle attente del popolo loro affidato».

«Per amore del mio popolo non tacerò»

Il testo della lettera del Natale 1991 è diventato il testamento spirituale di don Beppe, e pure il manifesto del suo impegno per la legalità. Invito a prendere coscienza, ad aprire gli occhi sulla realtà in cui si vive; un appello a ribellarsi alle ambiguità e ai compromessi, a ricercare la verità, la giustizia sociale attraverso un processo di liberazione facendo leva sull’amore per la propria terra. Un richiamo ad essere profeti e a denunciare con coraggio le situazioni di illegalità.

«Siamo preoccupati

Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra. Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere “segno di contraddizione”. Coscienti che come chiesa “dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che è la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà».

«La Camorra

La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana. I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l’imprenditore più temerario; traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato».

«Precise responsabilità politiche

È oramai chiaro che il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l’infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli. La Camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche è caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi. La Camorra rappresenta uno Stato deviante parallelo rispetto a quello ufficiale, privo però di burocrazia e d’intermediari che sono la piaga dello Stato legale.

L’inefficienza delle politiche occupazionali, della sanità, ecc; non possono che creare sfiducia negli abitanti dei nostri paesi; un preoccupato senso di rischio che si va facendo più forte ogni giorno che passa, l’inadeguata tutela dei legittimi interessi e diritti dei liberi cittadini; le carenze anche della nostra azione pastorale ci devono convincere che l’Azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una “ministerialità” di liberazione, di promozione umana e di servizio. Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di testimonianze, di esempi, per essere credibili».

«Impegno dei cristiani

Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno. Dio ci chiama ad essere profeti.

Il Profeta fa da sentinella: vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ezechiele 3,16-18);
Il Profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo (Isaia 43);
Il Profeta invita a vivere e lui stesso vive, la Solidarietà nella sofferenza (Genesi 8,18-23);
Il Profeta indica come prioritaria la via della giustizia (Geremia 22,3 -Isaia 5)

Coscienti che “il nostro aiuto è nel nome del Signore” come credenti in Gesù Cristo il quale “al finir della notte si ritirava sul monte a pregare” riaffermiamo il valore anticipatorio della Preghiera che è la fonte della nostra Speranza.

«Non una conclusione: ma un annunzio

Appello

Le nostre Chiese hanno, oggi, urgente bisogno di indicazioni articolate per impostare coraggiosi piani pastorali, aderenti alla nuova realtà; in particolare dovranno farsi promotrici di serie analisi sul piano culturale, politico ed economico coinvolgendo in ciò gli intellettuali finora troppo assenti da queste piaghe.

Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa. Alla Chiesa che non rinunci al suo ruolo “profetico” affinché gli strumenti della denuncia e dell’annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili (Lam. 3,17-26).

Tra qualche anno, non vorremmo batterci il petto colpevoli e dire con Geremia “Siamo rimasti lontani dalla pace… abbiamo dimenticato il benessere… La continua esperienza del nostro incerto vagare, in alto ed in basso,… dal nostro penoso disorientamento circa quello che bisogna decidere e fare… sono come assenzio e veleno”».

(Forania di Casal di Principe [Parrocchie: San Nicola di Bari, S.S. Salvatore, Spirito Santo – Casal di Principe; Santa Croce e M.S.S. Annunziata – San Cipriano d’Aversa; Santa Croce – Casapesenna; M. S.S. Assunta – Villa Literno; M.S.S. Assunta – Villa di Briano; Santuario di Maria S.ma di Briano])

Indifeso sotto la notte, solo una voce

Tutto quello che ho è una voce
che smuova la menzogna nascosta,
la menzogna romantica annidata nel cervello
del sensuale uomo della strada
e la menzogna dell’Autorità
i cui palazzi palpano il cielo:
non c’è una cosa chiamata Stato
e nessuno esiste mai da solo;
la fame non consente scelta
al cittadino o alla polizia;
dobbiamo amarci l’un l’altro o morire.
Indifeso sotto la notte
il nostro mondo giace inebetito;
eppure, sparsi dappertutto,
ironici punti di luce
lampeggiano là dove i Giusti
si scambiano i loro messaggi:
oh, che io possa, composto come loro
d’Eros e di polvere,
assediato dalla medesima
negazione e disperazione,
mostrare una fiamma che afferma.
(W. H. Auden, Un altro tempo, Adelphi, 2013, 191).

Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica quindicinale di Andrea Zerbini, clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

Il lavoro etico di Claudia Fiaschi

Il lavoro etico di Claudia Fiaschi

Il 4 marzo 2024 è morta all’età di 59 anni Claudia Fiaschi. Una vita spesa per la Cooperazione e per il mondo del terzo settore.

Nata a Firenze il 25 gennaio 1965, la Fiaschi è stata da sempre attiva nel settore della cooperazione sociale, con particolare attenzione al mondo dell’educazione e dell’infanzia.  Nel 1987 aveva fondato a Firenze la Cooperativa Sociale l’Abbaino, che tutt’ora offre servizi per l’infanzia e l’adolescenza.

È stata inoltre vicepresidente del Consorzio Pan, presidente di Confcooperative Toscana, vicepresidente di Confcooperative Nazionale, amministratore delegato e poi presidente del Consorzio nazionale CGM, la più grande rete di cooperative sociali italiana.

È stata membro del Cda di Etica sgr del Gruppo Banca Popolare Etica. Ha ricoperto il ruolo di portavoce del Forum del Terzo settore dal febbraio 2017 all’ottobre 2021, anni cruciali sia per motivi legislativi (il Codice del Terzo Settore è del 3 luglio 2017, decreto legislativo n. 117) che emergenziali (arrivò all’improvviso il Covid-19). Dal 2022 era alla guida del Consorzio Co&So. Era inoltre membro di molti osservatori e comitati scientifici.

Nel periodo in cui mi è capitato di lavorare per una Centrale cooperativa italiana, ebbi il piacere di incontrarla. Forse anche per questo, mi sembra importante ricordarla. L’esperienza diretta crea sempre un solco profondo tra ciò che è importante e ciò che lo potrebbe essere. Inoltre, anch’io presiedo un ente del terzo settore che si occupa d’infanzia.

Qui finisce la similarità dell’esperienza, lei conosceva perfettamente il mondo del terzo settore e lo amava, al punto da considerarlo la via privilegiata ed etica per occuparsi di politiche sociali. La questione continua ad essere centrale, anche perché coinvolge l’approccio valoriale alla gestione del bene pubblico e la conseguente idea di politica che si può provare ad implementare.

Il 13 settembre 2022 è stato pubblicato, come allegato del Corriere della Sera, il pamphlet Terzo – Le energie delle rivoluzioni civili, firmato da Claudia Fiaschi. L’opuscolo è stato distribuito gratuitamente, abbinato al Corriere della Sera, senza costi aggiuntivi a quelli del giornale.

Nel volume l’autrice indaga la realtà attuale del Terzo Settore italiano, creando un parallelismo storico con il Terzo Stato del Settecento. Entrambi protagonisti delle nostre comunità con un ruolo chiave nel tessuto sociale ed economico, entrambi non considerati a sufficienza. Un’analisi tra Storia e contemporaneità, che mette in chiaro le esigenze del mondo del terzo settore italiano, ponendo l’accento sul valore del comparto come pilastro su cui poggiare la nostra società.

Inoltre, l’autrice sottolinea il bisogno di un dialogo diverso con le istituzioni e di una rappresentanza forte, capace di essere portatrice dell’ampio numero di voci che il terzo settore rappresenta. In questo pamphlet vengono analizzati i problemi e le risorse del Terzo settore da diverse angolature: la storia, la situazione attuale, gli elementi costitutivi, il valore sociale, la reputazione, il rapporto con l’ordinamento politico ed economico, le esigenze, gli ‘amici’.

Ciò che più mi è piaciuto leggendolo, è la capacità di queste poche pagine di alzare molto il tiro, volando alto sugli scogli e sulle avversità quotidiane per arrivare al nocciolo della questione etica, a un senso profondo dell’agire sociale che pervade le scelte e orienta il mondo. In molti passaggi, infatti, si fa riferimento al motivo per il quale ogni essere umano può decidere di mettere le sue risorse a servizio di una arena sociale impegnativa.

Così scrive Claudia Fiaschi: “Qualità ed etica degli enti del terzo settore non sono infatti solo l’effetto di consapevolezze e intenzionalità organizzative e di processi più o meno sofisticati di autocontrollo. Sono anche, e soprattutto, il risultato della qualità e dell’etica delle persone che guidano queste organizzazioni”

e ancora: “nel tempo della caduta degli angeli e dei conseguenti venti ostili, non resta quindi che aggiustare le vele. Per il Terzo (settore) ciò significa soprattutto promuovere e abilitare leadership etiche, connettive, capaci di guidare il cambiamento, di potenziare il civic engagement di persone, operatori, comunità, di costruire e manutenere reti complesse di collaborazione, di dotarsi di una rotta etica e di tutti gli strumenti di navigazione utili per mantenerla”.

Si evince chiaramente da queste poche righe il senso etico che ha pervaso l’azione di chi le ha scritte, la sua necessità di riportare a una dimensione etica ogni scelta che riguardi il sociale. Parlare di leadership è sempre spinoso. Una leadership assume la qualifica di ‘etica’, quando i leader sviluppano e attestano delle virtù etiche. Detto così può significare tutto e niente.

Cosa sono queste virtù etiche? Sinteticamente, sono atteggiamenti volti al ‘giusto’ come principio di riferimento e all’ ‘adatto’ e all’ ‘equo come status ambientale ed esistenziale. Il cercare di essere equi riguarda sempre le circostanze in cui ci si viene a trovare e le condizioni attraverso le quali si può operare.

Al centro dell’agire etico ci sono sempre le persone, alle quali viene riconosciuto sempre il valore e la dignità di esseri umani. È di fronte alla problematicità di alcune situazioni che l’elaborazione di alcune ipotesi e la scelta delle migliori soluzioni, può assumere un valore etico e un significato cogente.

Ed è per questo che la leadership etica si basa su tutto ciò che si è appreso sia come singoli che come comunità, per risolvere problemi, migliorare il clima ambientale, stimolare la partecipazione attiva, facilitare l’apporto di tutti, producendo in tal modo un miglioramento continuo dei servizi forniti e dei beni, materiali e immateriali, prodotti.

In questo senso mi sembra che la riflessione suggerita da Claudia Fiaschi porti lontano, verso il senso profondo dell’agire, verso una rappresentazione collettiva che usa come unico perimetro definitorio un obiettivo continuamente negoziato e riallineato che si riassume nell’ “agire verso il bene”.

Mi vien da dire che le riflessioni possibili che riguardano le azioni verso il bene, non coinvolgono solo gli enti del terzo settore, ma tutte le istituzioni pubbliche e private nonché tutti gli organismi che, a vario titolo e con responsabilità diverse, si occupano di persone. Dove c’è una persona, c’è un mondo. Dove c’è un bambino, nasce un mondo. Dove c’è qualcuno che soffre, si ammala il mondo.

Vorrei infine ricordare che Claudia Fiaschi è stata membro del Cda di Etica sgr del Gruppo Banca Popolare Etica. Etica Sgr è un’azienda del settore risparmio specializzata in fondi sostenibili e responsabili, che amministra un patrimonio complessivo di circa 7,380 miliardi di euro.

La società si propone di rappresentare i valori della finanza etica nei mercati finanziari e di sensibilizzare il pubblico nei confronti degli investimenti socialmente responsabili e della responsabilità sociale d’impresa. La società aderisce ai Principles for Responsible Investment (PRI) delle Nazioni Unite ed ha assunto a partire dal 2015 un impegno sul tema del cambiamento climatico, aderendo al Montréal Carbon Pledge, attualmente conclusosi perché si sono raggiunti gli obietti stabiliti.

In particolare, la finanza etica sostiene progetti che riguardano: welfare; efficienza energetica e produzione di energia da fonti rinnovabili; gestione dei rifiuti, riciclo delle materie prime, produzioni eco-compatibili; produzione e commercializzazione di prodotti biologici; cooperazione internazionale allo sviluppo, microfinanza internazionale; animazione socio-culturale, educazione, cultura, sport; commercio equo e solidale; organizzazioni che gestiscono beni confiscati alla mafia; imprese sociali.

La finanza etica non finanzia, invece: produzione e commercializzazione di armi; progetti con evidente impatto negativo sull’ambiente; attività che violano i diritti umani, sfruttano il lavoro minorile o non rispettano i diritti dei lavoratori; allevamenti animali intensivi che non rispettano gli standard della certificazione biologica; attività che provocano esclusione/emarginazione; attività di ricerca scientifica che conducono su animali e soggetti deboli o non tutelati; mercificazione del sesso; gioco d’azzardo.

Anche di tutto questo si è occupata Claudia Fiaschi attraverso un impegno professionale pervasivo che ha investito tutta la sua vita. In ogni contesto in cui ha lavorato ha cercato di portare correttezza, trasparenza e attenzione agli altri, con la consapevolezza che non sempre si riesce a fare ciò che si vorrebbe e che, a volte, anche le più radicate convinzioni si rivelano, alla luce dei fatti, fallaci.

Ma questo non deve distogliere dall’obiettivo primario di mantenere alta la tensione verso il “giusto”, non privando mai il prossimo di attenzione e riconoscimento di valore. In questo senso credo che ciò che lei ha fatto sia un segnale importante di determinazione e resilienza e che da questo modo di fare si possa imparare ad affrontate la professione e, più in generale, il rapporto con le persone.

Per questo il suo insegnamento va ben aldilà del ruolo e del valore della Cooperazione e dell’identità del Terzo Settore. Quest’ultimo, a parer mio, è tanto efficace quando lavora in maniera trasparente e altrettanto dannoso quando rimesta nel torbido.

Per leggere gli articoli di Catina Balotta su Periscopio clicca sul nome dell’autrice

Storie in pellicola / La matematica di Margherita

Premiato ai César Awards 2024 come Miglior rivelazione femminile alla protagonista Ella Rumpf, abbiamo visto, in anteprima, “Il teorema di Margherita”, di Anna Novion, in uscita al cinema il 28 marzo. La meraviglia della matematica.

Ambasciata di Francia, Piazza Farnese a Roma. La proiezione per la stampa avviene in una sala dedicata, ad essa si accede passando per il bellissimo e curato giardino. Già il luogo è un’emozione. Il film sarà altrettanto, l’emozione che può dare una passione come quella di Margherita per la matematica. Una sorpresa.  E’ “Il teorema di Margherita”, di Anna Novion, in uscita al cinema il 28 marzo.

Non è la storia di Margherita Hack, come si può pensare inizialmente, ma quella di una donna altrettanto decisa, ostinata, curiosa, intelligente e tenace, con la stessa passione travolgente, per la scienza e i numeri. E il mondo.

Il futuro di Margherita (Ella Rumpf), una brillante studentessa di matematica presso la Scuola Normale Superiore di Parigi, sembra essere già pianificato. Tutto procede.

È l’unica donna del suo corso, gira per i corridoi in pantofole e sta per terminare la tesi che dovrà esporre davanti ad una schiera di ricercatori.

Arrivato il grande giorno, un piccolo errore fa crollare tutte le sue certezze. Margherita decide quindi di mollare tutto e ricominciare da capo. Ad insaputa della madre (una brava Clotilde Courau).

Il professor Werner (Jean-Pierre Daroussin), che fino ad allora aveva seguito la sua giovane allieva con benevolenza, le impone di collaborare con un altro studente, il brillante e socievole Lucas (Julien Frison), mentre lei stringe la prima amicizia della sua vita con Noa, che vive per la danza, una bizzarra e festosa inquilina incontrata per caso.

Werner, poi, pare proprio quel padre che non c’è e non c’è mai stato e la ricerca continua di approvazione e di riconoscimento dei meriti. Il tutto in una sorta di vero e proprio viaggio iniziatico, con tanto di esilarante incontro con il tenebroso Yanis (Idir Azougli).

Delusa, Margherita, dopo aver mollato tutto, sopravvive nella giungla di sentimenti e situazioni mai vissute, vive alla giornata e si guadagna da vivere grazie alla sua abilità con il gioco del mah-jong, in una Parigi colorata, spensierata ma fatta anche di difficoltà a quotidiane. Pare che i più grandi giocatori di mah-jong siano dei matematici: servono capacità intellettuali straordinarie per vincere a questo gioco, il perfetto scenario per Margherita. E alla regista, piaceva, ancora una volta, l’idea di calarla in un altro ambiente dominato dagli uomini, all’interno del quale sarebbe sembrata un’estranea incapace di battere gli uomini. Nulla di più errato.

Dopo anni dedicati solo allo studio matto e disperatissimo, Margherita dovrà imparare a destreggiarsi anche nella vita di relazione, nella quale è davvero carente e impreparata, per cercare di riscattarsi e arrivare ad affrontare l’irrisolto teorema di Goldbach, considerato irrisolvibile, e forse a scoprire l’amore. Cervello imploso permettendo.

Il film è una meravigliosa corsa verso l’ignoto, un’immersione totale nel mondo della matematica e di quello di un’eroina matematica raccontato con meraviglia di dettagli e precisione grazie all’incontro della regista con Ariane Mézard, una delle poche e più grandi matematiche francesi. Donne meravigliose che si incrociano.

A permeare le scene, la convinzione che uno scienziato inventa e crea allo stesso modo di un artista. Come la regista stessa ha detto, “i matematici potrebbero passare una vita intera a cercare di risolvere un problema con alcuna certezza di riuscirci. Anche i registi rischiano di veder crollare i loro progetti da un momento all’altro. Non è diverso da un atto di fede. Essere un matematico è come unirsi ad un ordine religioso. Anche la Normale sembra una sorta di monastero quando hanno dei seminari… Nel film Margherita ha un rapporto davvero puro con la matematica, una forma di devozione”.

“Oltre che una donna forte, dalle elevate doti intellettuali”, conclude, “Margherita è anche un esempio: una combattente feroce e resiliente in un mondo dominato dagli uomini. È davvero difficile ritagliarsi la propria nicchia quando ti viene costantemente ricordato il tuo genere di appartenenza; questa pressione dei suoi colleghi la spinge sempre ad essere migliore”. Meravigliosa ispirazione.

Il teorema di Margherita, di Anna Novion, con Ella Rumpf, Clotilde Courau, Jean-Pierre Darroussin, Julien Frison, Sonia Bonny, Francia, Svizzera, 2023, 112 minuti

Foto cortesia Storyfinders / Echogroup

“Assassinio nella cattedrale” al teatro Abbado di Ferrara riflette sul difficile rapporto fra potere temporale e spirituale

“Assassinio nella cattedrale” al teatro Abbado di Ferrara riflette sul difficile rapporto fra potere temporale e spirituale

Ambientato originariamente in una cattedrale, il dramma del poeta e drammaturgo Thomas Stearns Eliot è approdato a Ferrara sul palco del Teatro comunale Claudio Abbado, sede di cattedra non religiosa ma laica. L’opera teatrale di  Eliot “Assassinio nella cattedrale” è stata infatti rappresentata per la prima volta nel 1935, quasi 90 anni fa. Per il debutto del dramma in versi che lo scrittore statunitense, naturalizzato britannico, aveva composto in età matura, venne scelto il luogo più prestigioso, solenne e, in fondo, appropriato al contenuto dell’opera: la stessa cattedrale di Canterbury in cui erano ambientati i fatti della storia.

Con un grande salto di tempo e di spazio, da venerdì 8 a domenica 10 marzo 2024, abbiamo avuto la possibilità di assistere allo spettacolo nella nostra città, portato in scena al Teatro Comunale di Ferrara da Marianella Bargilli (direttrice artistica della rassegna Autogestito del Teatro Quirino di Roma) e Moni Ovadia (direttore generale del “Claudio Abbado”), insieme a tutta la compagnia diretta dal regista Guglielmo Ferro.

Una scena di “Assassinio nella cattedrale di T.S.Eliot in scena al teatro comunale Claudio Abbado di Ferrara

Il testo, ambientato nel 1170, racconta degli ultimi giorni dell’arcivescovo Thomas Becket, di ritorno a Canterbury dal suo esilio in Francia durato sette anni. Ne ritrae infine l’uccisione, perpetrata da emissari reali per punire la sua resistenza alla politica di Enrico II.

Nel 1935, anno di debutto di “Murder in the cathedral”, sembrava alludere all’ascesa e al pericolo del nazismo. La versione contemporanea dell’allestimento è apparsa, invece, come una testimonianza sul difficile rapporto fra potere temporale e potere spirituale, ragione e fede, costrizione e libertà. Con l’orrore delle guerre che si staglia all’orizzonte, sempre in agguato sulla comunità umana.

Non è del resto una caratteristica di alcune, preziose, opere letterarie quella di continuare a far riflettere nonostante il tempo trascorso?

Scena di “Assassinio nella cattedrale” di T.S.Eliot con Moni Ovadia in scena al Teatro comunale di Ferrara

Nella cornice del Ridotto del Teatro, l’incontro pubblico con la compagnia ha offerto l’occasione per esplorare una delle figure più interessanti dell’opera: il quarto tentatore dell’arcivescovo Becket.

Dopo il suo ritorno a Canterbury, durante il primo atto, Thomas riceve la visita di quattro personaggi che lo mettono alla prova.

I primi tre, in cambio della sua sottomissione, lo lusingano con offerte materiali: sicurezza fisica, ricchezza e coalizioni politiche.

Ma è il quarto a essere il più subdolo, perché lo seduce con la prospettiva della gloria del martirio. “Chi siete voi, che mi tentate con i miei stessi desideri?”, gli risponde Becket.

 

Se nella versione originale quest’ultimo tentatore non si differenziava nell’aspetto fisico dagli altri tre che lo avevano preceduto, in questa nuova interpretazione – ha spiegato Marianella Bargilli – si è deciso di farlo raccontare da una donna e di coprirne il volto con un ampio cappuccio, rendendo la recitazione più complessa.

“Da un punto di vista attoriale è un lavoro molto particolare. È come lavorare con una maschera, perché non mi si vede e so che non mi si vede. È come se recitassi con te stessa”, ha detto Bargilli.

“C’è talmente tanta materia di parole e di forza del pensiero in questo spettacolo”, ha concluso l’attrice, “che l’idea di lavorarci ogni sera è fondamentale per l’attore”.

La tournée di “Assassinio nella cattedrale”, che negli ultimi due mesi ha visitato i teatri di quattordici città, continuerà ad Agrigento sabato 23 marzo (21:00) e domenica 24 marzo (17:30).

Anche la programmazione del Comunale “Claudio Abbado” non si ferma: dal 12 al 14 aprile in scena “La buona novella” con Neri Marcorè.

Tra la ricca offerta del teatro cittadino, segnaliamo ancora “Le città invisibili” (19 aprile) a cura del Collettivo Istantanea e “Le memorie di Ivan Karamazov” (dal 10 al 12 maggio) con Umberto Orsini.

Per il calendario completo della programmazione teatrale, si può consultare il sito: https://www.teatrocomunaleferrara.it/

Parole a Capo /
Speciale Giornata Mondiale della Poesia/2

Non c’è Vascello che eguagli un Libro | per portarci in Terre lontane | né Corsieri che eguaglino una Pagina | di scalpitante Poesia – | è un Viaggio che anche il più povero può fare | senza paura di Pedaggio – | tanto frugale è il Carro | che porta l’Anima dell’Uomo.
(Emily Dickinson)

 

IL VIALE DEI TIGLI

Prende vita dalle foglie
dal profumo del viale di tigli
e dall’ombra sulle ortensie viola
la mia infanzia

Di quel tempo mi sfuggono
i limiti e i contorni
vedo mia madre
e dietro di lei i fiori
e dietro i fiori niente
tra polvere e odore di refettorio
sento l’eco dei miei passi

Dell’amore
ricordo l’infinito passato
e se i fiori del mio giardino
ignorano l’inverno
ai miei sogni chiedo
di indovinare il tempo

Nell’oscurità
scruto un orizzonte nuovo
un niente mai aperto

(Rita Bonetti)

*

L’aria fendeva
Come la lama dei pattini.
Il ghiaccio.
(Fabio Vallieri)
*
LA RAGAZZA CHE SORRIDEVA SEMPRE
Mentire per me è come fare un viaggio.
Non mi importa di farlo,
devo solo mischiare le realtà, gli uomini e le storie.
Mi faccio abusare emotivamente
per appartenere anche solo per un attimo
a qualcosa o qualcuno.
Mento continuamente solo per dimenticarmi di me.
Mi dispiace. Dove sei. Dove siete. Dove sono.
Vuoto.
Per la prima volta dopo un’eternità
mi sono svegliata pensando che devo trovare uno scopo.
Ma di nuovo sto già dormendo.
Mi ridesto e stanno parlando
ma non di me perché non mi riconosco.
Non ricordo.
Scrivo.
Mi piace scrivere.
Arte!?!! Non saprei.
Vuoto.
Desideravo tanto avere dei bambini.
Ho provato ma il mio ventre li ha espulsi.
Il nulla.
Bevo per non esistere.
Non sono capace di amare, non amo, non mi amo.
Odio quello che sono diventata e ho paura di me stessa.
Continuano a parlare e mi vogliono,
al buio, in silenzio, di nascosto.
Non sono neanche un oggetto da esibire.
Sono il meno di niente.
Un oltraggio alla mia intelligenza
tutto quel parlare del nulla.
Corpi senza cervello, bocche che vomitano suoni stonati.
Dio come sono patetica.
Ma io non credo in dio.
Sono sola ma non ho paura di questo.
Ho paura degli incontri
che mi fanno pesare questa parola in mezzo all’affollamento.
Questo treno vuoto che è la mia vita
va troppo veloce per fermarsi alle troppe fermate.
Non sarò legata a nessuno per sempre
perché non ho una storia da condividere.
E allora sorrido. Sorrido e rido.
Sempre.
(Monica Gori)
*

IL GRANDE LECCIO

Il grande leccio cadendo non ha emesso alcun gemito
solo il tonfo sordo del tronco tra le felci
e qualche lacrima di linfa a profumare la scure
eppure è ancora così verde di giovani foglie
e le radici, profonde, sono ben salde al suolo
resta a memoria il moncone del fusto reciso:
è un grido disperato che non emette suono,
ma a sera nel camino i rami parlottano tra loro
e una canzone triste si leva dalla fiamma
ha la forma di una silfide che danza
avvolta da scintille e geme con quella voce antica
a cui più nessuno crede a parte poeti e boscaioli.

(Valentina Meloni)
*
FIORI NEL DESERTO
Ed ora cosa accade
tra le rocce…un fiore,
un ciuffo d’erba,
nonostante il caldo,
annunciano la vita:
la notte li ha nutriti.
Deserto verticale
appare intorno, ci
sembra scomposto, ma
nasconde la speranza.
Il divino si manifesta qui con
la parola che salva, con ordine…
Da quell’anfratto ogni
azione diviene per noi preghiera.
(Cecilia Bolzani)
*
TU, COMPUTER
dall’ala, il vento
dal piede, la terra
dalla ruota, l’abbraccio
ma tu computer, che ne sai
del vento, della terra
dimmi
che sai tu
del ricordo che arde
della perla nel sogno schiusa
del manto nero di stasera
di un giorno buffo
che afferra la gamba nuda
che ne sai
(Claudia Fofi)
*
Si tolse il cappello,
tenendolo in mano
si avvicinò lentamente
alla finestra.
Con lo stupore intatto
di un bambino vide
i piccoli fiocchi di neve
coprire i tetti
le strade
cancellando ogni rumore.
Amava
quel silenzio
tregua clemente
per le umane sorti.
Un ricordo sfiorò
il suo cuore.
Non conosce dolcezza
chi almeno una volta
non abbia puntato il naso
verso l’alto
e assaporato
a bocca aperta
un fiocco di neve.
(Emilio Napolitano)
*
AMORE E POESIA

Dove si cela la crudeltà dell’uomo?
Nella sua mente, nel cuore o nelle mani?
Nel passato oscuro d’incomprensione
o nell’incertezza di un domani?

 

Dove si nasconde parere e la parola?
Perché preme ad uscire allo scoperto,
perché la sua lama vuol ferire gola
di chi di morte ha già sofferto?

 

E mentre malevolenza oscura cammino
una luce rischiara la nostra via:

 

cos’è che ci può cambiare destino
se non Amore e Poesia ?

(Natasa Butinar)
*
RELIQUIA
Tra le mani un fiore secco
inumidito dal pianto
reliquia di un rischio
che assomigliava all’amore
il tempo sfugge alla gioia
ma è immobile al dolore
sui margini del tramonto
il pescatore a reti vuote
che sia illusione quell’attimo
ora gonfio di nostalgia
che sia vertigine l’amore
nell’illusione nella follia
(Maria Mancino)
*
SE TU, RINCASANDO ALLA SERA

 

Se tu, rincasando alla sera, quando le cicale
sono al culmine dello squarciare l’aria – con
l’acuto cantare, che è delle chimere d’estate –

 

e tu ne trovassi, della stagionale muta, le spoglie
di una di loro, sull’uscio di casa:

 

raccoglile!

 

Poi, se puoi, posale sul bel ripiano di legno
grezzo, coi panni bianchi che sanno di pulito:
per quando – giunta per intero alla sua fine –

 

sarà stanca di indossare la sua veste ingannevole;
quella che fu, irrimediabilmente connaturata,
al suo incurante mutare.

(Daniela Stasi)
La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio. Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.

Parole a Capo /
Speciale Giornata Mondiale della Poesia/1

In occasione del 21 marzo, Giornata Mondiale della Poesia, “Parole a Capo” si fa in due. Oggi e domani pubblichiamo tante poesie che le amiche e gli amici ci hanno mandato e che ringrazio di cuore. Un caleidoscopio di parole, sensazioni, emozioni che mettono in risalto le diversità espressive dell’universo poetico. Buona lettura.
*
Lentamente tutto si smaglia — il viso
e il collo e il dorso delle mani prima
del resto. I capelli cambiano tono,
la voce cambia — spesso si dimentica.
Ho trentotto rivoluzioni intorno
al dito, quattro rughe sulla fronte
limpide come mai, qualche pietruzza
da levarmi dalla scarpa — comunque
niente di grave. Viste dal futuro
queste noie prenderanno un’altra luce
insospettabile. La mia risata
sarà un tempo circolare, più soffice.
(Lara Pagani)
*
PRIMAVERA
Ritorna
la dolcezza calante,
quando non si inasprisce
nel sale sui muri.
Ritorna
l’alba
promessa del giorno.
Nel suono di una notte scontrosa
resiste
l’inverno.
(Maria Angela Malacarne)
*
Di te
adoro il guado tra le mie parole e il farlo in silenzio
amo il tuo essere faro nella tempesta dell’animo o nella bonaccia dello sguardo .
Adoro l’ammirare una betulla o un vecchio faggio assieme a te
sarò strambo lo so
ma quando vediamo le volpi uscire dalle macchie
a guardare l’alba assieme a noi
la tua meraviglia è una lampada sul mondo .
(Luca Ispani)
*

I giorni paiono settimane
le settimane giorni
gli anni, minuti scanditi
da passi veloci.
Vorrei rallentare
il tempo
guardare fuori dal finestrino
respirare.
L’odore del sale
il profumo del sole
un bimbo che gioca
con un pallone.
Urla sguaiate
schiamazzi felici
riecheggiano gravi
da un passo carraio.
Rallentiamo il passo
freniamo la corsa
apriamo le persiane
al rosso dell’alba.

Fior di mimosa
per la mia sposa
un mondo pulito
per le mie figlie.
Strapperei la luna
da un cielo di stelle
per far della terra
un prato senza guerra.
Il padre padrone
lo sterco presente
il retaggio antico
dello schifo passato.
A voi donne di ieri
di oggi e domani
luce del tempo
speranze e futuro.
Vorrei poter dire
di un mondo più puro
di sogni reali
in un mondo di uguali.
Son poche parole
di rime contrite
ma il vento di un saggio
vorrei solo avere, il vostro coraggio.

(Cristiano Mazzoni)

*

ALLA VITA
A te, che mi sei giunta,
e non sapevo,
inconscia dell’amore
che mi aveva generato
e ho ricevuto in dono.
A te, per le albe e i tramonti
per i giorni di sole e per la pioggia
per le erbe dei campi, per i fiori
per il mare quand’è calmo
o in tempesta, per le barche
arenate sulla spiaggia,
per la casa ed il fuoco
per le parole magia dell’esistenza.
Per i momenti bui, per i giorni d’amore,
per la passione senso di ogni cosa
per il lavoro e la calma assoluta
per l’amicizia che ha nutrito i giorni.
Per la gioia, il dolore, la sconfitta,
la tenacia, l’eterna voglia di ricominciare.
A te, Vita che fuggi, che sbiadisci
a cui mi afferro ancora, ancora chiedo
l’ultima forza per lasciarti andare.
(Anna Fresu)
*
a patti con quel se, mi insegni.
A distrarsi non c’è modo
Se quel solido mancarsi
non si strugge di difetti
nella grazia e nella fuga
Alimentarsi, essere nodo
Razionare sopra specchi
Quella ruga sulla faccia
Inseguire il poco miele
Nei recessi più cortesi,
e mai perdere la traccia
dei tuoi passi, nei miei sogni.
(Daniela Favretti)
*

FERRARA GIUDEA

Di chi è il nome
seguire il gioco
del silenzio
tra rimbrotti e
serpentine
ora di chi è il
nome
sul rosso vinoso
sangue
bianca la pietra.

(Giorgio Bolla)

 

*

LA POESIA

Sguardo sul mondo
e carne sensibile
appena rivestita
di parole come ponti
gettati fuori
disvelando memorie
come perle nascoste
e note da cantare
forte, o sommesse
lame delicate
a sbucciare l’anima.

(Anna Rita Boccafogli)

*

IL NIDO

L’eredità degli alberi
come resti di memoria
nel cavo caldo o abbandonato
risuona.
Architetture distopiche
tra becchi saliva e canti.
Un nido
io bramo
in bilico
fra desideri di cura
e l’inquietudine che
alle ali appartiene.
Il vuoto di paglia e rami
rimbomba nell’eco silvestre.
Ormai schiuse le uova
non più di pulcino
le mie forme.
Ora
paladina forse
nel mondo
spogliata nel candore
dalle mie piume ovattate.
Artefice arredo
stanze nel tempo
e ne riconosco il valore
e la contraddizione:
regali sono
di libertà e prigionia.
Il nido resiste
all’impeto del vento e di piogge improvvise
E io mi chiedo
come faccia
a non scivolare sulla solitudine della terra.
L’immensita’ fragile di steli e fili d’erba secchi
questa la meraviglia che mi circonda.

(Lidia Calzolari)

 

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio. Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.

Parole e figure / Albi per papà

Oggi è la festa dei papà, due sillabe cariche di tanti significati. Oggi dedichiamo tre bellissimi albi a tutti i papà, vicini e lontani. A quelli che ci sono e a quelli che non ci sono più. Perché questi ultimi sono semplicemente altrove.

Il primo albo di oggi è il delicatissimo “Papà”, di Hélène Delforge e Quentin Gréban, edito da Terre di Mezzo. Un libro di grande formato, con tavole spettacolari e testi poetici.

Dopo “Mamma” e “Innamorati”, nel nuovo albo della coppia autoriale troviamo un vivido ritratto dei “nuovi padri”, figure in grande evoluzione, sempre più coinvolte nel ruolo di partner e nella crescita affettiva dei loro figli. L’orgoglio, la paura di sbagliare, la dolcezza che si osa rivelare e che non si sapeva di poter avere, l’amore che si mostra in ogni istante. Ci sono tanti papà, tutti diversi, ma con lo stesso desiderio di felicità per il proprio figlio; perché si può essere padri in tanti modi. Papà non si nasce, ma lo si diventa?

“Ho avuto un papà molto timido, emotivo, sensibile, pieno di delicatezza e nostalgia”, dice Helène in una toccante intervista, “un uomo ‘ordinario’ ma straordinario, un uomo fragile che è stato molto ferito dalla vita… Mio papà era capace di piangere di nascosto alla laurea ma non di dirti apertamente ‘Ti voglio bene’. Era sempre lì quando avevo bisogno di lui, ma non si è mai imposto. Ho molti rimpianti per le cose che non abbiamo fatto insieme, per le cose che non gli ho detto. Mi ha lasciato…. il suo naso, il suo amore per i libri, il suo umorismo, il suo amore per il cibo, il timore di esser di disturbo, e tanti dubbi”.

Padri, coloro che spesso non sanno dire, non sanno esprimere. Uomini a cui avremmo voluto dire tante cose, cui dobbiamo dire cose adesso prima di non averne il tempo.

Padri severi, dolci, comprensivi, ispidi, coraggiosi, duri, teneri. I nostri eroi senza cappa né spada. Amici che sanno giocare sulla spiaggia, fare castelli in aria, suonare il pianoforte, leggere libri a voce alta, correre incontro ed abbracciare. Baciare.

Un libro perfetto per un dono nelle occasioni speciali.

Hélène Delforge, Quentin Gréban, Papà, Terre di mezzo, Milano, 2023, 72 p.

Altro albo affascinante e delicato, che illustra il tema del rapporto padre-figlia, è “Mio papà supertuttofare”, del francese Barroux, edizioni Clichy.

“Nella sua tana da agente segreto, papà nasconde un sacco di gadget con nomi impronunciabili e divertenti. Con i suoi ‘strumenti’ papà fa miracoli. Può aggiustare tutto: incolla, salda e rattoppa… e tutto questo grazie alla sua simpatica assistente: sua figlia! Sono la sola a conoscere il segreto di mio padre… Ogni fine settimana, infatti, papà fila in un posticino segreto giù in cantina e si trasforma in un tuttofare. Si toglie la cravatta e indossa la sua divisa da agente segreto: una vecchia maglietta bucata e un paio di pantaloni con le toppe. È super forte. Ma quando ha bisogno di aiuto, mi chiama in soccorso. Sono l’unica che può aiutarlo. Insieme aggiustiamo, rattoppiamo, frughiamo e inventiamo nuove cose super belle, mi piace un sacco! E mio padre, lo adoro!”.

Nel capanno segreto in fondo al giardino, che ricorda una tana di pirati, si cela un mondo colorato di scatole di viti e chiodi e di oggetti strani che tagliano e pizzicano. È il regno di un papà che nel week end si trasforma, da impiegato a tuttofare. Con l’aiuto della sua assistente il papà ripara cose rotte ma ne costruisce anche tante altre. Difficile capire cosa però, fino all’ultima pagina. Surprise, humour, suspense e mistero. Che divertimento!

Barroux, Mio papà supertuttofare, Edizioni Clichy, Firenze, 2020, 40 p.

“Ancora, papà”, di Mariapaola Pesce e Irene Penazzi, edito da Terre di Mezzo è, invece, una bella storia in rima per raccontare il proprio papà nel corso del tempo, un papà che è sempre lì quando giochi e quando cresci, che ti accompagna nelle vittorie e nelle sconfitte e che non smette di esserci quando cresci davvero e vai a vivere da sola e cominci a fare le scelte importanti della vita.

Un papà che è sempre al tuo fianco, attraverso tutti i momenti della vita: quelli quotidiani, più normali (giocare, lavarsi i denti, farsi le coccole nel lettone) e quelli più significativi (il primo amore, la prima delusione, il primo trasloco, la nascita di un bambino…).

Finché, con l’età, i ruoli si scambiano, ed è lui ad avere bisogno di te. Perché i ruoli cambiano, ahimè si invertono. Il circolo ricomincia. E allora tocca a noi figli esserci. Così come ci sono stati loro. Allora. Ora. Sempre. Un libro-dedica, capace di arrivare dritto al cuore di ogni figlio e di ogni papà.

Mariapaola Pesce e Irene Penazzi, Ancora, papà, Milano, Terre di Mezzo, 2020, 40 p.

Foto in evidenza tratta da Hélène Delforge, Quentin Gréban, Papà

Libri per bambini, per crescere e per restare bambini, anche da adulti.
Rubrica a cura di Simonetta Sandri in collaborazione con la libreria Testaperaria di Ferrara

Alla Rotonda Foschini Reading di poesia (Corso Martiri, Ferrara)
Domenica 24 marzo dalle 10 alle 12,30

Il 24 marzo di questo 2024, coincide con la Domenica delle Palme ed è celebrata dai cattolici, dagli ortodossi e dai protestanti. Pochi giorni prima (il 21 è la giornata mondiale dedicata alla poesia). Come Associazione Culturale “Ultimo Rosso” abbiamo scelto questa vicinanza che unisca poesia e ulivo come possibili segni di pace e di speranza nel futuro. Una speranza contro la violenza, contro tutte le guerre vicine a noi ma anche dentro le comunità e le persone. Per un futuro che diventi di nuovo per tutti parte dei nostri progetti di vita.

 

Per noi, la poesia è la capacità, la voglia di rompere le barriere dell’indifferenza, oltre e attraverso un’instancabile speranza. “In direzione ostinata e contraria” come cantava Fabrizio De André. Vi aspettiamo in tanti. Noi ci saremo. In occasione della Giornata mondiale della poesia, la rubrica “Parole a Capo” di  Periscopio si farà in due: mercoledì 20 e giovedì 21 marzo usciranno due speciali con numerose liriche di poete e poeti che hanno dato corpo ad una mia piccola idea. Li ringrazio di cuore!

La Comune di Ferrara:
un’esperienza non comune per un’idea diversa di città e di democrazia

La Comune di Ferrara: un’esperienza non comune per un’idea diversa di città e democrazia

La cronaca della conferenza stampa di presentazione della lista “La Comune di Ferrara”(qui il link ufficiale) tenutasi ieri all’aperto dello Spazio Grisù, la puoi leggere su tutti gli organi di stampa della città. La presenza di Periscopio aveva uno scopo diverso: restituire un clima e qualche sensazione che la mera cronaca non trasmette.

La Comune di Ferrara è una coalizione decisamente eccentrica. Ci sono dentro politici locali con il relativo simbolo di partito (i Socialisti del PSI) e ci sono esponenti e attivisti locali senza il simbolo del loro partito (Europa Verde, Sinistra Italiana) perché i loro vertici romani li hanno diffidati dall’utilizzarlo in sostegno a La Comune. Loro infatti – i romani – avevano già deciso che a Ferrara i loro attivisti dovevano votare e far votare il nome che va per la maggiore. Allora questi attivisti locali, in dissenso dalle indicazioni di schieramento dei loro vertici, hanno deciso di partecipare ad una competizione amministrativa al fianco della candidata sindaca Anna Zonari. Per quale ragione? Perché, per una volta, una aggregazione civica “vera” ha iniziato a chiedere l’opinione delle persone su cosa doveva fare la prossima amministrazione ben prima che qualsiasi candidato “ufficiale” uscisse allo scoperto (al termine di sfinenti discussioni interpartitiche, ca va sans dire). Invece i loro referenti nazionali non hanno sentito nemmeno il bisogno di fargli una telefonata.
Ciò nonostante, nessun accento polemico è sfuggito dalle labbra di Federico Besio, giovane referente degli “ecologisti” ferraresi, nè dalla bocca di Sergio Golinelli, segretario di Sinistra Italiana. Non serve la polemica quando c’è la forza degli argomenti: che sono prepolitici, in questo caso. Non occorre infatti essere d’accordo con le idee di Besio e Golinelli per capire che, alla vigilia del rinnovo di organi amministrativi locali, bisognerebbe almeno dialogare con i propri attivisti locali, prima di spendere anche il loro nome a sostegno di un candidato, seppure di prestigio e di fama nazionale (nota dello scrivente: per chi non lo sapesse, i non residenti a Ferrara non possono votare per il sindaco di Ferrara). Questa divaricazione tra burocrati nazionali e attivisti cittadini, e che ha portato i secondi verso La Comune, dipende dal fatto che La Comune di Ferrara nasce sulla base di un metodo che è esso stesso sostanza. Un metodo di compartecipazione, di ascolto e di discussione capillare che gli attivisti locali hanno prima riconosciuto per poi contribuirvi, mentre i politici romani non lo hanno nemmeno smarrito (casomai smarrisci quello che avevi): non lo hanno proprio mai praticato. Gli è alieno.
La differenza sta nel metodo, prima di tutto. Personalmente non mi era ancora successo di vedere riunire dei comuni cittadini ad un tavolo e di farli dialogare in modo ordinato e non scompostamente assembleare, circostanza che dipende dal fatto che occorre anche sapere come far parlare le persone – e i world cafè (leggi qui) sono serviti proprio a questo. Non mi era successo, eppure è un’idea semplice. Semplice e complessa al tempo stesso.
La complessità risiede nel fatto che le persone non sono più abituate ad esprimersi, perché sono state abituate a pensare che democrazia è sinonimo di delega (meglio se ad un “uomo forte”). Ma prendere le parti di qualcuno non equivale ad esprimersi.  Far parte di una fazione che commenta le tenzoni televisive o social tra leaders non equivale ad esprimersi. Dire solo cosa non va non equivale ad esprimersi. Di conseguenza, sollecitare la partecipazione attiva delle persone quando alle stesse non è mai chiesto cosa pensano e cosa farebbero, ma è chiesta solo una delega per fare “il loro bene”, non è semplice, perché per loro è una novità.
Questa disabitudine si coglie anche nelle domande della stampa, preoccupata dell’opportunità di indicare i sostenitori e candidati della lista come singoli aderenti o come esponenti dei loro partiti, per non favorire un incidente diplomatico; non preoccupata di capire come si declinerà ulteriormente il “quasi programma” che La Comune ha pubblicato sul suo sito. Ci ha pensato Anna Zonari a parlare di questo, prefigurando con trasparenza  – attraverso veloci accenni al riciclo della plastica in petrolchimico, alle comunità energetiche, ai corridoi verdi – quello che al contempo potrebbe essere il punto di forza e la grande sfida delle prossime settimane per La Comune: quella di coniugare la partecipazione delle persone, che ha già prodotto dei temi “alti”, con la capacità di sintetizzare e mettere a terra delle proposte concrete per la città. Il contributo delle intelligenze individuali sarà ancora più fondamentale, da qui in avanti, per arricchire l’intelligenza collettiva che La Comune di Ferrara vuole incarnare e che propone al servizio della città; e che costituisce la premessa indispensabile per riuscire a far votare le persone che non votano più (circa il quaranta per cento sono rimaste a casa, al precedente ballottaggio). Le persone che non votano più torneranno a farlo solo se, prima, si saranno sentite coinvolte in un processo di partecipazione collettiva. In un agone politico connotato da un confronto tra ego che slitta già, tristemente, dentro modalità da eccesso di testosterone, questa è la vera e unica competizione che La Comune di Ferrara sollecita e affronta: quella per una rinnovata idea di città e di democrazia.

Prove di dialogo
un racconto di Franco Stefani

Prove di dialogo

La vide quasi accucciata sulla soglia di un negozio vicino al suo portone di casa – oggi le ragazzine si mettono a sedere ovunque, lungo i marciapiedi – con gli occhi fissi sul telefonino. Era uscito per depositare il sacco pieno di plastica per la raccolta differenziata e quasi la sfiorò. Stava rannicchiata contro la saracinesca del negozio, in un atteggiamento difensivo.

Si fermò un attimo a guardarla. Poteva avere quattordici -quindici anni: poco più di una bimba, con la frangetta di capelli castani che le ricadevano sul viso un po’ truccato per sembrare più grande della sua età.  Lei alzò gli occhi e si ritrasse con un istintivo moto di timore.

“Non aver paura” disse lui “non ti faccio nulla. Hai bisogno? Posso aiutarti?”.

Lei lo guardò e non rispose, stringendo il telefonino come se volesse aggrapparvisi.

“Scusami” – fece lui “se vuoi me ne vado. Volevo solo sapere se ti occorreva qualcosa…”.

La ragazzina parlò, restando seduta. “Aspettavo un’amica, ma non è venuta”. Poi abbassò gli occhi.

“Devi andare da qualche parte?” domandò lui. “Abiti qui?”

“No” rispose lei. “Abito a C.”, aggiunse, nominando un paese vicino.

Beh, pensò lui, abbiamo stabilito un contatto. E adesso cosa le dico? Cominciò a rimuginare. Ho cinque volte la sua età. Cosa diavolo interessa a queste ragazzine? Che cosa pensano i giovani? Mah, vai a sapere…

Intanto lei disse piano: “Ho freddo. Non voglio tornare a casa”.

“Scherzi?” scattò lui. Ma si morse subito la lingua. Non sono un suo genitore. Però, questa è sola, sembra smarrita… “Non puoi restare qui. Tra poco il negozio chiude, è sera e non passerà più nessuno” disse in fretta, per paura di intimorirla ancora di più. Però poi chiese: “Perché non vuoi andare a casa? I tuoi staranno in ansia se non ti vedono arrivare”.

“A casa o qui è lo stesso. Con mia mamma e mio padre ci parliamo appena…” disse lei con un sospiro. Ahi, ecco una prima grana, pensò lui: meglio essere prudenti. Prendiamola alla larga. “Dove studi?” le domandò. “All’istituto professionale per la moda” “E ti piace?” “Insomma… non tanto, molti prof sono piuttosto stronzi” disse lei. E dai, ecco la scuola che non funziona. “Ma che preferisci fare?” le chiese. “Disegnare”. “Che cosa?” “Bei vestiti, belle stoffe…” “Ti piacerebbe avere bei vestiti?” “Sì”. E che lavoro vuoi fare? “Non lo so. Forse lavorare in una casa di mode, oppure fare la costumista o la sarta, in un teatro o nell’industria cinematografica”.

***

Il proprietario del negozio aveva abbassata la saracinesca e se n’era andato. La ragazzina si era alzata in piedi. Altre luci di insegne si stavano spegnendo. Oddio, si disse lui, adesso qui la situazione precipita, questa deve andare assolutamente a casa, poi succedono dei casini…

Fu lei a trarlo d’impaccio. “Va bene. Se per favore mi accompagni a casa…”. “Sì, aspetta, prendo le chiavi della macchina, è parcheggiata là di fronte, la vedi?”. Entrò per prendere le chiavi e poi tornò sul portone. Lei era ancora lì. Si era tirata in testa il cappuccio del giaccone, un indumento strano, ed aveva un aspetto buffo.

Salirono in macchina. Indossarono le cinture e si avviarono. C’erano circa venti chilometri da percorrere. Lui domandò: “Stai comoda?”. “Sì”. “Parlavamo della scuola, prima. Ma poi cosa fai oltre ad andarci?” “Guardo dei film alla Tv, gioco alla playstation, sto davanti al computer”. “Non pratichi qualche sport?” “Ogni tanto vado in piscina”. Rispondeva sempre guardando il telefonino. “Ma che ci fate col telefonino?” le chiese. “Chattiamo. Scriviamo messaggi. Guardiamo i cantanti, ascoltiamo i rapper”. “Conosci Laura Pausini?” provò a chiedere lui tentando un goffo approccio musicale. “L’ho sentita qualche volta, piace a mia mamma”. Perbacco, una cantante poco più che quarantenne e affermata era già quasi nell’archivio della storia, per ’sti ragazzi. Meglio non avventurarsi oltre.

Avevano ormai percorso metà strada e tacevano. Dopo un po’ lei domandò: “Tu hai paura?” “Di che cosa?” “Del terrorismo islamico”. “Beh, sì” rispose lui. “È vero che i terroristi possono essere dappertutto?”. “Certo”. “E come facciamo a vivere?” Provò a spiegarle quel che tutti dicevano: che non bisogna dargliela vinta, che si deve condurre una esistenza normale, quella di tutti i giorni, che non dobbiamo rinunciare alla nostra cultura, al nostro sistema di vita, provando a dialogare con i musulmani moderati, eccetera eccetera. La ragazzina ascoltava. Poi mormorò: “Io ho paura. Ho paura anche delle guerre in Ucraina, in Palestina”.

“Ma in famiglia non ti senti un po’più al sicuro?” “Quando sono a casa prendo il mio gatto in grembo – raccontò lei – e allora mi calmo”. “Non hai delle amiche con cui confidarti?” “Sì, ma loro pensano molto a come farsi notare dai ragazzi”. “E tu?”. “Il ragazzo ce l’ho, ma queste cose del terrorismo e delle guerre non le vuole sentire”. “E le notizie come le segui?”. “Guardo la televisione”. “Leggi i giornali, o dei libri?” “Non leggo quasi mai, i libri sono quelli di scuola”. Ahi. “Dovresti leggere, informarti” lui disse. “Poi, con chi discuto quello che ho letto?” rispose la ragazzina.

Erano arrivati. “Ti lascio un po’ lontano da casa” fece lui. “Così i tuoi genitori non si arrabbiano nel vederti con uno sconosciuto. Spero che non ti sgridino e che non litighiate perché sei tornata tardi. Auguri, per tutto quanto”.

Lei lo guardò. Sospirò e disse: “Forse… mi piacerebbe avere un nonno come te”. Poi aprì la portiera, scese e sparì nel buio.

 

©Franco Stefani, 2024

 

Per certi versi /
Nebbia sul fiume

Nebbia sul fiume

Nell’eloquio16
Ceruleo
Dell’aria
I biancospini
Da pandant
Coi mandorli
In abito da sposa
La Packaging Valley
nascosta
Dalle valige
Del sole
Prende fuoco
Il fiume
Fuma
Fuma
Un lungo cappotto
Bianco
Nasconde
Le sue acque
Limacciose
Ai bordi
Affiorano
Le pupille
Delle tue
Mimose
Ogni domenica Periscopio ospita Per certi versi, angolo di poesia che presenta le liriche di Roberto Dall’Olio.
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Presto di mattina /
Don Alessandro Denti che ci guarda con gli occhi di Pasqua

Presto di mattina. Don Alessandro Denti che ci guarda con gli occhi di Pasqua

Da sette anni ormai, caro don Alessandro ci guardi con gli occhi della Pasqua. Sette è il numero dei giorni della creazione quando Dio si riposò; nel settimo giorno del creato saranno in pienezza in ogni vivente; sette sono i doni dello Spirito che mai cesseranno di spirare vita perché non ci rassegniamo alla morte. Sette nell’Apocalisse le lettere alle sette chiese dell’Asia e a tutte le chiese anche oggi perché siano comunità cristiane in uscita tra la gente:

«Ecco, ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere. Per quanto tu abbia poca forza, hai però custodito la mia parola e non hai rinnegato il mio nome» (Ap 3,8).

Ci guarda con gli occhi di Pasqua

Ora la terra è imporporata di sangue,
una sposa vestita a nozze.
il sole si è levato sulla casa di tutti
da quando egli ha finito di piangere
e Gesù, ancora più santo,
mai finito di morire per noi.
Ora nessuna nascita è più senza musica,
nessuna tomba senza lucerna
da quando egli ha detto:
«Io lo vedrò, io stesso: questi
occhi lo vedranno e non altri;
ultimo si ergerà sulla polvere».
Allora rinverdirà ogni carne umiliata
e gli andremo incontro con rami nuovi:
una selva sola, la terra, di mani.
(D. M. Turoldo, O sensi miei … Rizzoli, Milano, 1997, 249).

Così dopo sette anni ritrovo immutate e vive quelle parole a ridestare ciò che solo resta: amore; parole già seminate nel libro Don Alessandro Denti. Tutto passa, solo l’amore resta e che tornano a rispuntare.

«Signore, tu vedi quanto sono stanco/ di risuscitare, di morire e di vivere./ Prendi tutto, ma di questa rosa rossa/ possa sentire ancora la freschezza» (Anna Achmatova, In memoria di Bulgakov, 1940).

In questi intensi versi vedo di nuovo illuminarsi il volto, la vita, la storia di don Alessandro: il suo pieno abbandono all’amore. Cos’è infatti amore se non ciò che non va perduto: «le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo» (Ct 8,7), come la freschezza di una rosa rossa che resta. Lasciarsi guidare dall’amore, così egli scriveva: «Lasciare a Dio la guida della propria vita. Tutto passa, solo l’amore resta».

Così pure il suo ministero può di nuovo essere compreso nel cono di luce di questo testo poetico di Clemente Rebora: «“Amor dammi l’Amore!”: un mormorio/ Di gente in pena. L’Ostia, in alto, casta/ Attrae i cuori: “Sì, vivere è Cristo”» (Le poesie, Milano 1988, 271).

Spiritualità samaritana

La spiritualità è discendere tra gente in pena e insieme a loro lasciarsi attrarre il cuore dal Risorto dai morti: il Vivente. Uomo spirituale è colui che sprofonda nella realtà umana per trasformarla come lievito nella pasta, questo è stato il morire e il vivere di Cristo e dei suoi: «Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).

Così don Alessandro delinea la figura di una spiritualità viva degna dell’umano: «“Hacerse cargo, cargar con y, encargarse de la realidad” (“Farsi carico della realtà, caricarsi della realtà, patire nella realtà, incaricarsi della realtà”) è la frase di P. Ignacio Ellacuria che forse più rimane impressa.

Victor Codina, in un articolo del 1990, così riprende: “farsi carico della realtà, ossia conoscerla realmente e viverla, soffrirla, per poterla così scoprire intellettualmente; incaricarsi della realtà, cioè assumere il compito di trasformarla, mettendo l’intelligenza a servizio della prassi; caricarsi della realtà accettando la responsabilità etica della funzione intellettuale, e la durezza di questo rapporto” […]

Il primo passo mi sembra sia proprio questo: non stancarsi mai di riflettere, di pensare, compiendo questo viaggio intorno e dentro l’uomo, con l’intenzione di conoscerlo, amarlo, servirlo, senza rinunciare a quella luce che viene dal Vangelo, in un dialogo sincero e appassionato con tutti coloro che si sentono cercatori di vita, rispondendo in particolare a quella chiamata concreta ed esigente, che nasce dove la dignità della persona umana viene negata» (A. Denti, Farsi carico della realtà, in Bollettino di Rinascita Cristiana di Ferrara, Novembre 2009).

Cercatore e trovatore

Don Alessandro “cercatore di vita”, perché la parola di Dio si è incarnata nella vita, essa come il regno di Dio è nascosta come un tesoro nel campo della realtà, in essa ci è dato incontrarli; c’è pure un vangelo nascosto in noi e negli altri, una buona notizia che ci fa cercatori di Dio tra gli uomini: «Scoprire il tesoro nascosto: “Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova …” (Mt 13,44)

Ebbene, questo tesoro è in noi. “Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te … è molto vicino a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore perché tu la metta in pratica (Dt 30, 11-14).

Decidere della propria vita, significa cercare e trovare questo tesoro nascosto, il nostro desiderio profondo. Per ogni piccola decisione noi ci avviciniamo, con l’intuizione di un rabdomante, alla nostra fonte segreta, al meglio che Dio ha messo in noi» (A. Denti, Rinascita, riscopri il tuo tesoro, in Bollettino di Rinascita Cristiana di Ferrara”, Agosto 2011).

Sì, dire spiritualità è come dire “vangelo nascosto”, ora quello di don Alessandro ha certamente la connotazione della spiritualità del “Servo sofferente” descritta da Isaia nei suoi Carmi e portata a compimento dallo stesso Gesù nel suo mistero pasquale di passione, morte e risurrezione.

Così don Alessandro la descrive: «Spiritualità del servo sofferente. Nel discorso pronunciato da Oscar Romero all’Università di Lovanio, prima di essere insignito della laurea honoris causa, troviamo questo passaggio: “la speranza che predichiamo ai poveri, la predichiamo per restituire loro dignità e per incoraggiarli ad essere essi stessi gli autori del loro destino…”.

In altre parole, i poveri, o meglio, gli impoveriti, coloro che vengono privati senza motivo della loro dignità, sono coloro che ci educano e ci dicono cos’è la polis, la città, e come dovrebbe essere la Chiesa e il mondo. Allora, dove si realizzano luoghi in cui si ricomincia a vivere, dove i poveri ricominciano a liberarsi, dove gli uomini sono capaci di sedersi attorno ad una tavola per condividere ciò che sono e ciò che hanno, lì è presente la vita e il Dio della vita.

Nello stile e nelle modalità che il “Servo Sofferente di JHWH” ci lascia, nasce la consapevolezza che le situazioni in cui la dignità della persona è negata, sono situazioni che vanno tolte, attraverso uno “stile di compagnia” e di “consolazione”, che diventano il segno più autentico di un rinnovamento umano e sociale, oggi più che mai necessario… Quale la disponibilità ad una reale condivisione con i più poveri?» (A. Denti, Farsi carico della realtà, ivi).

Beatitudini del pastore

Alla spiritualità del “Servo sofferente del Signore” corrisponde nella dinamica del mistero pasquale di sofferenza e di glorificazione, quella delle Beatitudini. Sono le Beatitudini l’altra faccia del vangelo nascosto che don Alessandro ha manifestato con la sua vita battesimale e sacerdotale.

Così mi piace ora dispiegarla con le parole di Papa Francesco, che ha fatto dono ai vescovi italiani del testo delle Beatitudini riscrivendole in rapporto alla loro vita di pastori:

«Beato il Pastore che fa della povertà e della condivisione il suo stile di vita, perché con la sua testimonianza sta costruendo il regno dei cieli.

Beato il Pastore che non teme di rigare il suo volto con le lacrime, affinché in esse possano specchiarsi i dolori della gente, le fatiche dei presbiteri, trovando nell’abbraccio con chi soffre la consolazione di Dio.

Beato il Pastore che considera il suo ministero un servizio e non un potere, facendo della mitezza la sua forza, dando a tutti diritto di cittadinanza nel proprio cuore, per abitare la terra promessa ai miti.

Beato il Pastore che non si chiude nei palazzi del governo, che non diventa un burocrate attento più alle statistiche che ai volti, alle procedure che alle storie, cercando di lottare al fianco dell’uomo per il sogno di giustizia di Dio perché il Signore, incontrato nel silenzio della preghiera quotidiana, sarà il suo nutrimento.

Beato il Pastore che ha cuore per la miseria del mondo, che non teme di sporcarsi le mani con il fango dell’animo umano per trovarvi l’oro di Dio, che non si scandalizza del peccato e della fragilità altrui perché consapevole della propria miseria, perché lo sguardo del Crocifisso Risorto sarà per lui sigillo di infinito perdono.

Beato il Pastore che allontana la doppiezza del cuore, che evita ogni dinamica ambigua, che sogna il bene anche in mezzo al male, perché sarà capace di gioire del volto di Dio, scovandone il riflesso in ogni pozzanghera della città degli uomini.

Beato il Pastore che opera la pace, che accompagna i cammini di riconciliazione, che semina nel cuore il germe della comunione, che accompagna una società divisa sul sentiero della riconciliazione, che prende per mano ogni uomo e ogni donna di buona volontà per costruire fraternità: Dio lo riconoscerà come suo figlio.

Beato il Pastore che per il Vangelo non teme di andare controcorrente, rendendo la sua faccia “dura” come quella del Cristo diretto a Gerusalemme, senza lasciarsi frenare dalle incomprensioni e dagli ostacoli perché sa che il Regno di Dio avanza nella contraddizione del mondo».

Manda, Signore, ancora profeti,
uomini certi di Dio,
uomini dal cuore in fiamme.
E tu a parlare dai loro roveti
sulle macerie delle nostre parole,
dentro il deserto dei templi:
a dire ai poveri
di sperare ancora.
Che siano appena tua voce,
voce di Dio dentro la folgore,
voce di Dio che schianta la pietra
(D. M. Turoldo, O sensi miei…, 570).

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Crescita senza occupazione, occupazione senza crescita,
profitti senza limiti (per pochi)

Crescita senza occupazione, occupazione senza crescita,

profitti senza limiti (per pochi)

Uno dei pochi aspetti positivi dell’Italia in quest’ultimo anno di forte inflazione è l’aumento degli occupati, cresciuti da gennaio 2023 a gennaio 2024 di 373.000 unità (fonte Istat). Non sappiamo se tale crescita proseguirà anche nel 2024, visto che a gennaio ’24 (e per la prima volta da 18 mesi) gli occupati sono calati di 34.000 unità su quelli di dicembre ‘23. Anche il tasso di occupazione ne ha beneficiato, salendo dal 60,8% di dicembre 2022 al 61,9% di dicembre 2023 (calato poi a 61,8% a gennaio 2024).

Ciò che ha contribuito alla crescita di occupati è stata la straordinaria spesa pubblica dovuta a due fattori:

a) gli investimenti del PNRR europeo (dal 2023 al 2027 per 209 miliardi) donati per 2/3 dall’Europa e per 1/3 fatti a debito dall’Italia;

b) il Superbonus 110%, che ha prodotto un aumento senza precedenti nell’edilizia, settore che ne traina molti altri.

Questa massa enorme di spesa pubblica ha iniziato a dispiegare i suoi effetti dal 2022, come indica la teoria keynesiana. Il Governo attuale, che pure ha ridimensionato i crediti del superbonus (90% nel 2023, 70% 2024), non ha dato limiti al “tiraggio”, che è rimasto automatico per tutti coloro che avevano presentato la “comunicazione inizio lavori” entro febbraio 2023, i quali hanno così goduto del beneficio del 110% per intero, con un enorme aumento dei crediti fiscali per lo Stato (55 miliardi di risorse pubbliche nel 2022 e 76 miliardi nel 2023). Pnrr e Superbonus, insieme ai contributi di Industria 4.0 (30 miliardi in due anni) e al bonus facciate e alle spese per il Covid, hanno generato deficit annui di bilancio imponenti: -9,4% del Pil nel 2020, -8,7% nel 2021, -8,6% nel 2022, -7,2% nel 2023. Negli anni passati il deficit annuo era oscillato da -1,5% del 2019 al -2,6% del 2016. Mai l’Italia aveva registrato negli ultimi 30 anni deficit annui così elevati per un periodo così prolungato. Come mai però è sceso il rapporto debito/Pil al 137,3%? Per via dell’inflazione elevata, che ha immiserito l’80% degli italiani.

L’occupazione ha avuto quindi un aumento a causa di uno “tsunami” di spesa pubblica senza precedenti che ha generato un elevato deficit annuale ma ridotto il debito per via dell’alta inflazione. Il debito creato è stato “buono” o “cattivo”? Quando lo Stato spende, diventa cruciale la qualità dei suoi investimenti. Su quest’ultimo punto ci sono preoccupazioni: non tutti gli investimenti del PNRR sono buoni (troppo in fretta e troppo dall’alto senza il coinvolgimento dei cittadini); inoltre del Superbonus 110% hanno usufruito prevalentemente le famiglie abbienti, con incentivi troppo alti che hanno fatto esplodere i prezzi in edilizia per tutti.

Stiamo vivendo anni straordinari, con un aumento gigante della spesa pubblica che non sarà possibile mantenere a questi livelli e che spiega come mai, a fronte di un aumento modesto del PIL (+0,9% nel 2023 e così pare anche nel 2024) e di una produttività che non cresce, ci sia stata una crescita così forte degli occupati. Analizzando però nei dettagli i numeri si scopre il “diavolo” che si aggira per l’Italia e si nasconde nei dettagli. Un primo aspetto “diabolico” riguarda il fatto che la crescita del tasso di occupazione è drogata dalla diminuzione della popolazione in età di lavoro 15-64 anni (che sta al denominatore degli occupati), la quale si va riducendo anno dopo anno e contribuisce così ad aumentare statisticamente ogni anno il Tasso di Occupazione di 0,3/0,4 punti ogni anno.

Un secondo fattore  -ancor più significativo- è che per Istat si è “occupati” anche se si lavora solo un’ora alla settimana (e fin qui è sempre stato così), ma dall’anno scorso (secondo le nuove regole di Eurostat e Istat) è occupato anche chi è in Cassa Integrazione per meno di 3 mesi all’anno, cioè la grande maggioranza dei cassaintegrati che stanno crescendo nel 2024 in modo preoccupante. E questo cambio di parametro aumenta artificiosamente gli occupati dal 2022.

Un terzo aspetto riguarda la cosiddetta “sottoccupazione”, cioè l’aumento di part-time che cresce ogni anno e che ha raggiunto nel 2023 4,3 milioni (18% del totale occupati), di cui il 60% sono part-time involontari (cioè farebbero volentieri il tempo pieno). Crescono anche i lavoratori stagionali e precari: quelli a termine sono cresciuti dal 2020 al 2023 da 2,5 a 3,6 milioni.

Questi cambiamenti da un lato aumentano il numero delle persone occupate, dall’altro fanno crescere molto meno le Unità di Lavoro (ULA) e le ore lavorate retribuite che sono ancora molto inferiori a quelle del 2008 – a differenza degli occupati che hanno già superato i livelli del 2008. Le ULA sono calcolate (sempre dall’Istat) in base ai dati della Contabilità Nazionale e considerano le Unità a tempo pieno, per cui due occupati a part-time contano come una sola Unità di Lavoro. E’ quindi evidente che crescono meno degli occupati, se crescono i part-time.

In sostanza ciò che sta avvenendo con questo modello economico è che cresce (per ora, poi vedremo quando finiranno gli investimenti del Pnrr e del Superbonus) il numero delle persone con un lavoro, anche se molti hanno un lavoro con meno ore pagate, per cui il monte ore lavorate annuo in Italia non cresce e il rapporto tra lavoro (salari pagati e occupati) e capitale si sposta, anno dopo anno, sempre più a favore del capitale (cioè dei profitti); mentre sappiamo tutti che se i profitti crescono ciò è per merito non solo del singolo manager e imprenditore che “guida”, ma di tutti coloro (i collaboratori dipendenti) che concorrono a quel profitto. Fa quindi una certa impressione sapere che il CEO di Stellantis guadagna 516 volte il suo operaio. In conclusione la crescita dell’occupazione c’è, ma riguarda più il numero – brutalmente inteso, come descritto sopra – di occupati che il monte ore lavorate complessivo e pro-capite, che è ancora sotto del 7,4% rispetto ai tempi migliori (il 2007).

I profitti invece volano e ciò spiega come mai, di fronte ad una situazione di generale impoverimento, siano cresciuti anche nel 2023 i risparmi delle famiglie italiane: di ben 77 miliardi e di ben 552 mld dal 2019 ad oggi. Ma non sono tutte le famiglie italiane ad averne beneficiato: quel 3% di ricchi che da soli posseggono il 50% dei risparmi degli italiani o se si preferisce quel 20% che ne possiede il 79%. Sono coloro che guidano l’economia, i media e che ci narrano che le cose non vanno poi tanto male. E per loro è vero: le cose vanno molto bene da alcuni anni e ciò spiega perché ci sia una enorme differenza tra coloro che lavorano e faticano nella società ma sono sempre più poveri e le élites, le quali tra l’altro si sono specializzate negli ultimi 20 anni sull’ evadere/eludere le imposte. Lo documenta (per l’ennesima volta) un rapporto di 4 università (Siviglia, Ionnina, Zurigo, BCE) che hanno analizzato i bilanci di 2,28 milioni di imprese di 100 paesi dal 2009 al 2020. Si scopre che queste imprese hanno eluso 13.500 miliardi di profitti (36% del totale, che sale al 53% per le 20 maggiori multinazionali, pari a 1.338 miliardi di dollari; parliamo dei big della tecnologia e del petrolio come Apple, Alphabet-Google, Microsoft, At &T, Verizon, Walmart, Saudi Aramco, Exxon Mobil, Chevron,…), sfruttando la globalizzazione, cioè la possibilità di aprire filiali in paesi a bassa tassazione anche all’interno dell’Europa stessa (Irlanda, Ungheria, Rep. Ceca) senza bisogno di andare nei paradisi fiscali (Caraibi, Singapore, Emirati Arabi Uniti, isole del Pacifico e africane) e scambiandosi fatture in modo da ridurre i profitti. L’Italia detiene un primato in queste operazioni.

Un’ultima considerazione sugli occupati analizzati per classe di età. Negli ultimi 20 anni, a fronte di una crescita enorme degli occupati over 50 (da 4,8 a 9,5 milioni) c’é un calo di tutte le altre classi di età, specie dei giovani dai 15 ai 34 anni (da 7,7 milioni a 5,5), a conferma delle difficoltà nell’inserimento dei giovani (che pure sono pochissimi) al lavoro. Così va il mondo nel secolo XXI.

Occupati nel 2004, 2014 e 2023 per classe di età e relativi Tassi di Occupazione

Per leggere gli altri articoli e interventi di Andrea Gandini, clicca sul nome dell’autore.

Storie in pellicola / “Ape regina”, una storia per Emergency

A Ferrara “Ape regina”, un cortometraggio diretto da Nicola Sorcinelli che parla di accoglienza e di regine.

Ancora cortometraggi europei che saranno presentati allo European Projects Festival di Ferrara nell’ambito della rassegna selezionati dal Ferrara Film Corto Festival (FFCF), dal 4 al 6 aprile. Oggi presentiamo “Ape regina”, diretto da Nicola Sorcinelli e scritto da Alessandro Padovani, che sarà proiettato sabato 6 aprile alle 18h30.

Il corto è nato dalla prima edizione del concorso per sceneggiature di cortometraggi “Una storia per EMERGENCY”, nel 2019, rivolto a ragazzi tra i 16 e i 25 anni per promuovere tra i più giovani una riflessione sulle conseguenze sociali e sanitarie della guerra, sul diritto universale alla cura, sull’accoglienza e sulla tutela dei diritti umani.

Vincitore di quella prima edizione, il corto, di tredici minuti, è stato presentato al Ferrara Film Corto Festival nell’edizione del 2020 e viene oggi riproposto …

“Ape regina” racconta di Elsa (Maria Grazia Mandruzzato) che ha settant’anni e varie arnie vuote. Capelli grigi avvolti in una lunga treccia, Elsa vive isolata, libera, la natura per sola compagna, insieme a pasti e giacigli frugali, oltre a mazzi di margherite. Le api se ne sono andate così come suo marito, a cui non perdona di essere morto prima di lei, troppo prima, troppo presto. Solo una nuova ape regina, se accettata, potrebbe far ritornare le api. “Una femmina che comanda tutti”, dirà nel film, “senza di lei non ci sono né api né miele”. Una potente (e unica) lezione dal mondo naturale.

Una mattina come tante trova nascosto nella rimessa Amin (Kallil Kone), un ragazzo spaventato scappato da un centro di accoglienza per immigrati. La polizia lo sta cercando, lui vuole raggiungere la lontana Finlandia. Là fa freddo. Con la sua mappa sgualcita le mostra dove è diretto. Tanta sarà la strada, lungo il cammino verso la libertà.

Elsa, che sotto la corazza difensiva, burbera solo di facciata, ha un grande cuore, decide di dargli ospitalità in cambio di un aiuto con le sue arnie. D’altronde hanno anche una cosa in comune, entrambi non parlano l’italiano… Braccia aperte, dunque, fino a quando, all’aria fresca mattutina, dovrà lasciare andare anche lui. E fino a quando…

Un messaggio di accoglienza e di speranza. Una luce in questo mondo (o)scuro.

Nicola Sorcinelli lavora come regista e sceneggiatore. Con i suoi lavori ha vinto vari premi e partecipato a festival di tutto il mondo. Il suo cortometraggio “Moby Dick” vince il Nastro d’Argento nel 2017, poi presentato alla Mostra del Cinema di Venezia. Dirige la miniserie “Sento ancora la vertigine” per Amazon Prime e la serie storica “Briganti” uscita su Netflix nel 2023. Sito web

Parole a Capo /
Carla Sautto Malfatto: “Ricordo” e altre poesie

“Se io avessi una botteguccia | fatta di una sola stanza | vorrei mettermi a vendere | sai cosa? La speranza. | | “Speranza a buon mercato!” | Per un soldo ne darei | ad un solo cliente | quanto basta per sei. | | E alla povera gente | che non ha da campare | darei tutta la mia speranza | senza fargliela pagare.
(Gianni Rodari)

 

SEMPLICEMENTE VIVA

Semplicemente viva
all’incrocio imperfetto delle mie possibilità
sotto un ponte di macerie puntellate
mentre declina il raggio sulla mia scatola di cartone
e cerco la stella del giorno dopo, ostinata.
Ai lucci famelici mi sottraggo preda
ansiosa e diffidente nascondendo le mani
arruffandomi dentro
chiedendomi chi sono
la mente intossicata
da troppe pietre di paragone
che brillano sul fondo ormai di melma ferma.
Oh, potessi darmi un nome
che sia il mio nome per sempre
e non sfumi al tramonto, all’alba
ma sia fermo nel tuo firmamento…
Mi accontento
di quest’anima inquieta
che troppo si strappa.

da “Troppe nebbie” (poesie dal 2001 al 2012), Edizioni Il Saggio, 2019

 

RICORDO

Che la mia mano non resti vuota
quando si alza il braccio a cercarti
fuori dalle coltri calde
di un inverno che dovrebbe passare
il sangue a piombo a sbatterla giù
nell’irraggiungibile distanza
riagganciata al tuo ricordo.
Che sia poi
l’immagine sbiadita di tanti attimi
nella luce soffusa di un corridoio di tempo
poco importa,
quando questa è anche nel suono
e mi percuote in quel lampo
in cui ti ho sentito viva
come una brace inestinguibile,
solo da rincalzare
e che riscalda quella mia mano
persa sul cuscino.

da “Troppe nebbie” (poesie dal 2001 al 2012), Edizioni Il Saggio, 2019

 

IN CASO DI COSCIENZA

L’unica cosa è fermarci
in una falce di tempo qualunque,
renderci conto di essere
un vestito antico che galleggia
nell’ipotesi di un futuro che lo logora di più,
due guanti da sposa gettati per sbaglio
incapaci di riconoscerne il valore
anche se vissuti insieme sulla pelle,
svegliarci di notte con il rimorso di un tesoro perduto
e metterci in prima fila a guardarci
senza la pietà che non abbiamo accordato ad altri.
Ci scopriremo forse
più lontani dall’immagine riflessa
più simili all’oltraggio che detestiamo nel nemico
senza scudi di pensieri che possano assolverci.
Solo un oscuro insaziabile senso di sconfitta
come un mare di fango alla gola
gli occhi in alto, verso la bocca del pozzo
per scorgere il riverbero di un’altra possibilità.

(poesia premiata)
da “Troppe nebbie” (poesie dal 2001 al 2012), Edizioni Il Saggio, 2019

 

VIAGGI – ALTALENE (2023)

Si conclude con una trave sghemba
quest’ultimo passaggio in terra straniera.
È ora di ritornare,
già lappo l’odore del mio cuscino
e quel concavo ormai piatto mi attende
per imprimersi e affondare di nuovo.
Volto la schiena a questa rotta conchiusa
con la sensazione di lasciarmi un poco
e ritornare a calcare la mia terra, più leggera
con bagagli sempre più vuoti.
Eppure, quanto peso di scorie trascino ancora…
È tutto un prendere o seminare,
non ne ho la percezione — se non di sobbarcarmi
la soma di un’ingiustizia mai risolta —
come una pioggia continua che mi solca
mi dice di andare, di restare,
appesantisce gli abiti miei e sempre meno miei,
da togliere, da trattenere — altalena —
come una piuma che vola e poi strazia al suolo
non fa girare il mondo all’incontrario
e in fondo non serve, se la si pesa,
eppure fa conto, dove è mancata.

(poesia premiata)

 

FIOCCO AZZURRO (2023)

Ci si lascia spettinare troppo spesso
da un vento alle spalle.
Rassicura un poco quel cuculo lontano
che grida un onomatopeico strazio
e il gorgheggio in assolo del fringuello.
Lassù, nuvole sbavano come onde
e non sai mai cosa nasconde l’abisso
oltre il nostro respiro
racchiuso sotto questa cupola.
Oggi c’è un fiocco azzurro alla porta
del cuore, da chi lo cercò interrogandosi
senza risposta. Ora darebbe quel cuore
per lui, ora non ricorda il dubbio.
Le mani troppo piccole, a pugnetto,
imprigionano tutte le certezze,
anche quelle di un tempo che fugge,
quasi fosse chiaro il disegno immaginifico
che talvolta lappa il miracolo.

(poesia premiata)
Carla Sautto Malfatto – tutti i diritti riservati

 

Carla Sautto Malfatto (Ferrara, 1954) ha conseguito quasi duecento premi per la poesia, la narrativa e la pittura in Concorsi Nazionali e Internazionali, tra cui, oltre a premi di podio, diversi riconoscimenti come la Targa d’Argento della Presidenza della Camera dei Deputati, la Medaglia del Senato, la Medaglia del Pontefice Francesco I, il Premio Consiglio dei Ministri, il Premio Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il Premio Unesco, il Premio Provincia di Salerno, il Premio Città di Napoli, Premi alla Cultura, della Critica e della Giuria; il Premio Terme di Salsomaggiore 2002 per la pittura. Ha vinto pubblicazioni gratuite per la narrativa e la poesia; è membro di Giuria in Concorsi Letterari e lo è stata in Concorsi Artistici. Collabora con Associazioni e riviste letterarie; ha recensito libri e opere singole; compare su diverse Antologie. Ha
esposto in mostre personali e collettive in varie città d’Italia e alcune sue opere artistiche fanno parte di collezioni pubbliche e private. Ha svolto opera di volontariato fornendo materiale e insegnamento artistico in scuole materne e primarie pubbliche e private, in pediatria oncologica a Bologna, in corsi per disabili psichici.
Ha pubblicato “Farfalle e Scorpioni”, racconti (Este Edition, 2015) e “Troppe nebbie”, poesie (Edizioni Il Saggio, 2019), contenenti diverse opere premiate, e entrambi pluripremiati. Nella rubrica “Parole a Capo”, sono state pubblicate altre sue liriche l’8 luglio 2020, il 17 dicembre 2020 e il 19 agosto 2021.
www.carlasautto.it

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio. Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.

Vite di carta /
“Abel”. Un western metafisico, l’ultimo libro di Alessandro Baricco

Vite di carta. Abel. Un western metafisico, l’ultimo libro di Alessandro Baricco.

Abel diventa una leggenda, nell’Ovest, quando da sceriffo mette fine a una rapina nella sua città sparando contemporaneamente con due pistole a due bersagli diversi ed entra così nel novero di quei pochi pistoleri che sanno fare un colpo così, chiamato ‘il Mistico’.

Ha ventisette anni ed è innamorato di una donna che ha addosso un mistero, oltre che un nome speciale: Hallelujah. Ogni tanto parte senza dire verso dove né quando tornerà, ma poi torna.

Abel è stato ed è molto altro: il lettore riceve ad ogni capitolo un tassello del suo racconto ed è spinto a combinarlo con gli altri secondo l’ordine cronologico, a ricostruire le situazioni del prima e quelle del dopo il fatto del Mistico.

Abel infatti scompiglia i tasselli, sembra tirarli fuori ogni volta in virtù delle coordinate della speculazione sulla vita, che è in atto dentro di lui. Non funziona tanto il filtro della memoria, come in tanta narrativa che conosciamo, capolavori inclusi come La coscienza di Zeno, quanto l’empatia dell’io col mondo pensato.

Ha vissuto con la famiglia del duro lavoro dei campi, in una fattoria solitaria ai confini con il mondo “Intatto”, fino a quando una serie di partenze ha sfilacciato il cordone famigliare: il padre e un fratello sono partiti verso la morte, la madre invece li ha lasciati, loro cinque fratelli, per andare a vivere altrove. Un giorno ha preso quattro cavalli dalla fattoria ed è partita, senza dire una parola.

Un destino diverso è toccato a ognuno dei fratelli maschi e alla sorella Lilith. A lui, Abel, andato via come loro e diventato pistolero, tocca in sorte di incontrare il Maestro e di venire iniziato da lui alla filosofia. Gli tocca incontrare la bruja e la sua profezia: “Sarà molto doloroso, ma un giorno, Abel, te lo prometto, nascerai”.

La fase ultima della vita la trascorre spostandosi attraverso “le lande arroventate” del Sud, ha lasciato le pistole dopo che a Montague ha preso un colpo in pieno petto ed è guarito nel deserto di Ogàla, un riparo sacro ai Pajute “dove lo Spirito del mondo sale in superficie più facilmente“. Ha anche salvato la madre dalla impiccagione per furto di cavalli, laggiù a Yuba, e l’ha fatto insieme ai suoi fratelli.

Ora però la mission del suo movimento è “colare verso Sud” , viaggiando solo in apparenza nello spazio. In realtà la bruja aveva ragione e Abel sta risalendo nel tempo.

Quando arriva sulla estrema soglia, sente che questo, così a lungo atteso, è un momento di dolcezza. “È tempo di essere leggeri, adesso, e puliti”. Chiede che Hallelujah stia accanto a lui: dopo potrà andarsene, come ha sempre fatto. Dovesse incontrare la bruja, chiede di dirle che Abel è morto perché è riuscito a nascere.

Ora non so se dare spazio al ricordo della mia infanzia, che mi lega in modo particolare al genere western, sia hollywoodiano che all’italiana, o se puntare sull’autore, quel Baricco ritornato alla scrittura che, dopo una lunga degenza in ospedale, ha visto uscire il libro e si è sposato: tutto negli ultimi mesi del 2023.

Parto dall’autore, perché è importante che esprima una delle considerazioni più forti che mi ha suscitato la lettura di Abel, e cioè che il racconto cerca la persona prima che il lettore. La persona nella sostanza umana di cui è fatta, a cui arriva la fascinazione di una visione del vivere prima che di una storia.

Tutto un carico di parole tese che sanno di filosofia, di panismo e di animismo, di sofferenza devoluta a una saggezza ancestrale, quella di Abel. Cosa gli ha detto Joshua, il fratello pazzo? Cerco e ritrovo tra le pagine il segreto rivelatogli molti anni prima e poi germogliato in lui come un seme fertile: “Disse che dovevo stare molto attento perché sebbene la vita scorresse apparentemente come un fiume, dai monti al mare, nello stesso tempo correva però anche in senso contrario, risalendo verso le sorgenti”.

Dal Maestro, da Joshua e dall’esercizio del proprio pensiero Abel eredita la dimensione metafisica che ha dentro. Sempre più percorre i tempi e gli spazi, lasciandosi dietro la zavorra delle cose concrete che ha posseduto e facendosi parte del tutto. “Siamo tutti orme gli uni degli altri”, gli ha detto molto tempo prima la bruja. E non possiamo avere paura, “poiché tutto è già accaduto e nulla finirà mai”.

Solo a questo punto riprendo il ricordo di me bambina davanti al grande schermo nel cinema del mio paese.  Sedendo su poltrone scomode, alla destra di mio padre, ho visto talmente tanti film western da averne introiettata la grammatica. Nella conquista di nuove terre verso ovest quanti coloni ho seguito, quanti attacchi indiani e quanti amori sono esplosi nel procedere delle carovane. Quante città già fondate, con il bravo sceriffo a difendere la legge contro gli assalti alla banca da parte dei banditi.

Dalle solitudini delle terre ancora non abitate al chiasso nei saloon, quanti buoni hanno sfidato i cattivi e li hanno sconfitti, facendo trionfare il mito americano del bianco costruttore di un mondo che si candidava a diventare il migliore dei mondi possibili.

Che sorpresa incontrare poi, alle soglie della adolescenza, i film di Sergio Leone. Spariti gli scontri con gli indiani, veniva meno la carica epica dei film americani, in cui una collettività più evoluta si imponeva su quella selvaggia e rimarcava i propri valori a suon di pistoleri e brava gente che dissodava la nuova terra. Al suo posto ho sentito la zaffata di ironia portata dal disincanto dei suoi antieroi trasandati, eccentrici, con l’obiettivo di fare denaro. Meno buoni e più realistici.

Chissà perché Baricco ha ambientato nell’Ovest il nuovo racconto, tra gente come Abel e la sua famiglia. Forse anche questa scelta, lo spazio narrativo intendo, ha annodato il patto con chi legge, un dialogo fatto con parole rarefatte e con una colonna sonora piena di silenzi. Boicottando ogni facile identificazione con il mondo fenomenico che è dentro il libro.

Nota bibliografica:

  • Alessandro Baricco, Abel, Feltrinelli, 2023

Cover: Clint Eastwood in Il buono, il brutto, il cattivo (1966) regia di Sergio Leone

Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

Parole e figure / Polline

L’amore va curato. È importante donare non per ricevere ma solo per l’atto stesso di donare, senza aspettarsi nulla in cambio. Un messaggio per tutti.

“Dovresti amare solo per amore, né per dare qualcosa né per esserne ricambiata. Dovresti godere di ciò che hai, non di ciò che ottieni”

Un messaggio universale, quello di “Polline. Una storia d’amore”, di Davide Calì e Monica Barengo, edito da Kite. Essere felici di ciò che si ha, non di quanto si ottiene.

Ecco allora che un bel giorno, una donna che non amava le piante, nel suo giardino scopre un fiore bianco che ignorava di avere e inizia a prendersene cura. Immediatamente quel fiore diventa il suo preferito. Si alza presto ogni mattina per ammirarlo.

Vive l’attesa della prossima fioritura della pianta, si nutre del suo profumo e si specchia nel candore dei petali. Ne smuove il terreno, se ne prende assidua cura. Quei fiori bianchi che spuntano ogni giorno diventano il suo pensiero costante. La sera si addormenta pensando a loro, al nuovo bocciolo che il giorno successivo avrebbe trovato. Solo per lei. Il profumo del polline diventa il profumo dei suoi risvegli.

Finché la pianta a poco a poco si spegne. Nulla, giorno dopo giorno. Ciò che spunta si secca. Allora la donna non sa darsi pace, cerca la ragione di questo tradimento nei suoi stessi gesti: troppa acqua? Forse poca? Troppe attenzioni? Troppo poche? Difficile non farsi venir in mente una storia d’amore della vita quotidiana. Quante volte è successo che un amore si spenga e che ci si sia fatti le stesse domande…

Un corvo un po’ saggio e un po’ crudele la ammonisce, invitandola a non gioire di ciò che ottiene, ma di ciò che ha. Mai dare qualcosa solo per essere ricambiati. L’amore è puro in sé, si dona, si ama solo per amore. Pensieri che tormentano.

Passano le stagioni e l’estate successiva spunta un nuovo fiore, non nel giardino della donna, ma in quello del suo vicino. Sarà il polline a pervadere l’aria e l’anima della donna, riappacificandola infine con l’impalpabile fuggevolezza del dono.

Un albo illustrato dalle atmosfere tenui e sospese, una storia sulla natura dell’amore e sulla sua incredibile, pura e meravigliosa magia. Senza cercare risposte.

Davide Calì, M. Barengo, Polline. Una storia d’amore, Kite, Padova, 2013, 32 p.

Monica Barengo nasce a Torino nel 1990 e fin da bambina s’interessa al mondo delle immagini, al disegno e alla lettura di libri. Dopo il diploma vince la borsa di studio per frequentare il corso triennale di illustrazione allo Ied di Torino. Dal 2013 lavora come illustratrice per albi illustrati per bambini e non solo pubblicando con diverse case editrici, principalmente in Italia, Francia e Taiwan. È stata selezionata ad importanti concorsi internazionali, come la Children’s book fair di Bologna nel 2012 e il Golden Pinwheel Young Illustrators di Shanghai nel 2018 e nel 2019.
Sito web

Davide Calì è nato in Svizzera. È fumettista, illustratore e autore per bambini. I suoi libri escono in Italia per Kite Edizioni, Zoolibri, Orecchio Acerbo, Arca; in Francia per Sarbacane, Actes Sud e Thierry Magnier; negli Stati Uniti con Chronicle; in Portogallo per Planeta Tangerina. Al momento, ha all’attivo oltre cento pubblicazioni tradotte in numerose lingue e diffuse in più di 30 paesi. Ha ricevuto premi in Francia, Belgio, Germania, Svizzera, Spagna e Stati Uniti. Pagina Facebook

Libri per bambini, per crescere e per restare bambini, anche da adulti.
Rubrica a cura di Simonetta Sandri in collaborazione con la libreria Testaperaria di Ferrara

 

Bassani e Ferrara, manifestazioni e convegni

Bassani e Ferrara manifestazioni e convegni

Giorgio Bassani oggi compirebbe 108 anni, in quanto nato il 4 marzo del 1916, e le celebrazioni ferraresi sono state numerose e importanti.

Va subito riferita la decisione del MEIS di renderlo tra i protagonisti della prossima mostra al Museo che aprirà il 29 marzo: Ebrei nel Novecento italiano. Sappiamo da tempo il rapporto complesso che ha coinvolto il grande scrittore con la comunità ebraica, di cui tanto si è discusso scritto e parlato compreso chi stende queste note che ha avuto l’onore e la possibilità di parlarne personalmente con Giorgio Bassani, specie negli anni in cui a Firenze teneva affascinanti lezioni alla Facoltà di lettere.

È rimasto proverbiale l’espressione con cui si rivolgeva agli ebrei, “loro”, un pronome che molto nasconde sotto la brevità sconcertante dell’appellativo. Non dobbiamo dimenticare che proprio nella sede del MEIS ferrarese fu incarcerato Bassani. Ma su questo molto si è scritto: rimane il luogo simbolico di quel rapporto.

È stato presentato nelle sale del Ridotto del Teatro comunale Abbado di Ferrara un interessantissimo libretto pubblicato in italiano e in inglese Ferrara dentro: attraversare la città con Giorgio Bassani.
Promosso dal Comune di Ferrara e curato da Barbara Pizzo, offre un modo unico per esplorare la città attraverso gli occhi e la poetica dello scrittore.

La guida, realizzata da Barbara Pizzo con la collaborazione di Elisabetta Pietrobon e Massimiliano Stevanin intende scoprire la città con gli scritti e la memoria dello scrittore ferrarese.

La presentazione, introdotta dall’Assessore alla Cultura Marco Gulinelli, è stata arricchita dalle testimonianze di Portia Prebys, compagna per più di trent’anni dello scrittore, in streaming da Parigi da Paola Bassani, figlia dello scrittore, da Gianni Venturi, co-curatore del Centro bassaniano, e da Andrea Malacarne di Italia Nostra.

Proprio quest’ultimo è stato relatore in un grande Convegno che si è svolto a Palazzo Tassoni, sede della Facoltà di Architettura: PROGETTO MARCOVALDO – Le nature in città.

Nel suo intervento, dal titolo Le Mura e il Parco Urbano: l’Addizione Verde di Paolo Ravenna e di Giorgio Bassani, Malacarne ripercorre i progetti che hanno avuto come impulso determinante l’opera svolta in questo campo da Paolo Ravenna e da Giorgio Bassani nel realizzare una domanda fondamentale: “Potrebbe Ferrara diventare una città dentro un parco? Essere, nel suo complesso, una città parco?”

A questo il relatore risponde positivamente, attraverso l’analisi della conformazione del tessuto della città storica e soprattutto dalla presenza in città di situazioni paesaggistiche eccezionali, come due cimiteri dentro le mura, quello della certosa monumentale e quello ebraico.

L’analisi della situazione porta Malacarne a credere che Ferrara sia “eccezionale sotto l’aspetto dell’equilibrio tra spazi costruiti e spazi inedificati”, un esempio eccezionale della miglior cultura urbanistica italiana. A questa scoperta dell’eccezionalità di Ferrara contribuiscono nel tempo i contributi di Paolo Ravenna e Giorgio Bassani a capo di organismi importanti.

L’impegno di Bassani si è poi configurato nella dedicazione allo scrittore del parco Bassani, socio fondatore di Italia nostra nel 1955, che operò autorevolmente per il restauro delle mura, parco soggetto a polemiche dopo che ospitò un mega concerto che ne distrusse la copertura ambientale.

Malacarne obietta che ciò è avvenuto in contrasto “con le indicazioni generali e specifiche del nuovo Piano Urbanistico Generale”. Da qui la necessità di creare un organismo permanente di alto profilo che possa controllare l’equilibrio urbanistico della città, come il parco delle mura e il parco urbano: “una sorta di Opera delle Mura”.

Un’altra importante impresa per celebrare l’anniversario bassaniano sono state le giornate dedicate dal Liceo Ariosto svolte nelle giornate del 4 e del 6 marzo affidata agli insegnanti del Liceo e in collaborazione con la Fondazione Bassani. Di grande interesse l’articolo Bassani come Ulisse. Lo scrittore alla ricerca di se stesso. Viaggi americani svelati dal prof. Cappozzo apparso su La Nuova Ferrara dell’8 marzo 2024.

Infine, al Centro studi bassaniani si è svolta l’8 marzo un ciclo di letture sui personaggi femminili nell’opera del grande scrittore affidate al Teatro Off in cui si sono sentite anche molte voci della cultura  ferrarese, quale quella di Anna Quarzi direttrice dell’Isco di Ferrara .

Per leggere gli articoli di Gianni Venturi su Periscopio clicca sul nome dell’autore